1 *** Nozione – L`art. 138 Cost. prevede che le leggi di revisione

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1 *** Nozione – L`art. 138 Cost. prevede che le leggi di revisione
LEGGI COSTITUZIONALI
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Nozione – L’art. 138 Cost. prevede che le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi
costituzionali siano approvate con una particolare procedura diversa da quella delle leggi ordinarie.
Se dal punto di vista formale, le due tipologie di fonti non presentano alcuna differenza, essendo per
entrambe richiesto il medesimo procedimento di approvazione, dal punto di vista materiale occorre
distinguere le due espressioni.
Leggi di revisione costituzionale - atti giuridici che hanno come oggetto la
modificazione di parti del testo della Costituzione.
Leggi costituzionali” – atti giuridici: a) cui la Costituzione stessa riserva la
disciplina di determinate materie (v. ad esempio, artt. 71, 116, 137 Cost.); b)
diretti a derogare o sospendere norme costituzionali (v. ad esempio, la legge
1/1967 in relazione agli artt. 10 e 26 Cost.); c) diretti a disciplinare materie a
cui, in un determinato momento storico, le forze politiche dominanti presenti
in Parlamento riconoscono una rilevanza tale da voler ricorrere al
procedimento di cui all’art. 138 Cost.
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PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE
Rispetto all’iter di formazione delle leggi ordinarie, il procedimento di approvazione delle fonti di
livello costituzionale di cui all’art. 138 Cost., è “aggravato” giacché presenta alcune caratteristiche
proprie:
doppia deliberazione di ciascuna delle due Camere (reiterazione dell’approvazione);
intervallo non inferiore di tre mesi tra la prima e la seconda deliberazione di ciascuna
Camera (decorso del tempo). L’iter procedurale è il seguente: a) prima approvazione del
progetto di legge costituzionale o di revisione costituzionale da parte di una Camera; b)
trasmissione del progetto di legge all’altra Camera per la prima approvazione; c) seconda
approvazione da parte della prima Camera a distanza non inferiore a tre mesi dalla sua
precedente approvazione; d) seconda approvazione della seconda Camera di nuovo a
distanza non minore di tre mesi dalla sua precedente approvazione.
maggioranza qualificata, e non semplice, nella seconda deliberazione, vale a dire, la
maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera che va calcolata, quindi,
non sui presenti, ma sul totale dei membri del collegio, oppure, almeno, la maggioranza
assoluta dei componenti di ciascuna Camera, e dunque, la metà più uno dei membri del
collegio (maggioranza più elevata).
In quest’ultimo caso, come si dirà tra breve, è possibile l’intervento popolare tramite il
referendum.
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Qualora le Camere, o anche una sola di esse, non raggiungono la maggioranza dei due terzi,
raggiungendo però quella assoluta, si apre un’ulteriore fase del procedimento.
Il Presidente della Repubblica ordina la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del progetto di legge
approvato dalle due Camere; da questo momento decorrono i tre mesi entro i quali possono
avanzare richiesta di referendum:
a) 500.000 elettori oppure,
b) cinque Consigli regionali oppure,
c) 1/5 dei membri di ciascuna Camera.
Se la richiesta viene avanzata, il Presidente della Repubblica deve indire il
referendum; la legge costituzionale o di revisione costituzionale è perfetta (e
quindi verrà promulgata e pubblicata ai fini della sua entrata in vigore) solo se,
in sede di consultazione referendaria, è approvata dalla maggioranza dei voti
validi. A tale proposito, occorre ricordare che, nel referendum costituzionale, a
differenza di quello abrogativo, la Costituzione non richiede alcun quorum di
partecipazione.
Se, viceversa, entro i tre mesi, la richiesta di referendum non viene avanzata,
scaduto il termine il progetto di legge diviene perfetto e, quindi, sarà
promulgato, pubblicato ed entrerà in vigore.
