politecnico di milano scuola di architettura e societa

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politecnico di milano scuola di architettura e societa
POLITECNICO DI MILANO
SCUOLA DI ARCHITETTURA
E SOCIETA’
Milano Città Metropolitana
Proposta per le nuove municipalità
Tesi di laurea di:
Filippo Bellati
Stefano De Pirro
Corso di Laurea in:
Paesaggi di Architettura
e sistemi ambientali
Matricola: 740157
Corso di Laurea in:
Progettazione dell’Architettura
sostenibile
Matricola: 740682
Relatore: prof. Antonello Boatti
A.A. 2011/2012
Indice
“Milano secondo Me”
Milano Città Metropolitana. Proposta per le nuove
Municipalità.
Indice
Premessa..............................................................................7
INTRODUZIONE. . .................................................................... 11
1_IL PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO
PROVINCIALE (PTCP).. ............................................................32.
-
1.1_Il livello ambientale............................................32
-
1.2_Il livello infrastrutturale.......................................37
-
1.3_Il livello economico............................................40
2_IL PROBLEMA DEL CONSUMO DI SUOLO. . ..............................45
-
2.1_Consumo di suolo, la situazione
attuale e le cause. . ...................................................45
-
2.2_Il sistema infrastrutturale...................................57
-
2.3_Verso una nuova soluzione normativa................64
3
Indice
3_GRANDI PARCHI E SISTEMI AMBIENTALI AGRICOLI,
RESTAURO DEL TERRITORIO.................................................. 71
-
3.1_Valore del verde e sistema dei parchi
dell’area milanese................................................... 71
-
3.2_Valore del verde agricolo.................................. 85
-
3.3_PCU e orti urbani............................................. 96
4_VERSO LA CITTA’ METROPOLITANA. . ...................................109
-
4.1_Quadro normativo, competenze e
autonomie locali.....................................................109
-
4.2_Austerity, centralizzazione in nome
del risparmio?........................................................ 111
-
4.3_La Città Metropolitana..................................... 114
5_LE NUOVE MUNICIPALITA’ DI MILANO. IL PROGETTO............123
-
5.1_I presupposti del lavoro...................................123
-
5.2_Il processo di divisione....................................148
-
5.3_Tavole di progetto in allegato
CONCLUSIONI........................................................... 155
Note bibliografiche............................................................163
Ringraziamenti
4
A Milano
Premessa
PREMESSA
La genesi di questo lavoro è la fondamentale e non più
trascurabile esigenza di rivitalizzare l’identità milanese, per il
territorio e per gli individui che lo abitano.
Milano città d’acqua, città di produzione, città viva.
Col passare del tempo l’acqua è stata nascosta, la produzione
si è slegata dal territorio, e al fascino della contrada, della vita
di strada, delle animate discussioni, si è preferita l’illusione
di una perfetta efficienza, da percorrere nel proprio abitacolo,
ermeticamente sigillati.
Questa situazione manifesta l’assoluta necessità di non
eliminare definitivamente i resti della città che fu bensì, al
contrario, di cercarli, valorizzarli e, dove possibile, ricollocarli
come centri della vita dei milanesi.
Il lavoro pone le basi per un ripensamento rispetto alle criticità
ormai croniche di Milano: la congestione automobilistica che
spesso affligge le vie di questa città, così come lo smarrimento
di chi imbocca le circonvallazioni con la speranza di non finire
nel “gorgo”, di chi, con l’angoscia della puntualità, ne percorre
le strade a occhi chiusi.
La soluzione elaborata consiste nella costituzione di nuove
“municipalità” che ricalchino la vera storia di questo territorio,
riscoprendo nomi e limiti del passato ma declinandoli in chiave
contemporanea e progressista. Un abbandono, quindi, delle
nove Zone amministrative attuali, dai confini artificiosi e ancora
radiocentrici.
Il cambiamento permetterebbe agli abitanti di curare la
diffusa ossessione di intrufolarsi nel centro della città come
spermatozoi alla ricerca della meta tanto desiderata.
L’intervento servirebbe a distogliere lo sguardo dall’antica
fortezza protetta da telecamere, ricordando che “il bello” può
essere anche a ridosso delle proprie abitazioni e facendo
riassaporare agli abitanti di Milano la vita di quartiere.
I benefici sarebbero percepiti anche dal turista, finalmente in
grado di scoprire la vera complessità di questa città, la sua
umanità, abbandonando il classico giro in centro, capace
esclusivamente di generare la convinzione che gli esseri
7
Premessa
autoctoni di questi luoghi siano esclusivamente piccioni
affamati e colletti bianchi incravattati e indaffarati a tornare al
proprio posto di lavoro.
Il progetto cerca di interpretare le esigenze e l’aspetto della
Milano del futuro: una commistione tra città e paese. Una
metropoli che riscopra la produzione e il consumo locale, che
valorizzi e premi la socialità e l’umanità di persone e luoghi. Che
riporti la campagna laddove il cemento ha avuto il sopravvento.
Una vera riscoperta del proprio territorio attraverso le sue
risorse naturali, abbattendo i confini tra urbano e rurale.
Una nuova “rete materiale” ricca di “cuori” pulsanti, in grado
di porre chi vi si trova immerso, nella condizione ottimale di
fruizione, percezione ed espressione.
Una città ricca di stimoli ma che non sovrasti la semplicità del
vivere, che aumenti l’offerta riducendo gli sprechi.
Una vera città sostenibile.
8
“[...] chi abbia un pò di amore per le memorie cittadine può
ancora ritrovarne le tracce disperse nel fitto groviglio del centro
abitato; e rivivere vecchie storie e leggende. E percorrendo le
strade superstiti nella cerchia segnata dal Naviglio interno, gli
parrà di risentire il brusio della città ottocentesca, cadenzato
dalle grida degli ambulanti e dallo strepito delle vetture
sull’acciottolato; e ritrovare la voce e ricomporre il viso della
Milano di un tempo sorvegliata dalle candide guglie del Duomo”.
Paolo Mezzanotte
Introduzione
INTRODUZIONE
1_Milano realtà complessa
Milano è una realtà complessa, dalle mille facce, dai mille
odori, accomunata da un unico colore: il grigio. Da sempre
crocevia di popoli e mercati, questo territorio è stato popolato
da lombardi, piemontesi, veneti, liguri, francesi, austriaci e, da
inizio ‘900, è stato meta dei flussi migratori provenienti dal Sud.
Non si può certo dire, oggi, che Milano e l’Italia siano un pari
esempio di integrazione riguardo agli stranieri, i quali trovano,
sempre più spesso, un sistema poco disposto all’accoglienza.
Questo melting pot di culture ha generato e modellato, nella sua
evoluzione storica, i tratti caratteristici degli abitanti di Milano.
C’è chi ha portato l’efficienza nel lavoro e chi l’arte di irrigare
la terra, chi il piacere per il buon vino e chi la consapevolezza
del valore del denaro, c’è poi chi ha contaminato il dialetto con
parole sbiascicate e c’è infine chi ha insegnato a mettere in
discussione l’ordine costituito. Le contraddizioni, le differenze,
le opposizioni – è innegabile - migliorano la “specie” ma,
soprattutto, suscitano interesse, generano fascino.
La stessa natura morfologica di Milano è complessa. Qui si
respira, o dovremmo dire si respirava, aria di montagna e aria
di mare allo stesso tempo, benché ci si trovi in pianura. Nelle
giornate terse le cime innevate si vedono e non sembrano poi
così lontane dalle antenne di Cologno. Nelle giornate aride si
suda, si mangia il pesce e a volte si vedono persino i gabbiani,
che dal mare risalgono il Lambro, un tempo in cerca di gamberi,
ora di discariche. Paesaggi diversi cuciti insieme dalle acque
che, dal Ticino e dall’Adda, passando da Milano, confluiscono
nel Po e sfociano nell’Adriatico.
E ancora, i navigli, sottili fili azzurri. Nel corso dei secoli lo
scorrere lento delle acque ha dato modo ai milanesi di
intraprendere lunghe riflessioni interiori ed è stato protagonista
di canti popolari, di leggende e di scene di vita uniche nel loro
genere. I barcaioli contemplavano la natura entrando in città,
la lavandaie chiacchieravano e cantavano spalla a spalla, gli
anziani guardavano, con placida curiosità, tutto ciò che lungo
11
Introduzione
quei canali passava, allo stesso modo in cui oggi sbirciano nei
cantieri.
E poi c’è la nebbia. L’umidità si alzava dai canali e invadeva
tutta la città. Nascondeva ogni cosa, le persone e gli edifici,
svelandoli improvvisamente. Un cornicione, un cappello, un
muso di tram. Una presenza quasi tangibile, in grado di far
perdere l’orientamento.
Sono stati tutti questi elementi a dipingere la tela di Milano e
a inspirare, nel tempo, innumerevoli artisti. Cantanti, letterati,
pittori e poeti, milanesi di nascita o d’adozione, hanno parlato
di questa città nelle loro opere, o ne hanno tratto ispirazione.
Da Nanni Svampa a Giorgio Gaber, da Enzo Jannacci a Elio e
le Storie Tese, da Bramante a Sironi, da Manzoni a Dario Fo,
solo per citarne alcuni.
La figura precedente: “Il pescatore sul Lambro”, zona Crescenzago
La nebbia dei Navigli
12
Introduzione
Il tram numero 4 nella nebbia
13
Introduzione
Tutto questo genera sentimenti vari e contrastanti. Oggi, però,
ce ne sono due più forti degli altri.
La rabbia, innanzitutto, che da sempre fa parte dei cromosomi
milanesi. Si dice che “non v’ha sasso di Milano che non sia stato
testimonio di baruffe”,[1] riferendosi a quelle contro i poliziotti
austriaci, così come a quelle interne, tra le varie bande. La
rabbia per un’insensata gestione del territorio, incurante del suo
passato e della sua natura, garante verso i grandi speculatori.
Immagine trarra dal cd “Studentessi” di Elio e le Storie Tese
[1] C. Romussi, Milano che sfugge, Milano, Libreria Milanese, 1991, p. 48
14
Introduzione
U na foto d’epoca della Fiera di Senigallia
15
Introduzione
La rabbia, si è detto, ma soprattutto la nostalgia: per quello
che un tempo era nascosto dal grigio vapore e ora è sotterrato
dal grigio cemento; per la vita che animava le strade e che
ora si è trasformata in un baccano di motori, imprecazioni e
clacson; per l’acqua che irrigava Milano e la riempiva di piccoli
“paradisi” e ora scorre nascosta sottoterra.
Occorre riscoprire la storia di Milano (in questo processo
possono essere i cittadini stessi a giocare un ruolo importante,
come dimostra la bontà di alcune interessanti iniziative di ricerca
pubblicate o condivise in rete) per sfruttare positivamente questi
sentimenti, trasformando la rabbia in energia e la nostalgia in
slancio verso il futuro.
A destra: Mario Sironi,“Periferia”, 1922
In basso: Vista dall’alto dei nuovi edifici di Garibaldi
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Introduzione
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Introduzione
2_Milano città d’acqua
Bonvesin de la Riva, scrittore e poeta lombardo del ‘200,
descriveva Milano come “lussureggiante città degli dei, entro la
quale scorrono acque vive naturali, eccellenti da bere, salubri
e così abbondanti in tutte le stagioni che in ogni casa, appena
decente, si trova una fonte viva, chiamata pozzo”.[2]
Il territorio milanese, un tempo inospitale e paludoso, è stato
trasformato, nel corso dei secoli, eliminando le paludi e
sfruttando le acque dei fontanili. Questo cambiamento è stato
reso possibile dall’ingegnoso sistema di gestione delle acque
sviluppato dai monaci giunti dalla Francia e stabilitisi nelle
abbazie di Chiaravalle e Morimondo. Un lavoro in grado di
affascinare e ispirare il genio di Leonardo da Vinci.
Nell’arco di un secolo, il dodicesimo, il territorio compreso tra
Milano, Lodi e Pavia fu radicalmente ricreato con l’escavazione
di quello che giungerà a Milano con il nome di Naviglio Grande
e che, prendendo le acque dal Ticino, si ricongiunge ad esso
passando per le terre di Gaggiano e Trezzano.
La costruzione del Duomo di Milano è stata l’occasione per
incrementare il tracciato dei navigli. Un’enorme quantità di
marmo proveniente dalle cave di Candoglia, sul lago Maggiore,
ai confini con la Valle d’Aosta, percorreva tutto il Naviglio
giungendo alle porte di Milano. Per consentire al materiale
di arrivare direttamente nei pressi della Fabbrica del Duomo,
venne realizzata la conca di Viarenna, che permetteva di
superare il dislivello tra la Darsena e la cerchia interna delle
acque, arrivando fino al Laghetto (oggi via Laghetto) alle spalle
del Verziere, a due passi dal Duomo.[3]
A metà Cinquecento, le nuove mura spagnole furono accostate
alla cerchia dei navigli, permettendo a questi ultimi di mantenere
la propria funzionalità e irrigare l’estesa fascia di orti presente,
per secoli, tra le mura cinquecentesche e la cerchia medievale.
Nella pagina seguente: Filippo Carcano, Il naviglio di via Senato,1870
[2] Bonvesin de la Riva, De Magnalibus Mediolani (1288), in F. Fava, A. Salvi,
I navigli del milanese, Milano, Libreria Milanese, 1994, p. 5
[3] Cfr. G. Denti, A. Mauri, Milano: l’ambiente, il territorio, la città, Firenze,
Alinea, 2000, p. 36
18
Introduzione
Ci si chiederà, a questo punto, che fine abbia fatto la
“lussureggiante città degli dei” di cui si sono accennati i tratti.
Nella seconda metà dell’800, la pressione espansionistica
della città iniziò a mettere in crisi questo “inefficiente” sistema:
con il piano Beruto del 1884 compare, per la prima volta,
l’indicazione di ricoprire i canali navigabili milanesi. Col regime
fascista, negli anni del primo dopoguerra, sullo slancio di una
visione moderna, efficiente e ad “alta velocità” ereditata dal
movimento futurista, l’intera cerchia interna dei Navigli venne
ricoperta dal manto stradale, privilegiando una città a misura
d’automobile.
In questo modo Milano –per dirla con Anna Salvi e Franco
Fava- “si è concessa il decadente lusso del rimpianto e della
nostalgia, ha steso una pietosa coltre di cemento sulle banali
ambizioni natatorie e si è ricamata addosso un pallido passato
[...]. Su questo passato ogni riflessione si stempera in favola”. [4]
Casa sul Naviglio Martesana, zona Crescenzago
Nella pagina accanto: villa sul Naviglio Martesana, Crescenzago
[4] F. Fava, A. Salvi, op. cit., p. 5
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Introduzione
Il legame tra i cittadini milanesi e i propri corsi d’acqua è
sempre stato molto forte. Lungo di essi, da sempre, si è
concentrata gran parte della vita quotidiana, dando vita a
tradizioni e aneddoti talvolta curiosi, come quello che racconta
dell’abbondanza dei gamberi portati dai pescatori, sul Lambro,
nel periodo tra la Pentecoste e San Martino. “Quella dei
gamberi rossi, da sgranocchiare cotti nel sale e l’erbabonna, è
tra le favole più belle, da raccontare nelle sere di inverno, riuniti
a semicerchio intorno al feticcio televisivo spento”.[5] Le storie
meneghine legate ai navigli sono realmente innumerevoli. Oltre
a scandire la vita degli abitanti in città, queste vie d’acqua si
presentavano come un elemento di identità rispetto all’intero
territorio, veicolando modi di vita e influenze artistiche. “Lo
scorrere dell’acqua annulla tempo, spazio e conseguenti
divisioni; se risaliamo l’alzaia da Milano sino alle origini del
Ticinello ritroviamo le stesse insegne in ferro battuto delle
osterie provenzali, e gli artigiani del rame ci offrono coppe
lavorate alla maniera etrusca. Il carattere lombardo chiarisce
bene influenze artistiche e somiglianze di modi di vita”.[6]
Il nostro lavoro non intende insistere sulla riapertura dell’intero
sistema dei navigli, tema abbondantemente discusso e già in
linea con i programmi dell’amministrazione comunale, bensì
trarre, da questa vicenda, alcuni spunti di riflessione.
Se da una parte l’intento di trasformare la città in una macchina
veloce ed efficiente, al passo coi tempi, salubre e funzionale,
ha certamente prodotto uno slancio iniziale in linea con le
aspettative, questo modello ha dimostrato, a lungo andare,
il proprio fallimento. I veri risultati generati da questa scelta
miope non sono altro che la crisi dell’identità milanese, non
ancora del tutto scomparsa, e la totale subordinazione della
città alla macchina, nemica dei pedoni, nemica dei polmoni.
L’abbandono dei navigli ha, in alcuni casi, “cristallizzato” e
conservato piccole realtà che ormai sembrano parlare di
tempi mai esistiti, in realtà non troppo lontani. E’ necessario
riconferire a questi luoghi la giusta importanza utilizzandoli,
[5] Ivi, p.8
[6] Ivi, p.14
22
Introduzione
come sassi lanciati in uno stagno, per restituire a questa città il
fascino che la contraddistingue.
Scorcio del Naviglio Martesana, zona Gorla
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Introduzione
3_Milano produttiva
Milano è da sempre un polo produttivo e di scambi molto
importante a livello nazionale e internazionale, capace di
attrarre e soddisfare molti lavoratori provenienti da tutte le parti
del mondo.
Con il passare degli anni, tuttavia, il sistema produttivo si è
modificato, spostando la maggior parte degli stabilimenti
al di fuori dei confini milanesi, se non di quelli nazionali. La
globalizzazione del mercato, inoltre, ha portato le aziende,
estere e non, a far prevalere sul territorio sedi logistiche
e distributive, conferendo a Milano una connotazione
principalmente commerciale.
La possibile mancanza di grossi investimenti economici
e l’assoluta necessità di ridurre gli sprechi di energia, si
presentano da una parte come un incentivo a ripensare il
rapporto produzione-distribuzione-vendita, riducendo sul
territorio le distanze tra questi livelli (“filiera corta”, prodotti a
chilometro zero), dall’altra come uno stimolo a proporre un
nuovo stile di vita più “a passo d’uomo”, più “slow”, più naturale,
in cui ridare importanza al vicinato, prendendo coscienza dello
spazio in cui si vive.[7]
In alto: Fabbrica di lavorazione del ferro, zona Vigentino
Nella pagina accanto: Industria dismessa sulla Martesana, viale Padova
[7] Cfr. A. Boatti, Urbanistica a Milano, Milano, Città Studi Edizioni, 2007, p.
328
24
Introduzione
4_L’area metropolitana milanese
Qualsiasi lavoro che abbia la benché minima pretesa di
affrontare le criticità della città di Milano non può prescindere
da un’analisi approfondita e attenta del suo intorno, più o meno
immediato. Considerare Milano come una monade delimitata
dagli attuali confini amministrativi, avulsa dal proprio contesto
e oggetto privilegiato d’analisi rappresenterebbe, oltre che
una scelta a dir poco anacronistica, un fondamentale errore di
prospettiva. Per questo motivo, al fine di comprendere a fondo
le complessità e le dinamiche relative allo sviluppo urbano,
appare necessario definire l’area metropolitana milanese.
Vista notturna dell’Europa
26
Introduzione
Con il termine area metropolitana si vuol fare riferimento a una
zona circostante un grande nucleo urbano, caratterizzato da
un’elevata capacità attrattiva nei confronti dei centri minori.
Questi ultimi manifestano determinate affinità con il nucleo
principale e sono a esso, oltre che reciprocamente, legati
da un certo numero di relazioni. Definire i limiti di un’area
metropolitana significa individuare, appunto, la quantità e il
tipo delle relazioni che in quest’ambito si instaurano. Queste
interazioni possono essere di tipo economico e funzionale:
entrambi questi aspetti rimangono, in ogni caso, subordinati
ad altre istanze. In particolare, la definizione di un’area
metropolitana si basa principalmente sulla condivisione di un
medesimo bagaglio storico-culturale, oltre che, ovviamente, su
un’attiguità geografica. Se considerassimo, infatti, solo l’aspetto
riguardante i rapporti economici e funzionali, delimitare
un’area metropolitana risulterebbe difficile. Nell’epoca della
globalizzazione economica e delle telecomunicazioni, infatti,
sembra quasi avverarsi, perlomeno sotto questo punto di vista,
l’Ecumenopolis teorizzata da Doxiadis, [8] con il configurarsi
di un’unica metropoli “immateriale” diffusa su tutto il pianeta.
Appare necessario, quindi, trovare dei differenti parametri di
riferimento.
Occorre ragionare, dunque, secondo due piani distinti, sebbene
interdipendenti. Da una parte il piano culturale, che prende in
considerazione i punti di contatto dal punto di vista sociale e
storico; dall’altra il piano fisico, basato sull’individuazione dei
limiti naturali entro i quali restringere il campo d’intervento e
sulla determinazione delle relazioni che, all’interno dei suddetti
limiti, si stabiliscono tra i vari elementi.
L’area metropolitana di Milano, così definita, potrebbe ricalcare
gli antichi confini dello Stato di Milano, come riportato sul
Catasto Teresiano del 1777. Nella nostra analisi si è deciso,
d’altra parte, di prendere in considerazione un’area più limitata,
cercando in ugual modo di mettere in evidenza confini naturali
ben definiti: a est il fiume Adda, ad ovest il Ticino, a sud il Pavese,
[8] Cfr. A. C. Doxiadis, Ecumenopolis: the inevitable city of the future, New
York, Norton, 1974
27
Introduzione
spingendosi a Nord fino al canale Villoresi. L’individuazione di
questi elementi non vuole essere un semplice pretesto per una
riduzione quantitativa dell’oggetto di analisi, bensì è possibile
ritenere, a nostro avviso, che questi confini naturali abbiano
contribuito in modo determinante, nel corso della storia, alla
creazione di una precisa identità culturale, di un “sentire
comune” ben riconoscibile. I comuni all’interno di quest’area
hanno una propria identità e dei centri storici di riferimento,
sono luoghi dell’abitare e del vivere. Succede, purtroppo,
che molto spesso non siano anche luoghi del lavorare, e che
questa funzione debba essere necessariamente demandata ad
altre realtà urbane dell’intorno. Questa situazione genera dei
flussi in uscita che finiscono per congestionare il sistema della
mobilità nel suo complesso, oltre che risultare inevitabilmente
in un impoverimento del nucleo stesso.
In alto: La “costellazione” dell’area milanese
Nella pagina seguente: Lo Stato di Milano, Catasto Teresiano, 1777
28
Introduzione
Il professor Giuseppe Dematteis sottolinea come all’incertezza
relativa all’individuazione dei confini si aggiungano perplessità
relative alla stessa individuazione di centri e gerarchie,
qualora ci volessimo soffermare sull’analisi funzionale di
queste forme urbane. Nella zona nord di Milano - fa notare
- è riconoscibile una morfologia urbana in cui, eccezion
fatta per il capoluogo, si riscontra la presenza di un tessuto
connettivo continuo che rispecchia in modo evidente un
sistema di connessioni funzionali. Questa situazione è sintomo
dell’avvenuto spostamento di determinate attività un tempo
situate esclusivamente nelle parti centrali dei centri urbani come uffici, commerci specializzati e centri fieristici - verso i
centri minori, lungo i tracciati e i nodi delle grandi infrastrutture
dei trasporti e delle comunicazioni.[9]
È come se i vecchi centri esplodessero, si frantumassero in
tanti pezzi sparsi su un vasto territorio, pur mantenendo tra loro
forti interdipendenze e creandone di nuove con l’esterno. Perciò
la letteratura specialistica non parla più di città ma di sistemi
territoriali urbani di diversa ampiezza o di regioni funzionali urbane
che coprono l’intero territorio. La geografia urbana ha dovuto negli
ultimi vent’anni inventare varie parole nuove per descrivere questa
dilatazione all’intero territorio di quelle che prima erano le maglie
serrate del tessuto urbano compatto. Si è parlato così di controurbanizzazione, di peri-urbanizzazione, di città diffusa o reticolare,
di centri di margine (edge cities) ecc. In passato, quando la città
veniva prima della rete, la si poteva pensare come un’entità a
sé stante, con un corpo fisico ben definito sede di una società
locale, dotata di una sua identità e quindi per sua natura capace
di agire come un soggetto collettivo. Oggi questa rappresentazione
personificata della città non è più realistica. La frammentazione
fisica, funzionale, sociale ed etnico-culturale che caratterizza tutti i
sistemi urbani, anche quelli minori, non ci permette più di pensare
la città come un’entità fisica e sociale di per sé unitaria. D’altra
parte non possiamo rinunciare all’idea che le città, per quanto
[9] Cfr. G. Dematteis, Prolusione sul tema “Verso la città-rete del terzo
millennio”, inaugurazione A.A. 1996/97, Politecnico di Torino (http://www.polito.
it/ateneo/grandi_eventi/inaugurazioni/1997/dematteis.html)
30
Introduzione
la loro struttura sia cambiata, possano continuare a comportarsi
come attori collettivi. Ciò significa che, sebbene l’identità urbana
non sia garantita dalla semplice coesistenza di più attori che
operano come “nodi” di reti sovralocali diverse, tale identità può
tuttavia essere costruita attraverso l’interconnessione di questi
“nodi” all’interno di un milieu locale attivo.[10]
Occorre quindi ripensare il ruolo dei centri urbani, tema che
verrà ripreso in seguito. E’ indispensabile, alla luce dei fatti,
un’analisi dell’area milanese nella sua totalità.
