La transizione delle persone tra i diversi tipi di contratto in provincia

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La transizione delle persone tra i diversi tipi di contratto in provincia
La transizione delle persone tra i diversi tipi di contratto
in provincia di Cremona
Un’analisi sulla base dell’archivio dei Centri per l’Impiego
a cura di Piero Ganugi
dicembre 2010
1
1. Premessa
Negli ultimi quindici anni il Parlamento italiano ha varato un insieme di provvedimenti finalizzati
alla maggiore flessibilità del mercato del lavoro.
In conseguenza di queste scelte intraprese dal legislatore, è diventato possibile per i datori di
lavoro (imprese, pubblica amministrazione, ma anche famiglie) assumere persone con contratti di
lavoro non necessariamente a tempo indeterminato.
Sono, quindi, diventate praticabili nuove tipologie di contratti di lavoro che prima non era
possibile stipulare, fra cui le più note sono il contratto a tempo determinato a tempo pieno, il
contratto a tempo determinato a tempo parziale, l’apprendistato e la collaborazione a progetto
(c.d. co.co.pro).
Il giudizio degli studiosi rispetto agli effetti che questa nuova legislazione giuslavoristica ha
prodotto sulla partecipazione al mercato del lavoro e sul tasso di disoccupazione è notevolmente
uniforme: la maggiore flessibilità si sarebbe accompagnata sia ad una maggiore partecipazione al
mercato del lavoro sia alla riduzione del tasso di disoccupazione.
Tuttavia, nel contempo è giudizio altrettanto diffuso quello secondo cui queste tipologie
contrattuali hanno determinato situazioni di criticità che è necessario conoscere e approfondire
per una valutazione più corretta e una discussione più proficua.
Nella presente analisi, conformemente all’impianto di ricerca statistico-economico che
caratterizza il SIES (Servizio Informativo Economico Sociale dell’Università Cattolica del sacro
Cuore per la provincia di Cremona), intendiamo presentare l’evidenza statistica di tale situazione
in provincia di Cremona.
2. Precisazioni terminologiche
Occorre, tuttavia, per una migliore comprensione dello studio, fare alcune preliminari precisazioni
terminologiche per chiarire, in primo luogo, l’esatto significato che le statistiche ufficiali
attribuiscono alle definizioni “Attivo” e “Disoccupato” e, inoltre, come gli stessi “Attivi” e
“Disoccupati” vengono conteggiati dall’ISTAT (chiediamo venia a quei lettori che già conoscono in
maniera chiara e distinta i due concetti).
Precisiamo, dunque, che per gli Uffici di statistica europei - come per l’ISTAT - rispetto alla
partecipazione al mercato del lavoro, le persone vengono suddivise in due grandi categorie che
hanno esclusivamente un significato tecnico: quelle Attive e quelle Non Attive.
Della categoria dei Non Attivi fanno parte gli studenti, le casalinghe, le persone “scoraggiate” ossia
quelle che vorrebbero avere un’occupazione, ma che sono sicure di non trovarla e, quindi, non la
cercano in modo deciso.
Della categoria degli Attivi, invece, fanno parte le persone che già sono occupate (Occupati)
oppure che sono senza occupazione, ma che però la ricercano con decisione (Disoccupati).
2
Gli Attivi e, quindi, la somma di Occupati e Disoccupati rappresentano le Forze di lavoro.
La partecipazione delle persone al mercato del lavoro in un determinato ambito territoriale è
misurata dal tasso di attività che è il rapporto tra il numero degli Attivi e la popolazione da 15 a 64
anni d’età: quanto più alto è questo rapporto, tanto più elevata è la partecipazione.
Il tasso di disoccupazione è, invece, il rapporto tra il numero dei disoccupati e le Forze di lavoro.
Il numero degli Attivi e il numero dei Disoccupati vengono stimati dall’ISTAT mediante l’Indagine
sulle Forze di lavoro.
Non si insisterà mai abbastanza nel rimarcare che per ISTAT, come per tutti gli Uffici europei di
statistica, la persona è considerata “disoccupata” se, come si è appena accennato, non solo non
svolge un lavoro, ma lo ricerca/lo ha ricercato comunque attivamente nella settimana di
riferimento in cui è intervistata.
Non è quindi sufficiente non avere un’occupazione per essere considerato disoccupato, ma
occorre ricercare l’occupazione in modo attivo.
3. La nuova legislazione in materia di lavoro e gli andamenti della partecipazione al
mercato del lavoro e della disoccupazione negli ultimi anni.
Per dare un giudizio equilibrato sull’impatto della nuova legislazione sul tasso di attività e sul tasso
di disoccupazione occorre non basarsi soltanto sugli ultimi due anni che hanno visto l’insorgenza
di una delle crisi più profonde del dopoguerra.
Riteniamo, invece, opportuno prendere in considerazione l’intero decennio del nuovo secolo:
possiamo così vedere come fino al 2008, in concomitanza con la vigenza della nuova legislazione,
con particolare evidenza per le donne, l’Italia registri una sostanziale riduzione del tasso di
disoccupazione e una crescita del tasso di attività.
Nel 2007, infatti, il tasso di attività delle donne è più alto di ben 7 punti rispetto al 1993, mentre ancora per le donne - rispetto agli stessi due anni il tasso di disoccupazione è quasi dimezzato.
Non c’è ora dubbio che una maggiore partecipazione al mercato del lavoro rappresenti una grande
risorsa per l’economia: cresce il potenziale di lavoro e, quindi, diventa possibile produrre un
maggior quantitativo di beni e servizi; possono anche migliorare o migliorano effettivamente, se
c’è nuova occupazione, i livelli di reddito delle famiglie.
