Ecco perché l`Accordo WTO sull`Agricoltura non ha

Transcript

Ecco perché l`Accordo WTO sull`Agricoltura non ha
Ecco perché l’
Accordo WTO sull’
Agricoltura non ha aiutato e non aiuterà i
Paesi Africani
L’
agricoltura è al centro delle
economie dei Paesi africani; non
costituisce più la fonte principale di reddito ma rimane l’
attività
che impiega più del 70% della
forza lavoro.
In questi paesi l’
agricoltura costituisce la fonte di sopravvivenza per la maggior parte della
popolazione, i prodotti agricoli
rappresentano la maggior fonte
di entrate da esportazione e la
produzione agricola è nelle mani
di piccoli agricoltori.
L’
impatto dei cambiamenti nella
politica agricola genera conseguenze enormi sui Paesi del
continente africano.
La maggior parte di essi è membro del WTO, per questo il relativo
accordo
agricolo
(Agreement on Agricolture AoA)
ed i negoziati in corso per il suo
rinnovo sono di fondamentale
importanza per l’
Africa.
L’
AoA, nonostante si proponga
come obiettivo quello di
“instaurare un sistema di scambi agricoli equo e orientato verso il mercato”, è fondamentalmente un patto stilato fra Unione Europea e Stati Uniti per garantire alle loro produzioni agricole un migliore accesso ai mercati mondiali.
Durante l’
Uruguay Round i negoziatori non avevano in mente
politiche agricole tese a garantire l’
accesso al cibo a tutti gli
abitanti del pianeta, volevano
piuttosto inserire le politiche
agricole nella filosofia che animava il GATT e fornire un aiuto
ai problemi di sovrapproduzione
agricola USA ed UE, esattamente
l’
opposto dei problemi dei Paesi
Africani.
L’
AoA si occupa di accesso al
mercato, di sussidi all’
esportazione e di sussidi interni.
Qualcuno fa notare che il preambolo cita, nella sua parte finale
“gli aspetti non commerciali, tra
cui la sicurezza alimentare”, ma
nel testo non vi sono indicazioni
che vincolino a questa dichiarazione di principio.
I Paesi membri sono stati vincolati a ridurre i dazi doganali sui
prodotti importati, a convertire le
barriere non-tariffarie in tariffe e
a ridurre i sussidi all’
esportazione.
Ma i Paesi industrializzati partivano da valori molto elevati di sostegno e sono stati abili ad inventare un sistema di “scatole”
in cui sistemare con scaltrezza i
vari sussidi esentati dalle riduzioni.
Per i Paesi Africani invece, l’
AoA
ha vincolato una liberalizzazione
già imposta da FMI e BM, eliminando la possibilità di politiche
flessibili e corrispondenti alle loro
esigenze; accordando piuttosto
un “trattamento speciale e differenziato”ai paesi occidentali.
Ma la riduzione della povertà,
l’
eliminazione della fame sono indissolubilmente legate all’
agricoltura, per questo il negoziato in
corso è fondamentale per il futuro dei paesi africani.
Questo testo spiega brevemente
come dietro a regole apparentemente eque si celi un accordo
dannoso per l’
Africa.
Roberto Meregalli
Beati i costruttori di
pace— Rete di
Lilliput
Abdoulaye Bah
Chiama l’
Africa
La Rete di Lilliput
promuove e sostiene la Campagna
“Questo mondo non
è in vendita”
Versione del 10 luglio
Pubblicata su:
www.retelilliput.org/stopwto
www.unimondo.org/stopwto
il 12 luglio 2003.
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Africa ed AoA
L’
accordo esistente: il contenuto
dell’
Accordo Agricolo
Con la conclusione
dell’
Uruguay Round
(1994), anche il commercio dei prodotti
agricoli finì fra le
competenze del WTO.
Questo settore era infatti rimasto libero dai
vincoli del GATT
(General Agreement
on Trade and Tariff)
sia perché i governi
avevano sempre considerato di loro esclusiva competenza
l’
agricoltura, sia per la
differenza di interessi
che li ha da sempre
divisi su questo tema.
Negli anni ’
80 si fece
però pressante l’
esigenza di trovare una
soluzione agli effetti
delle politiche agricole
dei Paesi sviluppati
sui prezzi dei prodotti
agricoli sul mercato
internazionale.
Apparentemente l’
AoA
si proponeva proprio
di dare soluzione ai
forti squilibri di mercato generati dagli
enormi sostegni destinati dall’
Europa, dagli
Stati Uniti e da altri
Paesi alle rispettive
agricolture nazionali;
o almeno questo era
quanto sostenevano i
suoi sostenitori.
L’
obiettivo dell’
AoA,
riportato nel suo preambolo è infatti quello
“di instaurare un sistema di scambi agri-
coli equo e orientato
verso il mercato”e
che “l’
obiettivo a lungo termine sopracitato comporta riduzioni
progressive sostanziali del sostegno e
della protezione dell’
agricoltura, da attuare lungo un periodo di tempo concordato, onde rimediare
alle restrizioni e distorsioni che colpiscono i mercati agricoli
mondiali e prevenirle”.
Ma nel concreto cosa
stabilisce il testo dell’
AoA entrato in vigore
il 1 gennaio 1995 ?