La “Rete della Storia” a livello milanese
[10] G. Dematteis, Prolusione sul tema “Verso la città-rete del terzo millennio”,
cit.
31
Il PTCP di Milano
1_IL PIANO TERRITORIALE
PROVINCIALE (PTCP)[1]
DI
COORDINAMENTO
Quando si parla di area milanese, a oggi, ci si riferisce
necessariamente ad un territorio che corrisponde a quello
della provincia di Milano. Lo strumento normativo di riferimento,
quindi, per quel che attiene al piano della pianificazione
nell’ambito sovracomunale, è il Piano Territoriale di
Coordinamento Provinciale.
Nello specifico, il PTCP del 2003, adeguato in seguito
alla Legge Regionale 12 del 2005[2] e adottato nel 2012,
rappresenta, pur nei limiti nelle funzioni ad esso conferite dalla
legge, un significativo passo in avanti in ordine alla presa di
coscienza delle problematiche legate all’area milanese, nonché
un tentativo di fornire delle risposte adeguate in tale ottica.
Partendo da un’analisi allo stato attuale dell’area provinciale, il
Piano propone una serie di misure volte a ripristinare, a livello
ambientale ed economico, la qualità del territorio, attraverso
l’utilizzo di strumenti urbanistici di tutela e indirizzo di carattere
sovracomunale.
1.1_Il livello ambientale
Per quanto riguarda l’aspetto legato alla salvaguardia e
alla
valorizzazione
dell’ambito
paesistico-ambientale,
l’adeguamento del PTCP propone l’utilizzo di meccanismi di
tutela in continuità con gli strumenti adottati dal Parco Sud.
Quest’ultimo, con l’individuazione dei cinque Piani di Cintura
Urbana (PCU) [3] per l’area di Milano, aveva già puntato
[1] Parlando di PTCP, in questo capitolo, si intende far riferimento a: Provincia
di Milano, Adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale
alla LR 12/05, Adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7
giugno 2012
[2] Regione Lombardia, Legge per il governo del territorio, L.R. n. 12 dell’11
marzo 2005, aggiornata al 10 Maggio 2012
[3] previsti da: Regione Lombardia, Deliberazione Giunta Regionale n. 7/818
del 3 Agosto 2000, Approvazione del piano territoriale di coordinamento del
32
Il PTCP di Milano
l’attenzione sulla necessità di riconsiderare il territorio agricolo,
e naturale in un senso più ampio, ritenendolo fondamentale
non solo in relazione al miglioramento della qualità della vita e
della salubrità dell’ambiente ma anche come punto base su cui
impostare uno sviluppo economico più sostenibile.
In quest’ottica, al livello sovracomunale, il PTCP riserva
particolare attenzione agli ambiti agricoli di interesse strategico.
A questi ultimi viene riconosciuto un ruolo primario, tanto da
essere inclusi tra le previsioni di piano aventi efficacia prevalente
e vincolante. A essi viene attribuito un importante carattere
multifunzionale. La loro peculiarità consiste, al contempo,
nell’essere una fondamentale risorsa fisica ed economica da
tutelare e valorizzare, nel possedere un ruolo primario relativo
all’aspetto produttivo dell’agricoltura, nell’avere un valore
paesistico-ambientale, oltre che educativo e di svago, nello
svolgere un ruolo di presidio rispetto al territorio.
Al di là delle definizioni e delle dichiarazioni d’intenti, tuttavia,
l’individuazione dei suddetti ambiti agricoli ha suscitato notevoli
perplessità. Ci si riferisce, in particolare, alle osservazioni
mosse dal consigliere d’opposizione Mezzi in merito alla scelta
di non includere, nella mappa dei vincoli, le aree agricole dei
parchi regionali presenti nel territorio provinciale milanese.
Malgrado l’assessore al Territorio Altitonante abbia giustificato
questa scelta ricordando come le tutele siano già affidate ai
piani dei vari parchi, occorre ricordare come, nel caso del Parco
Sud, questo equivalga a concentrare il potere decisionale
nelle mani del presidente dell’Ente, ossia del presidente della
Provincia.[4] E desta preoccupazione, a detta di Mezzi, viste le
recenti esperienze delle varianti parziali, che hanno consentito
Parco regione Agricolo Sud Milano (art. 19, comma 2, l.r. 86/83 e successive
modificazioni)
[4] Cfr. D. Carlucci, I. Carra, Allarme cemento per il Parco Sud. La Provincia
non ha fissato vincoli, «La Repubblica», 28 Ottobre 2011 (http://milano.
repubblica.it/cronaca/2011/10/28/news/allarme_cemento_per_il_parco_ sud_
la_provincia_non_ ha_fissato_vincoli 24002915)
33
Il PTCP di Milano
ai comuni di Rosate[5] e Vignate[6] di espandersi, sottraendo
territorio al Parco, l’intenzione, da parte della Provincia, di
attuare una variante generale al Parco Sud.[7]
Il PTCP prende atto dell’elevata artificializzazione del territorio
milanese, con il conseguente impoverimento ecologico,
proponendosi la restaurazione delle funzioni ecosistemiche
attraverso la progettazione di un sistema interconnesso di aree
naturali capaci di ripristinare livelli soddisfacenti di biodiversità.
In questo senso occorre interpretare la volontà, da parte
del Piano, di potenziare e riqualificare il sistema paesisticoambientale tramite la costruzione di un sistema a rete degli
spazi verdi articolato in una Rete Verde, nelle Grandi Dorsali
Territoriali, nel Sistema dei Navigli.
L’adeguamento del PTCP ha aggiornato la Rete Ecologica
Provinciale (REP), tenendo conto della Rete Ecologica
Regionale, inserita dal PTR tra le infrastrutture prioritarie e
strategiche per la Regione Lombardia. La REP risulta costituita
da due elementi principali: i Gangli, ossia ambiti territoriali
sufficientemente vasti e compatti che presentino ricchezza di
elementi naturali, e dai Corridoi Ecologici, fasce di connessione
territoriali dotate di un buon equipaggiamento vegetazionale.
Le finalità della REP sono in linea con quelle della Direttiva
“Habitat” della Comunità Europea, per la formazione di una
Rete Ecologica Europea (denominata Natura 2000).[8]
Per quanto riguarda la Dorsale Nord, il suo obiettivo è quello
[5] Provincia di Milano-Parco Agricolo Sud Milano, Deliberazione 32/2010,
Adesione all’Accordo di Programma promosso dal Comune di Rosate per
l’ampliamento dell’insediamento produttivo dell’azienda Schattdecor e
riqualificazione ambientale e paesistica di aree comprese nel Parco Agricolo
Sud Milano
[6] Provincia di Milano-Parco Agricolo Sud Milano, Deliberazione 46/2010,
Adesione all’Accordo di Programma promosso dal Comune di Vignate per
l’ampliamento del Centro Intermodale Soc Sogemar SpA e riqualificazione
ambientale e paesistica di aree comprese nel Parco Agricolo Sud Milano
[7] Pietro Mezzi, Il territorio della provincia è a rischio, difendiamolo, (http://
www.sellombardia.it/milano/ pagina.asp?id=3365)
[8] Consiglio d’Europa, Direttiva 21 maggio 1992, Conservazione degli
habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, recepita
in Italia dal DPR 357/97
34
Il PTCP di Milano
di ripristinare una continuità territoriale e una conseguente
riqualificazione ecologica sistematizzando, recuperando e
valorizzando gli ambiti non edificati nell’area compresa tra l’Adda
e il Ticino. A completare il mosaico degli strumenti urbanistici
di tutela del territorio, nonché per la sistematizzazione e la
continuità della Dorsale Nord, il Piano prevede l’istituzione di
Parchi Locali di Interesse Sovracomunale (PLIS), laddove
lo spazio si caratterizza come “residuale di un processo di
urbanizzazione esteso e diffusivo”.[9] La Provincia non istituisce
direttamente PLIS ma si limita a verificarne e riconoscerne, a
valle di una proposta di iniziativa comunale, il grado di interesse
sovracomunale. La Dorsale Verde Nord risulta così costituita
dai Parchi Naturali e regionali, dai PLIS, dai Siti di Importanza
Comunitaria (SIC) e dalle Zone di Protezione Speciale (ZPS).
A questo progetto territoriale si aggiungono le dorsali dei fiumi
Lambro ed Olona. Le Dorsali Est, Nord e Ovest, nelle intenzioni
del Piano, diventano così elementi ordinatori del territorio e di
gestione della trasformazione del paesaggio.
Il PTCP, inoltre, punta ad una riduzione del consumo di
suolo attraverso una qualificazione delle trasformazioni, la
densificazione della forma urbana e il recupero delle aree
dismesse o degradate.
Bisogna rilevare come, per quanto riguarda il sistema dei
Navigli, il Piano provinciale si proponga, sulla scia di quello
regionale,[10] l’obiettivo di salvaguardare e riqualificare il sistema
delle acque provinciali non accennando minimamente, d’altro
canto, al progetto di riapertura dei Navigli milanesi.[11]
Nella pagina seguente: Nostra elaborazione su “Ambiti destinati all’attività
agricola di interesse strategico”, tratto dal PTCP di Milano, 2012
[9] Provincia di Milano, Adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento
Provinciale alla LR 12/05, Adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale
n.16 del 7 giugno 2012, p. 21
[10] Cfr. Regione Lombardia, Piano Territoriale Regionale d’A rea Navigli
Lombardi (PTRA Navigli), approvato il 16 Novembre 2010
[11] Vedi: A. Boatti, E. Malara, Un progetto per la riapertura dei Navigli milanesi
35
Parchi Regionali
Ambiti Agricoli di interesse
strategico
Il PTCP di Milano
1.2_Il livello infrastrutturale
Anche per quanto riguarda le infrastrutture, l’obiettivo del Piano
di Coordinamento resta il rilancio della struttura policentrica,
attraverso la messa in rete dei centri del territorio provinciale
in un sistema unitario, articolato, costituito da insediamenti
urbani collegati da una fitta trama infrastrutturale, connessi da
un tessuto continuo di spazi verdi.
“Il piano persegue infatti” – si legge nella Relazione generale
– “l’obiettivo strategico di contrastare l’esistente schema
radiocentrico, privilegiando le connessioni trasversali,
ricostruendo trame pluridirezionali che recuperano le relazioni
territoriali in parte cancellate dallo sviluppo più recente, in
grado di valorizzare le potenzialità dei poli della rete”.[12]
Il PTCP sostiene come il principale punto di criticità del sistema
infrastrutturale della Provincia di Milano sia rappresentato dal
forte radiocentrismo nei confronti del capoluogo.
Rispetto al sistema stradale si nota come le direttrici principali
sono dirette verso Milano dove,
attraverso il sistema
tangenziale, avvengono le connessioni trasversali. La carenza
dello stesso tipo di collegamenti nelle fasce più esterne
rispetto alla città centrale determina fenomeni di congestione
e incidentalità lungo la rete. “Ciò è dovuto alla sovrapposizione
di spostamenti di natura diversa (lunga percorrenza, semplice
transito, intercomunali o locali) che impegnano i medesimi assi
stradali, per l’assenza di collegamenti alternativi o di una loro
precisa gerarchizzazione”.[13]
Questa situazione, ovviamente, non riguarda solo le direttrici
principali ma si riflette sulla maglia viaria diffusa.
Il Piano cerca di ricostruire un sistema stradale di livello
funzionale
intermedio
con
rilevanza
sovracomunale,
privilegiando le connessioni trasversali nell’ottica di rendere
più efficiente l’intero sistema dei trasporti provinciale.
Occorre ricordare come, in controtendenza rispetto a questi
[12] Relazione generale in Provincia di Milano, Adeguamento del Piano
Territoriale di Coordinamento Provinciale alla LR 12/05, Adottato con
deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7 giugno 2012, p. 6
[13] Ivi, p. 26
37
strade storiche.JPG
Il PTCP di Milano
obiettivi, negli ultimi anni siano stati previsti e sono attualmente
in fase di realizzazione, alcuni grandi progetti di carattere
infrastrutturale riguardanti l’area milanese. Ci si riferisce,
in particolare, all’Autostrada Pedemontana Lombarda, alla
Tangenziale Est Esterna Milanese (TEM) e alla Brebemi. Come
verrà approfondito in seguito, queste opere, piuttosto che
permettere spostamenti veloci e comodi ai cittadini, rischiano
di compromettere l’integrità del territorio, soprattutto in termini
di grandi sistemi ambientali e capacità di produzione agricola,
vitale per il territorio e per i suoi Comuni.
Rispetto al sistema del trasporto pubblico, in merito al quale
è possibile riscontrare lo stesso radiocentrismo verso il
capoluogo e la medesima scarsità di connessioni trasversali,
le strategie del Piano puntano a rafforzare le connessioni tra
il capoluogo e le aree più esterne tramite il potenziamento
della linea ferroviaria e la soluzione delle criticità strutturali nei
nodi. Si prevede, inoltre, di estendere le linee metropolitane
esistenti non solo verso la periferia, bensì oltre il territorio del
capoluogo, a servizio dei Comuni di prima cintura, attestando
le linee sui capisaldi del sistema policentrico provinciale,
costruendo infine le linee M4 e M5 e trasformando le linee
tranviarie interurbane in moderne metrotranvie.
In alto: Tracciato della “Brebemi”
Nella pagina a fianco: Indicazioni stradali, zona Bovisa
39
Il PTCP di Milano
Tracciato della TEM, Tangenziale Est Esterna di Milano
1.3_Il livello economico
Per quanto riguarda il livello economico, il Piano sostiene
come la capacità produttiva industriale e agricola non sia
più, al giorno d’oggi, il metro di giudizio su cui è possibile
determinare la capacità, da parte di una grande città, di essere
motore dell’economia globale ma come, al contrario, i valori
di riferimento siano divenuti l’innovazione, la conoscenza, la
capacità di inserirsi nel libero mercato mondiale; si spiega
come, per adattarsi a questi nuovi parametri, le grandi città
abbiano necessariamente dovuto modificare le proprie
dinamiche di funzionamento, trasformandosi in “città globali,
la cui capacità produttiva e di leadership è funzione della loro
massa, fatta di popolazione, attività economiche e intellettuali,
servizi alla impresa e alla persona in stretti rapporti fisici e
funzionali tra loro”.[14]
Il modello di riferimento, secondo il PTCP, deve essere quello
sviluppatosi nelle regioni del centro Europa, in cui la risposta
al declino del modello di città tradizionale si è concretizzata
[14] Ivi, p. 3
40
Il PTCP di Milano
nella valorizzazione della struttura policentrica territoriale,
impostando i cardini del sistema sulla sinergica connessione
dei centri urbani, potenziando le infrastrutture a rete, utilizzando
in maniera intelligente e cosciente il territorio, tenendo come
punto fermo il rispetto nei confronti dell’ambiente. Questa spinta
al policentrismo è avvenuta come reazione rispetto agli effetti
fortemente negativi causati dall’eccessiva concentrazione
nelle aree metropolitane, e ha comportato la riconferma della
struttura storica del territorio contro l’espansione indifferenziata
delle città-metropoli.
Le peculiarità dell’area milanese, quelle che tuttora le
consentono di mantenere una posizione di grande rilievo a
livello europeo, ossia la sua posizione geografica strategica,
i collegamenti, le capacità produttive e innovative nonché
lo stretto legame con il proprio territorio, sono le basi che,
opportunamente messe in gioco all’interno di una visione
sistematica, garantiscono, secondo il Piano di Coordinamento,
le potenzialità per riattivare i processi di crescita e sviluppo
dell’intera Regione urbana alla luce della nuova impostazione
policentrica.
“La visione del PTCP per la Provincia di Milano,” – si legge
– “come motore della Regione urbana milanese, è quella di
un grande sistema territoriale unitario, articolato e policentrico,
costituito da insediamenti urbani collegati da una fitta trama
infrastrutturale, multimediale e multidirezionale, e tenuti
insieme da un tessuto continuo di spazi verdi. L’obiettivo da
perseguire è quello di una città del terzo millennio (estesa,
aperta, continua, reticolare, urbana e rurale, attraversata da
flussi materiali e immateriali), inevitabilmente molto diversa
- per forma, dimensioni, caratteristiche - da quella storica
(chiusa, municipale, introversa), ma con la medesima capacità
di essere il terreno di coltura in cui cresce e si manifesta la
nostra civiltà e, in ultima analisi, prospera la nostra economia,
fondata – oggi, ancor più che in passato - sull’innovazione
dei prodotti e dei processi e sullo scambio delle merci e delle
informazioni”.[15]
[15] Ivi, p. 4
41
Il PTCP di Milano
In merito alla creazione di un sistema policentrico alla scala
provinciale, il PTCP adotta un sistema che prevede, alla base,
l’articolazione dei Comuni in tre categorie: la Città Centrale,
l’ambito esterno ad essa e i 13 Poli Attrattori.
La Città Centrale comprende, oltre a Milano, i Comuni di Assago,
Baranzate, Bresso, Buccinasco, Cernusco sul Naviglio, Cesano
Boscone, Cinisello Balsamo, Cologno Monzese, Cormano,
Corsico, Cusano Milanino, Novate Milanese, Opera, Pero,
Peschiera Borromeo, Pioltello, Rozzano, San Donato Milanese,
San Giuliano Milanese, Segrate, Sesto San Giovanni, Settimo
Milanese, Trezzano sul Naviglio, Vimodrone.
I 13 Poli Attrattori sono indicati dal Rapporto “Elementi per la
definizione delle polarità”, svolto nel 2010 dal Centro Studi PIM
in collaborazione con gli architetti Lisciandra e Fazzini,[16] sulla
base di due tipologie di indicatori: quelli quantitativi, relativi alla
presenza di nodi infrastrutturali del trasporto pubblico su ferro,
all’attrattività per gli spostamenti sistematici e alla dotazione di
servizi d’eccellenza, di beni storico-monumentali, di esercizi
commerciali di vicinato, di strutture ricettive; quelli qualitativi,
relativi a caratteri ambientali e socio-economici. I 13 Poli così
selezionati sono: Abbiategrasso, Binasco, Cassano d’Adda,
Trezzo d’Adda, Vaprio d’Adda, Castano Primo, Gorgonzola,
Melzo, Legnano, Magenta, Melegnano, Paullo, Rho.
Alla luce di questa strutturazione del territorio, le azioni previste
dal Piano sono finalizzate a: incrementare i servizi nei poli
intermedi ben connessi alla Città Centrale e ai centri urbani
contigui; potenziare e rendere più efficienti le infrastrutture
lungo le linee del ferro con la conseguente riduzione dei tempi
di viaggio; valorizzare l’interconnessione locale tra i diversi
poli; aumentare l’attrattività della residenza nei poli esterni
sfruttando una maggiore qualità urbana in relazione alle
specificità storiche e paesaggistiche; qualificare le aree verdi
intercluse tra i poli e ridurre le conurbazioni lungo le direttrici
principali al fine di favorire la riconoscibilità dei singoli centri
urbani.
[16] Centro Studi PIM, Rapporto per la definizione delle polarità, 2010
42
La Città Centrale e i Poli Attrattori come strategia territoriale della Provincia di Milano (vedere allegato)
Il PTCP di Milano
43
Il problema del consumo di suolo
2_IL PROBLEMA DEL CONSUMO DI SUOLO
2.1_Consumo di suolo, la situazione attuale e le cause
L’area milanese è uno dei territori con la più alta densità
abitativa in Europa. Per capire in che proporzioni questo dato
sia cresciuto negli ultimi decenni basti considerare che, solo
nel quinquennio dal 1999 al 2004, l’aumento registrato sia
stato pari al 5%.[1]
In seguito a questo incremento, e di pari passo con le dinamiche
precedentemente descritte, [2] con particolare riferimento
all’esplosione dei centri urbani e alla configurazione di una città
diffusa, il territorio ha subito un deciso processo di snaturamento.
Il rapporto di equilibrio tra nuclei urbani densamente costruiti
e ben delimitati, e campagna circostante, intensamente
coltivata e a essi legata da relazioni commerciali, si è andato
progressivamente sbilanciando. Dalla seconda metà del XX
secolo, in particolare, il cemento ha preso il sopravvento sul
paesaggio rurale, dilagando nella pianura. [3] Oggi la vita sociale
si è spostata dal centro cittadino, che una storia diversa, più
“lenta”, aveva designato come punto di riferimento, luogo
cruciale per la vita e le relazioni delle persone, agli asettici e
mastodontici centri commerciali, non luoghi per antonomasia,
ingombrante alternativa al piccolo commercio tradizionale.[4]
“Eh no, non so perché, perché continuano a costruire le case
e non lasciano l’erba”, cantava un celebre milanese a metà
degli anni ’60, [5] affrontando, con questo semplice, fanciullesco
interrogativo, un problema che proprio in quel periodo iniziava
[1] Cfr. Provincia di Milano, Consumo di suolo. Atlante della Provincia di
Milano, Quaderno n. 28, Collana Quaderni del Piano territoriale, 2009, p. 15
[2] Vedi capitolo 1.1
[3] Cfr. Provincia di Milano, Consumo di suolo. Atlante della Provincia di
Milano, op. cit., p. 15
[4] Per la definizione di nonluoghi vedi: Marc Augé, Nonluoghi. Introduzione a
una antropologia della surmodernità, Milano, Eleuthera, 1993
[5] A. Celentano, Il ragazzo della via Gluck, Etichetta Clan Celentano, 1966
45
Il problema del consumo di suolo
a manifestarsi in modo evidente. La situazione attuale ci
ripropone con forza quella domanda. Oggi il territorio milanese
si presenta disseminato di villette, grandi condomini, uffici e
capannoni. Molti di questi edifici, siano essi nuovi o fatiscenti,
in città o nei piccoli comuni, sono inutilizzati o versano in stato
di abbandono. Ciononostante, si continua a costruire.
Questa contraddizione invita a riflettere sulla natura del
fenomeno, su come il proliferare di cantieri non rappresenti la
logica risposta a reali esigenze abitative o ad imprescindibili
quanto ben delineati sviluppi urbani, bensì piuttosto si
configuri come il risultato di una serie di negligenze da
parte dell’amministrazione pubblica, poco lungimirante o
ancor peggio, come recenti vicende giudiziarie confermano,
profondamente collusa, la quale ha più volte rinunciato al
principio della buona amministrazione in cambio di tornaconti
più o meno personali, prestando il fianco ai desiderata dei
poteri forti del settore immobiliare.[6]
Il fenomeno, inoltre, è conseguenza diretta della situazione
attuale, dominata da una società consumistica e senza punti
di riferimento, smarrita e distratta da un luccichio che sembra
averle fatto perdere di vista le tradizionali dinamiche che, nei
secoli, hanno regolato il suo rapporto con il territorio.
