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Newsletter della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum
San Bonaventura
ANNO III - Nº 32
informa
In questo numero:
Editoriale
Noi abbiamo sete di infinito
[…] Solo alla luce della follia della gratuità
dell’amore pasquale di Gesù apparirà comprensibile la follia della gratuità di un amore coniugale
unico e usque ad mortem.
Per Dio il matrimonio non è utopia adolescenziale,
ma un sogno senza il quale la sua creatura sarà
destinata alla solitudine!
Infatti la paura di aderire a questo progetto paralizza
il cuore umano.
Paradossalmente anche l’uomo di oggi – che
spesso ridicolizza questo disegno – rimane attirato
e affascinato da ogni amore autentico, da ogni
amore solido, da ogni amore fecondo, da ogni
amore fedele e perpetuo.
Lo vediamo andare dietro agli amori temporanei
ma sogna l’amore autentico; corre dietro ai piaceri
carnali ma desidera la donazione totale.
Infatti, «ora che abbiamo pienamente assaporato
le promesse della libertà illimitata, cominciamo
a capire di nuovo l’espressione “tristezza di
questo mondo”. I piaceri proibiti hanno perso
la loro attrattiva appena han cessato di essere
proibiti. Anche se vengono spinti all’estremo e
vengono rinnovati all’infinito, risultano insipidi
perché sono cose finite, e noi, invece, abbiamo
sete di infinito» (Joseph Ratzinger, Auf Christus
schauen. Einübung in Glaube, Hoffnung, Liebe,
Freiburg 1989, p. 73).
In questo contesto sociale e matrimoniale assai
difficile, la Chiesa è chiamata a vivere la sua missione
nella fedeltà, nella verità e nella carità.
Papa Francesco
(Omelia per la Santa Messa
di apertura del Sinodo dei Vescovi
Basilica vaticana, 4 ottobre 2015)
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focus del mese: lo spirito di assisi nelle
sfide per l’umanità
pag. 2
santa sede: si apre il cammino sinodale sul
tema della famiglia
pag. 7
teologia: la visione antropologica nel cantico
delle creature
pag. 9
storia e personaggi: nagasaki e l’effige della
madonna ferita
pag. 11
testimoni del vangelo: istituto roman, 25
anni di attività dopo la soppressione del
regime comunista
pag. 14
tra le righe: i retroscena per il concordato
tra santa sede e regno di jugoslavia
pag. 15
cineforum: al via la 52ª stagione con tante
novità
pag. 17
appuntamenti: inaugurazione del nuovo
anno accademico e novità editoriali
pag. 19
Francescanamente parlando: promozione
accademica, il cortile di francesco e il
festival francescano
pag. 22
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focus del mese
LO SPIRITO DI ASSISI NELLE SFIDE per l’umanità
intervista a fra Norel, vicario generale ofm conv
di Elisabetta Lo Iacono*
Fra Jerzy Norel, nelle scorse settimane ha partecipato, a Tirana, al 28° Meeting internazionale
promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Un incontro di preghiera per la pace, al quale hanno preso
parte leader delle maggiori religioni e rappresentanti del mondo della cultura. Che clima ha trovato?
Gli incontri per la pace, che hanno una formula ormai collaudata da ben ventotto anni, si svolgono
sotto il nome generale “Uomini e Religioni”. Essi vogliono essere la
continuazione del clima di quel memorabile incontro del 1986 fatto
ad Assisi, su convocazione di papa Giovanni Paolo II, dei diversi
leaders religiosi del mondo. Infatti in ogni incontro partecipano
numerosi rappresentanti delle comunità religiose, di varie religioni
e denominazioni cristiane, di tutto il mondo; in totale ci sono circa
quattrocento ospiti invitati. Essendo poi una iniziativa con ciclo
annuale, diversi partecipanti ormai si conoscono e di conseguenza
il clima è assai familiare, amichevole, di reciproco arricchimento e
Fra Norel con Romano Prodi
condivisione. Mi è stato possibile partecipare a ben quattro incontri,
insieme al custode del Sacro Convento di Assisi, in rappresentanza della nostra famiglia religiosa, che in certo
modo rappresenta visibilmente lo spirito di Assisi. Devo dire che la reazione alla nostra presenza da parte dei
partecipanti è stata sempre caratterizzata da simpatia e rispetto.
Tra i temi al centro della tre giorni, anche quello del fenomeno migratorio che divide l’Europa tra
accoglienza e rifiuto. Cosa sta avvenendo nel cuore di quell’Europa alla quale sia Giovanni Paolo II
sia Benedetto XVI hanno più volte raccomandato un recupero delle proprie radici cristiane?
Purtroppo si sta realizzando uno scenario triste e drammatico, che mette a
nudo non solo la mancanza di solidarietà tra gli stati europei ma anche carenza
degli strumenti comuni per garantire una sicurezza della propria popolazione
e, nello stesso tempo, accoglienza dignitosa di chi sfugge dalle guerre e ha il
sacrosanto diritto all’asilo e alla sicurezza di vita. Vediamo quindi un caos, un
drammatico ed improvvisato cercare delle regole e delle soluzioni che però,
nell’insieme, non ci fanno intravedere una espressione comune dell’Europa
che apre le braccia verso i profughi. Io non so se questa situazione, che ci
sfida fortemente e, come si potrebbe dire, ci cade addosso, ci aiuterà a trovare i
valori comuni dell’anima cristiana europea. Temo che sarà proprio al contrario che cioè, sotto la copertura
dell’ideologia del bene comune, si vada a realizzare solo le politiche locali dettate dagli interessi economici,
mentre le argomentazioni che richiamano la carità cristiana siano usate solo nel caso di convenienza.
Senza dubbio i profughi sono per noi un segno: il segno dello “straniero e forestiero” che mette in
questione le nostre abitudini, l’abitudine alla vita comoda e sicura, sazia di beni e di diritti che, però, da
un giorno all’altro può cambiare radicalmente; il segno che mette in questione la nostra identità cristiana
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e di persone di fede in Dio, datore della vita e garante della vera pace; il segno che mette in questione
il nostro stile di pensare e di agire, troppo autoreferenziale e, purtroppo, egoistico. Durante l’incontro
qualcuno ha fatto questa affermazione che trovo alquanto vera: l’opposto della pace non è la guerra, ma
l’egocentrismo. Questo si sta dimostrando ai nostri occhi oggi in Europa.
“La pace è sempre possibile” è stato il tema, l’auspicio e l’impegno di questo nuovo appuntamento
della Comunità di Sant’Egidio. Tralasciando gli aspetti politici
della questione e le annesse ragioni di Stato, quali ritiene siano i
convincimenti insiti nell’animo della gente? Non stiamo sempre
più andando verso un braccio di ferro tra paura e coraggio, tra
rassegnazione e impegno, tra egoismo e altruismo, mettendo spesso
a repentaglio il bene comune che, come tale, non può essere quello
del singolo o delle singole comunità/Paesi?
Durante l’incontro è stato largamente discusso il tema dei profughi e della solidarietà, visto soprattutto
dalla prospettiva religiosa, ossia dalla prospettiva di un possibile o doveroso impegno dei credenti per far
fronte all’emergenza migratoria dei profughi.
Ci siamo chiesti qual è la nostra parte da fare in quanto persone di fede e coloro che sono chiamati a
guidare le comunità religiose?
Senza dubbio questa situazione mette allo scoperto tutti i lati deboli della convivenza europea, il divario
tra l’unità dichiarata dell’Unione e l’egoismo di fatto di diversi membri della stessa Unione. E non penso
solo agli stati che dichiarano difficoltà nell’accogliere i profughi. Penso anche a quegli stati che con le
loro scelte politiche hanno causato in qualche modo l’attuale crisi.
Nello stesso tempo questa situazione ci sfida perché non possiamo rimanere indifferenti avendo i profughi
a casa nostra. Dobbiamo dare una risposta, dobbiamo trasformare questa risposta in atteggiamenti e
azioni concrete.
