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Newsletter della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum San Bonaventura ANNO III - Nº 32 informa In questo numero: Editoriale Noi abbiamo sete di infinito […] Solo alla luce della follia della gratuità dell’amore pasquale di Gesù apparirà comprensibile la follia della gratuità di un amore coniugale unico e usque ad mortem. Per Dio il matrimonio non è utopia adolescenziale, ma un sogno senza il quale la sua creatura sarà destinata alla solitudine! Infatti la paura di aderire a questo progetto paralizza il cuore umano. Paradossalmente anche l’uomo di oggi – che spesso ridicolizza questo disegno – rimane attirato e affascinato da ogni amore autentico, da ogni amore solido, da ogni amore fecondo, da ogni amore fedele e perpetuo. Lo vediamo andare dietro agli amori temporanei ma sogna l’amore autentico; corre dietro ai piaceri carnali ma desidera la donazione totale. Infatti, «ora che abbiamo pienamente assaporato le promesse della libertà illimitata, cominciamo a capire di nuovo l’espressione “tristezza di questo mondo”. I piaceri proibiti hanno perso la loro attrattiva appena han cessato di essere proibiti. Anche se vengono spinti all’estremo e vengono rinnovati all’infinito, risultano insipidi perché sono cose finite, e noi, invece, abbiamo sete di infinito» (Joseph Ratzinger, Auf Christus schauen. Einübung in Glaube, Hoffnung, Liebe, Freiburg 1989, p. 73). In questo contesto sociale e matrimoniale assai difficile, la Chiesa è chiamata a vivere la sua missione nella fedeltà, nella verità e nella carità. Papa Francesco (Omelia per la Santa Messa di apertura del Sinodo dei Vescovi Basilica vaticana, 4 ottobre 2015) sette m b r e 2 0 1 5 focus del mese: lo spirito di assisi nelle sfide per l’umanità pag. 2 santa sede: si apre il cammino sinodale sul tema della famiglia pag. 7 teologia: la visione antropologica nel cantico delle creature pag. 9 storia e personaggi: nagasaki e l’effige della madonna ferita pag. 11 testimoni del vangelo: istituto roman, 25 anni di attività dopo la soppressione del regime comunista pag. 14 tra le righe: i retroscena per il concordato tra santa sede e regno di jugoslavia pag. 15 cineforum: al via la 52ª stagione con tante novità pag. 17 appuntamenti: inaugurazione del nuovo anno accademico e novità editoriali pag. 19 Francescanamente parlando: promozione accademica, il cortile di francesco e il festival francescano pag. 22 1 focus del mese LO SPIRITO DI ASSISI NELLE SFIDE per l’umanità intervista a fra Norel, vicario generale ofm conv di Elisabetta Lo Iacono* Fra Jerzy Norel, nelle scorse settimane ha partecipato, a Tirana, al 28° Meeting internazionale promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Un incontro di preghiera per la pace, al quale hanno preso parte leader delle maggiori religioni e rappresentanti del mondo della cultura. Che clima ha trovato? Gli incontri per la pace, che hanno una formula ormai collaudata da ben ventotto anni, si svolgono sotto il nome generale “Uomini e Religioni”. Essi vogliono essere la continuazione del clima di quel memorabile incontro del 1986 fatto ad Assisi, su convocazione di papa Giovanni Paolo II, dei diversi leaders religiosi del mondo. Infatti in ogni incontro partecipano numerosi rappresentanti delle comunità religiose, di varie religioni e denominazioni cristiane, di tutto il mondo; in totale ci sono circa quattrocento ospiti invitati. Essendo poi una iniziativa con ciclo annuale, diversi partecipanti ormai si conoscono e di conseguenza il clima è assai familiare, amichevole, di reciproco arricchimento e Fra Norel con Romano Prodi condivisione. Mi è stato possibile partecipare a ben quattro incontri, insieme al custode del Sacro Convento di Assisi, in rappresentanza della nostra famiglia religiosa, che in certo modo rappresenta visibilmente lo spirito di Assisi. Devo dire che la reazione alla nostra presenza da parte dei partecipanti è stata sempre caratterizzata da simpatia e rispetto. Tra i temi al centro della tre giorni, anche quello del fenomeno migratorio che divide l’Europa tra accoglienza e rifiuto. Cosa sta avvenendo nel cuore di quell’Europa alla quale sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI hanno più volte raccomandato un recupero delle proprie radici cristiane? Purtroppo si sta realizzando uno scenario triste e drammatico, che mette a nudo non solo la mancanza di solidarietà tra gli stati europei ma anche carenza degli strumenti comuni per garantire una sicurezza della propria popolazione e, nello stesso tempo, accoglienza dignitosa di chi sfugge dalle guerre e ha il sacrosanto diritto all’asilo e alla sicurezza di vita. Vediamo quindi un caos, un drammatico ed improvvisato cercare delle regole e delle soluzioni che però, nell’insieme, non ci fanno intravedere una espressione comune dell’Europa che apre le braccia verso i profughi. Io non so se questa situazione, che ci sfida fortemente e, come si potrebbe dire, ci cade addosso, ci aiuterà a trovare i valori comuni dell’anima cristiana europea. Temo che sarà proprio al contrario che cioè, sotto la copertura dell’ideologia del bene comune, si vada a realizzare solo le politiche locali dettate dagli interessi economici, mentre le argomentazioni che richiamano la carità cristiana siano usate solo nel caso di convenienza. Senza dubbio i profughi sono per noi un segno: il segno dello “straniero e forestiero” che mette in questione le nostre abitudini, l’abitudine alla vita comoda e sicura, sazia di beni e di diritti che, però, da un giorno all’altro può cambiare radicalmente; il segno che mette in questione la nostra identità cristiana sette m b r e 2 0 1 5 2 e di persone di fede in Dio, datore della vita e garante della vera pace; il segno che mette in questione il nostro stile di pensare e di agire, troppo autoreferenziale e, purtroppo, egoistico. Durante l’incontro qualcuno ha fatto questa affermazione che trovo alquanto vera: l’opposto della pace non è la guerra, ma l’egocentrismo. Questo si sta dimostrando ai nostri occhi oggi in Europa. “La pace è sempre possibile” è stato il tema, l’auspicio e l’impegno di questo nuovo appuntamento della Comunità di Sant’Egidio. Tralasciando gli aspetti politici della questione e le annesse ragioni di Stato, quali ritiene siano i convincimenti insiti nell’animo della gente? Non stiamo sempre più andando verso un braccio di ferro tra paura e coraggio, tra rassegnazione e impegno, tra egoismo e altruismo, mettendo spesso a repentaglio il bene comune che, come tale, non può essere quello del singolo o delle singole comunità/Paesi? Durante l’incontro è stato largamente discusso il tema dei profughi e della solidarietà, visto soprattutto dalla prospettiva religiosa, ossia dalla prospettiva di un possibile o doveroso impegno dei credenti per far fronte all’emergenza migratoria dei profughi. Ci siamo chiesti qual è la nostra parte da fare in quanto persone di fede e coloro che sono chiamati a guidare le comunità religiose? Senza dubbio questa situazione mette allo scoperto tutti i lati deboli della convivenza europea, il divario tra l’unità dichiarata dell’Unione e l’egoismo di fatto di diversi membri della stessa Unione. E non penso solo agli stati che dichiarano difficoltà nell’accogliere i profughi. Penso anche a quegli stati che con le loro scelte politiche hanno causato in qualche modo l’attuale crisi. Nello stesso tempo questa situazione ci sfida perché non