Azione Cattolica Italiana – diocesi di Lodi

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Azione Cattolica Italiana – diocesi di Lodi
Azione Cattolica Italiana – diocesi di Lodi
XVI ASSEMBLEA DIOCESANA
RADICATI NEL FUTURO. CUSTODI DELL’ESSENZIALE
Relazione del presidente diocesano
GESTI CONCRETI PER UNA MEMORIA CHE SA GENERARE FUTURO
Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio?» Gv 3,4
Qualche giorno fa, a proposito di un appuntamento del percorso pre-assembleare, una delle persone
invitate mi ha scritto a proposito dell’intervento a lei richiesto: “Non vorrei danneggiare l’AC a cui
voglio tanto bene e che ha rappresentato e rappresenta un elemento molto importante della mia
vita”. Faccio mie queste parole perché ritengo rappresentino l’atteggiamento e la posizione umana
adeguata nell’interpretare qualsiasi ruolo in associazione e descrive bene il sentimento con cui mi
sono apprestato 6 anni fa a essere presidente e, nei giorni scorsi, a scrivere questa relazione.
L’intervento che vi propongo stamattina lo interpreto come il tentativo di chiarire a tutti noi le
condizioni e ciò che l’associazione vuole e può ancora essere nella vita di tante persone, nella
vita delle comunità parrocchiali nelle quali l’AC è presente ed opera, nella vita della Chiesa
lodigiana. Una Chiesa che conosce e ancora vive del tanto che l’Associazione e i suoi aderenti le
hanno donato nei decenni in cui sicuramente è stata determinante per la crescita del laicato. E che
penso debba esserle grata. E desidero svolgere questo compito insieme a voi qui intervenuti in
rappresentanza non principalmente di voi stessi, ma soprattutto delle Associazioni Territoriali e,
vorrei aggiungere, delle comunità parrocchiali di provenienza,
Ho scelto di inserire nel titolo della relazione i termini che ritengo imprescindibili per il futuro
dell’AC diocesana di Lodi: gesti concreti, memoria, futuro. Qualcuno sicuramente penserà che
più che un titolo è “un trattato” … Ritengo però utile rappresentare e dare evidenza alle parole di
sintesi del mio contributo a questa XVI Assemblea diocesana. Un’Assemblea che abbiamo voluto
caratterizzare come un vero momento di verifica e definizione di un comune modo di sentire e
interpretare l’Associazione. Da questa intenzione consegue il programma, con la previsione di un
tempo di workshop, e la struttura del Documento assembleare con una Appendice che sarà scritta
proprio da tutti noi delegati. A questo lavoro di verifica, necessario per dotarci di uno sguardo
prospettico capace di collegare memoria e futuro, siamo indotti dall’imminente apertura - in
concomitanza della XVI Assemblea Nazionale - della celebrazione dei 150 anni della presenza
dell’AC nel Paese e nella Chiesa. 150 anni sono uno spazio temporale importante, durante il quale
l’Associazione si è evoluta, ha modificato statuti, composizione, strutture, forma di esperienza,
ambiti di impegno e di servizio. Un tempo durante il quale ha saputo interpretare se stessa, nel
presente vissuto sempre come kairòs - tempo donato e tempo di grazia – cioè in termini di chiamata
ad un compito da vivere a vantaggio dell’uomo concreto, assumendo “tutto ciò che è umano per
annunciare e testimoniare in Cristo la pienezza dell’umanità”.
1. La lettura del contesto
La rilettura degli avvenimenti maggiormente significativi per la vicenda ecclesiale e associativa
ci può indurre probabilmente a fare considerazioni di carattere complessivo, più difficilmente e
immediatamente riconducibili al nostro vissuto associativo. Molto sommariamente voglio però
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ricordare gli eventi ecclesiali che hanno caratterizzato il triennio. In primis la parola e la
testimonianza di Papa Francesco - attraverso le encicliche, le omelie, i gesti - sui temi della fede,
della gioia, della speranza, del perdono, della misericordia, ma anche a favore della giustizia, dei
poveri, dell’accoglienza, … Un Papa che stupisce sempre per l’atteggiamento umile, semplice,
diretto e allo stesso tempo profondo con il quale si pone e affronta le questioni e giudica i fatti. Un
Papa le cui parole, gesti e scelte sono sempre in riferimento alla persona e al Vangelo di Gesù
Cristo. Ricordo poi il cammino percorso dal Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, un cammino
connotato da un ampio dibattito e risonanza a livello mediatico, come anche di uno sguardo nuovo,
solidale e misericordioso, sulla realtà delle famiglie e sulle questioni etiche e pratiche connesse ad
un mutato scenario. Non possiamo non fare riferimento all’Anno giubilare della Misericordia, che
ha dato modo alle Chiese locali d’interpretare con protagonismo e ampiezza un tempo e una
dimensione, quella della Misericordia, decisiva per collocarci nell’orizzonte di Dio. Come anche è
doveroso il riferimento al Convegno Nazionale di Firenze di fine 2015, con gli interventi di Papa
Francesco, la ricerca di una concreta sinodalità tra sacerdoti e laici, la definizione di un nuovo
umanesimo nel nostro tempo a partire dall’umanità di Gesù. Infine vorrei ricordare l’ingresso in
diocesi di Lodi, il 26 ottobre 2014, del Vescovo Maurizio e la sua prima Lettera Pastorale Nello
Spirito del Risorto che contiene l’Itinerario pastorale triennale (2015-2018) con l’indicazione della
“scelta missionaria” come obiettivo pastorale comune della chiesa lodigiana. Una indicazione che la
Lettera pastorale 2016-2017 In memoria di me vuole precisare e approfondire in riferimento
all’Eucarestia, “sacramento della comunione col Signore”, che rende la missione della Chiesa “non
altra o successiva a quella di Cristo” ma con Lui coincidente.
