politecnico di milano scuola di architettura e societa
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POLITECNICO DI MILANO SCUOLA DI ARCHITETTURA E SOCIETA’ Milano Città Metropolitana Proposta per le nuove municipalità Tesi di laurea di: Filippo Bellati Stefano De Pirro Corso di Laurea in: Paesaggi di Architettura e sistemi ambientali Matricola: 740157 Corso di Laurea in: Progettazione dell’Architettura sostenibile Matricola: 740682 Relatore: prof. Antonello Boatti A.A. 2011/2012 Indice “Milano secondo Me” Milano Città Metropolitana. Proposta per le nuove Municipalità. Indice Premessa..............................................................................7 INTRODUZIONE. . .................................................................... 11 1_IL PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO PROVINCIALE (PTCP).. ............................................................32. - 1.1_Il livello ambientale............................................32 - 1.2_Il livello infrastrutturale.......................................37 - 1.3_Il livello economico............................................40 2_IL PROBLEMA DEL CONSUMO DI SUOLO. . ..............................45 - 2.1_Consumo di suolo, la situazione attuale e le cause. . ...................................................45 - 2.2_Il sistema infrastrutturale...................................57 - 2.3_Verso una nuova soluzione normativa................64 3 Indice 3_GRANDI PARCHI E SISTEMI AMBIENTALI AGRICOLI, RESTAURO DEL TERRITORIO.................................................. 71 - 3.1_Valore del verde e sistema dei parchi dell’area milanese................................................... 71 - 3.2_Valore del verde agricolo.................................. 85 - 3.3_PCU e orti urbani............................................. 96 4_VERSO LA CITTA’ METROPOLITANA. . ...................................109 - 4.1_Quadro normativo, competenze e autonomie locali.....................................................109 - 4.2_Austerity, centralizzazione in nome del risparmio?........................................................ 111 - 4.3_La Città Metropolitana..................................... 114 5_LE NUOVE MUNICIPALITA’ DI MILANO. IL PROGETTO............123 - 5.1_I presupposti del lavoro...................................123 - 5.2_Il processo di divisione....................................148 - 5.3_Tavole di progetto in allegato CONCLUSIONI........................................................... 155 Note bibliografiche............................................................163 Ringraziamenti 4 A Milano Premessa PREMESSA La genesi di questo lavoro è la fondamentale e non più trascurabile esigenza di rivitalizzare l’identità milanese, per il territorio e per gli individui che lo abitano. Milano città d’acqua, città di produzione, città viva. Col passare del tempo l’acqua è stata nascosta, la produzione si è slegata dal territorio, e al fascino della contrada, della vita di strada, delle animate discussioni, si è preferita l’illusione di una perfetta efficienza, da percorrere nel proprio abitacolo, ermeticamente sigillati. Questa situazione manifesta l’assoluta necessità di non eliminare definitivamente i resti della città che fu bensì, al contrario, di cercarli, valorizzarli e, dove possibile, ricollocarli come centri della vita dei milanesi. Il lavoro pone le basi per un ripensamento rispetto alle criticità ormai croniche di Milano: la congestione automobilistica che spesso affligge le vie di questa città, così come lo smarrimento di chi imbocca le circonvallazioni con la speranza di non finire nel “gorgo”, di chi, con l’angoscia della puntualità, ne percorre le strade a occhi chiusi. La soluzione elaborata consiste nella costituzione di nuove “municipalità” che ricalchino la vera storia di questo territorio, riscoprendo nomi e limiti del passato ma declinandoli in chiave contemporanea e progressista. Un abbandono, quindi, delle nove Zone amministrative attuali, dai confini artificiosi e ancora radiocentrici. Il cambiamento permetterebbe agli abitanti di curare la diffusa ossessione di intrufolarsi nel centro della città come spermatozoi alla ricerca della meta tanto desiderata. L’intervento servirebbe a distogliere lo sguardo dall’antica fortezza protetta da telecamere, ricordando che “il bello” può essere anche a ridosso delle proprie abitazioni e facendo riassaporare agli abitanti di Milano la vita di quartiere. I benefici sarebbero percepiti anche dal turista, finalmente in grado di scoprire la vera complessità di questa città, la sua umanità, abbandonando il classico giro in centro, capace esclusivamente di generare la convinzione che gli esseri 7 Premessa autoctoni di questi luoghi siano esclusivamente piccioni affamati e colletti bianchi incravattati e indaffarati a tornare al proprio posto di lavoro. Il progetto cerca di interpretare le esigenze e l’aspetto della Milano del futuro: una commistione tra città e paese. Una metropoli che riscopra la produzione e il consumo locale, che valorizzi e premi la socialità e l’umanità di persone e luoghi. Che riporti la campagna laddove il cemento ha avuto il sopravvento. Una vera riscoperta del proprio territorio attraverso le sue risorse naturali, abbattendo i confini tra urbano e rurale. Una nuova “rete materiale” ricca di “cuori” pulsanti, in grado di porre chi vi si trova immerso, nella condizione ottimale di fruizione, percezione ed espressione. Una città ricca di stimoli ma che non sovrasti la semplicità del vivere, che aumenti l’offerta riducendo gli sprechi. Una vera città sostenibile. 8 “[...] chi abbia un pò di amore per le memorie cittadine può ancora ritrovarne le tracce disperse nel fitto groviglio del centro abitato; e rivivere vecchie storie e leggende. E percorrendo le strade superstiti nella cerchia segnata dal Naviglio interno, gli parrà di risentire il brusio della città ottocentesca, cadenzato dalle grida degli ambulanti e dallo strepito delle vetture sull’acciottolato; e ritrovare la voce e ricomporre il viso della Milano di un tempo sorvegliata dalle candide guglie del Duomo”. Paolo Mezzanotte Introduzione INTRODUZIONE 1_Milano realtà complessa Milano è una realtà complessa, dalle mille facce, dai mille odori, accomunata da un unico colore: il grigio. Da sempre crocevia di popoli e mercati, questo territorio è stato popolato da lombardi, piemontesi, veneti, liguri, francesi, austriaci e, da inizio ‘900, è stato meta dei flussi migratori provenienti dal Sud. Non si può certo dire, oggi, che Milano e l’Italia siano un pari esempio di integrazione riguardo agli stranieri, i quali trovano, sempre più spesso, un sistema poco disposto all’accoglienza. Questo melting pot di culture ha generato e modellato, nella sua evoluzione storica, i tratti caratteristici degli abitanti di Milano. C’è chi ha portato l’efficienza nel lavoro e chi l’arte di irrigare la terra, chi il piacere per il buon vino e chi la consapevolezza del valore del denaro, c’è poi chi ha contaminato il dialetto con parole sbiascicate e c’è infine chi ha insegnato a mettere in discussione l’ordine costituito. Le contraddizioni, le differenze, le opposizioni – è innegabile - migliorano la “specie” ma, soprattutto, suscitano interesse, generano fascino. La stessa natura morfologica di Milano è complessa. Qui si respira, o dovremmo dire si respirava, aria di montagna e aria di mare allo stesso tempo, benché ci si trovi in pianura. Nelle giornate terse le cime innevate si vedono e non sembrano poi così lontane dalle antenne di Cologno. Nelle giornate aride si suda, si mangia il pesce e a volte si vedono persino i gabbiani, che dal mare risalgono il Lambro, un tempo in cerca di gamberi, ora di discariche. Paesaggi diversi cuciti insieme dalle acque che, dal Ticino e dall’Adda, passando da Milano, confluiscono nel Po e sfociano nell’Adriatico. E ancora, i navigli, sottili fili azzurri. Nel corso dei secoli lo scorrere lento delle acque ha dato modo ai milanesi di intraprendere lunghe riflessioni interiori ed è stato protagonista di canti popolari, di leggende e di scene di vita uniche nel loro genere. I barcaioli contemplavano la natura entrando in città, la lavandaie chiacchieravano e cantavano spalla a spalla, gli anziani guardavano, con placida curiosità, tutto ciò che lungo 11 Introduzione quei canali passava, allo stesso modo in cui oggi sbirciano nei cantieri. E poi c’è la nebbia. L’umidità si alzava dai canali e invadeva tutta la città. Nascondeva ogni cosa, le persone e gli edifici, svelandoli improvvisamente. Un cornicione, un cappello, un muso di tram. Una presenza quasi tangibile, in grado di far perdere l’orientamento. Sono stati tutti questi elementi a dipingere la tela di Milano e a inspirare, nel tempo, innumerevoli artisti. Cantanti, letterati, pittori e poeti, milanesi di nascita o d’adozione, hanno parlato di questa città nelle loro opere, o ne hanno tratto ispirazione. Da Nanni Svampa a Giorgio Gaber, da Enzo Jannacci a Elio e le Storie Tese, da Bramante a Sironi, da Manzoni a Dario Fo, solo per citarne alcuni. La figura precedente: “Il pescatore sul Lambro”, zona Crescenzago La nebbia dei Navigli 12 Introduzione Il tram numero 4 nella nebbia 13 Introduzione Tutto questo genera sentimenti vari e contrastanti. Oggi, però, ce ne sono due più forti degli altri. La rabbia, innanzitutto, che da sempre fa parte dei cromosomi milanesi. Si dice che “non v’ha sasso di Milano che non sia stato testimonio di baruffe”,[1] riferendosi a quelle contro i poliziotti austriaci, così come a quelle interne, tra le varie bande. La rabbia per un’insensata gestione del territorio, incurante del suo passato e della sua natura, garante verso i grandi speculatori. Immagine trarra dal cd “Studentessi” di Elio e le Storie Tese [1] C. Romussi, Milano che sfugge, Milano, Libreria Milanese, 1991, p. 48 14 Introduzione U na foto d’epoca della Fiera di Senigallia 15 Introduzione La rabbia, si è detto, ma soprattutto la nostalgia: per quello che un tempo era nascosto dal grigio vapore e ora è sotterrato dal grigio cemento; per la vita che animava le strade e che ora si è trasformata in un baccano di motori, imprecazioni e clacson; per l’acqua che irrigava Milano e la riempiva di piccoli “paradisi” e ora scorre nascosta sottoterra. Occorre riscoprire la storia di Milano (in questo processo possono essere i cittadini stessi a giocare un ruolo importante, come dimostra la bontà di alcune interessanti iniziative di ricerca pubblicate o condivise in rete) per sfruttare positivamente questi sentimenti, trasformando la rabbia in energia e la nostalgia in slancio verso il futuro. A destra: Mario Sironi,“Periferia”, 1922 In basso: Vista dall’alto dei nuovi edifici di Garibaldi 16 Introduzione 17 Introduzione 2_Milano città d’acqua Bonvesin de la Riva, scrittore e poeta lombardo del ‘200, descriveva Milano come “lussureggiante città degli dei, entro la quale scorrono acque vive naturali, eccellenti da bere, salubri e così abbondanti in tutte le stagioni che in ogni casa, appena decente, si trova una fonte viva, chiamata pozzo”.[2] Il territorio milanese, un tempo inospitale e paludoso, è stato trasformato, nel corso dei secoli, eliminando le paludi e sfruttando le acque dei fontanili. Questo cambiamento è stato reso possibile dall’ingegnoso sistema di gestione delle acque sviluppato dai monaci giunti dalla Francia e stabilitisi nelle abbazie di Chiaravalle e Morimondo. Un lavoro in grado di affascinare e ispirare il genio di Leonardo da Vinci. Nell’arco di un secolo, il dodicesimo, il territorio compreso tra Milano, Lodi e Pavia fu radicalmente ricreato con l’escavazione di quello che giungerà a Milano con il nome di Naviglio Grande e che, prendendo le acque dal Ticino, si ricongiunge ad esso passando per le terre di Gaggiano e Trezzano. La costruzione del Duomo di Milano è stata l’occasione per incrementare il tracciato dei navigli. Un’enorme quantità di marmo proveniente dalle cave di Candoglia, sul lago Maggiore, ai confini con la Valle d’Aosta, percorreva tutto il Naviglio giungendo alle porte di Milano. Per consentire al materiale di arrivare direttamente nei pressi della Fabbrica del Duomo, venne realizzata la conca di Viarenna, che permetteva di superare il dislivello tra la Darsena e la cerchia interna delle acque, arrivando fino al Laghetto (oggi via Laghetto) alle spalle del Verziere, a due passi dal Duomo.[3] A metà Cinquecento, le nuove mura spagnole furono accostate alla cerchia dei navigli, permettendo a questi ultimi di mantenere la propria funzionalità e irrigare l’estesa fascia di orti presente, per secoli, tra le mura cinquecentesche e la cerchia medievale. Nella pagina seguente: Filippo Carcano, Il naviglio di via Senato,1870 [2] Bonvesin de la Riva, De Magnalibus Mediolani (1288), in F. Fava, A. Salvi, I navigli del milanese, Milano, Libreria Milanese, 1994, p. 5 [3] Cfr. G. Denti, A. Mauri, Milano: l’ambiente, il territorio, la città, Firenze, Alinea, 2000, p. 36 18 Introduzione Ci si chiederà, a questo punto, che fine abbia fatto la “lussureggiante città degli dei” di cui si sono accennati i tratti. Nella seconda metà dell’800, la pressione espansionistica della città iniziò a mettere in crisi questo “inefficiente” sistema: con il piano Beruto del 1884 compare, per la prima volta, l’indicazione di ricoprire i canali navigabili milanesi. Col regime fascista, negli anni del primo dopoguerra, sullo slancio di una visione moderna, efficiente e ad “alta velocità” ereditata dal movimento futurista, l’intera cerchia interna dei Navigli venne ricoperta dal manto stradale, privilegiando una città a misura d’automobile. In questo modo Milano –per dirla con Anna Salvi e Franco Fava- “si è concessa il decadente lusso del rimpianto e della nostalgia, ha steso una pietosa coltre di cemento sulle banali ambizioni natatorie e si è ricamata addosso un pallido passato [...]. Su questo passato ogni riflessione si stempera in favola”. [4] Casa sul Naviglio Martesana, zona Crescenzago Nella pagina accanto: villa sul Naviglio Martesana, Crescenzago [4] F. Fava, A. Salvi, op. cit., p. 5 20 Introduzione Il legame tra i cittadini milanesi e i propri corsi d’acqua è sempre stato molto forte. Lungo di essi, da sempre, si è concentrata gran parte della vita quotidiana, dando vita a tradizioni e aneddoti talvolta curiosi, come quello che racconta dell’abbondanza dei gamberi portati dai pescatori, sul Lambro, nel periodo tra la Pentecoste e San Martino. “Quella dei gamberi rossi, da sgranocchiare cotti nel sale e l’erbabonna, è tra le favole più belle, da raccontare nelle sere di inverno, riuniti a semicerchio intorno al feticcio televisivo spento”.[5] Le storie meneghine legate ai navigli sono realmente innumerevoli. Oltre a scandire la vita degli abitanti in città, queste vie d’acqua si presentavano come un elemento di identità rispetto all’intero territorio, veicolando modi di vita e influenze artistiche. “Lo scorrere dell’acqua annulla tempo, spazio e conseguenti divisioni; se risaliamo l’alzaia da Milano sino alle origini del Ticinello ritroviamo le stesse insegne in ferro battuto delle osterie provenzali, e gli artigiani del rame ci offrono coppe lavorate alla maniera etrusca. Il carattere lombardo chiarisce bene influenze artistiche e somiglianze di modi di vita”.[6] Il nostro lavoro non intende insistere sulla riapertura dell’intero sistema dei navigli, tema abbondantemente discusso e già in linea con i programmi dell’amministrazione comunale, bensì trarre, da questa vicenda, alcuni spunti di riflessione. Se da una parte l’intento di trasformare la città in una macchina veloce ed efficiente, al passo coi tempi, salubre e funzionale, ha certamente prodotto uno slancio iniziale in linea con le aspettative, questo modello ha dimostrato, a lungo andare, il proprio fallimento. I veri risultati generati da questa scelta miope non sono altro che la crisi dell’identità milanese, non ancora del tutto scomparsa, e la totale subordinazione della città alla macchina, nemica dei pedoni, nemica dei polmoni. L’abbandono dei navigli ha, in alcuni casi, “cristallizzato” e conservato piccole realtà che ormai sembrano parlare di tempi mai esistiti, in realtà non troppo lontani. E’ necessario riconferire a questi luoghi la giusta importanza utilizzandoli, [5] Ivi, p.8 [6] Ivi, p.14 22 Introduzione come sassi lanciati in uno stagno, per restituire a questa città il fascino che la contraddistingue. Scorcio del Naviglio Martesana, zona Gorla 23 Introduzione 3_Milano produttiva Milano è da sempre un polo produttivo e di scambi molto importante a livello nazionale e internazionale, capace di attrarre e soddisfare molti lavoratori provenienti da tutte le parti del mondo. Con il passare degli anni, tuttavia, il sistema produttivo si è modificato, spostando la maggior parte degli stabilimenti al di fuori dei confini milanesi, se non di quelli nazionali. La globalizzazione del mercato, inoltre, ha portato le aziende, estere e non, a far prevalere sul territorio sedi logistiche e distributive, conferendo a Milano una connotazione principalmente commerciale. La possibile mancanza di grossi investimenti economici e l’assoluta necessità di ridurre gli sprechi di energia, si presentano da una parte come un incentivo a ripensare il rapporto produzione-distribuzione-vendita, riducendo sul territorio le distanze tra questi livelli (“filiera corta”, prodotti a chilometro zero), dall’altra come uno stimolo a proporre un nuovo stile di vita più “a passo d’uomo”, più “slow”, più naturale, in cui ridare importanza al vicinato, prendendo coscienza dello spazio in cui si vive.[7] In alto: Fabbrica di lavorazione del ferro, zona Vigentino Nella pagina accanto: Industria dismessa sulla Martesana, viale Padova [7] Cfr. A. Boatti, Urbanistica a Milano, Milano, Città Studi Edizioni, 2007, p. 328 24 Introduzione 4_L’area metropolitana milanese Qualsiasi lavoro che abbia la benché minima pretesa di affrontare le criticità della città di Milano non può prescindere da un’analisi approfondita e attenta del suo intorno, più o meno immediato. Considerare Milano come una monade delimitata dagli attuali confini amministrativi, avulsa dal proprio contesto e oggetto privilegiato d’analisi rappresenterebbe, oltre che una scelta a dir poco anacronistica, un fondamentale errore di prospettiva. Per questo motivo, al fine di comprendere a fondo le complessità e le dinamiche relative allo sviluppo urbano, appare necessario definire l’area metropolitana milanese. Vista notturna dell’Europa 26 Introduzione Con il termine area metropolitana si vuol fare riferimento a una zona circostante un grande nucleo urbano, caratterizzato da un’elevata capacità attrattiva nei confronti dei centri minori. Questi ultimi manifestano determinate affinità con il nucleo principale e sono a esso, oltre che reciprocamente, legati da un certo numero di relazioni. Definire i limiti di un’area metropolitana significa individuare, appunto, la quantità e il tipo delle relazioni che in quest’ambito si instaurano. Queste interazioni possono essere di tipo economico e funzionale: entrambi questi aspetti rimangono, in ogni caso, subordinati ad altre istanze. In particolare, la definizione di un’area metropolitana si basa principalmente sulla condivisione di un medesimo bagaglio storico-culturale, oltre che, ovviamente, su un’attiguità geografica. Se considerassimo, infatti, solo l’aspetto riguardante i rapporti economici e funzionali, delimitare un’area metropolitana risulterebbe difficile. Nell’epoca della globalizzazione economica e delle telecomunicazioni, infatti, sembra quasi avverarsi, perlomeno sotto questo punto di vista, l’Ecumenopolis teorizzata da Doxiadis, [8] con il configurarsi di un’unica metropoli “immateriale” diffusa su tutto il pianeta. Appare necessario, quindi, trovare dei differenti parametri di riferimento. Occorre ragionare, dunque, secondo due piani distinti, sebbene interdipendenti. Da una parte il piano culturale, che prende in considerazione i punti di contatto dal punto di vista sociale e storico; dall’altra il piano fisico, basato sull’individuazione dei limiti naturali entro i quali restringere il campo d’intervento e sulla determinazione delle relazioni che, all’interno dei suddetti limiti, si stabiliscono tra i vari elementi. L’area metropolitana di Milano, così definita, potrebbe ricalcare gli antichi confini dello Stato di Milano, come riportato sul Catasto Teresiano del 1777. Nella nostra analisi si è deciso, d’altra parte, di prendere in considerazione un’area più limitata, cercando in ugual modo di mettere in evidenza confini naturali ben definiti: a est il fiume Adda, ad ovest il Ticino, a sud il Pavese, [8] Cfr. A. C. Doxiadis, Ecumenopolis: the inevitable city of the future, New York, Norton, 1974 27 Introduzione spingendosi a Nord fino al canale Villoresi. L’individuazione di questi elementi non vuole essere un semplice pretesto per una riduzione quantitativa dell’oggetto di analisi, bensì è possibile ritenere, a nostro avviso, che questi confini naturali abbiano contribuito in modo determinante, nel corso della storia, alla creazione di una precisa identità culturale, di un “sentire comune” ben riconoscibile. I comuni all’interno di quest’area hanno una propria identità e dei centri storici di riferimento, sono luoghi dell’abitare e del vivere. Succede, purtroppo, che molto spesso non siano anche luoghi del lavorare, e che questa funzione debba essere necessariamente demandata ad altre realtà urbane dell’intorno. Questa situazione genera dei flussi in uscita che finiscono per congestionare il sistema della mobilità nel suo complesso, oltre che risultare inevitabilmente in un impoverimento del nucleo stesso. In alto: La “costellazione” dell’area milanese Nella pagina seguente: Lo Stato di Milano, Catasto Teresiano, 1777 28 Introduzione Il professor Giuseppe Dematteis sottolinea come all’incertezza relativa all’individuazione dei confini si aggiungano perplessità relative alla stessa individuazione di centri e gerarchie, qualora ci volessimo soffermare sull’analisi funzionale di queste forme urbane. Nella zona nord di Milano - fa notare - è riconoscibile una morfologia urbana in cui, eccezion fatta per il capoluogo, si riscontra la presenza di un tessuto connettivo continuo che rispecchia in modo evidente un sistema di connessioni funzionali. Questa situazione è sintomo dell’avvenuto spostamento di determinate attività un tempo situate esclusivamente nelle parti centrali dei centri urbani come uffici, commerci specializzati e centri fieristici - verso i centri minori, lungo i tracciati e i nodi delle grandi infrastrutture dei trasporti e delle comunicazioni.[9] È come se i vecchi centri esplodessero, si frantumassero in tanti pezzi sparsi su un vasto territorio, pur mantenendo tra loro forti interdipendenze e creandone di nuove con l’esterno. Perciò la letteratura specialistica non parla più di città ma di sistemi territoriali urbani di diversa ampiezza o di regioni funzionali urbane che coprono l’intero territorio. La geografia urbana ha dovuto negli ultimi vent’anni inventare varie parole nuove per descrivere questa dilatazione all’intero territorio di quelle che prima erano le maglie serrate del tessuto urbano compatto. Si è parlato così di controurbanizzazione, di peri-urbanizzazione, di città diffusa o reticolare, di centri di margine (edge cities) ecc. In passato, quando la città veniva prima della rete, la si poteva pensare come un’entità a sé stante, con un corpo fisico ben definito sede di una società locale, dotata di una sua identità e quindi per sua natura capace di agire come un soggetto collettivo. Oggi questa rappresentazione personificata della città non è più realistica. La frammentazione fisica, funzionale, sociale ed etnico-culturale che caratterizza tutti i sistemi urbani, anche quelli minori, non ci permette più di pensare la città come un’entità fisica e sociale di per sé unitaria. D’altra parte non possiamo rinunciare all’idea che le città, per quanto [9] Cfr. G. Dematteis, Prolusione sul tema “Verso la città-rete del terzo millennio”, inaugurazione A.A. 1996/97, Politecnico di Torino (http://www.polito. it/ateneo/grandi_eventi/inaugurazioni/1997/dematteis.html) 30 Introduzione la loro struttura sia cambiata, possano continuare a comportarsi come attori collettivi. Ciò significa che, sebbene l’identità urbana non sia garantita dalla semplice coesistenza di più attori che operano come “nodi” di reti sovralocali diverse, tale identità può tuttavia essere costruita attraverso l’interconnessione di questi “nodi” all’interno di un milieu locale attivo.