Cosa pensa e sente la gente? Io credo, ho l’impressione, che la gente, un semplice cittadino europeo, sente
principalmente paura davanti a qualcosa o qualcuno che è sconosciuto, che non ha volto né nome, che
minaccia di privare la sua serenità di vita e il benessere. È toccato da incertezza e senso di insicurezza
come anche da un senso di smarrimento e, a volte, di indignazione di fronte
ai giochi politici e ai calcoli di convenienza degli stati, per guadagnare di
più e per perdere meno possibile. Non è da trascurare la preoccupazione
per il futuro della cristianità dell’Europa. Ma, tantissimi, nello stesso tempo
sentono anche il senso di responsabilità per chi bussa alla nostra porta.
Questo senso di responsabilità e di dovere si è respirato anche durante
l’incontro a Tirana. Credo che questa crisi, come avviene di solito, può
essere sempre trasformata in grazia, in una opportunità nuova per ritrovare le motivazioni comuni per la
solidarietà condivisa.
Sperando che i politici faranno la loro parte, creando regole e leggi che proteggano la società, noi persone
di fede di diverse tradizioni religiose abbiamo l’opportunità di parlare con la stessa voce, di collaborare
fianco a fianco, di ricordare e riscoprire l’umanità come valore unificante per tutti. Penso che noi, cristiani,
adesso abbiamo l’occasione speciale per dimostrare l’umanesimo cristiano e, forse, ritrovare le sue fonti
che sembrano, a volte, qui in Europa proprio dimenticate o addirittura rifiutate.
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L’appello di pace, che si leva da Tirana, fa riferimento alla necessità di “globalizzare la solidarietà” come
antidoto a quella “globalizzazione dell’indifferenza” cui ha fatto riferimento, in modo tanto efficace,
papa Francesco. Quali le strade percorribili per un cambio di approccio ai problemi dell’umanità?
Credo che papa Francesco ci suggerisce alcune strade. Intanto penso che, per non restare solo a delle idee
astratte e, di conseguenza, sterili, bisogna applicare il criterio che lo stesso papa ci indica, e cioè pensare in largo e
agire in piccolo; avere uno sguardo ampio e agire in modo concreto ed efficace. Poiché, come dice il papa nella sua
Evangelii Gaudium, “Nella cultura dominante, il primo posto è occupato da ciò che è esteriore, immediato, visibile,
veloce, superficiale, provvisorio. Il reale cede il posto all’apparenza” (EG 62), bisogna recuperare la visione profonda
della realtà, ossia guardare la vita con uno sguardo più profondo, o se vogliamo, con lo sguardo contemplativo.
Mi piace riprendere alcune indicazioni di papa Francesco contenute nella enciclica, per suggerire qualche
possibile linea di azione. Prima di tutto bisogna superare l’individualismo personale e di gruppo e dare
importanza alle relazioni interpersonali. In altre parole dobbiamo scoprire l’umanità nostra e altrui, aprirsi
all’altro, saper tessere le relazioni profondamente umane, in famiglia, nelle comunità di fede, nella società civile.
Detto in termini più religiosi è necessario per noi diventare persone di comunione. Dobbiamo imparare ad
essere costruttori di pace e di armonia a partire da chi ci è più vicino e nel contesto quotidiano della vita –
costruire la pace a casa, in convento, in famiglia, sul posto di lavoro, tra i vicini, ecc. È importante anche fare
un cammino per superare la mentalità di esclusione e di iniquità in campo economico e sociale, soprattutto
opporsi al consumismo e alla idolatria del denaro. Questo richiede di assumere un nuovo stile di vita, solidale e
più sobrio. Alla fine, in quanto persone religiose, discepoli di Cristo, dobbiamo uscire con una proposta di vita
cristiana attraverso la testimonianza personale che diventa missione.
A livello sociale mi sembra indispensabile favorire l’inclusione sociale
dei poveri, cioè promuovere un impegno per ridare la dignità umana
ai poveri e adoperarsi per la loro promozione sociale per aiutarli ad
uscire dalla povertà. Infine, mi sembra che sarebbe bello applicare nel
concreto della vita le due categorie del pensare e agire cristiano proposte
dal papa nella stessa enciclica: far prevalere l’unità sul conflitto (EG
226) e sostenere la realtà che è più importante dell’idea (EG 231).
Trovo molto prezioso e utile in questo senso il discorso che papa Francesco ha fatto, proprio in questi giorni,
all’Assemblea generale dell’ONU a New York, una charta magna della giustizia sociale e della solidarietà, una
vera “mappa stradale” verso il cambio di approccio ai problemi del mondo e dell’umanità.
Lo spirito di Assisi risuona a ogni incontro, in ogni parte del mondo. Qual è, ancora oggi, il valore della
grande intuizione di Giovanni Paolo II e come è declinabile di fronte alle nuove emergenze umanitarie?
Senza ombra di dubbio il messaggio di Giovanni Paolo II resta attuale. Globalizzazione che ci rende isolati,
consumismo che ci schiavizza e genera la povertà, secolarismo che ci taglia la prospettiva dell’eternità e
ci riduce a sola dimensione temporanea, guerre che producono la sofferenza sono solo alcune delle grandi
sfide del nostro mondo contemporaneo. Ma l’umanità non cessa di sognare. Si nota un grande desiderio
della pace. Credo che il nostro mondo, lacerato da tante guerre locali e da una “guerra mondiale a pezzi”
con il terrorismo fondamentalista e con l’egoismo variopinto degli Stati e dei popoli (papa Francesco,
30.XI.2014), sente il bisogno della pace e di liberare una nuova speranza per un futuro sereno.
Come ho accennato poco prima, l’opposto della pace è l’egocentrismo. Credo che bisogna continuare,
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seguendo l’esempio di Giovanni Paolo II e dei suoi successori, a richiamare la responsabilità dell’umanità
per la vita comune in questo pianeta, la responsabilità dei leaders e
delle comunità religiose, dei leaders politici e sociali, degli stati e dei
popoli, di ogni singola persona. Prima di tutto bisogna implorare da Dio
il dono della pace. E questo è compito di noi, persone di fede e leaders
delle comunità religiose. Nello stesso tempo bisogna denunciare
ogni espressione di egoismo, nella vita economica, nella vita politica
e sociale. Bisogna denunciare e contestare ogni manipolazione
religiosa, presente specialmente oggi in ambiente musulmano, ma non
solo. Bisogna promuovere valori di solidarietà sociale, di vera fratellanza basata sulla dignità umana e sul
diritto alla libertà di religione. Dobbiamo far di tutto per proteggere il nostro pianeta, che è la nostra casa
comune, come ci sta continuamente ricordando Papa Francesco.
Assisi è, per antonomasia, luogo di pace e, proprio nella città umbra, si terrà il prossimo meeting della
Comunità di Sant’Egidio. Il dialogo di Francesco con il sultano di Egitto Malik al Kamil, fortemente e
coraggiosamente cercato, cosa ha da insegnarci nella nostra quotidianità e nell’approccio con il “diverso”?
Io credo che ci insegna soprattutto questa saggezza che tutti, nel cuore di Dio,
siamo suoi figli, amati, voluti, e che, come figli, abbiamo il dovere l’uno verso
l’altro di volerci bene. Sappiamo che in realtà tra noi c’è tanta divisione proprio
a partire, o per motivo, della appartenenza religiosa. Questa divisione è spesso
frutto dei pregiudizi e delle manipolazioni. E questo bisogna smascherare.