Il fatto, poi, che questo fenomeno abbia coinvolto in particolare le donne ha contribuito a ridurre
un’anomalia del nostro Paese che su questo aspetto ha visto diminuire la sua distanza dalle
economie ricche del nord Europa contraddistinte, appunto, da tassi di partecipazione femminili
particolarmente elevati.
3
Tavola 1. Tassi di attività, occupazione e disoccupazione. Valori percentuali.
SESSO
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
Tasso di attività
Totale
Maschi
Femmine
58,8
73,8
43,9
58,5
73,1
43,9
58,4
72,6
44,3
58,8
72,5
45,1
59,0
72,4
45,6
59,8
73,0
46,7
60,4
73,2
47,6
Tasso di occupazione
Totale
Maschi
Femmine
53,1
68,4
37,8
52,2
67,0
37,4
51,8
66,2
37,5
52,1
66,2
38,1
52,3
66,0
38,5
52,9
66,5
39,4
53,7
67,0
40,5
Tasso di disoccupazione
Totale
9,8
Maschi
7,3
Femmine
13,9
10,8
8,4
14,7
11,3
8,7
15,5
11,3
8,8
15,4
11,4
8,8
15,5
11,5
8,9
15,5
11,1
8,5
14,9
2005
2006
2007
2000
2001
2002
2003
2004
2008
2009
61,0
73,6
48,5
61,6
73,7
49,5
62,1
74,1
50,2
62,9
74,9
50,9
62,5
74,5
50,6
62,4
74,4
50,4
62,7
74,6
50,8
62,5
74,4
50,7
63,0
74,4
51,6
62,4
73,7
51,1
54,8
67,8
41,8
55,9
68,4
43,4
56,7
69,1
44,4
57,5
70,0
45,1
57,4
69,7
45,2
57,5
69,7
45,3
58,4
70,5
46,3
58,7
70,7
46,6
58,7
70,3
47,2
57,5
68,6
46,4
10,2
7,9
13,7
9,2
7,1
12,3
8,7
6,8
11,5
8,5
6,5
11,4
8,1
6,4
10,6
7,8
6,3
10,1
6,9
5,5
8,8
6,2
5,0
7,9
6,7
5,5
8,5
7,8
6,8
9,3
4. I nuovi contratti di lavoro e le strategie aziendali
Alcuni economisti tuttavia hanno evidenziato come la maggiore flessibilità introdotta dalla nuova
legislazione giuslavoristica avrebbe eccessivamente incentivato la domanda di lavoro da parte
delle imprese con l’effetto di scoraggiare, nelle stesse unità produttive, la realizzazione di nuovi e
robusti progetti di investimento.
Grazie alla maggiore flessibilità, infatti, le imprese non si sarebbero sentite “costrette” - come nei
decenni precedenti - ad investire nell’acquisto di impianti che consentono di “risparmiare” sui
tempi di lavoro delle risorse umane e, dunque, evitano la necessità di nuove assunzioni, ma
avrebbero preferito aumentare le assunzioni stesse (in gergo economico, avrebbero adottato
processi produttivi più “labour intensive”) attraverso il ricorso alle tipologie contrattuali per loro
meno “vincolanti” introdotte dalla nuova legislazione.
4
Per conseguenza, sempre secondo questa tesi, il forte rallentamento dell’investimento sarebbe
stato alla base anche della mancanza di crescita della produttività che si registra in Italia negli
ultimi dieci anni.
5. Un problema aperto: la transizione dal “lavoro a termine” al “lavoro a tempo
indeterminato”.
Resta invece oggi del tutto “aperto”, ossia non studiato, un aspetto del mercato del lavoro che
scaturisce appunto dalla nuova legislazione giuslavoristica: in quale misura e in quali tempi il
lavoro a termine (sia quello a tempo determinato pieno o parziale sia quello derivante da altri
contratti di tipo parasubordinato e quindi più deboli come la co.co.pro) riesce a trasformarsi in
contratti a tempo indeterminato (a tempo pieno o parziale)?
E’ evidente che si tratta di una questione decisiva rispetto alla qualità della nuova occupazione.
E’, infatti, sicuramente importante che le persone riescano a trovare più facilmente
un’occupazione, ma è altrettanto rilevante che le stesse possano ottenere, in tempi ragionevoli, la
trasformazione della loro occupazione in un impiego a tempo indeterminato.
A questo tipo di rapporto di lavoro si associano una sicurezza di gran lunga maggiore - ingrediente
fondamentale della qualità della vita - e un trattamento pensionistico nettamente superiore a
quello che deriva dal contratto a termine.
Il contratto a tempo indeterminato rende, poi, possibili o più facili decisioni importanti come
l’accensione di un mutuo e la formazione di una nuova famiglia e, nel contempo, è un
riconoscimento importante della qualità e del ruolo svolto dal lavoratore. In quanto tale, esso
incentiva non poco un maggior impegno da parte del lavoratore sul luogo di lavoro e, quindi, può
contribuire senz’altro all’aumento della produttività.
6. Lavoro a tempo determinato e a tempo indeterminato in base all’Indagine sulle
Forze di lavoro dell’ISTAT.
Occorre chiedersi quale sia oggi la percentuale dei lavoratori a tempo indeterminato e a tempo
determinato in Italia.
L’ISTAT ha fornito un importante contributo su questo aspetto, ricostruendo una serie storica
dell’insieme delle due categorie, suddivise per ciascuna categoria fino al 2008.