[10] Occorre quindi ripensare il ruolo dei centri urbani, tema che verrà ripreso in seguito. E’ indispensabile, alla luce dei fatti, un’analisi dell’area milanese nella sua totalità. La “Rete della Storia” a livello milanese [10] G. Dematteis, Prolusione sul tema “Verso la città-rete del terzo millennio”, cit. 31 Il PTCP di Milano 1_IL PIANO TERRITORIALE PROVINCIALE (PTCP)[1] DI COORDINAMENTO Quando si parla di area milanese, a oggi, ci si riferisce necessariamente ad un territorio che corrisponde a quello della provincia di Milano. Lo strumento normativo di riferimento, quindi, per quel che attiene al piano della pianificazione nell’ambito sovracomunale, è il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale. Nello specifico, il PTCP del 2003, adeguato in seguito alla Legge Regionale 12 del 2005[2] e adottato nel 2012, rappresenta, pur nei limiti nelle funzioni ad esso conferite dalla legge, un significativo passo in avanti in ordine alla presa di coscienza delle problematiche legate all’area milanese, nonché un tentativo di fornire delle risposte adeguate in tale ottica. Partendo da un’analisi allo stato attuale dell’area provinciale, il Piano propone una serie di misure volte a ripristinare, a livello ambientale ed economico, la qualità del territorio, attraverso l’utilizzo di strumenti urbanistici di tutela e indirizzo di carattere sovracomunale. 1.1_Il livello ambientale Per quanto riguarda l’aspetto legato alla salvaguardia e alla valorizzazione dell’ambito paesistico-ambientale, l’adeguamento del PTCP propone l’utilizzo di meccanismi di tutela in continuità con gli strumenti adottati dal Parco Sud. Quest’ultimo, con l’individuazione dei cinque Piani di Cintura Urbana (PCU) [3] per l’area di Milano, aveva già puntato [1] Parlando di PTCP, in questo capitolo, si intende far riferimento a: Provincia di Milano, Adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale alla LR 12/05, Adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7 giugno 2012 [2] Regione Lombardia, Legge per il governo del territorio, L.R. n. 12 dell’11 marzo 2005, aggiornata al 10 Maggio 2012 [3] previsti da: Regione Lombardia, Deliberazione Giunta Regionale n. 7/818 del 3 Agosto 2000, Approvazione del piano territoriale di coordinamento del 32 Il PTCP di Milano l’attenzione sulla necessità di riconsiderare il territorio agricolo, e naturale in un senso più ampio, ritenendolo fondamentale non solo in relazione al miglioramento della qualità della vita e della salubrità dell’ambiente ma anche come punto base su cui impostare uno sviluppo economico più sostenibile. In quest’ottica, al livello sovracomunale, il PTCP riserva particolare attenzione agli ambiti agricoli di interesse strategico. A questi ultimi viene riconosciuto un ruolo primario, tanto da essere inclusi tra le previsioni di piano aventi efficacia prevalente e vincolante. A essi viene attribuito un importante carattere multifunzionale. La loro peculiarità consiste, al contempo, nell’essere una fondamentale risorsa fisica ed economica da tutelare e valorizzare, nel possedere un ruolo primario relativo all’aspetto produttivo dell’agricoltura, nell’avere un valore paesistico-ambientale, oltre che educativo e di svago, nello svolgere un ruolo di presidio rispetto al territorio. Al di là delle definizioni e delle dichiarazioni d’intenti, tuttavia, l’individuazione dei suddetti ambiti agricoli ha suscitato notevoli perplessità. Ci si riferisce, in particolare, alle osservazioni mosse dal consigliere d’opposizione Mezzi in merito alla scelta di non includere, nella mappa dei vincoli, le aree agricole dei parchi regionali presenti nel territorio provinciale milanese. Malgrado l’assessore al Territorio Altitonante abbia giustificato questa scelta ricordando come le tutele siano già affidate ai piani dei vari parchi, occorre ricordare come, nel caso del Parco Sud, questo equivalga a concentrare il potere decisionale nelle mani del presidente dell’Ente, ossia del presidente della Provincia.[4] E desta preoccupazione, a detta di Mezzi, viste le recenti esperienze delle varianti parziali, che hanno consentito Parco regione Agricolo Sud Milano (art. 19, comma 2, l.r. 86/83 e successive modificazioni) [4] Cfr. D. Carlucci, I. Carra, Allarme cemento per il Parco Sud. La Provincia non ha fissato vincoli, «La Repubblica», 28 Ottobre 2011 (http://milano. repubblica.it/cronaca/2011/10/28/news/allarme_cemento_per_il_parco_ sud_ la_provincia_non_ ha_fissato_vincoli 24002915) 33 Il PTCP di Milano ai comuni di Rosate[5] e Vignate[6] di espandersi, sottraendo territorio al Parco, l’intenzione, da parte della Provincia, di attuare una variante generale al Parco Sud.[7] Il PTCP prende atto dell’elevata artificializzazione del territorio milanese, con il conseguente impoverimento ecologico, proponendosi la restaurazione delle funzioni ecosistemiche attraverso la progettazione di un sistema interconnesso di aree naturali capaci di ripristinare livelli soddisfacenti di biodiversità. In questo senso occorre interpretare la volontà, da parte del Piano, di potenziare e riqualificare il sistema paesisticoambientale tramite la costruzione di un sistema a rete degli spazi verdi articolato in una Rete Verde, nelle Grandi Dorsali Territoriali, nel Sistema dei Navigli. L’adeguamento del PTCP ha aggiornato la Rete Ecologica Provinciale (REP), tenendo conto della Rete Ecologica Regionale, inserita dal PTR tra le infrastrutture prioritarie e strategiche per la Regione Lombardia. La REP risulta costituita da due elementi principali: i Gangli, ossia ambiti territoriali sufficientemente vasti e compatti che presentino ricchezza di elementi naturali, e dai Corridoi Ecologici, fasce di connessione territoriali dotate di un buon equipaggiamento vegetazionale. Le finalità della REP sono in linea con quelle della Direttiva “Habitat” della Comunità Europea, per la formazione di una Rete Ecologica Europea (denominata Natura 2000).[8] Per quanto riguarda la Dorsale Nord, il suo obiettivo è quello [5] Provincia di Milano-Parco Agricolo Sud Milano, Deliberazione 32/2010, Adesione all’Accordo di Programma promosso dal Comune di Rosate per l’ampliamento dell’insediamento produttivo dell’azienda Schattdecor e riqualificazione ambientale e paesistica di aree comprese nel Parco Agricolo Sud Milano [6] Provincia di Milano-Parco Agricolo Sud Milano, Deliberazione 46/2010, Adesione all’Accordo di Programma promosso dal Comune di Vignate per l’ampliamento del Centro Intermodale Soc Sogemar SpA e riqualificazione ambientale e paesistica di aree comprese nel Parco Agricolo Sud Milano [7] Pietro Mezzi, Il territorio della provincia è a rischio, difendiamolo, (http:// www.sellombardia.it/milano/ pagina.asp?id=3365) [8] Consiglio d’Europa, Direttiva 21 maggio 1992, Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, recepita in Italia dal DPR 357/97 34 Il PTCP di Milano di ripristinare una continuità territoriale e una conseguente riqualificazione ecologica sistematizzando, recuperando e valorizzando gli ambiti non edificati nell’area compresa tra l’Adda e il Ticino. A completare il mosaico degli strumenti urbanistici di tutela del territorio, nonché per la sistematizzazione e la continuità della Dorsale Nord, il Piano prevede l’istituzione di Parchi Locali di Interesse Sovracomunale (PLIS), laddove lo spazio si caratterizza come “residuale di un processo di urbanizzazione esteso e diffusivo”.[9] La Provincia non istituisce direttamente PLIS ma si limita a verificarne e riconoscerne, a valle di una proposta di iniziativa comunale, il grado di interesse sovracomunale. La Dorsale Verde Nord risulta così costituita dai Parchi Naturali e regionali, dai PLIS, dai Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e dalle Zone di Protezione Speciale (ZPS). A questo progetto territoriale si aggiungono le dorsali dei fiumi Lambro ed Olona. Le Dorsali Est, Nord e Ovest, nelle intenzioni del Piano, diventano così elementi ordinatori del territorio e di gestione della trasformazione del paesaggio. Il PTCP, inoltre, punta ad una riduzione del consumo di suolo attraverso una qualificazione delle trasformazioni, la densificazione della forma urbana e il recupero delle aree dismesse o degradate. Bisogna rilevare come, per quanto riguarda il sistema dei Navigli, il Piano provinciale si proponga, sulla scia di quello regionale,[10] l’obiettivo di salvaguardare e riqualificare il sistema delle acque provinciali non accennando minimamente, d’altro canto, al progetto di riapertura dei Navigli milanesi.[11] Nella pagina seguente: Nostra elaborazione su “Ambiti destinati all’attività agricola di interesse strategico”, tratto dal PTCP di Milano, 2012 [9] Provincia di Milano, Adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale alla LR 12/05, Adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7 giugno 2012, p. 21 [10] Cfr. Regione Lombardia, Piano Territoriale Regionale d’A rea Navigli Lombardi (PTRA Navigli), approvato il 16 Novembre 2010 [11] Vedi: A. Boatti, E. Malara, Un progetto per la riapertura dei Navigli milanesi 35 Parchi Regionali Ambiti Agricoli di interesse strategico Il PTCP di Milano 1.2_Il livello infrastrutturale Anche per quanto riguarda le infrastrutture, l’obiettivo del Piano di Coordinamento resta il rilancio della struttura policentrica, attraverso la messa in rete dei centri del territorio provinciale in un sistema unitario, articolato, costituito da insediamenti urbani collegati da una fitta trama infrastrutturale, connessi da un tessuto continuo di spazi verdi. “Il piano persegue infatti” – si legge nella Relazione generale – “l’obiettivo strategico di contrastare l’esistente schema radiocentrico, privilegiando le connessioni trasversali, ricostruendo trame pluridirezionali che recuperano le relazioni territoriali in parte cancellate dallo sviluppo più recente, in grado di valorizzare le potenzialità dei poli della rete”.[12] Il PTCP sostiene come il principale punto di criticità del sistema infrastrutturale della Provincia di Milano sia rappresentato dal forte radiocentrismo nei confronti del capoluogo. Rispetto al sistema stradale si nota come le direttrici principali sono dirette verso Milano dove, attraverso il sistema tangenziale, avvengono le connessioni trasversali. La carenza dello stesso tipo di collegamenti nelle fasce più esterne rispetto alla città centrale determina fenomeni di congestione e incidentalità lungo la rete. “Ciò è dovuto alla sovrapposizione di spostamenti di natura diversa (lunga percorrenza, semplice transito, intercomunali o locali) che impegnano i medesimi assi stradali, per l’assenza di collegamenti alternativi o di una loro precisa gerarchizzazione”.[13] Questa situazione, ovviamente, non riguarda solo le direttrici principali ma si riflette sulla maglia viaria diffusa. Il Piano cerca di ricostruire un sistema stradale di livello funzionale intermedio con rilevanza sovracomunale, privilegiando le connessioni trasversali nell’ottica di rendere più efficiente l’intero sistema dei trasporti provinciale. Occorre ricordare come, in controtendenza rispetto a questi [12] Relazione generale in Provincia di Milano, Adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale alla LR 12/05, Adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7 giugno 2012, p. 6 [13] Ivi, p. 26 37 strade storiche.JPG Il PTCP di Milano obiettivi, negli ultimi anni siano stati previsti e sono attualmente in fase di realizzazione, alcuni grandi progetti di carattere infrastrutturale riguardanti l’area milanese. Ci si riferisce, in particolare, all’Autostrada Pedemontana Lombarda, alla Tangenziale Est Esterna Milanese (TEM) e alla Brebemi. Come verrà approfondito in seguito, queste opere, piuttosto che permettere spostamenti veloci e comodi ai cittadini, rischiano di compromettere l’integrità del territorio, soprattutto in termini di grandi sistemi ambientali e capacità di produzione agricola, vitale per il territorio e per i suoi Comuni. Rispetto al sistema del trasporto pubblico, in merito al quale è possibile riscontrare lo stesso radiocentrismo verso il capoluogo e la medesima scarsità di connessioni trasversali, le strategie del Piano puntano a rafforzare le connessioni tra il capoluogo e le aree più esterne tramite il potenziamento della linea ferroviaria e la soluzione delle criticità strutturali nei nodi. Si prevede, inoltre, di estendere le linee metropolitane esistenti non solo verso la periferia, bensì oltre il territorio del capoluogo, a servizio dei Comuni di prima cintura, attestando le linee sui capisaldi del sistema policentrico provinciale, costruendo infine le linee M4 e M5 e trasformando le linee tranviarie interurbane in moderne metrotranvie. In alto: Tracciato della “Brebemi” Nella pagina a fianco: Indicazioni stradali, zona Bovisa 39 Il PTCP di Milano Tracciato della TEM, Tangenziale Est Esterna di Milano 1.3_Il livello economico Per quanto riguarda il livello economico, il Piano sostiene come la capacità produttiva industriale e agricola non sia più, al giorno d’oggi, il metro di giudizio su cui è possibile determinare la capacità, da parte di una grande città, di essere motore dell’economia globale ma come, al contrario, i valori di riferimento siano divenuti l’innovazione, la conoscenza, la capacità di inserirsi nel libero mercato mondiale; si spiega come, per adattarsi a questi nuovi parametri, le grandi città abbiano necessariamente dovuto modificare le proprie dinamiche di funzionamento, trasformandosi in “città globali, la cui capacità produttiva e di leadership è funzione della loro massa, fatta di popolazione, attività economiche e intellettuali, servizi alla impresa e alla persona in stretti rapporti fisici e funzionali tra loro”.[14] Il modello di riferimento, secondo il PTCP, deve essere quello sviluppatosi nelle regioni del centro Europa, in cui la risposta al declino del modello di città tradizionale si è concretizzata [14] Ivi, p. 3 40 Il PTCP di Milano nella valorizzazione della struttura policentrica territoriale, impostando i cardini del sistema sulla sinergica connessione dei centri urbani, potenziando le infrastrutture a rete, utilizzando in maniera intelligente e cosciente il territorio, tenendo come punto fermo il rispetto nei confronti dell’ambiente. Questa spinta al policentrismo è avvenuta come reazione rispetto agli effetti fortemente negativi causati dall’eccessiva concentrazione nelle aree metropolitane, e ha comportato la riconferma della struttura storica del territorio contro l’espansione indifferenziata delle città-metropoli. Le peculiarità dell’area milanese, quelle che tuttora le consentono di mantenere una posizione di grande rilievo a livello europeo, ossia la sua posizione geografica strategica, i collegamenti, le capacità produttive e innovative nonché lo stretto legame con il proprio territorio, sono le basi che, opportunamente messe in gioco all’interno di una visione sistematica, garantiscono, secondo il Piano di Coordinamento, le potenzialità per riattivare i processi di crescita e sviluppo dell’intera Regione urbana alla luce della nuova impostazione policentrica. “La visione del PTCP per la Provincia di Milano,” – si legge – “come motore della Regione urbana milanese, è quella di un grande sistema territoriale unitario, articolato e policentrico, costituito da insediamenti urbani collegati da una fitta trama infrastrutturale, multimediale e multidirezionale, e tenuti insieme da un tessuto continuo di spazi verdi. L’obiettivo da perseguire è quello di una città del terzo millennio (estesa, aperta, continua, reticolare, urbana e rurale, attraversata da flussi materiali e immateriali), inevitabilmente molto diversa - per forma, dimensioni, caratteristiche - da quella storica (chiusa, municipale, introversa), ma con la medesima capacità di essere il terreno di coltura in cui cresce e si manifesta la nostra civiltà e, in ultima analisi, prospera la nostra economia, fondata – oggi, ancor più che in passato - sull’innovazione dei prodotti e dei processi e sullo scambio delle merci e delle informazioni”.[15] [15] Ivi, p. 4 41 Il PTCP di Milano In merito alla creazione di un sistema policentrico alla scala provinciale, il PTCP adotta un sistema che prevede, alla base, l’articolazione dei Comuni in tre categorie: la Città Centrale, l’ambito esterno ad essa e i 13 Poli Attrattori. La Città Centrale comprende, oltre a Milano, i Comuni di Assago, Baranzate, Bresso, Buccinasco, Cernusco sul Naviglio, Cesano Boscone, Cinisello Balsamo, Cologno Monzese, Cormano, Corsico, Cusano Milanino, Novate Milanese, Opera, Pero, Peschiera Borromeo, Pioltello, Rozzano, San Donato Milanese, San Giuliano Milanese, Segrate, Sesto San Giovanni, Settimo Milanese, Trezzano sul Naviglio, Vimodrone. I 13 Poli Attrattori sono indicati dal Rapporto “Elementi per la definizione delle polarità”, svolto nel 2010 dal Centro Studi PIM in collaborazione con gli architetti Lisciandra e Fazzini,[16] sulla base di due tipologie di indicatori: quelli quantitativi, relativi alla presenza di nodi infrastrutturali del trasporto pubblico su ferro, all’attrattività per gli spostamenti sistematici e alla dotazione di servizi d’eccellenza, di beni storico-monumentali, di esercizi commerciali di vicinato, di strutture ricettive; quelli qualitativi, relativi a caratteri ambientali e socio-economici. I 13 Poli così selezionati sono: Abbiategrasso, Binasco, Cassano d’Adda, Trezzo d’Adda, Vaprio d’Adda, Castano Primo, Gorgonzola, Melzo, Legnano, Magenta, Melegnano, Paullo, Rho. Alla luce di questa strutturazione del territorio, le azioni previste dal Piano sono finalizzate a: incrementare i servizi nei poli intermedi ben connessi alla Città Centrale e ai centri urbani contigui; potenziare e rendere più efficienti le infrastrutture lungo le linee del ferro con la conseguente riduzione dei tempi di viaggio; valorizzare l’interconnessione locale tra i diversi poli; aumentare l’attrattività della residenza nei poli esterni sfruttando una maggiore qualità urbana in relazione alle specificità storiche e paesaggistiche; qualificare le aree verdi intercluse tra i poli e ridurre le conurbazioni lungo le direttrici principali al fine di favorire la riconoscibilità dei singoli centri urbani. [16] Centro Studi PIM, Rapporto per la definizione delle polarità, 2010 42 La Città Centrale e i Poli Attrattori come strategia territoriale della Provincia di Milano (vedere allegato) Il PTCP di Milano 43 Il problema del consumo di suolo 2_IL PROBLEMA DEL CONSUMO DI SUOLO 2.1_Consumo di suolo, la situazione attuale e le cause L’area milanese è uno dei territori con la più alta densità abitativa in Europa. Per capire in che proporzioni questo dato sia cresciuto negli ultimi decenni basti considerare che, solo nel quinquennio dal 1999 al 2004, l’aumento registrato sia stato pari al 5%.[1] In seguito a questo incremento, e di pari passo con le dinamiche precedentemente descritte, [2] con particolare riferimento all’esplosione dei centri urbani e alla configurazione di una città diffusa, il territorio ha subito un deciso processo di snaturamento. Il rapporto di equilibrio tra nuclei urbani densamente costruiti e ben delimitati, e campagna circostante, intensamente coltivata e a essi legata da relazioni commerciali, si è andato progressivamente sbilanciando. Dalla seconda metà del XX secolo, in particolare, il cemento ha preso il sopravvento sul paesaggio rurale, dilagando nella pianura. [3] Oggi la vita sociale si è spostata dal centro cittadino, che una storia diversa, più “lenta”, aveva designato come punto di riferimento, luogo cruciale per la vita e le relazioni delle persone, agli asettici e mastodontici centri commerciali, non luoghi per antonomasia, ingombrante alternativa al piccolo commercio tradizionale.[4] “Eh no, non so perché, perché continuano a costruire le case e non lasciano l’erba”, cantava un celebre milanese a metà degli anni ’60, [5] affrontando, con questo semplice, fanciullesco interrogativo, un problema che proprio in quel periodo iniziava [1] Cfr. Provincia di Milano, Consumo di suolo. Atlante della Provincia di Milano, Quaderno n. 28, Collana Quaderni del Piano territoriale, 2009, p. 15 [2] Vedi capitolo 1.1 [3] Cfr. Provincia di Milano, Consumo di suolo. Atlante della Provincia di Milano, op. cit., p. 15 [4] Per la definizione di nonluoghi vedi: Marc Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Eleuthera, 1993 [5] A. Celentano, Il ragazzo della via Gluck, Etichetta Clan Celentano, 1966 45 Il problema del consumo di suolo a manifestarsi in modo evidente. La situazione attuale ci ripropone con forza quella domanda. Oggi il territorio milanese si presenta disseminato di villette, grandi condomini, uffici e capannoni. Molti di questi edifici, siano essi nuovi o fatiscenti, in città o nei piccoli comuni, sono inutilizzati o versano in stato di abbandono. Ciononostante, si continua a costruire. Questa contraddizione invita a riflettere sulla natura del fenomeno, su come il proliferare di cantieri non rappresenti la logica risposta a reali esigenze abitative o ad imprescindibili quanto ben delineati sviluppi urbani, bensì piuttosto si configuri come il risultato di una serie di negligenze da parte dell’amministrazione pubblica, poco lungimirante o ancor peggio, come recenti vicende giudiziarie confermano, profondamente collusa, la quale ha più volte rinunciato al principio della buona amministrazione in cambio di tornaconti più o meno personali, prestando il fianco ai desiderata dei poteri forti del settore immobiliare.[6] Il fenomeno, inoltre, è conseguenza diretta della situazione attuale, dominata da una società consumistica e senza punti di riferimento, smarrita e distratta da un luccichio che sembra averle fatto perdere di vista le tradizionali dinamiche che, nei secoli, hanno regolato il suo rapporto con il territorio. Al di là delle contingenze specifiche, infatti, la trasformazione dei suoli è solo la più vistosa ricaduta territoriale del nostro modello di sviluppo, cioè una declinazione particolare della nostra società dei consumi, fin qui basatasi sulla fiducia nella crescita indefinita, idea che presuppone l’illimitata disponibilità delle risorse. Da tempo questa idea mostra la corda. Continuando a prevalere in economia il modello di sviluppo impostato sul consumo, e, data la centralità dell’economia nel nostro sistema sociale, la nostra filosofia di vita e le nostre linee di condotta finiscono concretamente per essere condizionate da logiche consumistiche. È lecito chiedersi, vigendo [6] A titolo di esempio, si riporta un articolo che stila la lista aggiornata dei membri del Consiglio Regionale della Lombardia attualmente sottoposti ad inchieste giudiziarie: Lombardia, da inizio legislatura 14 indagati al Pirellone, 10 Ottobre 2012, «AGI» (http://www.agi.it/dalla-redazione/notizie/201210101849cro-rt10288-lombardia_da_inizio_ legislatura_14_indagati_al_pirellone) 47 Il problema del consumo di suolo tali logiche, perché mai dovrebbe il suolo non essere consumato al pari di ogni altra cosa? […] Nelle società avanzate contemporanee l’accesso al consumo, favorito dal crescente potere d’acquisto, è divenuto non solo sempre più facile, ma venendo meno certi retaggi pauperistici e remore indotte dall’arcaico modello contadino (per il quale conservare è un valore e consumare solo una necessità), è divenuto pratica sempre più disinibita, disinvolta, pervasiva, socialmente preponderante. […] La raggiunta capacità di trasformazione dell’ambiente operata dalla moderna tecnica e industria hanno messo le società occidentali in grado di realizzare un modello di sviluppo che ha assicurato sino ad oggi il godimento di uno standard di vita privilegiato e dissipatore di risorse, possibile perché riservato ad una minoranza della popolazione mondiale.