Stabilisce il comune
impegno di tutti i pae-
Africa ed AoA
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si firmatari ad aumentare l’
acceso dall’
esterno al proprio
mercato e a ridurre i
sostegni interni e i
sussidi all’
esportazione.
Le riduzioni sono state stabilite in maniera
precisa per ogni pro-
dotto su appositi
elenchi prendendo come riferimento il periodo 1986-88 per i
sostegni interni e
quello 1986-1990 per
i sussidi all’
esportazione. Il periodo di
completa applicazione
degli impegni sotto-
scritti era stato definito in 5 anni per i paesi sviluppati e in 10
per gli altri. Perciò entro il 31 dicembre
2004 tutti i Paesi del
WTO dovranno aver
completato l’
applicazione di quanto sta
scritto nell’
AoA.
I tre pilastri dell’
AoA
A c c o r d o s u l l ’A g r i c o l t u r a
Sussidi interni
I sussidi interni sono
forme di sostegno
erogati da un governo
a favore dei propri
produttori agricoli.
Durante i negoziati
per l’
AoA vennero
espressi in termini di
misura aggregata di sostegno,
(MAS) per avere un
indicatore in termini
monetari dei contributi devoluti da uno stato a sostegno di un
preciso prodotto agricolo.
L’
AoA stabilisce che i
Paesi sviluppati riducano tale MAS del
20% nel giro di cin-
que anni, mentre i restanti paesi del 13,3
in 10 anni.
Poiché le forme possibili di sostegno sono
molto diverse e diversi i loro effetti, non
tutte vennero considerate nel calcolo del
MAS, anzi vennero
conteggiate solo
quelle considerate distorsive per il mercato ed inserire nella
cosiddetta “amber
box”.
Sfuggirono perciò agli
impegni di riduzione
tutta un’
altra serie di
forme di supporto:
le misure inserite nel-
la “green box”
(presenti nel secondo
allegato all’
accordo)
considerate poco o
per nulla distorsive e
quelle inserite nella
“blue box”, cioè
quella categoria di
sussidi fornite nell’
ambito di piani di limitazione alla produzione (cioè quei pagamenti erogati ai contadini per non produrre).
Inoltre furono esentati dagli impegni di riduzione tutti quei prodotti il cui MAS non
superava del 5% il
costo di produzione.
Vocabolario:
per “misura aggregata
di sostegno”(MAS) si intende il livello annuo del
sostegno, espresso in termini monetari, fornito per
un prodotto agricolo a favore dei produttori del
prodotto agricolo di base
o del sostegno non connesso a singoli prodotti
fornito a favore dei produttori agricoli in generale.
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Africa ed AoA
Accesso al mercato
Vocabolario:
Barriere non Tariffarie:
Quote
Sono uno dei modi utilizzati
dai governi per limitare
l’
importazione di prodotti
dall’
estero. In pratica viene
stabilito che per un determinato prodotto è possibile
importarne una quantità
stabilita a priori.
Esiste anche la cosiddetta
limitazione volontaria all’
esportazione, praticata
volontariamente dal paese
esportatore, magari per
mantenere più alto il prezzo del prodotto.
Requisiti interni
Anch’
essi intendono favorire lo sviluppo economico
del proprio paese, attraverso regole che stabiliscono
che una percentuale del
valore di un determinato
prodotto deve essere prodotto internamente. (Ad
esempio che un succo di
frutta debba essere prodotto totalmente o in una certa % con frutti prodotti localmente).
Licenze d’
importazione
Anche le licenze possono
costituire un sistema per
limitare le importazioni. Se
per ogni carico di prodotti è
necessaria una licenza, riducendo il loro numero si
riduce il flusso di merce in
entrata.
Parlare di accesso al
mercato, nell’
AoA significa parlare di tariffe, i dazi doganali che
aumentano il costo di
una derrata agricola
una volta superati i
confini di un paese
estero.
Anche qui venne stabilita una riduzione
diversa fra paesi sviluppati e non. Ma non
deve sfuggire che nella definizione degli
impegni sotto questo
capito va considerata
la “tariffication”.
Una delle misure più
rilevanti decise nell’
AoA fu infatti la trasformazione di tutte
le misure nontariffarie (limitazioni
quantitative, licenze
d’
importazione, prerequisiti, eccetera) in
tariffe equivalenti,
considerate come
l’
unica forma possibile
di limitazione delle
importazioni. In pratica ogni paese prese
l’
impegno di eliminare
le barriere non tariffa-
Gli impegni dell’
AoA in breve:
1. ridurre i sostegni al settore agricolo del
20% (per i PVS del 13%)
2. ridurre le spese per i sussidi all’
esportazione del 36% in sei anni, (del 24%
in 10 anni per i PVS)
3. ridurre il volume dei sussidi all’
esportazione del 21%
4. convertire tutte le barriere non tariffarie in dazi doganali, quindi ridurli del
36% in sei anni (del 24% in 10 anni
per i PVS)
5. aumentare la percentuale di consumo
domestico coperta dalle importazioni
del 5% entro il 2000 per ogni prodotto
con una percentuale di importazione
inferiore al 3%.
rie calcolando un valore tariffario equivalente, da sommare
all’
eventuale tassa
d’
importazione esistente.