Come è noto, la legge di revisione costituzionale recante la “riforma del Titolo V della
Costituzione” (legge costituzionale n. 3/2001) fu approvata dal Parlamento l’8 marzo 2001 con la
sola maggioranza assoluta. Sul testo approvato dalle Camere fu richiesto il referendum approvativo.
Il referendum si svolse il 7 ottobre 2001; ad esso parteciparono il 33,9% degli aventi diritto al voto,
con una percentuale di voti favorevoli alla riforma pari al 64% del totale.
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I RAPPORTI FRA LA COSTITUZIONE E LE LEGGI COSTITUZIONALI:
LIMITI FORMALI E SOSTANZIALI ALLA REVISIONE COSTITUZIONALE
Le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali ricoprono una posizione peculiare
nel sistema delle fonti del diritto italiano giacché ad esse l’ordinamento attribuisce una particolare
efficacia essendo queste abilitate a modificare espressamente e stabilmente e a derogare o
sospendere norme costituzionali. Quanto detto, peraltro, non significa che le fonti costituzionali si
collochino sullo stesso livello della Carta costituzionale essendo soggette a due diversi tipi di limiti:
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Limiti formali - quelli inerenti all’esigenza di seguire la procedura prescritta
dall’art. 138 Cost. Sotto questo profilo, la Corte costituzionale potrebbe,
pertanto, esercitare un controllo di legittimità delle leggi costituzionali per
presunta violazione delle norme costituzionali sul procedimento di cui all’art.
138 Cost.
Limiti sostanziali - quelli inerenti al contenuto. Essi, a sua volta, si ripartiscono
in due sottocategorie: a) limiti espliciti e b) limiti impliciti.
L’unico esempio di limite esplicito è rappresentato dall’art. 139 Cost., secondo cui “la forma
repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.
Per “Repubblica” si intende la forma di governo in cui il Capo dello Stato è elettivo in
contrapposizione alla “Monarchia” in cui il Capo dello Stato è ereditario (il Re, per l’appunto).
Pertanto, l’art. 139 vieta la reintroduzione in Italia, anche con legge di revisione costituzionale,
della Monarchia.
Per “limiti impliciti” si intendono quelli che, sia pur non espressamente individuati nel testo
costituzionale” costituiscono un nucleo non assoggettabile al procedimento di revisione. Essi sono i
principi supremi dell’ordinamento fra cui rientrano i diritti inalienabili della persona umana (v., ad
esempio, la sent. della Corte costituzionale n. 1146 del 1988).
Secondo alcune interpretazioni presenti in dottrina, lo stesso art. 138 non potrebbe essere oggetto di
revisione nella parte in cui disciplina il procedimento di formazione delle fonti di livello
costituzionale (cd. limite logico).
Da ultimo, l’art. 132, comma 1, Cost., prevede un tipo di legge costituzionale rinforzata per la
fusione di Regioni ovvero la creazione di una Regione nuova. Il procedimento si articola in quattro
distinte fasi:
richiesta avanzata da tanti Consigli comunali che rappresentino almeno 1/3
delle popolazioni interessate;
approvazione della proposta con referendum a maggioranza delle popolazioni
stesse;
acquisizione del parere dei Consigli regionali;
approvazione di una legge costituzionale ai sensi dell’art. 138 Cost.
Il limite, in questo caso, è che le nuove Regioni abbiano una popolazione non inferiore a un milione
di abitanti.
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FONTI INTERNAZIONALI
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Per “diritto internazionale” si intende l’insieme delle norme che disciplinano i
rapporti tra gli Stati.
FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
Si distinguono due categorie di norme internazionali:
Le norme del diritto internazionale generale – Si tratta delle “norme del
diritto internazionale generalmente riconosciute” cui fa espresso riferimento
l’art. 10, comma 1, Cost. Rientrano in questa categoria le norme non scritte quali
le consuetudini.
Le consuetudini internazionali constano di due elementi necessari: a) un
comportamento ripetuto nel tempo dagli Stati; b) la convinzione, da parte degli
Stati, che ripetere quel comportamento sia giuridicamente dovuto.