Venendo alla nostra realtà diocesana e parrocchiale, non c’è più alcun dubbio che siamo in una fase
in cui il vissuto delle persone e delle comunità, in particolare il vissuto religioso, è profondamente
mutato. Ciò è frutto di trasformazioni culturali, di quella che viene chiamata “crisi antropologica”,
che i nuovi mezzi di comunicazione hanno contribuito a velocizzare e in parte a caratterizzare.
Trasformazioni che incidono sia sul modo di vivere a livello personale la fede, la sua
“trasmissione”, l’appartenenza alla Chiesa; sia sulle dinamiche personali e comunitarie sempre più
spesso in affanno nel confronto e nel rapporto con una comunicazione e una connessione
permanente e invasiva. Come si afferma nel Documento assembleare, le persone sempre più si
percepiscono esclusivamente in termini individuali e sempre meno in termini di relazione con ….
Nell’epoca della overdose di contatti e relazioni virtuali, le scelte e le priorità di ciascuno sono
sempre più definite in modo esclusivo da un “io” che stenta a pensarsi in relazione a un “noi”. Una
percezione che si esplicita sia in riferimento alla dimensione del tempo, cioè alle nostre radici e ai
frutti futuri, sia nel riferimento al territorio vissuto come proprietà esclusiva e non condivisibile. Le
ripercussioni di questa autocoscienza di carattere prettamente individuale ha ripercussioni in ogni
ambito del vissuto, non solo in un “privato” che non esiste più (e forse non è mai esistito), ma anche
nelle scelte “pubbliche”, di appartenenza e di impegno. E l’associazionismo, interpretato come
condivisione non estemporanea ed episodica di un cammino che attraversa le stagioni e le
generazioni, a favore dei singoli e della comunità, è sempre più considerato, specie nei nostri
territori del nord Italia, come qualcosa di marginale se non di superfluo.
Sono di conseguenza venuti meno generalmente – ormai da tempo – significati e ruoli che
l’associazione per 50 anni ha interpretato, e, di conseguenza, si sono modificati anche i riferimenti
di carattere ecclesiale e pastorale (rapporto con la gerarchia e il clero in genere, coinvolgimento
nella pastorale e nella formazione soprattutto dei ragazzi …). Ma ciò, a nostro avviso, lo dico
subito, non deve essere vissuto con rimpianto, ma come la condizione per una nuova chiamata e un
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nuovo compito. Una chiamata che proviene dall’accresciuto riconoscimento da parte di tanti laici
della comune partecipazione all'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Gesù Cristo, della comune
chiamata alla santità di cui tanti esempi sono presentati nei pannelli della Mostra La buona strada,
dalla disponibilità ad una corresponsabilità ecclesiale e pastorale vissuta con passione e intelligenza.
2. Percorso Assembleare e questione associativa
L’icona evangelica che mi sembra appropriata al momento associativo che ci apprestiamo a vivere
è quella di Nicodemo, un membro del Sinedrio, che andò di notte da Gesù con il desiderio di
interrogarlo per capire chi era veramente. La notte, nel Vangelo di Giovanni simboleggia la
mancanza di certezze, di chiarezza e, al contrario, la presenza di dubbi, timori, resistenze. Anche la
nostra Associazione, come la Chiesa, senza voler estremizzare, vive un po’ questa situazione di una
prospettiva di crescente precarietà. La scelta di Nicodemo è stata quella di non rimanere ancorato né
alle precedenti certezze, né di crogiolarsi nel dubbio, ma di “andare”, di prendere il largo, di
incontrare Gesù “faccia a faccia” e porre direttamente a Lui le domande che il cuore gli suggeriva.