possiamo rimanere indifferenti avendo i profughi a casa nostra. Dobbiamo dare una risposta, dobbiamo trasformare questa risposta in atteggiamenti e azioni concrete. Cosa pensa e sente la gente? Io credo, ho l’impressione, che la gente, un semplice cittadino europeo, sente principalmente paura davanti a qualcosa o qualcuno che è sconosciuto, che non ha volto né nome, che minaccia di privare la sua serenità di vita e il benessere. È toccato da incertezza e senso di insicurezza come anche da un senso di smarrimento e, a volte, di indignazione di fronte ai giochi politici e ai calcoli di convenienza degli stati, per guadagnare di più e per perdere meno possibile. Non è da trascurare la preoccupazione per il futuro della cristianità dell’Europa. Ma, tantissimi, nello stesso tempo sentono anche il senso di responsabilità per chi bussa alla nostra porta. Questo senso di responsabilità e di dovere si è respirato anche durante l’incontro a Tirana. Credo che questa crisi, come avviene di solito, può essere sempre trasformata in grazia, in una opportunità nuova per ritrovare le motivazioni comuni per la solidarietà condivisa. Sperando che i politici faranno la loro parte, creando regole e leggi che proteggano la società, noi persone di fede di diverse tradizioni religiose abbiamo l’opportunità di parlare con la stessa voce, di collaborare fianco a fianco, di ricordare e riscoprire l’umanità come valore unificante per tutti. Penso che noi, cristiani, adesso abbiamo l’occasione speciale per dimostrare l’umanesimo cristiano e, forse, ritrovare le sue fonti che sembrano, a volte, qui in Europa proprio dimenticate o addirittura rifiutate. sette m b r e 2 0 1 5 3 L’appello di pace, che si leva da Tirana, fa riferimento alla necessità di “globalizzare la solidarietà” come antidoto a quella “globalizzazione dell’indifferenza” cui ha fatto riferimento, in modo tanto efficace, papa Francesco. Quali le strade percorribili per un cambio di approccio ai problemi dell’umanità? Credo che papa Francesco ci suggerisce alcune strade. Intanto penso che, per non restare solo a delle idee astratte e, di conseguenza, sterili, bisogna applicare il criterio che lo stesso papa ci indica, e cioè pensare in largo e agire in piccolo; avere uno sguardo ampio e agire in modo concreto ed efficace. Poiché, come dice il papa nella sua Evangelii Gaudium, “Nella cultura dominante, il primo posto è occupato da ciò che è esteriore, immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio. Il reale cede il posto all’apparenza” (EG 62), bisogna recuperare la visione profonda della realtà, ossia guardare la vita con uno sguardo più profondo, o se vogliamo, con lo sguardo contemplativo. Mi piace riprendere alcune indicazioni di papa Francesco contenute nella enciclica, per suggerire qualche possibile linea di azione. Prima di tutto bisogna superare l’individualismo personale e di gruppo e dare importanza alle relazioni interpersonali. In altre parole dobbiamo scoprire l’umanità nostra e altrui, aprirsi all’altro, saper tessere le relazioni profondamente umane, in famiglia, nelle comunità di fede, nella società civile. Detto in termini più religiosi è necessario per noi diventare persone di comunione. Dobbiamo imparare ad essere costruttori di pace e di armonia a partire da chi ci è più vicino e nel contesto quotidiano della vita – costruire la pace a casa, in convento, in famiglia, sul posto di lavoro, tra i vicini, ecc. È importante anche fare un cammino per superare la mentalità di esclusione e di iniquità in campo economico e sociale, soprattutto opporsi al consumismo e alla idolatria del denaro. Questo richiede di assumere un nuovo stile di vita, solidale e più sobrio. Alla fine, in quanto persone religiose, discepoli di Cristo, dobbiamo uscire con una proposta di vita cristiana attraverso la testimonianza personale che diventa missione. A livello sociale mi sembra indispensabile favorire l’inclusione sociale dei poveri, cioè promuovere un impegno per ridare la dignità umana ai poveri e adoperarsi per la loro promozione sociale per aiutarli ad uscire dalla povertà. Infine, mi sembra che sarebbe bello applicare nel concreto della vita le due categorie del pensare e agire cristiano proposte dal papa nella stessa enciclica: far prevalere l’unità sul conflitto (EG 226) e sostenere la realtà che è più importante dell’idea (EG 231). Trovo molto prezioso e utile in questo senso il discorso che papa Francesco ha fatto, proprio in questi giorni, all’Assemblea generale dell’ONU a New York, una charta magna della giustizia sociale e della solidarietà, una vera “mappa stradale” verso il cambio di approccio ai problemi del mondo e dell’umanità. Lo spirito di Assisi risuona a ogni incontro, in ogni parte del mondo. Qual è, ancora oggi, il valore della grande intuizione di Giovanni Paolo II e come è declinabile di fronte alle nuove emergenze umanitarie? Senza ombra di dubbio il messaggio di Giovanni Paolo II resta attuale. Globalizzazione che ci rende isolati, consumismo che ci schiavizza e genera la povertà, secolarismo che ci taglia la prospettiva dell’eternità e ci riduce a sola dimensione temporanea, guerre che producono la sofferenza sono solo alcune delle grandi sfide del nostro mondo contemporaneo. Ma l’umanità non cessa di sognare. Si nota un grande desiderio della pace. Credo che il nostro mondo, lacerato da tante guerre locali e da una “guerra mondiale a pezzi” con il terrorismo fondamentalista e con l’egoismo variopinto degli Stati e dei popoli (papa Francesco, 30.XI.2014), sente il bisogno della pace e di liberare una nuova speranza per un futuro sereno. Come ho accennato poco prima, l’opposto della pace è l’egocentrismo. Credo che bisogna continuare, sette m b r e 2 0 1 5 4 seguendo l’esempio di Giovanni Paolo II e dei suoi successori, a richiamare la responsabilità dell’umanità per la vita comune in questo pianeta, la responsabilità dei leaders e delle comunità religiose, dei leaders politici e sociali, degli stati e dei popoli, di ogni singola persona. Prima di tutto bisogna implorare da Dio il dono della pace. E questo è compito di noi, persone di fede e leaders delle comunità religiose. Nello stesso tempo bisogna denunciare ogni espressione di egoismo, nella vita economica, nella vita politica e sociale. Bisogna denunciare e contestare ogni manipolazione religiosa, presente specialmente oggi in ambiente musulmano, ma non solo. Bisogna promuovere valori di solidarietà sociale, di vera fratellanza basata sulla dignità umana e sul diritto alla libertà di religione. Dobbiamo far di tutto per proteggere il nostro pianeta, che è la nostra casa comune, come ci sta continuamente ricordando Papa Francesco. Assisi è, per antonomasia, luogo di pace e, proprio nella città umbra, si terrà il prossimo meeting della Comunità di Sant’Egidio. Il dialogo di Francesco con il sultano di Egitto Malik al Kamil, fortemente e coraggiosamente cercato, cosa ha da insegnarci nella nostra quotidianità e nell’approccio con il “diverso”? Io credo che ci insegna soprattutto questa saggezza che tutti, nel cuore di Dio, siamo suoi figli, amati, voluti, e che, come figli, abbiamo il dovere l’uno verso l’altro di volerci bene. Sappiamo che in realtà tra noi c’è tanta divisione proprio a partire, o per motivo, della appartenenza religiosa. Questa divisione è spesso frutto dei pregiudizi e delle manipolazioni. E questo bisogna smascherare. Durante l’incontro a Tirana si è parlato anche di questo