Esse possono avere carattere generale e/o particolare a seconda che abbiano per
destinatari tutti (cd. norme consuetudinarie generali) ovvero una ristretta cerchia
di Stati (cd. norme consuetudinarie particolari).
Le norme del diritto internazionale particolare – sono le norme di origine
pattizia, che possono derivare:
•
da veri e propri trattati, come definiti nell’art. 2, lett. a, della
Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei Trattati in vigore del
27.01.1980 e ratificata anche dall’Italia con legge 12.02.1974, n. 112;
oppure,
• da accordi di natura diversa che non seguono il “procedimento normale
di formazione dei trattati” (cd. accordi in forma semplificata).
•
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da veri e propri trattati, come definiti nell’art. 2, lett. a, della
Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei Trattati in vigore del
27.01.1980 e ratificata anche dall’Italia con legge 12.02.1974, n. 112;
oppure,
da accordi di natura diversa che non seguono il “procedimento normale
di formazione dei trattati” (cd. accordi in forma semplificata).
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Di regola, il procedimento di formazione dei trattati si articola nelle seguenti fasi:
•
Negoziazione: trattativa condotta dai rappresentanti del Governo definiti
”plenipotenziari” in quanto titolari di “pieni poteri appropriati” per la negoziazione
(v. art. 7, par. 1, della Convenzione di Vienna);
• Firma o parafatura: apposizione delle sole iniziali da parte dei plenipotenziari (v.
di art. 10 della Convenzione di Vienna); per effetto della firma non sorge alcun
vincolo in capo agli Stati giacché essa ha fini di autenticazione del testo che è così
predisposto in forma definitiva e che potrà essere modificato solo in seguito
all’apertura di nuovi negoziati (v. art. 10 della Convenzione di Vienna);
• Ratifica: manifestazione di volontà con cui lo Stato sancisce sul piano internazionale
il proprio consenso ad essere vincolato da un trattato (v. artt 2, lett. b, e 14 della
Convenzione di Vienna). La competenza a ratificare è disciplinata da ogni singolo
Stato con proprie norme costituzionali.
L’art. 87, comma 8, della Costituzione italiana dispone che il Presidente della
Repubblica “ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione
delle Camere”. L’art. 80 Cost., a sua volta, specifica che l’autorizzazione alla ratifica
deve essere disposta con legge per i trattati: a) che sono di natura politica; b) che
prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari; c) che importano variazioni del
territorio; d) oneri a carico dello Stato; e) modificazioni di leggi.
• Scambio o deposito delle ratifiche: nel caso dello scambio, l’accordo si perfeziona
istantaneamente; nel caso del deposito, procedura, di regola, adottata per i trattati
multilaterali, l’accordo si perfeziona via via che le ratifiche vengono depositate
presso una delle parti contraenti (v. art. 16 della Convenzione di Vienna).
Per quanto riguarda gli accordi in forma semplificata, gli artt. 80 e 87, comma 8, Cost.
sembrerebbero disporre che tutti i trattati, anche quelli per i quali non sia richiesta
l’autorizzazione parlamentare, debbano essere ratificati dal Presidente della Repubblica.
E’ tuttavia invalsa la prassi di stipulare “accordi in forma semplificata” che si hanno allorché
il consenso di uno Stato ad essere vincolato al trattato viene espresso con la sola firma del
rappresentante di tale Stato, e dunque, senza ricorrere alla ratifica, (v. di art. 12 della
Convenzione di Vienna).
In ogni caso né la ratifica, né la stipulazione in forma semplificata bastano a rendere
operativo un trattato o un accordo nell’ordinamento italiano.