Una completa tarifficazione non è mai
stata fatta perché la
nuova tariffa per molti prodotti sarebbe diventata una barriera
insormontabile per
l’
import. Perciò si è
ricorso a sistemi di
quote tariffarie che
prevedono quantità
prestabilite importabili con livelli tariffari
sufficientemente bassi
da garantire livelli minimi di accesso.
Attualmente 37 Paesi
WTO hanno in vigore
1.371 quote tariffarie.
Sussidi all’
esportazione
Per i sussidi all’
esportazione, ogni paese si
impegnò alla loro riduzione sia in termini
di volume dei prodotti
sovvenzionati (in tonnellate) sia in termini
di valore assoluto del
sostegno (in dollari
statunitensi). Anche
qui per i PVS la riduzione definita fu minore di quella per i
paesi sviluppati.
Nel dettaglio, i Paesi
sviluppati hanno firmato l’
impegno per
una riduzione del
36% in termini di valore assoluto e del
21% in termini di volume. Per i PVS i valori sono rispettivamente del 24% e del
14%.
Dagli impegni di riduzione è però rimasta
esclusa una importan-
te categoria: quella
dei crediti all’
esportazione, ampiamente
utilizzati dagli USA.
L’
AoA contiene solo
l’
impegno ad avviare
un negoziato per la
loro riduzione (Art.
10). Negoziato mai
avviato.
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Africa ed AoA
L’
AoA alla prova dei fatti
La succinta descrizione delle prescrizioni dell’
AoA non sembra
delineare quel mostro generatore di miseria per i contadini del
sud del mondo, come spesso è stato descritto l’
accordo; in fondo l’
impegno è quello di ridurre le varie tipologie di sussidi e tale
riduzione è differenziata fra paesi sviluppati e non.
Dove sta l’
inghippo ?
L’
Applicazione da parte dei Paesi Africani
Per comprendere cosa
realmente abbiano
guadagnato i Paesi
Africani dalle riduzioni
vincolate all’
AoA, occorre vedere il valore
di tali sussidi prima
della firma dell’
accordo.
Ebbene, considerando
i sussidi interni, se
togliamo il Sud Africa,
paese con un’
economia ben diversa dal
resto del continente,
ed analizziamo il valore dell’
AMS calcolato
per definire gli impegni di riduzione dell’
AoA scopriamo che
tale valore è pari a
zero.
Cioè scopriamo che i
Paesi sub-sahariani
non pagavano alcun
sostegno ai loro agricoltori perché le prescrizioni dei piani di
aggiustamento strutturale (i famigerati
SAPs) prescritti dal
Fondo Monetario Internazionale e finanziati dalla Banca Mon-
diale avevano già fatto piazza pulita di
sussidi e meccanismi
di controllo dei prezzi
prima della firma degli accordi di Marrakech.
Quindi la generosità
dei negoziatori nel
concedere tempi più
lunghi e minori percentuali di riduzione
nei sussidi fu inutile.
Relativamente alle altre forme di sostegno
non inserite nel calcolo dell’
AMS, alcuni
“I Membri si impegnano
ad adoperarsi per l’elaborazione di norme concordate a livello internazionale intese a disciplinare il credito all’esportazione, la garanzia dei
crediti all’esportazione o
programmi di assicurazione e, una volta concordate tali norme, a fornire crediti all’esportazione, garanzie per tali
crediti o programmi di
assicurazione soltanto
conformemente ad esse.”
Articolo 10 dell’AoA
Vocabolario:
Tariffe: con questo termine si indicano le tasse applicate sull’
importazione di prodotti dall’
estero; si tratta di una
delle più antiche forme
di intervento dei governi in economia, con il
duplice scopo di ottenere denaro per lo Stato e
di proteggere i produttori locali dalla concorrenza straniera.
Quota Tariffaria:
Combina l’
idea della tariffa con quella della
quota. In pratica viene
stabilita una quantità
fissa di prodotto che
può essere importata
con una certa percentuale tariffaria, generalmente bassa, sulla
quantità importata eccedente viene applicata
un percentuale molto
maggiore, detta picco
tariffario. Generalmente
questa rende proibitivo
l’
import oltre la quota
base.
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Africa ed AoA
Paesi Africani avevano
limitate forme di sostegno inserite nella
“green box”, come finanziamenti per ricerche di nuove varietà e
nuovi metodi di coltivazione ma comunque con valori insignificanti rispetto agli altri membri del WTO.
Nessun paese africano specificò misure
catalogate nella “blue
box”perché non ne
aveva.
Anche sul piano tariffario, l’
AoA non ha
aiutato molto l’
Africa.
Le tariffe che le
esportazioni dei paesi
africani ancora oggi
incontrano per poter
entrare sui nostri
mercati sono elevate;
per lo zucchero, la
carne, i prodotti lattiero caseari sono almeno cinque volte superiori alla media delle tariffe sui prodotti
industriali.
Esiste poi la piaga
della “tariff escalation”, fenomeno per
cui un dazio doganale
cresce al crescere del
processo subito dal
prodotto, così ad
esempio le tariffe applicate al cacao in polvere o al cioccolato
sono molto superiori a
quella applicata sulle
fave di cacao ostacolando così lo sviluppo
di una industria di
trasformazione locale.