Al di là delle contingenze specifiche, infatti, la trasformazione dei
suoli è solo la più vistosa ricaduta territoriale del nostro modello di
sviluppo, cioè una declinazione particolare della nostra società dei
consumi, fin qui basatasi sulla fiducia nella crescita indefinita, idea
che presuppone l’illimitata disponibilità delle risorse. Da tempo
questa idea mostra la corda. Continuando a prevalere in economia
il modello di sviluppo impostato sul consumo, e, data la centralità
dell’economia nel nostro sistema sociale, la nostra filosofia di vita
e le nostre linee di condotta finiscono concretamente per essere
condizionate da logiche consumistiche. È lecito chiedersi, vigendo
[6] A titolo di esempio, si riporta un articolo che stila la lista aggiornata dei
membri del Consiglio Regionale della Lombardia attualmente sottoposti ad
inchieste giudiziarie: Lombardia, da inizio legislatura 14 indagati al Pirellone, 10
Ottobre 2012, «AGI» (http://www.agi.it/dalla-redazione/notizie/201210101849cro-rt10288-lombardia_da_inizio_ legislatura_14_indagati_al_pirellone)
47
Il problema del consumo di suolo
tali logiche, perché mai dovrebbe il suolo non essere consumato al
pari di ogni altra cosa? […] Nelle società avanzate contemporanee
l’accesso al consumo, favorito dal crescente potere d’acquisto,
è divenuto non solo sempre più facile, ma venendo meno certi
retaggi pauperistici e remore indotte dall’arcaico modello
contadino (per il quale conservare è un valore e consumare solo
una necessità), è divenuto pratica sempre più disinibita, disinvolta,
pervasiva, socialmente preponderante. […] La raggiunta capacità
di trasformazione dell’ambiente operata dalla moderna tecnica e
industria hanno messo le società occidentali in grado di realizzare
un modello di sviluppo che ha assicurato sino ad oggi il godimento
di uno standard di vita privilegiato e dissipatore di risorse, possibile
perché riservato ad una minoranza della popolazione mondiale.[7]
Nella pagina precedente: Grattacielo abbandonato, zona Garibaldi
In alto: A Garibaldi si continua a costruire
[7] V. Algarotti, Presentazione in Consumo di suolo. Atlante della Provincia di
Milano, op. cit., p. 7
48
Il problema del consumo di suolo
Non si vuole, in questa sede, effettuare un’analisi della società
contemporanea dal punto di vista morale e sociologico, né
tantomeno propugnare un’inversione del suo modello evolutivo,
quanto piuttosto puntare l’attenzione sullo stato di fatto del
territorio, e specificamente sui danni prettamente ambientali
che queste tendenze provocano su di esso.
Il progressivo abbandono dell’attività agricola, rimasta in gran
parte legata a vecchi schemi e da molti erroneamente associata
ad uno “status” sociale inferiore, è forse una della cause maggiori
dell’impoverimento naturalistico e della cementificazione
dell’area milanese e lombarda. Il presidio contadino dei campi
e delle aziende agricole, infatti, rappresentava un elemento di
garanzia, in grado di mantenere in salute la terra e i paesaggi
di questa pianura, garantendo la produttività dei terreni e
fungendo così da dissuasore rispetto a logiche di occupazione
e frazionamento diffuso del territorio. Attualmente, le criticità
del settore agricolo sono da ricercare nella condizione di
precarietà in cui la maggior parte degli agricoltori si trova.
In particolare, nella provincia di Milano, questa situazione è
dovuta da una parte alla prevalenza degli affittuari rispetto ai
proprietari, dall’altra alle situazioni di marginalità territoriale
in cui si trovano molte superfici coltivate. Entrambi questi
fattori, infatti, sottraendo all’agricoltore gli stimoli necessari
per investire, lo rendono più vulnerabile rispetto alla spinta di
soggetti alla ricerca di operazioni speculative.[8]
La Lombardia, una delle regioni che presenta la maggior
percentuale di infrastrutture e superfici edificate d’Europa,
con la sua efficienza celebrata a ogni piè sospinto e la sua
straripante ricchezza, presenta un’allarmante penuria di suolo
libero, fondamentale per la biodiversità e la produzione agricola.
Questa condizione è frutto di una duplice manchevolezza:
da una parte non si è stati in grado di sviluppare, in tempo
utile, efficaci politiche di prevenzione rispetto al dilagante
fenomeno del consumo di suolo; dall’altra la normativa si è
rivelata carente nell’individuazione degli strumenti per la tutela
[8] Cfr. Stella Agostini, La voce degli attori: il sistema agricolo, in Provincia di
Milano, Il fattore territorio nel sistema economico milanese. Elementi per uno
scenario metropolitano al 2020, Dicembre 2008, p. 34
49
Il problema del consumo di suolo
e la salvaguardia dei grandi sistemi ambientali, adoperando
strategie tuttora difficili da trasportare dal piano teorico e quello
attuativo.
Attualmente, come illustrano i dati del 2009, si è arrivati
a cementificare il 35% del territorio provinciale milanese,
raggiungendo il 42% con la realizzazione dei volumi previsti dai
piani vigenti. Strumenti come il PTCP e i PGT di ogni comune
sono rivolti, a tal proposito, al mantenimento del consumo di
suolo al di sotto del 45% del territorio totale. Studi scientifici,
infatti, hanno posto il 55% come soglia limite di sostenibilità:
oltre questo valore non è più garantita una rigenerazione
ecologica e ambientale della stessa area.[9]
E’ singolare notare come, finora, nei metodi per il calcolo
del consumo di suolo, siano stati spesso conteggiati i dati
riguardanti una serie di opere di trasformazione del territorio,
come la riqualificazione urbana e l’arricchimento delle dotazioni
territoriali, la compensazione ambientale o la realizzazione di
infrastrutture e spazi verdi nei tessuti periurbani di margine
tra costruito e rurale, spesso spazi incompiuti e dimenticati,
generatori di criticità, come se questi fossero in grado di
rigenerarsi autonomamente.
E’ quantomeno semplicistico, infatti, credere di riuscire a
salvaguardare il territorio semplicemente lasciando liberi dei
terreni, aspettando che questi divengano automaticamente
portatori e diffusori di qualità naturalistica, richiamando
alla mente suggestivi scenari di “terzo paesaggio”.[10] Scelte
del genere, al contrario, possono portare solo ad un lento
abbandono e al degrado del poco suolo sopravvissuto.
Si evince, di conseguenza, la necessità di interventi di
gestione e programmazione per tali spazi, prevedendo
tanto una rivitalizzazione naturale e commerciale quanto un
ripensamento della loro connessione in un disegno più ampio,
al fine di sistematizzarli.
Le dinamiche territoriali degli ultimi cento anni, segnate dalla
[9] Cfr. P. Mezzi, Consumo di suolo e sostenibilità delle trasformazioni, in
Consumo di suolo. Atlante della Provincia di Milano, op. cit., p. 5
[10] Cfr. Gilles Clément, Manifesto del Terzo paesaggio, a cura di F. De Pieri,
S.l., Quodlibet, 2005
50
Il problema del consumo di suolo
delocalizzazione della produzione e dal forte incremento
degli spostamenti individuali seguito al boom della
motorizzazione privata, hanno portato ad un contrasto tra
sviluppo del costruito, del tutto comprensibile per certi versi,
e forme dell’urbanizzazione. Non si è riusciti, in particolare,
a comprendere appieno la portata che questi cambiamenti
implicavano nella gestione del territorio, in particolare in merito
al salto di scala necessario per intervenire correttamente in
sede di pianificazione e tutela.
A livello regionale, si inizia a ragionare e lavorare sul tema
del consumo di suolo a seguito delle indicazioni europee
enunciate nella Carta di Lipsia, sottoscritta dai ministri europei
del territorio nel 2007,[11] in continuità con documenti precedenti
quali il Quadro d’A zione per uno Sviluppo Urbano Sostenibile
nell’Unione Europea (Vienna, 1998) e lo Schema di Sviluppo
dello Spazio Europeo (Potsdam, 1999). L’attenzione viene così
focalizzata sull’importanza di adottare, in sede di pianificazione
e tutela, logiche e strumenti di livello sovracomunale. Sulla scia
di queste riflessioni, il Piano Territoriale Regionale riconosce
tra i suoi obiettivi tematici la limitazione della dispersione
insediativa e la tutela del territorio prossimo alle infrastrutture,
annunciando, al contempo, con il “TM2.13 Contenere il
consumo di suolo”, la volontà di recuperare i territori degradati
e le aree dismesse, razionalizzare, riutilizzare e recuperare le
volumetrie disponibili, controllare l’urbanizzazione nei pressi
dei grandi assi infrastrutturali, mitigare l’espansione urbana
grazie alla creazione di sistemi verdi e alla protezione delle
aree periurbane.[12]
La legge urbanistica regionale, pur introducendo, tra i propri
principi, “la minimizzazione del consumo di suolo”, [13] resta
ferma sul piano delle indicazioni, mancando nell’elaborazione
di proposte concrete e lasciando l’onere dell’applicazione di
[11] Cfr. Unione Europea, Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili, Lipsia,
2007, trad. it. a cura di ANCI IDEALI Fondazione europea delle città
[12] Cfr. Regione Lombardia, Documento di Piano in Piano Territoriale
Regionale, Luglio 2011, p. 74
[13] Regione Lombardia, Legge per il governo del territorio, LR n. 12 dell’11
marzo 2005, aggiornata al 10/05/2012, art. 8, comma 2
51
Il problema del consumo di suolo
questi obiettivi alle amministrazioni comunali, lasciate sole ed
in posizione isolata a fungere da argine rispetto alle pressioni
del settore immobiliare. Tra le modifiche più significative
correlate al tema del consumo di suolo, occorre rilevare la
modifica dell’articolo 43, [14] che introduce una maggiorazione del
contributo di costruzione per disincentivare la realizzazione di
interventi che sottraggano suolo agricolo, nonché l’introduzione
della Valutazione Ambientale Strategica.[15]
Per arrestare il progressivo consumo di suolo, inoltre, la legge
regionale ha introdotto il meccanismo della perequazione. Lo
strumento, con l’intento di salvaguardare e non compromettere
ulteriore territorio, consente di “trasportare” su un altro sito,
anch’esso edificabile, le cubature previste nel terreno quindi
lasciato libero.[16] Sebbene questo sistema risponda, come detto,
ad un problema urgente, e seppure il concetto sia certamente
interessante, occorre sottolineare come questo procedimento
di tutela si presti molto bene ad utilizzi inappropriati, finendo
troppo spesso col diventare un’arma a doppio taglio. E’
facile, infatti, e di conseguenza frequente, che si finisca per
addizionare questi indici “virtuali” ad altri siti edificabili, senza
tener conto tanto dell’inadeguatezza nel raggiungimento di
volumetrie così eccessive, quanto dell’improbabile impatto
visivo e dell’inserimento di questi edifici “dopati” all’interno di
contesti consolidati.
Appare corretto, inoltre, considerare anche le diverse
localizzazioni degli stessi terreni. Solo in questo modo è possibile
perfezionare in maniera corretta il concetto di perequazione,
permettendo a pianificatori e costruttori di accumulare indici
costruttivi, effettivi e virtuali, solo laddove una densificazione
dell’edificato sia consentita dalla presenza di servizi, funzioni
ed infrastrutture adeguati, e soprattutto laddove l’individuazione
delle aree risponda direttamente ad uno studio approfondito
delle dinamiche di sviluppo alla scala territoriale, piuttosto che
da scelte amministrative troppo spesso legate ad innescare
[14] Cfr. Ivi, art. 43, comma 2 bis
[15] Cfr. Ivi, art. 4
[16] Cfr. Ivi, art. 11
52
Il problema del consumo di suolo
meccanismi di rendita fondiaria.
A livello provinciale, occorre segnalare come le misure
previste dal Piano Territoriale di Coordinamento per contenere
il consumo di suolo riguardino la densificazione della forma
urbana, il recupero delle aree dismesse o degradate, il
completamento prioritario delle aree libere intercluse e in
genere di quelle comprese nel tessuto urbano consolidato e
la compattazione della forma urbana con la ridefinizione dei
margini. La localizzazione dell’eventuale espansione deve
avvenire in adiacenza al tessuto urbano consolidato esistente
e su aree di minor valore agricolo e ambientale escludendo,
nei limiti del possibile, i processi di saldatura tra diversi centri
edificati nonché gli insediamenti lineari lungo le infrastrutture.
Lo sviluppo del costruito, legato a determinati meccanismi di
contingentamento, dovrà seguire principalmente le maggiori
linee di forza del trasporto pubblico, concentrandosi in
prossimità dei Comuni individuati come Poli Attrattori. Lo
stesso discorso vale per la localizzazione delle grandi strutture
di vendita.
I dati che restano esclusi dal conteggio per il calcolo del
consumo di suolo sono relativi sia agli interventi realizzati
all’interno di contesti urbani consolidati, sia a quelli pubblici
di interesse generale nonché agli insediamenti di livello
sovracomunale.
Bisogna rilevare come, sebbene nel corso del processo di
adeguamento del PTCP del 2003 fosse stata individuata una
soglia massima per il consumo di suolo pari al 45% (come
viene esplicitamente ricordato nel Quaderno n. 28 sul Consumo
di Suolo),[17] la quale avrebbe rappresentato un’importante e
positiva novità in Italia, di tale indicazione non risulti traccia
nella versione definitiva del Piano.
In generale, è possibile riscontare una visione miope, se non
ipocrita, da parte di chi, cavalcando le pur corrette teorie
“neoriformiste”, considera, in nome del conseguimento di un
minore consumo di suolo, la densificazione urbana come una
[17] Cfr. Provincia di Milano, Consumo di suolo. Atlante della Provincia di
Milano, op. cit., p. 27
53
Il problema del consumo di suolo
sorta di panacea, unico mezzo possibile per riottenere “città
compatte” e contrastare la diffusione dell’urbanizzazione,
legittimando indici dei volumi edificabili incredibilmente
elevati. La densificazione può risultare utile, infatti, laddove
non si sovrappongano altri problemi dovuti a dinamiche più
complesse, come i flussi congestionati di città consolidate e già
sufficientemente dense rispetto ai servizi presenti e agli standard
urbanistici, il più delle volte non adeguati al raggiungimento
di una consona qualità della vita. Lo scetticismo su questo
tema deriva anche dalla constatazione che il neoriformismo
non sia l’unica soluzione possibile per lo sviluppo delle nuove
città, e che ci siano invece altre teorie alternative all’attuale
modello urbano, talune che addirittura ne destrutturano la
forma, promuovendo l’idea di comunità o più semplicemente
l’importanza della libertà del singolo, in particolare delle sue
possibilità di modificare direttamente il suo contesto attraverso
l’esaltazione della creatività.[18]
In ogni caso, come ricorda Antonello Boatti, bisogna intervenire
su molteplici livelli. Non è possibile, infatti, immaginare una
soluzione limitata al livello comunale. Solo una pianificazione
territoriale di scala metropolitana può consentire una ponderata
distribuzione dei carichi insediativi, considerati in relazione al
sistema della mobilità e a quello della produzione, ed ottenere
quindi una reale riduzione del “consumo di suolo”.[19]
Per questo motivo occorre delineare con precisione cosa si
intenda nel parlare di “consumo di suolo”, e a cosa, invece, ci si
riferisca quando se ne riscontra un utilizzo inappropriato.
Un problema gravissimo è sicuramente la cementificazione
che, come detto in precedenza, ha raggiunto dei livelli
insostenibili e sta realmente compromettendo la naturale
essenza e produttività del territorio. Questo è indubbiamente
una questione da anteporre a qualsivoglia discorso economico.
Non si tratta, infatti, della sopravvivenza della terra stessa,
che ha un nucleo ben più profondo del livello superficiale che
[18] Cfr. C. Bianchetti, Abitare la città contemporanea, Milano, Skira, 2003
[19] Cfr. A. Boatti, Urbanistica a Milano, Milano, Città Studi Edizioni, 2007, pp.
129-130
54
Il problema del consumo di suolo
andiamo a compromettere, bensì della conservazione della
nostra specie. Le dinamiche attuali, infatti, stanno distruggendo
l’ambiente in cui gli esseri viventi abitano, eliminando la
vegetazione che fornisce aria ai loro polmoni e la terra che
produce gli alimenti primari per il loro sostentamento, oltre alla
poesia con cui questi territori alimentano l’anima degli uomini,
elevandoli e differenziandoli dalle altre specie viventi.
Isaac Cordal, Street Art
55
...a oggi il Consumo di Suolo ha raggiunto quasi il 40% della superficie totale (vedere allegato)
Il problema del consumo di suolo
56
Il problema del consumo di suolo
2.2_Il sistema infrastrutturale
Il problema del consumo di suolo è particolarmente connesso
con la questione infrastrutturale. Attualmente, in Lombardia,
sono previste (o già in fase di realizzazione) tre grandi opere
infrastrutturali con l’obiettivo di risolvere, almeno in parte, i
problemi di mobilità dell’area. Ci si riferisce all’Autostrada
Pedemontana Lombarda, alla Brebemi e alla Tangenziale Est
Esterna Milanese (TEM). I cantieri di queste opere -vale la pena
ricordarlo- rischiano attualmente di essere bloccati, laddove i
lavori sono già iniziati, o di non partire nemmeno, negli altri
casi, a causa delle difficoltà economiche delle società coinvolte
e della Provincia di Milano.[20]
Si tratta di opere viabilistiche di livello regionale, che incidono
fortemente sul territorio. Oltre a provocare un nuovo consumo
di suolo, occupandolo fisicamente e cementificando per la
costruzione dell’opera stessa, le infrastrutture agiscono in
modo più profondo sul territorio, provocandone un’alterazione.
Esse, infatti, non incidono sul consumo di suolo esclusivamente
con il tracciato effettivamente edificato bensì anche con le
strutture di “completamento”, quali svincoli, centri commerciali
e industrie. Inoltre danneggiano fortemente il territorio,
frazionando e compromettendo alcune aree, riducendo gli
spazi per attività agricole che necessitano di grandi superfici e
pregiudicando i sistemi insediativi, con particolare riferimento
a quelli residenziali vicini al tracciato. L’impatto è reso ancora
più accentuato se consideriamo che “una porzione vastissima
del territorio nazionale è paesaggio agrario, segnato da
una millenaria civiltà contadina, che si intreccia in modo
inestricabile con la cultura delle élite: il paesaggio plasmato
dalla vanga è lo stesso che fu rappresentato dai pittori ed
esaltato nel Grand Tour”. [21] Gli svincoli stradali, poi, sono
[20] Per un ulteriore approfondimento sull’argomento, si rimanda a: Luca
Pagni, Rischio crac per le autostrade lombarde, «La Repubblica», 3 Dicembre
2012 (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/12/03/
rischio-crac-per-le-autostrade-lombarde.html?ref=search)
[21] S. Settis,
Repubblica», 26
DDL sull’agricoltura. Paesaggio in pericolo, «La
Ottobre 2012 (http://ricerca.repubblica.it/ repubblica/
57
Il problema del consumo di suolo
ulteriori cicatrici nel territorio che, in mancanza di adeguate
misure di compensazione, compromettono in maniera assoluta
il suolo, rendendolo inagibile per qualsiasi attività.
A questo proposito, le indicazioni europee contenute nella
Carta di Lipsia, sottoscritta dai ministri europei del territorio
nel maggio 2007, sottolineano la necessità di una maggiore
interazione tra architettura, pianificazione infrastrutturale e
urbanistica, alla scopo di migliorare la qualità degli spazi
pubblici, raggiungendo uno standard elevato in termini di
ambiente di vita.[22]
L’introduzione dell’obbligo di compensazione ambientale in
merito alle infrastrutture strategiche è stata determinata,
in Italia, dalla legge numero 443 del 2001, [23] mentre un
successivo decreto ne ha precisato le modalità. In particolare,
si stabiliva un tetto massimo di spesa, per gli interventi di
mitigazione e compensazione ambientale, pari al 5% del costo
totale dell’opera.[24] Il Codice dei Contratti Pubblici, approvato
in seguito mediante il decreto legge 163 del 12 Aprile 2006, ha
ridotto al 2% la percentuale massima da destinare alle opere
compensative e mitigatrici dell’impatto ambientale.[25]
Analizzando i dati di spesa dell’Autostrada Pedemontana
Lombarda è possibile riscontrare come, nel caso di questa
grande infrastruttura, il cui progetto preliminare risale al marzo
2006, [26] la percentuale utilizzata per realizzare le necessarie
archivio/repubblica/2012/10/26/ddl-sullagricoltura-paesaggio-in-pericolo.
html?ref=search)
[22] Cfr. Unione Europea, Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili, op.
cit.
[23] Cfr. Legge n. 443 del 21 Dicembre 2001, Delega al Governo in materia
di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il
rilancio delle attività produttive
[24] Cfr. Decreto Legislativo n. 190 del 20 Agosto 2002, Attuazione della
legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli
insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale
[25] Cfr. Decreto Legislativo n. 163 del 12 Aprile 2006, Codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Direttive 2004/17/
CE e 2004/18/CE, art. 165, comma 3
[26] Prima, quindi, dell’approvazione del D.L. 163/2006
58
Il problema del consumo di suolo
opere di mitigazione e compensazione ambientale sia stata
pari al 3% del budget complessivo.[27]
Proprio a proposito delle grandi infrastrutture, bisogna rilevare
come, nel Maggio 2008, la Regione Lombardia abbia approvato
la Legge “Infrastrutture di interesse concorrente statale e
regionale”. Lo scopo di questa normativa è duplice: da una parte
si intende velocizzare l’iter procedurale per la realizzazione
delle infrastrutture strategiche, in particolare la Pedemontana,
la Brebemi e la Tangenziale Est Esterna Milanese; dall’altra, si
dichiara l’intenzione di valorizzare le aree attigue ai tracciati, al
fine di ammortizzare più facilmente gli investimenti. In sostanza,
si tratta di un meccanismo che avvantaggia il costruttore
permettendogli di localizzare insediamenti a complemento
dell’infrastruttura stessa.[28] “Si tratta dell’ennesima disputa fra
attenzioni all’ambiente, e necessità di sviluppo del territorio,
dalla quale uscirebbe rafforzato il fenomeno degli outlet,
dei cinema multisala, dei centri commerciali e logistici”. [29] Si
specifica, in ogni caso, l’obbligo che tali interventi, “qualora
implichino l’estensione dell’area oggetto della concessione,
siano compensati da adeguate e proporzionate opere e misure
mitigatrici dell’impatto ambientale, territoriale e sociale”[30]
Attualmente, presso la Commissione Territorio della Regione
Lombardia, è allo studio il progetto di legge 146 bis, con
l’intento di modificare la legge regionale 9 del 2001, recante
disposizioni in materia di “Programmazione e sviluppo della
rete viaria di interesse regionale”. Nello specifico, si interviene
[27] La percentuale è stata ottenuta incrociando i dati relativi al costo
totale dell’opera reperibili sul sito ufficiale di Autostrada Pedemontana
Lombarda. Costo totale dell’opera pari a 5 miliardi di euro, di cui 4,1
destinati alla costruzione dell’infrastruttura vera e propria. 150 milioni sono
stati destinati alla realizzazione di opere di compensazione e mitigazione.
(http://www.pedemontana.com/news_view.php?id=158)
e
(http://www.
pedemontana.com/compensazioni_ ambientali.php)
[28] Cfr. Regione Lombardia, Legge Regionale numero 15 del 26 Maggio
2008, Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale
[29] Provincia di Milano, Consumo di suolo. Atlante della Provincia di Milano,
op. cit., p. 26
[30] Cfr. Regione Lombardia, Legge Regionale numero 15 del 26 Maggio 2008,
Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale, art. 10, comma 3
59
Il problema del consumo di suolo
L’iter normativo in merito alle infrastrutture
sulla normativa precedente aggiungendo alcune modifiche. In
particolare, si consente, “favorendo il tal senso il concessionario
di autostrada regionale, che affronta onerosi investimenti per
la realizzazione dell’opera […] che siano considerati parte
integrante della stessa gli interventi i cui margini operativi
di gestione possono contribuire all’abbattimento del costo
dell’esposizione finanziaria dell’iniziativa complessiva”.[31]
In sostanza, si rendono edificabili i terreni in prossimità dei
tracciati viari, con lo scopo di consentire ai costruttori di
[31] Cfr. Regione Lombardia, Progetto di Legge n. 146 bis, presentato il 12 Aprile
2012, Modifiche alla legge regionale 4 maggio 2001 n. 9 ‘Programmazione e
sviluppo della rete viaria di interesse regionale’ – Ampliamento dei contenuti
della concessione di autostrada regionale e costo delle opere e misure
compensative, su iniziativa del Presidente della Giunta Regionale
60
Il problema del consumo di suolo
rientrare dei propri investimenti. Bisogna specificare come
di solito, per le opere infrastrutturali, il costruttore agisca in
project financing, ammortizzando cioè il costo dell’investimento
mediante gli incassi legati alla gestione successiva dell’opera.