Durante l’incontro a Tirana si è parlato anche di questo aspetto, e cioè
del bisogno di conoscersi meglio, di togliere la maschera dell’anonimità
che favorisce pregiudizi e paura. Finché restiamo l’uno per l’altro
“massa umana” o un “anonimo sconosciuto” sentiamo distanza e timore. Quando riusciamo a
vedere l’individuo e a conoscere il suo nome, la sua storia, la prospettiva cambia, diventa umana,
il cuore comincia a muoversi. Credo che dobbiamo fare di tutto per imparare a superare la
distanza di anonimità, per entrare nella relazione reciproca e attraverso la relazione interagire per il bene
comune. Proprio come fece Francesco. Come francescano mi è molto familiare l’approccio di contatto
personale a chi è diverso da me, di entrare in un rapporto di buon vicinato e di armonia nel condividere
la vita, di inter scambiare i valori dell’umanità. Qualcuno forse potrà dire che è ingenuo perché la realtà,
da sempre, si dimostra diversa – tante persecuzioni, tanta violenza, tanto odio e preclusioni. Ma forse
conviene invece essere degli “ingenui” per Dio, perché è proprio Dio, in Gesù Cristo, si è fatto vicino a
noi abbattendo “il muro di separazione” e diventando “la nostra pace” (cfr. Ef 2, 13-14).
A noi cristiani, poi, anche di fronte al mondo contemporaneo secolarizzato, forse sarebbe bene presentarsi,
come Francesco davanti al sultano, più forti della propria identità cristiana come persone di fede in Dio;
non vergognarsi di essere cristiani e di dare testimonianza di questo.
Abbiamo paura che i profughi, specialmente coloro che sono musulmani, vengano a minacciare la
nostra vita per motivo della nostra appartenenza religiosa, vengano a sterminare la presenza cristiana e
la tradizione cristiana dell’Europa. Non penso che bisogna arrendersi a tale paura. Non posso dare per
scontato che un musulmano, solo perché è musulmano, è per me un nemico e, quindi, di conseguenza
debba difendermi con forza o costruire muri di isolamento.
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Dobbiamo ricordare che tante vite umane vengono sacrificate anche nei conflitti tra i cristiani e di ciò
siamo testimoni in questo periodo in Ucraina. Quindi, dare testimonianza della propria appartenenza a
Gesù Cristo e avere fiducia in Dio, che vede e provvede. Al resto ci penserà il Signore.
Spero che il prossimo meeting che si svolgerà ad Assisi ci aiuti, sotto la guida di san Francesco, a fare un
passo in avanti.
I frati minori conventuali sono una presenza attiva in molte parti del mondo, caratterizzate da culture
tanto differenti e un esempio di questa multiculturalità è rappresentata anche dal Seraphicum.
Qual è l’impegno profuso sul piano del dialogo e quale lo stile adottato, capace di garantire questa
forte integrazione e reciproco arricchimento?
Credo che noi, frati francescani, siamo particolarmente
sensibili al tema del dialogo. Quando diciamo “dialogo”
pensiamo subito a uno stile di comportamento, quello
dell’incontro personale, del dialogo di vita.
Non per caso san Francesco nella Regola non bollata (Cap.
XVI) nel contesto della missione ha indicato ai frati due
modalità di fare la missione, o, meglio, di essere in missione:
il primo è andare incontro all’altro in quanto altra persona
umana, facendosi riconoscere come cristiano, e secondo è, “quando vedranno che piace al Signore”,
proclamare Gesù, Salvatore del mondo.
Quindi prima condividere la vita poi predicare con le parole. Questo, penso, cerchiamo di fare al nostro
interno, soprattutto nelle nostre fraternità internazionali, e anche al Seraphicum, come all’esterno, nel
nostro impegno missionario.
Sul campo del dialogo ecumenico e interreligioso da alcuni anni stiamo realizzando, come governo
dell’Ordine attraverso il nostro delegato, fra Silvestro Bejan, un delicato e nello stesso tempo bel
programma per “costruire i ponti” con diverse comunità religiose, cristiane e non cristiane.
Ci sono vari incontri durante i quali si cerca di stringere il legame di amicizia spirituale e di rispetto
reciproco. Ricordo particolarmente un intenso e bellissimo incontro con una delle comunità monacali
grecoortodosse del Monte Athos, durante il quale si è realizzato proprio questo principio che la
appartenenza religiosa è secondaria rispetto alla umanità.
Ovviamente è superfluo dire che questo dialogo ci arricchisce enormemente, ci fa vedere la realtà umana
nella sua dimensione profonda e ci aiuta a vivere in una prospettiva di comunione.
* Giornalista e docente di Mass media
@eliloiacono
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santa sede
PREGHIERA, RIFLESSIONE E DIBATTITO:
CONTINUA IL CAMMINO SINODALE
di Giovanni Tridente*
C’è grande attesa, com’è giusto che sia, per il Sinodo ordinario dei Vescovi dedicato alla famiglia,
che si è aperto domenica 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi, e si protrarrà per tre settimane,
fino a domenica 25.
Si tratta della seconda tappa di un cammino di preghiera, riflessione e dibattito, iniziato da diversi
mesi, che Papa Francesco ha voluto chiamare a percorrere la Chiesa intera, affinché faccia sempre più
propria l’attenzione e la cura per la più importante cellula della società.
È risaputo come la famiglia, a ogni latitudine, sia attraversata nelle ultime epoche da numerose
sollecitazioni che ne hanno compromesso la stabilità e il futuro, e al tempo stesso la missione profetica
all’interno della comunità ecclesiale stessa. È pur vero, come hanno poi ribadito gli stessi padri sinodali
concludendo i lavori della precedente Assemblea
del 2014, che nonostante i tanti segnali di crisi, “il
desiderio di famiglia resta vivo, specialmente fra
i giovani, e motiva la Chiesa, esperta in umanità e
fedele ad annunciare senza sosta e con convinzione
profonda il ‘Vangelo della famiglia’”.
Anzi, sempre il Sinodo ha espresso parole di
ringraziamento al Signore “per la generosa fedeltà
con cui tante famiglie cristiane rispondono alla loro vocazione con gioia e con fede, anche davanti ad
ostacoli, incomprensioni e sofferenze”.
I Padri sinodali
Intanto, riguardo all’elenco dei Padri Sinodali, mentre restano inalterati rispetto alla precedente
Assemblea il segretario generale (Baldisseri), il segretario speciale (Forte), il relatore generale (Erdö)
e i quattro presidenti delegati (Vingt-Trois, Tagle, Damasceno Assis e Napier), un considerevole
ricambio ha interessato i rappresentanti scelti dalle singole Conferenze episcopali di tutto il
mondo. 45 (l’anno scorso erano 26) sono invece i padri sinodali nominati direttamente dal Santo
Padre, e si registrano nuovi ingressi tra i partecipanti senza diritto di voto, che collaboreranno
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ad esempio con il segretario speciale, oppure intervengono come uditori o delegati delle Chiese
cristiane non cattoliche.
Sensibile, tra gli uditori, il numero delle coppie di sposi da vari paesi del mondo, molti dei quali
impegnati in attività pastorali a servizio della famiglia. Tra i delegati fraterni, infine, esponenti della
Comunione Anglicana, della Federazione Luterana Mondiale, del Consiglio Metodista Mondiale, del
Consiglio Ecumenico delle Chiese e dell’Alleanza Evangelica Mondiale.
Le procedure
Come aveva anticipato in conferenza stampa il Cardinale Lorenzo Baldisseri, Segretario generale
del Sinodo, durante ogni settimana delle tre in cui durerà il Sinodo si discuterà un capitolo
dell’Instrumentum laboris – L’ascolto delle sfide sulla famiglia; Il discernimento della vocazione
familiare; la missione della famiglia oggi – , lasciando così intendere che questa volta non ci sarà
nessuna “Relatio post disceptationem” a metà dei lavori.
Neppure è previsto un messaggio finale, non essendo stata indicata una commissione incaricata
di redigerlo (lo scorso anno ne facevano parte il Cardinale Gianfranco Ravasi e Mons. Victor
Manuel Fernánderz), ma ci sarà comunque un documento conclusivo sottoposto all’approvazione
dell’assemblea, che sarà consegnato nelle mani del Santo Padre.