aspetto, e cioè del bisogno di conoscersi meglio, di togliere la maschera dell’anonimità che favorisce pregiudizi e paura. Finché restiamo l’uno per l’altro “massa umana” o un “anonimo sconosciuto” sentiamo distanza e timore. Quando riusciamo a vedere l’individuo e a conoscere il suo nome, la sua storia, la prospettiva cambia, diventa umana, il cuore comincia a muoversi. Credo che dobbiamo fare di tutto per imparare a superare la distanza di anonimità, per entrare nella relazione reciproca e attraverso la relazione interagire per il bene comune. Proprio come fece Francesco. Come francescano mi è molto familiare l’approccio di contatto personale a chi è diverso da me, di entrare in un rapporto di buon vicinato e di armonia nel condividere la vita, di inter scambiare i valori dell’umanità. Qualcuno forse potrà dire che è ingenuo perché la realtà, da sempre, si dimostra diversa – tante persecuzioni, tanta violenza, tanto odio e preclusioni. Ma forse conviene invece essere degli “ingenui” per Dio, perché è proprio Dio, in Gesù Cristo, si è fatto vicino a noi abbattendo “il muro di separazione” e diventando “la nostra pace” (cfr. Ef 2, 13-14). A noi cristiani, poi, anche di fronte al mondo contemporaneo secolarizzato, forse sarebbe bene presentarsi, come Francesco davanti al sultano, più forti della propria identità cristiana come persone di fede in Dio; non vergognarsi di essere cristiani e di dare testimonianza di questo. Abbiamo paura che i profughi, specialmente coloro che sono musulmani, vengano a minacciare la nostra vita per motivo della nostra appartenenza religiosa, vengano a sterminare la presenza cristiana e la tradizione cristiana dell’Europa. Non penso che bisogna arrendersi a tale paura. Non posso dare per scontato che un musulmano, solo perché è musulmano, è per me un nemico e, quindi, di conseguenza debba difendermi con forza o costruire muri di isolamento. sette m b r e 2 0 1 5 5 Dobbiamo ricordare che tante vite umane vengono sacrificate anche nei conflitti tra i cristiani e di ciò siamo testimoni in questo periodo in Ucraina. Quindi, dare testimonianza della propria appartenenza a Gesù Cristo e avere fiducia in Dio, che vede e provvede. Al resto ci penserà il Signore. Spero che il prossimo meeting che si svolgerà ad Assisi ci aiuti, sotto la guida di san Francesco, a fare un passo in avanti. I frati minori conventuali sono una presenza attiva in molte parti del mondo, caratterizzate da culture tanto differenti e un esempio di questa multiculturalità è rappresentata anche dal Seraphicum. Qual è l’impegno profuso sul piano del dialogo e quale lo stile adottato, capace di garantire questa forte integrazione e reciproco arricchimento? Credo che noi, frati francescani, siamo particolarmente sensibili al tema del dialogo. Quando diciamo “dialogo” pensiamo subito a uno stile di comportamento, quello dell’incontro personale, del dialogo di vita. Non per caso san Francesco nella Regola non bollata (Cap. XVI) nel contesto della missione ha indicato ai frati due modalità di fare la missione, o, meglio, di essere in missione: il primo è andare incontro all’altro in quanto altra persona umana, facendosi riconoscere come cristiano, e secondo è, “quando vedranno che piace al Signore”, proclamare Gesù, Salvatore del mondo. Quindi prima condividere la vita poi predicare con le parole. Questo, penso, cerchiamo di fare al nostro interno, soprattutto nelle nostre fraternità internazionali, e anche al Seraphicum, come all’esterno, nel nostro impegno missionario. Sul campo del dialogo ecumenico e interreligioso da alcuni anni stiamo realizzando, come governo dell’Ordine attraverso il nostro delegato, fra Silvestro Bejan, un delicato e nello stesso tempo bel programma per “costruire i ponti” con diverse comunità religiose, cristiane e non cristiane. Ci sono vari incontri durante i quali si cerca di stringere il legame di amicizia spirituale e di rispetto reciproco. Ricordo particolarmente un intenso e bellissimo incontro con una delle comunità monacali grecoortodosse del Monte Athos, durante il quale si è realizzato proprio questo principio che la appartenenza religiosa è secondaria rispetto alla umanità. Ovviamente è superfluo dire che questo dialogo ci arricchisce enormemente, ci fa vedere la realtà umana nella sua dimensione profonda e ci aiuta a vivere in una prospettiva di comunione. * Giornalista e docente di Mass media @eliloiacono sette m b r e 2 0 1 5 6 santa sede PREGHIERA, RIFLESSIONE E DIBATTITO: CONTINUA IL CAMMINO SINODALE di Giovanni Tridente* C’è grande attesa, com’è giusto che sia, per il Sinodo ordinario dei Vescovi dedicato alla famiglia, che si è aperto domenica 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi, e si protrarrà per tre settimane, fino a domenica 25. Si tratta della seconda tappa di un cammino di preghiera, riflessione e dibattito, iniziato da diversi mesi, che Papa Francesco ha voluto chiamare a percorrere la Chiesa intera, affinché faccia sempre più propria l’attenzione e la cura per la più importante cellula della società. È risaputo come la famiglia, a ogni latitudine, sia attraversata nelle ultime epoche da numerose sollecitazioni che ne hanno compromesso la stabilità e il futuro, e al tempo stesso la missione profetica all’interno della comunità ecclesiale stessa. È pur vero, come hanno poi ribadito gli stessi padri sinodali concludendo i lavori della precedente Assemblea del 2014, che nonostante i tanti segnali di crisi, “il desiderio di famiglia resta vivo, specialmente fra i giovani, e motiva la Chiesa, esperta in umanità e fedele ad annunciare senza sosta e con convinzione profonda il ‘Vangelo della famiglia’”. Anzi, sempre il Sinodo ha espresso parole di ringraziamento al Signore “per la generosa fedeltà con cui tante famiglie cristiane rispondono alla loro vocazione con gioia e con fede, anche davanti ad ostacoli, incomprensioni e sofferenze”. I Padri sinodali Intanto, riguardo all’elenco dei Padri Sinodali, mentre restano inalterati rispetto alla precedente Assemblea il segretario generale (Baldisseri), il segretario speciale (Forte), il relatore generale (Erdö) e i quattro presidenti delegati (Vingt-Trois, Tagle, Damasceno Assis e Napier), un considerevole ricambio ha interessato i rappresentanti scelti dalle singole Conferenze episcopali di tutto il mondo. 45 (l’anno scorso erano 26) sono invece i padri sinodali nominati direttamente dal Santo Padre, e si registrano nuovi ingressi tra i partecipanti senza diritto di voto, che collaboreranno sette m b r e 2 0 1 5 7 ad esempio con il segretario speciale, oppure intervengono come uditori o delegati delle Chiese cristiane non cattoliche. Sensibile, tra gli uditori, il numero delle coppie di sposi da vari paesi del mondo, molti dei quali impegnati in attività pastorali a servizio della famiglia. Tra i delegati fraterni, infine, esponenti della Comunione Anglicana, della Federazione Luterana Mondiale, del Consiglio Metodista Mondiale, del Consiglio Ecumenico delle Chiese e dell’Alleanza Evangelica Mondiale. Le procedure Come aveva anticipato in conferenza stampa il Cardinale Lorenzo Baldisseri, Segretario generale del Sinodo, durante ogni settimana delle tre in cui durerà il Sinodo si discuterà un capitolo dell’Instrumentum laboris – L’ascolto delle sfide sulla famiglia; Il discernimento della vocazione familiare; la missione della famiglia oggi – , lasciando così intendere che questa volta non ci sarà nessuna “Relatio post