E la risposta di Gesù al desiderio di conferme e rassicurazioni da parte di Nicodemo è
destabilizzante: “Se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il Regno di Dio”. Una risposta che
costringe Nicodemo a interrogarsi su una realtà nuova, mai considerata né sperimentata. La
rinascita che viene dall’alto, è una realtà che richiede un cambiamento di prospettiva, una
disponibilità a lasciarsi condurre dallo Spirito in luoghi mai prima conosciuti e sperimentati. Anche
nella valutazione della vicenda associativa ci è chiesto un cambiamento di sguardo, di giudizio e di
prospettiva. L’orizzonte associativo è una strada da percorrere insieme, una strada probabilmente
accidentata, non comoda .. Una strada che, ritengo, la nostra Associazione ha già intrapreso e il cui
approdo resta nelle mani di Dio. C’è, sicuramente, la realtà di una domanda sull’orizzonte che a Lui
con insistenza poniamo perché la nostra opera sia secondo il Suo disegno su di noi.
Siamo arrivati a celebrare la nostra XVI Assemblea a conclusione di un lungo Percorso
assembleare iniziato formalmente ad aprile 2016 con il primo incontro di Commissione. Un
percorso che ha proposto momenti significativi per comprendere e indagare le diverse facce di
quella che possiamo chiamare la questione associativa, sintetizzabile nella domanda che ci siamo
posti all’inizio e che ha fatto da sfondo a tutti i diversi momenti vissuti: quale AC vogliamo essere?
Domanda alla quale nel giorno della nostra Assemblea aggiungiamo…e oggi scegliamo di essere?”.
La questione si compone evidentemente di due elementi: la definizione di una prospettiva
dell’associazione che le dia un orizzonte di significatività, di stile, di ruolo, … ; ma anche una
componente di volontà, di convinzione, di consenso e consapevolezza che mi sembra non si possa
dare per scontata. Abbiamo quindi voluto che il percorso assembleare avesse come filo rosso
proprio la domanda con entrambe le sue componenti. Ciò che ci interessa è innanzitutto ampliare
lo spazio di consapevolezza riguardo alle scelte che oggi occorre fare e che riguardano i
contenuti, le dinamiche, le alleanze che l’associazione deve saper riconoscere e rafforzare in
una logica di concretezza e di essenzialità.
Nella prima tappa del nostro percorso la domanda che ci siamo posti è stata: quale Chiesa? La
domanda non l’abbiamo rivolta solo a noi stessi, ma alla Chiesa lodigiana, alla gerarchia, alle nostre
comunità e chiese particolari. Possiamo dire che punto di partenza della nostra verifica è stato la
domanda che il prof. Albini ha posto in occasione della Giornata Studio di settembre 2016: “Di
quale tipo di comunità cristiana abbiamo bisogno oggi per vivere l’humanitas Christi anzitutto noi
credenti? ... Quale umanità proporre all’uomo di oggi come cristiani se spesso fatichiamo a essere
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una “Chiesa umana”, cioè segno di quell’umanità di Cristo che i Vangeli ci consegnano?”. La
risposta il prof. Albini la desume dal discorso di Papa Francesco al Convegno ecclesiale di Firenze
del 2015 laddove descrive una Chiesa definita dai sentimenti di umiltà, disinteresse e beatitudine
incarnati da Gesù. Una Chiesa con il carattere della sinodalità e dalle diverse voci che sanno
armonizzarsi, una Chiesa che nella propria presenza e azione sa valorizzare la dimensione
comunionale sia dell’ecclesía sia del presbiterio; una Chiesa che “sa scaldare il cuore”, “in grado
di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino
mettendosi in cammino con la gente”(C. Albini). Ci ritroviamo anche noi in questa Chiesa, che sa
essere “luogo della misericordia gratuita” (EG), Chiesa in uscita e dell’incontro per essere segno
della misericordia per uomini e donne del nostro tempo. Una prospettiva che all’AC chiede
concretezza; che presuppone sacerdoti e laici capaci e quindi formati per aprirsi al di fuori dello
spazio della comunità credente, per un dialogo a tutto campo; un rinnovamento delle realtà
ecclesiali, delle parrocchie come anche delle strutture diocesane. Prospettive per le quali l’AC è
disponibile e preparata ..
La tappa successiva è stato l’incontro con il presidente nazionale Matteo Truffelli per riflettere
su quale AC, cioè sull’identità dell’associazione, realtà che si interpreta come parte in riferimento e
al servizio di un tutto che è la Chiesa, che è il mondo, che è il Regno. “AC, parte che vive per il
tutto” era il titolo della serata e la direzione che il Presidente ci ha indicato ci è parsa chiara: essere
presenza buona per il contesto umano, sociale e culturale nel quale ci è dato vivere; alimentare la
vita mettendo in campo capacità di ascolto, accompagnamento e sostegno delle persone; vivere la
dimensione della Chiesa come Popolo di Dio; essere costruttori di alleanze e corresponsabilità
dentro e fuori la Chiesa; avere coraggio, serenità, creatività. Una AC che sa riconoscersi faccia del
poliedro che è la Chiesa, ma che è anche la vita e l’umanità. Un’AC che sa “raccogliere la sfida di
una presenza vivace dentro le nostre città o paesi dentro cui evangelizzare ed edificare la Chiesa”,
che sappia valorizzare fino in fondo la laicità a 360°; un’AC che sa essere “palestra di sinodalità,
corresponsabilità, fraternità, ecclesialità”, che sa reinterpretare il significato profondo della
collaborazione con la gerarchia per una Chiesa intesa come comunione ma soprattutto come Popolo
di Dio, Popolo dell’Alleanza in cammino verso il Regno.