Questo comporta una valutazione preventiva della domanda
di traffico, in virtù del fatto che il piano di rientro è fondato sul
pagamento del pedaggio. “Rendere edificabili le aree limitrofe
per rientrare del capitale impiegato significa, invece, scogliere
questo nesso, con il rischio di ritrovarci autostrade che portano
direttamente a centri commerciali o, al contrario, di costruire
infrastrutture ogni volta che si voglia valorizzare in termini
immobiliari un territorio”.[32] Non si tratterebbe più, quindi, di
calcolare la domanda di traffico esistente ma di crearla.
Il progetto di legge, inoltre, fissa al 5% la percentuale massima
del costo totale dell’opera da destinare alle opere compensative
e mitigatrici dell’impatto ambientale. Ci si trova, quindi, in
sostanziale controtendenza rispetto al resto dell’Europa, in
cui questa percentuale si colloca solitamente all’8%.[33] Infine,
l’articolo 19 bis stabilisce che “tale percentuale è determinata
in relazione al valore ambientale del territorio, alla tipologia
dell’opera e in misura inversamente proporzionale all’intero
costo dell’opera”.[34] Si pone nettamente in secondo piano, quindi,
la questione ambientale, incentivando i costruttori a realizzare
opere di impatto sempre più devastante per il territorio.
[32] C. Pracchi, Consumo di suolo, La Lombardia discute una
legge. Per costruire di più, «Il Fatto Quotidiano», 2 Ottobre 2012
(http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/02/leuropa-contro-consumo-di-suoloma-in-lombardia-pronta-legge-per-costruire-di-piu/370676/)
[33] Cfr. C. Pracchi, Consumo di suolo, La Lombardia discute una legge. Per
costruire di più, art. cit.
[34] Cfr. Regione Lombardia, Progetto di Legge n. 146 bis, presentato il 12
Aprile 2012, cit., art. 19 bis, comma 2
61
Il problema del consumo di suolo
Volantino di un comitato di protesta contro la TEM
62
...e Nuove Infrastrutture potrebbero comprometterlo ulteriormente (vedere allegato)
Il problema del consumo di suolo
63
Il problema del consumo di suolo
2.3_Verso una soluzione normativa
Il tema del contenimento del consumo di suolo e della
valorizzazione delle aree agricole è stato affrontato, di recente,
dall’esecutivo presieduto da Mario Monti. Il Governo, infatti, ha
approvato un disegno di legge quadro presentato dal Ministro
delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con
gli altri Ministeri competenti, “in materia di valorizzazione delle
aree agricole e del contenimento del consumo di suolo”.[35] Il
Governo riconosce la gravità della situazione attuale e, al fine
di contenere la “febbre del cemento” di calviniana memoria,[36]
elabora alcune significative modifiche nella normativa in merito
a questa materia. In particolare, il ddl introduce alcune misure
puntuali ed uno strumento di portata generale.
Per quanto riguarda le prime, si introduce il divieto di cambiare
la destinazione d’uso dei terreni agricoli che hanno usufruito di
aiuti statali o comunitari, introducendo rilevanti sanzioni in caso
di trasgressione.[37] Si attribuisce priorità, nella concessione
di eventuali finanziamenti statali o europei, ai comuni che
abbiano intrapreso un processo di recupero dei propri nuclei
abitati rurali.[38] Si istituisce un registro degli enti locali più
virtuosi in relazione al contenimento del consumo di suolo
agricolo.[39] Si abroga,[40] infine, la normativa che autorizzava i
comuni ad adoperare una parte delle entrate relative agli oneri
di urbanizzazione per il finanziamento della spesa pubblica.
L’ultimo punto, in particolare, merita attenzione. Questo
meccanismo, infatti, se da una parte accontentava i cittadini
diminuendo l’importo delle tasse, dall’altra azionava delle
[35] Cfr. Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree
agricole e di contenimento del consumo del suolo, approvato il 14 Settembre
2012
[36] Cfr. Italo Calvino, La speculazione edilizia, Milano, Mondadori, 2000
[37] Cfr. Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree
agricole e di contenimento del consumo del suolo, approvato il 14 Settembre
2012, art. 3
[38] Cfr. Ivi, Art. 4
[39] Cfr. Ivi, Art. 5
[40] Cfr. Ivi, Art. 6
64
Il problema del consumo di suolo
dinamiche che finivano inevitabilmente per avvantaggiare le
imprese coinvolte nelle lottizzazioni. Il comune, in pratica, non
avendo a disposizione i fondi per realizzare i servizi necessari
alle nuove edificazioni, si trovava costretto a delegare le
opere di urbanizzazione primaria e secondaria alle imprese
stesse, concedendo loro in cambio premi in termini di superfici
edificabili.[41] Allo stesso tempo, d’altra parte, con gli attuali
tagli agli enti locali previsti dalla cosiddetta spending review,[42]
è lecito prevedere come i comuni, non potendo utilizzare gli
introiti derivanti dagli oneri di urbanizzazione, finiscano per
essere più vulnerabili alle pressioni del settore immobiliare.
La novità più rilevante, però, riguarda indubbiamente lo
strumento di pianificazione generale. Il disegno di legge
attribuisce allo Stato il compito di determinare, con cadenza
decennale, “l’estensione massima di superficie agricola
edificabile sul territorio nazionale”. [43] Per ottenere questo dato,
il Governo istituisce un Comitato al quale viene richiesta la
presentazione di un rapporto annuale relativo al consumo
di suolo agricolo a livello nazionale oltre alla rilevazione dei
cambi di destinazione d’uso dei terreni. [44] Si tiene conto,
in definitiva, del terreno agricolo disponibile, di quello già
edificato, degli immobili inutilizzati, nonché della domanda di
case e infrastrutture, quantificando in questo modo la superficie
agricola edificabile nazionale. Questa estensione massima
viene successivamente ripartita tra le Regioni, le quali devono
provvedere a suddividerla tra i comuni, tenendo conto della
popolazione residente.
Occorre rilevare, innanzitutto, come, malgrado il disegno
[41] Cfr. R. Lungarella, Uno stop al consumo di suolo, «Il Fatto Quotidiano»,
14 Ottobre 2012 (http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/14/stop-al-consumodi-suolo/381990)
[42] Decreto Legge n. 95 del 6 Luglio 2012, convertito in Legge, con
modificazioni, dalla Legge n. 135 del 7 Agosto 2012, Disposizioni urgenti per
la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini
[43] Cfr. Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree
agricole e di contenimento del consumo del suolo, approvato il 14 Settembre
2012, art. 2, comma 1
[44] Cfr. Ivi, Art. 2, comma 5
65
Il problema del consumo di suolo
di legge manifesti nelle intenzioni la volontà condivisibile di
valorizzare le aree agricole e limitare il consumo di suolo, nella
pratica rischi di non arrestare l’avanzata dello stesso, aprendo
scenari anche peggiori di quelli attuali.
Innanzitutto, come suggerito da Lungarella, una misura utile
potrebbe essere quella di prevedere l’ attuazione totale dei
piani vigenti come condizione necessaria all’aggiunta di nuove
aree edificabili (nel caso della Provincia di Milano il PTCP fissa
tale soglia all’80%).[45] “In questo caso” – sostiene – “anche le
aree già trasformate in edificabili dal PRG, sfuggirebbero alla
dissennata cementificazione finché non vi fossero reali bisogni
da soddisfare e non fosse possibile farlo in altro modo”.[46]
Si potrebbe anche pensare di istituire un organismo di
controllo, di livello regionale o provinciale/metropolitano,
incaricato di revisionare i piani regolatori dei singoli comuni,
per consentire, laddove si riscontrassero delle previsioni errate,
una ridestinazione d’uso delle aree non ancora edificate.
Il professor Settis riscontra come, già nell’articolo 1, si
cada nell’errore di definire come terreni agricoli “quelli che
sono qualificati tali in base a strumenti urbanistici vigenti”,[47]
legittimando in tal modo
[…] piani regolatori comunali spesso revisionati al ribasso per
rendere edificabili le aree agricole. La norma identifica la causa
del guasto ma anziché sgominarla la consolida assecondando le
decisioni di ogni Comune, come se non sapessimo che il maggior
nemico del paesaggio non è più l’abusivismo, bensì una forma
più cinica di devastazione, che segmenta all’infinito le norme
subdelegando ai Comuni decisioni essenziali, e in tal modo rende
“legittima” ogni nefandezza, anche contro la Costituzione.[48]
Nella pagina seguente: “La natura abbandonata”, zona Crescenzago
[45] Cfr. R. Lungarella, Uno stop al consumo di suolo, art. cit.
[46] Ibidem
[47] Cfr. Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree
agricole e di contenimento del consumo del suolo, approvato il 14 Settembre
2012, art. 1, comma 2
[48] S. Settis, DDL sull’agricoltura. Paesaggio in pericolo, art. cit.
66
cimiano-crescenzago 067.jpg
Il problema del consumo di suolo
Le novità maggiori, tuttavia, sono relative all’articolo 2, [49] che si
colloca, coerentemente, sulla scia della proposta di modifica
al Titolo V della Costituzione, manifestando la volontà, da
parte del Governo, di riportare alla competenza dello Stato
alcune materie finora delegate agli enti locali.[50] A proposito
dell’articolo, bisogna rilevare come il meccanismo “a cascata”[51]
di assegnazione delle superfici edificabili susciti perplessità,
ammesso che sussista la reale necessità di aumentare la
superficie edificabile del paese. Di certo, comporta una
netta diminuzione delle competenze relative alle Regioni e ai
Comuni in ambito di pianificazione territoriale. Nello specifico, il
procedimento di ripartizione delle superfici appare macchinoso.
Con l’attuale proposta, infatti, ogni Comune riceverà una quota
di aree agricole edificabili, a prescindere dall’effettiva necessità
delle stesse. In questo modo da una parte anche i comuni
più virtuosi riceveranno l’invito a consumare terreno agricolo,
dall’altra quelli peggiori continueranno a sprecare suolo.
In conclusione, malgrado il disegno di legge si presenti
come uno strumento in grado di porre un deciso freno alla
cementificazione ed al consumo di suolo agricolo, il dispositivo
della legge procede in un altro senso. Innanzitutto non si
riscontra, nei fatti, alcun progetto di valorizzazione delle aree
agricole. Si rileva, d’altra parte, un meccanismo - quello di
assegnazione delle superfici edificabili - farraginoso e foriero
di conflittualità tra territori e organi istituzionali. Nel contempo
occorre rilevare come da una parte, sebbene in modo discutibile,
si tenti di disincentivare il consumo di suolo, dall’altra, sullo
stesso fronte, si stiano velocizzando e semplificando gli iter
delle procedure edilizie.[52]
Nella pagina precedente: L’area industriale di Musocco
Nella pagina seguente: Rudere lungo la Martesana
[49] Cfr. Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree
agricole e di contenimento del consumo del suolo, approvato il 14 Settembre
2012, art. 2
[50] Cfr. Disegno di Legge Costituzionale, Disposizioni di revisione della
Costituzione e altre disposizioni costituzionali in materia di autonomia
regionale, comunicato alla Presidenza il 15 Ottobre 2012
[51] S. Settis, DDL sull’agricoltura. Paesaggio in pericolo, art. cit.
[52] Cfr. Disegno di Legge in materia di infrastrutture, trasporti, edilizia e
territorio, approvato dal Consiglio dei Ministri n. 52 del 30 Ottobre 2012
69
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
3. SISTEMI AMBIENTALI AGRICOLI E GRANDI PARCHI,
RESTAURO DEL TERRITORIO
3.1_Valore del verde e sistema dei parchi nell’area milanese
Chi non può soddisfare quotidianamente le proprie esigenze
è disposto a percorrere in ferie centinaia di chilometri pur di
raggiungere un luogo ameno o un casolare di campagna per
accertarsi di una qualsivoglia sopravvivenza, come se questa
fosse il simbolo eloquente della propria, come se si trattasse di
coltivare una riserva mentale, un’eventuale via di scampo, un
luogo comunque dove andare a toccare con mano, a verificare,
a riscoprire le esigenze più vere e profonde del vivere semplice.
Per questo oggi i beni culturali ed ambientali: paesaggi, natura,
centri storici minori, tradizioni antropiche sono divenuti, nel
degrado crescente, beni preziosi sul mercato del “riequilibrio” e
del recupero delle risorse. Forse ancora per questo oggi, come
sempre, c’è una tendenza a costruire nelle zone rurali, dove tra
l’altro la vita costa meno e il clima è più salutare, ma l’agricoltura
non c’entra più. A popolare la campagna è più il bisogno di sentirsi
di tanto in tanto in un rinnovato rapporto con l’ambiente naturale,
che una scelta di vita alternativa. Nella partita della vita, la natura
continua ad essere concepita come un giocatore in panchina, da
fare entrare in campo solo se ve ne è bisogno.[1]
Articolo 135 comma 1 del Codice dei Beni Culturali e del
Paesaggio:
Le regioni assicurano che il paesaggio sia adeguatamente tutelato
e valorizzato. A tal fine sottopongono a specifica normativa d’uso il
territorio, approvando piani paesaggistici ovvero piani urbanisticoterritoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici,
concernenti l’intero territorio regionale, entrambi di seguito
denominati «piani paesaggistici».[2]
[1] A. Sichenze, Il limite e la città, Franco Angeli, Milano, 1995, p.286
[2] Decreto Legislativo n. 42 del 22 Gennaio 2004, Codice dei beni culturali e
71
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
La Convenzione Europea del Paesaggio, adottata dal Consiglio
d’Europa nel 2000, definisce, con il termine paesaggio, “una
determinata parte di territorio, così come è percepita dalle
popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali
e/o umani e dalle loro interrelazioni”. [3] L’interesse è rivolto alle
aree urbane come alle campagne, ai paesaggi eccezionali
come agli scenari della vita quotidiana, così anche ai territori
degradati. La crescente attenzione, in ambito internazionale,
verso una maggiore qualità dei luoghi della vita e del lavoro ha
riportato in auge, negli ultimi decenni, il tema del paesaggio.
Quest’ultimo è stato riconosciuto come un bene insostituibile,
da tutelare e valorizzare per preservare la storia e l’identità
culturale del territorio.
Rudere lungo la Martesana
del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137
[3] Consiglio d’Europa, Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze, 20
Ottobre 2000, ratificata dall’Italia con Decreto Legislativo n. 42 del 22 Gennaio
2004 recante il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio
72
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
Nel caso della Lombardia, le prime politiche regionali
finalizzate alla tutela e alla salvaguardia del territorio risalgono
all’inizio degli anni ’70, sebbene il tema della creazione di un
sistema ecologico, di livello locale e metropolitano, fosse stato
introdotto già nel decennio precedente, con l’esperienza dei
Piani Intercomunali Milanesi.
Il primo lavoro di censimento delle iniziative e di raccolta delle
proposte di tutela viene svolto dalla “Commissione speciale di
studio e ricerca sui Parchi Regionali della Lombardia”, istituita
nel 1972 dal Consiglio Regionale Lombardo. Questa, dopo
aver collaborato con le Province, gli enti e le associazioni
ambientaliste, consegna, nel 1973, la proposta di un “sistema
di verde” di livello regionale. Con la legge regionale 58, nello
stesso anno, la Regione Lombardia si impegna ad approvare,
entro dodici mesi, un “piano generale delle riserve e dei parchi
di interesse regionale”. [4]
Meno di un mese dopo, la LR 2/74 [5] definisce le norme generali
di salvaguardia e le procedure di pianificazione da adottare per
le aree che verranno inserite nel piano[6] ed istituisce il primo
parco regionale, il Parco Lombardo della Valle del Ticino. Con
l’istituzione, nei due anni seguenti, del Parco Nord Milano (1975)
e del Parco delle Groane (1976), si porranno concretamente le
basi per la realizzazione del sistema ecologico previsto per
l’area metropolitana.
Nel 1983, con la legge quadro numero 86,[7] la Regione Lombardia
individua un sistema costituito da 23 parchi, istituendone tre:
i parchi regionali Adda Nord, Adda Sud e Valle del Lambro si
aggiungono così a quelli già istituiti nel corso degli anni ’70
(Ticino, Groane, Nord Milano, Colli di Bergamo e Monte Barro).
[4] Regione Lombardia, L.R. 58/73, Istituzione delle riserve naturali e
protezione della flora spontanea, abrogata dall’art. 42 della L.R. 30 novembre
1983, n. 86
[5] confluita successivamente nella L.R. 86/83, cit.
[6] approvato solo nel 1983
[7] Regione Lombardia, L.R. 86/83, Piano generale delle aree regionali
protette. Norme per l’istituzione e la gestione delle riserve, dei parchi e dei
monumenti naturali nonché delle aree di particolare rilevanza naturale e
ambientale
73
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
Con la legge 24 del 1990, [8] infine, viene istituito il parco
regionale di cintura metropolitana denominato “Parco Agricolo
Sud Milano”. Le sue finalità, “in considerazione della prevalente
vocazione agro-silvo-colturale del territorio a confine con
la maggior area metropolitana della Lombardia”, riguardano
la tutela e il recupero paesistico e ambientale delle fasce di
collegamento tra città e campagna, la connessione delle aree
esterne con i sistemi di verde urbano, l’equilibrio ecologico
dell’area metropolitana, la salvaguardia, la qualificazione
e il potenziamento delle attività agro-silvo-colturali, nonché
la fruizione colturale e ricreativa dell’ambiente da parte dei
cittadini.[9]
I parchi regionali vengono classificati in “fluviali”, “forestali” e
“agricoli”, in base alla loro finalità e alla specifica connotazione
territoriale. Le prime due tipologie fanno riferimento a
meccanismi prevalentemente di tutela, mentre ai parchi
agricoli viene demandato un ruolo attivo nella riqualificazione
del paesaggio. I parchi regionali, che occupano il 22% del
territorio lombardo, si attestano al 43% nel caso specifico della
Provincia di Milano. [10] Sempre nello stesso ambito provinciale,
è possibile riscontrare come la presenza di aree attrezzate
per la fruizione aumenti avvicinandosi al centro dell’area
metropolitana milanese, raggiungendo l’apice nel Parco Nord
Milano, che si configura come grande parco urbano territoriale.
Il mosaico ecologico lombardo, per gran parte costituito dal
sistema dei parchi regionali, è integrato dai Parchi Locali di
Interesse Sovracomunale (PLIS), dalle riserve regionali e
dai monumenti naturali, in ordine decrescente di importanza
territoriale. L’istituzione dei PLIS viene prevista nell’ambito
della già citata legge regionale 86 del 1983, con cui si
approvava il Piano generale delle aree regionali protette. La
procedura relativa all’istituzione dei PLIS prevede, nell’ordine,
[8] Regione Lombardia, L.R. 24/90, Istituzione del parco regionale di cintura
metropolitana “Parco Agricolo Sud Milano”
[9] Cfr. Ivi, art. 2
[10] Cfr. Centro Studi PIM, Il paesaggio, la natura, la città. Le aree verdi nella
configurazione del territorio metropolitano, 2005, p. 51
74
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
la perimetrazione del territorio ad opera dei Comuni interessati,
sulla base di analisi ed approfondimenti dettagliati dell’area
in questione, e il successivo riconoscimento ufficiale da
parte della Provincia. Sebbene le prime esperienze di PLIS
fossero nate con un intento di tutela e salvaguardia di ambiti
paesaggistici particolari come corsi d’acqua minori (PLIS
del Molgora), aree boschive (PLIS del Rio Vallone) o ambiti
significativi nella storia agraria del territorio (PLIS del Roccolo),
l’istituzione dei Parchi Locali è stata finalizzata maggiormente,
in seguito, alla difesa e alla valorizzazione di aree agricole
interstiziali, “in particolare laddove lo spazio libero si connota
come residuale di un processo di urbanizzazione diffusivo ed
esteso”. [11] Attualmente i PLIS rappresentano circa il 5% del
territorio provinciale milanese.[12]
L’attenzione alle politiche ambientali, come detto, è cresciuta
in maniera esponenziale negli ultimi anni, incidendo, quindi,
in maniera sempre più marcata sulla pianificazione territoriale.
Occorre considerare, innanzitutto, come a livello regionale,
già a partire dal 2001, viga il Piano Territoriale Paesistico
Regionale (PTPR), che costituisce un’apposita sezione del
Piano Territoriale Regionale (PTR). Il PTPR si occupa di
individuare gli ambiti territoriali regionali da sottoporre a tutela,
definendo per essi diversi livelli di salvaguardia, con l’obiettivo
di disciplinare e valorizzare il patrimonio paesaggistico
dell’intero territorio lombardo.
La creazione di un sistema continuo di aree verdi finalizzato al
mantenimento della biodiversità, al miglioramento della qualità
della vita e all’equilibrio ecologico del territorio metropolitano,
era già stata riscontrata come una necessità alla fine degli anni
’90. In particolare, occorre ricordare l’importante lavoro svolto
in quegli anni, sul tema delle reti ecologiche, dalle province
di Milano e Pavia, con il contributo di Sergio Malcevschi.[13]
[11] Relazione generale in Provincia di Milano, Adeguamento del Piano
Territoriale di Coordinamento Provinciale alla LR 12/05, Adottato con
deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7 giugno 2012, p. 21
[12] Cfr. Legambiente Lombardia Onlus-Regione Lombardia, Dossier PLIS
aggiornato al 2010, 2010
[13] Professore di Ecologia Applicata presso l’Università di Pavia
75
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
L’iter normativo in merito ai parchi regionali
Questa collaborazione porterà, nel 1998, alla prima proposta
di Rete Ecologica Provinciale (REP), vale a dire un sistema
articolato e reticolare, strutturato sulla gerarchizzazione
dei vari elementi costitutivi e finalizzato alla creazione di
un disegno unitario. La REP così delineata è composta da:
matrici naturali primarie, ossia aree naturali di sufficiente
estensione che possano fungere da serbatoi di biodiversità;
fasce di appoggio alla matrice naturale primaria, ossia zone
“buffer”, di contatto tra aree naturali e territorio antropizzato;
linee di permeabilità ecologica lungo i corsi d’acqua; gangli
primari e secondari della rete ecologica, ossia unità che
possono diventare rispettivamente caposaldo ecosistemico
o punto d’appoggio intermedio ai corridoi primari; corridoi
ecologici primari e secondari, per consentire uno sviluppo
76
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
ininterrotto della rete, collegando tra di loro gli elementi primari
e raccordando a essi i gangli secondari; varchi ecologici, la cui
chiusura comprometterebbe la funzionalità dell’intero sistema;
zone extraurbane su cui attivare progetti di consolidamento
ecologico; zone periurbane su cui attivare politiche polivalenti
di riassetto fruitivo ed ecologico, vale a dire le fasce di margine
tra il sistema insediativo e quello rurale. [14] Le finalità della Rete
Ecologica Provinciale sono in linea con quelle della Direttiva
“Habitat” del Consiglio d’Europa, che si propone l’obiettivo
di “contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la
conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della
fauna selvatiche nel territorio europeo”, e di costituire “una rete
ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione,
denominata Natura 2000”. [15] La stessa Direttiva individua, inoltre,
i Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e le Zone di Protezione
Speciale (ZPS), definendoli “quali porzioni di territorio in uno
stato di conservazione soddisfacente, che concorrono in
modo significativo a mantenere o a ripristinare, nelle regioni
biogeografiche di appartenenza, habitat naturali e specie
animali e vegetali minacciati, contribuendo al mantenimento
della diversità biologica”.[16]
La REP così strutturata viene introdotta, per la prima volta, nel
2003, dal Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di
Milano. Essa comprende i parchi nazionali e regionali, i PLIS,
i SIC e le ZPS. Uno specifico approfondimento della Rete
Ecologica Provinciale è costituito dal progetto delle Grandi
Dorsali Territoriali. La Dorsale Verde Nord, in particolare, si
propone l’obiettivo di mantenere una continuità territoriale ed
ecologica nell’area settentrionale della provincia, attraverso la
riqualificazione ecologica delle aree non edificate comprese
[14] Cfr. S. Malcevschi, La rete ecologica della provincia di Milano, Quaderni
del Piano Territoriale n. 4, Milano, Franco Angeli, 1999, p. 73
[15] Consiglio d’Europa, Direttiva del 21 maggio 1992, Conservazione degli
habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, recepita in
Italia dal D.P.R. 357/97
[16] Relazione generale in Provincia di Milano, Adeguamento del Piano
Territoriale di Coordinamento Provinciale alla LR 12/05, Adottato con
deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7 giugno 2012, p. 21
77
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
tra i due fiumi Adda e Ticino. “Il principale obiettivo del progetto
Dorsale Verde Nord è la conservazione della natura, con
particolare riferimento al mantenimento ed incremento della
biodiversità, ma è anche un elemento ordinatore del territorio
altamente urbanizzato del Nord Milano”. [17] Insieme alle dorsali
dei fiumi Lambro ed Olona, la Dorsale Nord costituisce
l’ossatura della Rete Ecologica Provinciale. “Le dorsali Est,
Nord e Ovest diventano elementi ordinatori del territorio e
di gestione del paesaggio in trasformazione, vere e proprie
dorsali a sostegno di una nuova struttura territoriale e matrici
ambientali e insediative del territorio caratterizzanti i paesaggi
del loro intorno”.[18]
In alto: La Dorsale Verde Nord Milano, Provincia di Milano
Nella pagina seguente: Mosaico delle aree protette della Provincia di Milano,
Centro Studi PIM
[17] Provincia di Milano, La Dorsale Verde Nord (http://www.provincia.mi.it/
pianificazione_territoriale/paesaggio_
ambiente/rete_ecologica/Dorsale_
verde_nord.html), consultato l’ultima volta il 30 Novembre 2012
[18] Relazione generale in Provincia di Milano, Adeguamento del Piano
Territoriale di Coordinamento Provinciale alla LR 12/05, Adottato con
deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7 giugno 2012, p. 37
78
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
Il lavoro delle province sul tema della pianificazione e della
gestione delle reti ecologiche viene recepito ed elaborato,
a livello regionale, solo dopo un decennio. Nel 2009, infatti,
la Regione Lombardia inserisce nel PTR il progetto di Rete
Ecologica Regionale (RER), con l’intento di armonizzare e
sistematizzare le indicazioni emerse dalle varie Reti Ecologiche
Provinciali. L’intento è quello di creare un quadro generale per
le pianificazioni di livello sub-regionale, al fine di impostare una
rete ecologica che, in un meccanismo “a cascata”, parta dalle
disposizioni regionali definendosi verso uno schema di Rete
Ecologica Locale.