5
Tavola 2. Lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e determinato
Dipendenti
a tempo indeterminato
a tempo determinato
T otale
Anni
2004
18.388.000
2.321.000
20.709.000
2005
18.188.000
2.411.000
20.599.000
2006
16.619.000
2.342.000
18.961.000
2007
17.412.000
2.494.000
19.906.000
2008
17.798.000
2.623.000
20.421.000
F onte: IS T AT
Tavola 3. Lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e determinato. Quote percentuali.
Dipendenti
a tempo indeterminato (perc .)
a tempo determinato (perc .)
T otale
Anni
2004
88.79
11.21
100
2005
88.30
11.70
100
2006
87.65
12.35
100
2007
87.47
12.53
100
2008
87.16
12.84
100
F onte: IS T AT
Le due serie mettono in evidenza due aspetti molto importanti del nostro problema:
-
il primo è che circa l’87% dei lavoratori dipendenti è occupato con contratti a tempo
indeterminato almeno fino al 2008;
-
il secondo aspetto è una lenta erosione del lavoro dipendente a tempo indeterminato e
un’altrettanto leggero aumento del lavoro a tempo determinato. Lo stock dei lavoratori a
tempo indeterminato nel 2008 è inferiore di circa 500.000 unità rispetto al 2004, mentre lo
stock dei lavoratori a tempo determinato nel 2008 è superiore di circa 300.000 unità
rispetto allo stesso tipo di stock del 2004.
6
7. La classificazione delle 45.898 persone presenti nella banca dati dei Centri per
l’Impiego all’inizio del nostro periodo di osservazione.
7.1 La banca dati e la formazione del panel di persone monitorate nel tempo.
Nel nostro studio utilizziamo la banca dati delle comunicazioni obbligatorie (COB) della Provincia
di Cremona nel triennio 2007-2009.
Più precisamente individuiamo, all’interno dell’archivio, tutte le persone che hanno avuto un
impiego, anche se di un giorno soltanto, sia nel gennaio 2007 sia nel settembre 2009.
Formiamo in questo modo un panel di 45.898 persone che seguiamo per quasi un intero triennio.
Si tratta di un numero molto elevato se si tiene presente che le Forze di lavoro a Cremona sono
pari a 147.000 unità.
Alle stesse persone “scattiamo due fotografie”:
- la prima che ci raffigura la loro posizione contrattuale nel trimestre iniziale marzo/maggio
2007;
- la seconda che ci raffigura ancora la loro posizione contrattuale, ma due anni e mezzo
dopo, ossia nel trimestre finale settembre/novembre 2009.
Il nostro obiettivo è, infatti, il seguente: capire, per ciascuna delle 45.898 persone, se il suo
contratto nel trimestre luglio/settembre 2009 è rimasto uguale a quello rilevato nel trimestre
marzo/maggio 2007 o se, invece, è cambiato.
Se il contratto è cambiato, andiamo ad osservare quale trasformazione si è verificata.
Occorre aggiungere che la nostra banca dati, se da un lato è imponente per il numero delle
persone che vi sono entrate a far parte, dall’altra soffre di una inevitabile “distorsione”.
Di essa, infatti, non fanno parte quelle persone che hanno la stessa occupazione da diversi anni e,
precisamente, da prima dell’avvio della banca dati delle COB presso i Centri per l’impiego e che
non soltanto non hanno mai cambiato occupazione, ma hanno sempre lavorato in un’impresa che
negli ultimi anni non ha mutato ragione sociale.
7.2 La classificazione dei contratti.
In base alla nuova legislazione giuslavoristica, i contratti che possono essere stipulati sono una
gamma molto estesa: sono, infatti, circa 35.
E’ evidente che un numero così elevato rende estremamente arduo qualsiasi tipo di conclusione.
Abbiamo, allora, scelto di raggruppare l’intera gamma di contratti in una griglia molto più ristretta
che presentiamo nella tavola 4.
7
Tavola 4. La classificazione dei contratti.
SUBORDINATO
INDETERMINATO
1-2-3-4-5-6
INDETERMINATO
DETERMINATO
DETERMINATO
DETERMINATO
SOMMINISTRAZIONE
PARASUBORDINATO
1. lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato;
2. lavoro a tempo parziale ma indeterminato
3. lavoro a termine;
4. lavoro a tempo parziale e a termine;
5. apprendistato;
6. Determinato ma per chiamata diretta;
7. cocopro e coco.
Fonte: nostra elaborazione
7.3 I contratti dei 45.898 cremonesi nel trimestre iniziale marzo/maggio 2007.
E’ necessario, ora, classificare i 45.898 cremonesi della nostra banca dati nel trimestre iniziale
marzo/maggio 2007.
Questa informazione ci viene fornita dalla distribuzione delle persone per tipo di contratto.
Tavola 5. La distribuzione delle persone per contratto di lavoro nel trimestre iniziale.
C ontratti
indeterm. pieno
indeterm. parz iale
determ. pieno
determ. parz iale
apprend.
co.co.pro.
autonomo
dis occupato
TOT
mar-07
frequenz e
as s olute
25216
8675
4406
3529
3016
526
34
496
45898
frequenz e
perc entuali
54,90%
18,90%
9,60%
7,70%
6,60%
1,10%
0,10%
1,10%
100,00%
Dalla lettura della nostra distribuzione risulta che, in questo trimestre, aggregando tempo pieno e
parziale, il 75% delle persone del nostro panel lavora con contratto a tempo indeterminato.