[7] Nella pagina precedente: Grattacielo abbandonato, zona Garibaldi In alto: A Garibaldi si continua a costruire [7] V. Algarotti, Presentazione in Consumo di suolo. Atlante della Provincia di Milano, op. cit., p. 7 48 Il problema del consumo di suolo Non si vuole, in questa sede, effettuare un’analisi della società contemporanea dal punto di vista morale e sociologico, né tantomeno propugnare un’inversione del suo modello evolutivo, quanto piuttosto puntare l’attenzione sullo stato di fatto del territorio, e specificamente sui danni prettamente ambientali che queste tendenze provocano su di esso. Il progressivo abbandono dell’attività agricola, rimasta in gran parte legata a vecchi schemi e da molti erroneamente associata ad uno “status” sociale inferiore, è forse una della cause maggiori dell’impoverimento naturalistico e della cementificazione dell’area milanese e lombarda. Il presidio contadino dei campi e delle aziende agricole, infatti, rappresentava un elemento di garanzia, in grado di mantenere in salute la terra e i paesaggi di questa pianura, garantendo la produttività dei terreni e fungendo così da dissuasore rispetto a logiche di occupazione e frazionamento diffuso del territorio. Attualmente, le criticità del settore agricolo sono da ricercare nella condizione di precarietà in cui la maggior parte degli agricoltori si trova. In particolare, nella provincia di Milano, questa situazione è dovuta da una parte alla prevalenza degli affittuari rispetto ai proprietari, dall’altra alle situazioni di marginalità territoriale in cui si trovano molte superfici coltivate. Entrambi questi fattori, infatti, sottraendo all’agricoltore gli stimoli necessari per investire, lo rendono più vulnerabile rispetto alla spinta di soggetti alla ricerca di operazioni speculative.[8] La Lombardia, una delle regioni che presenta la maggior percentuale di infrastrutture e superfici edificate d’Europa, con la sua efficienza celebrata a ogni piè sospinto e la sua straripante ricchezza, presenta un’allarmante penuria di suolo libero, fondamentale per la biodiversità e la produzione agricola. Questa condizione è frutto di una duplice manchevolezza: da una parte non si è stati in grado di sviluppare, in tempo utile, efficaci politiche di prevenzione rispetto al dilagante fenomeno del consumo di suolo; dall’altra la normativa si è rivelata carente nell’individuazione degli strumenti per la tutela [8] Cfr. Stella Agostini, La voce degli attori: il sistema agricolo, in Provincia di Milano, Il fattore territorio nel sistema economico milanese. Elementi per uno scenario metropolitano al 2020, Dicembre 2008, p. 34 49 Il problema del consumo di suolo e la salvaguardia dei grandi sistemi ambientali, adoperando strategie tuttora difficili da trasportare dal piano teorico e quello attuativo. Attualmente, come illustrano i dati del 2009, si è arrivati a cementificare il 35% del territorio provinciale milanese, raggiungendo il 42% con la realizzazione dei volumi previsti dai piani vigenti. Strumenti come il PTCP e i PGT di ogni comune sono rivolti, a tal proposito, al mantenimento del consumo di suolo al di sotto del 45% del territorio totale. Studi scientifici, infatti, hanno posto il 55% come soglia limite di sostenibilità: oltre questo valore non è più garantita una rigenerazione ecologica e ambientale della stessa area.[9] E’ singolare notare come, finora, nei metodi per il calcolo del consumo di suolo, siano stati spesso conteggiati i dati riguardanti una serie di opere di trasformazione del territorio, come la riqualificazione urbana e l’arricchimento delle dotazioni territoriali, la compensazione ambientale o la realizzazione di infrastrutture e spazi verdi nei tessuti periurbani di margine tra costruito e rurale, spesso spazi incompiuti e dimenticati, generatori di criticità, come se questi fossero in grado di rigenerarsi autonomamente. E’ quantomeno semplicistico, infatti, credere di riuscire a salvaguardare il territorio semplicemente lasciando liberi dei terreni, aspettando che questi divengano automaticamente portatori e diffusori di qualità naturalistica, richiamando alla mente suggestivi scenari di “terzo paesaggio”.[10] Scelte del genere, al contrario, possono portare solo ad un lento abbandono e al degrado del poco suolo sopravvissuto. Si evince, di conseguenza, la necessità di interventi di gestione e programmazione per tali spazi, prevedendo tanto una rivitalizzazione naturale e commerciale quanto un ripensamento della loro connessione in un disegno più ampio, al fine di sistematizzarli. Le dinamiche territoriali degli ultimi cento anni, segnate dalla [9] Cfr. P. Mezzi, Consumo di suolo e sostenibilità delle trasformazioni, in Consumo di suolo. Atlante della Provincia di Milano, op. cit., p. 5 [10] Cfr. Gilles Clément, Manifesto del Terzo paesaggio, a cura di F. De Pieri, S.l., Quodlibet, 2005 50 Il problema del consumo di suolo delocalizzazione della produzione e dal forte incremento degli spostamenti individuali seguito al boom della motorizzazione privata, hanno portato ad un contrasto tra sviluppo del costruito, del tutto comprensibile per certi versi, e forme dell’urbanizzazione. Non si è riusciti, in particolare, a comprendere appieno la portata che questi cambiamenti implicavano nella gestione del territorio, in particolare in merito al salto di scala necessario per intervenire correttamente in sede di pianificazione e tutela. A livello regionale, si inizia a ragionare e lavorare sul tema del consumo di suolo a seguito delle indicazioni europee enunciate nella Carta di Lipsia, sottoscritta dai ministri europei del territorio nel 2007,[11] in continuità con documenti precedenti quali il Quadro d’A zione per uno Sviluppo Urbano Sostenibile nell’Unione Europea (Vienna, 1998) e lo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (Potsdam, 1999). L’attenzione viene così focalizzata sull’importanza di adottare, in sede di pianificazione e tutela, logiche e strumenti di livello sovracomunale. Sulla scia di queste riflessioni, il Piano Territoriale Regionale riconosce tra i suoi obiettivi tematici la limitazione della dispersione insediativa e la tutela del territorio prossimo alle infrastrutture, annunciando, al contempo, con il “TM2.13 Contenere il consumo di suolo”, la volontà di recuperare i territori degradati e le aree dismesse, razionalizzare, riutilizzare e recuperare le volumetrie disponibili, controllare l’urbanizzazione nei pressi dei grandi assi infrastrutturali, mitigare l’espansione urbana grazie alla creazione di sistemi verdi e alla protezione delle aree periurbane.[12] La legge urbanistica regionale, pur introducendo, tra i propri principi, “la minimizzazione del consumo di suolo”, [13] resta ferma sul piano delle indicazioni, mancando nell’elaborazione di proposte concrete e lasciando l’onere dell’applicazione di [11] Cfr. Unione Europea, Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili, Lipsia, 2007, trad. it. a cura di ANCI IDEALI Fondazione europea delle città [12] Cfr. Regione Lombardia, Documento di Piano in Piano Territoriale Regionale, Luglio 2011, p. 74 [13] Regione Lombardia, Legge per il governo del territorio, LR n. 12 dell’11 marzo 2005, aggiornata al 10/05/2012, art. 8, comma 2 51 Il problema del consumo di suolo questi obiettivi alle amministrazioni comunali, lasciate sole ed in posizione isolata a fungere da argine rispetto alle pressioni del settore immobiliare. Tra le modifiche più significative correlate al tema del consumo di suolo, occorre rilevare la modifica dell’articolo 43, [14] che introduce una maggiorazione del contributo di costruzione per disincentivare la realizzazione di interventi che sottraggano suolo agricolo, nonché l’introduzione della Valutazione Ambientale Strategica.[15] Per arrestare il progressivo consumo di suolo, inoltre, la legge regionale ha introdotto il meccanismo della perequazione. Lo strumento, con l’intento di salvaguardare e non compromettere ulteriore territorio, consente di “trasportare” su un altro sito, anch’esso edificabile, le cubature previste nel terreno quindi lasciato libero.[16] Sebbene questo sistema risponda, come detto, ad un problema urgente, e seppure il concetto sia certamente interessante, occorre sottolineare come questo procedimento di tutela si presti molto bene ad utilizzi inappropriati, finendo troppo spesso col diventare un’arma a doppio taglio. E’ facile, infatti, e di conseguenza frequente, che si finisca per addizionare questi indici “virtuali” ad altri siti edificabili, senza tener conto tanto dell’inadeguatezza nel raggiungimento di volumetrie così eccessive, quanto dell’improbabile impatto visivo e dell’inserimento di questi edifici “dopati” all’interno di contesti consolidati. Appare corretto, inoltre, considerare anche le diverse localizzazioni degli stessi terreni. Solo in questo modo è possibile perfezionare in maniera corretta il concetto di perequazione, permettendo a pianificatori e costruttori di accumulare indici costruttivi, effettivi e virtuali, solo laddove una densificazione dell’edificato sia consentita dalla presenza di servizi, funzioni ed infrastrutture adeguati, e soprattutto laddove l’individuazione delle aree risponda direttamente ad uno studio approfondito delle dinamiche di sviluppo alla scala territoriale, piuttosto che da scelte amministrative troppo spesso legate ad innescare [14] Cfr. Ivi, art. 43, comma 2 bis [15] Cfr. Ivi, art. 4 [16] Cfr. Ivi, art. 11 52 Il problema del consumo di suolo meccanismi di rendita fondiaria. A livello provinciale, occorre segnalare come le misure previste dal Piano Territoriale di Coordinamento per contenere il consumo di suolo riguardino la densificazione della forma urbana, il recupero delle aree dismesse o degradate, il completamento prioritario delle aree libere intercluse e in genere di quelle comprese nel tessuto urbano consolidato e la compattazione della forma urbana con la ridefinizione dei margini. La localizzazione dell’eventuale espansione deve avvenire in adiacenza al tessuto urbano consolidato esistente e su aree di minor valore agricolo e ambientale escludendo, nei limiti del possibile, i processi di saldatura tra diversi centri edificati nonché gli insediamenti lineari lungo le infrastrutture. Lo sviluppo del costruito, legato a determinati meccanismi di contingentamento, dovrà seguire principalmente le maggiori linee di forza del trasporto pubblico, concentrandosi in prossimità dei Comuni individuati come Poli Attrattori. Lo stesso discorso vale per la localizzazione delle grandi strutture di vendita. I dati che restano esclusi dal conteggio per il calcolo del consumo di suolo sono relativi sia agli interventi realizzati all’interno di contesti urbani consolidati, sia a quelli pubblici di interesse generale nonché agli insediamenti di livello sovracomunale. Bisogna rilevare come, sebbene nel corso del processo di adeguamento del PTCP del 2003 fosse stata individuata una soglia massima per il consumo di suolo pari al 45% (come viene esplicitamente ricordato nel Quaderno n. 28 sul Consumo di Suolo),[17] la quale avrebbe rappresentato un’importante e positiva novità in Italia, di tale indicazione non risulti traccia nella versione definitiva del Piano. In generale, è possibile riscontare una visione miope, se non ipocrita, da parte di chi, cavalcando le pur corrette teorie “neoriformiste”, considera, in nome del conseguimento di un minore consumo di suolo, la densificazione urbana come una [17] Cfr. Provincia di Milano, Consumo di suolo. Atlante della Provincia di Milano, op. cit., p. 27 53 Il problema del consumo di suolo sorta di panacea, unico mezzo possibile per riottenere “città compatte” e contrastare la diffusione dell’urbanizzazione, legittimando indici dei volumi edificabili incredibilmente elevati. La densificazione può risultare utile, infatti, laddove non si sovrappongano altri problemi dovuti a dinamiche più complesse, come i flussi congestionati di città consolidate e già sufficientemente dense rispetto ai servizi presenti e agli standard urbanistici, il più delle volte non adeguati al raggiungimento di una consona qualità della vita. Lo scetticismo su questo tema deriva anche dalla constatazione che il neoriformismo non sia l’unica soluzione possibile per lo sviluppo delle nuove città, e che ci siano invece altre teorie alternative all’attuale modello urbano, talune che addirittura ne destrutturano la forma, promuovendo l’idea di comunità o più semplicemente l’importanza della libertà del singolo, in particolare delle sue possibilità di modificare direttamente il suo contesto attraverso l’esaltazione della creatività.[18] In ogni caso, come ricorda Antonello Boatti, bisogna intervenire su molteplici livelli. Non è possibile, infatti, immaginare una soluzione limitata al livello comunale. Solo una pianificazione territoriale di scala metropolitana può consentire una ponderata distribuzione dei carichi insediativi, considerati in relazione al sistema della mobilità e a quello della produzione, ed ottenere quindi una reale riduzione del “consumo di suolo”.[19] Per questo motivo occorre delineare con precisione cosa si intenda nel parlare di “consumo di suolo”, e a cosa, invece, ci si riferisca quando se ne riscontra un utilizzo inappropriato. Un problema gravissimo è sicuramente la cementificazione che, come detto in precedenza, ha raggiunto dei livelli insostenibili e sta realmente compromettendo la naturale essenza e produttività del territorio. Questo è indubbiamente una questione da anteporre a qualsivoglia discorso economico. Non si tratta, infatti, della sopravvivenza della terra stessa, che ha un nucleo ben più profondo del livello superficiale che [18] Cfr. C. Bianchetti, Abitare la città contemporanea, Milano, Skira, 2003 [19] Cfr. A. Boatti, Urbanistica a Milano, Milano, Città Studi Edizioni, 2007, pp. 129-130 54 Il problema del consumo di suolo andiamo a compromettere, bensì della conservazione della nostra specie. Le dinamiche attuali, infatti, stanno distruggendo l’ambiente in cui gli esseri viventi abitano, eliminando la vegetazione che fornisce aria ai loro polmoni e la terra che produce gli alimenti primari per il loro sostentamento, oltre alla poesia con cui questi territori alimentano l’anima degli uomini, elevandoli e differenziandoli dalle altre specie viventi. Isaac Cordal, Street Art 55 ...a oggi il Consumo di Suolo ha raggiunto quasi il 40% della superficie totale (vedere allegato) Il problema del consumo di suolo 56 Il problema del consumo di suolo 2.2_Il sistema infrastrutturale Il problema del consumo di suolo è particolarmente connesso con la questione infrastrutturale. Attualmente, in Lombardia, sono previste (o già in fase di realizzazione) tre grandi opere infrastrutturali con l’obiettivo di risolvere, almeno in parte, i problemi di mobilità dell’area. Ci si riferisce all’Autostrada Pedemontana Lombarda, alla Brebemi e alla Tangenziale Est Esterna Milanese (TEM). I cantieri di queste opere -vale la pena ricordarlo- rischiano attualmente di essere bloccati, laddove i lavori sono già iniziati, o di non partire nemmeno, negli altri casi, a causa delle difficoltà economiche delle società coinvolte e della Provincia di Milano.[20] Si tratta di opere viabilistiche di livello regionale, che incidono fortemente sul territorio. Oltre a provocare un nuovo consumo di suolo, occupandolo fisicamente e cementificando per la costruzione dell’opera stessa, le infrastrutture agiscono in modo più profondo sul territorio, provocandone un’alterazione. Esse, infatti, non incidono sul consumo di suolo esclusivamente con il tracciato effettivamente edificato bensì anche con le strutture di “completamento”, quali svincoli, centri commerciali e industrie. Inoltre danneggiano fortemente il territorio, frazionando e compromettendo alcune aree, riducendo gli spazi per attività agricole che necessitano di grandi superfici e pregiudicando i sistemi insediativi, con particolare riferimento a quelli residenziali vicini al tracciato. L’impatto è reso ancora più accentuato se consideriamo che “una porzione vastissima del territorio nazionale è paesaggio agrario, segnato da una millenaria civiltà contadina, che si intreccia in modo inestricabile con la cultura delle élite: il paesaggio plasmato dalla vanga è lo stesso che fu rappresentato dai pittori ed esaltato nel Grand Tour”. [21] Gli svincoli stradali, poi, sono [20] Per un ulteriore approfondimento sull’argomento, si rimanda a: Luca Pagni, Rischio crac per le autostrade lombarde, «La Repubblica», 3 Dicembre 2012 (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/12/03/ rischio-crac-per-le-autostrade-lombarde.html?ref=search) [21] S. Settis, Repubblica», 26 DDL sull’agricoltura. Paesaggio in pericolo, «La Ottobre 2012 (http://ricerca.repubblica.it/ repubblica/ 57 Il problema del consumo di suolo ulteriori cicatrici nel territorio che, in mancanza di adeguate misure di compensazione, compromettono in maniera assoluta il suolo, rendendolo inagibile per qualsiasi attività. A questo proposito, le indicazioni europee contenute nella Carta di Lipsia, sottoscritta dai ministri europei del territorio nel maggio 2007, sottolineano la necessità di una maggiore interazione tra architettura, pianificazione infrastrutturale e urbanistica, alla scopo di migliorare la qualità degli spazi pubblici, raggiungendo uno standard elevato in termini di ambiente di vita.[22] L’introduzione dell’obbligo di compensazione ambientale in merito alle infrastrutture strategiche è stata determinata, in Italia, dalla legge numero 443 del 2001, [23] mentre un successivo decreto ne ha precisato le modalità. In particolare, si stabiliva un tetto massimo di spesa, per gli interventi di mitigazione e compensazione ambientale, pari al 5% del costo totale dell’opera.[24] Il Codice dei Contratti Pubblici, approvato in seguito mediante il decreto legge 163 del 12 Aprile 2006, ha ridotto al 2% la percentuale massima da destinare alle opere compensative e mitigatrici dell’impatto ambientale.[25] Analizzando i dati di spesa dell’Autostrada Pedemontana Lombarda è possibile riscontrare come, nel caso di questa grande infrastruttura, il cui progetto preliminare risale al marzo 2006, [26] la percentuale utilizzata per realizzare le necessarie archivio/repubblica/2012/10/26/ddl-sullagricoltura-paesaggio-in-pericolo. html?ref=search) [22] Cfr. Unione Europea, Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili, op. cit. [23] Cfr. Legge n. 443 del 21 Dicembre 2001, Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive [24] Cfr. Decreto Legislativo n. 190 del 20 Agosto 2002, Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale [25] Cfr. Decreto Legislativo n. 163 del 12 Aprile 2006, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Direttive 2004/17/ CE e 2004/18/CE, art. 165, comma 3 [26] Prima, quindi, dell’approvazione del D.L. 163/2006 58 Il problema del consumo di suolo opere di mitigazione e compensazione ambientale sia stata pari al 3% del budget complessivo.[27] Proprio a proposito delle grandi infrastrutture, bisogna rilevare come, nel Maggio 2008, la Regione Lombardia abbia approvato la Legge “Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale”. Lo scopo di questa normativa è duplice: da una parte si intende velocizzare l’iter procedurale per la realizzazione delle infrastrutture strategiche, in particolare la Pedemontana, la Brebemi e la Tangenziale Est Esterna Milanese; dall’altra, si dichiara l’intenzione di valorizzare le aree attigue ai tracciati, al fine di ammortizzare più facilmente gli investimenti. In sostanza, si tratta di un meccanismo che avvantaggia il costruttore permettendogli di localizzare insediamenti a complemento dell’infrastruttura stessa.[28] “Si tratta dell’ennesima disputa fra attenzioni all’ambiente, e necessità di sviluppo del territorio, dalla quale uscirebbe rafforzato il fenomeno degli outlet, dei cinema multisala, dei centri commerciali e logistici”. [29] Si specifica, in ogni caso, l’obbligo che tali interventi, “qualora implichino l’estensione dell’area oggetto della concessione, siano compensati da adeguate e proporzionate opere e misure mitigatrici dell’impatto ambientale, territoriale e sociale”[30] Attualmente, presso la Commissione Territorio della Regione Lombardia, è allo studio il progetto di legge 146 bis, con l’intento di modificare la legge regionale 9 del 2001, recante disposizioni in materia di “Programmazione e sviluppo della rete viaria di interesse regionale”. Nello specifico, si interviene [27] La percentuale è stata ottenuta incrociando i dati relativi al costo totale dell’opera reperibili sul sito ufficiale di Autostrada Pedemontana Lombarda. Costo totale dell’opera pari a 5 miliardi di euro, di cui 4,1 destinati alla costruzione dell’infrastruttura vera e propria. 150 milioni sono stati destinati alla realizzazione di opere di compensazione e mitigazione. (http://www.pedemontana.com/news_view.php?id=158) e (http://www. pedemontana.com/compensazioni_ ambientali.php) [28] Cfr. Regione Lombardia, Legge Regionale numero 15 del 26 Maggio 2008, Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale [29] Provincia di Milano, Consumo di suolo. Atlante della Provincia di Milano, op. cit., p. 26 [30] Cfr. Regione Lombardia, Legge Regionale numero 15 del 26 Maggio 2008, Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale, art. 10, comma 3 59 Il problema del consumo di suolo L’iter normativo in merito alle infrastrutture sulla normativa precedente aggiungendo alcune modifiche. In particolare, si consente, “favorendo il tal senso il concessionario di autostrada regionale, che affronta onerosi investimenti per la realizzazione dell’opera […] che siano considerati parte integrante della stessa gli interventi i cui margini operativi di gestione possono contribuire all’abbattimento del costo dell’esposizione finanziaria dell’iniziativa complessiva”.[31] In sostanza, si rendono edificabili i terreni in prossimità dei tracciati viari, con lo scopo di consentire ai costruttori di [31] Cfr. Regione Lombardia, Progetto di Legge n. 146 bis, presentato il 12 Aprile 2012, Modifiche alla legge regionale 4 maggio 2001 n. 9 ‘Programmazione e sviluppo della rete viaria di interesse regionale’ – Ampliamento dei contenuti della concessione di autostrada regionale e costo delle opere e misure compensative, su iniziativa del Presidente della Giunta Regionale 60 Il problema del consumo di suolo rientrare dei propri investimenti. Bisogna specificare come di solito, per le opere infrastrutturali, il costruttore agisca in project financing, ammortizzando cioè il costo dell’investimento mediante gli incassi legati alla gestione successiva dell’opera. Questo comporta una valutazione preventiva della domanda di traffico, in virtù del fatto che il piano di rientro è fondato sul pagamento del pedaggio. “Rendere edificabili le aree limitrofe per rientrare del capitale impiegato significa, invece, scogliere questo nesso, con il rischio di ritrovarci autostrade che portano direttamente a centri commerciali o, al contrario, di costruire infrastrutture ogni volta che si voglia valorizzare in termini immobiliari un territorio”.