La RER viene considerata tra le infrastrutture prioritarie e
strategiche per la Lombardia. I suoi elementi costitutivi sono: i
gangli primari, cioè i nodi su cui impostare i sistemi di relazione
spaziale all’interno del disegno di rete; i varchi, identificabili
con i principali restringimenti interni agli elementi della rete
oppure con la presenza di infrastrutture lineari all’interno degli
elementi stessi; i corridoi primari, vale a dire gli elementi
fondamentali per favorire la connessione ecologica tra aree
della rete e per consentire la diffusione spaziale di specie
animali e vegetali.[19]
Con le reti ecologiche si cerca di trattare il tema della tutela
del territorio in modo sistemico e integrato, superando la
tradizionale logica “settoriale” che, come rileva Magnaghi,
affrontava i problemi ambientali “riproducendo un doppio
regime di pianificazione: quello delle aree protette dove si
conserva la natura,quello dei centri storici dove si conserva la
memoria degli umani e il resto del territorio (la maggior parte)
che è sottoposto alle regole dello sviluppo economico”.[20] La
Regione Lombardia, inoltre, si propone di superare l’approccio
meramente vincolistico mediante interventi economici diretti
volti alla realizzazione di sistemi verdi regionali funzionali
all’implemento della RER. Nel 2009, a tal proposito, la
[19] Cfr. Regione Lombardia, D.G.R. n. 8/8515 del 26/11/2008, Modalità per
l’attuazione della Rete Ecologica Regionale in raccordo con la programmazione
territoriale degli enti locali
[20] A. Magnaghi, Dalla città metropolitana alla (bio)regione urbana, in A.
Marson (a cura di), Il Progetto di Territorio nella Città Metropolitana, p.100
80
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
Lombardia ha approvato interventi di investimento riguardanti il
Patrimonio Forestale Regionale che ricadono nelle aree protette
e nelle riserve naturali.[21] Tuttavia, sebbene il sistema delle reti
ecologiche si configuri come un significativo passo in avanti
verso una progettazione territoriale adeguata alla salvaguardia
e alla valorizzazione ambientale di livello sovracomunale, si ha
l’impressione che questo strumento perda “consistenza” a livello
comunale. All’intento di creare una rete ecologica che parta dal
livello regionale per definirsi verso uno schema di rete locale, si
contrappone l’attuale difficoltà a compiere l’ultimo passaggio. Il
caso del capoluogo, in particolare, evidenzia come il comune
si presenti piuttosto come un freno, un elemento impenetrabile,
limitandosi a recepire le indicazioni della RER e della REP,
senza elaborarle in modo altrettanto organico alla scala locale.
Oggi, dopo poco più di un quarto di secolo dall’entrata in
vigore della legge regionale quadro in materia di aree protette,
il sistema lombardo annovera la presenza di 24 parchi regionali
(distinti tra fluviali, montani, di cintura metropolitana, agricoli
e forestali), 78 parchi di interesse sovracomunale, 65 riserve
naturali e 29 monumenti naturali. Più recentemente, come
si è visto, a queste aree protette si sono aggiunti 193 Siti di
Interesse Comunitario (SIC) e 66 Zone di Protezione Speciale
(ZPS), che costituiscono la rete Natura 2000, istituita dalla
Regione Lombardia in collaborazione con l’Unione europea. Questo sistema consente di sottoporre a regime di tutela il
30% del territorio lombardo.[22] Questi risultati positivi, tuttavia,
non si mostrano ugualmente soddisfacenti se analizzati da un
punto di vista interno ai sistemi urbanizzati. Pur riconoscendo
l’importanza di questi strumenti di salvaguardia del territorio,
bisogna ravvisare come essi si indirizzino perlopiù laddove la
[21] Regione Lombardia-ERSAF, Delibera n. VIII/010415, 28/10/2009,
Programma di interventi di investimento nel Patrimonio Forestale Regionale
ricadente in aree protette e nelle Riserve Naturali gestite da ERSAF
[22] Cfr. Regione Lombardia, Sistemi Verdi e Paesaggio (http://www.sistemiverdi.
regione.lombardia.it/cs/Satellite?c= Redazionale_P&childpagename=DG_Am
biente%2FDetail&cid=1213304178737&packedargs=NoSlotForSitePlan%3D
true%26menu-to-render%3D1213293110507&pagename =DG_QAWrapper)
consultato l’ultima volta il 08/12/2012
81
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
natura è già “protagonista”, limitandosi a contrastare la continua
minaccia della cementificazione, mentre raramente propongono
soluzioni efficaci nelle aree in cui il costruito e i sistemi naturali
sono già arrivati a condizioni di forte criticità ossia, il più delle
volte, nelle aree periferiche e quindi meno controllate da parte
delle amministrazioni. A causa di questo scarso “contatto” con
i centri urbani, gran parte della cittadinanza non viene messa
nella condizione di percepire realmente questi importanti lavori
di scala territoriale.
Nella pagina precedente: La Rete Ecologica Provinciale, Provincia di Milano,
tratto dal PTCP (2012)
In alto: Carta dei Parchi, Riserve e Monumenti Naturali, Regione Lombardia
Nella pagina seguente: Chiusa del Fiume Lambro, zona Cascina Gobba
83
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
3.2_Valore del verde agricolo
In effetti città e campagne non si separano mai come l’acqua e
l’olio: nel medesimo istante c’è separazione e riavvicinamento,
divisione e riunione. […] Fino a tempi molto recenti ogni città
doveva avere il suo cibo alle sue stesse porte, a portata di mano.
[…] La campagna, infatti, deve sostenere la città, se questa non
vuole temere ad ogni istante una carestia: il grande commercio
può alimentarla solo eccezionalmente e parzialmente.[23]
La discussione intorno al tema della salvaguardia e dello
sviluppo del settore agricolo è resa quanto mai attuale, in sede
internazionale, dall’emergenza rappresentata dalla world food
crisis (crisi agricola mondiale). L’aumento della popolazione
mondiale previsto dalla FAO (dagli attuali 6,8 miliardi a 9,1
miliardi nel 2050), unito all’incremento dei redditi, provocherà
una forte crescita nella domanda di beni alimentari. In
particolare, si stima che la produzione cerealicola mondiale,
attualmente pari a 2,1 miliardi di tonnellate annui, debba
raggiungere i 3 miliardi di tonnellate entro il 2050, aumentando
quindi del 43%.[24] Secondo Lester Brown, presidente dell’Earth
Policy Institute di Washington, stiamo entrando in una nuova
era, caratterizzata dall’incremento dei prezzi del cibo e dalla
crescita della fame nel mondo. Le riserve alimentari si stanno
assottigliano ovunque e il suolo sta diventando la merce più
ricercata mentre il mondo è in fase di transizione: si passa da
un’epoca di abbondanza di cibo ad una di carestia.[25]
[23] F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo. Le strutture del
quotidiano (secoli XV-XVIII), Einaudi, Torino 1982; tit. orig. Civilisation
matérielle, économie et capitalisme (XVe- XVIIIe siècle). Les structures du
quotidien: le possible et l’impossible, Paris, 1979
[24] Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura,
2050: Un terzo di bocche in più da sfamare (http://www.fao.org/news/story/it/
item/35571/icode)
[25] Cfr. J. Vidal, UN warns of looming worldwide food crisis in 2013, «The
Guardian»
(http://www.guardian.co.uk/global-development/2012/oct/14/unglobal-food-crisis-warning)
85
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
Paesaggio agricolo
Parallelamente, si assiste, negli ultimi decenni, ad una
progressiva anticipazione dell’Earth Overshoot Day (EOD),
ossia il giorno in cui l’uomo esaurisce le risorse rinnovabili
disponibili per l’anno intero ed inizia, quindi, ad attingere alle
riserve di risorse locali. Basti rilevare come questo giorno, che
nel 1992 cadeva il 21 ottobre, nel 2012 sia stato il 22 Agosto.[26]
Oggi, in Italia, il settore agricolo è giunto quasi al capolinea di
un processo di impoverimento che va avanti da alcuni decenni.
La popolazione rurale dipendente dall’agricoltura sul territorio
nazionale è passata dal 70% degli anni Sessanta al 10% del
2009, [27] mentre la superficie agricola utilizzata (SAU) sull’intero
territorio nazionale, che nel 1971 ammontava a quasi 18 milioni
[26] Cfr. Global Footprint Network (http://www.footprintnetwork.org/ it/index.
php/gfn/page/earth_overshoot_day)
[27] Cfr. V. Erba et. al., Guida alla pianificazione territoriale sostenibile.
Strumenti e tecniche di agroecologia, Santarcangelo di Romagna, Maggioli
Editore, 2010, p. 51
86
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
di ettari, nel 2010 si attestava a poco meno di 13 milioni,
registrando una riduzione percentuale del 28% (pari a circa
5 milioni di ettari). In sostanza, l’agricoltura italiana ha visto
sparire, nel giro di quarant’anni, una superficie equivalente
a Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna messe insieme. Il
dato appare ancora più allarmante se analizzato nel dettaglio:
a scomparire sono prevalentemente i seminativi e i prati
permanenti, ovvero i due ambiti principali da cui provengono
i prodotti basilari per l’alimentazione nazionale: pane, pasta,
riso, verdure, carne e latte. Una delle conseguenze principali di
questa situazione, inoltre, consiste nell’impossibilità, per l’Italia,
di provvedere autonomamente al proprio approvvigionamento.
Attualmente, secondo una stima del Ministero delle Politiche
Agricole, Alimentari e Forestali, l’Itala produce circa l’80-85%
delle risorse alimentari necessarie a coprire il fabbisogno dei
propri abitanti: la produzione nazionale, quindi, è sufficiente ad
alimentare appena tre italiani su quattro. Con i suoi 49 milioni
di ettari, inoltre, l’Italia si classifica al terzo posto in Europa
(e al quinto nel mondo) per quanto riguarda il deficit di suolo
agricolo. [28] In altre parole, per soddisfare il fabbisogno della
propria popolazione, l’Italia avrebbe bisogno di 61 milioni di
ettari di SAU, mentre attualmente ne ha a disposizione solo
12. Questa situazione pone il Paese in una posizione di forte
dipendenza dall’estero per quanto riguarda il soddisfacimento
della domanda di beni alimentari. [29] Con l’erosione dei territori,
inoltre, l’agricoltura tradizionale ha lasciato il posto a quella
intensiva, creando delle anomalie nello sviluppo del territorio.
Se da una parte, infatti, sono in molti, tra gli imprenditori agricoli,
ad abbandonare la terra, altri ancora ampliano la dimensione
delle proprie aziende, rimuovendo siepi e filari alberati per
agevolare il passaggio dei mezzi agricoli, generando una
[28] Il deficit di suolo agricolo è un indicatore messo a punto dal Sustainable
Europe Research Institute (SERI) di Vienna che rileva la differenza tra il
terreno agricolo utilizzato su scala nazionale (la SAU) e quello necessario a
produrre il cibo, i prodotti tessili e i biocarburanti che la popolazione consuma
[29] Cfr. Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Costruire il
futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione, 2012, p. 7
87
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
banalizzazione del paesaggio.[30] Occorre sottolineare, inoltre,
come l’introduzione, negli ultimi decenni, di nuove e più efficienti
tecniche nel processo produttivo agricolo, abbia generato un
duplice risultato. Da una parte, indubbiamente, si è ottenuto
un innalzamento della produttività: basti pensare come, negli
anni ’50, un ettaro coltivato a frumento producesse circa 1,4
tonnellate, mentre le tecniche attuali consentono di ottenerne
quasi 4. Dall’altra, parallelamente, l’eccessivo “stress” a cui i
terreni sono stati sottoposti ne ha determinato la “saturazione”.
Carciofi, sede “Interni” in via Ventura
[30] Cfr. V. Erba et. al., Guida alla pianificazione territoriale sostenibile.
Strumenti e tecniche di agroecologia, op. cit.
88
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
In sostanza, si è giunti al punto in cui all’applicazione di
maggiori quantità di tecnologie non corrisponde più un
incremento del rendimento della terra. [31] D’altra parte, già nel
2000, la Regione Lombardia rilevava come una delle cause
principali del processo di impoverimento del territorio fosse “la
trasformazione del modello colturale agricolo e forestale da
estensivo ad intensivo che determina inquinamento, eccessivo
apporto di nutrienti (eutrofizzazione) e semplificazione degli
ambienti con perdita dei piccoli habitat”.[32]
La situazione appena delineata evidenzia, al contempo,
l’insostenibilità del modello di sviluppo attuale e l’importanza
di un recupero e di una valorizzazione del settore agricolo.
All’agricoltura va riconosciuto un molteplice ruolo: da una
parte, storicamente, essa ha svolto una funzione di presidio
nei confronti del territorio, contribuendo alla conservazione
e razionalizzazione delle risorse idriche e del suolo, al
mantenimento della biodiversità, oltre che, ovviamente, alla
produzione di beni alimentari; d’altra parte, la forma del
paesaggio agrario è sempre stata un documento attendibile,
una cartina di tornasole rispetto alle forme della società e della
produzione; l’agricoltura, infine, è sempre riuscita a giocare
un ruolo attivo nella costruzione del paesaggio, ponendosi
come elemento generatore e ordinatore di virtuose dinamiche
territoriali.
Proprio in virtù di questa “trasversalità”, l’agricoltura è stata
riconosciuta come uno strumento importante anche in sede
di pianificazione territoriale. Alcuni studiosi hanno introdotto, a
questo proposito, il neologismo Agroecologia, con riferimento
alla necessità, da parte del pianificatore, di considerare
congiuntamente agricoltura ed ecologia nell’affrontare le
questioni connesse allo sviluppo insediativo. Si tratta di
superare una visione puramente vincolistica delle politiche
ambientali, legata al concetto di conservazione e restauro,
[31] Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Costruire il
futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione, 2012, p. 6
[32] Regione Lombardia, D.G.R. n. 6/49509 del 7 Aprile 2000, Approvazione
delle linee generali di assetto del territorio lombardo ai sensi dell’art. 3, comma
39, della legge regionale 5 gennaio 2000 n. 1, p. 15
89
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
facendo del paesaggio un soggetto attivo che, sfruttando
le proprie peculiarità e potenzialità, valorizzi il territorio in
maniera propositiva, proponendone un utilizzo alternativo e
sostenibile.[33]
“Un’azienda agricola” –sottolinea Erba- “non è soltanto
produzione di reddito, ma anche di paesaggio, di biodiversità,
di patrimonio storico-architettonico e rurale: l’azienda agricola
fa parte di un sistema rurale che ha caratteristiche strutturali,
ambientali e produttive che vanno riconosciute e tutelate”.[34]
Paesaggio agricolo
[33] Cfr. V. Erba et. al., Guida alla pianificazione territoriale sostenibile.
Strumenti e tecniche di agroecologia, op. cit., pp.9,11
[34] Ivi, p. 11
90
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
Campi agricoli periurbani, zona Crescenzago
Attualmente, i fattori che incidono sulla perdita di superficie
agricola possono essere ricondotti a due fenomeni strettamente
connessi: l’abbandono della terra da parte degli agricoltori e
l’avanzamento delle aree urbanizzate. Da una parte il sempre
minore rendimento delle attività produttive rende l’agricoltura
incapace di competere sul libero mercato: se si considera,
infatti, che da un ettaro seminato a cereali un agricoltore può
ottenere oggi una rendita netta di circa 600-700 euro all’anno,
mentre utilizzando lo stesso ettaro di terreno per l’installazione
di un impianto fotovoltaico a terra la rendita può arrivare a
4000 euro annui, è facile comprendere le ragioni della rapida
trasformazione dell’uso del suolo.[35] E’ necessario, quindi, che
[35] Cfr. FAI-WWF, Terra rubata. Viaggio nell’Italia che scompare, 2012, p. 42
91
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
siano le istituzioni, in prima persona, ad adottare delle misure a
sostegno dei redditi delle imprese agricole. In tal senso occorre
interpretare, quindi, l’adozione, da parte della Lombardia, di
un Programma quinquennale di Sviluppo Rurale (PSR). [36] Nel
più ampio quadro della Politica Agricola Comune (PAC), dettata
dalla Comunità Europea, la Regione ha attivato il PSR con lo
scopo principale di fornire una serie di finanziamenti economici
a supporto delle aziende agricole. Nel 2008, tuttavia, Beltrami
faceva notare come la provincia di Milano fosse l’unica in tutta
la Lombardia ad aver eliminato l’accezione di “territorio rurale”
sostituendola con “Polo Urbano” e “Pianura Urbana”: questa
differente denominazione si traduceva, in concreto, in una
perdita di finanziamenti: con questa caratterizzazione, infatti,
le misure dell’asse 3 del Programma di Sviluppo Rurale 20072013 non possono venire attivate.[37]
D’altra parte, come detto in precedenza, [38] nel caso dell’area
milanese la prevalenza degli affittuari rispetto ai proprietari
e le situazioni di marginalità territoriale in cui molte superfici
coltivate si trovano, sottraggono all’agricoltore gli stimoli
necessari per intervenire, rendendolo vulnerabile rispetto alle
pressioni della speculazione immobiliare.
Proprio l’area metropolitana milanese, con il “paesaggio della
città sparpagliata, risultato di una serie di spinte più che da
un processo di sviluppo equilibrato”,[39] rappresenta un caso
[36] PSR 2007-2013: approvato per la prima volta dalla Commissione europea
il 16 ottobre 2007 con Decisione n. 4663 è stato successivamente adeguato
in coerenza alle mutate esigenze del settore agricolo e secondo le priorità
dettate dalla riforma della Politica Agricola Comune 2009 (Health Check) e
dalla strategia europea anticrisi (European Economic Recovery Plan) con
Decisione n. 10347 del 17 dicembre 2009. La somma a disposizione della
Lombardia è pari a 1025 milioni di euro. Di questa cifra 471 milioni sono fondi
comunitari e 554 milioni sono fondi statali e regionali (http://www.agricoltura.
regione.lombardia.it)
[37] E. C. Beltrami in V. Erba et. al., Guida alla pianificazione territoriale
sostenibile. Strumenti e tecniche di agroecologia, op. cit., p. 66
[38] Vedi Capitolo 2.1
[39] R. Camagni, Per una teoria e una politica di sostenibilità urbana,
Politecnico di Milano, 2008, in V. Erba et. al., Guida alla pianificazione
territoriale sostenibile. Strumenti e tecniche di agroecologia, op. cit., p. 67
92
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
emblematico in tal senso.
E’ il mosaico di paesaggi della megalopoli, risultato della fusione fra
aree metropolitane, […], dove la città si spalma sul territorio fino a
fondersi in agglomerazioni indistinte che si infittiscono, si diradano
o si attestano nella campagna secondo una logica di espansione
tutta interna ai flussi economici ed alle reti infrastrutturali di
supporto, una successione disordinata di lottizzazioni residenziali,
case isolate, capannoni, discariche, svincoli stradali, servizi
pubblici e centri commerciali raggiungibili solo in auto.[40]
In questo contesto, mentre l’urbanizzato avanza, le aree
agricole diventano sempre più periurbane, finendo relegate in
contesti difficilmente riqualificabili, fino a trasformarsi in vuoti
da riempire. Questo avviene, nel caso della Lombardia, quando
le condizioni partecipative previste dalla legge regionale in
merito ai processi di piano permettano ai proprietari terrieri
di esprimere una preferenza di conversione d’uso. L’assenza
di specifiche strategie di pianificazione, inoltre, fa sì che
i terreni agricoli divengano il contenitore di tutti i peggiori
sottoprodotti delle città, come inquinamento, discariche abusive
e aree di incontrollata espansione edilizia.[41] “Quando sulle
caratteristiche compositive prevalgono quelle localizzative, il
suolo è sempre ritenuto potenzialmente edificabile e questa
percezione fa perdere irreversibilmente una secolare risorsa di
fertilità convertendola in superfici sterili”.[42]
Per quanto riguarda l’area milanese, l’agricoltura rappresenta
oggi il 2% dell’economia provinciale. La maggior parte
delle imprese è collocata nella parte meridionale dell’area
metropolitana e si caratterizza per la produzione di pregio,
l’elevata produttività e la meccanizzazione. I settori più
rilevanti, dal punto di vista economico, sono il lattiero caseario,
[40] A. Magnaghi, A. Marson, Un territorio da lupi, in M. C. Gibelli (a cura di),
La controriforma urbanistica, Firenze, Alinea Editrice, 2005
[41] Cfr. V. Erba et. al., Guida alla pianificazione territoriale sostenibile.
Strumenti e tecniche di agroecologia, op. cit.
[42] Ivi, p. 68
93
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
il cerealicolo e il settore della carne, che, insieme, costituiscono
circa il 75% della Produzione Lorda Vendibile (PLV) provinciale.
Viste le criticità del settore, occorre rilevare come le potenzialità
maggiori siano rappresentate dalla possibilità di impostare il
settore agricolo come perno di un sistema multifunzionale che
punti sull’individuazione di nuovi servizi connessi al comparto
agricolo, sulla cura del paesaggio e sull’attenzione per le
produzioni di qualità, biologiche, tradizionali e tipiche. In questo
senso, è utile rilevare come, secondo la stima del Settore
Agricoltura della Provincia di Milano, il sistema della “filiera
corta” veda impegnate, ad oggi, 153 aziende agricole che fanno
vendita diretta con i prodotti tipici della Provincia, [43] e come
si registri un incoraggiante incremento anche per le imprese
agricole biologiche. Sono in aumento, inoltre, le aziende che si
occupano di agriturismo e quelle che hanno orientato la propria
produzione verso fonti energetiche alternative (biomassa).[44]
Le imprese agricole risentono direttamente delle trasformazioni
delle politiche di governo del territorio e sopravvivono solo se
possono continuare a produrre reddito. Un segnale positivo,
in tal senso, proviene dal Piano Territoriale di Coordinamento
della Provincia di Milano che, riconoscendo l’agricoltura
quale fondamentale risorsa fisica ed economica da tutelare
e valorizzare, dedica particolare attenzione all’individuazione
di particolari ambiti agricoli strategici da salvaguardare e
valorizzare, sottraendoli alla pianificazione comunale che,
agendo secondo la logica dei confini amministrativi, spesso
ne determinava una gestione inadeguata. [45] Tuttavia, la bontà
dello strumento in questione non cancella le perplessità già
espresse in merito al suo effettivo utilizzo.[46]
[43] Provincia di Milano, Filiera corta (http://ambiente2.provincia.mi.it/
agricoltura/Cittadino/venditadiretta.php)
[44] Cfr. S. Agostini, La voce degli attori: il sistema agricolo in Provincia di
Milano, Il fattore territorio nel sistema economico milanese. Elementi per uno
scenario metropolitano al 2020, 2008
[45] Cfr. Relazione generale in Provincia di Milano, Adeguamento del
Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale alla LR 12/05, Adottato con
deliberazione del Consiglio Provinciale n.16 del 7 giugno 2012, p. 37
[46] Si rimanda, a tal proposito, al capitolo 1.2.1
94
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
In sostanza, non è sufficiente arrestare il consumo di suolo per
tutelare e salvaguardare il territorio. Occorre, altresì, utilizzare
strumenti che partecipino attivamente alla costruzione del
paesaggio. A questo proposito, come visto, l’agricoltura
si presenta come un insostituibile supporto alle politiche
di governo del territorio, valida proprio in virtù della sua
multifunzionalità.