disceptationem” a metà dei lavori. Neppure è previsto un messaggio finale, non essendo stata indicata una commissione incaricata di redigerlo (lo scorso anno ne facevano parte il Cardinale Gianfranco Ravasi e Mons. Victor Manuel Fernánderz), ma ci sarà comunque un documento conclusivo sottoposto all’approvazione dell’assemblea, che sarà consegnato nelle mani del Santo Padre. Per quanto riguarda la metodologia dello svolgimento dei lavori, anche questa volta saranno evitati la lunga serie di interventi dei singoli membri, distribuendoli però nel tempo, e saranno valorizzate maggiormente le riunioni in Circuli Minores. Come avvenuto nel passato, è presumibile che Papa Francesco pubblichi più avanti un’Esortazione apostolica post-sinodale, che farà il punto complessivo sulla famiglia, la Chiesa, la società e l’evangelizzazione, recependo tutta la discussione delle due assemblee sinodali. I genitori di Santa Teresina Per tutta la durata del Sinodo, nella Basilica papale di Santa Maria Maggiore saranno esposte le urne contenenti le reliquie di Santa Teresa di Lisieux e dei suoi genitori, i beati Louis Martin e Zélie Guérin, che Papa Francesco canonizzerà il 18 ottobre in piazza San Pietro. Si tratta dei primi sposi, non martiri, che nella storia della Chiesa giungono congiuntamente agli onori degli altari, ed è rilevante come proprio nel corso del Sinodo sulla famiglia il Santo Padre abbia deciso di canonizzarli. *Corrispondente della rivista spagnola “Palabra”, professore incaricato e coordinatore Ufficio Comunicazione e Stampa presso la Pontificia Università della Santa Croce @gnntridente sette m b r e 2 0 1 5 8 teologia LA VISIONE ANTROPOLOGICA NEL CANTICO DELLE CREATURE di Domenico Paoletti* Il Cantico delle creature accanto alla visione teologica della creazione e correlata con questa, presenta la visione antropologica: più precisamente una antropologia teologica secondo la declinazione del Concilio Vaticano II. Ed è una antropologia relazionale, secondo cui l’uomo è costitutivamente relativo non solo a Dio, ma anche a tutti gli uomini e a tutte le creature animate e inanimate. Questa relazione è la vera natura poetica del Cantico. Per Francesco il mondo non è riducibile a un contesto estrinseco all’uomo e al suo agire, come fosse uno sfondo neutro di cui l’uomo può disporre a piacimento o persino fare a meno. Il mondo gli appartiene e lui appartiene al mondo, in un affratellamento cosmico. Questo legame intrinseco tra uomo e ambiente, che le scienze moderne hanno recuperato e sta alla base delle rivendicazioni ecologiste, trova una corrispondenza e un fondamento proprio nella visione cristiana del creato. È interessante notare come papa Francesco, parlando di ecologia, inviti alla conversione ad un’ecologia integrale. Essere chiamati a conversione significa riconoscere chi siamo veramente, per capire in modo adeguato la cura della casa comune. Non tenere presente la conversione di Francesco di Assisi a Gesù Cristo ci preclude la comprensione profonda del Cantico delle creature. Qual è dunque questa verità di noi stessi che siamo chiamati a riconoscere per poter prenderci veramente cura della casa comune? L’uomo è pienamente se stesso solo se è in relazione: con se stesso, con gli altri, con tutto il creato e con Dio. La questione ecologica è questione antropologica, avverte il papa nella enciclica, ed emerge in positivo nel Cantico di un cantore convertito. I problemi che oggi vengono rubricati sotto il segno dell’ecologia sono sintomi, e non cause, di un dissesto etico-antropologico. «A nulla ci servirà descrivere i sintomi, se non riconosciamo la radice umana della crisi» . Il buco nell’ozono, per esempio, più che problema è metafora della falla, ancora più consistente, che si è aperta nella relazionalità tra le persone, e tra queste e il creato. Se il mondo della natura è una semplice riserva di materie prime, e si promuove una società di individui senza comunità di circolazione di doni, la casa comune è destinata a riempirsi di crepe, di rifiuti, di scarti sia materiali che umani. Papa Francesco ricorre al Poverello come «a un esempio bello e motivante» perché l’assisiate viveva sette m b r e 2 0 1 5 9 una relazione bella, da innamorato, con Dio, con i fratelli e sorelle, e con tutte le creature; capace di stupirsi e meravigliarsi per la bellezza del creato. «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba». Francesco riconosce che la terra, realtà creata, è prima di noi ed è dono di Dio. E noi non siamo Dio! Se dipendesse da noi, non sapremmo come far vivere questo mondo. Il creato, e quanto contiene (elementi naturali, piante, animali), non è costruzione umana, ma è una realtà ricevuta, donata da Dio creatore per l’umanità e le generazioni che si succedono nella storia. È evidente che se si eclissa il teocentrismo, compaiono altri centrismi: eco-centrismo, bio-centrismo e anche un ambiguo antropocentrismo. Se non riconosciamo la terra come dono e come casa comune, noi siamo capaci solo di rovinarla. «Non è scientificamente stupido pensare di usare la terra solo per ingozzarci di merendine e giocare con le macchinine?» (Pierangelo Sequeri, Proposta di riconciliazione per tutti, in Avvenire del 19.06.2015). Fra Paoletti ospite al convegno sul Cantico Di fronte a una cultura predatoria dell’affermazione individuale del sé, e stili di vita collettiva corrispondenti, la testimonianza di Francesco ci riporta a una visione relazionale-comunionale della persona. La superiorità dell’uomo sulle altre creature sta in una razionalità capace di porsi in relazione e di creare eventi di comunione . Il Cantico delle creature ci presenta un uomo con uno sguardo contemplativo, capace di leggere la realtà come simbolo: «de Te, Altissimo, porta significazione». La visione antropologica che ricaviamo dal Cantico si caratterizza per tre dinamiche che possiamo esprimere con gratitudine, gratuità e gioia. Gratitudine: Francesco loda il Signore perché è grato, riconosce che tutto è dono donato a noi dall’Onnipotente bon Signore. La Compilatio Assisiensis nel narrare le circostanze di composizione del Cantico afferma che l’intenzione di Francesco è di dare lode al Signore come segno di gratitudine per i benefici da lui concessi agli uomini attraverso il dono delle sue creature . Gratuità: Francesco dalla gratitudine è spinto alla gratuità, ossia a donarsi, ad uscire da sé che è «il vero dinamismo della realizzazione personale: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri». Gioia: la gioia che pervade il Cantico delle creature è il frutto della gratitudine che si fa dono gratuito in una relazionalità che abbraccia tutte le creature. Non si dà gioia senza accettazione di se stesso come dono, degli altri, del creato e di Dio in una relazione di amore. * OFMConv, Preside della Facoltà @fraterdominicus Testo tratto dalla relazione tenuta al convegno “Il Cantico delle creature tra storia, poesia e teologia” il 25 settembre a Bologna, promosso nell’ambito del Festival francescano. sette m b r e 2 0 1 5 10 storia e personaggi NAGASAKI DA CITTà simbolo della devastazione atomica A MESSAGGERA DI PACE, CON L’EFFIGE della “madonna ferita” di Francesco Costa* Il 9 agosto 1945, ore 11:02, gli Stati Uniti d’America sganciavano su Nagasaki, in Giappone, la seconda bomba atomica. La prima era stata fatta esplodere appena tre giorni prima, il 6 agosto1945, su Hiroshima, con le immaginabili conseguenze di distruzione e di morte di civili