[32] Non si tratterebbe più, quindi, di calcolare la domanda di traffico esistente ma di crearla. Il progetto di legge, inoltre, fissa al 5% la percentuale massima del costo totale dell’opera da destinare alle opere compensative e mitigatrici dell’impatto ambientale. Ci si trova, quindi, in sostanziale controtendenza rispetto al resto dell’Europa, in cui questa percentuale si colloca solitamente all’8%.[33] Infine, l’articolo 19 bis stabilisce che “tale percentuale è determinata in relazione al valore ambientale del territorio, alla tipologia dell’opera e in misura inversamente proporzionale all’intero costo dell’opera”.[34] Si pone nettamente in secondo piano, quindi, la questione ambientale, incentivando i costruttori a realizzare opere di impatto sempre più devastante per il territorio. [32] C. Pracchi, Consumo di suolo, La Lombardia discute una legge. Per costruire di più, «Il Fatto Quotidiano», 2 Ottobre 2012 (http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/02/leuropa-contro-consumo-di-suoloma-in-lombardia-pronta-legge-per-costruire-di-piu/370676/) [33] Cfr. C. Pracchi, Consumo di suolo, La Lombardia discute una legge. Per costruire di più, art. cit. [34] Cfr. Regione Lombardia, Progetto di Legge n. 146 bis, presentato il 12 Aprile 2012, cit., art. 19 bis, comma 2 61 Il problema del consumo di suolo Volantino di un comitato di protesta contro la TEM 62 ...e Nuove Infrastrutture potrebbero comprometterlo ulteriormente (vedere allegato) Il problema del consumo di suolo 63 Il problema del consumo di suolo 2.3_Verso una soluzione normativa Il tema del contenimento del consumo di suolo e della valorizzazione delle aree agricole è stato affrontato, di recente, dall’esecutivo presieduto da Mario Monti. Il Governo, infatti, ha approvato un disegno di legge quadro presentato dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con gli altri Ministeri competenti, “in materia di valorizzazione delle aree agricole e del contenimento del consumo di suolo”.[35] Il Governo riconosce la gravità della situazione attuale e, al fine di contenere la “febbre del cemento” di calviniana memoria,[36] elabora alcune significative modifiche nella normativa in merito a questa materia. In particolare, il ddl introduce alcune misure puntuali ed uno strumento di portata generale. Per quanto riguarda le prime, si introduce il divieto di cambiare la destinazione d’uso dei terreni agricoli che hanno usufruito di aiuti statali o comunitari, introducendo rilevanti sanzioni in caso di trasgressione.[37] Si attribuisce priorità, nella concessione di eventuali finanziamenti statali o europei, ai comuni che abbiano intrapreso un processo di recupero dei propri nuclei abitati rurali.[38] Si istituisce un registro degli enti locali più virtuosi in relazione al contenimento del consumo di suolo agricolo.[39] Si abroga,[40] infine, la normativa che autorizzava i comuni ad adoperare una parte delle entrate relative agli oneri di urbanizzazione per il finanziamento della spesa pubblica. L’ultimo punto, in particolare, merita attenzione. Questo meccanismo, infatti, se da una parte accontentava i cittadini diminuendo l’importo delle tasse, dall’altra azionava delle [35] Cfr. Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo, approvato il 14 Settembre 2012 [36] Cfr. Italo Calvino, La speculazione edilizia, Milano, Mondadori, 2000 [37] Cfr. Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo, approvato il 14 Settembre 2012, art. 3 [38] Cfr. Ivi, Art. 4 [39] Cfr. Ivi, Art. 5 [40] Cfr. Ivi, Art. 6 64 Il problema del consumo di suolo dinamiche che finivano inevitabilmente per avvantaggiare le imprese coinvolte nelle lottizzazioni. Il comune, in pratica, non avendo a disposizione i fondi per realizzare i servizi necessari alle nuove edificazioni, si trovava costretto a delegare le opere di urbanizzazione primaria e secondaria alle imprese stesse, concedendo loro in cambio premi in termini di superfici edificabili.[41] Allo stesso tempo, d’altra parte, con gli attuali tagli agli enti locali previsti dalla cosiddetta spending review,[42] è lecito prevedere come i comuni, non potendo utilizzare gli introiti derivanti dagli oneri di urbanizzazione, finiscano per essere più vulnerabili alle pressioni del settore immobiliare. La novità più rilevante, però, riguarda indubbiamente lo strumento di pianificazione generale. Il disegno di legge attribuisce allo Stato il compito di determinare, con cadenza decennale, “l’estensione massima di superficie agricola edificabile sul territorio nazionale”. [43] Per ottenere questo dato, il Governo istituisce un Comitato al quale viene richiesta la presentazione di un rapporto annuale relativo al consumo di suolo agricolo a livello nazionale oltre alla rilevazione dei cambi di destinazione d’uso dei terreni. [44] Si tiene conto, in definitiva, del terreno agricolo disponibile, di quello già edificato, degli immobili inutilizzati, nonché della domanda di case e infrastrutture, quantificando in questo modo la superficie agricola edificabile nazionale. Questa estensione massima viene successivamente ripartita tra le Regioni, le quali devono provvedere a suddividerla tra i comuni, tenendo conto della popolazione residente. Occorre rilevare, innanzitutto, come, malgrado il disegno [41] Cfr. R. Lungarella, Uno stop al consumo di suolo, «Il Fatto Quotidiano», 14 Ottobre 2012 (http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/14/stop-al-consumodi-suolo/381990) [42] Decreto Legge n. 95 del 6 Luglio 2012, convertito in Legge, con modificazioni, dalla Legge n. 135 del 7 Agosto 2012, Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini [43] Cfr. Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo, approvato il 14 Settembre 2012, art. 2, comma 1 [44] Cfr. Ivi, Art. 2, comma 5 65 Il problema del consumo di suolo di legge manifesti nelle intenzioni la volontà condivisibile di valorizzare le aree agricole e limitare il consumo di suolo, nella pratica rischi di non arrestare l’avanzata dello stesso, aprendo scenari anche peggiori di quelli attuali. Innanzitutto, come suggerito da Lungarella, una misura utile potrebbe essere quella di prevedere l’ attuazione totale dei piani vigenti come condizione necessaria all’aggiunta di nuove aree edificabili (nel caso della Provincia di Milano il PTCP fissa tale soglia all’80%).[45] “In questo caso” – sostiene – “anche le aree già trasformate in edificabili dal PRG, sfuggirebbero alla dissennata cementificazione finché non vi fossero reali bisogni da soddisfare e non fosse possibile farlo in altro modo”.[46] Si potrebbe anche pensare di istituire un organismo di controllo, di livello regionale o provinciale/metropolitano, incaricato di revisionare i piani regolatori dei singoli comuni, per consentire, laddove si riscontrassero delle previsioni errate, una ridestinazione d’uso delle aree non ancora edificate. Il professor Settis riscontra come, già nell’articolo 1, si cada nell’errore di definire come terreni agricoli “quelli che sono qualificati tali in base a strumenti urbanistici vigenti”,[47] legittimando in tal modo […] piani regolatori comunali spesso revisionati al ribasso per rendere edificabili le aree agricole. La norma identifica la causa del guasto ma anziché sgominarla la consolida assecondando le decisioni di ogni Comune, come se non sapessimo che il maggior nemico del paesaggio non è più l’abusivismo, bensì una forma più cinica di devastazione, che segmenta all’infinito le norme subdelegando ai Comuni decisioni essenziali, e in tal modo rende “legittima” ogni nefandezza, anche contro la Costituzione.[48] Nella pagina seguente: “La natura abbandonata”, zona Crescenzago [45] Cfr. R. Lungarella, Uno stop al consumo di suolo, art. cit. [46] Ibidem [47] Cfr. Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo, approvato il 14 Settembre 2012, art. 1, comma 2 [48] S. Settis, DDL sull’agricoltura. Paesaggio in pericolo, art. cit. 66 cimiano-crescenzago 067.jpg Il problema del consumo di suolo Le novità maggiori, tuttavia, sono relative all’articolo 2, [49] che si colloca, coerentemente, sulla scia della proposta di modifica al Titolo V della Costituzione, manifestando la volontà, da parte del Governo, di riportare alla competenza dello Stato alcune materie finora delegate agli enti locali.[50] A proposito dell’articolo, bisogna rilevare come il meccanismo “a cascata”[51] di assegnazione delle superfici edificabili susciti perplessità, ammesso che sussista la reale necessità di aumentare la superficie edificabile del paese. Di certo, comporta una netta diminuzione delle competenze relative alle Regioni e ai Comuni in ambito di pianificazione territoriale. Nello specifico, il procedimento di ripartizione delle superfici appare macchinoso. Con l’attuale proposta, infatti, ogni Comune riceverà una quota di aree agricole edificabili, a prescindere dall’effettiva necessità delle stesse. In questo modo da una parte anche i comuni più virtuosi riceveranno l’invito a consumare terreno agricolo, dall’altra quelli peggiori continueranno a sprecare suolo. In conclusione, malgrado il disegno di legge si presenti come uno strumento in grado di porre un deciso freno alla cementificazione ed al consumo di suolo agricolo, il dispositivo della legge procede in un altro senso. Innanzitutto non si riscontra, nei fatti, alcun progetto di valorizzazione delle aree agricole. Si rileva, d’altra parte, un meccanismo - quello di assegnazione delle superfici edificabili - farraginoso e foriero di conflittualità tra territori e organi istituzionali. Nel contempo occorre rilevare come da una parte, sebbene in modo discutibile, si tenti di disincentivare il consumo di suolo, dall’altra, sullo stesso fronte, si stiano velocizzando e semplificando gli iter delle procedure edilizie.[52] Nella pagina precedente: L’area industriale di Musocco Nella pagina seguente: Rudere lungo la Martesana [49] Cfr. Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo, approvato il 14 Settembre 2012, art. 2 [50] Cfr. Disegno di Legge Costituzionale, Disposizioni di revisione della Costituzione e altre disposizioni costituzionali in materia di autonomia regionale, comunicato alla Presidenza il 15 Ottobre 2012 [51] S. Settis, DDL sull’agricoltura. Paesaggio in pericolo, art. cit. [52] Cfr. Disegno di Legge in materia di infrastrutture, trasporti, edilizia e territorio, approvato dal Consiglio dei Ministri n. 52 del 30 Ottobre 2012 69 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio 3. SISTEMI AMBIENTALI AGRICOLI E GRANDI PARCHI, RESTAURO DEL TERRITORIO 3.1_Valore del verde e sistema dei parchi nell’area milanese Chi non può soddisfare quotidianamente le proprie esigenze è disposto a percorrere in ferie centinaia di chilometri pur di raggiungere un luogo ameno o un casolare di campagna per accertarsi di una qualsivoglia sopravvivenza, come se questa fosse il simbolo eloquente della propria, come se si trattasse di coltivare una riserva mentale, un’eventuale via di scampo, un luogo comunque dove andare a toccare con mano, a verificare, a riscoprire le esigenze più vere e profonde del vivere semplice. Per questo oggi i beni culturali ed ambientali: paesaggi, natura, centri storici minori, tradizioni antropiche sono divenuti, nel degrado crescente, beni preziosi sul mercato del “riequilibrio” e del recupero delle risorse. Forse ancora per questo oggi, come sempre, c’è una tendenza a costruire nelle zone rurali, dove tra l’altro la vita costa meno e il clima è più salutare, ma l’agricoltura non c’entra più. A popolare la campagna è più il bisogno di sentirsi di tanto in tanto in un rinnovato rapporto con l’ambiente naturale, che una scelta di vita alternativa. Nella partita della vita, la natura continua ad essere concepita come un giocatore in panchina, da fare entrare in campo solo se ve ne è bisogno.[1] Articolo 135 comma 1 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio: Le regioni assicurano che il paesaggio sia adeguatamente tutelato e valorizzato. A tal fine sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio, approvando piani paesaggistici ovvero piani urbanisticoterritoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti l’intero territorio regionale, entrambi di seguito denominati «piani paesaggistici».[2] [1] A. Sichenze, Il limite e la città, Franco Angeli, Milano, 1995, p.286 [2] Decreto Legislativo n. 42 del 22 Gennaio 2004, Codice dei beni culturali e 71 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio La Convenzione Europea del Paesaggio, adottata dal Consiglio d’Europa nel 2000, definisce, con il termine paesaggio, “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. [3] L’interesse è rivolto alle aree urbane come alle campagne, ai paesaggi eccezionali come agli scenari della vita quotidiana, così anche ai territori degradati. La crescente attenzione, in ambito internazionale, verso una maggiore qualità dei luoghi della vita e del lavoro ha riportato in auge, negli ultimi decenni, il tema del paesaggio. Quest’ultimo è stato riconosciuto come un bene insostituibile, da tutelare e valorizzare per preservare la storia e l’identità culturale del territorio. Rudere lungo la Martesana del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 [3] Consiglio d’Europa, Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze, 20 Ottobre 2000, ratificata dall’Italia con Decreto Legislativo n. 42 del 22 Gennaio 2004 recante il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio 72 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio Nel caso della Lombardia, le prime politiche regionali finalizzate alla tutela e alla salvaguardia del territorio risalgono all’inizio degli anni ’70, sebbene il tema della creazione di un sistema ecologico, di livello locale e metropolitano, fosse stato introdotto già nel decennio precedente, con l’esperienza dei Piani Intercomunali Milanesi. Il primo lavoro di censimento delle iniziative e di raccolta delle proposte di tutela viene svolto dalla “Commissione speciale di studio e ricerca sui Parchi Regionali della Lombardia”, istituita nel 1972 dal Consiglio Regionale Lombardo. Questa, dopo aver collaborato con le Province, gli enti e le associazioni ambientaliste, consegna, nel 1973, la proposta di un “sistema di verde” di livello regionale. Con la legge regionale 58, nello stesso anno, la Regione Lombardia si impegna ad approvare, entro dodici mesi, un “piano generale delle riserve e dei parchi di interesse regionale”. [4] Meno di un mese dopo, la LR 2/74 [5] definisce le norme generali di salvaguardia e le procedure di pianificazione da adottare per le aree che verranno inserite nel piano[6] ed istituisce il primo parco regionale, il Parco Lombardo della Valle del Ticino. Con l’istituzione, nei due anni seguenti, del Parco Nord Milano (1975) e del Parco delle Groane (1976), si porranno concretamente le basi per la realizzazione del sistema ecologico previsto per l’area metropolitana. Nel 1983, con la legge quadro numero 86,[7] la Regione Lombardia individua un sistema costituito da 23 parchi, istituendone tre: i parchi regionali Adda Nord, Adda Sud e Valle del Lambro si aggiungono così a quelli già istituiti nel corso degli anni ’70 (Ticino, Groane, Nord Milano, Colli di Bergamo e Monte Barro). [4] Regione Lombardia, L.R. 58/73, Istituzione delle riserve naturali e protezione della flora spontanea, abrogata dall’art. 42 della L.R. 30 novembre 1983, n. 86 [5] confluita successivamente nella L.R. 86/83, cit. [6] approvato solo nel 1983 [7] Regione Lombardia, L.R. 86/83, Piano generale delle aree regionali protette. Norme per l’istituzione e la gestione delle riserve, dei parchi e dei monumenti naturali nonché delle aree di particolare rilevanza naturale e ambientale 73 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio Con la legge 24 del 1990, [8] infine, viene istituito il parco regionale di cintura metropolitana denominato “Parco Agricolo Sud Milano”. Le sue finalità, “in considerazione della prevalente vocazione agro-silvo-colturale del territorio a confine con la maggior area metropolitana della Lombardia”, riguardano la tutela e il recupero paesistico e ambientale delle fasce di collegamento tra città e campagna, la connessione delle aree esterne con i sistemi di verde urbano, l’equilibrio ecologico dell’area metropolitana, la salvaguardia, la qualificazione e il potenziamento delle attività agro-silvo-colturali, nonché la fruizione colturale e ricreativa dell’ambiente da parte dei cittadini.[9] I parchi regionali vengono classificati in “fluviali”, “forestali” e “agricoli”, in base alla loro finalità e alla specifica connotazione territoriale. Le prime due tipologie fanno riferimento a meccanismi prevalentemente di tutela, mentre ai parchi agricoli viene demandato un ruolo attivo nella riqualificazione del paesaggio. I parchi regionali, che occupano il 22% del territorio lombardo, si attestano al 43% nel caso specifico della Provincia di Milano. [10] Sempre nello stesso ambito provinciale, è possibile riscontrare come la presenza di aree attrezzate per la fruizione aumenti avvicinandosi al centro dell’area metropolitana milanese, raggiungendo l’apice nel Parco Nord Milano, che si configura come grande parco urbano territoriale. Il mosaico ecologico lombardo, per gran parte costituito dal sistema dei parchi regionali, è integrato dai Parchi Locali di Interesse Sovracomunale (PLIS), dalle riserve regionali e dai monumenti naturali, in ordine decrescente di importanza territoriale. L’istituzione dei PLIS viene prevista nell’ambito della già citata legge regionale 86 del 1983, con cui si approvava il Piano generale delle aree regionali protette. La procedura relativa all’istituzione dei PLIS prevede, nell’ordine, [8] Regione Lombardia, L.R. 24/90, Istituzione del parco regionale di cintura metropolitana “Parco Agricolo Sud Milano” [9] Cfr. Ivi, art. 2 [10] Cfr. Centro Studi PIM, Il paesaggio, la natura, la città. Le aree verdi nella configurazione del territorio metropolitano, 2005, p. 51 74 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio la perimetrazione del territorio ad opera dei Comuni interessati, sulla base di analisi ed approfondimenti dettagliati dell’area in questione, e il successivo riconoscimento ufficiale da parte della Provincia. Sebbene le prime esperienze di PLIS fossero nate con un intento di tutela e salvaguardia di ambiti paesaggistici particolari come corsi d’acqua minori (PLIS del Molgora), aree boschive (PLIS del Rio Vallone) o ambiti significativi nella storia agraria del territorio (PLIS del Roccolo), l’istituzione dei Parchi Locali è stata finalizzata maggiormente, in seguito, alla difesa e alla valorizzazione di aree agricole interstiziali, “in particolare laddove lo spazio libero si connota come residuale di un processo di urbanizzazione diffusivo ed esteso”. [11] Attualmente i PLIS rappresentano circa il 5% del territorio provinciale milanese.[12] L’attenzione alle politiche ambientali, come detto, è cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi anni, incidendo, quindi, in maniera sempre più marcata sulla pianificazione territoriale. Occorre considerare, innanzitutto, come a livello regionale, già a partire dal 2001, viga il Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR), che costituisce un’apposita sezione del Piano Territoriale Regionale (PTR). Il PTPR si occupa di individuare gli ambiti territoriali regionali da sottoporre a tutela, definendo per essi diversi livelli di salvaguardia, con l’obiettivo di disciplinare e valorizzare il patrimonio paesaggistico dell’intero territorio lombardo. La creazione di un sistema continuo di aree verdi finalizzato al mantenimento della biodiversità, al miglioramento della qualità della vita e all’equilibrio ecologico del territorio metropolitano, era già stata riscontrata come una necessità alla fine degli anni ’90. In particolare, occorre ricordare l’importante lavoro svolto in quegli anni, sul tema delle reti ecologiche, dalle province di Milano e Pavia, con il contributo di Sergio Malcevschi.[13] [11] Relazione generale in Provincia di Milano, Adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale alla LR 12/05, Adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7 giugno 2012, p. 21 [12] Cfr. Legambiente Lombardia Onlus-Regione Lombardia, Dossier PLIS aggiornato al 2010, 2010 [13] Professore di Ecologia Applicata presso l’Università di Pavia 75 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio L’iter normativo in merito ai parchi regionali Questa collaborazione porterà, nel 1998, alla prima proposta di Rete Ecologica Provinciale (REP), vale a dire un sistema articolato e reticolare, strutturato sulla gerarchizzazione dei vari elementi costitutivi e finalizzato alla creazione di un disegno unitario. La REP così delineata è composta da: matrici naturali primarie, ossia aree naturali di sufficiente estensione che possano fungere da serbatoi di biodiversità; fasce di appoggio alla matrice naturale primaria, ossia zone “buffer”, di contatto tra aree naturali e territorio antropizzato; linee di permeabilità ecologica lungo i corsi d’acqua; gangli primari e secondari della rete ecologica, ossia unità che possono diventare rispettivamente caposaldo ecosistemico o punto d’appoggio intermedio ai corridoi primari; corridoi ecologici primari e secondari, per consentire uno sviluppo 76 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio ininterrotto della rete, collegando tra di loro gli elementi primari e raccordando a essi i gangli secondari; varchi ecologici, la cui chiusura comprometterebbe la funzionalità dell’intero sistema; zone extraurbane su cui attivare progetti di consolidamento ecologico; zone periurbane su cui attivare politiche polivalenti di riassetto fruitivo ed ecologico, vale a dire le fasce di margine tra il sistema insediativo e quello rurale. [14] Le finalità della Rete Ecologica Provinciale sono in linea con quelle della Direttiva “Habitat” del Consiglio d’Europa, che si propone l’obiettivo di “contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo”, e di costituire “una rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione, denominata Natura 2000”. [15] La stessa Direttiva individua, inoltre, i Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e le Zone di Protezione Speciale (ZPS), definendoli “quali porzioni di territorio in uno stato di conservazione soddisfacente, che concorrono in modo significativo a mantenere o a ripristinare, nelle regioni biogeografiche di appartenenza, habitat naturali e specie animali e vegetali minacciati, contribuendo al mantenimento della diversità biologica”.[16] La REP così strutturata viene introdotta, per la prima volta, nel 2003, dal Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Milano. Essa comprende i parchi nazionali e regionali, i PLIS, i SIC e le ZPS. Uno specifico approfondimento della Rete Ecologica Provinciale è costituito dal progetto delle Grandi Dorsali Territoriali. La Dorsale Verde Nord, in particolare, si propone l’obiettivo di mantenere una continuità territoriale ed ecologica nell’area settentrionale della provincia, attraverso la riqualificazione ecologica delle aree non edificate comprese [14] Cfr. S. Malcevschi, La rete ecologica della provincia di Milano, Quaderni del Piano Territoriale n. 4, Milano, Franco Angeli, 1999, p. 73 [15] Consiglio d’Europa, Direttiva del 21 maggio 1992, Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, recepita in Italia dal D.P.R. 357/97 [16] Relazione generale in Provincia di Milano, Adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale alla LR 12/05, Adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7 giugno 2012, p. 21 77 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio tra i due fiumi Adda e Ticino. “Il principale obiettivo del progetto Dorsale Verde Nord è la conservazione della natura, con particolare riferimento al mantenimento ed incremento della biodiversità, ma è anche un elemento ordinatore del territorio altamente urbanizzato del Nord Milano”. [17] Insieme alle dorsali dei fiumi Lambro ed Olona, la Dorsale Nord costituisce l’ossatura della Rete Ecologica Provinciale. “Le dorsali Est, Nord e Ovest diventano elementi ordinatori del territorio e di gestione del paesaggio in trasformazione, vere e proprie dorsali a sostegno di una nuova struttura territoriale e matrici ambientali e insediative del territorio caratterizzanti i paesaggi del loro intorno”.