Nella città dell’informazione l’agricoltura assume un ruolo ben
diverso da quello residuale che aveva nella città industriale:
assume non solo un ruolo di produzione di beni alimentari
di qualità, ma anche di produzione di beni e servizi pubblici in
campo idrogeologico, ambientale, di riqualificazione delle reti
ecologiche, di produzione energetica, di qualità del paesaggio, di
reti corte di produzione e consumo, ecc.. per cui la progettazione
multifunzionale degli spazi aperti diviene centrale per la
ridefinizione della qualità urbana, dei suoi processi di innovazione
e della relazione fra l’abitare urbano e l’uso multifunzionale degli
spazi aperti; dunque una trasformazione profonda della percezione
e del vissuto materiale dei cittadini rispetto agli spazi rurali, un
allargamento geografico degli orizzonti della vita quotidiana.[47]
[47] A. Magnaghi, Dalla città metropolitana alla (bio)regione urbana in A.
Marson (a cura di), Il progetto di territorio nella città metropolitana, Firenze,
Alinea Editrice, 2006, p. 105
95
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
3.3_PCU e orti urbani
Se da una parte, come detto, il paesaggio agrario dell’area
metropolitana milanese si presenta frammentario e in pericolo,
dall’altra, avvicinandosi a Milano, ci si imbatte in un paesaggio
urbano di frangia confuso e in costante trasformazione. Laddove,
infatti, i contatti tra le città non sono costituiti da un tessuto
urbano continuo, ci si trova in presenza di spazi indefiniti. Sono
luoghi del degrado, anche sociale, caratterizzati dalla presenza
di attività espulse dalle parti più pregevoli della città, come
autodemolitori, depositi, campi nomadi, ecc. E’ appunto a questi
ambiti che si rivolge, oggi, l’attenzione della pianificazione di
area vasta, nell’ottica di una ridefinizione dei margini urbani e
in virtù di una rinnovata funzione dell’agricoltura periurbana.
Il territorio di margine della città è infatti chiamato a svolgere
un ruolo complementare alle politiche di sviluppo della città
stessa, producendo qualità ambientale e paesistica, dotazione
necessaria, per una città moderna, al fine di sostenere la
competizione alla scala internazionale.[48]
Un’indagine svolta dal Centro Studi PIM, relativa alle condizioni
del verde nei comuni della prima cintura, ha messo in luce come
i grandi parchi territoriali che circondano la città, quali il Parco
Nord, il Boscoincittà con il Parco delle Cave, il Parco Lambro con
il Forlanini e l’Idroscalo, giochino un ruolo fondamentale e duplice:
da una parte, questi ambiti svolgono una funzione di “ponte” tra
la realtà urbana e i parchi regionali; dall’altra, gli stessi parchi si
propongono come uno strumento di riqualificazione e recupero
degli ambiti urbani periferici, creando nuove “centralità ambientali”
che esulano dalla logica dei centri commerciali e dei cinema
multisala. In ogni caso, il favore di cui questi parchi godono presso
la popolazione è tanto elevato quanto differente è la quantità di
funzioni che a essi viene richiesta: da aree per il tempo libero e lo
sport, ad aree di forte naturalità, da attrezzature per lo spettacolo,
a luoghi di ristoro ma anche a luoghi di aggregazione sociale.[49]
[48] Cfr. Centro Studi PIM, Il paesaggio, la natura, la città. Le aree verdi nella
configurazione del territorio metropolitano, 2005, p. 13
[49] Cfr. Ivi, pp. 60-62
96
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
<Nessun collegamento intersecante>
<Nessun collegamento intersecante>
97
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
Nella pagina precedente: “Non un semplice buco...”
In alto: Una “microrealtà”
“Campeggiatori” a Milano
98
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
Per la gran parte della popolazione metropolitana, infatti, la natura
a contatto con la città viene soprattutto percepita e ricercata nei
parchi urbani, nei quali gli elementi naturali sono parte preminente
della composizione di uno spazio appositamente progettato e
costruito, mentre il paesaggio agrario attorno alla città viene
apprezzato soprattutto attraverso l’utilizzazione di percorsi quali i
grandi sentieri continui lungo il Ticino o lungo l’Adda, le alzaie dei
navigli, ecc.[50]
Tutto questo presuppone la necessità di creare, tra gli ambiti
urbani e gli spazi aperti, collegamenti diretti e privilegiati (piste
ciclabili, greenways, trasporto pubblico).
E’ necessario, quindi, coordinare le varie iniziative utilizzando,
nella stessa sintassi, i grandi parchi territoriali e gli ambiti di
frangia urbana.
Se le aree di margine della città, a maggior ragione se già
comprese in ambiti di parco, vengono intese come il campo di
applicazione di quelle politiche del paesaggio individuate dalla
Convenzione Europea, esse perdono la connotazione negativa di
territori di frangia per acquisire il significato di territorio di contesto
delle strutture urbane e di transizione rispetto ai territori agricoli o
naturali più lontani.[51]
All’inizio degli anni ’80 (1982), lo Schema di Piano Territoriale
di Coordinamento Comprensoriale elaborato dal Centro Studi
PIM effettua una prima proposta per la realizzazione di una
cintura verde di scala metropolitana, riscontrando la necessità
di tutelare quelle aree che, per la loro compattezza e continuità,
potevano costituire un collegamento tra il verde metropolitano
e quello regionale. Lo Schema indicava, a livello planimetrico,
le aree da salvaguardare come “cintura verde metropolitana”,
con particolare attenzione al settore sud della cintura stessa,
per il quale veniva effettuata la proposta di un “parco diffuso”
[50] Ivi, p. 14
[51] Ivi, p. 67
99
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
integrato alle aree agricole, il Parco Sud.[52]
Si deve attendere il 1990, come detto, per l’effettiva istituzione
del Parco Agricolo Sud, mentre risale al 1993 la redazione del
Piano Territoriale di Coordinamento (PTC) del Parco stesso.
Il PTC, approvato solo nel 2000, [53] individua i cinque Piani di
Cintura Urbana (PCU) di Milano, sottoponendo a tutela alcune
aree a diretto contatto con il tessuto urbano.[54]
In alto: Vista dall’alto del Parco Nord Milano
Nella pagina seguente: Piano Territoriale Comprensoriale, Centro Studi PIM, 1982
[52] Cfr. Ivi, pp. 46-47
[53] Regione Lombardia, Deliberazione Giunta Regionale n. 7/818 del 3 Agosto
2000, Approvazione del piano territoriale di coordinamento del Parco regione
Agricolo Sud Milano (art. 19, comma 2, l.r. 86/83 e successive modificazioni)
[54] Il PCU 1 comprende le aree tra San Siro, Boscoincittà, il Parco di Trenno,
il Parco delle Cave e la Tangenziale Ovest. Il PCU 2 comprende il comparto
agricolo tra Barona, Chiesa Rossa, Buccinasco, Corsico e Assago, delimitato
a nord dai navigli e attraversato dalla Milano-Genova. Il PCU 3 si estende
dal naviglio Pavese alla via Emilia, alla tangenziale ovest, è attraversato da
via Ripamonti. Al limite est si trova Porto di Mare. Il PCU 4 comprende Parco
Forlanini e l’Idroscalo, fino a Peschiera Borromeo. Il PCU 5 comprende le
residue aree libere della valle del Lambro, da viale Forlanini fino a Peschiera.
100
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
I piani di cintura urbana […] costituiscono fasce di collegamento
tra città e campagna. In tali aree devono essere contemperate le
esigenze di salvaguardia, di recupero paesistico e ambientale
e di difesa dell’attività agricola produttiva, con la realizzazione
di interventi legati alla fruizione di parco quali aree a verde,
attrezzature sociali e ricreative, impianti sportivi e funzioni di
interesse generale.[55]
Ogni PCU è costituito da due parti: lo schema strutturale e il
progetto di paesaggio. Lo schema strutturale si configura come
un piano urbanistico, regolando l’uso del suolo, delineando il
sistema delle infrastrutture, regolando nel dettaglio elementi
e parti strategiche e individuando le aree destinate ad attività
agricola. Lo schema strutturale è costituito da: ambiti territoriali,
connessioni, idrografia, insediamenti, accessi ed infrastrutture.
Il progetto di paesaggio, dall’altra parte, si basa su alcune azioni
fondamentali: ricostruzione della trama del territorio agricolo;
accrescimento delle aree di naturalità; tutela degli insediamenti
di antica formazione; affermazione del paesaggio agrario come
matrice dei progetti di trasformazione del territorio; uso delle
nuove infrastrutture o potenziamento di quelle esistenti come
elementi nuovi e coerenti del paesaggio; ricomposizione e
adeguamento al paesaggio dei margini urbani; riduzione degli
elementi di degrado del paesaggio. Il progetto di paesaggio
è costituito da: componenti di paesaggio areali, componenti
di paesaggio lineari, insediamenti e punti di visuale del
paesaggio. Oltre allo schema strutturale e al progetto di
paesaggio, inoltre, sono previsti alcuni ambiti soggetti a
progetti speciali con finalità anche molto differenti (ambiti
territoriali, connessioni, insediamenti, accessi e infrastrutture).
Un’apposita tavola riferita ai cinque PCU regola, caso per
caso, mediante Schede programmatiche (non prescrittive),
tali elementi di progetto. L’intenzione, quindi, è quella di fare
dei PCU cinque grandi parchi metropolitani, con l’82% del
[55] Regione Lombardia, Deliberazione Giunta Regionale n. 7/818 del
3 Agosto 2000, Approvazione del piano territoriale di coordinamento del
Parco regione Agricolo Sud Milano (art. 19, comma 2, l.r. 86/83 e successive
modificazioni), art.26, comma 1
102
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
territorio complessivo destinato a verde (agricolo, naturalistico,
parchi pubblici e parchi agricoli). Sono previsti, inoltre, ambiti
destinati ad accogliere gli impianti per la fruizione “intensiva”
(circa l’8% della superficie complessiva dei PCU) e ambiti di
trasformazione urbanistica, che dovrebbero generare le risorse
per l’attuazione della parte pubblica e del paesaggio (8,15%
della superficie totale dei PCU).[56]
“Si tratta” –in sostanza- “di individuare un nuovo paesaggio
dove le diverse attività presenti sono chiamate a riqualificare e
valorizzare l’ambiente in modo propositivo, facendo leva sulle
radici storiche ma superando le non più attuali posizioni basate
su un rigido schema di conservazione/restauro”.[57]
L’istituzione dei Piani di Cintura Urbana, dunque, si presenta
come uno strumento destinato a coniugare e “sincronizzare”
tra loro i temi dello sviluppo urbano e della salvaguardia
territoriale.
Nel quadro descritto, l’istituzione dei Parchi Locali di Interesse
Sovracomunale (PLIS) potrebbe rappresentare uno strumento
adeguato per completare la “cintura verde” di Milano,
sottoponendo a regime di aree protette una parte del territorio
densamente urbanizzato nella parte settentrionale della città.
La tutela e il governo di un bene diffuso come il paesaggio, e
il verde in generale, non può che richiedere il coinvolgimento
dell’intera popolazione. In questo senso, la coscienza collettiva
può e deve svolgere un ruolo fondamentale, assumendo come
una necessità la valorizzazione del territorio nel suo significato
di risorsa, prodotto del lavoro umano su di esso.[58]
In questo senso, alla scala della città, l’esperienza degli orti
urbani può rappresentare un ottimo mezzo, oltre che per
restituire alla natura e ai cittadini aree urbane abbandonate
o dimenticate, per veicolare una vera e propria “cultura del
territorio”.
[56] Cfr. U. Targetti, Ruolo e pianificazione delle aree agricole periurbane:
l’esperienza del Parco agricolo sud Milano, Santarcangelo di Romagna,
Maggioli Editore, 2010, pp. 78,79,87,96,101
[57] Cfr. Centro Studi PIM, Il paesaggio, la natura, la città. Le aree verdi nella
configurazione del territorio metropolitano, 2005, p. 67
[58] Ivi, p. 68
103
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
A Milano, negli ultimi anni, accanto alle esperienze già avviate
e consolidate (Orti di via Chiodi, Giardino degli Aromi) si
sono moltiplicati i progetti dedicati all’agricoltura urbana:
orti di quartiere coordinati da organizzazioni di promozione
sociale, orti didattici coltivati nelle scuole, giardini terapeutici,
aiuole e spazi abbandonati trasformati da gruppi di giardinieri
occasionali (guerrilla gardening), orti per l’autoproduzione
in spazi sociali ma anche aree orticole integrate nei parchi
urbani. Si tratta di esperienze che si allontanano dalla stretta
definizione di “orti urbani”, proponendosi come un modo per
unire, alla pratica della coltivazione, la costruzione di rapporti
sociali: luoghi che permettono di riappropriarsi, quindi, tanto
degli spazi urbani quanto delle relazioni. La coltivazione,
infatti, si presenta come un’attività che non richiede particolari
competenze: ogni giardino diventa il campo di sperimentazione
su cui confrontarsi ed apprendere liberamente, adattandosi
sulla base dell’esperienza concreta, senza l’ansia legata al
raggiungimento di un particolare obiettivo. In questo senso, i
progetti di coltivazione si propongono come contenitori poco
discriminanti e facilmente accessibili. La possibilità di ottenere
un prodotto finito, inoltre, acquista l’importanza di un primo
traguardo, presentandosi come prodotto di cure e attenzioni
costanti nel tempo.[59]
“Grazie a questa duplice valenza, che mette in tensione aspetti
processuali e risultati tangibili, gli esperimenti di agricoltura
urbana possono essere definiti dei progetti a portata di mano,
in cui carica utopica e soddisfazione concreta convivono
proficuamente”. [60]
[59] Cfr. F. Cognetti, S. Conti, Milano, coltivazione urbana e percorsi di vita in
comune. Note da una ricerca in corso, in LaPEI (Laboratorio di Progettazione
Ecologica degli Insediamenti), PRIN. Il progetto di Territorio: metodi, tecniche
ed esperienze
[60] Ivi, p. 36
104
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
L’agricoltura urbana si presenta come un tema dalle grandi
potenzialità e meriterebbe un approfondimento specifico.
Tuttavia, occorre sottolineare, in questa sede, come l’aumento
degli orti urbani a Milano potrebbe rappresentare l’occasione,
anche sfruttando le numerose cascine abbandonate presenti
sul territorio comunale, per ripensare in modo organico il tema
alimentare, favorendo la “filiera corta” e accrescendo l’offerta
di prodotti “a chilometro zero”, sulla scia dell’incoraggiante
successo di manifestazioni come il Mercato della Terra di Milano,
promosso da Slow Food e divenuto ormai un appuntamento
fisso per la città.
Nella pagina precedente: Esempio di orto urbano, Milano
In alto: Volantino del Mercato della Terra di Milano
106
Sistemi agricoli e grandi parchi, restauro del territorio
Manifesto del movimento Guerrilla Gardening
107
Verso la Città Metropolitana
4. VERSO LA CITTA’ METROPOLITANA
Articolo 5 della Costituzione della Repubblica Italiana:
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le
autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il
più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i
metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del
decentramento. [1]
4.1_Quadro normativo, autonomie e competenze locali
Il Titolo V della Costituzione regola i rapporti tra gli Enti costitutivi
della Repubblica, occupandosi di ripartire le competenze
tra lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni. Definisce, in
particolare, le materie di legislazione esclusiva dello Stato e
quelle di legislazione concorrente.
La riforma del Titolo V effettuata nel 2001 dal Governo Amato
ha comportato significative modifiche nell’ambito dei rapporti
tra gli Enti costitutivi, nell’ottica di un sempre maggiore
decentramento dei poteri statali, con l’intento di porre le basi
per la trasformazione futura dell’Italia in una Repubblica
Federale.[2] La modifica dell’art. 114, infatti, effettua una
parificazione tra gli Enti, omologando lo Stato ai Comuni, alle
Province, alle Città Metropolitane e alle Regioni come elementi
costitutivi della Repubblica.
“La Repubblica” – recita infatti l’articolo in esame – “è costituita
(e non più «si ripartisce», come nella versione originaria,
nda) dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane,
dalle Regioni e dallo Stato”;[3] lo stesso articolo prosegue
attribuendo a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni
[1] Costituzione della Repubblica Italiana, 1947, aggiornata alla Legge
Costituzionale del 30 Maggio 2003, n.1, art. 5
[2] Cfr. Legge Costituzionale n. 3 del 18 Ottobre 2001, Modifiche al Titolo V
della parte seconda della Costituzione
[3] Legge Costituzionale n. 3 del 18 Ottobre 2001, Modifiche al Titolo V della
parte seconda della Costituzione, art. 1
109
Verso la Città Metropolitana
natura di enti autonomi, con propri statuti, poteri e funzioni.
Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la
potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
La nuova formulazione del Titolo V, nello specifico dell’art.117,
ribalta completamente la disciplina relativa alla potestà
legislativa dello Stato e a quella delle Regioni a statuto ordinario.
L’impostazione precedente indicava precisamente le materie
in cui le Regioni avevano legislazione concorrente, lasciando
quella esclusiva allo Stato per tutti gli altri casi. Con la riforma,
al contrario, vengono esplicitamente elencate le materie in cui
è lo Stato ad avere potestà legislativa, lasciando alle Regioni
legislazione concorrente nelle materie non espressamente
indicate.[4]
Ricadono, in questo modo, nella legislazione concorrente,
una serie di materie tra cui il governo del territorio, i porti e
aeroporti civili e le grandi reti di trasporto e di navigazione.
Occorre sottolineare come questa modifica, incidendo
profondamente nei rapporti tra gli Enti costitutivi della
Repubblica, abbia compiuto significativi passi in avanti dal
punto di vista del decentramento, permettendo la creazione
degli statuti regionali. Quest’ultimo punto, in particolare,
ha consentito la necessaria autonomia per legiferare con
maggiore precisione in ambito territoriale, per quanto riguarda
pianificazione e tutela del territorio, urbanizzato e non. Si è
riusciti, in questo modo, a conferire adeguata importanza ai
livelli di pianificazione intermedia permettendo la realizzazione
di piani territoriali che, seppur previsti già dalla legge urbanistica
nazionale del 1942,[5] erano rimasti perlopiù sul piano delle
intenzioni.
Bisogna ricordare come, nel 2005, il governo Berlusconi, per
mano dell’allora Ministro per le riforme Bossi, avesse proposto
una nuova modifica del Titolo V della Costituzione, [6] che
[4] Cfr. Legge Costituzionale n. 3 del 18 Ottobre 2001, Modifiche al Titolo V
della parte seconda della Costituzione, art. 3
[5] Legge n. 1150 del 17 Agosto 1942, Pianificazione urbanistica generale
[6] Testo di legge costituzionale numero 2544-D del 16 Novembre 2005,
110
Verso la Città Metropolitana
prevedeva da una parte il ritorno della legislazione esclusiva
dello Stato in merito ad alcune materie difficilmente frazionabili,
come le grandi reti strategiche di trasporto e la sicurezza sul
lavoro, dall’altra l’attribuzione di competenze esclusive alle
Regioni in materie di sanità, scuola e sicurezza pubblica.
La bocciatura di questa riforma costituzionale, attraverso il
referendum confermativo del 2006,[7] non ci consente di avere
un riscontro oggettivo, nel bene o nel male, circa l’efficacia
delle misure previste.
4.2_Austerity, centralizzazione in nome del risparmio?
In una fase economica caratterizzata dalla recessione, con una
politica fortemente improntata all’austerity, al contenimento dei
costi della macchina statale e al taglio della spesa pubblica,
il “governo dei tecnici” guidato da Mario Monti ha individuato
nella riforma del Titolo V della Costituzione un ulteriore
strumento per conferire all’Italia maggiore efficienza. Questo
provvedimento deve essere inteso in continuità con le manovre
di revisione dei conti pubblici che il governo ha adottato
nell’ultimo anno, in particolare la cosiddetta “spending review”.[8]
In un contesto di abuso di denaro pubblico relativamente ad
alcune regioni, questo intervento, inoltre, può essere riletto alla
luce della crescente importanza, in sede di politica e mercati
internazionali, del recupero di un’immagine di credibilità del
governo italiano.
Il progetto di riforma è culminato nella presentazione, al
Consiglio dei Ministri, di un disegno di legge costituzionale. [9]
Nello specifico, si tratta di riportare alcune competenze delle
Regioni a livello statale. Oltre alla potestà in materia di rapporti
Modifiche alla parte II della Costituzione
[7] 25-26 Giugno 2006
[8] Legge n. 135 del 7 Agosto 2012, Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la
revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini
[9] Disegno di Legge Costituzionale n. 3520 del 15 Ottobre 2012, Disposizioni
di revisione della Costituzione e altre disposizioni costituzionali in materia di
autonomia regionale
111
Verso la Città Metropolitana
internazionali, armonizzazione dei bilanci pubblici, garanzia
dei diritti costituzionali e norme di procedimento amministrativo
occorre ricordare in questa sede come lo Stato, in particolare,
riacquisisca legislazione esclusiva in tema di “principi generali
dell’ordinamento di Comuni, Province e Città Metropolitane”.[10]
Quest’ultimo provvedimento si è reso indispensabile al fine di
ridurre il contenzioso costituzionale avviatosi sulle questioni
inerenti la riorganizzazione territoriale della Repubblica. Si vuol
fare riferimento, in particolare, alla querelle in merito al riordino
delle Province e all’accorpamento dei piccoli Comuni.[11]
Allo stesso tempo, tramite la cosiddetta “spending review”,
il Governo elimina un gran numero di province (64 su 107),
diminuendo ulteriormente i fondi a disposizione di Regioni e
Comuni.[12] Le recenti dichiarazioni di Filippo Patroni Griffi,
ministro per la Pubblica amministrazione e la semplificazione,
riferiscono inoltre della volontà, da parte dell’esecutivo, di
riflettere proprio su quest’ultimo tema, facendo presagire
ulteriori sviluppi verso il centralismo statale.
Abbiamo cominciato con le Province, ente intermedio di secondo
livello, presente in gran parte degli ordinamenti europei: ne stiamo
ridefinendo perimetro e funzioni, concentrandole su quelle ‘di area
vasta’ ed evitando duplicazioni. Credo che nel prossimo futuro
occorrerà riflettere, nelle sedi e con gli strumenti appropriati, anche
sul sistema regionale e sulla eccessiva frammentazione comunale.
Con un obiettivo: ottimizzare le risorse, accentuare la responsabilità
nella spesa e assicurare i migliori servizi ai cittadini.[13]
[10] Disegno di Legge Costituzionale n. 3520 del 15 Ottobre 2012,
Disposizioni di revisione della Costituzione e altre disposizioni costituzionali
in materia di autonomia regionale
[11] Per il riordino delle Province: Decreto Legge n. 201 del 6 Dicembre 2011,
Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti
pubblici
Per l’accorpamento dei Comuni: Decreto Legge n. 138 del 13 Agosto 2011,
Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo
[12] Legge n. 135 del 7 Agosto 2012, Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la
revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, art. 18
[13] F. Patroni Griffi, riportato in Altalex, Spending review: Patroni Griffi, dopo
112
Verso la Città Metropolitana
Questi provvedimenti spingono a fare alcune considerazioni,
tenendo sempre conto del fatto che non si è ancora in
presenza di un testo legislativo ben definito, trattandosi di un
argomento de iure condendo. Si vuole riflettere, innanzitutto,
sull’opportunità di eliminare il livello provinciale. Dal punto
di vista della pianificazione territoriale, è innegabile come la
dimensione provinciale rappresenti, probabilmente, la giusta
scala per governare il territorio a livello sovracomunale,
collocandosi in posizione intermedia tra la gestione regionale,
troppo distante, e quella comunale, troppo spesso miope e
focalizzata solo su interventi a scala locale. Ci si chiede se il
risparmio che si desidera ottenere nel breve e medio termine
dalla soppressione degli enti provinciali valga a giustificare la
perdita degli strumenti urbanistici correlati, con riferimento al
Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, o se si possa
piuttosto configurare come un’arma a doppio taglio i cui effetti
si manifesteranno in futuro.