Un’Associazione - come suggerito da Valentina Soncini, responsabile della Delegazione regionale,
alla cerimonia di nomina dei presidenti delle Associazioni territoriali – che si riconosce in
sintonia con la Chiesa descritta da Papa Francesco nella Evangelii Gaudium.
Le trentuno assemblee delle Associazioni Territoriali sono state la tappa successiva del percorso.
Le abbiamo interpretate come opportunità di partecipazione e di espressione degli aderenti, di
verifica, ma soprattutto di definizione della prospettiva dell’associazione, per un contributo di tutti
al cammino associativo.
Nei giorni immediatamente precedenti questa Assemblea, abbiamo infine proposto quattro
appuntamenti pre-assembleari che hanno inteso rappresentare la cifra sintetica della identità
formativa ed educativa dell’associazione. In particolare la molto ben riuscita tavola rotonda Se ti
parlo di Dio. La relazione educativa alla prova è stata un coraggioso tentativo di riflettere e
condividere il tema dell’educazione religiosa alla sua radice, come relazione che apre alla vita e alla
comprensione del suo Senso. Un compito che, come possiamo ben comprendere, definisce l’identità
dell’associazione. Un incontro che avrebbe sicuramente meritato una maggiore considerazione da
parte degli aderenti e in particolare di voi delegati, e una più ampia partecipazione in generale.
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3. Le linee dell’ultimo triennio
Il percorso assembleare è stato il tratto finale di un triennio durante il quale la vicenda associativa si
è espressa in una grande varietà di appuntamenti, iniziative e contributi, in sostanziale continuità
con la proposta associativa dei sei anni precedenti. Un triennio nel quale don Angelo, don Carlo e
poi don Simone si sono avvicendati nel ruolo di Assistente giovani; un triennio durante il quale
alcune persone care ci hanno lasciato: il ricordo è per don Marco, per Battista Cantoni e per tutti gli
amici che ci hanno accompagnato qui sulla terra e ora ci assistono dal cielo..; un triennio nel quale
l’impegno e le proposte delle Associazioni Territoriali e del livello vicariale hanno accompagnato e
fatto gustare l’esperienza associativa a tutti noi.
Un triennio in cui, in coerenza al Documento assembleare 2014 – le cui linee sono riassunte nei
cinque verbi: custodire, ascoltare, uscire, annunciare, condividere – l’azione del Consiglio, della
presidenza, delle Commissioni e degli altri Gruppi del Centro diocesano si è sviluppata secondo
delle direttrici condivise, alcune delle quali vorrei qui ricordare.
Si è data innanzitutto continuità e dinamicità alla proposta formativa e spirituale, con una
chiara attribuzione di centralità alla proposta spirituale: l’associazione diocesana, anche grazie
all’impegno, capacità e generosità dei nostri Assistenti, ha saputo riproporre con costanza e cura
tanti appuntamenti: la Meditazione sull’icona biblica dell’anno associativo, le giornate di spiritualità
e altri appuntamenti legati al tempo liturgico, gli Esercizi Spirituali per tutti gli archi di età, la
Tenda per i giovani e altri momenti … Il confronto personale con la Parola, il riferimento alla vita e
alle sue dimensioni, la sollecitazione alla carità fraterna, l’indispensabilità del silenzio orante, …
hanno sempre caratterizzato questi momenti che da tanto tempo cadenzano la proposta associativa.
L’impegno formativo rivolto agli aderenti si è poi sviluppato su binari in parte consueti – le
Giornate Studio, le Feste diocesane, i campi estivi, incontri e percorsi per presidenti e responsabili
(in particolare nell’anno associativo 2014-2015), i nodi giovani, incontri formativi per educatori, le
mattinate per la terza età, l’incontro La Dimora, le Feste e marce della Pace, la newsletter “Goccia”
- e altri momenti e strumenti, magari meno tradizionali, in cui tutte le dimensioni del progetto
formativo (ecclesialità, fraternità, interiorità e missionarietà), con creatività e passione sono state
coniugate e armonizzate per proposte mai scontate o dal sapore “abitudinario”. Con quali
intenzionalità e dinamiche sottese? Mi sento di affermare che nessun appuntamento è stato
interpretato e proposto in termini ripetitivi e stanchi; senza dubbio è stata sempre presente la
volontà di apertura e coinvolgimento ad ampio raggio, in primis dei responsabili e degli aderenti,
sia in termini di partecipazione sia di impegno concreto. A questo proposito mi piace citare le feste
diocesane a Codogno e a Massalengo vissute come proficuo incontro con le rispettive comunità
civili e religiose. E soprattutto la festa regionale ACR dello scorso anno, un appuntamento
interpretato con genuina e spontanea coralità dall’associazione cittadina, diocesana e regionale, una
esperienza gioiosa, contagiosa e che vorremmo fosse paradigmatica di ciò che l’AC può e vuole
essere. Ma potrei ricordare anche i campi estivi che negli scorsi anni si erano arricchiti con una
proposta rivolta ai pre-adolescenti.