[18] In alto: La Dorsale Verde Nord Milano, Provincia di Milano Nella pagina seguente: Mosaico delle aree protette della Provincia di Milano, Centro Studi PIM [17] Provincia di Milano, La Dorsale Verde Nord (http://www.provincia.mi.it/ pianificazione_territoriale/paesaggio_ ambiente/rete_ecologica/Dorsale_ verde_nord.html), consultato l’ultima volta il 30 Novembre 2012 [18] Relazione generale in Provincia di Milano, Adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale alla LR 12/05, Adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7 giugno 2012, p. 37 78 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio Il lavoro delle province sul tema della pianificazione e della gestione delle reti ecologiche viene recepito ed elaborato, a livello regionale, solo dopo un decennio. Nel 2009, infatti, la Regione Lombardia inserisce nel PTR il progetto di Rete Ecologica Regionale (RER), con l’intento di armonizzare e sistematizzare le indicazioni emerse dalle varie Reti Ecologiche Provinciali. L’intento è quello di creare un quadro generale per le pianificazioni di livello sub-regionale, al fine di impostare una rete ecologica che, in un meccanismo “a cascata”, parta dalle disposizioni regionali definendosi verso uno schema di Rete Ecologica Locale. La RER viene considerata tra le infrastrutture prioritarie e strategiche per la Lombardia. I suoi elementi costitutivi sono: i gangli primari, cioè i nodi su cui impostare i sistemi di relazione spaziale all’interno del disegno di rete; i varchi, identificabili con i principali restringimenti interni agli elementi della rete oppure con la presenza di infrastrutture lineari all’interno degli elementi stessi; i corridoi primari, vale a dire gli elementi fondamentali per favorire la connessione ecologica tra aree della rete e per consentire la diffusione spaziale di specie animali e vegetali.[19] Con le reti ecologiche si cerca di trattare il tema della tutela del territorio in modo sistemico e integrato, superando la tradizionale logica “settoriale” che, come rileva Magnaghi, affrontava i problemi ambientali “riproducendo un doppio regime di pianificazione: quello delle aree protette dove si conserva la natura,quello dei centri storici dove si conserva la memoria degli umani e il resto del territorio (la maggior parte) che è sottoposto alle regole dello sviluppo economico”.[20] La Regione Lombardia, inoltre, si propone di superare l’approccio meramente vincolistico mediante interventi economici diretti volti alla realizzazione di sistemi verdi regionali funzionali all’implemento della RER. Nel 2009, a tal proposito, la [19] Cfr. Regione Lombardia, D.G.R. n. 8/8515 del 26/11/2008, Modalità per l’attuazione della Rete Ecologica Regionale in raccordo con la programmazione territoriale degli enti locali [20] A. Magnaghi, Dalla città metropolitana alla (bio)regione urbana, in A. Marson (a cura di), Il Progetto di Territorio nella Città Metropolitana, p.100 80 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio Lombardia ha approvato interventi di investimento riguardanti il Patrimonio Forestale Regionale che ricadono nelle aree protette e nelle riserve naturali.[21] Tuttavia, sebbene il sistema delle reti ecologiche si configuri come un significativo passo in avanti verso una progettazione territoriale adeguata alla salvaguardia e alla valorizzazione ambientale di livello sovracomunale, si ha l’impressione che questo strumento perda “consistenza” a livello comunale. All’intento di creare una rete ecologica che parta dal livello regionale per definirsi verso uno schema di rete locale, si contrappone l’attuale difficoltà a compiere l’ultimo passaggio. Il caso del capoluogo, in particolare, evidenzia come il comune si presenti piuttosto come un freno, un elemento impenetrabile, limitandosi a recepire le indicazioni della RER e della REP, senza elaborarle in modo altrettanto organico alla scala locale. Oggi, dopo poco più di un quarto di secolo dall’entrata in vigore della legge regionale quadro in materia di aree protette, il sistema lombardo annovera la presenza di 24 parchi regionali (distinti tra fluviali, montani, di cintura metropolitana, agricoli e forestali), 78 parchi di interesse sovracomunale, 65 riserve naturali e 29 monumenti naturali. Più recentemente, come si è visto, a queste aree protette si sono aggiunti 193 Siti di Interesse Comunitario (SIC) e 66 Zone di Protezione Speciale (ZPS), che costituiscono la rete Natura 2000, istituita dalla Regione Lombardia in collaborazione con l’Unione europea. Questo sistema consente di sottoporre a regime di tutela il 30% del territorio lombardo.[22] Questi risultati positivi, tuttavia, non si mostrano ugualmente soddisfacenti se analizzati da un punto di vista interno ai sistemi urbanizzati. Pur riconoscendo l’importanza di questi strumenti di salvaguardia del territorio, bisogna ravvisare come essi si indirizzino perlopiù laddove la [21] Regione Lombardia-ERSAF, Delibera n. VIII/010415, 28/10/2009, Programma di interventi di investimento nel Patrimonio Forestale Regionale ricadente in aree protette e nelle Riserve Naturali gestite da ERSAF [22] Cfr. Regione Lombardia, Sistemi Verdi e Paesaggio (http://www.sistemiverdi. regione.lombardia.it/cs/Satellite?c= Redazionale_P&childpagename=DG_Am biente%2FDetail&cid=1213304178737&packedargs=NoSlotForSitePlan%3D true%26menu-to-render%3D1213293110507&pagename =DG_QAWrapper) consultato l’ultima volta il 08/12/2012 81 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio natura è già “protagonista”, limitandosi a contrastare la continua minaccia della cementificazione, mentre raramente propongono soluzioni efficaci nelle aree in cui il costruito e i sistemi naturali sono già arrivati a condizioni di forte criticità ossia, il più delle volte, nelle aree periferiche e quindi meno controllate da parte delle amministrazioni. A causa di questo scarso “contatto” con i centri urbani, gran parte della cittadinanza non viene messa nella condizione di percepire realmente questi importanti lavori di scala territoriale. Nella pagina precedente: La Rete Ecologica Provinciale, Provincia di Milano, tratto dal PTCP (2012) In alto: Carta dei Parchi, Riserve e Monumenti Naturali, Regione Lombardia Nella pagina seguente: Chiusa del Fiume Lambro, zona Cascina Gobba 83 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio 3.2_Valore del verde agricolo In effetti città e campagne non si separano mai come l’acqua e l’olio: nel medesimo istante c’è separazione e riavvicinamento, divisione e riunione. […] Fino a tempi molto recenti ogni città doveva avere il suo cibo alle sue stesse porte, a portata di mano. […] La campagna, infatti, deve sostenere la città, se questa non vuole temere ad ogni istante una carestia: il grande commercio può alimentarla solo eccezionalmente e parzialmente.[23] La discussione intorno al tema della salvaguardia e dello sviluppo del settore agricolo è resa quanto mai attuale, in sede internazionale, dall’emergenza rappresentata dalla world food crisis (crisi agricola mondiale). L’aumento della popolazione mondiale previsto dalla FAO (dagli attuali 6,8 miliardi a 9,1 miliardi nel 2050), unito all’incremento dei redditi, provocherà una forte crescita nella domanda di beni alimentari. In particolare, si stima che la produzione cerealicola mondiale, attualmente pari a 2,1 miliardi di tonnellate annui, debba raggiungere i 3 miliardi di tonnellate entro il 2050, aumentando quindi del 43%.[24] Secondo Lester Brown, presidente dell’Earth Policy Institute di Washington, stiamo entrando in una nuova era, caratterizzata dall’incremento dei prezzi del cibo e dalla crescita della fame nel mondo. Le riserve alimentari si stanno assottigliano ovunque e il suolo sta diventando la merce più ricercata mentre il mondo è in fase di transizione: si passa da un’epoca di abbondanza di cibo ad una di carestia.[25] [23] F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo. Le strutture del quotidiano (secoli XV-XVIII), Einaudi, Torino 1982; tit. orig. Civilisation matérielle, économie et capitalisme (XVe- XVIIIe siècle). Les structures du quotidien: le possible et l’impossible, Paris, 1979 [24] Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, 2050: Un terzo di bocche in più da sfamare (http://www.fao.org/news/story/it/ item/35571/icode) [25] Cfr. J. Vidal, UN warns of looming worldwide food crisis in 2013, «The Guardian» (http://www.guardian.co.uk/global-development/2012/oct/14/unglobal-food-crisis-warning) 85 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio Paesaggio agricolo Parallelamente, si assiste, negli ultimi decenni, ad una progressiva anticipazione dell’Earth Overshoot Day (EOD), ossia il giorno in cui l’uomo esaurisce le risorse rinnovabili disponibili per l’anno intero ed inizia, quindi, ad attingere alle riserve di risorse locali. Basti rilevare come questo giorno, che nel 1992 cadeva il 21 ottobre, nel 2012 sia stato il 22 Agosto.[26] Oggi, in Italia, il settore agricolo è giunto quasi al capolinea di un processo di impoverimento che va avanti da alcuni decenni. La popolazione rurale dipendente dall’agricoltura sul territorio nazionale è passata dal 70% degli anni Sessanta al 10% del 2009, [27] mentre la superficie agricola utilizzata (SAU) sull’intero territorio nazionale, che nel 1971 ammontava a quasi 18 milioni [26] Cfr. Global Footprint Network (http://www.footprintnetwork.org/ it/index. php/gfn/page/earth_overshoot_day) [27] Cfr. V. Erba et. al., Guida alla pianificazione territoriale sostenibile. Strumenti e tecniche di agroecologia, Santarcangelo di Romagna, Maggioli Editore, 2010, p. 51 86 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio di ettari, nel 2010 si attestava a poco meno di 13 milioni, registrando una riduzione percentuale del 28% (pari a circa 5 milioni di ettari). In sostanza, l’agricoltura italiana ha visto sparire, nel giro di quarant’anni, una superficie equivalente a Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna messe insieme. Il dato appare ancora più allarmante se analizzato nel dettaglio: a scomparire sono prevalentemente i seminativi e i prati permanenti, ovvero i due ambiti principali da cui provengono i prodotti basilari per l’alimentazione nazionale: pane, pasta, riso, verdure, carne e latte. Una delle conseguenze principali di questa situazione, inoltre, consiste nell’impossibilità, per l’Italia, di provvedere autonomamente al proprio approvvigionamento. Attualmente, secondo una stima del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, l’Itala produce circa l’80-85% delle risorse alimentari necessarie a coprire il fabbisogno dei propri abitanti: la produzione nazionale, quindi, è sufficiente ad alimentare appena tre italiani su quattro. Con i suoi 49 milioni di ettari, inoltre, l’Italia si classifica al terzo posto in Europa (e al quinto nel mondo) per quanto riguarda il deficit di suolo agricolo. [28] In altre parole, per soddisfare il fabbisogno della propria popolazione, l’Italia avrebbe bisogno di 61 milioni di ettari di SAU, mentre attualmente ne ha a disposizione solo 12. Questa situazione pone il Paese in una posizione di forte dipendenza dall’estero per quanto riguarda il soddisfacimento della domanda di beni alimentari. [29] Con l’erosione dei territori, inoltre, l’agricoltura tradizionale ha lasciato il posto a quella intensiva, creando delle anomalie nello sviluppo del territorio. Se da una parte, infatti, sono in molti, tra gli imprenditori agricoli, ad abbandonare la terra, altri ancora ampliano la dimensione delle proprie aziende, rimuovendo siepi e filari alberati per agevolare il passaggio dei mezzi agricoli, generando una [28] Il deficit di suolo agricolo è un indicatore messo a punto dal Sustainable Europe Research Institute (SERI) di Vienna che rileva la differenza tra il terreno agricolo utilizzato su scala nazionale (la SAU) e quello necessario a produrre il cibo, i prodotti tessili e i biocarburanti che la popolazione consuma [29] Cfr. Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione, 2012, p. 7 87 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio banalizzazione del paesaggio.[30] Occorre sottolineare, inoltre, come l’introduzione, negli ultimi decenni, di nuove e più efficienti tecniche nel processo produttivo agricolo, abbia generato un duplice risultato. Da una parte, indubbiamente, si è ottenuto un innalzamento della produttività: basti pensare come, negli anni ’50, un ettaro coltivato a frumento producesse circa 1,4 tonnellate, mentre le tecniche attuali consentono di ottenerne quasi 4. Dall’altra, parallelamente, l’eccessivo “stress” a cui i terreni sono stati sottoposti ne ha determinato la “saturazione”. Carciofi, sede “Interni” in via Ventura [30] Cfr. V. Erba et. al., Guida alla pianificazione territoriale sostenibile. Strumenti e tecniche di agroecologia, op. cit. 88 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio In sostanza, si è giunti al punto in cui all’applicazione di maggiori quantità di tecnologie non corrisponde più un incremento del rendimento della terra. [31] D’altra parte, già nel 2000, la Regione Lombardia rilevava come una delle cause principali del processo di impoverimento del territorio fosse “la trasformazione del modello colturale agricolo e forestale da estensivo ad intensivo che determina inquinamento, eccessivo apporto di nutrienti (eutrofizzazione) e semplificazione degli ambienti con perdita dei piccoli habitat”.[32] La situazione appena delineata evidenzia, al contempo, l’insostenibilità del modello di sviluppo attuale e l’importanza di un recupero e di una valorizzazione del settore agricolo. All’agricoltura va riconosciuto un molteplice ruolo: da una parte, storicamente, essa ha svolto una funzione di presidio nei confronti del territorio, contribuendo alla conservazione e razionalizzazione delle risorse idriche e del suolo, al mantenimento della biodiversità, oltre che, ovviamente, alla produzione di beni alimentari; d’altra parte, la forma del paesaggio agrario è sempre stata un documento attendibile, una cartina di tornasole rispetto alle forme della società e della produzione; l’agricoltura, infine, è sempre riuscita a giocare un ruolo attivo nella costruzione del paesaggio, ponendosi come elemento generatore e ordinatore di virtuose dinamiche territoriali. Proprio in virtù di questa “trasversalità”, l’agricoltura è stata riconosciuta come uno strumento importante anche in sede di pianificazione territoriale. Alcuni studiosi hanno introdotto, a questo proposito, il neologismo Agroecologia, con riferimento alla necessità, da parte del pianificatore, di considerare congiuntamente agricoltura ed ecologia nell’affrontare le questioni connesse allo sviluppo insediativo. Si tratta di superare una visione puramente vincolistica delle politiche ambientali, legata al concetto di conservazione e restauro, [31] Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione, 2012, p. 6 [32] Regione Lombardia, D.G.R. n. 6/49509 del 7 Aprile 2000, Approvazione delle linee generali di assetto del territorio lombardo ai sensi dell’art. 3, comma 39, della legge regionale 5 gennaio 2000 n. 1, p. 15 89 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio facendo del paesaggio un soggetto attivo che, sfruttando le proprie peculiarità e potenzialità, valorizzi il territorio in maniera propositiva, proponendone un utilizzo alternativo e sostenibile.[33] “Un’azienda agricola” –sottolinea Erba- “non è soltanto produzione di reddito, ma anche di paesaggio, di biodiversità, di patrimonio storico-architettonico e rurale: l’azienda agricola fa parte di un sistema rurale che ha caratteristiche strutturali, ambientali e produttive che vanno riconosciute e tutelate”.[34] Paesaggio agricolo [33] Cfr. V. Erba et. al., Guida alla pianificazione territoriale sostenibile. Strumenti e tecniche di agroecologia, op. cit., pp.9,11 [34] Ivi, p. 11 90 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio Campi agricoli periurbani, zona Crescenzago Attualmente, i fattori che incidono sulla perdita di superficie agricola possono essere ricondotti a due fenomeni strettamente connessi: l’abbandono della terra da parte degli agricoltori e l’avanzamento delle aree urbanizzate. Da una parte il sempre minore rendimento delle attività produttive rende l’agricoltura incapace di competere sul libero mercato: se si considera, infatti, che da un ettaro seminato a cereali un agricoltore può ottenere oggi una rendita netta di circa 600-700 euro all’anno, mentre utilizzando lo stesso ettaro di terreno per l’installazione di un impianto fotovoltaico a terra la rendita può arrivare a 4000 euro annui, è facile comprendere le ragioni della rapida trasformazione dell’uso del suolo.[35] E’ necessario, quindi, che [35] Cfr. FAI-WWF, Terra rubata. Viaggio nell’Italia che scompare, 2012, p. 42 91 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio siano le istituzioni, in prima persona, ad adottare delle misure a sostegno dei redditi delle imprese agricole. In tal senso occorre interpretare, quindi, l’adozione, da parte della Lombardia, di un Programma quinquennale di Sviluppo Rurale (PSR). [36] Nel più ampio quadro della Politica Agricola Comune (PAC), dettata dalla Comunità Europea, la Regione ha attivato il PSR con lo scopo principale di fornire una serie di finanziamenti economici a supporto delle aziende agricole. Nel 2008, tuttavia, Beltrami faceva notare come la provincia di Milano fosse l’unica in tutta la Lombardia ad aver eliminato l’accezione di “territorio rurale” sostituendola con “Polo Urbano” e “Pianura Urbana”: questa differente denominazione si traduceva, in concreto, in una perdita di finanziamenti: con questa caratterizzazione, infatti, le misure dell’asse 3 del Programma di Sviluppo Rurale 20072013 non possono venire attivate.[37] D’altra parte, come detto in precedenza, [38] nel caso dell’area milanese la prevalenza degli affittuari rispetto ai proprietari e le situazioni di marginalità territoriale in cui molte superfici coltivate si trovano, sottraggono all’agricoltore gli stimoli necessari per intervenire, rendendolo vulnerabile rispetto alle pressioni della speculazione immobiliare. Proprio l’area metropolitana milanese, con il “paesaggio della città sparpagliata, risultato di una serie di spinte più che da un processo di sviluppo equilibrato”,[39] rappresenta un caso [36] PSR 2007-2013: approvato per la prima volta dalla Commissione europea il 16 ottobre 2007 con Decisione n. 4663 è stato successivamente adeguato in coerenza alle mutate esigenze del settore agricolo e secondo le priorità dettate dalla riforma della Politica Agricola Comune 2009 (Health Check) e dalla strategia europea anticrisi (European Economic Recovery Plan) con Decisione n. 10347 del 17 dicembre 2009. La somma a disposizione della Lombardia è pari a 1025 milioni di euro. Di questa cifra 471 milioni sono fondi comunitari e 554 milioni sono fondi statali e regionali (http://www.agricoltura. regione.lombardia.it) [37] E. C. Beltrami in V. Erba et. al., Guida alla pianificazione territoriale sostenibile. Strumenti e tecniche di agroecologia, op. cit., p. 66 [38] Vedi Capitolo 2.1 [39] R. Camagni, Per una teoria e una politica di sostenibilità urbana, Politecnico di Milano, 2008, in V. Erba et. al., Guida alla pianificazione territoriale sostenibile. Strumenti e tecniche di agroecologia, op. cit., p. 67 92 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio emblematico in tal senso. E’ il mosaico di paesaggi della megalopoli, risultato della fusione fra aree metropolitane, […], dove la città si spalma sul territorio fino a fondersi in agglomerazioni indistinte che si infittiscono, si diradano o si attestano nella campagna secondo una logica di espansione tutta interna ai flussi economici ed alle reti infrastrutturali di supporto, una successione disordinata di lottizzazioni residenziali, case isolate, capannoni, discariche, svincoli stradali, servizi pubblici e centri commerciali raggiungibili solo in auto.[40] In questo contesto, mentre l’urbanizzato avanza, le aree agricole diventano sempre più periurbane, finendo relegate in contesti difficilmente riqualificabili, fino a trasformarsi in vuoti da riempire. Questo avviene, nel caso della Lombardia, quando le condizioni partecipative previste dalla legge regionale in merito ai processi di piano permettano ai proprietari terrieri di esprimere una preferenza di conversione d’uso. L’assenza di specifiche strategie di pianificazione, inoltre, fa sì che i terreni agricoli divengano il contenitore di tutti i peggiori sottoprodotti delle città, come inquinamento, discariche abusive e aree di incontrollata espansione edilizia.[41] “Quando sulle caratteristiche compositive prevalgono quelle localizzative, il suolo è sempre ritenuto potenzialmente edificabile e questa percezione fa perdere irreversibilmente una secolare risorsa di fertilità convertendola in superfici sterili”.[42] Per quanto riguarda l’area milanese, l’agricoltura rappresenta oggi il 2% dell’economia provinciale. La maggior parte delle imprese è collocata nella parte meridionale dell’area metropolitana e si caratterizza per la produzione di pregio, l’elevata produttività e la meccanizzazione. I settori più rilevanti, dal punto di vista economico, sono il lattiero caseario, [40] A. Magnaghi, A. Marson, Un territorio da lupi, in M. C. Gibelli (a cura di), La controriforma urbanistica, Firenze, Alinea Editrice, 2005 [41] Cfr. V. Erba et. al., Guida alla pianificazione territoriale sostenibile. Strumenti e tecniche di agroecologia, op. cit. [42] Ivi, p. 68 93 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio il cerealicolo e il settore della carne, che, insieme, costituiscono circa il 75% della Produzione Lorda Vendibile (PLV) provinciale. Viste le criticità del settore, occorre rilevare come le potenzialità maggiori siano rappresentate dalla possibilità di impostare il settore agricolo come perno di un sistema multifunzionale che punti sull’individuazione di nuovi servizi connessi al comparto agricolo, sulla cura del paesaggio e sull’attenzione per le produzioni di qualità, biologiche, tradizionali e tipiche. In questo senso, è utile rilevare come, secondo la stima del Settore Agricoltura della Provincia di Milano, il sistema della “filiera corta” veda impegnate, ad oggi, 153 aziende agricole che fanno vendita diretta con i prodotti tipici della Provincia, [43] e come si registri un incoraggiante incremento anche per le imprese agricole biologiche. Sono in aumento, inoltre, le aziende che si occupano di agriturismo e quelle che hanno orientato la propria produzione verso fonti energetiche alternative (biomassa).[44] Le imprese agricole risentono direttamente delle trasformazioni delle politiche di governo del territorio e sopravvivono solo se possono continuare a produrre reddito. Un segnale positivo, in tal senso, proviene dal Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Milano che, riconoscendo l’agricoltura quale fondamentale risorsa fisica ed economica da tutelare e valorizzare, dedica particolare attenzione all’individuazione di particolari ambiti agricoli strategici da salvaguardare e valorizzare, sottraendoli alla pianificazione comunale che, agendo secondo la logica dei confini amministrativi, spesso ne determinava una gestione inadeguata. [45] Tuttavia, la bontà dello strumento in questione non cancella le perplessità già espresse in merito al suo effettivo utilizzo.