Per quanto riguarda la metodologia dello svolgimento dei lavori, anche questa volta saranno evitati
la lunga serie di interventi dei singoli membri, distribuendoli però nel tempo, e saranno valorizzate
maggiormente le riunioni in Circuli Minores.
Come avvenuto nel passato, è presumibile che Papa Francesco pubblichi più avanti un’Esortazione
apostolica post-sinodale, che farà il punto complessivo sulla famiglia, la Chiesa, la società e
l’evangelizzazione, recependo tutta la discussione delle due assemblee sinodali.
I genitori di Santa Teresina
Per tutta la durata del Sinodo, nella Basilica papale di Santa Maria Maggiore
saranno esposte le urne contenenti le reliquie di Santa Teresa di Lisieux e
dei suoi genitori, i beati Louis Martin e Zélie Guérin, che Papa Francesco
canonizzerà il 18 ottobre in piazza San Pietro.
Si tratta dei primi sposi, non martiri, che nella storia della Chiesa giungono
congiuntamente agli onori degli altari, ed è rilevante come proprio nel corso
del Sinodo sulla famiglia il Santo Padre abbia deciso di canonizzarli.
*Corrispondente della rivista spagnola “Palabra”, professore incaricato e coordinatore Ufficio
Comunicazione e Stampa presso la Pontificia Università della Santa Croce
@gnntridente
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teologia
LA VISIONE ANTROPOLOGICA NEL CANTICO DELLE CREATURE
di Domenico Paoletti*
Il Cantico delle creature accanto alla visione teologica della creazione e correlata con questa, presenta
la visione antropologica: più precisamente una antropologia teologica secondo la declinazione del
Concilio Vaticano II. Ed è una antropologia relazionale, secondo cui l’uomo è costitutivamente
relativo non solo a Dio, ma anche a tutti gli uomini e a tutte le creature animate e inanimate.
Questa relazione è la vera natura poetica del Cantico. Per Francesco il mondo non è riducibile a un
contesto estrinseco all’uomo e al suo agire, come fosse uno sfondo neutro di cui l’uomo può disporre
a piacimento o persino fare a meno.
Il mondo gli appartiene e lui appartiene al mondo, in un affratellamento cosmico. Questo legame
intrinseco tra uomo e ambiente, che le scienze moderne hanno recuperato e
sta alla base delle rivendicazioni ecologiste, trova una corrispondenza e un
fondamento proprio nella visione cristiana del creato.
È interessante notare come papa Francesco, parlando di ecologia, inviti alla
conversione ad un’ecologia integrale. Essere chiamati a conversione significa
riconoscere chi siamo veramente, per capire in modo adeguato la cura della
casa comune. Non tenere presente la conversione di Francesco di Assisi a
Gesù Cristo ci preclude la comprensione profonda del Cantico delle creature.
Qual è dunque questa verità di noi stessi che siamo chiamati a riconoscere
per poter prenderci veramente cura della casa comune? L’uomo è pienamente
se stesso solo se è in relazione: con se stesso, con gli altri, con tutto il creato e con Dio.
La questione ecologica è questione antropologica, avverte il papa nella enciclica, ed emerge in
positivo nel Cantico di un cantore convertito. I problemi che oggi vengono rubricati sotto il segno
dell’ecologia sono sintomi, e non cause, di un dissesto etico-antropologico. «A nulla ci servirà
descrivere i sintomi, se non riconosciamo la radice umana della crisi» .
Il buco nell’ozono, per esempio, più che problema è metafora della falla, ancora più consistente, che
si è aperta nella relazionalità tra le persone, e tra queste e il creato.
Se il mondo della natura è una semplice riserva di materie prime, e si promuove una società di
individui senza comunità di circolazione di doni, la casa comune è destinata a riempirsi di crepe, di
rifiuti, di scarti sia materiali che umani.
Papa Francesco ricorre al Poverello come «a un esempio bello e motivante» perché l’assisiate viveva
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una relazione bella, da innamorato, con Dio, con i fratelli e sorelle, e con tutte le creature; capace di
stupirsi e meravigliarsi per la bellezza del creato.
«Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce
diversi fructi con coloriti fiori et herba». Francesco riconosce che la terra, realtà creata, è prima di noi
ed è dono di Dio. E noi non siamo Dio! Se dipendesse da noi, non sapremmo come far vivere questo
mondo. Il creato, e quanto contiene (elementi naturali, piante, animali), non è costruzione umana, ma
è una realtà ricevuta, donata da Dio creatore per l’umanità e le
generazioni che si succedono nella storia.
È evidente che se si eclissa il teocentrismo, compaiono altri
centrismi: eco-centrismo, bio-centrismo e anche un ambiguo
antropocentrismo. Se non riconosciamo la terra come dono e
come casa comune, noi siamo capaci solo di rovinarla.
«Non è scientificamente stupido pensare di usare la terra solo per
ingozzarci di merendine e giocare con le macchinine?» (Pierangelo
Sequeri, Proposta di riconciliazione per tutti, in Avvenire del 19.06.2015).
Fra Paoletti ospite al convegno sul Cantico
Di fronte a una cultura predatoria dell’affermazione individuale
del sé, e stili di vita collettiva corrispondenti, la testimonianza di Francesco ci riporta a una visione
relazionale-comunionale della persona. La superiorità dell’uomo sulle altre creature sta in una
razionalità capace di porsi in relazione e di creare eventi di comunione .
Il Cantico delle creature ci presenta un uomo con uno sguardo contemplativo, capace di leggere la
realtà come simbolo: «de Te, Altissimo, porta significazione».
La visione antropologica che ricaviamo dal Cantico si caratterizza per tre dinamiche che possiamo
esprimere con gratitudine, gratuità e gioia.
Gratitudine: Francesco loda il Signore perché è grato, riconosce che tutto è dono donato a noi
dall’Onnipotente bon Signore. La Compilatio Assisiensis nel narrare le circostanze di composizione
del Cantico afferma che l’intenzione di Francesco è di dare lode al Signore come segno di gratitudine
per i benefici da lui concessi agli uomini attraverso il dono delle sue creature .
Gratuità: Francesco dalla gratitudine è spinto alla gratuità, ossia a donarsi, ad uscire da sé che è «il
vero dinamismo della realizzazione personale: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo
per la vita degli altri».
Gioia: la gioia che pervade il Cantico delle creature è il frutto della gratitudine che si fa dono gratuito
in una relazionalità che abbraccia tutte le creature. Non si dà gioia senza accettazione di se stesso
come dono, degli altri, del creato e di Dio in una relazione di amore.
* OFMConv, Preside della Facoltà
@fraterdominicus
Testo tratto dalla relazione tenuta al convegno “Il Cantico delle creature tra storia, poesia e teologia”
il 25 settembre a Bologna, promosso nell’ambito del Festival francescano.
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storia e personaggi
NAGASAKI DA CITTà simbolo della devastazione atomica
A MESSAGGERA DI PACE, CON L’EFFIGE della “madonna ferita”
di Francesco Costa*
Il 9 agosto 1945, ore 11:02, gli Stati Uniti d’America sganciavano su Nagasaki, in Giappone, la
seconda bomba atomica. La prima era stata fatta esplodere appena tre giorni prima, il 6 agosto1945,
su Hiroshima, con le immaginabili conseguenze di distruzione e di morte di civili innocenti nelle due
città. Si calcola che, nella sola Nagasaki, le vittime furono oltre settantamila senza contare i dispersi,
mentre nel corso dell’anno gli effetti malefici della deflagrazione causavano altri sessantamila decessi.
Nei pochi sopravvissuti rimasero inoltre visibili le stigmate delle micidiali radiazioni atomiche.
Tra gli handicappati emerge la nobile figura dell’eroico radiologo giapponese, scienziato e fine
scrittore, prof. Paolo Nagai Takashi, che conobbe e visitò in Giappone S. Massimiliano Maria Kolbe
e fu poi uno dei testimoni al processo di canonizzazione.