Questa percentuale, pur essendo inevitabilmente elevata, è notevolmente inferiore all’87% del
dato nazionale ISTAT, ma questo trova la sua spiegazione nella inevitabile “distorsione” della
nostra banca dati.
E’ necessario, dunque, chiedersi in che modo questo 75% delle persone del nostro panel con
contratto a tempo indeterminato all’inizio del nostro periodo di osservazione, ossia nel trimestre
iniziale marzo/maggio 2007, è arrivato ad avere un contratto a tempo indeterminato.
Le risposte sono di due tipi:
8
-
perché sono state immediatamente assunte a tempo indeterminato prima del nostro
periodo di osservazione;
-
perché sono riuscite, prima del nostro periodo di osservazione, a vedere trasformato il
loro contratto a termine in un contratto a tempo indeterminato (noi non siamo in grado di
sapere esattamente in quanto tempo è avvenuta questa trasformazione, perché ciò si è
verificato prima dell’inizio del nostro periodo di osservazione che è marzo 2007).
La nostra analisi successiva sarà finalizzata a capire, rispetto al periodo marzo 2007 - novembre
2009:
-
in che misura e in quanto tempo le persone che nel nostro periodo iniziale non hanno un
contratto a tempo indeterminato passano poi a un contratto di questo tipo;
-
in quale percentuale le persone con contratto a tempo indeterminato nel nostro trimestre
iniziale regrediscono poi a contratti a tempo determinato.
8. La storia recente: in che misura il lavoro a termine si è trasformato in lavoro a
tempo indeterminato nel periodo di osservazione.
8.1 L’importanza della crisi.
Dobbiamo ora mettere in evidenza che cosa è accaduto recentemente in provincia di Cremona
rispetto al nostro problema.
Prima di procedere è, però, doveroso ricordare che gli anni presi in considerazione - che sono
appunto quelli più recenti - sono contraddistinti da una delle crisi più forti del dopoguerra non
soltanto in Italia, ma anche nel mondo.
Come è infatti noto, in conseguenza del fallimento della banca americana Lehman i mercati
finanziari mondiali hanno subìto una sorta di “corto circuito” che ha innescato una crisi gravissima
sull’intera economia mondiale, con un conseguente impatto profondamente negativo
sull’occupazione.
In Italia il prodotto lordo è diminuito di ben il 5% nel 2009, con una conseguente perdita di posti di
lavoro.
Sarà, quindi, necessario ripetere questo tipo di analisi in futuro in modo da “ripulire” i risultati
dagli effetti di una congiuntura profondamente negativa.
9
8.2 Uno strumento potente di analisi del mercato del lavoro: le matrici di transizione.
Le quattro matrici di transizione che riportiamo di seguito riflettono lo stesso fenomeno con la
differenza che due considerano i livelli delle persone, le altre due le percentuali (frequenze
relative).
Per leggere agevolmente queste due tabelle occorre tenere presente i seguenti fatti:
-
due tabelle sono basate sul periodo marzo 2007/settembre 2008 - rispettivamente livelli e
percentuali;
-
le altre due tabelle – ancora livelli e percentuali - sono basate sul periodo marzo
2007/settembre 2009;
-
sulla diagonale principale della matrice, in neretto, troviamo il numero (nella prima
matrice) e la percentuale (nella seconda) delle persone che non hanno mai cambiato
contratto nel corso del nostro periodo di osservazione;
-
per ogni riga della matrice, i valori a sinistra del valore in neretto indicano il numero o la
percentuale di persone che hanno visto migliorare la loro posizione, mentre i valori a
destra del valore in neretto indicano il numero e la percentuale di persone che hanno
subìto un peggioramento della loro posizione.
8.3 Un esempio per il periodo 2007/2009.
Consideriamo come esempio la terza riga delle matrici 2007/2009.
L’informazione che questa riga ci fornisce riguarda le persone con contratto a tempo determinato/
tempo pieno.
Nella matrice della tavola 8 leggiamo che 2.806 persone hanno questo tipo di contratto sia nel
trimestre marzo/giugno 2007 sia nel trimestre settembre/novembre 2009.
In altri termini, per questo gruppo di persone non si è verificato alcun mutamento della loro
posizione contrattuale, né di miglioramento né di peggioramento.
Nella matrice della tavola 9 leggiamo che lo stesso gruppo rappresenta il 63,2% delle persone che
nel trimestre iniziale marzo/maggio 2007 avevano un contratto a tempo determinato/tempo
pieno.
Non tutte le persone, però, con contratto a tempo determinato nel nostro trimestre iniziale non
hanno goduto di un miglioramento: 828 sono passate a contratti a tempo indeterminato a tempo
pieno, 131 sono passate a contratti a tempo indeterminato a tempo parziale.
10
In termini percentuali questi due gruppi rappresentano rispettivamente il 18,6% e il 2,9%
dell’intero gruppo che era a tempo determinato a tempo pieno nel trimestre marzo/giugno 2007.
Dello stesso gruppo di persone che hanno un contratto a tempo determinato/tempo pieno,
vedono invece peggiorare la loro situazione contrattuale 344 persone che rimangono con
contratto a tempo determinato, ma a tempo parziale; altre 57 che cambiano mestiere e scelgono
l’apprendistato; altre 55 che entrano nel parasubordinato diventando co.co.pro.
Tavola 6. La matrice di transizione 2007-2008.