[46] [43] Provincia di Milano, Filiera corta (http://ambiente2.provincia.mi.it/ agricoltura/Cittadino/venditadiretta.php) [44] Cfr. S. Agostini, La voce degli attori: il sistema agricolo in Provincia di Milano, Il fattore territorio nel sistema economico milanese. Elementi per uno scenario metropolitano al 2020, 2008 [45] Cfr. Relazione generale in Provincia di Milano, Adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale alla LR 12/05, Adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7 giugno 2012, p. 37 [46] Si rimanda, a tal proposito, al capitolo 1.2.1 94 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio In sostanza, non è sufficiente arrestare il consumo di suolo per tutelare e salvaguardare il territorio. Occorre, altresì, utilizzare strumenti che partecipino attivamente alla costruzione del paesaggio. A questo proposito, come visto, l’agricoltura si presenta come un insostituibile supporto alle politiche di governo del territorio, valida proprio in virtù della sua multifunzionalità. Nella città dell’informazione l’agricoltura assume un ruolo ben diverso da quello residuale che aveva nella città industriale: assume non solo un ruolo di produzione di beni alimentari di qualità, ma anche di produzione di beni e servizi pubblici in campo idrogeologico, ambientale, di riqualificazione delle reti ecologiche, di produzione energetica, di qualità del paesaggio, di reti corte di produzione e consumo, ecc.. per cui la progettazione multifunzionale degli spazi aperti diviene centrale per la ridefinizione della qualità urbana, dei suoi processi di innovazione e della relazione fra l’abitare urbano e l’uso multifunzionale degli spazi aperti; dunque una trasformazione profonda della percezione e del vissuto materiale dei cittadini rispetto agli spazi rurali, un allargamento geografico degli orizzonti della vita quotidiana.[47] [47] A. Magnaghi, Dalla città metropolitana alla (bio)regione urbana in A. Marson (a cura di), Il progetto di territorio nella città metropolitana, Firenze, Alinea Editrice, 2006, p. 105 95 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio 3.3_PCU e orti urbani Se da una parte, come detto, il paesaggio agrario dell’area metropolitana milanese si presenta frammentario e in pericolo, dall’altra, avvicinandosi a Milano, ci si imbatte in un paesaggio urbano di frangia confuso e in costante trasformazione. Laddove, infatti, i contatti tra le città non sono costituiti da un tessuto urbano continuo, ci si trova in presenza di spazi indefiniti. Sono luoghi del degrado, anche sociale, caratterizzati dalla presenza di attività espulse dalle parti più pregevoli della città, come autodemolitori, depositi, campi nomadi, ecc. E’ appunto a questi ambiti che si rivolge, oggi, l’attenzione della pianificazione di area vasta, nell’ottica di una ridefinizione dei margini urbani e in virtù di una rinnovata funzione dell’agricoltura periurbana. Il territorio di margine della città è infatti chiamato a svolgere un ruolo complementare alle politiche di sviluppo della città stessa, producendo qualità ambientale e paesistica, dotazione necessaria, per una città moderna, al fine di sostenere la competizione alla scala internazionale.[48] Un’indagine svolta dal Centro Studi PIM, relativa alle condizioni del verde nei comuni della prima cintura, ha messo in luce come i grandi parchi territoriali che circondano la città, quali il Parco Nord, il Boscoincittà con il Parco delle Cave, il Parco Lambro con il Forlanini e l’Idroscalo, giochino un ruolo fondamentale e duplice: da una parte, questi ambiti svolgono una funzione di “ponte” tra la realtà urbana e i parchi regionali; dall’altra, gli stessi parchi si propongono come uno strumento di riqualificazione e recupero degli ambiti urbani periferici, creando nuove “centralità ambientali” che esulano dalla logica dei centri commerciali e dei cinema multisala. In ogni caso, il favore di cui questi parchi godono presso la popolazione è tanto elevato quanto differente è la quantità di funzioni che a essi viene richiesta: da aree per il tempo libero e lo sport, ad aree di forte naturalità, da attrezzature per lo spettacolo, a luoghi di ristoro ma anche a luoghi di aggregazione sociale.[49] [48] Cfr. Centro Studi PIM, Il paesaggio, la natura, la città. Le aree verdi nella configurazione del territorio metropolitano, 2005, p. 13 [49] Cfr. Ivi, pp. 60-62 96 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio <Nessun collegamento intersecante> <Nessun collegamento intersecante> 97 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio Nella pagina precedente: “Non un semplice buco...” In alto: Una “microrealtà” “Campeggiatori” a Milano 98 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio Per la gran parte della popolazione metropolitana, infatti, la natura a contatto con la città viene soprattutto percepita e ricercata nei parchi urbani, nei quali gli elementi naturali sono parte preminente della composizione di uno spazio appositamente progettato e costruito, mentre il paesaggio agrario attorno alla città viene apprezzato soprattutto attraverso l’utilizzazione di percorsi quali i grandi sentieri continui lungo il Ticino o lungo l’Adda, le alzaie dei navigli, ecc.[50] Tutto questo presuppone la necessità di creare, tra gli ambiti urbani e gli spazi aperti, collegamenti diretti e privilegiati (piste ciclabili, greenways, trasporto pubblico). E’ necessario, quindi, coordinare le varie iniziative utilizzando, nella stessa sintassi, i grandi parchi territoriali e gli ambiti di frangia urbana. Se le aree di margine della città, a maggior ragione se già comprese in ambiti di parco, vengono intese come il campo di applicazione di quelle politiche del paesaggio individuate dalla Convenzione Europea, esse perdono la connotazione negativa di territori di frangia per acquisire il significato di territorio di contesto delle strutture urbane e di transizione rispetto ai territori agricoli o naturali più lontani.[51] All’inizio degli anni ’80 (1982), lo Schema di Piano Territoriale di Coordinamento Comprensoriale elaborato dal Centro Studi PIM effettua una prima proposta per la realizzazione di una cintura verde di scala metropolitana, riscontrando la necessità di tutelare quelle aree che, per la loro compattezza e continuità, potevano costituire un collegamento tra il verde metropolitano e quello regionale. Lo Schema indicava, a livello planimetrico, le aree da salvaguardare come “cintura verde metropolitana”, con particolare attenzione al settore sud della cintura stessa, per il quale veniva effettuata la proposta di un “parco diffuso” [50] Ivi, p. 14 [51] Ivi, p. 67 99 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio integrato alle aree agricole, il Parco Sud.[52] Si deve attendere il 1990, come detto, per l’effettiva istituzione del Parco Agricolo Sud, mentre risale al 1993 la redazione del Piano Territoriale di Coordinamento (PTC) del Parco stesso. Il PTC, approvato solo nel 2000, [53] individua i cinque Piani di Cintura Urbana (PCU) di Milano, sottoponendo a tutela alcune aree a diretto contatto con il tessuto urbano.[54] In alto: Vista dall’alto del Parco Nord Milano Nella pagina seguente: Piano Territoriale Comprensoriale, Centro Studi PIM, 1982 [52] Cfr. Ivi, pp. 46-47 [53] Regione Lombardia, Deliberazione Giunta Regionale n. 7/818 del 3 Agosto 2000, Approvazione del piano territoriale di coordinamento del Parco regione Agricolo Sud Milano (art. 19, comma 2, l.r. 86/83 e successive modificazioni) [54] Il PCU 1 comprende le aree tra San Siro, Boscoincittà, il Parco di Trenno, il Parco delle Cave e la Tangenziale Ovest. Il PCU 2 comprende il comparto agricolo tra Barona, Chiesa Rossa, Buccinasco, Corsico e Assago, delimitato a nord dai navigli e attraversato dalla Milano-Genova. Il PCU 3 si estende dal naviglio Pavese alla via Emilia, alla tangenziale ovest, è attraversato da via Ripamonti. Al limite est si trova Porto di Mare. Il PCU 4 comprende Parco Forlanini e l’Idroscalo, fino a Peschiera Borromeo. Il PCU 5 comprende le residue aree libere della valle del Lambro, da viale Forlanini fino a Peschiera. 100 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio I piani di cintura urbana […] costituiscono fasce di collegamento tra città e campagna. In tali aree devono essere contemperate le esigenze di salvaguardia, di recupero paesistico e ambientale e di difesa dell’attività agricola produttiva, con la realizzazione di interventi legati alla fruizione di parco quali aree a verde, attrezzature sociali e ricreative, impianti sportivi e funzioni di interesse generale.[55] Ogni PCU è costituito da due parti: lo schema strutturale e il progetto di paesaggio. Lo schema strutturale si configura come un piano urbanistico, regolando l’uso del suolo, delineando il sistema delle infrastrutture, regolando nel dettaglio elementi e parti strategiche e individuando le aree destinate ad attività agricola. Lo schema strutturale è costituito da: ambiti territoriali, connessioni, idrografia, insediamenti, accessi ed infrastrutture. Il progetto di paesaggio, dall’altra parte, si basa su alcune azioni fondamentali: ricostruzione della trama del territorio agricolo; accrescimento delle aree di naturalità; tutela degli insediamenti di antica formazione; affermazione del paesaggio agrario come matrice dei progetti di trasformazione del territorio; uso delle nuove infrastrutture o potenziamento di quelle esistenti come elementi nuovi e coerenti del paesaggio; ricomposizione e adeguamento al paesaggio dei margini urbani; riduzione degli elementi di degrado del paesaggio. Il progetto di paesaggio è costituito da: componenti di paesaggio areali, componenti di paesaggio lineari, insediamenti e punti di visuale del paesaggio. Oltre allo schema strutturale e al progetto di paesaggio, inoltre, sono previsti alcuni ambiti soggetti a progetti speciali con finalità anche molto differenti (ambiti territoriali, connessioni, insediamenti, accessi e infrastrutture). Un’apposita tavola riferita ai cinque PCU regola, caso per caso, mediante Schede programmatiche (non prescrittive), tali elementi di progetto. L’intenzione, quindi, è quella di fare dei PCU cinque grandi parchi metropolitani, con l’82% del [55] Regione Lombardia, Deliberazione Giunta Regionale n. 7/818 del 3 Agosto 2000, Approvazione del piano territoriale di coordinamento del Parco regione Agricolo Sud Milano (art. 19, comma 2, l.r. 86/83 e successive modificazioni), art.26, comma 1 102 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio territorio complessivo destinato a verde (agricolo, naturalistico, parchi pubblici e parchi agricoli). Sono previsti, inoltre, ambiti destinati ad accogliere gli impianti per la fruizione “intensiva” (circa l’8% della superficie complessiva dei PCU) e ambiti di trasformazione urbanistica, che dovrebbero generare le risorse per l’attuazione della parte pubblica e del paesaggio (8,15% della superficie totale dei PCU).[56] “Si tratta” –in sostanza- “di individuare un nuovo paesaggio dove le diverse attività presenti sono chiamate a riqualificare e valorizzare l’ambiente in modo propositivo, facendo leva sulle radici storiche ma superando le non più attuali posizioni basate su un rigido schema di conservazione/restauro”.[57] L’istituzione dei Piani di Cintura Urbana, dunque, si presenta come uno strumento destinato a coniugare e “sincronizzare” tra loro i temi dello sviluppo urbano e della salvaguardia territoriale. Nel quadro descritto, l’istituzione dei Parchi Locali di Interesse Sovracomunale (PLIS) potrebbe rappresentare uno strumento adeguato per completare la “cintura verde” di Milano, sottoponendo a regime di aree protette una parte del territorio densamente urbanizzato nella parte settentrionale della città. La tutela e il governo di un bene diffuso come il paesaggio, e il verde in generale, non può che richiedere il coinvolgimento dell’intera popolazione. In questo senso, la coscienza collettiva può e deve svolgere un ruolo fondamentale, assumendo come una necessità la valorizzazione del territorio nel suo significato di risorsa, prodotto del lavoro umano su di esso.[58] In questo senso, alla scala della città, l’esperienza degli orti urbani può rappresentare un ottimo mezzo, oltre che per restituire alla natura e ai cittadini aree urbane abbandonate o dimenticate, per veicolare una vera e propria “cultura del territorio”. [56] Cfr. U. Targetti, Ruolo e pianificazione delle aree agricole periurbane: l’esperienza del Parco agricolo sud Milano, Santarcangelo di Romagna, Maggioli Editore, 2010, pp. 78,79,87,96,101 [57] Cfr. Centro Studi PIM, Il paesaggio, la natura, la città. Le aree verdi nella configurazione del territorio metropolitano, 2005, p. 67 [58] Ivi, p. 68 103 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio A Milano, negli ultimi anni, accanto alle esperienze già avviate e consolidate (Orti di via Chiodi, Giardino degli Aromi) si sono moltiplicati i progetti dedicati all’agricoltura urbana: orti di quartiere coordinati da organizzazioni di promozione sociale, orti didattici coltivati nelle scuole, giardini terapeutici, aiuole e spazi abbandonati trasformati da gruppi di giardinieri occasionali (guerrilla gardening), orti per l’autoproduzione in spazi sociali ma anche aree orticole integrate nei parchi urbani. Si tratta di esperienze che si allontanano dalla stretta definizione di “orti urbani”, proponendosi come un modo per unire, alla pratica della coltivazione, la costruzione di rapporti sociali: luoghi che permettono di riappropriarsi, quindi, tanto degli spazi urbani quanto delle relazioni. La coltivazione, infatti, si presenta come un’attività che non richiede particolari competenze: ogni giardino diventa il campo di sperimentazione su cui confrontarsi ed apprendere liberamente, adattandosi sulla base dell’esperienza concreta, senza l’ansia legata al raggiungimento di un particolare obiettivo. In questo senso, i progetti di coltivazione si propongono come contenitori poco discriminanti e facilmente accessibili. La possibilità di ottenere un prodotto finito, inoltre, acquista l’importanza di un primo traguardo, presentandosi come prodotto di cure e attenzioni costanti nel tempo.[59] “Grazie a questa duplice valenza, che mette in tensione aspetti processuali e risultati tangibili, gli esperimenti di agricoltura urbana possono essere definiti dei progetti a portata di mano, in cui carica utopica e soddisfazione concreta convivono proficuamente”. [60] [59] Cfr. F. Cognetti, S. Conti, Milano, coltivazione urbana e percorsi di vita in comune. Note da una ricerca in corso, in LaPEI (Laboratorio di Progettazione Ecologica degli Insediamenti), PRIN. Il progetto di Territorio: metodi, tecniche ed esperienze [60] Ivi, p. 36 104 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio L’agricoltura urbana si presenta come un tema dalle grandi potenzialità e meriterebbe un approfondimento specifico. Tuttavia, occorre sottolineare, in questa sede, come l’aumento degli orti urbani a Milano potrebbe rappresentare l’occasione, anche sfruttando le numerose cascine abbandonate presenti sul territorio comunale, per ripensare in modo organico il tema alimentare, favorendo la “filiera corta” e accrescendo l’offerta di prodotti “a chilometro zero”, sulla scia dell’incoraggiante successo di manifestazioni come il Mercato della Terra di Milano, promosso da Slow Food e divenuto ormai un appuntamento fisso per la città. Nella pagina precedente: Esempio di orto urbano, Milano In alto: Volantino del Mercato della Terra di Milano 106 Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio Manifesto del movimento Guerrilla Gardening 107 Verso la Città Metropolitana 4. VERSO LA CITTA’ METROPOLITANA Articolo 5 della Costituzione della Repubblica Italiana: La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. [1] 4.1_Quadro normativo, autonomie e competenze locali Il Titolo V della Costituzione regola i rapporti tra gli Enti costitutivi della Repubblica, occupandosi di ripartire le competenze tra lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni. Definisce, in particolare, le materie di legislazione esclusiva dello Stato e quelle di legislazione concorrente. La riforma del Titolo V effettuata nel 2001 dal Governo Amato ha comportato significative modifiche nell’ambito dei rapporti tra gli Enti costitutivi, nell’ottica di un sempre maggiore decentramento dei poteri statali, con l’intento di porre le basi per la trasformazione futura dell’Italia in una Repubblica Federale.[2] La modifica dell’art. 114, infatti, effettua una parificazione tra gli Enti, omologando lo Stato ai Comuni, alle Province, alle Città Metropolitane e alle Regioni come elementi costitutivi della Repubblica. “La Repubblica” – recita infatti l’articolo in esame – “è costituita (e non più «si ripartisce», come nella versione originaria, nda) dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”;[3] lo stesso articolo prosegue attribuendo a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni [1] Costituzione della Repubblica Italiana, 1947, aggiornata alla Legge Costituzionale del 30 Maggio 2003, n.1, art. 5 [2] Cfr. Legge Costituzionale n. 3 del 18 Ottobre 2001, Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione [3] Legge Costituzionale n. 3 del 18 Ottobre 2001, Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione, art. 1 109 Verso la Città Metropolitana natura di enti autonomi, con propri statuti, poteri e funzioni. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. La nuova formulazione del Titolo V, nello specifico dell’art.117, ribalta completamente la disciplina relativa alla potestà legislativa dello Stato e a quella delle Regioni a statuto ordinario. L’impostazione precedente indicava precisamente le materie in cui le Regioni avevano legislazione concorrente, lasciando quella esclusiva allo Stato per tutti gli altri casi. Con la riforma, al contrario, vengono esplicitamente elencate le materie in cui è lo Stato ad avere potestà legislativa, lasciando alle Regioni legislazione concorrente nelle materie non espressamente indicate.[4] Ricadono, in questo modo, nella legislazione concorrente, una serie di materie tra cui il governo del territorio, i porti e aeroporti civili e le grandi reti di trasporto e di navigazione. Occorre sottolineare come questa modifica, incidendo profondamente nei rapporti tra gli Enti costitutivi della Repubblica, abbia compiuto significativi passi in avanti dal punto di vista del decentramento, permettendo la creazione degli statuti regionali. Quest’ultimo punto, in particolare, ha consentito la necessaria autonomia per legiferare con maggiore precisione in ambito territoriale, per quanto riguarda pianificazione e tutela del territorio, urbanizzato e non. Si è riusciti, in questo modo, a conferire adeguata importanza ai livelli di pianificazione intermedia permettendo la realizzazione di piani territoriali che, seppur previsti già dalla legge urbanistica nazionale del 1942,[5] erano rimasti perlopiù sul piano delle intenzioni. Bisogna ricordare come, nel 2005, il governo Berlusconi, per mano dell’allora Ministro per le riforme Bossi, avesse proposto una nuova modifica del Titolo V della Costituzione, [6] che [4] Cfr. Legge Costituzionale n. 3 del 18 Ottobre 2001, Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione, art. 3 [5] Legge n. 1150 del 17 Agosto 1942, Pianificazione urbanistica generale [6] Testo di legge costituzionale numero 2544-D del 16 Novembre 2005, 110 Verso la Città Metropolitana prevedeva da una parte il ritorno della legislazione esclusiva dello Stato in merito ad alcune materie difficilmente frazionabili, come le grandi reti strategiche di trasporto e la sicurezza sul lavoro, dall’altra l’attribuzione di competenze esclusive alle Regioni in materie di sanità, scuola e sicurezza pubblica. La bocciatura di questa riforma costituzionale, attraverso il referendum confermativo del 2006,[7] non ci consente di avere un riscontro oggettivo, nel bene o nel male, circa l’efficacia delle misure previste. 4.2_Austerity, centralizzazione in nome del risparmio? In una fase economica caratterizzata dalla recessione, con una politica fortemente improntata all’austerity, al contenimento dei costi della macchina statale e al taglio della spesa pubblica, il “governo dei tecnici” guidato da Mario Monti ha individuato nella riforma del Titolo V della Costituzione un ulteriore strumento per conferire all’Italia maggiore efficienza. Questo provvedimento deve essere inteso in continuità con le manovre di revisione dei conti pubblici che il governo ha adottato nell’ultimo anno, in particolare la cosiddetta “spending review”.[8] In un contesto di abuso di denaro pubblico relativamente ad alcune regioni, questo intervento, inoltre, può essere riletto alla luce della crescente importanza, in sede di politica e mercati internazionali, del recupero di un’immagine di credibilità del governo italiano. Il progetto di riforma è culminato nella presentazione, al Consiglio dei Ministri, di un disegno di legge costituzionale. [9] Nello specifico, si tratta di riportare alcune competenze delle Regioni a livello statale. Oltre alla potestà in materia di rapporti Modifiche alla parte II della Costituzione [7] 25-26 Giugno 2006 [8] Legge n. 135 del 7 Agosto 2012, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini [9] Disegno di Legge Costituzionale n. 3520 del 15 Ottobre 2012, Disposizioni di revisione della Costituzione e altre disposizioni costituzionali in materia di autonomia regionale 111 Verso la Città Metropolitana internazionali, armonizzazione dei bilanci pubblici, garanzia dei diritti costituzionali e norme di procedimento amministrativo occorre ricordare in questa sede come lo Stato, in particolare, riacquisisca legislazione esclusiva in tema di “principi generali dell’ordinamento di Comuni, Province e Città Metropolitane”.[10] Quest’ultimo provvedimento si è reso indispensabile al fine di ridurre il contenzioso costituzionale avviatosi sulle questioni inerenti la riorganizzazione territoriale della Repubblica. Si vuol fare riferimento, in particolare, alla querelle in merito al riordino delle Province e all’accorpamento dei piccoli Comuni.[11] Allo stesso tempo, tramite la cosiddetta “spending review”, il Governo elimina un gran numero di province (64 su 107), diminuendo ulteriormente i fondi a disposizione di Regioni e Comuni.[12] Le recenti dichiarazioni di Filippo Patroni Griffi, ministro per la Pubblica amministrazione e la semplificazione, riferiscono inoltre della volontà, da parte dell’esecutivo, di riflettere proprio su quest’ultimo tema, facendo presagire ulteriori sviluppi verso il centralismo statale. Abbiamo cominciato con le Province, ente intermedio di secondo livello, presente in gran parte degli ordinamenti europei: ne stiamo ridefinendo perimetro e funzioni, concentrandole su quelle ‘di area vasta’ ed evitando duplicazioni. Credo che nel prossimo futuro occorrerà riflettere, nelle sedi e con gli strumenti appropriati, anche sul sistema regionale e sulla eccessiva frammentazione comunale. Con un obiettivo: ottimizzare le risorse, accentuare la responsabilità nella spesa e assicurare i migliori servizi ai cittadini.