La riforma si caratterizza, inoltre, come un chiaro intervento
di riaccentramento di poteri da parte dello Stato, costituendo,
in tal senso, un deciso passo indietro rispetto alle modifiche
apportate al Titolo V della Costituzione nel 2001, in merito
all’autonomia degli enti locali.
Per ora può bastare, chiedendosi però se il “cattivo uso” dei poteri
da parte di una classe politica regionale inadeguata (quando
non corrotta) possa consentire uno svuotamento di poteri tale
da vanificare – forse oltre il limite – il principio fondamentale
dell’autonomia consacrato dall’art. 5 della Costituzione.[14]
Province riflettere su Regioni, 24 Settembre 2012 (http://www.altalex.com/
index.php?idnot= 58995)
[14] L. Cuocolo, Regioni indifendibili, ma l’autonomia è un principio
fondamentale, «Il Ricostituente», 14 ottobre 2012 (http://www.ilricostituente.
it/2012/10/14/1967)
113
Verso la Città Metropolitana
4.3_ La Città Metropolitana
La normativa nazionale introduce per la prima volta il concetto
di città metropolitana con la legge di riforma dell’ordinamento
degli enti locali numero 142 del 1990.[15] Nello specifico, l’articolo
17 recitava: “nell’area metropolitana la provincia si configura
come autorità metropolitana con specifica potestà statutaria
ed assume la denominazione di città metropolitana”. [16] La
motivazione legata all’introduzione di questo nuovo ente
territoriale era legata all’esigenza di fornire uno strumento
sufficientemente flessibile in grado di risolvere i problemi delle
grandi aree metropolitane, fornendo una risposta al problema
delle concentrazioni urbane emerso con l’avvento della società
industriale attraverso la creazione di un nuovo istituto che
sopperisse all’insufficienza dello strumentario normativo.
La legge 142 del 1990 viene successivamente abrogata
dal Decreto Legislativo n. 267 del 2000, contenente il Testo
Unico degli Enti Locali.[17] In merito all’istituzione della Città
Metropolitana, quest’ultimo specifica che essa assume le
funzioni della Provincia e “attua il decentramento previsto
dallo statuto, salvaguardando l’identità delle originarie identità
locali”.[18] In realtà l’equiparazione tra i due enti territoriali,
Provincia e Città Metropolitana, è solo indicativa e non effettiva,
in quanto la seconda esercita ovviamente più funzioni rispetto
alla prima, in particolare quelle che le vengono conferite dalla
Regione. A questo proposito, tuttavia, bisogna rilevare come il
Testo Unico non prevedesse ancora materie ben precise a cui
attenersi. [19]
A livello costituzionale, le Città Metropolitane vengono
[15] Legge numero 142 del 8 Giugno 1990, Ordinamento delle autonomie
locali
[16] Ivi, art. 17
[17] Decreto Legislativo n. 267 del 18 Agosto 2000, Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali
[18] Ivi, art. 23, comma 5
[19] Cfr. E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè Editore,
2010, pp. 313-316
114
Verso la Città Metropolitana
riconosciute con la riforma del Titolo V della Costituzione,
realizzata nel 2001. La disciplina viene regolata dagli articoli
114, 117, 118 e 119. In particolare, l’articolo 114 effettua
l’equiparazione tra la Città Metropolitana agli altri Enti
Territoriali, ossia Comuni, Provincie e Regioni.[20]
Nel 2009, la legge 42 prevede la possibilità di istituire città
metropolitane in determinate aree italiane,[21] dettandone le
funzioni fondamentali: la pianificazione territoriale generale e
delle reti infrastrutturali, la strutturazione di sistemi coordinati di
gestione dei servizi pubblici, la promozione e il coordinamento
dello sviluppo economico e sociale.[22]
Differenze tra Provincia e Città Metropolitana (ai sensi della L. 135/2012)
L’articolo 18 della “spending review”, infine, istituisce
ufficialmente le Città Metropolitane, a partire dal 1 gennaio
2014, per le zone comprendenti i comuni di Milano, Roma,
Torino, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e
[20] Cfr. Legge Costituzionale n. 3 del 18 Ottobre 2001, Modifiche al Titolo V
della parte seconda della Costituzione
[21] Legge n. 42 del 5 Maggio 2009, Delega al Governo in materia di
federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione
[22] Cfr. Legge n. 42 del 5 Maggio 2009, Delega al Governo in materia di
federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, art. 23,
comma 5
115
Verso la Città Metropolitana
Reggio Calabria, sopprimendo le relative province. Il territorio
della città metropolitana coincide quindi con quello della
provincia contestualmente soppressa, fermo restando la
facoltà, da parte dei comuni interessati, di aderire alla città
metropolitana piuttosto che ad una provincia limitrofa. Alla città
metropolitana viene inoltre attribuita, oltre alle funzioni delle
province e a quelle già indicate dalla legge 42 del 2009, potestà
legislativa in ordine all’organizzazione dei servizi pubblici di
ambito metropolitano, nonché in merito a mobilità e viabilità.[23]
L’istituzione della Città Metropolitana rappresenta un importante
passo in avanti nella gestione del territorio. Le tipologie
insediative di alcune aree, come la Pianura Padana, hanno
visto da una parte l’espansione di un grande centro, dall’altra
la sopravvivenza e relativa affermazione dei centri minori ad
esso, oltre che reciprocamente, connessi, caratterizzati da
una maggiore qualità della vita, risultando in una sorta di città
diffusa.[24] Rispetto a queste situazioni gli strumenti urbanistici
previsti dalla normativa si rivelavano inadeguati, incapaci di
operare correttamente alla scala sovracomunale. Da una parte
il livello provinciale, seppur agendo ad una scala adeguata,
conservava prevalentemente una funzione di indirizzo e
coordinamento: a questo proposito le esperienze del PTCP, [25]
redatto dalla Provincia di Milano, e del Centro Studi PIM,
rappresentano un interessante contributo di analisi al livello
sovracomunale, seppur sprovvisti dei poteri esecutivi. D’altra
parte il livello comunale risultava completamente inadatto
a risolvere alcune istanze come la gestione dei rifiuti, la
distribuzione delle acque e la localizzazione dei servizi di
[23] Cfr. Legge n. 135 del 7 Agosto 2012, Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni
urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai
cittadini, art. 18
[24] Cfr. AA.VV., Progettare il passato: centri storici minori e valori ambientali
diffusi, a cura di Nicolò Savarese e Pietro A. Valentino, Roma, Editore Progetti
Museali, 1994
[25] Provincia di Milano, Adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento
Provinciale alla LR 12/05, Adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale
n.16 del 7 giugno 2012
116
Verso la Città Metropolitana
L’iter normativo in merito all’istituzione della Città Metropolitana
livello superiore.
La Città Metropolitana si presenta, al contrario, come uno
strumento adeguatamente flessibile, in grado di agire
secondo una logica sovracomunale, aumentando il grado di
coordinamento tra i Comuni e incidendo direttamente sulle
istanze sopraccitate oltre che sulla pianificazione territoriale.
Nel caso specifico di Milano e della relativa Provincia, bisogna
rilevare come, da ormai circa un trentennio, si avverta il bisogno
di riconoscere questo livello amministrativo, come soluzione
per una corretta amministrazione dell’area e per la tutela
del territorio. L’area milanese, infatti, ricalca perfettamente le
caratteristiche di una città metropolitana, presentando quindi le
condizioni necessarie per la sua costituzione. Recentemente,
pur con i dubbi e le riserve che il disegno di legge attualmente
presentato e recante la riforma del Titolo V della Costituzione
può sollevare circa un chiaro ritorno al centralismo da parte dello
Stato, è stata finalmente decretata, con la cosiddetta “spending
review”, l’istituzione obbligatoria della città metropolitana a
partire dal 2014.
Proprio riguardo a questo tema, abbiamo avuto l’opportunità
di parlare con Piergiorgio Monaci, direttore di Progetto Area
Metropolitana e Municipalità del Comune di Milano, incaricato
dall’assessore Daniela Benelli in merito allo sviluppo del
117
Verso la Città Metropolitana
progetto [26].
Il dottor Monaci racconta di come ci si trovi, attualmente, nelle
fasi cruciali della definizione del nuovo ente, di cui si è ormai
delineata l’ossatura principale. Attualmente i comuni coinvolti
sono gli stessi 134 già compresi nella Provincia di Milano, oltre
all’intera provincia di Monza e Brianza. E’ fatta salva, in ogni
caso, la possibilità di eventuali aggiunte o defezioni.
A questo proposito lasciano perplessi, a nostro avviso, le
proteste di alcuni comitati e sindaci brianzoli che richiedono
l’accorpamento di Monza alla maxi-provincia dell’area nord
lombarda, insieme a Como, Lecco e Varese. [27] La contiguità
territoriale rispetto a Milano, oltre che l’imprescindibile
dipendenza reciproca in termini di traffico di merci e di persone
fanno apparire il coinvolgimento del capoluogo brianzolo
nel nuovo ente come la soluzione più logica, configurandolo
come efficace connettore con le aree dei laghi e con la grande
conurbazione brianzola. Inoltre, per il discorso affrontato in
precedenza circa la condivisione di un medesimo bagaglio
socio-culturale, oltre che territoriale, appaiono ancora più
paradossali queste richieste. Auspichiamo che l’attuale
Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione
Patroni Griffi, o chi per lui, mantenga la barra dritta e non ceda
a queste pressioni, che sfociano facilmente nel campanilismo.
Il dottor Monaci conferma la compilazione di una tabella di
marcia per avvicinarsi adeguatamente alla scadenza imposta.
Nel 2013 occorrerà procedere, con i Comuni partecipanti, alla
redazione dello Statuto della Città Metropolitana, processo
fondamentale per deciderne gli effettivi ambiti di competenza
e, di conseguenza, la reale efficacia. E’ inevitabile notare
come il capoluogo lombardo ricopra un ruolo fondamentale
in questo procedimento, qualificandosi come perno dell’intero
sistema. La vicinanza politica tra Milano e la maggioranza dei
comuni coinvolti dovrebbe inoltre, realisticamente, rendere più
[26] Daniela Benelli, Assessore all’Area Metropolitana, Decentramento,
Municipalità e Servizi Civici del Comune di Milano
[27] Cfr. L. Losa, Provincia: o mangia ‘sta minestra o salta ‘sta finestra,
«Il Cittadino MB», 20 Novembre 2012 (http://www.ilcittadinomb.it/blog/Blog/31/
entries/3183/)
118
Verso la Città Metropolitana
semplice il compito dell’individuazione degli obiettivi comuni.
A questo proposito, il direttore Monaci sottolinea come la
sproporzione tra il Comune di Milano e gli altri centri rappresenti
un’anomalia nel sistema. E’ evidente, infatti, come il capoluogo
rischierebbe di sovrastare gli altri comuni compromettendo
l’equilibrio della città metropolitana. Questo discorso si palesa
riguardo al problema dell’elezione del sindaco metropolitano. La
legge entrata in vigore prevede, per questa carica, tre opzioni
diverse: la prima prevede che il sindaco del capoluogo divenga,
di diritto, il sindaco metropolitano; la seconda affida ai sindaci
dei Comuni partecipanti il compito di eleggere questa carica;
la terza prevede il suffragio universale e diretto. Per arrivare a
quest’ultima opzione - sostiene il dottor Monaci - è necessario
che Milano venga divisa in ulteriori comuni, utilizzando questa
frammentazione come soluzione rispetto alla sua eccessiva
importanza, così che Milano possa proporsi come primus
inter pares. Questo rappresenta un nodo cruciale per il
corretto funzionamento della città metropolitana ma comporta,
inevitabilmente, una tempistica di medio e lungo termine. E’
del tutto impensabile, infatti, effettuare una divisione di Milano
in Comuni nel giro di un anno, senza un processo graduale.
Per il momento si preferisce adottare la prima opzione, ossia
la presenza di un unico sindaco in comune tra il capoluogo
e la città metropolitana, soprattutto per evitare dualismi che
potrebbero essere da freno rispetto alla capacità decisionale
dell’ente, come già oggi avviene tra il Presidente della
Provincia e il sindaco di Milano. Parallelamente, si procederà in
direzione di un rafforzamento delle municipalità che andranno
a sostituire le attuali nove zone, inadeguate per dimensione e
conformazione.
Questo processo di scorporazione non è da intendere come un
“sacrificio” imposto alla città di Milano sull’altare della nascente
città metropolitana: al contrario, esso rappresenta, per la città
stessa, un’importante opportunità di riscoprire e riaffermare
specifiche identità locali, col tempo dimenticate.
La coesione e l’identità urbana si costruiscono quindi come
risposta ai processi di globalizzazione che sembrano destinati
a distruggerla. L’identità di città che sono aggregati di soggetti
119
Verso la Città Metropolitana
appartenenti contemporaneamente al sistema locale e a sistemi
a rete diversi non può più essere data dal radicamento locale dei
soggetti, dal semplice senso di appartenenza a un milieu inteso
come un patrimonio da conservare. A questa concezione passiva
dell’identità e del milieu urbano se ne va ora sostituendo una
attiva, in cui il patrimonio culturale della città diventa un capitale
da investire in progetti di trasformazione della città stessa, come
risposta alle sfide globali, mentre l’identità da semplice senso di
appartenenza diventa operatore attivo di connessioni tra soggetti
per l’inserimento della città nel grande gioco delle reti globali. Così
i sistemi territoriali urbani possono continuare ad essere attori
collettivi mettendo a frutto e riproducendo le risorse ereditate dal
passato. [28]
[28] G. Dematteis, Prolusione sul tema “Verso la città-rete del terzo millennio”,
cit.
120
La divisione di Milano in Municipalità
come occasione per riscoprire le
identità sbiadite della Città
Il Processo Progettuale.
Le tavole di progetto sono riportate in allegato
Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto
5_LE NUOVE MUNICIPALITA’ DI MILANO. IL PROGETTO
5.1_II presupposti del lavoro
Riscoprire la storia e l’identità di un luogo è, a nostro avviso,
un passaggio fondamentale e irrinunciabile, un processo che
pone le basi per una corretta dialettica tra una comunità e il
proprio territorio e quindi, in ultima analisi, per un consapevole
sviluppo di quest’ultimo. Conoscere appieno uno spazio, fare
di esso un “luogo”, appare tanto più impensabile quanto più
chi lo abita e lo anima quotidianamente ne ignora la storia, o
ancor peggio non si riconosce minimamente in esso. Non si
tratta, per dirla con Apollinaire, di “portarci dietro dappertutto
il cadavere di nostro padre”,[1] né tantomeno di incorniciare
in una semplice cartolina i ricordi del passato. Si intende, al
contrario, far sì che la storia divenga il motore per lo sviluppo
di una coscienza locale, capace di arricchire l’esperienza
quotidiana di chi anima questi luoghi. Le strade devono tornare
a parlare da sé, con i propri scorci, con i propri colori, con le
proprie voci. D’altra parte, come sosteneva Jane Jacobs già
negli anni ’60, è anche una questione di sicurezza, oltre che
di socialità. “Nonostante molti tentativi, pianificati o no, non s’è
ancora trovato nulla che possa sostituire una strada vivace e
animata”.[2]
Milano si presenta oggi come una realtà estremamente
complessa, risultato di una duplice storia: da una parte
quella “lenta”, protagonista fino alla fine dell’Ottocento, che ha
concentrato lo sviluppo all’interno delle mura spagnole; dall’altra
quella successiva, caratterizzata da un rapido processo di
espansione e da fenomeni rilevanti di speculazione edilizia.
In questa fase, in particolare, gli interventi sul territorio hanno
spesso ignorato le tracce della stratificazione storica. Nel corso
dell’ultimo secolo, così, mentre da una parte ci si preoccupava
Nella pagina precedente: Edicolante, Piazza Oberdan
[1] G. Apollinaire, I pittori cubisti: meditazioni estetiche, Milano, Abscondita,
2003
[2] J. Jacobs, Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli
americane, Torino, Edizioni Comunità, 2000
123
Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto
di annettere alla città numerosi comuni o piccoli borghi limitrofi,
dall’altra non sempre si interveniva per valorizzarne il carattere.
Al contrario, se ne minimizzavano importanza e identità,
relegandone talvolta le tracce nei cortili delle case e lasciando
la memoria storica del luogo esclusivamente a coloro che ci
avevano abitato.
In nome dell’efficienza, della salubrità, delle magnifiche sorti e
progressive, sono stati nascosti, e talvolta addirittura cancellati,
caratteri fondamentali dell’identità meneghina, valori specifici
della città come navigli, cascine, campi agricoli e mezzi di
trasporto storici, snaturando completamente l’identità di questi
luoghi.
Occorre constatare, tuttavia, come questo processo di
espansione fosse una risposta alla realtà dei tempi, a concrete
esigenze legate all’aumento demografico e al boom economico
degli anni ‘60, alla diffusione dell’automobile e all’ingenua
convinzione che tutto questo sviluppo non sarebbe mai finito.
Si pensava, e spesso probabilmente si pensa tuttora, che
costruire fosse un’attività di per sé stessa sufficiente a produrre
ricchezza e, allo stesso tempo, garantire un alloggio per tutti.
Sebbene da una parte, in molti casi, l’aspetto qualitativo non sia
stata trascurato, con la realizzazione di palazzi pregevoli e viali
alberati, dall’altra, in altrettanti casi, non si è avuta la stessa
premura, proponendo improbabili architetture residenziali a
basso costo immerse in squallidi contesti. In entrambi i casi,
comunque, è mancato l’interesse a sviluppare nuove centralità
di riferimento per gli abitanti, lasciando che questo compito
rimanesse delegato ad un unico “centro” storico, da ammirare
e desiderare, destinato esclusivamente a pochi fortunati.
Milano, oltretutto. ha pagato a caro prezzo lo scotto della
terziarizzazione, che ne ha modificato radicalmente la
produttività e, dal dopoguerra ad oggi, non è mai stata in grado
di cogliere le occasioni di rinnovamento offerte dai vuoti urbani,
preferendo la scelta di grandi “progetti-vetrina” del tutto inadatti
alle reali esigenze della popolazione.
I risultati sono evidenti, manifesti davanti ai nostri occhi:
Milano si presenta oggi come una città caotica, congestionata,
decisamente “autocentrica” e, per alcuni, invivibile; una città
piena di contraddizioni, in cui la presenza di un ingente
124
Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto
patrimonio edilizio inutilizzato o in stato di abbandono non
sembra costituire un freno all’innalzamento di nuovi edifici; una
città caratterizzata da un elevato reddito pro-capite, un basso
tasso di disoccupazione e una buona condizione dei trasporti
pubblici, ma in cui, allo stesso tempo, si lamenta un’alta
densità di popolazione, elevati tempi medi di spostamento,
un’elevata presenza di smog e una bassa quantità di spazi
aperti; una città che le luccicanti architetture contemporanee
da sole non bastano, come in molti potrebbero pensare, a
connotare come grande metropoli di livello internazionale, e
che nasconde ancora inaspettati e “romantici” angoli urbani,
segno di un passato non dimenticato, spesso irrisolto, non
certo da sacrificare.
Anziché inseguire mode cangianti, futuri grandiosi e progetti
magniloquenti, le energie andrebbero dedicate a migliorare i
luoghi nel loro rapporto con la misura umana, producendo territori
nei xquali sia agevole orientarsi e sia ripristinabile un rapporto
di dialogo tra corpo e ambiente circostante (mentre oggi la città
metropolitana tende a venire sempre più spesso progettata a misura
dell’automobile, dell’alta velocità ferroviaria, dell’aereo). Luoghi
capaci di raccontare una storia coerente con la nostra memoria
sociale e culturale, capaci di dare senso al nostro esistere in una
prospettiva temporale che vada oltre l’orizzonte della singola
vita umana: modelli di urbanizzazione che distruggono anche la
memoria del passato ci trasmettono il messaggio che anche di noi
e del nostro operato non rimarrà traccia nella città di domani (e
non è un bel messaggio, di quelli che aiutano a vivere).[3]
[3] P. L. Cervellati, A. Marson, Città metropolitana veneziano-veneta e
progetto di territorio, in A. Marson (a cura di), Il progetto di territorio nella città
metropolitana, Firenze, Alinea Editrice, 2006, p.22
125
1
Le microrealtà di Milano,
le testimonianze storiche
come nuovi Centri di Quartiere
2
3
4
Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto
5
6
131
7
Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto
8
9
133
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13
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19
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Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto
21
22
145
23
24
Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto
Le immagini nelle pagine precedenti:
1: P
orta Venezia, Piazza Oberdan
2: Caseggiato a Garegnano, viale Certosa
3: Certosa di Garegnano, viale Certosa
4: La Chiesa del Lazzaretto
5-6: Insegne di negozi storici, Lazzaretto
7: Il ponte di Isola
8: Via delle Abbadesse, Isola
9: Santuario di S. Maria, Isola
10: Caseggiato popolare, Villapizzone
11: Comunità abitativa,Villapizzone
12-13: C
ascina Torchiera (abbandonata/occupata), Garegnano-Cimitero Maggiore
14: Caseggiato a Garegnano, viale Certosa
15: Edificio rustico, Affori
16: Chiesa in via Berra, Crescenzago
17: Portone sul Naviglio Martesana, Crescenzago
18: Sponda del Naviglio Martesana, Crescenzago
19:“Policromie industriali”, Crescenzago
20: Chiesa in via Regina Teodolinda, Cimiano
21: Chiesa in via Tremelloni, Precotto
22: Ferrovia Cimiano
23-24: Scorci sul canale della Vettabia, Morivione
148
Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto
5.2_Il processo di divisione
Il nostro lavoro nasce sulla base di queste riflessioni e si pone
l’obiettivo di riscoprire le identità storiche di Milano, ricostruendo,
una tessera per volta, il mosaico del suo sistema territoriale
storico. L’operazione di ricerca è stata volta all’individuazione
di diverse polarità: i nuclei storici veri e propri; le testimonianze
storiche puntuali, non necessariamente “riconosciute” e
valorizzate; le “emergenze” territoriali, ossia i luoghi di
particolare o potenziale valore per gli abitanti. Si è cercato, in
sostanza, di individuare sia i luoghi di aggregazione, di cui a
Milano si sente la mancanza, sia i luoghi della storia, facendo
confluire entrambi in un discorso unitario. L’identificazione di
questi elementi è stato il risultato di un lavoro su più livelli:
da una parte la sovrapposizione e l’analisi della cartografia
storica; dall’altra la ricerca diretta sul luogo e l’interazione con
gli abitanti e i vari consiglieri di zona.
Mappa storica di Milano (1865)
149
Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto
Una volta individuate, le polarità sono state classificate
gerarchicamente secondo due livelli di importanza, in virtù dei
quali si sono determinati i rispettivi “raggi d’influenza”. Sebbene
queste aree presentino dei margini sfumati, si è cercato di
individuarne i confini tenendo conto, da una parte, dei limiti
fisici e delle tracce sul territorio, dall’altra, della percezione
degli abitanti. L’obiettivo di questo lavoro è stato quello di
scomporre Milano in ambiti storici e identitari omogenei,
riconducibili ad uno o più elementi di interesse. “Questi luoghi,
siano essi quartieri, villaggi urbani o permanenze di ciò che
era un tempo campagna o altro spazio non urbanizzato […],
non necessariamente hanno un singolo confine o centro, né
vanno pensati come ambiti chiusi alle relazioni con le altre
parti di città metropolitana. Essi devono tuttavia possedere
gli attributi di luogo, ovvero essere dotati di identità propria,
essere riconoscibili sia da coloro che vi abitano, sia da chi
li percepisce dall’esterno”.[4] Questo lavoro di divisione si è
concentrato principalmente sul tessuto costruito, cercando di
evidenziare in modo differente gli spazi liberi, valorizzati o meno,
comunque “sopravvissuti” all’urbanizzazione, raggruppandoli
in macroaree al fine di permetterne un trattamento più organico.