Settembre 2008
indeterm. indeterm. determ.
pieno
parziale
pieno
determ.
parziale
apprend.
co.co.pro. autonomo disoccupato
Marzo 2007
indeterm. pieno
indeterm. parziale
determ.
pieno
determ.
parziale
apprend.
co.co.pro.
autonomo
disoccupato
23797
245
544
132
199
30
2
98
346
8285
91
154
41
24
1
38
497
103
3114
193
120
53
0
113
131
48
250
2979
35
37
0
57
53
11
43
25
2481
7
0
30
65
25
40
23
12
320
0
14
3
0
2
5
2
1
27
0
560
67
357
48
126
64
4
167
Tavola 7. La matrice di transizione 2007-2008 (frequenze percentuali).
Settembre 2008
indeterm. indeterm. determ.
pieno
parziale
pieno
determ.
parziale
apprend.
co.co.pro. autonomo disoccupato
Marzo 2007
indeterm. pieno
indeterm. parziale
determ.
pieno
determ.
parziale
apprend.
co.co.pro.
autonomo
disoccupato
93,5%
2,8%
12,2%
3,7%
6,6%
5,6%
5,9%
19,0%
1,4%
94,3%
2,0%
4,3%
1,4%
4,5%
2,9%
7,4%
2,0%
1,2%
70,1%
5,4%
4,0%
9,9%
0,0%
21,9%
0,5%
0,5%
5,6%
83,7%
1,2%
6,9%
0,0%
11,0%
11
0,2%
0,1%
1,0%
0,7%
82,3%
1,3%
0,0%
5,8%
0,3%
0,3%
0,9%
0,6%
0,4%
59,7%
0,0%
2,7%
0,0%
0,0%
0,0%
0,1%
0,1%
0,2%
79,4%
0,0%
2,2%
0,8%
8,0%
1,3%
4,2%
11,9%
11,8%
32,3%
Tavola 8. La matrice di transizione 2007-2009.
Settembre 2009
indeterm. indeterm. determ.
pieno
parziale
pieno
determ.
parziale
apprend.
co.co.pro. autonomo disoccupato
Marzo 2007
indeterm. pieno
indeterm. parziale
determ.
pieno
determ.
parziale
apprend.
co.co.pro.
autonomo
disoccupato
591
8041
131
210
76
33
2
61
22690
367
828
170
351
68
8
123
1068
146
2806
230
187
75
1
114
335
122
344
2833
92
72
3
88
95
16
57
36
2176
10
0
33
103
27
55
26
12
242
0
22
11
4
3
8
5
1
18
2
559
61
217
46
117
35
2
74
Tavola 9. La matrice di transizione 2007-2009 (frequenze percentuali).
Settembre 2009
indeterm. indeterm. determ.
pieno
parziale
pieno
determ.
parziale
apprend.
co.co.pro. autonomo disoccupato
Marzo 2007
indeterm. pieno
indeterm. parziale
determ.
pieno
determ.
parziale
apprend.
co.co.pro.
autonomo
disoccupato
89,1%
4,2%
18,6%
4,8%
11,6%
12,7%
23,5%
23,8%
2,3%
91,5%
2,9%
5,9%
2,5%
6,2%
5,9%
11,8%
4,2%
1,7%
63,2%
6,5%
6,2%
14,0%
2,9%
22,1%
1,3%
1,4%
7,7%
79,6%
3,1%
13,4%
8,8%
17,0%
0,4%
0,2%
1,3%
1,0%
72,1%
1,9%
0,0%
6,4%
0,4%
0,3%
1,2%
0,7%
0,4%
45,1%
0,0%
4,3%
0,0%
0,0%
0,1%
0,2%
0,2%
0,2%
52,9%
0,4%
2,2%
0,7%
4,9%
1,3%
3,9%
6,5%
5,9%
14,3%
8.4 Alcune prime conclusioni.
Dall’osservazione delle matrici di transizione, in particolare da quelle biennali 2007-2009,
possiamo trarre alcune interessanti conclusioni.
La prima riguarda le persone che lavorano con contratto a tempo determinato/tempo pieno nel
nostro trimestre iniziale (terza riga della matrice della tabella 9, delle quali:
-
il 63,2% ha lo stesso contratto anche nel trimestre settembre-novembre 2009,
-
il 18,6% passa a contratti a tempo indeterminato a tempo pieno,
-
il 2,9% passa a contratti a tempo indeterminato a tempo parziale,
12
-
il 7,7% passa a contratti a tempo determinato/tempo parziale.
Complessivamente, quindi, delle persone che avevano un contratto a tempo determinato/tempo
pieno nel trimestre marzo-maggio 2007 soltanto il 21,5% vede trasformata la propria posizione in
un contratto a tempo indeterminato.
La seconda importante conclusione riguarda le persone con contratti di collaborazione a progetto
(sesta riga della matrice della tabella 9, delle quali:
-
un po’ meno della metà, il 45,1%, si trova dopo due anni con lo stesso tipo di contratto,
-
il 18,9% passa ad un contratto a tempo indeterminato: il 12,7% a tempo pieno e il
rimanente 6,2% a tempo parziale (percentuale che non può essere certo ritenuta
soddisfacente).
E’, poi, di notevole interesse la transizione delle persone che nel nostro trimestre iniziale sono
lavoratori autonomi e, quindi, non hanno neppure una posizione di tipo parasubordinato:
-
quasi un quarto di queste, il 23,5%, dopo due anni ha un contratto a tempo
indeterminato a tempo pieno (quota che non può essere considerata modesta),
E’ curioso, inoltre, osservare che la mobilità verso il tempo indeterminato da parte dei
disoccupati (35,6%) risulta essere più elevata di quella degli occupati a tempo determinato
(21,5%) e degli occupati con co.co.pro (18,9%).