Ma perché le tariffe
dei Paesi occidentali
non sono scese come
promesso ? Perché,
secondo le regole stabilite, i Paesi occiden-
tali hanno potuto applicare il valore minimo di riduzione ai
prodotti su cui erano
più sensibili mentre
hanno fatto le riduzioni maggiori sui prodotti meno importanti.
Inoltre i paesi occidentali inserirono
l’
80% dei loro prodotti nella lista associata
alle clausole di salvaguardia (Special
Safeguards SSGs),
soprattutto cereali,
carne e prodotti ortofrutticoli.
Questa regola permette ad un Paese di
limitare le importazioni di un determinato
prodotto nel caso si
sia verificato un aumento repentino delle
sue importazioni che
abbia danneggiato i
produttori interni.
L’
uso di questo
meccanismo è precluso alla maggioranza dei Paesi
Africani perché si
può applicare solo su
prodotti “tarifficati”.
Mantenere il sistema
speciale di salvaguardia dell’
AoA così com’
è stato definito significa perpetuare la
discriminazione verso
i Paesi impossibilitati
ad utlizzarla a causa
delle scelte attuate in
fase di negoziato.
Riguardo ai sussidi
all’
esportazione,
nessun Paese Africano
ne elargiva (eccetto il
Sudafrica) anche perché in Africa vigeva la
regola inversa, venivano cioè tassate le
esportazioni !
L’
utilizzo dei sussidi
all’
esportazione fu
uno dei punti oggetto
di maggior contenzioso durante l’
Uruguay
Round. USA ed UE
giocarono sporco ricorrendo ad una soluzione dell’
ultimo minuto per ridurre la
portata degli impegni
che avrebbero dovuto
prendere.
Il periodo base considerato per le riduzioni
venne infatti stabilito
come gli anni 199192 piuttosto che
1986-1988 stabilito
per le tariffe, proprio
per poter ridurre di
meno questa forma di
aiuto.
I sussidi all’
esportazione furono molto discussi poiché rappresentano un’
eccezione
in ambito WTO, essendo vietati per tutte
le altre merci, e sono
collegati ai crediti all’
esportazione, cioè
alle linee di credito
aperte da alcuni governi col medesimo
scopo dei sussidi.
Riguardo ad essi non
venne raggiunto alcun
accordo di riduzione,
solo
una
generica
promessa di un futuro
negoziato.
L’
AoA ha sancito perciò il divieto per i Paesi Africani di utilizzare
forme di sostegno alle
esportazioni, mentre i
Paesi occidentali hanno ottenuto la possibilità di continuare a
mantenere il 64% di
quanto erogato nel
biennio di riferimento.
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Africa ed AoA
Le “scatole” dell’
AoA
L’
applicazione da parte dei Paesi sviluppati
I Paesi occidentali,
USA ed UE in testa,
ben sapevano come
sfruttare tutte le nicchie dell’
AoA.
Avevano ed anno le
risorse economiche
per finanziare le loro
agricolture; avevano
ed hanno l’
arroganza
di contraddire anche
quanto firmato.
Relativamente ai sussidi interni, i livelli annuali di AMS nei Paesi
OCSE oggi è superiore
a quello stabilito alla
fine dell’
Uruguay
Round.
L’
Unione europea è
stata molto brava a
spostare molti sostegni dall’
amber box alla blue e alla green
box, cioè a modificare
i suoi contributi in
modo da trasferirli
dalla categoria delle
misure da eliminare a
quelle tollerate.
Ma anche gli USA non
sono stati da meno, in
effetti è falsa l’
affermazione che l’
AoA abbai ridotto i sussidi
interni, ne ha modificato la natura. Con
l’
abbassamento dei
dazi doganali, l’
unica
maniera per continuare a sostenere gli
operatori del settore è
rimasta quella dei pagamenti diretti.
La riforma avviata negli USA nel 1997 tendente a ridurre i sussidi si bloccò al suo
secondo anno di applicazione per la caduta dei prezzi che
l’
Amministrazione
americana decise di
risolvere introducendo
forme di compensazione ad hoc. Con la
Farm Bill (legge finanziaria sull'agricoltura)
approvata lo scorso
anno, nei prossimi
anni saranno distribuite sovvenzioni per
180 miliardi di
dollari.
Per quanto riguarda le
tariffe, la tariffication
ha avuto come effetto
immediato un vertiginoso aumento dei dazi su alcuni prodotti
agricoli, che ha annullato il possibile beneficio della riduzione
del 20%.
Sui sussidi all’
esportazione, l’
effetto dell’
AoA è stato molto
limitato.
La ragione fondamentale di questo è che
l’
accordo parla solo di
sussidi diretti mentre
l’
export dumping è
fatto soprattutto di
sussidi indiretti.
I sostegni dei Paesi OCSE nel 2002
Il livello di sostegno al settore agricolo dei Paesi dell’
OCSE
(Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) non
è cambiato. Complessivamente non c’
è stata né una riduzione degli
interventi protettivi del mercato, né un maggiore orientamento delle politiche agricole verso il mercato.
I livelli dei sussidi non sono cambiati di molto, toccando nel 2002 i
235 miliardi di dollari (249 miliardi di euro), all’
incirca la stessa
cifra del 2001. Gli agricoltori dei Paesi OCSE sono stati pagati con
prezzi mediamente maggiori del 31% di quelli del mercato mondiale (30% nel 2001). Per alcuni prodotti il livello dei contributi è stato
ancora molto alto, del 48% per zucchero e latte, dell’
80% per il riso.