In questo impegno formativo un ruolo importante lo ha ricoperto la comunicazione: Dialogo è
divenuto sempre più “connesso” con le proposte e i momenti associativi; il sito è stato
completamente rivisto nella sua impostazione ma soprattutto sempre più aggiornato e capace di
aggiornare; le diverse pagine facebook, le newsletter, le innumerevoli comunicazioni e informazioni
circolate in abbondanza, tutto concretamente volto a creare rete e presupposti comuni al cammino
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associativo. Di questo occorre rivolgere un grande ringraziamento a Raffaella Rozzi e Bianchi, a
Marco, a Luca, a Stefano, a Simone e a tanti altri che si sono applicati e prodigati in un’attività
tutt’altro che semplice e poco dispendiosa dal punto di vista del tempo e delle energie.
Tutti i settori si sono prodigati in un lavoro di elaborazione di proposte nei vari incontri di équipes
o di commissione e poi di realizzazione. Ma anche di raccordo con i percorsi e i gruppi presenti
nelle parrocchie, per un sostegno concreto e in loco. Così è stato per i (pochi) percorsi giovanissimi
parrocchiali e inter-parrocchiali e le proposte formative dei gruppi adulti. Anche il MSAC - che 2
settimane fa ha celebrato il proprio congresso ed eletto i nuovi segretari, Giuditta Iaia e Alessandro
Mazzi, e la nuova equipe - procede spedito per formare ad una presenza e testimonianza dentro la
scuola e negli ambienti di vita. Del nostro MSAC siamo molto contenti e orgogliosi.
Con qualche fatica e rallentamento si sono sostanzialmente mantenuta le bellissime proposte per
fidanzati e giovani coppie (Big Bang e Big Bang 2.0) che rappresentano senz’altro una sfida
all’esperienza associativa che deve saper elaborare significati e custodire legami per tutte le fasi
della vita. Come anche il percorso della terza età che sembra vivere una fase di “seconda
giovinezza”.
Con particolare attenzione, si è poi dato seguito alle indicazioni del Documento assembleare
riguardanti la continuità del Laboratorio Per la partecipazione e per la nascita del Laboratorio
culturale In dialogo. Le finalità esplicite sono note: aiutare le persone a decodificare stili e
linguaggi e quindi a comprendere la realtà che cambia continuamente e in profondità; dare efficacia
e stabilità alla volontà di apertura e studio delle tematiche di carattere sociale/culturale creando un
presidio su questi ambiti e valorizzando le competenze presenti in associazione; rafforzare il
dialogo con soggetti ecclesiali e della comunità civile presenti in diocesi. Dall’attività dei laboratori,
dal loro metodo aperto, flessibile e con il carattere della intergenerazionalità (in particolare il
Laboratorio “Per la partecipazione”), della ricerca non pregiudiziale, dell’ ascolto, della criticità
costruttiva, sta emergendo un lavoro di grande respiro e, a mio parere, di reale prospettiva, capace
di dare plasticità alla dinamica formativa dell’associazione, quindi capace di realizzare con forme
nuove il progetto sotteso al precedente Laboratorio della formazione.
Attraverso, in particolare, l’azione del Laboratorio In dialogo sui temi dell’educazione e della
genitorialità, mi preme mettere in evidenza come si siano sviluppate nuove dinamiche,
corrispondenti ad altrettante preoccupazioni e linee direttrici del triennio e capaci di abbattere
piccoli e grandi muri che separano persone, gruppi ecc.. Si è sviluppata infatti una dinamica di rete
capace di dare visibilità e rafforzare la presenza dell’associazione sul territorio, di coinvolgere e
mettere in relazione persone e AT, comunità parrocchiali e altri soggetti. Inoltre, con la proposta e
avvio del Tavolo delle associazioni famigliari, si è avviata una dinamica di relazione e
collaborazione con gli altri soggetti ecclesiali che hanno con l’Ac una comune passione educativa,
per una ricerca di unità non di facciata o solo d’intenti ma che vorremmo diventasse concreta e si
esprimesse in scelte e azioni comuni.