Rappresenta, invece, un aspetto decisamente positivo del mercato del lavoro cremonese il fatto
che soltanto percentuali modeste delle persone con contratti a tempo indeterminato passano
nel periodo di osservazione a contratti più deboli.
9. La nostra previsione per le persone assunte con contratto a tempo
determinato.
Dobbiamo ora presentare la nostra previsione per l’immediato futuro.
Il nostro lavoro di stima è stato effettuato utilizzando uno strumento statistico alquanto
complesso, conosciuto come “modello Mover-Stayer”.
L’applicazione di questo strumento al mercato del lavoro cremonese è stata presentata in
occasione un convegno internazionale di statistica (Cipollini F., Ferretti C., Ganugi P., Mezzanzanica
M. in Cladag 2010).
13
Per non complicare eccessivamente l’esposizione e l’interpretazione abbiamo aggregato i contratti
a tempo determinato a tempo pieno e quelli a tempo parziale e lo stesso abbiamo fatto per i
contratti a tempo indeterminato.
Innanzitutto andiamo mettere in evidenza in quale percentuale si prevede che le persone assunte
a tempo determinato verranno assunte a tempo indeterminato dopo 1 trimestre, 2 trimestri, 3
trimestri, 4 trimestri e quindi 1 anno, 5 trimestri……fino a 20 trimestri ossia 5 anni.
Tavola 10. Percentuali delle persone che molto probabilmente passeranno da contratti a tempo
determinato a contratti a tempo indeterminato entro uno specifico numero di trimestri
Uomini e donne
Tempo trascorso
1 trimestre
2 trimestri
3 trimestri
4 trimestri
5 trimestri
6 trimestri
7 trimestri
8 trimestri
9 trimestri
10 trimestri
11 trimestri
12 trimestri
13 trimestri
14 trimestri
15 trimestri
16 trimestri
17 trimestri
18 trimestri
19 trimestri
20 trimestri
1 anno
2 anni
3 anni
4anni
5 anni
2,7%
5,6%
8,5%
11,3%
14,1%
16,7%
19,1%
21,4%
23,6%
25,7%
27,7%
29,5%
31,3%
33,0%
34,5%
36,0%
37,4%
38,8%
40,0%
41,2%
La tavola di previsione che abbiamo appena presentato mostra un andamento deludente della
transizione dal lavoro a tempo determinato al lavoro a tempo indeterminato.
In 1 anno, almeno secondo il nostro modello di previsione, soltanto l’11% dovrebbe passare da
tempo determinato a tempo indeterminato.
La stessa percentuale sale al 21% in 2 anni: ogni 100 lavoratori, 21 dovrebbero passare a contratti
a tempo indeterminato in 2 anni.
Trascorsi 3 anni questa percentuale sale al 29% e dopo 4 anni al 36%.
Trascorsi 5 anni, 41 lavoratori su 100 dovrebbero passare a contratti a tempo indeterminato.
Queste percentuali non possono, certo, essere considerate soddisfacenti.
14
Come, infatti, abbiamo sopra premesso, è nostra convinzione che alla base della decisione dei
legislatori di rendere progressivamente più flessibile negli ultimi 15 anni il mercato del lavoro ci sia
stata la scommessa di ottenere, attraverso la flessibilità, una compressione decisa del tasso di
disoccupazione e un innalzamento della partecipazione, ma anche, congiuntamente, una
transizione relativamente veloce dal tempo determinato al tempo indeterminato.
L’auspicio, purtroppo, sembra essere rimasto deluso, secondo quanto confermato dal nostro
esercizio previsivo.
Occorre, però, qualificare ulteriormente la portata di questa nostra prima conclusione in quattro
aspetti molto precisi:
a) Il primo riguarda il periodo che ha costituito la base della nostra simulazione. Come
abbiamo sopra premesso, la nostra previsione viene realizzata attivando un determinato
modello statistico - il Mover Stayer – alimentato dalla storia effettiva dei contratti delle
45.898 persone osservate nel periodo 2007-2009.
E’ evidente che la nostra previsione viene ad essere influenzata non poco da questo
periodo specifico che è stato, appunto, contraddistinto da una delle crisi più intense del
dopoguerra. Occorrerà, quindi, in futuro ripetere la nostra simulazione provvedendo ad
alimentarla con periodi di auspicabile ripresa.
b) Il secondo aspetto concerne il carattere aggregato della nostra previsione: nelle cifre che
abbiamo appena presentato non si distingue per genere, ossia per donne e uomini, come
non si distingue per fasce di età. E’ perciò ora necessario disaggregare la nostra analisi per
genere e per fasce di età.
c) Il terzo aspetto riguarda la disaggregazione delle persone considerate per professione.
Esistono, infatti, fondati motivi - sia teorici sia pratici - per ritenere che la carriera delle
persone sia fortemente influenzata dal titolo di studio, dalla formazione professionale e
dalla specializzazione produttiva acquisita nel tempo.
Pur essendo laureate, le persone possono fare un percorso lavorativo profondamente
diverso a seconda delle materie di studio in cui hanno conseguito il titolo.
E’, inoltre, molto plausibile pensare che - in assenza di laurea - le persone con il solo
diploma siano “appetibili” molto diversamente nel mercato del lavoro in base, ancora, alle
materie di studio in cui hanno conseguito il titolo.
Infine, pur senza diploma, è importantissimo verificare se le persone con determinate
specializzazioni abbiano una carriera molto veloce rispetto a quella senza questi skills. Si
tratta, quindi, di un tema di grande interesse che però richiede un impegno non
indifferente che ci ripromettiamo di affrontare in futuro, ma non in questa nota.
d) Sarebbe infine di grande interesse analizzare la mobilità degli occupati per branca
produttiva.