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RAPPORTI FRA L’ORDINAMENTO INTERNO E
L’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE
Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, soprattutto in Germania e in Austria, i rapporti tra
diritto statale e diritto internazionale hanno dato luogo ad un vivace dibattito all’interno del quale si
sono distinte tre diverse scuole di pensiero:
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Concezione monistica con primato del diritto statale (Jellinek): le norme
interne e le norme del diritto internazionale debbono essere considerate come
parte di un unico sistema giuridico all’interno del quale le norme interne
prevalgono su quelle internazionali giacché una decisione dello Stato non può
mai incontrare limiti posti da altri soggetti;
Concezione monistica con primato del diritto internazionale (Kelsen): le
norme interne e le norme internazionali fanno parte di un unico ordinamento
all’interno del quale la prevalenza deve essere accordata alle norme
internazionali;
Concezione dualistica (Verdross): le norme interne e le norme del diritto
internazionale appartengono a due ordinamenti, quello nazionale e quello
internazionale, che rimangono separati e distinti, ciò che esclude qualunque
rapporto di sovra-sottordinazione tra le norme interne e le norme
internazionali.
RAPPORTI FRA L’ORDINAMENTO COSTITUZIONALE
ITALIANO E L’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE:
LA TEORIA DUALISTICA
I rapporti tra l’ordinamento italiano e l’ordinamento internazionale sono impostati in base al
principio della separazione degli ordinamenti giuridici, secondo la concezione dualistica. Ciò
significa che le norme prodotte nell’ordinamento internazionale non condizionano la validità delle
norme interne né tanto meno sono immediatamente efficaci nell’ordinamento interno, vale a dire le
norme internazionali non producono effetti nell’ordinamento nazionale se non per libera
determinazione dello Stato medesimo.
Lo Stato italiano prevede tre diversi strumenti di adattamento al diritto internazionale a seconda che
si tratti da dare efficacia alle norme del diritto internazionale generale oppure alle norme del diritto
internazionale particolare. Né tanto meno il regime di introduzione degli atti internazionali
nell’ordinamento italiano ha subito modifiche in base al nuovo art. 117, comma 1, Cost. che ha
imposto al legislatore statale e regionale un obbligo di rispetto, oltre che della Costituzione, “dei
vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” (per gli effetti del
nuovo art. 117 comma 1, Cost. sui rapporti tra norme esistenti nell’ordinamento italiano, v. avanti).
In particolare, occorre distinguere fra:
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Procedimento di adattamento automatico – E’ previsto dall’art. 10, comma 1, Cost. e
si applica alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Trattasi di
una norma sulla produzione giuridica che realizza un rinvio mobile, formale, non
recettizio (cd. rinvio alla fonte). Essa ha l’effetto di dare rilevanza a tutte le norme,
presenti e future, che la fonte del diritto internazionale è in grado di produrre e quindi a
tutte le modifiche che esse subiscono. Si parla di adattamento automatico perché, in
virtù dell’art. 10, comma 1, Cost., si creano nell’ordinamento interno le corrispondenti
norme di adattamento.
Procedimento ordinario di adattamento – Esso richiede l’approvazione da parte del
legislatore nazionale di una legge che contiene le norme necessarie per l’esecuzione
delle norme internazionali statuite nel trattato o nell’accordo internazionale di
riferimento (sia attraverso l’introduzione di nuove norme sia attraverso la modifica o la
soppressione di norme preesistenti).
Procedimento per ordine di esecuzione – Si tratta di una clausola che reca la seguente
formula “è data piena ed intera esecuzione al Trattato” il testo del quale viene allegato.
Occorre distinguere due ipotesi:
a) i casi per i quali si richiede l’autorizzazione parlamentare di cui all’art. 80 Cost;
b) i casi per i quali non si richiede l’autorizzazione parlamentare.
Nell’ipotesi a) l’ordine di esecuzione è inserito nella legge di autorizzazione alla
ratifica; nell’ipotesi b) l’ordine di esecuzione è dato con decreto presidenziale.
Qualora si faccia ricorso all’ordine di esecuzione, spetta all’interprete ricavare, di volta
in volta, le norme interne di adattamento. L’ordine di esecuzione realizza un rinvio
fisso, redazionale, recettizio (cd. rinvio alle disposizioni) perché dà rilevanza ad una o
più specifiche disposizioni tratte da una determinata fonte.