Riassumendo, il valore totale dei contributi al settore agricolo rimane alto, il Valore totale stimato (Total Support Estimate) nel 2002 è
stato di 318 miliardi di dollari (338 miliardi di euro). Ma uno studio OCSE, del gennaio 2003, rivela che la maggior parte di questa
montagna di denaro finisce nelle tasche di un numero relativamente ristretto di grossi produttori e solo il 25% nelle tasche degli agricoltori.
[Agricoltural Policies in OECD Countries: Monitoring and Evaluation 2003].
Amber box: Tutti i sussidi
e altre misure di aiuto che
distorgono il commercio e
la produzione. Si tratta
delle misure che devono
essere ridotte.
Blue box: E' una eccezione alla regola generale
che tutti i sussidi alla produzione devono essere ridotti o mantenuti a livelli
minimi. Comprende i pagamenti tesi a ridurre la
produzione.
Green Box: Sono i sussidi
ammessi perché non considerati causa di distorsione per il commercio.
Vocabolario:
SPS (Agreement on Sanitary and Phitosanitary Measures) & TBT (Technical Barriers to Trade):
L’
AoA porta in dote al WTO
due accordi correlati: l’
SPS
e il TBT.
Dietro queste due sigle si
celano due accordi che regolano le norme sulla salubrità dei cibi che mangiamo
e sulla salute di animali e
piante e sulle regole relative alle etichettature dei
prodotti.
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Africa ed AoA
Le possibilità dei negoziati in corso
Gli squilibri che sono
emersi in questi anni
di applicazione dell’
AoA mostrano chiaramente che ben limitata è stata la sua influenza nel ridurre gli
squilibri del mercato
agricolo.
L’
AoA non è la causa
primaria della crisi
degli agricoltori africani ma certo ha rappresentato lo strumento per consolidare
le riforme liberalizzatrici prescritte dal
Fondo Monetario. Riforme che hanno
smantellato strutture
statali o para-statali
che fornivano una
preziosa assistenza
agli agricoltori e che
avevano creato dei
meccanismi per rendere i prezzi dei prodotti agricoli meno
sensibili alle variazioni
dei mercati internazionali.
L’
AoA ha cancellato
per questi Paesi la
possibilità di avere in
futuro politiche adatte
alle loro esigenze. I
Paesi Africani e più in
generale quelli in via
di sviluppo hanno ripetutamente lamentato questi problemi
appellandosi al Trat-
tamento speciale e
differenziato (TSD)
che il WTO incorpora
nei suoi accordi. Questo punto fa parte
dell’
agenda dei negoziati in corso, ma sino
ad ora nessun risultato concreto è stato
raggiunto.
I negoziati sono concentrati sui tre pilastri
dell’
AoA e, semplificando, vedono tre
schieramenti principali: un gruppo di paesi
moderati che chiedono la riduzione dei
sussidi interni ma il
mantenimento delle
“scatole”stabilite du-
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Africa ed AoA
Il caso del Kenya
L’
Accordo sull’
Agricoltura ha avuto conseguenze molto negative sui
piccoli produttori del Kenya che producono il 75% di quanto l’
agricoltura di questo paese produce, favorendo l’
importazione dall’
estero e la
caduta dei prezzi. Il Kenya assunse a suo tempo impegni per livelli tariffario che non ha mai applicato, non superando una media delle tariffe pari al 20%. Questo anche per il timore di misure ritorsive in caso
di applicazione di tariffe maggiori.
La combinazione di due fattori: l’
abbassamento dei prezzi sul mercato
e l’
assenza di sostegni governativi ha messo in ginocchio i piccoli agricoltori riducendo drasticamente il loro reddito. Si calcola che il 50%
della popolazione non abbia cibo sufficiente ad una alimentazione corretta.
L’
auto sufficienza alimentare del Paese è in declino e il 10% del mais
viene importato. Questa percentuale è in aumento mentre i produttori
locali di mais si trovano ostacolati dalla concorrenza del mais prodotto
all’
estero a prezzi inferiori ai loro costi di produzione.
Per quei prodotti coltivati per l’
esportazione il problema è quello dei
prezzi del mercato internazionale. Dal ’
95 al ’
97 il Kenya esportava soprattutto caffè e tè, la caduta dei prezzi di questi prodotti, in particolare del caffè, ha mandato in rovina molti agricoltori incapaci di sostenere i costi crescenti di sementi, fertilizzanti e pesticidi.
Ma l’
AoA non ha conseguenze solo sugli agricoltori ma anche su coloro
che lavorano nelle industrie di trasformazione collegate (cotone e zucchero). Molti impianti hanno chiuso i battenti causando la perdita di 30
mila posti di lavoro.
[Fonte Consumer Internationals]
rante l’
Uruguay
Round; un gruppo di
Paesi con obiettivi più
ambiziosi che chiedono la riduzione e la
progressiva eliminazione di tutte le misure di sostegno
(comprese quelle della green e blue box);
infine i PVS, compresi
i Paesi Africani, che
chiedono sì una riduzione sostanziale dei
sostegni ma vogliono
ottenere margini di
flessibilità per sostenere la loro agricoltura e proteggere cibi
essenziali per la loro
sicurezza alimentare.