[13] [10] Disegno di Legge Costituzionale n. 3520 del 15 Ottobre 2012, Disposizioni di revisione della Costituzione e altre disposizioni costituzionali in materia di autonomia regionale [11] Per il riordino delle Province: Decreto Legge n. 201 del 6 Dicembre 2011, Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici Per l’accorpamento dei Comuni: Decreto Legge n. 138 del 13 Agosto 2011, Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo [12] Legge n. 135 del 7 Agosto 2012, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, art. 18 [13] F. Patroni Griffi, riportato in Altalex, Spending review: Patroni Griffi, dopo 112 Verso la Città Metropolitana Questi provvedimenti spingono a fare alcune considerazioni, tenendo sempre conto del fatto che non si è ancora in presenza di un testo legislativo ben definito, trattandosi di un argomento de iure condendo. Si vuole riflettere, innanzitutto, sull’opportunità di eliminare il livello provinciale. Dal punto di vista della pianificazione territoriale, è innegabile come la dimensione provinciale rappresenti, probabilmente, la giusta scala per governare il territorio a livello sovracomunale, collocandosi in posizione intermedia tra la gestione regionale, troppo distante, e quella comunale, troppo spesso miope e focalizzata solo su interventi a scala locale. Ci si chiede se il risparmio che si desidera ottenere nel breve e medio termine dalla soppressione degli enti provinciali valga a giustificare la perdita degli strumenti urbanistici correlati, con riferimento al Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, o se si possa piuttosto configurare come un’arma a doppio taglio i cui effetti si manifesteranno in futuro. La riforma si caratterizza, inoltre, come un chiaro intervento di riaccentramento di poteri da parte dello Stato, costituendo, in tal senso, un deciso passo indietro rispetto alle modifiche apportate al Titolo V della Costituzione nel 2001, in merito all’autonomia degli enti locali. Per ora può bastare, chiedendosi però se il “cattivo uso” dei poteri da parte di una classe politica regionale inadeguata (quando non corrotta) possa consentire uno svuotamento di poteri tale da vanificare – forse oltre il limite – il principio fondamentale dell’autonomia consacrato dall’art. 5 della Costituzione.[14] Province riflettere su Regioni, 24 Settembre 2012 (http://www.altalex.com/ index.php?idnot= 58995) [14] L. Cuocolo, Regioni indifendibili, ma l’autonomia è un principio fondamentale, «Il Ricostituente», 14 ottobre 2012 (http://www.ilricostituente. it/2012/10/14/1967) 113 Verso la Città Metropolitana 4.3_ La Città Metropolitana La normativa nazionale introduce per la prima volta il concetto di città metropolitana con la legge di riforma dell’ordinamento degli enti locali numero 142 del 1990.[15] Nello specifico, l’articolo 17 recitava: “nell’area metropolitana la provincia si configura come autorità metropolitana con specifica potestà statutaria ed assume la denominazione di città metropolitana”. [16] La motivazione legata all’introduzione di questo nuovo ente territoriale era legata all’esigenza di fornire uno strumento sufficientemente flessibile in grado di risolvere i problemi delle grandi aree metropolitane, fornendo una risposta al problema delle concentrazioni urbane emerso con l’avvento della società industriale attraverso la creazione di un nuovo istituto che sopperisse all’insufficienza dello strumentario normativo. La legge 142 del 1990 viene successivamente abrogata dal Decreto Legislativo n. 267 del 2000, contenente il Testo Unico degli Enti Locali.[17] In merito all’istituzione della Città Metropolitana, quest’ultimo specifica che essa assume le funzioni della Provincia e “attua il decentramento previsto dallo statuto, salvaguardando l’identità delle originarie identità locali”.[18] In realtà l’equiparazione tra i due enti territoriali, Provincia e Città Metropolitana, è solo indicativa e non effettiva, in quanto la seconda esercita ovviamente più funzioni rispetto alla prima, in particolare quelle che le vengono conferite dalla Regione. A questo proposito, tuttavia, bisogna rilevare come il Testo Unico non prevedesse ancora materie ben precise a cui attenersi. [19] A livello costituzionale, le Città Metropolitane vengono [15] Legge numero 142 del 8 Giugno 1990, Ordinamento delle autonomie locali [16] Ivi, art. 17 [17] Decreto Legislativo n. 267 del 18 Agosto 2000, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali [18] Ivi, art. 23, comma 5 [19] Cfr. E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè Editore, 2010, pp. 313-316 114 Verso la Città Metropolitana riconosciute con la riforma del Titolo V della Costituzione, realizzata nel 2001. La disciplina viene regolata dagli articoli 114, 117, 118 e 119. In particolare, l’articolo 114 effettua l’equiparazione tra la Città Metropolitana agli altri Enti Territoriali, ossia Comuni, Provincie e Regioni.[20] Nel 2009, la legge 42 prevede la possibilità di istituire città metropolitane in determinate aree italiane,[21] dettandone le funzioni fondamentali: la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali, la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.[22] Differenze tra Provincia e Città Metropolitana (ai sensi della L. 135/2012) L’articolo 18 della “spending review”, infine, istituisce ufficialmente le Città Metropolitane, a partire dal 1 gennaio 2014, per le zone comprendenti i comuni di Milano, Roma, Torino, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e [20] Cfr. Legge Costituzionale n. 3 del 18 Ottobre 2001, Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione [21] Legge n. 42 del 5 Maggio 2009, Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione [22] Cfr. Legge n. 42 del 5 Maggio 2009, Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, art. 23, comma 5 115 Verso la Città Metropolitana Reggio Calabria, sopprimendo le relative province. Il territorio della città metropolitana coincide quindi con quello della provincia contestualmente soppressa, fermo restando la facoltà, da parte dei comuni interessati, di aderire alla città metropolitana piuttosto che ad una provincia limitrofa. Alla città metropolitana viene inoltre attribuita, oltre alle funzioni delle province e a quelle già indicate dalla legge 42 del 2009, potestà legislativa in ordine all’organizzazione dei servizi pubblici di ambito metropolitano, nonché in merito a mobilità e viabilità.[23] L’istituzione della Città Metropolitana rappresenta un importante passo in avanti nella gestione del territorio. Le tipologie insediative di alcune aree, come la Pianura Padana, hanno visto da una parte l’espansione di un grande centro, dall’altra la sopravvivenza e relativa affermazione dei centri minori ad esso, oltre che reciprocamente, connessi, caratterizzati da una maggiore qualità della vita, risultando in una sorta di città diffusa.[24] Rispetto a queste situazioni gli strumenti urbanistici previsti dalla normativa si rivelavano inadeguati, incapaci di operare correttamente alla scala sovracomunale. Da una parte il livello provinciale, seppur agendo ad una scala adeguata, conservava prevalentemente una funzione di indirizzo e coordinamento: a questo proposito le esperienze del PTCP, [25] redatto dalla Provincia di Milano, e del Centro Studi PIM, rappresentano un interessante contributo di analisi al livello sovracomunale, seppur sprovvisti dei poteri esecutivi. D’altra parte il livello comunale risultava completamente inadatto a risolvere alcune istanze come la gestione dei rifiuti, la distribuzione delle acque e la localizzazione dei servizi di [23] Cfr. Legge n. 135 del 7 Agosto 2012, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, art. 18 [24] Cfr. AA.VV., Progettare il passato: centri storici minori e valori ambientali diffusi, a cura di Nicolò Savarese e Pietro A. Valentino, Roma, Editore Progetti Museali, 1994 [25] Provincia di Milano, Adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale alla LR 12/05, Adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7 giugno 2012 116 Verso la Città Metropolitana L’iter normativo in merito all’istituzione della Città Metropolitana livello superiore. La Città Metropolitana si presenta, al contrario, come uno strumento adeguatamente flessibile, in grado di agire secondo una logica sovracomunale, aumentando il grado di coordinamento tra i Comuni e incidendo direttamente sulle istanze sopraccitate oltre che sulla pianificazione territoriale. Nel caso specifico di Milano e della relativa Provincia, bisogna rilevare come, da ormai circa un trentennio, si avverta il bisogno di riconoscere questo livello amministrativo, come soluzione per una corretta amministrazione dell’area e per la tutela del territorio. L’area milanese, infatti, ricalca perfettamente le caratteristiche di una città metropolitana, presentando quindi le condizioni necessarie per la sua costituzione. Recentemente, pur con i dubbi e le riserve che il disegno di legge attualmente presentato e recante la riforma del Titolo V della Costituzione può sollevare circa un chiaro ritorno al centralismo da parte dello Stato, è stata finalmente decretata, con la cosiddetta “spending review”, l’istituzione obbligatoria della città metropolitana a partire dal 2014. Proprio riguardo a questo tema, abbiamo avuto l’opportunità di parlare con Piergiorgio Monaci, direttore di Progetto Area Metropolitana e Municipalità del Comune di Milano, incaricato dall’assessore Daniela Benelli in merito allo sviluppo del 117 Verso la Città Metropolitana progetto [26]. Il dottor Monaci racconta di come ci si trovi, attualmente, nelle fasi cruciali della definizione del nuovo ente, di cui si è ormai delineata l’ossatura principale. Attualmente i comuni coinvolti sono gli stessi 134 già compresi nella Provincia di Milano, oltre all’intera provincia di Monza e Brianza. E’ fatta salva, in ogni caso, la possibilità di eventuali aggiunte o defezioni. A questo proposito lasciano perplessi, a nostro avviso, le proteste di alcuni comitati e sindaci brianzoli che richiedono l’accorpamento di Monza alla maxi-provincia dell’area nord lombarda, insieme a Como, Lecco e Varese. [27] La contiguità territoriale rispetto a Milano, oltre che l’imprescindibile dipendenza reciproca in termini di traffico di merci e di persone fanno apparire il coinvolgimento del capoluogo brianzolo nel nuovo ente come la soluzione più logica, configurandolo come efficace connettore con le aree dei laghi e con la grande conurbazione brianzola. Inoltre, per il discorso affrontato in precedenza circa la condivisione di un medesimo bagaglio socio-culturale, oltre che territoriale, appaiono ancora più paradossali queste richieste. Auspichiamo che l’attuale Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione Patroni Griffi, o chi per lui, mantenga la barra dritta e non ceda a queste pressioni, che sfociano facilmente nel campanilismo. Il dottor Monaci conferma la compilazione di una tabella di marcia per avvicinarsi adeguatamente alla scadenza imposta. Nel 2013 occorrerà procedere, con i Comuni partecipanti, alla redazione dello Statuto della Città Metropolitana, processo fondamentale per deciderne gli effettivi ambiti di competenza e, di conseguenza, la reale efficacia. E’ inevitabile notare come il capoluogo lombardo ricopra un ruolo fondamentale in questo procedimento, qualificandosi come perno dell’intero sistema. La vicinanza politica tra Milano e la maggioranza dei comuni coinvolti dovrebbe inoltre, realisticamente, rendere più [26] Daniela Benelli, Assessore all’Area Metropolitana, Decentramento, Municipalità e Servizi Civici del Comune di Milano [27] Cfr. L. Losa, Provincia: o mangia ‘sta minestra o salta ‘sta finestra, «Il Cittadino MB», 20 Novembre 2012 (http://www.ilcittadinomb.it/blog/Blog/31/ entries/3183/) 118 Verso la Città Metropolitana semplice il compito dell’individuazione degli obiettivi comuni. A questo proposito, il direttore Monaci sottolinea come la sproporzione tra il Comune di Milano e gli altri centri rappresenti un’anomalia nel sistema. E’ evidente, infatti, come il capoluogo rischierebbe di sovrastare gli altri comuni compromettendo l’equilibrio della città metropolitana. Questo discorso si palesa riguardo al problema dell’elezione del sindaco metropolitano. La legge entrata in vigore prevede, per questa carica, tre opzioni diverse: la prima prevede che il sindaco del capoluogo divenga, di diritto, il sindaco metropolitano; la seconda affida ai sindaci dei Comuni partecipanti il compito di eleggere questa carica; la terza prevede il suffragio universale e diretto. Per arrivare a quest’ultima opzione - sostiene il dottor Monaci - è necessario che Milano venga divisa in ulteriori comuni, utilizzando questa frammentazione come soluzione rispetto alla sua eccessiva importanza, così che Milano possa proporsi come primus inter pares. Questo rappresenta un nodo cruciale per il corretto funzionamento della città metropolitana ma comporta, inevitabilmente, una tempistica di medio e lungo termine. E’ del tutto impensabile, infatti, effettuare una divisione di Milano in Comuni nel giro di un anno, senza un processo graduale. Per il momento si preferisce adottare la prima opzione, ossia la presenza di un unico sindaco in comune tra il capoluogo e la città metropolitana, soprattutto per evitare dualismi che potrebbero essere da freno rispetto alla capacità decisionale dell’ente, come già oggi avviene tra il Presidente della Provincia e il sindaco di Milano. Parallelamente, si procederà in direzione di un rafforzamento delle municipalità che andranno a sostituire le attuali nove zone, inadeguate per dimensione e conformazione. Questo processo di scorporazione non è da intendere come un “sacrificio” imposto alla città di Milano sull’altare della nascente città metropolitana: al contrario, esso rappresenta, per la città stessa, un’importante opportunità di riscoprire e riaffermare specifiche identità locali, col tempo dimenticate. La coesione e l’identità urbana si costruiscono quindi come risposta ai processi di globalizzazione che sembrano destinati a distruggerla. L’identità di città che sono aggregati di soggetti 119 Verso la Città Metropolitana appartenenti contemporaneamente al sistema locale e a sistemi a rete diversi non può più essere data dal radicamento locale dei soggetti, dal semplice senso di appartenenza a un milieu inteso come un patrimonio da conservare. A questa concezione passiva dell’identità e del milieu urbano se ne va ora sostituendo una attiva, in cui il patrimonio culturale della città diventa un capitale da investire in progetti di trasformazione della città stessa, come risposta alle sfide globali, mentre l’identità da semplice senso di appartenenza diventa operatore attivo di connessioni tra soggetti per l’inserimento della città nel grande gioco delle reti globali. Così i sistemi territoriali urbani possono continuare ad essere attori collettivi mettendo a frutto e riproducendo le risorse ereditate dal passato. [28] [28] G. Dematteis, Prolusione sul tema “Verso la città-rete del terzo millennio”, cit. 120 La divisione di Milano in Municipalità come occasione per riscoprire le identità sbiadite della Città Il Processo Progettuale. Le tavole di progetto sono riportate in allegato Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto 5_LE NUOVE MUNICIPALITA’ DI MILANO. IL PROGETTO 5.1_II presupposti del lavoro Riscoprire la storia e l’identità di un luogo è, a nostro avviso, un passaggio fondamentale e irrinunciabile, un processo che pone le basi per una corretta dialettica tra una comunità e il proprio territorio e quindi, in ultima analisi, per un consapevole sviluppo di quest’ultimo. Conoscere appieno uno spazio, fare di esso un “luogo”, appare tanto più impensabile quanto più chi lo abita e lo anima quotidianamente ne ignora la storia, o ancor peggio non si riconosce minimamente in esso. Non si tratta, per dirla con Apollinaire, di “portarci dietro dappertutto il cadavere di nostro padre”,[1] né tantomeno di incorniciare in una semplice cartolina i ricordi del passato. Si intende, al contrario, far sì che la storia divenga il motore per lo sviluppo di una coscienza locale, capace di arricchire l’esperienza quotidiana di chi anima questi luoghi. Le strade devono tornare a parlare da sé, con i propri scorci, con i propri colori, con le proprie voci. D’altra parte, come sosteneva Jane Jacobs già negli anni ’60, è anche una questione di sicurezza, oltre che di socialità. “Nonostante molti tentativi, pianificati o no, non s’è ancora trovato nulla che possa sostituire una strada vivace e animata”.[2] Milano si presenta oggi come una realtà estremamente complessa, risultato di una duplice storia: da una parte quella “lenta”, protagonista fino alla fine dell’Ottocento, che ha concentrato lo sviluppo all’interno delle mura spagnole; dall’altra quella successiva, caratterizzata da un rapido processo di espansione e da fenomeni rilevanti di speculazione edilizia. In questa fase, in particolare, gli interventi sul territorio hanno spesso ignorato le tracce della stratificazione storica. Nel corso dell’ultimo secolo, così, mentre da una parte ci si preoccupava Nella pagina precedente: Edicolante, Piazza Oberdan [1] G. Apollinaire, I pittori cubisti: meditazioni estetiche, Milano, Abscondita, 2003 [2] J. Jacobs, Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane, Torino, Edizioni Comunità, 2000 123 Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto di annettere alla città numerosi comuni o piccoli borghi limitrofi, dall’altra non sempre si interveniva per valorizzarne il carattere. Al contrario, se ne minimizzavano importanza e identità, relegandone talvolta le tracce nei cortili delle case e lasciando la memoria storica del luogo esclusivamente a coloro che ci avevano abitato. In nome dell’efficienza, della salubrità, delle magnifiche sorti e progressive, sono stati nascosti, e talvolta addirittura cancellati, caratteri fondamentali dell’identità meneghina, valori specifici della città come navigli, cascine, campi agricoli e mezzi di trasporto storici, snaturando completamente l’identità di questi luoghi. Occorre constatare, tuttavia, come questo processo di espansione fosse una risposta alla realtà dei tempi, a concrete esigenze legate all’aumento demografico e al boom economico degli anni ‘60, alla diffusione dell’automobile e all’ingenua convinzione che tutto questo sviluppo non sarebbe mai finito. Si pensava, e spesso probabilmente si pensa tuttora, che costruire fosse un’attività di per sé stessa sufficiente a produrre ricchezza e, allo stesso tempo, garantire un alloggio per tutti. Sebbene da una parte, in molti casi, l’aspetto qualitativo non sia stata trascurato, con la realizzazione di palazzi pregevoli e viali alberati, dall’altra, in altrettanti casi, non si è avuta la stessa premura, proponendo improbabili architetture residenziali a basso costo immerse in squallidi contesti. In entrambi i casi, comunque, è mancato l’interesse a sviluppare nuove centralità di riferimento per gli abitanti, lasciando che questo compito rimanesse delegato ad un unico “centro” storico, da ammirare e desiderare, destinato esclusivamente a pochi fortunati. Milano, oltretutto. ha pagato a caro prezzo lo scotto della terziarizzazione, che ne ha modificato radicalmente la produttività e, dal dopoguerra ad oggi, non è mai stata in grado di cogliere le occasioni di rinnovamento offerte dai vuoti urbani, preferendo la scelta di grandi “progetti-vetrina” del tutto inadatti alle reali esigenze della popolazione. I risultati sono evidenti, manifesti davanti ai nostri occhi: Milano si presenta oggi come una città caotica, congestionata, decisamente “autocentrica” e, per alcuni, invivibile; una città piena di contraddizioni, in cui la presenza di un ingente 124 Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto patrimonio edilizio inutilizzato o in stato di abbandono non sembra costituire un freno all’innalzamento di nuovi edifici; una città caratterizzata da un elevato reddito pro-capite, un basso tasso di disoccupazione e una buona condizione dei trasporti pubblici, ma in cui, allo stesso tempo, si lamenta un’alta densità di popolazione, elevati tempi medi di spostamento, un’elevata presenza di smog e una bassa quantità di spazi aperti; una città che le luccicanti architetture contemporanee da sole non bastano, come in molti potrebbero pensare, a connotare come grande metropoli di livello internazionale, e che nasconde ancora inaspettati e “romantici” angoli urbani, segno di un passato non dimenticato, spesso irrisolto, non certo da sacrificare. Anziché inseguire mode cangianti, futuri grandiosi e progetti magniloquenti, le energie andrebbero dedicate a migliorare i luoghi nel loro rapporto con la misura umana, producendo territori nei xquali sia agevole orientarsi e sia ripristinabile un rapporto di dialogo tra corpo e ambiente circostante (mentre oggi la città metropolitana tende a venire sempre più spesso progettata a misura dell’automobile, dell’alta velocità ferroviaria, dell’aereo). Luoghi capaci di raccontare una storia coerente con la nostra memoria sociale e culturale, capaci di dare senso al nostro esistere in una prospettiva temporale che vada oltre l’orizzonte della singola vita umana: modelli di urbanizzazione che distruggono anche la memoria del passato ci trasmettono il messaggio che anche di noi e del nostro operato non rimarrà traccia nella città di domani (e non è un bel messaggio, di quelli che aiutano a vivere).[3] [3] P. L. Cervellati, A. Marson, Città metropolitana veneziano-veneta e progetto di territorio, in A. Marson (a cura di), Il progetto di territorio nella città metropolitana, Firenze, Alinea Editrice, 2006, p.22 125 1 Le microrealtà di Milano, le testimonianze storiche come nuovi Centri di Quartiere 2 3 4 Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto 5 6 131 7 Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto 8 9 133 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto 21 22 145 23 24 Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto Le immagini nelle pagine precedenti: 1: P orta Venezia, Piazza Oberdan 2: Caseggiato a Garegnano, viale Certosa 3: Certosa di Garegnano, viale Certosa 4: La Chiesa del Lazzaretto 5-6: Insegne di negozi storici, Lazzaretto 7: Il ponte di Isola 8: Via delle Abbadesse, Isola 9: Santuario di S. Maria, Isola 10: Caseggiato popolare, Villapizzone 11: Comunità abitativa,Villapizzone 12-13: C ascina Torchiera (abbandonata/occupata), Garegnano-Cimitero Maggiore 14: Caseggiato a Garegnano, viale Certosa 15: Edificio rustico, Affori 16: Chiesa in via Berra, Crescenzago 17: Portone sul Naviglio Martesana, Crescenzago 18: Sponda del Naviglio Martesana, Crescenzago 19:“Policromie industriali”, Crescenzago 20: Chiesa in via Regina Teodolinda, Cimiano 21: Chiesa in via Tremelloni, Precotto 22: Ferrovia Cimiano 23-24: Scorci sul canale della Vettabia, Morivione 148 Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto 5.2_Il processo di divisione Il nostro lavoro nasce sulla base di queste riflessioni e si pone l’obiettivo di riscoprire le identità storiche di Milano, ricostruendo, una tessera per volta, il mosaico del suo sistema territoriale storico. L’operazione di ricerca è stata volta all’individuazione di diverse polarità: i nuclei storici veri e propri; le testimonianze storiche puntuali, non necessariamente “riconosciute” e valorizzate; le “emergenze” territoriali, ossia i luoghi di particolare o potenziale valore per gli abitanti. Si è cercato, in sostanza, di individuare sia i luoghi di aggregazione, di cui a Milano si sente la mancanza, sia i luoghi della storia, facendo confluire entrambi in un discorso unitario. L’identificazione di questi elementi è stato il risultato di un lavoro su più livelli: da una parte la sovrapposizione e l’analisi della cartografia storica; dall’altra la ricerca diretta sul luogo e l’interazione con gli abitanti e i vari consiglieri di zona. Mappa storica di Milano (1865) 149 Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto Una volta individuate, le polarità sono state classificate gerarchicamente secondo due livelli di importanza, in virtù dei quali si sono determinati i rispettivi “raggi d’influenza”. Sebbene queste aree presentino dei margini sfumati, si è cercato di individuarne i confini tenendo conto, da una parte, dei limiti fisici e delle tracce sul territorio, dall’altra, della percezione degli abitanti. L’obiettivo di questo lavoro è stato quello di scomporre Milano in ambiti storici e identitari omogenei, riconducibili ad uno o più elementi di interesse. “Questi luoghi, siano essi quartieri, villaggi urbani o permanenze di ciò che era un tempo campagna o altro spazio non urbanizzato […], non necessariamente hanno un singolo confine o centro, né vanno pensati come ambiti chiusi alle relazioni con le altre parti di città metropolitana. Essi devono tuttavia possedere gli attributi di luogo, ovvero essere dotati di identità propria, essere riconoscibili sia da coloro che vi abitano, sia da chi li percepisce dall’esterno”.