Esistono, infatti, fondati motivi per supporre che la branca produttiva influenzi fortemente
la mobilità delle persone tra i diversi tipi di contratto.
15
In particolare, sembra lecito avanzare l’ipotesi che la forte importanza dell’agricoltura nel
territorio provinciale possa fortemente rallentare la mobilità verso contratti a tempo
indeterminato. L’applicazione del nostro strumento a livello di branca produttiva
richiederebbe, però, la disponibilità di banche dati di altre province.
10. La nostra previsione disaggregata per genere.
E’ molto importante appurare le differenze tra uomini e donne rispetto ai percorsi effettuati tra i
diversi contratti.
Le tavole e il grafico sotto riportati mettono con chiarezza in evidenza il persistere di uno
svantaggio delle donne rispetto agli uomini nel processo di transizione.
Il differenziale per genere si intensifica trascorsi i due anni.
Considerando un periodo di 5 anni, la differenza è di ben 10 punti: su 100 uomini, 47 passano a
contratti a tempo indeterminato, mentre su 100 donne, soltanto 37 passano a contratti a tempo
indeterminato.
Tavola 11. Percentuali di donne e uomini che molto probabilmente passeranno da tempo
determinato a tempo indeterminato entro uno specifico numero di trimestri
Tempo trascorso
1 trimestre
2 trimestri
3 trimestri
4 trimestri
5 trimestri
6 trimestri
7 trimestri
8 trimestri
9 trimestri
10 trimestri
11 trimestri
12 trimestri
13 trimestri
14 trimestri
15 trimestri
16 trimestri
17 trimestri
18 trimestri
19 trimestri
20 trimestri
1 anno
2 anni
3 anni
4anni
5 anni
Donne
2,5%
5,1%
7,7%
10,2%
12,6%
14,9%
17,1%
19,2%
21,2%
23,1%
24,9%
26,6%
28,2%
29,7%
31,2%
32,6%
33,9%
35,2%
36,4%
37,5%
16
Uomini
3,1%
6,5%
9,9%
13,3%
16,5%
19,5%
22,4%
25,1%
27,6%
30,0%
32,2%
34,3%
36,3%
38,1%
39,9%
41,5%
43,0%
44,4%
45,8%
47,0%
Grafico 1: La transizione prevista dal contratto a tempo determinato a contratto a tempo
indeterminato nei diversi trimestri.
9. La previsione per fasce di età.
Rispetto al profilo della mobilità i giovani della fascia fino a 24 anni si confermano come un
soggetto debole.
Se, infatti, dopo 1 anno la percentuale di persone di questa fascia di età che dovrebbe arrivare
al contratto a tempo indeterminato è intorno al 10% (situazione non molto diversa da quello
che accade alle altre fasce), con il passare del tempo il differenziale con le altre fasce d’età
aumenta in senso peggiorativo, per diventare molto consistente dopo 5 anni.
Sembra quindi che, trascorso 1 anno, la posizione dei giovani fino a 24 anni tenda a
cronicizzarsi in tipi di contratto deboli.
17
Rispetto al livello di istruzione, è importante ricordare che in questa fascia di età sono
compresi i soggetti che hanno adempiuto all’obbligo scolastico, i diplomati, i laureati del
triennio, ma non quelli che hanno conseguito la laurea specialistica “3+2”.
Tavola 12. Percentuali di persone, suddivise per fasce di età, che molto probabilmente
passeranno da tempo determinato a tempo indeterminato entro specifici periodi di tempo
Fasce di età.
0-25
Tempo
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
trascorso
trimestre
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
trimestri
1 anno
2 anni
3 anni
4 anni
5 anni
25-35
2,5%
4,8%
6,8%
8,6%
10,3%
11,8%
13,2%
14,5%
15,7%
16,9%
17,9%
18,9%
19,8%
20,7%
21,5%
22,3%
23,0%
23,7%
24,3%
24,9%
2,7%
5,6%
8,6%
11,6%
14,5%
17,4%
20,2%
22,8%
25,3%
27,7%
30,0%
32,1%
34,2%
36,1%
37,8%
39,5%
41,1%
42,5%
43,9%
45,2%
35-50
2,8%
5,9%
9,2%
12,7%
16,2%
19,6%
22,9%
26,0%
29,0%
31,9%
34,6%
37,2%
39,6%
41,9%
44,0%
46,0%
47,8%
49,5%
51,1%
52,7%
>50
2,2%
4,9%
7,8%
10,9%
13,9%
16,9%
19,8%
22,6%
25,2%
27,7%
30,0%
32,2%
34,2%
36,1%
37,9%
39,5%
41,0%
42,3%
43,6%
44,8%
11. La transizione da co.co.pro a tempo indeterminato.
Per le persone con co.co.pro nel trimestre iniziale marzo/maggio 2007 abbiamo ripetuto la stessa
analisi disaggregando per genere e per fasce di età.
Il differenziale di genere è in questo caso molto più compresso rispetto a quanto si riscontra per il
contratto a tempo determinato.
Si conferma, invece, la debolezza della fascia 0-25.
Seguono tavole e grafici di rappresentazione.