IL LIMITE ALL’INGRESSO NELL’ORDINAMENTO
ITALIANO DELLE NORME DEL DIRITTO
INTERNAZIONALE
Si distinguono due diversi tipi di limiti:
I principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale – le norme interne di
adattamento al diritto internazionale generale, proprio perché trasformate automaticamente
in norme dell’ordinamento italiano attraverso l’art. 10, comma 1 Cost., sono assimilate alle
norme costituzionali dal punto di vista della forza e del valore. Pertanto, a queste norme è
riconosciuta la capacità di derogare a norme costituzionali. Ciò nonostante, come ricordato
dalla Corte costituzionale che ha affrontato esplicitamente questa problematica nel 1979, “il
meccanismo di adeguamento automatico previsto dall’art. 10 della Costituzione non potrà
in alcun modo consentire la violazione dei principi fondamentali del nostro ordinamento
costituzionale, operando in un sistema costituzionale che ha i suoi cardini nella sovranità
popolare e nella rigidità della Costituzione” (v. sentenza della Corte costituzionale n. 48 del
1979).
Le norme costituzionali – Il nuovo art. 117, comma 1, Cost., pur non avendo modificato il
regime dell’introduzione delle norme internazionali nell’ordinamento italiano (v. retro), ha
avuto l’effetto di costituzionalizzare gli obblighi internazionali di derivazione pattizia.
Pertanto, le norme interne di adattamento al diritto internazionale pattizio non saranno più
suscettibili di essere modificate da una legge ordinaria successiva, bensì da una legge
costituzionale.
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FONTI COMUNITARIE
Definizione del diritto comunitario – Per “diritto comunitario” si intende il complesso di norme
che disciplina i rapporti fra gli Stati membri delle Comunità europee, le istituzioni comunitarie e i
singoli, siano essi persone fisiche e/o persone giuridiche.
Le Comunità europee, vale a dire, la Comunità europea (CE) e la Comunità europea per l’energia
atomica (EURATOM), istituite a Roma il 25 marzo 1957, unitamente alla politica estera e di
sicurezza comune (PESC) e alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (GAI),
costituiscono i cd. “tre pilastri” di una struttura articolata e complessa, nata nel 1992 in seguito alla
firma del trattato sull’Unione europea, denominata “Unione europea”.
Il diritto comunitario disciplina il primo pilastro; il secondo e terzo pilastro sono regolati dal diritto
internazionale.
Fonti del diritto comunitario – Le fonti del diritto comunitario si ripartiscono in due principali
categorie:
Fonti primarie del diritto comunitario;
Fonti derivate del diritto comunitario.
FONTI PRIMARIE DEL DIRITTO COMUNITARIO
I trattati istitutivi delle Comunità europee del 1957, i numerosi protocolli e,
infine, gli accordi che gli Stati membri hanno successivamente stipulato per
modificare o integrare i trattati originari. Fra i trattati di modifica più recenti si
segnalano:
• L’Atto Unico europeo (1986)
• Il Trattato sull’Unione europea, meglio noto come trattato di Maastricht
(1992);
• Il Trattato di Amsterdam (1997);
• Il Trattato di Nizza (2000)*.
* Il trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre
2004, dovrà essere ratificato da tutti gli Stati membri secondo le rispettive norme
costituzionali dell’Unione ed entrerà in vigore a seguito del deposito di tutti gli
strumenti di ratifica. Gli strumenti di ratifica saranno depositati presso il governo della
Repubblica italiana. Nella Dichiarazione n. 30 allegata al trattato, la Conferenza
intergovernativa (CIG) ha previsto che qualora al termine di due anni a decorrere dalla
firma del trattato i quattro quinti degli Stati membri abbiano ratificato il trattato e uno
o più Stati membri incontrino difficoltà nelle procedure di ratifica, la questione sia
deferita al Consiglio europeo.
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FONTI DERIVATE DEL DIRITTO COMUNITARIO
Le fonti derivate del diritto comunitario, si suddividono, a loro volta, in:
Atti vincolanti;
Atti non vincolanti.