Il risultato finale è stato l’individuazione di 90 Quartieri.
Il passaggio successivo del nostro processo progettuale
è stato il confronto con le esigenze reali, vale a dire con
la necessità di individuare le Municipalità secondo un
determinato criterio dimensionale. Lo scopo, come detto,
era quello di evitare una sproporzione tra Milano e gli altri
Comuni della Città Metropolitana, con il conseguente rischio
di una compromissione dell’equilibrio metropolitano. Il dottor
Monaci, nel corso dell’incontro già citato, dichiarava la volontà
di istituire un numero di Municipalità compreso tra 12 e 14, con
una popolazione residente nell’ordine delle centomila persone
per ciascuna. Questi erano i criteri numerici e dimensionali
che avrebbero consentito di ottenere da una parte la fattibilità
economica del progetto, dall’altra un confronto più equilibrato
[4] P. L. Cervellati, A. Marson, Città metropolitana veneziano-veneta e
progetto di territorio, in A. Marson (a cura di), Il progetto di territorio nella città
metropolitana, Firenze, Alinea Editrice, 2006, p. 19
150
Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto
tra le nuove Municipalità e gli altri comuni metropolitani, in
particolare quelli contermini.
L’individuazione delle Municipalità così connotate è stata
ottenuta sommando i Quartieri determinati in precedenza. La
somma è stata effettuata in base a differenti criteri. In primo
luogo, abbiamo analizzato le relazioni e i collegamenti tra le
polarità individuate sul territorio cittadino, identificando una
rete policentrica di connessioni basate sullo sviluppo storico del
tessuto urbano e sulla sua configurazione attuale, con lo scopo
di ribaltare la classica visione radiocentrica. Parallelamente,
abbiamo tenuto conto dell’aspetto dimensionale, monitorando,
di volta in volta, la popolazione residente e la superficie
territoriale delle varie Municipalità delineate. Per ottenere questi
dati, abbiamo fatto riferimento ad uno studio sui cosiddetti
Nuclei di Identità Locale (NIL),[5] presentato dal Comune di
[5] A proposito del lavoro sui NIL presentato dalla giunta comunale
presieduta da Letizia Moratti, occorre aprire una parentesi e fare alcune
brevi considerazioni. L’idea di effettuare un’analisi di Milano basata su una
scomposizione in nuclei identitari, per quanto detto in precedenza, è senza
dubbio lodevole. Tuttavia, ad un’analisi più approfondita, lo studio presentato
dal Comune si rivela alquanto discutibile. Occorre rilevare, innanzitutto, come
il lavoro si presenti a tratti incompleto, intendendo fare riferimento al significato
letterale di questo termine. Molte delle schede di analisi relative ai dati numerici
dei nuclei non sono compilate in maniera completa, un’altra addirittura, quella
del NIL Stadera, è sprovvista di un’intera sezione, quella riguardante gli
indicatori territoriali. Se da una parte si riscontra, quindi, un’incompletezza del
lavoro, dall’altra sorprende la sicurezza con cui vengono forniti alcuni dati. Nel
caso del NIL Tre Torri, ad esempio, si indica un numero di abitanti pari a 1341.
Considerando che l’intero quartiere è ancora in fase di costruzione, si può
considerare questo dato come una stima, frutto delle previsioni insediative.
Quello che lascia perplessi è la precisione con cui si indica il numero di stranieri,
arrivando a specificarne la nazionalità prevalente (francese, in questo caso).
In generale, rimane quantomeno oscuro il motivo per il quale, in uno studio
sui nuclei identitari locali, si sia riscontrata la necessità di fornire indicazioni
circa la provenienza della popolazione forestiera. A monte di queste critiche,
riteniamo che lo studio sui NIL presentato dal Comune di Milano presenti
alcuni errori “strutturali”. La scelta di includere i grandi parchi urbani all’interno
dei NIL, analizzandoli e conteggiandoli con lo stesso criterio, ha portato ad
ottenere indicazioni sulle dotazioni di servizi talvolta paradossali, e che di
certo non rendono conto delle reali condizioni in cui si trovano le varie zone
individuate. Basti pensare ai 102084 metri quadrati per abitante del NIL Parco
Sempione (questo dato, peraltro, è stato ricavato da noi in quanto mancante
nel documento ufficiale), numero incredibile se confrontato con la dotazione di
151
Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto
Milano nell’ultimo Piano di Governo del Territorio.[6]
Questo procedimento ha portato all’identificazione di 12
Municipalità, la cui denominazione è stata decisa in virtù delle
polarità più rappresentative presenti e mantiene, in ogni caso,
il prefisso “Milano”: Duomo, Sempione, Isola-Porta Venezia,
Lambrate, Monluè-Rogoredo, Porta Romana-Vigentino, Navigli,
San Cristoforo-Lorenteggio, Baggio-San Siro, VillapizzoneCertosa, Affori-Niguarda e Martesana.
Una volta individuate le 12 Municipalità, il lavoro è proseguito
con la mappatura dei servizi principali del Comune di Milano.
L’obiettivo è stato quello di studiare la distribuzione di servizi
a livello cittadino ricavando, di conseguenza, indicazioni
sulle dotazioni di livello municipale. In questo modo, è
stato possibile ottenere informazioni utili, almeno in prima
approssimazione, a determinare in quale misura intervenire
nelle diverse Municipalità individuando, in primis, quelle
con una dotazione di servizi deficitaria. Al fine di rendere
comparabili i dati numerici ricavati per le singole Municipalità,
abbiamo determinato due parametri di riferimento generali,
individuando due tipi di indicatori: il primo mette in rapporto i
servizi analizzati, espressi in unità, con una medesima quantità
di popolazione residente, determinata in centomila abitanti
(unità/100000 abitanti); il secondo rapporta gli stessi servizi ad
una determinata superficie di riferimento, esprimendo un valore
di “densità territoriale” (unità/Km 2). A livello cittadino, la mappa
così elaborata evidenzia in modo chiaro, anche visivamente,
come la densità dei servizi aumenti in direzione della zona
centrale della città.
servizi del vicino NIL Duomo (circa 30 metri quadrati per abitante) o del NIL
Brera (circa 11 metri quadrati per abitante). Per questi motivi abbiamo deciso
di utilizzare, ai fini del nostro progetto, solo alcuni dei dati contenuti in questo
studio. Più precisamente, abbiamo utilizzato i dati riguardanti la popolazione
residente e quelli relativi alle superfici territoriali. Occorre sottolineare come,
malgrado le numerose corrispondenze tra i Quartieri da noi segnalati e i NIL,
il confronto tra i due lavori è stato effettuato solo al termine del processo di
individuazione, per evitare di esserne condizionati.
[6] Comune di Milano, Piano dei Servizi in Piano di Governo del Territorio,
Dicembre 2009, Testo emendato a seguito della Delibera di adozione n. 25
seduta consiliare del 13-07-2010 terminata il 14-07-2010
152
Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto
Come detto, il lavoro di mappatura effettuato ha uno scopo
volutamente indicativo: in tal senso occorre interpretare
la scelta, da parte nostra, di utilizzare i simboli al posto del
linguaggio tecnico dell’urbanistica. Prima di elencare quali
servizi si è scelto di prendere in considerazione, occorre fare
una precisazione. Abbiamo deciso, nella nostra analisi, di non
considerare tutti i servizi sullo stesso piano. In particolare,
abbiamo ritenuto che alcuni fossero adeguati alla scala
municipale mentre altri, a nostro avviso, dovrebbero far
riferimento ad una scala maggiore: dovrebbe essere la Città
Metropolitana, in sostanza, ad occuparsi della loro gestione.
Per quanto riguarda i servizi di livello municipale, abbiamo
deciso di segnalare la presenza di scuole, forze dell’ordine
(Polizia di Stato, Carabinieri, Polizia Locale), uffici postali e
centri sportivi.
Per quanto concerne la seconda “categoria” di servizi, quelli
di livello metropolitano, abbiamo ritenuto opportuno mappare
i grandi parchi urbani, gli ospedali, la rete della cultura (teatri,
musei e università), le caserme dei Vigili del Fuoco e le linee
di trasporto pubblico. A proposito di queste ultime, occorre
specificare come la nostra operazione di mappatura abbia
preso in considerazione esclusivamente i tracciati della linea
metropolitana (e del passante ferroviario) e i percorsi (attivi
e non) dei tram. Questi due mezzi di trasporto, infatti, sono
maggiormente “radicati” e vincolati al territorio. Abbiamo
ritenuto, al contrario, che i percorsi del trasporto pubblico su
gomma possano essere più facilmente “ridisegnati” alla luce
della nuova divisione in Municipalità.
Oltre ai servizi così individuati, abbiamo deciso di segnalare
due elementi di interesse municipale che riteniamo possano
essere in grado di caratterizzare il territorio e riattivare
dinamiche virtuose all’interno delle Municipalità: i poli produttivi
e le cascine. Per quanto riguarda i primi, in vista dei possibili
e auspicabili sviluppi accennati in precedenza in merito al
ripensamento del rapporto produzione-distribuzione-vendita,
riteniamo controproducente svincolare totalmente la produzione
industriale dal territorio. In merito alle cascine, d’altra parte,
crediamo sia necessario, per i discorsi fatti ed in linea con il
153
Le nuove Municipalità di Milano. Il progetto
tema alimentare dell’Expo 2015, [7] una loro valorizzazione e,
laddove necessario, un riutilizzo, sistematizzandole (vista la
presenza numerica non trascurabile) in un discorso di “filiera
corta” e orti urbani.
[7] Vedi capitolo 3
154
Conclusioni
CONCLUSIONI
Nel corso dell’analisi effettuata si è fatto riferimento, come
visto, a due differenti livelli: l’approfondimento, infatti, è partito
dalla più ampia scala provinciale o, come è ormai il caso di
chiamarla, la scala metropolitana, per giungere alla scala
locale, ossia al livello comunale.
L’analisi di livello metropolitano ha messo in luce, dal punto
di vista territoriale, una serie di criticità relativamente
all’area milanese. Le problematiche connesse all’aumento
del consumo di suolo, come detto, sono di stretta attualità
ed evidenziano l’urgenza di porre freno a un fenomeno che
presenta dati allarmanti a livello nazionale, e ancora più critici
nel caso dell’area in esame. In generale, la mancanza, fino
ad oggi, di uno strumento normativo in grado di coordinare
strategicamente lo sviluppo urbano del territorio a livello
sovracomunale, ha determinato un aumento incontrollato
dell’urbanizzazione e, quindi, del consumo di suolo. Il risultato è
un’alterazione del territorio che non si traduce esclusivamente
nella sua compromissione fisica, chimica e biologica,
conseguente all’impermeabilizzazione dei suoli, bensì in una
perdita altrettanto importante sebbene molto più difficile da
quantificare: la perdita dei valori locali. Come detto, il problema
principale non consiste tanto nel consumo di suolo, quanto nel
suo errato utilizzo. Interpretare, anziché distruggere, i segni
del territorio, permette di comprenderne le reali necessità:
questo è possibile solo a patto di riportare l’attenzione sulla
storia del territorio stesso. E’ solo partendo da queste basi che
si può giungere ad una pianificazione intelligente, riducendo
l’espansione urbana.
L’analisi del sistema ambientale metropolitano, poi, ha
evidenziato come gli strumenti normativi relativi alla tutela e
alla salvaguardia del paesaggio restino di per sé insufficienti
finché a essi non si accompagnino adeguate misure per la
valorizzazione e la rigenerazione dello stesso. Le potenzialità
dell’agricoltura, il suo essere in grado da una parte di porsi a
presidio del territorio, mantenendolo in salute e consentendogli
di rigenerarsi, dall’altra di rispondere alle concrete esigenze
155
Conclusioni
legate al sostentamento della popolazione, evidenziano
l’esigenza di un cambiamento di prospettiva. E’ necessario che
le politiche territoriali assegnino al paesaggio un ruolo centrale
nella pianificazione, considerandolo non più esclusivamente
un oggetto da salvaguardare, in posizione subalterna e passiva
rispetto al tessuto urbanizzato, bensì piuttosto come un soggetto
di uguale importanza, in grado di produrre qualità e svolgere un
ruolo attivo. Occorre, inoltre, che questo cambiamento operi,
in sinergia, su tutti i livelli: solo “perseguire in modo integrato
funzioni di riequilibrio urbanistico e ambientale consente di far
evolvere sistemi regionali centro-periferici verso il concetto di
bioregione urbana”.[1]
Le criticità riscontrate in merito all’area metropolitana milanese
hanno trovato terreno fertile, come è stato approfondito,
nel sistema normativo: la mancanza di un adeguato
livello di pianificazione intermedio, in grado di coordinare
strategicamente lo sviluppo del costruito, e la conseguente
delega del maggiore potere decisionale ai comuni, ha causato
una crescita disordinata e frammentaria del territorio. Sebbene
il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale operi ad
un livello adeguato, la sua efficacia rimane limitata, dalla
normativa, nel campo delle indicazioni.
Inoltre, nonostante il PTCP milanese, [2] al netto delle
osservazioni fatte, individui correttamente le problematiche
dell’area provinciale, le strategie individuate, impostate
sul policentrismo, sono vincolate da un’impostazione
monocentrica. L’attuale suddivisione amministrativa, infatti, ha
necessariamente obbligato il PTCP a considerare Milano come
un unico elemento indivisibile, sproporzionato rispetto agli altri
Comuni. Questa impostazione, esemplificata dal modello della
Città Centrale e dei Poli Attrattori, impedisce l’elaborazione di
una rete realmente policentrica, sbilanciando il sistema verso
[1] A. Magnaghi, Dalla città metropolitana alla (bio)regione urbana in A.
Marson (a cura di), Il progetto di territorio nella città metropolitana, Firenze,
Alinea Editrice, 2006, p. 105
[2] Provincia di Milano, Adeguamento del Piano Territoriale di Coordinamento
Provinciale alla LR 12/05, Adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale
n.16 del 7 giugno 2012
156
Conclusioni
il Comune di Milano.
Il nostro lavoro pone le premesse per rivisitare le indicazioni
del PTCP milanese. La scomposizione di Milano in Municipalità
e l’istituzione della Città Metropolitana, infatti, consentono
di reimpostare su basi più solide la struttura policentrica,
consentendo un confronto paritario tra i Comuni. Con la
nostra divisione, quindi, intendiamo suggerire una possibile
rivisitazione delle polarità nell’area metropolitana milanese.
La realizzazione di questi nuovi poli deve essere guidata da
un’idea progettuale in grado di creare nuova qualità urbana e la
progressiva cancellazione dell’idea stessa di periferia attraverso
nuovi criteri di urbanizzazione capaci di migliorare l’ambiente
urbano anche mediante la salvaguardia dei valori naturali. La
cintura urbana acquisirebbe così potenzialità nuove e funzioni
pregiate, veri nuovi motori della riqualificazione delle periferie
della città e dell’hinterland e cesserebbe di essere il ricettore dei
cascami della città centrale, ma al contrario potrebbe iniziare a
selezionare le funzioni da insediare. Il mix di funzioni residenziali,
produttive e di servizi, diffuso secondo uno schema multipolare
della città ridurrebbe la quantità degli spostamenti casa-lavoro
e quindi consentirebbe di affrontare su nuove basi i problemi del
traffico, della congestione e dell’inquinamento. La città centrale,
confermando e ampliando le proprie capacità produttive in alcuni
settori di eccellenza, dovrebbe promuovere contemporaneamente
il recupero di quei valori naturali la cui assenza ha contribuito
sicuramente all’esodo di popolazione. La natura potrebbe
lentamente ritornare nella città, riconquistandosi spazi per gli
alberi, l’acqua e l’aria pulita.[3]
Per questo motivo, dunque, occorre operare su due scale di
riferimento, una di coordinamento, quella metropolitana, e
una di intervento, quella municipale. Entrambi i livelli sono
necessari, oltre che di pari importanza. Solo un’effettiva
cooperazione tra di essi -condizione che può essere permessa
dalla Città Metropolitana- può consentire l’attuazione di un
[3] A. Boatti, Urbanistica a Milano, op. cit., p. 327
157
Conclusioni
modello collaborativo di coordinamento del territorio.
Il livello municipale consente di avvicinare concretamente i
livelli decisionali alle reali esigenze degli abitanti, permettendo
di realizzare forme più efficaci di partecipazione democratica.
Come abbiamo avuto modo di verificare personalmente,[4] il
tema della partecipazione è molto attuale e meriterebbe ulteriori
approfondimenti, considerando le applicazioni possibili e il
potenziale di questa pratica rispetto a un cambiamento nella
vita quotidiana e nel rapporto con il proprio territorio.
La scelta di operare in base a criteri storici e identitari,
individuando in prima battuta i Quartieri e, successivamente, le
Municipalità, è stata dettata dalla volontà di stimolare il senso
di appartenenza e, quindi, la conoscenza del luogo. Riteniamo
che quest’ultimo sia un fattore necessario per comprendere le
esigenze del luogo e rispondere con interventi mirati, venendo
incontro alle reali necessità di chi vi abita e generando, in
ultima analisi, meccanismi virtuosi di creazione del senso di
identità.
Questa rinata attenzione non significa nostalgia per un modello di
organizzazione sociale ormai passato, ma piuttosto preoccupazione
per la salvaguardia di funzioni e di valori irrinunciabili, come i
valori della solidarietà e le funzioni di integrazione delle diversità
e di efficiente organizzazione dell’interazione interna ed esterna.
I modelli di riferimento non sono San Gimignano o le città ideali
del Rinascimento, ma grandi città immerse nella modernità che
mantengono quelle funzioni e quei valori.[5]
La divisione di Milano in Municipalità, dunque, non è
esclusivamente una necessità burocratica e amministrativa ma
[4] Il 27 Ottobre 2012, presso lo spazio ex Ansaldo, abbiamo partecipato
ad un incontro pubblico organizzato dal Comune di Milano intitolato Le forme
della partecipazione come motore per costruire nuove municipalità, in cui
era presente, tra gli altri, l’Assessore al Decentramento del Comune di Milano
Daniela Benelli
[5] T. Pompili, Inquadramento e tendenze del sistema economico dell’area
metropolitana milanese in Provincia di Milano, Il fattore territorio nel sistema
economico milanese. Elementi per uno scenario metropolitano al 2020,
Dicembre 2008, p. 34
158
Conclusioni
si presenta, al contrario, come un’opportunità per sviluppare
in modo migliore l’intero territorio, ottenendo al contempo un
maggior coinvolgimento dei cittadini e una più intelligente
gestione delle risorse. L’istituzione della Città Metropolitana,
in questo senso, può dare la possibilità di ripensare il sistema
della mobilità, limitando gli spostamenti inutili. Il decentramento
amministrativo e la migliore distribuzione dei servizi, infatti,
possono rappresentare la chiave di volta per risolvere, nel caso
di Milano, i problemi di congestionamento e inquinamento,
configurando una rete territoriale effettivamente policentrica.
Nell’area milanese quindi è ormai urgente innescare un processo
che dia vita a una sorta di circolo virtuoso dinamico in cui
Milano e la sua area urbana si scambino risorse, perdendone
ed acquisendone reciprocamente e dando luogo così a nuove
e inedite occasioni di sviluppo. La città centrale deve riuscire a
cedere quantità significative di fattori, congestionanti per essa, ma
preziose occasioni di rilancio e riqualificazione per l’area urbana.
Università, sanità e funzioni terziarie amministrative possono e
devono essere collocate in nuovi poli strategicamente disposti
lungo le linee di forza del trasporto collettivo, in luoghi di scambio
intermodale con le direttrici fondamentali del trasporto privato. Il
processo della creazione dei nuovi poli deve essere caratterizzato
da flessibilità, plasticità, ricchezza di strutture e visibilità.[6]
La costituzione della Città Metropolitana, inoltre, può
rappresentare un’occasione per un ripensamento della filiera
produttiva alimentare, creando nuovi orti urbani e sfruttando
le cascine per migliorare l’offerta di prodotti a chilometro zero.
La proposta di suddivisione in Municipalità presentata
nel corso di questo lavoro, come visto, si basa soprattutto
sull’individuazione di luoghi del vivere e del vissuto cittadino, e
sulla volontà di incentivare pratiche di coinvolgimento sociale
nella gestione e nell’utilizzo del territorio. Per questo motivo,
a nostro avviso, questo lavoro dovrebbe essere seguito da un
processo di “revisione partecipativa”, con l’intento di limare le
[6] A. Boatti, Urbanistica a Milano, op. cit., p. 326
159
Conclusioni
eventuali inesattezze nei limiti individuati e far emergere altre
realtà nascoste. Come detto, il tema della partecipazione
è di stretta attualità e sarebbe meritevole di una trattazione
più approfondita. A proposito di questi temi, tuttavia, merita di
essere citata l’esperienza delle Parish Maps britanniche, [7] con
il coinvolgimento della popolazione locale nell’elaborazione di
mappe non tecniche ma che rappresentano, in forma evocativa
e simbolica, gli elementi identitari che gli abitanti reputano
caratterizzanti rispetto al loro luogo di vita.
In questo modo, realmente, sarebbe possibile effettuare un
cambio di prospettiva, lavorando nella stessa direzione alla
scala metropolitana e a quella locale.
Importante è voltare pagina rispetto a quella politica dei progetti
e delle iniziative immobiliari senza piano urbanistico generale
che ha dominato la scena politico-amministrativa della nostra
città. Milano merita che si riapra questa pagina per costruire
un’immagine rinnovata della città che rifletta un senso nuovo e
condiviso del ruolo che l’area metropolitana nel suo insieme può
tornare a giocare in Italia e in Europa.[8]
Solo quando sapremo conoscere e riconoscerci a fondo nel
nostro territorio potremo effettivamente parlare di sviluppo
sostenibile.
[7] Sulle Parish Maps si veda S. Clifford, A. King, From Place to Place:
Maps and Parish Maps, S.l., Common Ground, 1996
[8] A. Boatti, Urbanistica a Milano, op. cit., p. 335
160
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Altri documenti
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Bibliografia Cronologica
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2010
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PLIS aggiornato al 2010, 2010
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(http://www.sellombardia.it/milano/pagina.asp?id=3365)
Il Cipe approva il Progetto Definitivo dell’Autostrada Pedemontana
(http://www.pedemontana.com/news_view.php?id=158)
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l’ultima
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regione.lombardia.it/cs/Satellite?c=Redazionale_P&child
pagename=DG_Ambiente%2FDetail&cid=121330417873
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Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e
l’agricoltura, 2050: Un terzo di bocche in più da sfamare (http://
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Bibliografia Cronologica
www.fao.org/news/story/it/item/35571/icode)
Global Footprint Network (http://www.footprintnetwork.org/ it/
index.php/gfn/page/earth_overshoot_day)
PSR 2007-2013: (http://www.agricoltura.regione.lombardia.it)
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mi.it/agricoltura/Cittadino/venditadiretta.php)
Siti Internet utilizzati principalmente
http://vecchiamilano.wordpress.com/
http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale
http://www.regione.lombardia.it/cs/Satellite?c=Page&childpag
ename=Ambiente%2FRegioneLayout&cid=1194454851528&p
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http://www.provincia.milano.it/
http://www.comune.milano.it/portale/wps/portal/CDMHome
http://www.ilfattoquotidiano.it/
http://www.repubblica.it/
http://www.altalex.com/
http://www.parlamento.it/home
http://thenounproject.com/it/
170
Ringraziamenti
Ringraziamo le nostre famiglie per averci sostenuto sempre,
moralmente ed economicamente, e per la pazienza con cui
hanno saputo attenderci.
Agli amici dell’Università, con cui abbiamo condiviso il nostro
percorso, non solo didattico.
Agli amici di sempre, sui quali, anche nei momenti più difficili,
sapevamo di poter contare.
Ai docenti, quelli che hanno lasciato un segno.
Alla natura, che ci ispira.
Un particolare grazie a nonna Annita che, arrivata da Genova,
ha saputo osservare con fantasia questa città e se ne è
innamorata, ispirando questo lavoro. (Filippo)
Un grazie particolare alla mia terra d’origine, che mi ha
insegnato come non dimenticare mai le proprie radici sia
indispensabile per rispettare quelle degli altri. (Stefano)