Il bombardamento atomico di Nagasaki è rievocato dalla
Missionaria Milite Nuccia Fucile, in Sicilia vice presidente
regionale della Milizia dell’Immacolata, la quale tratteggia
il luttuoso evento ne «L’Immacolata» (numero luglio-agosto
2015), periodico mensile delle consorelle Missionarie Militi
dell’Immacolata fondate a Catania nel 1950 dal grande apostolo
dell’Immacolata e della MI p. Francesco M. Randazzo (19071977).
La Fucile accenna dapprima alla presenza in Giappone del cattolicesimo che, grazie alla predicazione
dei missionari gesuiti e francescani, era cresciuto rigogliosamente. L’aumento dei cristiani e la politica
dei gesuiti cominciava però a dar fastidio al governo giapponese.
Drammatico il 1587, anno in cui lo shogun Hideyoshi (capo politico e militare), interpretando
l’accresciuto numero dei cattolici come una minaccia alla stabilità del Giappone e del suo potere,
ingiungeva ai missionari stranieri di lasciare il Paese. E poiché essi continuavano a operare in modo
sotterraneo, dieci anni dopo cominciò lo stillicidio delle persecuzioni.
Pagine luminose di testimonianza evangelica scrissero i cristiani giapponesi in questo periodo.
Il 5 febbraio 1597 il calendario liturgico francescano commemora i gloriosi ventisei Santi Protomartiri
Giapponesi (sei francescani Alcantarini, tre gesuiti e diciassette Terziari Secolari Francescani
indigeni), tutti crocifissi per la loro fedeltà al Vangelo in Urakami, la “santa collina” di Nagasaki.
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Il sangue dei martiri non interruppe le rappresaglie, le persecuzioni, gli editti da parte del governo
giapponese. Il 14 maggio 1614 un nuovo editto vietava ai cattolici in modo tassativo di professare la
loro fede.
D’allora, anche il Giappone, per circa due secoli e mezzo, ebbe la sua “chiesa del silenzio”, non
rimanendo ai cristiani clandestini che la trasmissione del loro “Credo” ai figli e il conferimento del
solo battesimo.
La ripresa della libertà religiosa tornò in Giappone solo nel 1871. I germi di cristianesimo seminati
dai missionari gesuiti e francescani non tardarono tuttavia a rifiorire.
Certo, in oltre due secoli e mezzo di “silenzio”, osserva la Fucile, «si smarrì la purezza di alcuni
insegnamenti e riti ma le radici rimasero».
Lo dimostrano in modo tangibile i cristiani sopravvissuti. Al loro rientro a Nagasaki, i missionari
credevano, infatti, di non trovare alcuna traccia di cristianesimo.
Furono invece felicemente sorpresi di poter contare su non
pochi fedeli superstiti giapponesi, e talmente zelanti, da riuscire,
pur con fatica, stante la loro povertà, a riedificare sulla stessa
“Collina sacra” irrorata dal sangue dei Protomartiri giapponesi,
la loro cattedrale, che fu consacrata nel 1914.
Foto Ansa
Si dice che la statua lignea che troneggia su un altare di legno
nella Cattedrale di Nagasaki, raffigurante un’Immacolata Concezione simile all’Immacolata del
Murillo, sia stata donata da S. Massimiliano M. Kolbe nel 1929.
I conti però non tornano, giacché è certo che, recandosi in Giappone con un piccolo drappello di
missionari Conventuali, p. Kolbe giunse a Nagasaki il 24 aprile 1930 (SK 253). Il Santo e i suoi due
confratelli, appena giunti, per ringraziare il Signore si diressero alla volta della cattedrale di Nagasaki,
nel cui atrio ebbero la gioia di essere accolti (felice presagio di successo in territorio giapponese), da
una bianca statua dell’Immacolata.
Non c’è altro nelle fonti se non che, nei pressi della cattedrale S. Massimiliano fondò poco dopo, a
scopo missionario, la “Mugenzai no sono”, una seconda cittadella dell’Immacolata, simile a quella
già operante in Polonia. Se dunque si vuole salvare la tradizione secondo cui S. Massimiliano
avrebbe donato alla comunità cristiana
di Nagasaki l’Immacolata murillana
esistente in cattedrale, è necessario
riferire il dono del Santo al 1930.
Ho cercato invano negli scritti kolbiani
qualche commento sui terribili disastri
causati dalle due bombe al plutonio
lanciate dagli americani su Hiroshima
e Nagasaki. Forse S. Massimiliano non ne ebbe l’opportunità. La sua idea fissa era conquistare il
mondo a Cristo attraverso l’Immacolata, e a questo scopo dedicò tutti i suoi scritti e articoli editi e
inediti; ma ritengo che, all’occorrenza, non avrebbe esitato a insistere perché non si ripeta mai più
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la tragedia dell’atomica del Giappone con la scia funerea delle sue terrificanti deformità.
Simile monito mi pare scaturisca oggi con eloquenza dalla testa della Madonna sopravvissuta
all’atomica del 9 agosto 1945, denominata perciò la “Madonna bombardata” di Nagasaki.
La storia del suo ritrovamento ha tutti gli ingredienti della fiaba. Ce la racconta Nuccia Fucile.
Il monaco trappista Kaemon Noguchi ha ottenuto nel 1945 il congedo dal servizio militare, ma prima
di far ritorno al suo monastero, desidera rivedere la cattedrale di Nagasaki, la chiesa dei suoi anni
verdi bombardata appena due mesi prima e ridotta a un cumulo di macerie.
È lì per pregare, ma nutre la segreta speranza di trovare qualche oggetto da portare come ricordo al
monastero.
Dopo oltre un’ora di preghiere e di ricerche, deluso e sfiduciato torna a pregare, ma improvvisamente,
scrive la Fucile, «ebbe l’impressione che qualcuno
lo guardasse». Scorse, infatti, a poca distanza, due
occhiaie senza pupilla che pur sembravano fissarlo:
«due cavità bruciacchiate erano al posto degli occhi che,
originariamente di materiale vetroso, si erano sciolti
per l’altissima temperatura scatenata dall’esplosione
atomica, lasciando sulle gote tracce della fusione, come
di sofferte lacrime nere».
Era l’impressionante testa della Madonna della cattedrale
senza il suo busto di legno, già disfatto dal fuoco.
Nel 1975, trentesimo anniversario del tragico evento giapponese, p. Noguchi, che aveva serbato
gelosamente il sacro reperto nel suo monastero, volle riportare a Nagasaki la testa della Madonna, e
il Professor Yakichi Kataoka la collocò nel Junshin Women’s College.
Ma poiché il parroco della cattedrale di Nagasaki, Takeshi Kawazoe, desiderava conoscere p.
Noguchi e la storia del ritrovamento della Madonna, nel 1990 il professor Kataoka restituì la testa
della Madonna al parroco, che la espose nel museo della bomba atomica.
Non era però corretto che una reliquia sacra, importante testimone dell’olocausto nucleare, restasse
confusa tra i pezzi di un museo.
Questo il pensiero di Mr. Yasuhiko Sata che, venuto a conoscenza dell’intera vicenda (1998), nel
maggio 2000 riuscì a far collocare la “Madonnina ferita” in una cappella della cattedrale di Nagasaki
costruita per l’occasione.
D’allora l’insigne reliquia va girando il mondo, drammatica messaggera di pace. È stata già in
Sardegna, in Vaticano, all’ONU, vibrante monito contro ogni guerra, in specie contro l’uso di ordigni
nucleari e d’ogni altra arma di distruzione di massa.