innocenti nelle due città. Si calcola che, nella sola Nagasaki, le vittime furono oltre settantamila senza contare i dispersi, mentre nel corso dell’anno gli effetti malefici della deflagrazione causavano altri sessantamila decessi. Nei pochi sopravvissuti rimasero inoltre visibili le stigmate delle micidiali radiazioni atomiche. Tra gli handicappati emerge la nobile figura dell’eroico radiologo giapponese, scienziato e fine scrittore, prof. Paolo Nagai Takashi, che conobbe e visitò in Giappone S. Massimiliano Maria Kolbe e fu poi uno dei testimoni al processo di canonizzazione. Il bombardamento atomico di Nagasaki è rievocato dalla Missionaria Milite Nuccia Fucile, in Sicilia vice presidente regionale della Milizia dell’Immacolata, la quale tratteggia il luttuoso evento ne «L’Immacolata» (numero luglio-agosto 2015), periodico mensile delle consorelle Missionarie Militi dell’Immacolata fondate a Catania nel 1950 dal grande apostolo dell’Immacolata e della MI p. Francesco M. Randazzo (19071977). La Fucile accenna dapprima alla presenza in Giappone del cattolicesimo che, grazie alla predicazione dei missionari gesuiti e francescani, era cresciuto rigogliosamente. L’aumento dei cristiani e la politica dei gesuiti cominciava però a dar fastidio al governo giapponese. Drammatico il 1587, anno in cui lo shogun Hideyoshi (capo politico e militare), interpretando l’accresciuto numero dei cattolici come una minaccia alla stabilità del Giappone e del suo potere, ingiungeva ai missionari stranieri di lasciare il Paese. E poiché essi continuavano a operare in modo sotterraneo, dieci anni dopo cominciò lo stillicidio delle persecuzioni. Pagine luminose di testimonianza evangelica scrissero i cristiani giapponesi in questo periodo. Il 5 febbraio 1597 il calendario liturgico francescano commemora i gloriosi ventisei Santi Protomartiri Giapponesi (sei francescani Alcantarini, tre gesuiti e diciassette Terziari Secolari Francescani indigeni), tutti crocifissi per la loro fedeltà al Vangelo in Urakami, la “santa collina” di Nagasaki. sette m b r e 2 0 1 5 11 Il sangue dei martiri non interruppe le rappresaglie, le persecuzioni, gli editti da parte del governo giapponese. Il 14 maggio 1614 un nuovo editto vietava ai cattolici in modo tassativo di professare la loro fede. D’allora, anche il Giappone, per circa due secoli e mezzo, ebbe la sua “chiesa del silenzio”, non rimanendo ai cristiani clandestini che la trasmissione del loro “Credo” ai figli e il conferimento del solo battesimo. La ripresa della libertà religiosa tornò in Giappone solo nel 1871. I germi di cristianesimo seminati dai missionari gesuiti e francescani non tardarono tuttavia a rifiorire. Certo, in oltre due secoli e mezzo di “silenzio”, osserva la Fucile, «si smarrì la purezza di alcuni insegnamenti e riti ma le radici rimasero». Lo dimostrano in modo tangibile i cristiani sopravvissuti. Al loro rientro a Nagasaki, i missionari credevano, infatti, di non trovare alcuna traccia di cristianesimo. Furono invece felicemente sorpresi di poter contare su non pochi fedeli superstiti giapponesi, e talmente zelanti, da riuscire, pur con fatica, stante la loro povertà, a riedificare sulla stessa “Collina sacra” irrorata dal sangue dei Protomartiri giapponesi, la loro cattedrale, che fu consacrata nel 1914. Foto Ansa Si dice che la statua lignea che troneggia su un altare di legno nella Cattedrale di Nagasaki, raffigurante un’Immacolata Concezione simile all’Immacolata del Murillo, sia stata donata da S. Massimiliano M. Kolbe nel 1929. I conti però non tornano, giacché è certo che, recandosi in Giappone con un piccolo drappello di missionari Conventuali, p. Kolbe giunse a Nagasaki il 24 aprile 1930 (SK 253). Il Santo e i suoi due confratelli, appena giunti, per ringraziare il Signore si diressero alla volta della cattedrale di Nagasaki, nel cui atrio ebbero la gioia di essere accolti (felice presagio di successo in territorio giapponese), da una bianca statua dell’Immacolata. Non c’è altro nelle fonti se non che, nei pressi della cattedrale S. Massimiliano fondò poco dopo, a scopo missionario, la “Mugenzai no sono”, una seconda cittadella dell’Immacolata, simile a quella già operante in Polonia. Se dunque si vuole salvare la tradizione secondo cui S. Massimiliano avrebbe donato alla comunità cristiana di Nagasaki l’Immacolata murillana esistente in cattedrale, è necessario riferire il dono del Santo al 1930. Ho cercato invano negli scritti kolbiani qualche commento sui terribili disastri causati dalle due bombe al plutonio lanciate dagli americani su Hiroshima e Nagasaki. Forse S. Massimiliano non ne ebbe l’opportunità. La sua idea fissa era conquistare il mondo a Cristo attraverso l’Immacolata, e a questo scopo dedicò tutti i suoi scritti e articoli editi e inediti; ma ritengo che, all’occorrenza, non avrebbe esitato a insistere perché non si ripeta mai più sette m b r e 2 0 1 5 12 la tragedia dell’atomica del Giappone con la scia funerea delle sue terrificanti deformità. Simile monito mi pare scaturisca oggi con eloquenza dalla testa della Madonna sopravvissuta all’atomica del 9 agosto 1945, denominata perciò la “Madonna bombardata” di Nagasaki. La storia del suo ritrovamento ha tutti gli ingredienti della fiaba. Ce la racconta Nuccia Fucile. Il monaco trappista Kaemon Noguchi ha ottenuto nel 1945 il congedo dal servizio militare, ma prima di far ritorno al suo monastero, desidera rivedere la cattedrale di Nagasaki, la chiesa dei suoi anni verdi bombardata appena due mesi prima e ridotta a un cumulo di macerie. È lì per pregare, ma nutre la segreta speranza di trovare qualche oggetto da portare come ricordo al monastero. Dopo oltre un’ora di preghiere e di ricerche, deluso e sfiduciato torna a pregare, ma improvvisamente, scrive la Fucile, «ebbe l’impressione che qualcuno lo guardasse». Scorse, infatti, a poca distanza, due occhiaie senza pupilla che pur sembravano fissarlo: «due cavità bruciacchiate erano al posto degli occhi che, originariamente di materiale vetroso, si erano sciolti per l’altissima temperatura scatenata dall’esplosione atomica, lasciando sulle gote tracce della fusione, come di sofferte lacrime nere». Era l’impressionante testa della Madonna della cattedrale senza il suo busto di legno, già disfatto dal fuoco. Nel 1975, trentesimo anniversario del tragico evento giapponese, p. Noguchi, che aveva serbato gelosamente il sacro reperto nel suo monastero, volle riportare a Nagasaki la testa della Madonna, e il Professor Yakichi Kataoka la collocò nel Junshin Women’s College. Ma poiché il parroco della cattedrale di Nagasaki, Takeshi Kawazoe, desiderava conoscere p. Noguchi e la storia del ritrovamento della Madonna, nel 1990 il professor Kataoka restituì la testa della Madonna al parroco, che la espose nel museo della bomba atomica. Non era però corretto che una reliquia sacra, importante testimone dell’olocausto nucleare, restasse confusa tra i pezzi di un museo. Questo il pensiero di Mr. Yasuhiko Sata che, venuto a conoscenza dell’intera vicenda (1998), nel maggio 2000 riuscì a far collocare la “Madonnina ferita” in una cappella della cattedrale di Nagasaki costruita per l’occasione. D’allora l’insigne reliquia va girando il mondo, drammatica messaggera di pace. È stata già in Sardegna, in Vaticano, all’ONU, vibrante monito contro ogni guerra, in specie contro l’uso di ordigni nucleari e d’ogni altra arma di distruzione di massa. *OFMConv, docente emerito della