I Paesi africani hanno
in sostanza bisogno di
poter utilizzare le po-
litiche che Europa ed
USA hanno usato per
decenni e che continuano ad utilizzare;
chiedono che il
“trattamento speciale
e differenziato”non
consista in qualche
facilitazione per aiutarli ad adeguarsi alle
regole del WTO ma
piuttosto che le regole
del WTO si adeguino a
loro !
Quello di cui i Paesi
Africani hanno bisogno è di poter
“violare”i dogmi del
WTO, è inutile nascondere questa verità.
Parimenti hanno bisogno che i Paesi sviluppati rispettino gli im-
pegni di eliminazione
delle distorsioni dovute alle loro politiche,
per questo necessitano di una sede multilaterale di regolazione
del commercio.
L’
Unione Europea deve impegnarsi in maniera reale e non solo
retorica per una drastica riduzione dei
sussidi all’
esportazione (di questo tipo di
sussidi detiene il record di utilizzo con
l’
80% di quelli elargiti
dai paesi sviluppati).
Finché esisteranno le
sovvenzioni alla produzione e alla commercializzazione agricole sarà difficile per i
Paesi Africani avviare
•
Tariffe in alcuni
Paesi Africani
In Botswana, le tariffe
applicati sui prodotti agricoli importati variano dallo 0 al 35% con una media del 6%. In Kenya la
media è del 17% In Senegal variano dal 20 al
65%.
•
Le super tariffe
occidentali in alcuni
prodotti
Mediamente le tariffe applicate attualmente da
USA ed UE sull’
import di
prodotti agricoli sono abbastanza basse (12% i
primi, 30% i secondi),
ma su alcuni prodotti esistono dazi molto elevati,
delle “megatariffe”che
arrivano al 350% o addirittura al 500%. Ne sono
un esempio il grano (per
l’
UE) , lo zucchero e i
prodotti lattiero-caseari.
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I Direttori di Banca Mondiale,
WTO e Fondo Monetario Internazionale.
Africa ed AoA
una produzione agricola capace di affrontare nel proprio interno e sul mercato internazionale le produzioni sovvenzionate e
di generare eccedenze capaci di iniziare
un processo di industrializzazione. E senza un legame tra la
produzione agricola e
una industrializzazione basata sulla trasformazione dei prodotti agricoli, anche
solo per il consumo
interno, i paesi africani non centreranno
nessuno degli obbiet-
tivi di sviluppo fissati
dalle Nazioni Unite
per il presente Millennio.
Rivedere l’
AoA avrà
dunque senso solo
partendo dal fatto che
i Paesi africani con
l’
AoA non hanno visto
aumentare le loro
possibilità di esportare; non hanno guadagnato alcuna protezione per i loro prodotti, hanno visto
piuttosto un aumento
delle esportazioni dei
prodotti agricoli occidentali sui loro mercati e di fronte a que-
sta “invasione”non
hanno potuto invocare alcuna misura di
salvaguardia.
Appare chiaro che la
via migliore sarebbe
proprio l’
esenzione totale dell’
agricoltura
dai vincoli del WTO e
che sarebbe necessaria una diversa sede
multilaterale che mettesse al primo posto
non il commercio, ma
la sicurezza e la sovranità alimentare.
Certo questa ipotesi
appare oggi come una
fragile utopia.
E le imprese ?
Leggendo l’
AoA si è sempre soliti parlare di esportazioni americane e di
vendite sottocosto Europee. Ma gli Stati sono direttamente coinvolti sul
fronte del commercio solo se possiedono società che hanno il monopolio
del commercio di determinate derrate, (le state-trading enterprises). Sfugge al dibattito che a comprare dagli agricoltori e commerciare sono società
come Nestlé, Cargill e Carrefour.
Così come in altri comparti, nel corso degli ultimi anni c’
è stata una sequenza di acquisizioni che ha ridotto il numero delle compagnie sul mercato agroalimentare. Il 60% dei terminal per il trasporto di granaglie è di
proprietà di quattro cocietà: Cargill, Cenex Harvest satets, ADM e General
Mills. L’
82% dei cereali esportati è diviso fra Cargill, ADM e Zen Noh.
Sempre più spinta è la concentrazione anche nel settore delle vendite dove
gli analisti prevedono in futuro 5/6 global competitors: Wal-Mart (USA),
Tesco (UK), Ahold (Olanda), Carrefour (Francia) e Metro AG
(Germania).
Oltre alla cosiddetta concentrazione orizzontale, negli anni recenti si è avviata
una integrazione verticale tendente a costruire compagnie in grado di presenziare le diverse della produzione di un alimento. Il numero ridotto di grandi
compagnie in grado di dominare ogni anello della catena di produzione agroalimentare significa che queste società possono esercitare una grossa pressione
per sostenere i loro prezzi di vendita e di esercitare analoghe pressioni, ma in
senso opposto, per mantenere bassi i prezzi dei prodotti agricoli che acquistano.
Gli agricoltori guardano con preoccupazione a questa situazione, soprattutto
vedendo che mentre l’
agricoltura è perennemente in condizioni difficili e le piccole aziende chiudono, le multinazionali continuano a crescere e ad aumentare
i loro profitti.