4. I nodi e le prospettive dell’AC che sarà
Quali i nodi presenti in associazione? Partiamo da un dato concreto e oggettivo. Le radici della
nostra associazione sono la presenza e azione degli aderenti nelle parrocchie attraverso le AT. Nel
panorama ecclesiale siamo, ritengo, una realtà ancora piuttosto vivace, propositiva e significativa in
diverse zone territoriali della diocesi, che può guardare al futuro con fiducia. Siamo però in
presenza di un fenomeno di diminuzione del numero degli aderenti (al momento circa 1.400),
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nonostante gli sforzi fatti per il superamento dell’elemento economico che a detta di molti
rappresenterebbe un deterrente all’adesione.
L’adesione – e questo è un elemento assolutamente positivo - è ormai in modo definitivo una scelta
personale, consapevole, che nasce dalla tradizione o dalla vicenda famigliare, ma legata al presente
e all’esperienza diretta. Gli aderenti sono distribuiti in circa 50 parrocchie e organizzati in 31
Associazioni Territoriali. Tra queste vorrei citare l’AT di Lodi, da poco costituita, che ha unificato
le sette AT presenti nelle parrocchie cittadine al fine di una proposta associativa più significativa
per gli aderenti e un rinnovato rapporto con il territorio. Vi sono poi altre parrocchie nelle quali non
opera una AT (con un Consiglio e un presidente nominato dal Vescovo), ma l’associazione è
presente con un proprio referente.
La diminuzione di aderenti si riscontra soprattutto, ma potremmo dire sostanzialmente, nelle AT
meno dinamiche e più dimensionate. Aldilà delle valutazioni e considerazioni di carattere culturale,
sociale, e religioso, possiamo dire che c’è una circolarità negativa dei due fenomeni difficile da
arrestare, soprattutto laddove non viene riconosciuta e sostenuta la specificità, la storia e la
ministerialità laicale che l’AC interpreta.
Sciogliere questo nodo è allo stesso tempo semplice e difficile: non occorre confidare in una
“conversione” del parroco o del coadiutore all’AC, ma in una ripresa di consapevolezza
associativa ed ecclesiale, di relazione, di propositività, dei tanti laici che hanno già
sperimentato la vicenda associativa e che avvertono la necessità, per la vita propria e della
comunità, di un soggetto come l’AC. Di una aggregazione, cioè, che in forza della propria storia,
del proprio carisma riconosciuto, del progetto formativo che la identifica può contribuire a dare stile
e sostanza all’agire ecclesiale in un’ottica sinodale.
Chiaramente connesso al precedente, uno dei nodi più urgenti da riconsiderare riguarda quindi il
sostegno e accompagnamento delle AT, soprattutto di quelle più dimensionate, perché con fiducia
e dinamicità possano inserirsi nel vissuto comunitario e proporsi come interlocutrici nel dialogo
intra-ecclesiale. Nella maggior parte dei casi il passaggio obbligato è il rapporto con una pastorale
parrocchiale che raramente sa interpretare con correttezza e generosità il ruolo e il significato della
ministerialità laicale (soprattutto se associata). Ma ancor più decisivo, a mio parere, è la
consapevolezza e la dinamica associativa nel suo complesso, a partire da quella interna all’AT,
che deve essere interpretata in relazione a tutta l’associazione diocesana e ai soggetti presenti
nella comunità, con il coraggio di superare stanchezze, abitudini e barriere di ogni tipo.
Siamo così arrivati a toccare un nodo fondamentale: se la tentazione dell’Associazione, derivante da
una fase di arretramento numerico, è quella di arroccarsi in difesa di prerogative o spazi
tradizionalmente presidiati, in realtà la direzione verso cui muoversi è quella contraria, cioè aprirsi,
uscire, imparare ad uscire, mettere l’esperienza associativa in relazione con persone, temi e
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momenti che la possano arricchire, con chi vive con serietà la propria spiritualità, con la
realtà del volontariato, con chi si impegna nell’ambito educativo e della legalità …
L’Associazione ha dunque, nel complesso, la necessità di procedere nella ricerca di forme nuove di
fare formazione, in particolare nei confronti e a favore dei ragazzi e dei giovani. Anche qui siamo di
fronte ad una circolarità negativa tra la diminuzione del numero dei ragazzi e dei percorsi ACR
nelle nostre parrocchie e la riduzione di giovanissimi e giovani disponibili a svolgere un ruolo
educativo a favore delle nuove generazioni. La proposta ACR è in realtà centrale e vitale per
l’AC. Se l’AC rinuncia a verificare fino in fondo la possibilità di tradurre in itinerari ed esperienze
il desiderio di vita, di fede e di protagonismo dei ragazzi, rinuncia a gran parte del suo orizzonte di
senso e di futuro. Dico questo seppur in presenza e a conoscenza di percorsi encomiabili, di
educatori indefettibili e di un gran lavoro di raccordo realizzato dall’equipe ACR. Si riscontra però
la necessità di alzare il livello qualitativo dei cammini per i ragazzi, concentrando l’associazione
sulla formazione degli educatori. Una formazione che necessariamente deve essere pianificata,
deve considerare la trasmissione di contenuti dottrinari, ma che deve essere soprattutto “sul campo”,
cioè non teorica ma esperienziale, programmata e vissuta con apertura mentale e del cuore, per
formare all’incontro, all’ascolto, alla relazione.