Facoltà sette m b r e 2 0 1 5 13 testimoni del vangelo L’ISTITUTO DI ROMAN FESTEGGIA I 25 ANNI DALLA RIAPERTURA DOPO LA SOPPRESSIONE PER MANO DEL REGIME COMUNISTA di Damian Patrascu* Il 1 ottobre, nella sede dell’Istituto teologico romano-cattolico francescano di Roman (Romania) si è svolto il Simposio internazionale dedicato al giubileo dei 25 anni della riapertura, alla presenza degli studenti, dei professori e invitati provenienti dalla Pontificia Facoltà “San Bonaventura” di Roma, dall’Università di Bucarest, dalla Facoltà Teologica dell’Università Alexandru Ioan Cuza di Iasi. Con tale iniziativa si è voluto far memoria della storia recente di questo Istituto, ma anche guardare al futuro con grande speranza, sviluppando queste tematiche nelle conferenze presentate e nei ricordi di coloro che hanno contribuito alla sua nascita e poi al suo sviluppo. L’Istituto teologico romano-cattolico francescano di Roman, degno successore dell’Accademia teologica San Bonaventura di Luizi-Calugara (Bacau), soppressa con l’avvento del comunismo in Romania, nel 1948, è stato aperto subito dopo la caduta del regime, nel 1990, nel primo anno funzionando nella sede del convento di Nisiporesti, dopodiché cambiò sede nella città di Roman, dove si trova tutt’ora. In questi venticinque anni nell’Istituto sono passati circa 663 chierici della Provincia San Giuseppe dei Frati Minori Conventuali, oltre un buon numero di chierici di altre congregazioni religiose, tra le quali ricordiamo: Custodia dei Frati Capuccini, Istituto Don Calabria, Congregazione dei Giuseppini, Congregazione dei Verbiti, ecc. Tra gli insigni professori che hanno contribuito sostanzialmente alla sua rinascita e sviluppo vanno ricordati p. Jude Winkler, attualmente assistente generale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, p. Albert Petru, anima e cuore della costruzione dell’Istituto e tanti altri frati di diverse Province dell’Ordine, i quali hanno sostenuto con tutte le loro forze questa cittadella francescana. Dal 1995 l’Istituto è affiliato alla Pontificia Facoltà teologica “San Bonaventura” che permette ai nostri studenti di ottenere qui il grado di Baccellierato in teologia. Inoltre, per curare meglio la formazione intellettuale degli studenti, nel 2009, dietro iniziativa della Provincia dei Frati Minori Conventuali, oltre alla Facoltà di Teologia Pastorale è stata aperta anche la Facoltà di Filosofia I. Duns Scotus. Grati a Dio per averci sostenuto in tutti questi anni, ringraziando anche la nostra Provincia religiosa per il patrocinio, le autorità centrali dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, la Pontificia Facoltà “San Bonaventura” di Roma per la proficua collaborazione e la Diocesi di Iasi, sul cui territorio ci troviamo, auspichiamo una vita accademica lunga e frutti degni di santità a servizio della Chiesa intera e del nostro Ordine. *OFMConv, Rettore dell’Istituto Roman di Romania sette m b r e 2 0 1 5 14 tra le righe I RETROSCENA SULLE TRATTATIVE PER IL CONCORDATO TRA SANTA SEDE E REGNO DI JUGOSLAVIA Igor Salmič, Al di là di ogni pregiudizio. Le trattative per il concordato tra la Santa Sede e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni/Jugoslavia e la mancata ratifica (1922-1938) Analecta Gregoriana 323, Roma 2015 Recensione a cura della Redazione «Con nessun altro paese […] la Santa Sede ha trattato così a lungo per un Concordato, come con la Jugoslavia». Queste parole del nunzio apostolico a Belgrado Ermenegildo Pellegrinetti descrivono bene il lunghissimo iter delle trattative concordatarie tra il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (SHS)/Regno di Jugoslavia e la Santa Sede, fra il 1922 e il 1935 (quando viene firmato l’accordo), seguito poi dagli eventi drammatici che condussero alla sua mancata ratifica nel 1937-1938. Lo scopo del presente volume, frutto della tesi di dottorato di fra Igor Salmič, discussa alla Facoltà di Storia e Beni culturali della Chiesa, presso la Pontificia Università Gregoriana, è stato esaminare le relazioni diplomatiche tra le menzionate parti sotto l’angolatura del concordato jugoslavo, che può essere considerato uno degli elementi paradigmatici delle relazioni spesso conflittuali tra l’autorità civile ed ecclesiastica. Benché il menzionato concordato sia già stato oggetto di numerose pubblicazioni, l’autore ha ritenuto necessario ritornare su tale argomento anzitutto perché la storiografia si è concentrata su alcune fasi delle trattative e non sull’iter in quanto tale, principalmente a causa della natura segreta dei negoziati. Il decisivo approfondimento del tema è stato possibile con l’apertura, nel 2006, degli archivi vaticani per il periodo del pontificato di Pio XI (1922-1939), senza dimenticare l’apporto di altre fonti statali e private, incluse quelle giornalistiche. Lo studio presenta gli eventi corrispondenti ad ognuna delle quattro tappe, in cui si può suddividere l’iter concordatario: a) prima tappa (1922-1925): nel 1922 il governo jugoslavo intraprende i negoziati ufficiali con la formazione di una commissione apposita; b) seconda tappa (1925-1930): la delegazione jugoslava presenta a Roma il suo progetto di concordato, attraverso uno scambio di idee con i rappresentanti vaticani. Le trattative romane, durate più d’un mese, non portano alla firma dell’accordo e vengono dichiarate “sospese”; c) terza tappa (1931-1935), la più importante: il re Aleksandar Karađorđević decide di riprendere le trattative e il governo presenta nuovi progetti alle autorità vaticane. La via ufficiale non porta alcun risultato perciò il monarca, nel febbraio 1933, adotta la via delle trattative segrete, affidando la missione al consigliere della Legazione jugoslava presso la Santa Sede, il sacerdote cattolico Nikola Moscatello (1933-1935); sette m b r e 2 0 1 5 15 d) quarta tappa (1935-1938): il concordato viene solennemente firmato a Roma nel luglio 1935. Due anni dopo viene presentato al parlamento per la ratifica che però, a causa delle forti proteste da parte degli oppositori, non viene ottenuta. Circa le responsabilità per l’abbandono del concordato non è facile presentare un quadro univoco, perché in alcune occasioni ci furono di fatto più delle “infelici” circostanze che degli ostacoli di natura ideologica, per esempio la morte del re Aleksandar (9 ottobre 1934). Nel cercare poi le possibili cause della mancata ratifica, la ricerca ha analizzato l’operato di quattro protagonisti: la gerarchia serbo-ortodossa, l’opposizione politica, la massoneria, i rappresentanti croati. La ricerca ha permesso di rilevare alcuni apporti originali per l’ermeneutica del concordato. 1) La genesi degli articoli del concordato firmato. Finora, a causa della natura segreta delle trattative nel periodo 1933-1935, non si sapeva praticamente nulla della dinamica e della tattica dei colloqui tra Moscatello e la Segreteria di Stato. Grazie alle fonti consultate è stato possibile individuare le posizioni principali e le susseguenti deroghe di ambedue le parti nelle materie principali. 2) Il ruolo fondamentale del nunzio Pellegrinetti, specie nel periodo “segreto”. Né il re Karađorđević, che volle escludere dai negoziati il rappresentante pontificio, né Moscatello, l’“agente segreto”, vennero mai a sapere che dal 1933 al 1935 il segretario di Stato Eugenio Pacelli continuava a tenere informato il nunzio su tutto. Dalle fonti emerge chiaramente che i veri negoziatori furono Moscatello da parte jugoslava e Pellegrinetti da quella vaticana. 