Sono atti vincolanti:
I regolamenti – Atto di portata generale, obbligatorio in tutti i suoi elementi e
direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri;
Le direttive – Atto che vincola tutti, o determinati Stati membri, per quanto
riguarda lo scopo da raggiungere lasciandolo libero in merito alla scelta della
forma e dei mezzi.
Le decisioni – Atto obbligatorio in tutti i suoi elementi per i destinatari da esso
indicati;
Sono atti non vincolanti:
Le raccomandazioni – Atto di un’istituzione comunitaria quando agisce di
propria iniziativa, è rivolta a tutti, o determinati Stati membri e, solo
eccezionalmente, ad un’altra istituzione o a singoli individui;
I pareri – Atto adottato da un’istituzione comunitaria in seguito ad
un’iniziativa esterna, è diretto ad un’altra istituzione o a determinati Stati
membri, finalizzato all’adozione di atti successivi o alla manifestazione di
giudizi generali in merito a determinati avvenimenti.
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RAPPORTI FRA L’ORDINAMENTO COSTITUZIONALE ITALIANO
E L’ORDINAMENTO COMUNITARIO
I rapporti fra l’ordinamento italiano e l’ordinamento comunitario continuano tuttora ad essere
impostati, sul piano teorico, in base al principio della separazione degli ordinamenti giuridici,
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secondo la concezione dualistica. Ciò peraltro, non ha impedito all’ordinamento italiano di
riconoscere quei principi comunitari, quali, ad esempio, la diretta applicabilità e il primato del
diritto comunitario, che sembrano essere incompatibili con l’impostazione dualistica.
Lo Stato italiano prevede tre diverse modalità di recepimento del diritto comunitario a seconda che
si tratti di dare efficacia ai trattati, ai regolamenti, alle direttive e alle decisioni.
Trattati – Ai trattati comunitari è data esecuzione facendo ricorso agli strumenti già
conosciuti ed applicati per l’adeguamento al diritto internazionale pattizio.
Esempio: ai trattati istitutivi delle Comunità europee del 1957 è stata data esecuzione
mediante legge ordinaria 14 ottobre 1957, n. 1203; da ultimo, al trattato di Nizza è stata data
esecuzione mediante legge ordinaria 11 maggio 2002, n. 102.
Vero è che, all’epoca della ratifica dei trattati istitutivi, si pose il problema del fondamento
costituzionale dell’adesione italiana alla Comunità europea. I trattati comunitari
attribuivano, infatti, alle istituzioni comunitarie poteri normativi, amministrativi e
giurisdizionali direttamente efficaci nell’ordinamento nazionale a prescindere dall’adozione
di qualsiasi atto interno di recepimento. Ciò determinava una deroga all’assetto dei pubblici
poteri direttamente fissato dalla Costituzione. Questo fatto poneva il problema se fosse
necessario procedere alla ratifica e all’esecuzione dei trattati istitutivi con legge
costituzionale anziché con legge ordinaria. Prevalse l’idea di dare esecuzione ai trattati
istitutivi con legge ordinaria a condizione che questa legge rinvenisse direttamente nella
Costituzione il proprio fondamento di legittimità. La copertura costituzionale fu individuata
nell’art. 11 Cost. che consente “limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Questa impostazione trovò conferma anche
nella giurisprudenza della Corte costituzionale che, nella nota causa Costa c. Enel del 1964,
stabilì che in presenza delle condizioni previste dall’art. 11 Cost. “è consentito stipulare
trattati con cui si assumono limitazioni di sovranità ed è consentito darvi esecuzione con
legge ordinaria” precisando, tuttavia, che l’art. 11 Cost. non conferisce “alla legge ordinaria,
che rende esecutivo il trattato, un’efficacia superiore a quella propria di tale fonte del diritto”
(v. di sentenza n. 14 del 1964).