*OFMConv, docente emerito della Facoltà
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testimoni del vangelo
L’ISTITUTO DI ROMAN FESTEGGIA I 25 ANNI DALLA RIAPERTURA
DOPO LA SOPPRESSIONE PER MANO DEL REGIME COMUNISTA
di Damian Patrascu*
Il 1 ottobre, nella sede dell’Istituto teologico romano-cattolico francescano di Roman (Romania) si è
svolto il Simposio internazionale dedicato al giubileo dei 25 anni della riapertura, alla presenza degli
studenti, dei professori e invitati provenienti dalla Pontificia Facoltà “San Bonaventura” di Roma,
dall’Università di Bucarest, dalla Facoltà Teologica dell’Università Alexandru Ioan Cuza di Iasi.
Con tale iniziativa si è voluto far memoria della storia recente di questo Istituto, ma anche guardare
al futuro con grande speranza, sviluppando queste tematiche nelle conferenze presentate e nei ricordi
di coloro che hanno contribuito alla sua nascita e poi al suo sviluppo.
L’Istituto teologico romano-cattolico francescano di Roman, degno successore dell’Accademia
teologica San Bonaventura di Luizi-Calugara (Bacau), soppressa con l’avvento del comunismo
in Romania, nel 1948, è stato aperto subito dopo la caduta del regime, nel 1990, nel primo anno
funzionando nella sede del convento di Nisiporesti, dopodiché cambiò sede nella città di Roman,
dove si trova tutt’ora. In questi venticinque anni nell’Istituto sono passati circa 663 chierici della
Provincia San Giuseppe dei Frati Minori Conventuali, oltre un buon numero di chierici di altre
congregazioni religiose, tra le quali ricordiamo: Custodia dei Frati Capuccini, Istituto Don Calabria,
Congregazione dei Giuseppini, Congregazione dei Verbiti, ecc. Tra gli insigni professori che hanno
contribuito sostanzialmente alla sua rinascita e sviluppo vanno ricordati p. Jude Winkler, attualmente
assistente generale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, p. Albert Petru, anima e cuore della
costruzione dell’Istituto e tanti altri frati di diverse Province dell’Ordine, i quali hanno sostenuto con
tutte le loro forze questa cittadella francescana.
Dal 1995 l’Istituto è affiliato alla Pontificia Facoltà teologica “San Bonaventura” che permette ai nostri
studenti di ottenere qui il grado di Baccellierato in teologia. Inoltre, per curare meglio la formazione
intellettuale degli studenti, nel 2009, dietro iniziativa della Provincia dei Frati Minori Conventuali,
oltre alla Facoltà di Teologia Pastorale è stata aperta anche la Facoltà di Filosofia I. Duns Scotus.
Grati a Dio per averci sostenuto in tutti questi anni, ringraziando anche la nostra Provincia religiosa
per il patrocinio, le autorità centrali dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, la Pontificia Facoltà
“San Bonaventura” di Roma per la proficua collaborazione e la Diocesi di Iasi, sul cui territorio ci
troviamo, auspichiamo una vita accademica lunga e frutti degni di santità a servizio della Chiesa
intera e del nostro Ordine.
*OFMConv, Rettore dell’Istituto Roman di Romania
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tra le righe
I RETROSCENA SULLE TRATTATIVE PER IL CONCORDATO
TRA SANTA SEDE E REGNO DI JUGOSLAVIA
Igor Salmič, Al di là di ogni pregiudizio. Le trattative per il concordato
tra la Santa Sede e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni/Jugoslavia
e la mancata ratifica (1922-1938)
Analecta Gregoriana 323, Roma 2015
Recensione a cura della Redazione
«Con nessun altro paese […] la Santa Sede ha trattato così a lungo per un Concordato, come con la Jugoslavia». Queste parole del nunzio apostolico a Belgrado Ermenegildo Pellegrinetti descrivono bene
il lunghissimo iter delle trattative concordatarie tra il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (SHS)/Regno
di Jugoslavia e la Santa Sede, fra il 1922 e il 1935 (quando viene firmato l’accordo), seguito poi dagli
eventi drammatici che condussero alla sua mancata ratifica nel 1937-1938.
Lo scopo del presente volume, frutto della tesi di dottorato di fra Igor Salmič, discussa alla Facoltà di Storia
e Beni culturali della Chiesa, presso la Pontificia Università Gregoriana, è stato esaminare le relazioni diplomatiche tra le menzionate parti sotto l’angolatura del concordato jugoslavo, che può essere considerato uno
degli elementi paradigmatici delle relazioni spesso conflittuali tra l’autorità civile ed ecclesiastica.
Benché il menzionato concordato sia già stato oggetto di numerose pubblicazioni, l’autore ha ritenuto
necessario ritornare su tale argomento anzitutto perché la storiografia si è concentrata su alcune fasi
delle trattative e non sull’iter in quanto tale, principalmente a causa della natura segreta dei negoziati.
Il decisivo approfondimento del tema è stato possibile con l’apertura, nel 2006, degli archivi vaticani
per il periodo del pontificato di Pio XI (1922-1939), senza dimenticare l’apporto di altre fonti statali e
private, incluse quelle giornalistiche.
Lo studio presenta gli eventi corrispondenti ad ognuna delle quattro tappe, in cui si può suddividere
l’iter concordatario:
a) prima tappa (1922-1925): nel 1922 il governo jugoslavo intraprende i negoziati ufficiali con la formazione di una commissione apposita;
b) seconda tappa (1925-1930): la delegazione jugoslava presenta a Roma il suo progetto di concordato,
attraverso uno scambio di idee con i rappresentanti vaticani. Le trattative romane, durate più d’un mese,
non portano alla firma dell’accordo e vengono dichiarate “sospese”;
c) terza tappa (1931-1935), la più importante: il re Aleksandar Karađorđević decide di riprendere le trattative
e il governo presenta nuovi progetti alle autorità vaticane. La via ufficiale non porta alcun risultato perciò il
monarca, nel febbraio 1933, adotta la via delle trattative segrete, affidando la missione al consigliere della
Legazione jugoslava presso la Santa Sede, il sacerdote cattolico Nikola Moscatello (1933-1935);
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d) quarta tappa (1935-1938): il concordato viene solennemente firmato a Roma nel luglio 1935. Due
anni dopo viene presentato al parlamento per la ratifica che però, a causa delle forti proteste da parte
degli oppositori, non viene ottenuta.
Circa le responsabilità per l’abbandono del concordato non è facile presentare un quadro univoco, perché in alcune occasioni ci furono di fatto più delle “infelici” circostanze che degli ostacoli di natura ideologica, per esempio la morte del re Aleksandar (9 ottobre 1934). Nel cercare poi le possibili cause della
mancata ratifica, la ricerca ha analizzato l’operato di quattro protagonisti: la gerarchia serbo-ortodossa,
l’opposizione politica, la massoneria, i rappresentanti croati.
La ricerca ha permesso di rilevare alcuni apporti originali per l’ermeneutica del concordato.
1) La genesi degli articoli del concordato firmato. Finora, a causa della natura segreta delle trattative
nel periodo 1933-1935, non si sapeva praticamente nulla della dinamica e della tattica dei colloqui tra
Moscatello e la Segreteria di Stato. Grazie alle fonti consultate è stato possibile individuare le posizioni
principali e le susseguenti deroghe di ambedue le parti nelle materie principali.
2) Il ruolo fondamentale del nunzio Pellegrinetti, specie nel periodo “segreto”. Né il re Karađorđević, che volle
escludere dai negoziati il rappresentante pontificio, né Moscatello, l’“agente segreto”, vennero mai a sapere che
dal 1933 al 1935 il segretario di Stato Eugenio Pacelli continuava a tenere informato il nunzio su tutto. Dalle fonti
emerge chiaramente che i veri negoziatori furono Moscatello da parte jugoslava e Pellegrinetti da quella vaticana.
3) La partecipazione dei vescovi cattolici al concordato. È comune l’idea che i presuli non abbiano collaborato alla preparazione dell’accordo e che essi, alla stregua degli elementi politici croati, non abbiano nemmeno mostrato interesse per la sua ratifica. L’analisi condotta dimostra che non solo i vescovi erano al corrente
delle trattative tra governo e Santa Sede, ma che era stato perfino chiesto loro di avanzare delle proposte.