In queste condizioni, una ulteriore riduzione dell’
intervento governativo sul
mercato agricolo, sarà a favore dell’
Agribusiness, così come il regime di sussidi
vigente non modifica le storture del mercato, ma semplicemente lo mantiene
in vita. E’fondamentale che il tema della concentrazione di potere e del fallimento del mercato entri nell’
agenda dei negoziati per il rinnovo dell’
AoA.
[Il ruolo delle imprese agroalimentari nell’
agricoltura, 20/6/2002 Retelilliput]
Africa ed AoA
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L’
Africa e il G8: Parole, parole, parole.
Prima del loro incontro ad Evian dal 1 al 3 giugno 2003, i capi di
stato e di governo degli 8 paesi più industrializzati del mondo avevano promesso di dare un ampio spazio nei loro di dibattiti, alla ricerca di soluzioni ai problemi dei paesi africani. Per convincere la loro opinione pubblica che questa volta facevano sul serio avevano invitato ad Evian anche Algeria, Egitto, Senegal e Sud Africa, i promotori del NEPAD. Al loro arrivo i leader africani si sono resi conto
che non erano i soli invitati e che quindi probabilmente di Africa si
sarebbe parlato, ma accanto a tanti altri problemi, senza l’
attesa attenzione.
Di aiuti i signori del G8 ne hanno parlato, ma soprattutto hanno fatto promesse nel loro documento sul monitoraggio della realizzazione del loro Piano di azione per l’
Africa adottato nel loro precedente
meeting di Kananaskis (Canada) del 2002. Ma queste sono parole,
parole e ancora parole che non aiutano a curare i malati, a mandare
a scuola i bambini, a sfamare chi ha fame, ad alleggerire il lavoro
della donna, a dare accesso ai servizi o semplicemente speranza a
tutti quei giovani che sono costretti a lasciare il proprio paese per
rischiare la vita pur di trovare un posto lontano da quelle miserie.
I fatti sono che dal 1992 al 2002, se gli aiuti allo sviluppo destinati
ai tutti i paesi in via di sviluppo e quelli dell’
Europa centrale, sono
passati da US$52,3 miliardi a US$57, questo incremento è dovuto
principalmente al contributo da parte degli altri 14 paesi più ricchi
del mondo. In realtà considerando la crescita del prodotto interno
lordo (PIL) dei paesi più ricchi del mondo, questo aumento rappresenta una forte diminuzione degli sforzi per l’
aiuto allo sviluppo. Infatti nel 1992 l’
aiuto allo sviluppo equivaleva allo 0,33 per cento del
PIL contro lo 0,23 per cento del 2002. Secondo l’
Organizzazione per
la cooperazione allo sviluppo economico, che raggruppa i 30 paesi
più ricchi del mondo, se la percentuale di PIL del 1992 fosse stata
mantenuta, il livello degli aiuti sarebbe stato di circa US$ 82 miliardi
nel 2002. Dei G8, soltanto la Francia con lo 0,36 riesce ad arrivare
all’
ottavo posto dei 10 maggiori donatori in base al PIL. Eppure è
nel 1972, che i paesi più ricchi avevano promesso di destinare lo
0,70 per cento del loro PIL all’
aiuto allo sviluppo, già allora segnando un passo indietro rispetto all’
1% promesso negli ‘
60.
I fatti sono che le speculazioni e la pressione verso il basso hanno
dimezzato dal 1992 al 2002 il prezzo del caffè, la maggiore fonte di
reddito di molti contadini africani riducendolo a soli US$ 5 miliardi
oggi, mentre le vendite al dettaglio nei paesi del Nord si sono raddoppiate generando un reddito di US$ 70 miliardi. Nelle mani del
produttore i prezzi diminuiscono e in quelle degli speculatori e per
l’
erario dei paesi ricchi essi aumentano ad ogni stadio di trasformazione. Vengono cosi penalizzati il produttore e il consumatore. Il
giorno della chiusura della conferenza dei G8 a Evian, il prezzo del
caffè era al suo livello più basso da due anni e quello del cacao da
16 mesi.
Foto di gruppo al G8 di Evian
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Immagine del G8 di Evian:
Chirac e Lula
(1): « DE DOHA A PITTSBURGH: RECENTS DEVELOPPEMENTS DANS LES
RELATIONS COMMERCIALES TRANSATLANTIQUES », Rapport de la
sous-commission sur les
relations économiques
transatlantiques, ottobre
2002, www.nato-pa.int).
Africa ed AoA
I fatti sono che milioni di piccoli contadini africani sono rovinati perché non possono competere né sui mercati locali, tantomeno su
quelli internazionali perché i paesi più ricchi ricorrono alle sovvenzioni agricole per proteggere i loro produttori. Eppure l’
OMC è stata
creata per instaurare per fare rispettare i principi fondamentali di
trasparenza, di uguaglianza di trattamento tra i paesi membri e per
l’
eliminazione di ogni forma di discriminazione nelle transazioni commerciali. I paesi africani, hanno implementato delle politiche di aggiustamento per rispettare le regole dell’
OMC, nella speranza di diventare più competitivi ed aumentare il livello delle loro esportazioni. Ora si trovano nella condizione di non riuscire a sfamare tutta la
popolazione né di avviarsi sulla strada dell’
industrializzazione perché
mentre da una parte ostacoli tariffari e di altra natura, rendono difficile l’
accesso ai mercati più ricchi, prodotti di seconda mano a prezzi
irrisori ed altri di qualità migliore, ma di basso costo a causa delle
sovvenzioni, tolgono loro ampie fette del mercato locale.