Una problematica, che si pone ancora di più riguardo alla progettazione di una proposta rivolta ai
giovani, che sappia coniugare sogni e concretezza, ascolto e annuncio, introspezione e relazione,
senso e ricerca di Dio con la solidarietà all’uomo concreto e la passione al bene comune. Non penso
sia il caso di stravolgere una proposta che è stata pensata e definita con cura nel tempo, ma di
reinterpretarla secondo due direttrici: in senso ancor più esperienziale, soprattutto in riferimento alla
dimensione della fraternità; integrandola maggiormente – pur con ampia autonomia ed esclusività con la proposta unitaria e degli adulti. E, sicuramente, metterci grande entusiasmo e convinzione.
Sullo sfondo delle problematiche individuate, vorrei segnalare la questione della partecipazione. Il
fenomeno a cui assistiamo è una consistente saltuarietà nella partecipazione di aderenti e
responsabili ai momenti associativi specificatamente destinati. Un ultimo esempio gli incontri del
percorso pre-assembleare , la Veglia di preghiera di mercoledì scorso e la tavola rotonda “Se ti
parlo di Dio”, appuntamenti pubblicizzati con insistenza, rivolti a tutti gli aderenti e responsabili,
ma in particolare a voi delegati e agli educatori. La tavola rotonda rappresentava tra l’altro il
tentativo – a nostro parere molto ben riuscito - di dare visibilità all’associazione affrontando una
tematica educativa fondamentale con una modalità abbastanza inconsueta. Ebbene, nonostante
alcune attenuanti, la scarsa partecipazione fa venir meno una condizione essenziale per dare
comprensibilità e significatività alla proposta associativa: esserci!
Non ne facciamo solo una questione di buona volontà o di disponibilità delle persone, ma di
popolarità della proposta associativa. Ci interroghiamo riguardo la comprensibilità e attrattività
della esperienza. E soprattutto sulla sua praticabilità e quindi essenzialità. Per renderla accessibile
e partecipata ritengo si debba definire con cura ed intelligenza una proposta equilibrata, che
sappia evidenziare con chiarezza le tappe dell’itinerario, che sappia valorizzare e integrare i
calendari associativi del livello diocesano con quelli dei territori e delle AT, ….
Elemento imprescindibile di questo ripensamento o rimodulazione è il radicamento della proposta
associativa dentro un’ esperienza fortemente caratterizzata in senso formativo-spirituale. Ciò
che proponiamo trova infatti il suo senso e fondamento solo in una spiritualità forte, profonda,
incarnata, condivisa. Su questa linea occorre avere il coraggio e la perseveranza di proporre in
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forme adeguate al contesto attuale tutto ciò che concorre a dare corpo e struttura a una tale proposta:
momenti di ascolto e scuola della Parola, di preghiera …, un accompagnamento delle singole
persone … , il coinvolgimento di laici disponibili, assecondando e valorizzando vocazioni e
competenze di carattere educativo e spirituale che in associazione non mancano… la collaborazione
con le singole parrocchie, in particolare per ragazzi, giovanissimi e giovani.
C’è un nesso molto stretto tra spiritualità, vita nella Chiesa e associazione. Una connessione che
il Vescovo Mansueto Bianchi, assistente di AC fino allo scorso aprile, in questo giorno dedicato a
San Mansueto ci aiuta a considerare: “La vita spirituale è essenzialmente vita ecclesiale. Che
tradotto per noi, vuol dire vita associativa. La Chiesa non è soltanto cornice, non è soltanto
contesto della vicenda spirituale dei singoli. La Chiesa è la possibilità stessa della vita spirituale,
perché lei ha la memoria di Gesù. La memoria di Gesù non è data ai singoli individui; essa è data
al suo popolo, alla sua Chiesa. Perciò il cammino spirituale è essenzialmente un cammino
ecclesiale. Questo vuol dire che l’impegno parrocchiale è luogo di crescita nella vita spirituale. Il
“dove” della vita spirituale è lì, è nella Chiesa, è quello il luogo della memoria di Gesù, è quello il
luogo della crescita spirituale”.
Questo ci aiuta a comprendere l’importanza di una proposta spirituale che costituisce il
fondamento per una proposta formativa tout-court, che sa coinvolgere le persone con
strumenti e momenti a livello di singola AT, che ha la forma e lo stile di un’azione educativa
di carattere esperienziale (e non esclusivamente dottrinario), che induce le persone a
verificare con serietà la propria adesione a Cristo nelle fasi e scelte concrete della vita, che si
avvale e rimanda a esperienze concrete di fraternità e di servizio caritativo. A questo proposito
ritengo ormai arrivato il momento che anche a livello diocesano si riesca a promuovere una o più
iniziative a favore dei poveri e degli esclusi (in particolare gli immigrati) nello stile di concretezza e
prossimità del Fondo La Dimora.