[4] Questo lavoro di divisione si è concentrato principalmente sul tessuto costruito, cercando di evidenziare in modo differente gli spazi liberi, valorizzati o meno, comunque “sopravvissuti” all’urbanizzazione, raggruppandoli in macroaree al fine di permetterne un trattamento più organico. Il risultato finale è stato l’individuazione di 90 Quartieri. Il passaggio successivo del nostro processo progettuale è stato il confronto con le esigenze reali, vale a dire con la necessità di individuare le Municipalità secondo un determinato criterio dimensionale. Lo scopo, come detto, era quello di evitare una sproporzione tra Milano e gli altri Comuni della Città Metropolitana, con il conseguente rischio di una compromissione dell’equilibrio metropolitano. Il dottor Monaci, nel corso dell’incontro già citato, dichiarava la volontà di istituire un numero di Municipalità compreso tra 12 e 14, con una popolazione residente nell’ordine delle centomila persone per ciascuna. Questi erano i criteri numerici e dimensionali che avrebbero consentito di ottenere da una parte la fattibilità economica del progetto, dall’altra un confronto più equilibrato [4] P. L. Cervellati, A. Marson, Città metropolitana veneziano-veneta e progetto di territorio, in A. Marson (a cura di), Il progetto di territorio nella città metropolitana, Firenze, Alinea Editrice, 2006, p. 19 150 Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto tra le nuove Municipalità e gli altri comuni metropolitani, in particolare quelli contermini. L’individuazione delle Municipalità così connotate è stata ottenuta sommando i Quartieri determinati in precedenza. La somma è stata effettuata in base a differenti criteri. In primo luogo, abbiamo analizzato le relazioni e i collegamenti tra le polarità individuate sul territorio cittadino, identificando una rete policentrica di connessioni basate sullo sviluppo storico del tessuto urbano e sulla sua configurazione attuale, con lo scopo di ribaltare la classica visione radiocentrica. Parallelamente, abbiamo tenuto conto dell’aspetto dimensionale, monitorando, di volta in volta, la popolazione residente e la superficie territoriale delle varie Municipalità delineate. Per ottenere questi dati, abbiamo fatto riferimento ad uno studio sui cosiddetti Nuclei di Identità Locale (NIL),[5] presentato dal Comune di [5] A proposito del lavoro sui NIL presentato dalla giunta comunale presieduta da Letizia Moratti, occorre aprire una parentesi e fare alcune brevi considerazioni. L’idea di effettuare un’analisi di Milano basata su una scomposizione in nuclei identitari, per quanto detto in precedenza, è senza dubbio lodevole. Tuttavia, ad un’analisi più approfondita, lo studio presentato dal Comune si rivela alquanto discutibile. Occorre rilevare, innanzitutto, come il lavoro si presenti a tratti incompleto, intendendo fare riferimento al significato letterale di questo termine. Molte delle schede di analisi relative ai dati numerici dei nuclei non sono compilate in maniera completa, un’altra addirittura, quella del NIL Stadera, è sprovvista di un’intera sezione, quella riguardante gli indicatori territoriali. Se da una parte si riscontra, quindi, un’incompletezza del lavoro, dall’altra sorprende la sicurezza con cui vengono forniti alcuni dati. Nel caso del NIL Tre Torri, ad esempio, si indica un numero di abitanti pari a 1341. Considerando che l’intero quartiere è ancora in fase di costruzione, si può considerare questo dato come una stima, frutto delle previsioni insediative. Quello che lascia perplessi è la precisione con cui si indica il numero di stranieri, arrivando a specificarne la nazionalità prevalente (francese, in questo caso). In generale, rimane quantomeno oscuro il motivo per il quale, in uno studio sui nuclei identitari locali, si sia riscontrata la necessità di fornire indicazioni circa la provenienza della popolazione forestiera. A monte di queste critiche, riteniamo che lo studio sui NIL presentato dal Comune di Milano presenti alcuni errori “strutturali”. La scelta di includere i grandi parchi urbani all’interno dei NIL, analizzandoli e conteggiandoli con lo stesso criterio, ha portato ad ottenere indicazioni sulle dotazioni di servizi talvolta paradossali, e che di certo non rendono conto delle reali condizioni in cui si trovano le varie zone individuate. Basti pensare ai 102084 metri quadrati per abitante del NIL Parco Sempione (questo dato, peraltro, è stato ricavato da noi in quanto mancante nel documento ufficiale), numero incredibile se confrontato con la dotazione di 151 Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto Milano nell’ultimo Piano di Governo del Territorio.[6] Questo procedimento ha portato all’identificazione di 12 Municipalità, la cui denominazione è stata decisa in virtù delle polarità più rappresentative presenti e mantiene, in ogni caso, il prefisso “Milano”: Duomo, Sempione, Isola-Porta Venezia, Lambrate, Monluè-Rogoredo, Porta Romana-Vigentino, Navigli, San Cristoforo-Lorenteggio, Baggio-San Siro, VillapizzoneCertosa, Affori-Niguarda e Martesana. Una volta individuate le 12 Municipalità, il lavoro è proseguito con la mappatura dei servizi principali del Comune di Milano. L’obiettivo è stato quello di studiare la distribuzione di servizi a livello cittadino ricavando, di conseguenza, indicazioni sulle dotazioni di livello municipale. In questo modo, è stato possibile ottenere informazioni utili, almeno in prima approssimazione, a determinare in quale misura intervenire nelle diverse Municipalità individuando, in primis, quelle con una dotazione di servizi deficitaria. Al fine di rendere comparabili i dati numerici ricavati per le singole Municipalità, abbiamo determinato due parametri di riferimento generali, individuando due tipi di indicatori: il primo mette in rapporto i servizi analizzati, espressi in unità, con una medesima quantità di popolazione residente, determinata in centomila abitanti (unità/100000 abitanti); il secondo rapporta gli stessi servizi ad una determinata superficie di riferimento, esprimendo un valore di “densità territoriale” (unità/Km 2). A livello cittadino, la mappa così elaborata evidenzia in modo chiaro, anche visivamente, come la densità dei servizi aumenti in direzione della zona centrale della città. servizi del vicino NIL Duomo (circa 30 metri quadrati per abitante) o del NIL Brera (circa 11 metri quadrati per abitante). Per questi motivi abbiamo deciso di utilizzare, ai fini del nostro progetto, solo alcuni dei dati contenuti in questo studio. Più precisamente, abbiamo utilizzato i dati riguardanti la popolazione residente e quelli relativi alle superfici territoriali. Occorre sottolineare come, malgrado le numerose corrispondenze tra i Quartieri da noi segnalati e i NIL, il confronto tra i due lavori è stato effettuato solo al termine del processo di individuazione, per evitare di esserne condizionati. [6] Comune di Milano, Piano dei Servizi in Piano di Governo del Territorio, Dicembre 2009, Testo emendato a seguito della Delibera di adozione n. 25 seduta consiliare del 13-07-2010 terminata il 14-07-2010 152 Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto Come detto, il lavoro di mappatura effettuato ha uno scopo volutamente indicativo: in tal senso occorre interpretare la scelta, da parte nostra, di utilizzare i simboli al posto del linguaggio tecnico dell’urbanistica. Prima di elencare quali servizi si è scelto di prendere in considerazione, occorre fare una precisazione. Abbiamo deciso, nella nostra analisi, di non considerare tutti i servizi sullo stesso piano. In particolare, abbiamo ritenuto che alcuni fossero adeguati alla scala municipale mentre altri, a nostro avviso, dovrebbero far riferimento ad una scala maggiore: dovrebbe essere la Città Metropolitana, in sostanza, ad occuparsi della loro gestione. Per quanto riguarda i servizi di livello municipale, abbiamo deciso di segnalare la presenza di scuole, forze dell’ordine (Polizia di Stato, Carabinieri, Polizia Locale), uffici postali e centri sportivi. Per quanto concerne la seconda “categoria” di servizi, quelli di livello metropolitano, abbiamo ritenuto opportuno mappare i grandi parchi urbani, gli ospedali, la rete della cultura (teatri, musei e università), le caserme dei Vigili del Fuoco e le linee di trasporto pubblico. A proposito di queste ultime, occorre specificare come la nostra operazione di mappatura abbia preso in considerazione esclusivamente i tracciati della linea metropolitana (e del passante ferroviario) e i percorsi (attivi e non) dei tram. Questi due mezzi di trasporto, infatti, sono maggiormente “radicati” e vincolati al territorio. Abbiamo ritenuto, al contrario, che i percorsi del trasporto pubblico su gomma possano essere più facilmente “ridisegnati” alla luce della nuova divisione in Municipalità. Oltre ai servizi così individuati, abbiamo deciso di segnalare due elementi di interesse municipale che riteniamo possano essere in grado di caratterizzare il territorio e riattivare dinamiche virtuose all’interno delle Municipalità: i poli produttivi e le cascine. Per quanto riguarda i primi, in vista dei possibili e auspicabili sviluppi accennati in precedenza in merito al ripensamento del rapporto produzione-distribuzione-vendita, riteniamo controproducente svincolare totalmente la produzione industriale dal territorio. In merito alle cascine, d’altra parte, crediamo sia necessario, per i discorsi fatti ed in linea con il 153 Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto tema alimentare dell’Expo 2015, [7] una loro valorizzazione e, laddove necessario, un riutilizzo, sistematizzandole (vista la presenza numerica non trascurabile) in un discorso di “filiera corta” e orti urbani. [7] Vedi capitolo 3 154 Conclusioni CONCLUSIONI Nel corso dell’analisi effettuata si è fatto riferimento, come visto, a due differenti livelli: l’approfondimento, infatti, è partito dalla più ampia scala provinciale o, come è ormai il caso di chiamarla, la scala metropolitana, per giungere alla scala locale, ossia al livello comunale. L’analisi di livello metropolitano ha messo in luce, dal punto di vista territoriale, una serie di criticità relativamente all’area milanese. Le problematiche connesse all’aumento del consumo di suolo, come detto, sono di stretta attualità ed evidenziano l’urgenza di porre freno a un fenomeno che presenta dati allarmanti a livello nazionale, e ancora più critici nel caso dell’area in esame. In generale, la mancanza, fino ad oggi, di uno strumento normativo in grado di coordinare strategicamente lo sviluppo urbano del territorio a livello sovracomunale, ha determinato un aumento incontrollato dell’urbanizzazione e, quindi, del consumo di suolo. Il risultato è un’alterazione del territorio che non si traduce esclusivamente nella sua compromissione fisica, chimica e biologica, conseguente all’impermeabilizzazione dei suoli, bensì in una perdita altrettanto importante sebbene molto più difficile da quantificare: la perdita dei valori locali. Come detto, il problema principale non consiste tanto nel consumo di suolo, quanto nel suo errato utilizzo. Interpretare, anziché distruggere, i segni del territorio, permette di comprenderne le reali necessità: questo è possibile solo a patto di riportare l’attenzione sulla storia del territorio stesso. E’ solo partendo da queste basi che si può giungere ad una pianificazione intelligente, riducendo l’espansione urbana. L’analisi del sistema ambientale metropolitano, poi, ha evidenziato come gli strumenti normativi relativi alla tutela e alla salvaguardia del paesaggio restino di per sé insufficienti finché a essi non si accompagnino adeguate misure per la valorizzazione e la rigenerazione dello stesso. Le potenzialità dell’agricoltura, il suo essere in grado da una parte di porsi a presidio del territorio, mantenendolo in salute e consentendogli di rigenerarsi, dall’altra di rispondere alle concrete esigenze 155 Conclusioni legate al sostentamento della popolazione, evidenziano l’esigenza di un cambiamento di prospettiva. E’ necessario che le politiche territoriali assegnino al paesaggio un ruolo centrale nella pianificazione, considerandolo non più esclusivamente un oggetto da salvaguardare, in posizione subalterna e passiva rispetto al tessuto urbanizzato, bensì piuttosto come un soggetto di uguale importanza, in grado di produrre qualità e svolgere un ruolo attivo. Occorre, inoltre, che questo cambiamento operi, in sinergia, su tutti i livelli: solo “perseguire in modo integrato funzioni di riequilibrio urbanistico e ambientale consente di far evolvere sistemi regionali centro-periferici verso il concetto di bioregione urbana”.[1] Le criticità riscontrate in merito all’area metropolitana milanese hanno trovato terreno fertile, come è stato approfondito, nel sistema normativo: la mancanza di un adeguato livello di pianificazione intermedio, in grado di coordinare strategicamente lo sviluppo del costruito, e la conseguente delega del maggiore potere decisionale ai comuni, ha causato una crescita disordinata e frammentaria del territorio. Sebbene il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale operi ad un livello adeguato, la sua efficacia rimane limitata, dalla normativa, nel campo delle indicazioni. Inoltre, nonostante il PTCP milanese, [2] al netto delle osservazioni fatte, individui correttamente le problematiche dell’area provinciale, le strategie individuate, impostate sul policentrismo, sono vincolate da un’impostazione monocentrica. L’attuale suddivisione amministrativa, infatti, ha necessariamente obbligato il PTCP a considerare Milano come un unico elemento indivisibile, sproporzionato rispetto agli altri Comuni. Questa impostazione, esemplificata dal modello della Città Centrale e dei Poli Attrattori, impedisce l’elaborazione di una rete realmente policentrica, sbilanciando il sistema verso [1] A. Magnaghi, Dalla città metropolitana alla (bio)regione urbana in A. Marson (a cura di), Il progetto di territorio nella città metropolitana, Firenze, Alinea Editrice, 2006, p. 105 [2] Provincia di Milano, Adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale alla LR 12/05, Adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7 giugno 2012 156 Conclusioni il Comune di Milano. Il nostro lavoro pone le premesse per rivisitare le indicazioni del PTCP milanese. La scomposizione di Milano in Municipalità e l’istituzione della Città Metropolitana, infatti, consentono di reimpostare su basi più solide la struttura policentrica, consentendo un confronto paritario tra i Comuni. Con la nostra divisione, quindi, intendiamo suggerire una possibile rivisitazione delle polarità nell’area metropolitana milanese. La realizzazione di questi nuovi poli deve essere guidata da un’idea progettuale in grado di creare nuova qualità urbana e la progressiva cancellazione dell’idea stessa di periferia attraverso nuovi criteri di urbanizzazione capaci di migliorare l’ambiente urbano anche mediante la salvaguardia dei valori naturali. La cintura urbana acquisirebbe così potenzialità nuove e funzioni pregiate, veri nuovi motori della riqualificazione delle periferie della città e dell’hinterland e cesserebbe di essere il ricettore dei cascami della città centrale, ma al contrario potrebbe iniziare a selezionare le funzioni da insediare. Il mix di funzioni residenziali, produttive e di servizi, diffuso secondo uno schema multipolare della città ridurrebbe la quantità degli spostamenti casa-lavoro e quindi consentirebbe di affrontare su nuove basi i problemi del traffico, della congestione e dell’inquinamento. La città centrale, confermando e ampliando le proprie capacità produttive in alcuni settori di eccellenza, dovrebbe promuovere contemporaneamente il recupero di quei valori naturali la cui assenza ha contribuito sicuramente all’esodo di popolazione. La natura potrebbe lentamente ritornare nella città, riconquistandosi spazi per gli alberi, l’acqua e l’aria pulita.[3] Per questo motivo, dunque, occorre operare su due scale di riferimento, una di coordinamento, quella metropolitana, e una di intervento, quella municipale. Entrambi i livelli sono necessari, oltre che di pari importanza. Solo un’effettiva cooperazione tra di essi -condizione che può essere permessa dalla Città Metropolitana- può consentire l’attuazione di un [3] A. Boatti, Urbanistica a Milano, op. cit., p. 327 157 Conclusioni modello collaborativo di coordinamento del territorio. Il livello municipale consente di avvicinare concretamente i livelli decisionali alle reali esigenze degli abitanti, permettendo di realizzare forme più efficaci di partecipazione democratica. Come abbiamo avuto modo di verificare personalmente,[4] il tema della partecipazione è molto attuale e meriterebbe ulteriori approfondimenti, considerando le applicazioni possibili e il potenziale di questa pratica rispetto a un cambiamento nella vita quotidiana e nel rapporto con il proprio territorio. La scelta di operare in base a criteri storici e identitari, individuando in prima battuta i Quartieri e, successivamente, le Municipalità, è stata dettata dalla volontà di stimolare il senso di appartenenza e, quindi, la conoscenza del luogo. Riteniamo che quest’ultimo sia un fattore necessario per comprendere le esigenze del luogo e rispondere con interventi mirati, venendo incontro alle reali necessità di chi vi abita e generando, in ultima analisi, meccanismi virtuosi di creazione del senso di identità. Questa rinata attenzione non significa nostalgia per un modello di organizzazione sociale ormai passato, ma piuttosto preoccupazione per la salvaguardia di funzioni e di valori irrinunciabili, come i valori della solidarietà e le funzioni di integrazione delle diversità e di efficiente organizzazione dell’interazione interna ed esterna. I modelli di riferimento non sono San Gimignano o le città ideali del Rinascimento, ma grandi città immerse nella modernità che mantengono quelle funzioni e quei valori.[5] La divisione di Milano in Municipalità, dunque, non è esclusivamente una necessità burocratica e amministrativa ma [4] Il 27 Ottobre 2012, presso lo spazio ex Ansaldo, abbiamo partecipato ad un incontro pubblico organizzato dal Comune di Milano intitolato Le forme della partecipazione come motore per costruire nuove municipalità, in cui era presente, tra gli altri, l’Assessore al Decentramento del Comune di Milano Daniela Benelli [5] T. Pompili, Inquadramento e tendenze del sistema economico dell’area metropolitana milanese in Provincia di Milano, Il fattore territorio nel sistema economico milanese. Elementi per uno scenario metropolitano al 2020, Dicembre 2008, p. 34 158 Conclusioni si presenta, al contrario, come un’opportunità per sviluppare in modo migliore l’intero territorio, ottenendo al contempo un maggior coinvolgimento dei cittadini e una più intelligente gestione delle risorse. L’istituzione della Città Metropolitana, in questo senso, può dare la possibilità di ripensare il sistema della mobilità, limitando gli spostamenti inutili. Il decentramento amministrativo e la migliore distribuzione dei servizi, infatti, possono rappresentare la chiave di volta per risolvere, nel caso di Milano, i problemi di congestionamento e inquinamento, configurando una rete territoriale effettivamente policentrica. Nell’area milanese quindi è ormai urgente innescare un processo che dia vita a una sorta di circolo virtuoso dinamico in cui Milano e la sua area urbana si scambino risorse, perdendone ed acquisendone reciprocamente e dando luogo così a nuove e inedite occasioni di sviluppo. La città centrale deve riuscire a cedere quantità significative di fattori, congestionanti per essa, ma preziose occasioni di rilancio e riqualificazione per l’area urbana. Università, sanità e funzioni terziarie amministrative possono e devono essere collocate in nuovi poli strategicamente disposti lungo le linee di forza del trasporto collettivo, in luoghi di scambio intermodale con le direttrici fondamentali del trasporto privato. Il processo della creazione dei nuovi poli deve essere caratterizzato da flessibilità, plasticità, ricchezza di strutture e visibilità.[6] La costituzione della Città Metropolitana, inoltre, può rappresentare un’occasione per un ripensamento della filiera produttiva alimentare, creando nuovi orti urbani e sfruttando le cascine per migliorare l’offerta di prodotti a chilometro zero. La proposta di suddivisione in Municipalità presentata nel corso di questo lavoro, come visto, si basa soprattutto sull’individuazione di luoghi del vivere e del vissuto cittadino, e sulla volontà di incentivare pratiche di coinvolgimento sociale nella gestione e nell’utilizzo del territorio. Per questo motivo, a nostro avviso, questo lavoro dovrebbe essere seguito da un processo di “revisione partecipativa”, con l’intento di limare le [6] A. Boatti, Urbanistica a Milano, op. cit., p. 326 159 Conclusioni eventuali inesattezze nei limiti individuati e far emergere altre realtà nascoste. Come detto, il tema della partecipazione è di stretta attualità e sarebbe meritevole di una trattazione più approfondita. A proposito di questi temi, tuttavia, merita di essere citata l’esperienza delle Parish Maps britanniche, [7] con il coinvolgimento della popolazione locale nell’elaborazione di mappe non tecniche ma che rappresentano, in forma evocativa e simbolica, gli elementi identitari che gli abitanti reputano caratterizzanti rispetto al loro luogo di vita. In questo modo, realmente, sarebbe possibile effettuare un cambio di prospettiva, lavorando nella stessa direzione alla scala metropolitana e a quella locale. Importante è voltare pagina rispetto a quella politica dei progetti e delle iniziative immobiliari senza piano urbanistico generale che ha dominato la scena politico-amministrativa della nostra città. Milano merita che si riapra questa pagina per costruire un’immagine rinnovata della città che rifletta un senso nuovo e condiviso del ruolo che l’area metropolitana nel suo insieme può tornare a giocare in Italia e in Europa.[8] Solo quando sapremo conoscere e riconoscerci a fondo nel nostro territorio potremo effettivamente parlare di sviluppo sostenibile. [7] Sulle Parish Maps si veda S. Clifford, A. King, From Place to Place: Maps and Parish Maps, S.l., Common Ground, 1996 [8] A. Boatti, Urbanistica a Milano, op. cit., p. 335 160 161 Bibliografia Cronologica BIBLIOGRAFIA CRONOLOGICA Libri P. Mezzanotte, Itinerari sentimentali per le contrade di Milano, Milano, Banca Popolare di Milano, 1953 A. C. Doxiadis, Ecumenopolis: the inevitable city of the future, New York, Norton, 1974 F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo. Le strutture del quotidiano (secoli XV-XVIII), Einaudi, Torino 1982; tit. orig. Civilisation matérielle, économie et capitalisme (XVe- XVIII e siècle). 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Agli amici dell’Università, con cui abbiamo condiviso il nostro percorso, non solo didattico. Agli amici di sempre, sui quali, anche nei momenti più difficili, sapevamo di poter contare. Ai docenti, quelli che hanno lasciato un segno. Alla natura, che ci ispira. Un particolare grazie a nonna Annita che, arrivata da Genova, ha saputo osservare con fantasia questa città e se ne è innamorata, ispirando questo lavoro. (Filippo) Un grazie particolare alla mia terra d’origine, che mi ha insegnato come non dimenticare mai le proprie radici sia indispensabile per rispettare quelle degli altri. (Stefano)