3) La partecipazione dei vescovi cattolici al concordato. È comune l’idea che i presuli non abbiano collaborato alla preparazione dell’accordo e che essi, alla stregua degli elementi politici croati, non abbiano nemmeno mostrato interesse per la sua ratifica. L’analisi condotta dimostra che non solo i vescovi erano al corrente delle trattative tra governo e Santa Sede, ma che era stato perfino chiesto loro di avanzare delle proposte. Infine, la caduta dello stesso concordato rese visibili le difficoltà e le tensioni più generali, legate alla stessa esistenza del regno, e preannunciò, in certo qual modo, la fine della monarchia. Rimane tuttora aperta la domanda se il ritiro del concordato era veramente inevitabile e se il concordato in sé avrebbe cambiato la situazione della Chiesa cattolica nel Regno di Jugoslavia. Il titolo principale - Al di là di ogni pregiudizio - è tratto dalle parole del nunzio Pellegrinetti nella sua lettera di congedo, indirizzata al presidente del governo jugoslavo Stojadinović. Al primo ministro egli assicurava che negli ultimi venti anni, la Santa Sede avesse trattato con tutti i governi, al di là di ogni pregiudizio politico, mantenendo sempre, anche durante gli attac- Mons. Pellegrinetti con il Segretario chi più assurdi, una condotta riservata e pacifica. L’ex ambasciatore sloveno presso la Santa Sede Maja Marija Lovrenčič Svetek, prendendo spunto dal titolo, ha ribadito nella prefazione che se superiamo i pregiudizi, con più facilità riusciamo a vedere il punto essenziale e l’interesse comune, che sta alla base di qualunque trattativa. Continuava che è necessario avere una tale consapevolezza quando ci si accinge a trattare gli accordi, affinché si avvii il cammino verso rapporti sempre più armoniosi ed equi, di cui il mondo odierno ha davvero bisogno. sette m b r e 2 0 1 5 16 Cineforum TUTTO PRONTO AL CINEFORUM SERAPHICUM PER L’AVVIO DELLA 52ª STAGIONE, CON TANTE NOVITà di Francesco Marcolini* Il 6 e 7 novembre ricomincia il Cineforum Seraphicum. La programmazione comprende diciotto titoli, sei mesi in cui condivideremo il piacere di guardare un film, ascoltare storie, emozionarci, riflettere e stare insieme. Il Cineforum Seraphicum non è solamente cinema: per gli abbonati del sabato, più che di una proiezione si tratta di un vero e proprio evento. Subito dopo il film, il dibattito, nel quale il pubblico in sala si confronta con ospiti d’eccezione: registi, attori, critici cinematografici di riguardo o con i testimoni. Se l’anno scorso avevamo individuato nell’uomo comune il filo rosso che legava ogni film all’altro, quest’anno la programmazione è più complessa. La domanda di fondo che riecheggia in ogni storia però potrebbe essere questa: cos’è la felicità? La storia dell’uomo così come l’attualità, ci stanno mettendo davanti in modo sempre più evidente che l’umanità ha fatto tanti errori, forse troppi. Sentiamo l’urgenza di riflettere su noi stessi, per avere un’altra opportunità. Nell’anno della Misericordia è importante andare oltre il senso di colpa e continuare a sperare; riflettere sui propri errori, ma anche gioire quando è possibile trovare delle vie d’uscita, suggerite dalla fede, dal coraggio e dalla fantasia dell’uomo che da sempre ambisce alla felicità. “The Giver”, “Interstellar”, “Se Dio vuole” sono i film che tratteranno in modo più esplicito questa tematica. sette m b r e 2 0 1 5 17 Altri film invece ci aiuteranno maggiormente ad approfondire la nostra storia: nell’anniversario della prima guerra mondiale vedremo “Torneranno i prati” di Ermanno Olmi; “Unbroken”, che racconta la storia di Louis Zamperini, atleta olimpico italo-americano, eroe militare della seconda guerra mondiale; infine “Il sale della terra” imperdibile documentario diretto da Wim Wenders sulla vita di Sebastião Salgado. Più legati all’attualità i film: “La trattativa” di Sabina Guzzanti, film scioccante sul rapporto tra mafia e stato; “Pitza e datteri” di Fariborz Kamkari (regista di “I fiori di Kirkuk” già ospite del nostro Cineforum) e “Timbuktu”, per riflettere sull’Islam, sulle sue derive ma anche sulla possibilità di trovare una via di dialogo con il mondo mussulmano, come insegna san Francesco. Sono tematiche impegnative certamente, ma affrontate con toni e tinte diverse: proponiamo quest’anno generi cinematografici nuovi, sfumando la classica divisione tra commedie e film drammatici. Non mancheranno certamente storie divertenti (“Noi e la Giulia”, “Il nome del figlio”, “Inside Out”, e molte altre), ma la novità assoluta per la nostra rassegna è il genere distopico, fantascientifico, e il documentario, che da anni stiamo corteggiando. Come sempre daremo grande spazio al cinema d’autore, soprattutto a quello italiano, creando anche dei percorsi paralleli alle proiezioni come abbiamo fatto l’anno scorso con il “Tour Fellini”, una gita nei luoghi del regista della “Dolce Vita”. La nostra sfida è sempre la stessa, quella di fare cultura, ma senza dimenticare che il cinema è anche svago e piacere. Vogliamo offrire un antidoto alla crisi dell’uomo contemporaneo che, mentre nella semplice evasione trova solo un’anestesia parziale, può scoprire invece nella settima arte una chiave per aprire il cuore e la mente alla riflessione e alla solidarietà. * Attore e moderatore del Cineforum Seraphicum Per dettagli e approfondimenti sulla nuova stagione, visita il blog del Cineforum Seraphicum sette m b r e 2 0 1 5 18 appuntamenti INAUGURAZIONE DEL 112°ANNO ACCADEMICO, CON IL CARDINALE ANTONELLI Sarà inaugurato sabato 10 ottobre il 112° anno accademico della Facoltà, alla presenza del cardinale Ennio Antonelli, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Famiglia. La cerimonia prevede alle ore 9.30 la celebrazione della santa messa, presieduta da S.Em. il cardinale Ennio Antonelli; alle 10.30 un rinfresco come momento di condivisione; alle ore 11, in sala Sisto V, il saluto e l’introduzione da parte del Preside fra Domenico Paoletti, cui seguirà la lectio magistralis del cardinale Antonelli sul tema “Dio nella storia L’Invisibile si rende realmente visibile”. Al termine della mattinata, sarà pronunciata la formula di rito con la quale si dichiara ufficialmente aperto il nuovo anno accademico. SINODO DEI VESCOVI Fra Marco Tasca, Ministro generale dell’Ordine dei Frati minori conventuali e Gran Cancelliere della Facoltà, è tra i membri chiamati a partecipare alla XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, in svolgimento in Vaticano sino al 25 ottobre. NOVITà EDITORIALI UNA TEOLOGIA IN COMUNITà Come fare teologia e verso dove orientare la conoscenza sapienziale del mistero di Cristo? Due domande sottese alle riflessioni proposte in questo saggio, a cura del Preside fra Domenico Paoletti, frutto del cammino che la comunità teologica della Facoltà San Bonaventura di Roma cerca di percorrere accogliendo la sfida della post-modernità. Il testo percorre una via che dal metodo da seguire nel fare teologia, conduce alla teologia come sapienza dell’amore che cerca di gustare anche affettivamente il mistero di Dio. Perché la teologia è anche bellezza, fascino, sorpresa e gioia! Un’analisi originale che indica alcune strade o sentieri per entrare nel cuore e nella vita dell’uomo di oggi e rendere la teologia una sapienza capace di attrarre e appassionare (dalla quarta di copertina). La pubblicazione contiene la presentazione di monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione e l’introduzione di fra Roberto Tamanti, docente e direttore della rivista “Miscellanea francescana”. Il libro offre i contributi, oltre che dello stesso curatore, di Giuseppe Ruggieri, Piero Coda, Maurizio Malaguti, Roberto Repole, Bruno Forte e Timothy Radcliffe. Nel prossimo numero di “San Bonaventura informa” proporremo un approfondimento sulla pubblicazione sette m b r e 2 0 1 5 19 GIOVANNI PASTRIZIO: NUOVA VOCE NEL DIZIONARIO BIOGRAFICO TRECCANI È a firma di fra Tomislav Mrkonjić, docente del Seraphicum, una delle nuove voci del Dizionario biografico degli italiani (volume 81) dell’enciclopedia Treccani, dedicata a Giovanni Pastrizio (1636-1708). Pastrizio - sacerdote, erudito e teologo - occupa un posto di rilievo nella cultura romana dell’epoca: fece parte del gruppo che fondò il Giornale de’ letterati, una delle prime riviste scientifiche d’Europa; fu tra i fondatori dell’Accademia dei Concili “a Propaganda” dedicata alla storia ecclesiastica; fece parte dell’Accademia cosmografica degli Argonauti, la più antica fra quelle a carattere geografico, fondata a Venezia dal frate minore conventuale Vincenzo Coronelli; inoltre nel 1694 fu nominato da papa Clemente XI “scrittore ebraico” della Biblioteca apostolica vaticana. L’intera biografia è consultabile qui. NUOVO FASCICOLO DI “CREDERE OGGI” Si intitola “Vita consacrata: le sfide del futuro” il nuovo fascicolo di Credere oggi, il dossier di aggiornamento e orientamento teologico edito dal Messaggero di Padova. Il nuovo numero, che offre un contributo di approfondimento sull’Anno della vita consacrata indetto da papa Francesco, si apre con un editoriale di fra Germano Scaglioni, direttore della testata e docente della nostra Facoltà. “Senza alcuna pretesa di esaustività - scrive fra Scaglioni - il fascicolo intende toccare aspetti fondamentali della vita consacrata, allo scopo di fornire un quadro sintetico, ma già significativo di questo singolare dono dello Spirito alla chiesa. Il fascicolo si apre con un contributo dell’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Sullo sfondo di questo osservatorio privilegiato, l’autore offre una riflessione sulla vita consacrata, in particolare sul suo carisma, ma a partire dal «centro»: l’evento Cristo, fondamento della fede e della chiesa. Altri aspetti posti in relazione con il carisma della vita consacrata sono: l’orizzonte escatologico, la profezia, la dimensione ecclesiale, il confronto con il panorama culturale e religioso odierno”. Qui il sommario del nuovo numero. sette m b r e 2 0 1 5 20 Il tesoro di padre Léon… “e Veuthey ci illuminava sempre” è uscito il nuovo libro di fra Gianfranco Grieco (OFMConv), ex studente del Seraphicum, scrittore, giornalista, capo-ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia. “Ho conosciuto il Padre Leone Veuthey in un certo periodo della nostra storia, per cui ricordo poco degli avvenimenti che vi sono connessi. So però che il nostro movimento cominciava da qualche anno ad irradiare il proprio carisma dell’unità, ma giacché in quel tempo non avevamo trovato nessuno che nella nostra Chiesa parlasse di unità (se non … con ben altro senso e contenuto, i comunisti) letti per caso i volumetti del Padre Veuthey sulla Crociata in cui è menzionata la parola “unità”, ci sentimmo spinte a prendere contatto col Padre. Ricordo che nei colloqui che ebbi con Lui mi faceva molto parlare. L’impressione che avevo di lui – e credo sia la stessa di quella riportata dalle mie compagne che lo conobbero – fu quella di una persona, di un religioso d’alto livello, dotto, sulla via della santità, capace di ‘accogliere l’altro’, di saper ascoltare, pieno di delicata carità, d’entusiasmo pacato” (dalla quarta di copertina, Chiara Lubich -14 agosto 1997). (Casa Editrice Francescana Assisi, 2015, p. 152+18 tavole fuori testo, 15 euro) LO SCRIGNO DEL MAESTRO – 99 RACCONTI ZEN-SICULI è il professor Italo Spada, docente al Seraphicum, l’autore di questo testo che attinge al cuore della Sicilia. “Il magister ha aperto il forziere delle saggezze della sua terra. Racconti come ostriche (con tanto di perle di saggezza incluse) che dona con la consolidata sapienza della sua isola antica. (…) La saggezza di un popolo è saggezza universale (non l’ha detto Honoré de Balzac ma certamente potrebbe appartenere ai suoi pensieri profondi): la Sicilia ha conosciuto genti e culture diverse in tremila anni di storia e le contaminazioni sono state tante. (…) Italus magister novella con stile asciutto e accurato, senza tracce di saccenteria o presunzioni didattiche. I suoi racconti, musicali come i madrigali di Pietro Vinci, sono un accurato esercizio letterario generato per “sottrazione”. In questo richiama un altro Italo, anche lui isolano, seppur nato nei Caraibi che, peraltro, ha narrato oltre quaranta storie siciliane, nella sua raccolta di “Fiabe Italiane”. Lo “Scrigno del maestro” è un rosario di perline, un pregiato breviario che non vuole regalare l’Illuminazione ma offrire preziose riflessioni per aiutarci, con dolcezza e semplicità, a non smarrire il senso profondo della nostra consapevole umanità”. (dalla prefazione di Massimo Senzacqua) (Eretica Edizioni, 2015, p. 174, euro 10,80) sette m b r e 2 0 1 5 21 francescanamente parlando PROMOZIONE ACCADEMICA Fra Raffaele di Muro ha ottenuto dalla Congregazione per l’educazione cattolica, la promozione da docente straordinario a ordinario. Il professor Di Muro (OFMConv), insegna Teologia spirituale al Seraphicum ed è direttore della Cattedra Kolbiana della Facoltà, oltre a rivestire il ruolo di assistente internazionale della Milizia dell’Immacolata. IL CORTILE DI FRANCESCO L’Umanità è stato il tema al centro del Cortile di Francesco, svoltosi ad Assisi dal 23 al 27 settembre. L’iniziativa, giunta alla seconda edizione e inserita nel progetto “Il Cortile dei Gentili”, è stata promossa dal Pontificio Consiglio per la Cultura, dal Sacro Convento di Assisi e dall’Associazione Oicos Riflessioni. Cinque giorni di incontri e di dialogo sul tema dell’umanità, attraverso cinquanta appuntamenti e ottanta relatori tra i quali personalità politiche, istituzionali, intellettuali, artisti ma anche tanti uomini e donne disposti ad ascoltare e parlare. Sul sito della rivista “San Francesco” un ampio approfondimento sull’evento con le dichiarazioni dei diversi protagonisti. FESTIVAL FRANCESCANO Si è svolta a Bologna, dal 25 al 27 settembre, la settima edizione del Festival Francescano, quest’anno dedicato a “Sorella terra”. Un’occasione per il mondo francescano di far conoscere le proprie realtà formative, missionarie, accademiche, proprio in piazza Maggiore dove, nel 1222, tenne una predica san Francesco. Oltre quarantamila presenze nei tre giorni, per visitare gli stand e partecipare alle numerose conferenze. Presente anche il Seraphicum, con il Preside fra Domenico Paoletti e il direttore del Cineforum fra Emanuele Rimoli. IN PAROLE FRANCESCANE «Per trarre da ogni cosa incitamento ad amare Dio, esultava per tutte quante le opere delle mani del Signore e, da quello spettacolo di gioia, risaliva alla Causa e Ragione che tutto fa vivere». SAN BONAVENTURA, Leggenda maggiore IX: FF 1 162 PONTIFICIA FACOLTÁ TEOLOGICA “SAN BONAVENTURA” SERAPHICUM Via del Serafico, 1 - 00142 Roma San Bonaventura informa è a cura dell’Ufficio Stampa del Seraphicum Responsabile: Elisabetta Lo Iacono ([email protected]) Sito web Twitter Facebook YouTube sette m b r e 2 0 1 5 22