Anche se sono stati fatti passi in questa direzione, mi sembra, poi, ci sia ancora un deficit di azione
ed espressione unitaria da parte dell’associazione. La mia valutazione non riguarda solo i
campanilismi che sono sempre duri a scomparire, ma l’ambito ristretto in cui spesso tendiamo a
ricondurre e a circoscrivere la singola esperienza associativa. Questo vale in particolare, mi sembra,
per tanti giovani che non riescono a trovarsi a proprio agio in un ambito che non sia il loro. Penso, a
questo proposito, che occorra dare rilevanza e priorità alla conoscenza e ai rapporti tra le
persone, con quelle attenzioni che definiscono lo stile di uno stare insieme premuroso e
fraterno. La prospettiva e il cammino verso il Sinodo dei giovani nel 2018 può essere una
occasione anche per la nostra associazione per considerare il valore della loro presenza e
comprendere fino in fondo che il futuro – del mondo, della nostra società, della Chiesa, della nostra
associazione - passa dalla cura verso i giovani, oggi in verità tanto bistrattati e generalmente
costretti in situazioni di precarietà economica e psicologica.
Anche la dinamica del lavoro del Centro diocesano deve rispecchiare e tradurre in modalità più
snelle questa diffusa e rinnovata coscienza associativa unitaria: sia il lavoro di presidenza che,
soprattutto del Consiglio diocesano, necessitano di un aggiornamento nella direzione di un più
diffuso coinvolgimento e partecipazione all’azione associativa, di un coordinamento capace di
rendere sostenibile l’opportunità rappresentata dalle responsabilità generosamente accolte.
Un ulteriore elemento da rafforzare è la realizzazione di un’alleanza “strategica” e operativa con
i soggetti con finalità educativa presenti sul territorio. Sappiamo che la verità e l’efficacia di una
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qualsiasi azione passa dal saper fare rete: con Meic, Fuci, Acli, e tutte le aggregazioni di carattere
ecclesiale operanti sul territorio della diocesi, dobbiamo saper trasformare i buoni rapporti in
convergenze e collaborazioni. Ma l’alleanza da richiedere è con tutti soggetti – persone e gruppi –
esperti di umanità, capaci di compassione, aperti all’ascolto.
5. Per un’AC che vive il respiro della Chiesa
La “rinascita” dell’AC - secondo l’immagine biblica di Nicodemo e in termini di prospettiva - non è
comunque questione esclusivamente di progetto formativo, di programmi o di altro definibile “a
tavolino”. Non abbiamo questa presunzione e nemmeno una visione meccanicistica e semplicistica
della realtà ecclesiale. Ritengo abbia a che fare in gran misura con il senso e il vissuto di Chiesa di
sacerdoti e laici, che hanno un forte riflesso sui rapporti tra gerarchia e laici e laici associati. Siamo
consapevoli - e ce lo siamo detto più volte - che aldilà dei formalismi, condizione essenziale perché
i carismi possano fiorire dentro la comunità cristiana e svilupparsi ciascuno con i propri colori, in
spirito sinodale, con i pastori, non è sufficiente che siano tollerati o l’affidamento di un servizio
pastorale, piccolo o grande che sia. Necessita, a mio avviso, che siano riconosciuti, sollecitati e
aiutati ad esprimersi come facce di quel poliedro che è la Chiesa (EG). Per l’AC, necessita che sia
accolto il suo carisma che è quello di vivere con il Popolo di Dio il respiro della Chiesa
universale, diocesana e particolare, a favore della sua unità. Vorremmo che la vita ecclesiale
avesse come ingrediente di base la stima reciproca tra laici e sacerdoti, sicuramente nella
distinzione dei ministeri, ma nella condivisione essenzialmente dell’amore per Cristo e per l’uomo.
Questo, a nostro parere, è far memoria, stare radicati dentro la tradizione spirituale della Chiesa, la
garanzia di camminare nell’ascolto dello Spirito che è ricco di voci, di suoni, di colori, di
sensibilità, di storie, di profezia, ….
La presenza, il servizio, l’azione pastorale vengono di conseguenza e richiedono alle nostre
comunità parrocchiali e alla Chiesa diocesana di maturare sempre di più un atteggiamento di
ascolto, comprensione e accompagnamento delle persone - a partire dalle persone più deboli e sole nelle loro esigenze e bisogni, nella loro ricerca di Dio, nel loro desiderio di misericordia.
A questo ci sentiamo chiamati, in questa chiamata ci riconosciamo, per una rinascita da “acqua e
Spirito” che insieme a Lui è possibile.
Giuseppe Veluti
Lodi, 19 febbraio 2017
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