Infine, la caduta dello stesso concordato rese visibili le difficoltà e le tensioni più generali, legate alla stessa esistenza del regno, e preannunciò, in
certo qual modo, la fine della monarchia. Rimane tuttora aperta la domanda
se il ritiro del concordato era veramente inevitabile e se il concordato in sé
avrebbe cambiato la situazione della Chiesa cattolica nel Regno di Jugoslavia.
Il titolo principale - Al di là di ogni pregiudizio - è tratto dalle parole del
nunzio Pellegrinetti nella sua lettera di congedo, indirizzata al presidente
del governo jugoslavo Stojadinović. Al primo ministro egli assicurava che
negli ultimi venti anni, la Santa Sede avesse trattato con tutti i governi, al di
là di ogni pregiudizio politico, mantenendo sempre, anche durante gli attac- Mons. Pellegrinetti con il Segretario
chi più assurdi, una condotta riservata e pacifica. L’ex ambasciatore sloveno presso la Santa Sede Maja
Marija Lovrenčič Svetek, prendendo spunto dal titolo, ha ribadito nella prefazione che se superiamo i
pregiudizi, con più facilità riusciamo a vedere il punto essenziale e l’interesse comune, che sta alla base
di qualunque trattativa. Continuava che è necessario avere una tale consapevolezza quando ci si accinge
a trattare gli accordi, affinché si avvii il cammino verso rapporti sempre più armoniosi ed equi, di cui il
mondo odierno ha davvero bisogno.
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Cineforum
TUTTO PRONTO AL CINEFORUM SERAPHICUM
PER L’AVVIO DELLA 52ª STAGIONE, CON TANTE NOVITà
di Francesco Marcolini*
Il 6 e 7 novembre ricomincia il Cineforum Seraphicum. La programmazione comprende diciotto
titoli, sei mesi in cui condivideremo il piacere di guardare un film, ascoltare storie, emozionarci,
riflettere e stare insieme.
Il Cineforum Seraphicum non è solamente cinema: per gli abbonati del sabato, più che di una proiezione si tratta di un vero e proprio evento.
Subito dopo il film, il dibattito, nel quale il pubblico in sala si confronta con ospiti d’eccezione:
registi, attori, critici cinematografici di riguardo o con i testimoni.
Se l’anno scorso avevamo individuato nell’uomo comune il
filo rosso che legava ogni film all’altro, quest’anno la programmazione è più complessa.
La domanda di fondo che riecheggia in ogni storia però potrebbe essere questa: cos’è la felicità?
La storia dell’uomo così come l’attualità, ci stanno mettendo
davanti in modo sempre più evidente che l’umanità ha fatto
tanti errori, forse troppi.
Sentiamo l’urgenza di riflettere su noi stessi, per avere un’altra
opportunità.
Nell’anno della Misericordia è importante andare oltre il senso di colpa e continuare a sperare; riflettere sui propri errori,
ma anche gioire quando è possibile trovare delle vie d’uscita,
suggerite dalla fede, dal coraggio e dalla fantasia dell’uomo che da sempre ambisce alla felicità.
“The Giver”, “Interstellar”, “Se Dio vuole” sono i film che tratteranno in modo più esplicito questa
tematica.
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Altri film invece ci aiuteranno maggiormente ad approfondire la nostra storia: nell’anniversario della prima guerra mondiale vedremo “Torneranno i prati”
di Ermanno Olmi; “Unbroken”, che racconta la storia di Louis
Zamperini, atleta olimpico italo-americano, eroe militare della
seconda guerra mondiale; infine “Il sale della terra” imperdibile documentario diretto da Wim Wenders sulla vita di Sebastião
Salgado.
Più legati all’attualità i film: “La trattativa” di Sabina Guzzanti,
film scioccante sul rapporto tra mafia e stato; “Pitza e datteri” di
Fariborz Kamkari (regista di “I fiori di Kirkuk” già ospite del nostro Cineforum) e “Timbuktu”, per riflettere sull’Islam, sulle sue
derive ma anche sulla possibilità di trovare una via di dialogo con
il mondo mussulmano, come insegna san Francesco.
Sono tematiche impegnative certamente, ma affrontate con toni
e tinte diverse: proponiamo quest’anno generi cinematografici
nuovi, sfumando la classica divisione tra commedie e film drammatici.
Non mancheranno certamente storie divertenti (“Noi e la Giulia”, “Il nome del figlio”, “Inside
Out”, e molte altre), ma la novità assoluta per la nostra rassegna è il genere distopico, fantascientifico, e il documentario, che da anni stiamo corteggiando.
Come sempre daremo grande spazio al cinema d’autore,
soprattutto a quello italiano, creando anche dei percorsi
paralleli alle proiezioni come abbiamo fatto l’anno scorso
con il “Tour Fellini”, una gita nei luoghi del regista della
“Dolce Vita”.
La nostra sfida è sempre la stessa, quella di fare cultura, ma senza dimenticare che il cinema è anche svago e
piacere.
Vogliamo offrire un antidoto alla crisi dell’uomo contemporaneo che, mentre nella semplice evasione trova solo un’anestesia parziale, può scoprire invece nella settima arte una chiave per aprire
il cuore e la mente alla riflessione e alla solidarietà.
* Attore e moderatore del Cineforum Seraphicum
Per dettagli e approfondimenti sulla nuova stagione, visita il blog del Cineforum Seraphicum
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appuntamenti
INAUGURAZIONE DEL 112°ANNO ACCADEMICO, CON IL CARDINALE ANTONELLI
Sarà inaugurato sabato 10 ottobre il 112° anno accademico della Facoltà, alla presenza del cardinale
Ennio Antonelli, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Famiglia.
La cerimonia prevede alle ore 9.30 la celebrazione della santa messa,
presieduta da S.Em. il cardinale Ennio Antonelli; alle 10.30 un rinfresco
come momento di condivisione; alle ore 11, in sala Sisto V, il saluto e
l’introduzione da parte del Preside fra Domenico Paoletti, cui seguirà
la lectio magistralis del cardinale Antonelli sul tema “Dio nella storia L’Invisibile si rende realmente visibile”.
Al termine della mattinata, sarà pronunciata la formula di rito con la quale si dichiara ufficialmente
aperto il nuovo anno accademico.
SINODO DEI VESCOVI
Fra Marco Tasca, Ministro generale dell’Ordine dei Frati minori conventuali e Gran
Cancelliere della Facoltà, è tra i membri chiamati a partecipare alla XIV Assemblea
Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, in svolgimento in
Vaticano sino al 25 ottobre.
NOVITà EDITORIALI
UNA TEOLOGIA IN COMUNITà
Come fare teologia e verso dove orientare la conoscenza sapienziale del mistero di Cristo? Due domande
sottese alle riflessioni proposte in questo saggio, a cura del Preside fra Domenico Paoletti, frutto del
cammino che la comunità teologica della Facoltà San Bonaventura di Roma cerca
di percorrere accogliendo la sfida della post-modernità.
Il testo percorre una via che dal metodo da seguire nel fare teologia, conduce alla
teologia come sapienza dell’amore che cerca di gustare anche affettivamente il
mistero di Dio. Perché la teologia è anche bellezza, fascino, sorpresa e gioia!
Un’analisi originale che indica alcune strade o sentieri per entrare nel cuore e
nella vita dell’uomo di oggi e rendere la teologia una sapienza capace di attrarre
e appassionare (dalla quarta di copertina).
La pubblicazione contiene la presentazione di monsignor Rino Fisichella,
presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova
Evangelizzazione e l’introduzione di fra Roberto Tamanti, docente e direttore
della rivista “Miscellanea francescana”. Il libro offre i contributi, oltre che dello stesso curatore, di
Giuseppe Ruggieri, Piero Coda, Maurizio Malaguti, Roberto Repole, Bruno Forte e Timothy Radcliffe.