Regolamenti – In virtù del requisito della diretta applicabilità, i regolamenti comunitari,
una volta pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità europea, non solo entrano
contemporaneamente in vigore negli Stati membri senza bisogno di un atto interno di
recepimento adottato dalle competenti autorità nazionali, ma in caso di contrasto con una
norma di diritto interno, sia essa anteriore o successiva, quand’anche di rango costituzionale,
prevalgono nel senso cioè che la loro applicazione si impone a tutti gli operatori del diritto e
segnatamente ai giudici i quali disapplicheranno le norme interne incompatibili.
Il cd. principio del “primato” del diritto comunitario sul diritto nazionale, introdotto per la
prima volta dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con la famosa sentenza Costa c.
Enel del 15 luglio 1964 (causa 6/64, in Raccolta 1964, p. 1141), non è mai stato fino ad oggi
rimesso in discussione. Anzi, il principio del primato negato inizialmente dalla Corte
costituzionale (v. sentenza del 7 marzo 1964, n. 14 – “Giur.cost”. 1964, p. 129) ha finito per
essere accettato anche dal giudice delle leggi a partire dalla sentenza del 27 dicembre 1973,
n. 183 (“Giur.cost”. 1973, p. 2401) e pienamente riconosciuto con la sentenza dell’8 giugno
1984 n. 170 (“Giur.cost”. 1984, p. 1098).
Vero è che, dal punto di vista dell’ordinamento giuridico italiano, il principio del primato è
stato sì riconosciuto dal giudice costituzionale nazionale, ma la sua “operatività”è
subordinata al rispetto dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili della persona umana,
secondo la teoria dei “controlimiti” che si afferma a partire dalla sentenza n. 183/1973 (v.
avanti).
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Direttive – Il recepimento delle direttive comunitarie è assicurato, di regola, attraverso un
provvedimento statale ad hoc, vale a dire, la “legge comunitaria annuale”, introdotta con la
legge 9 marzo 1989, n. 86 (cd. “legge La Pergola”) contenente “Norme generali sulla
partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione
degli obblighi comunitari”. La recente riforma del titolo V della Costituzione ha
riconosciuto, peraltro, anche alle Regioni ordinarie il potere di dare diretta applicazione alle
direttive comunitarie, prescindendo dal loro recepimento con legge nazionale, con ciò
equiparando le Regioni ordinarie a quelle a statuto speciale.
La Corte di giustizia ha stabilito nella sua giurisprudenza che, qualora singole disposizioni
di una direttiva abbiano un contenuto chiaro, preciso e non condizionato, i singoli, in
mancanza di provvedimenti di attuazione adottati in tempo utile, possono richiamare tali
disposizioni davanti alle amministrazioni e ai giudici nazionali. A tale proposito, si parla di
direttive self-executing o autoapplicative (cfr., per tutte, sentenza van Duyn, 4 dicembre
1974, causa 41/74, in Raccolta 1974, p. 1337). L’effetto diretto riconosciuto alle direttive
comunitarie è stato, peraltro, ammesso dalla Corte costituzionale italiana sin dalla sentenza
n. 182 del 1976.
Peraltro, l’obbligo di dare attuazione alle direttive con provvedimenti normativi nazionali
non viene meno per il fatto che si tratti di direttive self-executing (cfr. sentenza
Commissione c. Belgio, 6 maggio 1980, causa 102/79, in Raccolta 1980, p. 1473).
Decisioni – Al recepimento delle decisioni comunitarie, l’ordinamento italiano provvede
ricorrendo allo strumento della legge comunitaria annuale summenzionato.
IL LIMITE ALL’INGRESSO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO
DELLE NORME DEL DIRITTO COMUNITARIO
Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale esistono due tipi di limiti che né le
leggi di esecuzione dei trattati comunitari, né gli atti di diritto comunitario derivato, siano essi
regolamenti, direttive e decisioni, possono oltrepassare:
i principi fondamentali della Costituzione;
i diritti inviolabili della persona umana (v., ad esempio, sentenza n. 183 del
1973 e n. 232 del 1989).
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