18
Tavola 13. Percentuali di persone, suddivise per genere, che molto probabilmente passeranno
da co.co.pro. a tempo indeterminato entro uno specifico numero di trimestri
Globale
Tempo trascorso
1 trimestre
2 trimestri
3 trimestri
4 trimestri
5 trimestri
6 trimestri
7 trimestri
8 trimestri
9 trimestri
10 trimestri
11 trimestri
12 trimestri
13 trimestri
14 trimestri
15 trimestri
16 trimestri
17 trimestri
18 trimestri
19 trimestri
20 trimestri
Donne
2,9%
6,5%
10,3%
14,0%
17,6%
21,0%
24,1%
27,0%
29,8%
32,3%
34,7%
36,9%
38,9%
40,9%
42,7%
44,3%
45,9%
47,4%
48,8%
50,1%
1 anno
2 anni
3 anni
4 anni
5 anni
Uomini
3,0%
6,6%
10,3%
13,9%
17,3%
20,5%
23,4%
26,2%
28,7%
31,1%
33,3%
35,3%
37,2%
39,0%
40,7%
42,3%
43,8%
45,1%
46,4%
47,7%
2,8%
6,3%
10,0%
13,7%
17,3%
20,8%
24,0%
27,1%
30,0%
32,6%
35,2%
37,5%
39,7%
41,8%
43,7%
45,5%
47,2%
48,8%
50,2%
51,6%
Grafico 2. La previsione Grafico 1: La transizione prevista da co.co.pro a contratto a tempo
indeterminato nei diversi trimestri scomposta per genere.
co.co.pro-inderminato per genere
0,6
0,5
0,4
totale
0,3
donne
uomini
0,2
0,1
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
trimestre
19
12. Conclusioni
Come è noto negli ultimi 15 anni il Legislatore (in particolare prima con il “Pacchetto Treu” e
poi con la Legge Biagi) ha introdotto una serie di provvedimenti che hanno determinato un
deciso innalzamento del grado di flessibilità presente nel mercato del lavoro italiano.
Nell’ opinione di diversi studiosi di economia e del mercato del lavoro questa notevolmente
più elevata flessibilità del mercato del lavoro ha avuto un impatto decisamente positivo sia
sulla partecipazione al mercato da parte delle Donne sia sulla compressione del tasso di
disoccupazione.
A fronte dell’impatto positivo della flessibilità su partecipazione e disoccupazione resta,
invece, a tutt’oggi non chiarito un altro aspetto altrettanto importante del funzionamento
del mercato del lavoro che è, appunto, la capacità delle persone di passare da contratti a
tempo determinato e, quindi, “deboli”- introdotti dalla nuova legislazione - a contratti a
tempo indeterminato e, quindi, “forti”.
Per studiare questo problema a livello cremonese è stato selezionato un panel di 45.898
persone dall’archivio delle Comunicazioni obbligatorie dei Centri per l’impiego della Provincia.
Di questo panel sono state “scattate due foto” di cui la prima nel trimestre marzo/maggio
2007, la seconda nel trimestre luglio/settembre 2009.
Nella prima foto, relativa al trimestre marzo/ maggio 2007, il 75% del totale delle persone
del panel risulta essere occupato con contratto a tempo indeterminato, mentre il restante
25%, pari a 11.475, risulta nel primo trimestre di riferimento occupato con contratti “deboli”.
La percentuale del 75% con contratto a tempo indeterminato è inferiore alla percentuale che
si registra a livello nazionale per le persone occupate con lo stesso tipo di contratto per un
effetto della composizione del nostro archivio (dove non vanno a confluire i contratti dei
soggetti che lavorano da diversi anni con contratto a tempo indeterminato in imprese che non
hanno avuto cambiamenti nella loro ragione sociale).
Sono stati, quindi, utilizzati due strumenti statistici per studiare la mobilità tra i contratti delle
11.475 persone: il primo strumento è rappresentato dalla matrice di transizione, il secondo
dal modello Mover Stayer.
Mediante il primo strumento è stata ricostruita la storia dei passaggi delle persone tra i
diversi tipi di contratto nel biennio 2007/2009.
Attraverso, invece, il modello Mover Stayer è stata effettuata una previsione per i trimestri
futuri.
La matrice di transizione mette in evidenza una mobilità verso il contratto a tempo
indeterminato che non può essere ritenuta soddisfacente per una parte considerevole di
queste 11.475 persone.
Infatti, delle persone occupate ad esempio nel trimestre marzo/maggio 2007 con contratto a
tempo determinato, meno del 19% risulta essere occupato a tempo indeterminato nel
trimestre luglio/settembre 2009.
20
Per il co.co.pro i risultati sono altrettanto insoddisfacenti.
Un aspetto, invece, positivo è il fatto che soltanto percentuali modeste di coloro che già
hanno un contratto a tempo indeterminato regrediscono verso contratti a termine.
Si è, quindi, passati al lavoro di previsione utilizzando il modello Mover Stayer.
Lo stesso modello produce stime delle probabilità di transizione che mostrano per i trimestri
futuri una capacità ancora insoddisfacente di passaggio da contratti deboli a contratti forti.
La capacità di transizione risulta ancora più debole per i giovani sotto 25 anni e per le Donne.
Per queste ultime il differenziale con gli Uomini sembra ampliarsi trascorsi 4 trimestri e, quindi,
1 anno.
Occorre, però, aggiungere che il nostro esercizio previsivo, pur effettuato con una
strumentazione fortemente collaudata a livello statistico, è “alimentato” dalla storia recente
del mercato del lavoro cremonese, quale è il periodo 2007/2009.
E’ ora noto come questo arco di tempo sia stato contraddistinto a partire dall’ultimo trimestre
2008 da una delle crisi più pesanti del secondo dopoguerra.
Sarà, quindi, opportuno in futuro ripetere la simulazione in modo da verificare la robustezza
delle stime ottenute.
21