Nel prossimo numero di “San Bonaventura informa” proporremo un approfondimento sulla pubblicazione
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GIOVANNI PASTRIZIO: NUOVA VOCE NEL DIZIONARIO BIOGRAFICO TRECCANI
È a firma di fra Tomislav Mrkonjić, docente del Seraphicum, una delle nuove voci del Dizionario
biografico degli italiani (volume 81) dell’enciclopedia Treccani, dedicata a Giovanni
Pastrizio (1636-1708).
Pastrizio - sacerdote, erudito e teologo - occupa un posto di rilievo nella cultura
romana dell’epoca: fece parte del gruppo che fondò il Giornale de’ letterati, una
delle prime riviste scientifiche d’Europa; fu tra i fondatori dell’Accademia dei
Concili “a Propaganda” dedicata alla storia ecclesiastica; fece parte dell’Accademia
cosmografica degli Argonauti, la più antica fra quelle a carattere geografico, fondata a Venezia dal frate
minore conventuale Vincenzo Coronelli; inoltre nel 1694 fu nominato da papa Clemente XI “scrittore
ebraico” della Biblioteca apostolica vaticana.
L’intera biografia è consultabile qui.
NUOVO FASCICOLO DI “CREDERE OGGI”
Si intitola “Vita consacrata: le sfide del futuro” il nuovo fascicolo di Credere oggi, il dossier di
aggiornamento e orientamento teologico edito dal Messaggero di Padova.
Il nuovo numero, che offre un contributo di approfondimento sull’Anno
della vita consacrata indetto da papa Francesco, si apre con un editoriale
di fra Germano Scaglioni, direttore della testata e docente della nostra
Facoltà.
“Senza alcuna pretesa di esaustività - scrive fra Scaglioni - il fascicolo
intende toccare aspetti fondamentali della vita consacrata, allo scopo
di fornire un quadro sintetico, ma già significativo di questo singolare
dono dello Spirito alla chiesa. Il fascicolo si apre con un contributo
dell’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio
per la promozione della nuova evangelizzazione. Sullo sfondo di
questo osservatorio privilegiato, l’autore offre una riflessione sulla vita
consacrata, in particolare sul suo carisma, ma a partire dal «centro»: l’evento Cristo, fondamento della
fede e della chiesa. Altri aspetti posti in relazione con il carisma della vita consacrata sono: l’orizzonte
escatologico, la profezia, la dimensione ecclesiale, il confronto con il panorama culturale e religioso
odierno”.
Qui il sommario del nuovo numero.
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Il tesoro di padre Léon… “e Veuthey ci illuminava sempre”
è uscito il nuovo libro di fra Gianfranco Grieco (OFMConv), ex studente del Seraphicum, scrittore,
giornalista, capo-ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia.
“Ho conosciuto il Padre Leone Veuthey in un certo periodo della nostra storia,
per cui ricordo poco degli avvenimenti che vi sono connessi. So però che il
nostro movimento cominciava da qualche anno ad irradiare il proprio carisma
dell’unità, ma giacché in quel tempo non avevamo trovato nessuno che nella
nostra Chiesa parlasse di unità (se non … con ben altro senso e contenuto, i
comunisti) letti per caso i volumetti del Padre Veuthey sulla Crociata in cui è
menzionata la parola “unità”, ci sentimmo spinte a prendere contatto col Padre.
Ricordo che nei colloqui che ebbi con Lui mi faceva molto parlare. L’impressione
che avevo di lui – e credo sia la stessa di quella riportata dalle mie compagne che
lo conobbero – fu quella di una persona, di un religioso d’alto livello, dotto, sulla
via della santità, capace di ‘accogliere l’altro’, di saper ascoltare, pieno di delicata carità, d’entusiasmo
pacato” (dalla quarta di copertina, Chiara Lubich -14 agosto 1997).
(Casa Editrice Francescana Assisi, 2015, p. 152+18 tavole fuori testo, 15 euro)
LO SCRIGNO DEL MAESTRO – 99 RACCONTI ZEN-SICULI
è il professor Italo Spada, docente al Seraphicum, l’autore di questo testo che attinge al cuore della
Sicilia. “Il magister ha aperto il forziere delle saggezze della sua terra. Racconti come
ostriche (con tanto di perle di saggezza incluse) che dona con la consolidata sapienza
della sua isola antica. (…) La saggezza di un popolo è saggezza universale (non l’ha
detto Honoré de Balzac ma certamente potrebbe appartenere ai suoi pensieri profondi):
la Sicilia ha conosciuto genti e culture diverse in tremila anni di storia e le contaminazioni
sono state tante. (…) Italus magister novella con stile asciutto e accurato, senza tracce
di saccenteria o presunzioni didattiche. I suoi racconti, musicali come i madrigali di
Pietro Vinci, sono un accurato esercizio letterario generato per “sottrazione”. In questo
richiama un altro Italo, anche lui isolano, seppur nato nei Caraibi che, peraltro, ha
narrato oltre quaranta storie siciliane, nella sua raccolta di “Fiabe Italiane”.
Lo “Scrigno del maestro” è un rosario di perline, un pregiato breviario che non vuole regalare
l’Illuminazione ma offrire preziose riflessioni per aiutarci, con dolcezza e semplicità, a non smarrire il
senso profondo della nostra consapevole umanità”. (dalla prefazione di Massimo Senzacqua)
(Eretica Edizioni, 2015, p. 174, euro 10,80)
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francescanamente parlando
PROMOZIONE ACCADEMICA
Fra Raffaele di Muro ha ottenuto dalla Congregazione per l’educazione cattolica, la
promozione da docente straordinario a ordinario. Il professor Di Muro (OFMConv),
insegna Teologia spirituale al Seraphicum ed è direttore della Cattedra Kolbiana
della Facoltà, oltre a rivestire il ruolo di assistente internazionale della Milizia
dell’Immacolata.
IL CORTILE DI FRANCESCO
L’Umanità è stato il tema al centro del Cortile di Francesco, svoltosi ad Assisi dal 23 al 27 settembre.
L’iniziativa, giunta alla seconda edizione e inserita nel progetto “Il Cortile
dei Gentili”, è stata promossa dal Pontificio Consiglio per la Cultura, dal
Sacro Convento di Assisi e dall’Associazione Oicos Riflessioni.
Cinque giorni di incontri e di dialogo sul tema dell’umanità, attraverso
cinquanta appuntamenti e ottanta relatori tra i quali personalità politiche,
istituzionali, intellettuali, artisti ma anche tanti uomini e donne disposti
ad ascoltare e parlare. Sul sito della rivista “San Francesco” un ampio approfondimento sull’evento con le
dichiarazioni dei diversi protagonisti.
FESTIVAL FRANCESCANO
Si è svolta a Bologna, dal 25 al 27 settembre, la settima edizione del Festival Francescano,
quest’anno dedicato a “Sorella terra”. Un’occasione per il mondo francescano di far
conoscere le proprie realtà formative, missionarie, accademiche, proprio in piazza Maggiore
dove, nel 1222, tenne una predica san Francesco. Oltre quarantamila presenze nei tre giorni,
per visitare gli stand e partecipare alle numerose conferenze. Presente anche il Seraphicum,
con il Preside fra Domenico Paoletti e il direttore del Cineforum fra Emanuele Rimoli.
IN PAROLE FRANCESCANE
«Per trarre da ogni cosa incitamento ad amare Dio, esultava per tutte quante le opere delle
mani del Signore e, da quello spettacolo di gioia, risaliva alla Causa e Ragione che tutto fa
vivere».
SAN BONAVENTURA, Leggenda maggiore IX: FF 1 162
PONTIFICIA FACOLTÁ TEOLOGICA “SAN BONAVENTURA” SERAPHICUM
Via del Serafico, 1 - 00142 Roma
San Bonaventura informa è a cura dell’Ufficio Stampa del Seraphicum
Responsabile: Elisabetta Lo Iacono ([email protected])
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