Un documento della NATO riconosce che in “generale, il Nord America e l’
Unione Europea si sono mostrati consenzienti per la liberalizzazione del commercio per i prodotti per i quali hanno dei vantaggi
concorrenziali, ma hanno anche affermato di essere determinati a
mantenere tutte le protezioni necessarie per i loro settori vulnerabili.”(1).
Purtroppo tanti prodotti che l’
Africa produce rientrano tra quelli che
Americani e Europei considerano come settori vulnerabili: la frutta, i
cereali e cotone. Per questo ultimo prodotto, in pochi decenni la produzione dell’
Africa occidentale e centrale è passata da 200 000 tonnellate l’
anno a circa un milione di tonnellate nel 2001-2002, piazzando l’
insieme della loro produzione al sesto posto tra i produttori
di tutto il mondo, col 17 per cento della produzione mondiale. Anche
se con minore importanza per la propria economia, altri 12 paesi
producono cotone. Alcuni tra i paesi più poveri del mondo traggono
fino al 60 per cento delle entrate delle esportazioni agricole da questo solo prodotto. Soltanto in Africa occidentale e centrale, oltre 13
milioni di persone vivono della coltura di cotone. Ma nel frattempo il
prezzo del cotone è sceso ai livelli più bassi da trenta anni.
Eppure in Africa i costi di produzione sono bassi e la qualità è competitiva. Di fatti la produzione di una tonnellata di cotone in Africa,
richiede meno del 50 per cento di spese che negli Stati Uniti. Quello
che le grosse agro-industrie del Texas non riescono ad ottenere con
la leale competitività lo ottengono con le sovvenzioni agricole. I 25
000 produttori di cotone americani ricevono US$3,7 miliardi, l’
equivalente di 1,6 volte il prodotto interno lordo del Burkina Faso. L’
Europa con la sua PAC paga in sovvenzioni 700 milioni ai produttori di
cotone di Grecia e Spagna. Eppure produrre cotone in questi due
paesi costa tre volte di più che nel Mali. Ma non hanno problemi di
smercio perché queste sovvenzioni rappresentano il 160 e il 180 per
cento del prezzo del prodotto sui mercati internazionali. La Cina, il
più grosso produttore di materie tessili, versa US$1,2 miliardi ai suoi
coltivatori di cotone.
Africa ed AoA
Queste produzioni sovvenzionate provocano un eccesso di offerta
sul mercato internazionale e il crollo dei prezzi. Inoltre le sovvenzioni annullano gli effetti degli aiuti internazionali, basti pensare che il
totale dei sussidi ha rappresentato 25 volte l’
ammontare di tutti gli
aiuti ricevuti dai paesi a Sud del Sahara nel 2001. Secondo il Presidente del Burkina Faso il suo paese ha perso il 12 per cento del valore delle sue esportazioni, il Mali e il Benin hanno perso l’
otto e il
nove per cento, rispettivamente.
A causa di queste distorsioni alla libera concorrenza. Sono 17 i paesi africani che vedono il loro ritmo di crescita rallentare in questo
modo. Considerando la loro debolezza contrattuale in sede internazionale, OMC in particolare, hanno deciso di unire le loro forze e di
agire di concerto. Hanno iniziato il Mali, il Burkina, il Benin e il Ciad,
mandando all’
OMC la loro “Inititive sectorielle en faveur du coton”,
il 30 aprile scorso. I paesi africani chiedono all’
OMC che i paesi che
sovvenzionano la loro produzione agricola presentino a Cancun, un
piano per la diminuzione progressiva delle sovvenzioni e la fissazione di una data entro la quale cesseranno completamente. Chiedono
anche che nel frattempo i paesi che ne sono vittime siano indennizzati. In altre parole chiedono alla organizzazione mondiale di fare
applicare le regole che giustificano la sua creazione, cioè trasparenza, e eliminazione delle sovvenzioni e uguale trattamento dei prodotti sul mercato internazionale.
Per sostenere questa iniziativa, il presidente del Burkina Faso, il 10
giugno 2003, si è addirittura presentato a Ginevra, nella sede dell’
OMC per presentare a tutti i membri del Consiglio generale, le rivendicazioni dei paesi africani produttori di cotone.
Tutte le agenzie specializzate delle Nazioni unite e varie organizzazioni intergovernative dei paesi più ricchi hanno riconosciuto l’
urgenza di
eliminare le sovvenzioni agricole, ma i politici di questi stessi paesi rifiutano di prendere qualsiasi azione positiva in questo senso. Ad
esempio l’
UE e l’
OMC si mostrano fiduciosi sull’
accordo raggiunto sulla
nuova PAC in Lussemburgo il 26 giugno. Ma per la verità per questo
accordo è una altra prova della mancanza di volontà da parte degli
Europei perché si tratta solo di un giuoco di scrittura contabile. Le
sovvenzioni aumenteranno, passando dagli attuali 42 miliardi annui
fino al 2006 ai 45 miliardi del 2007 e ai 48,5 miliardi nel 2013.
Secondo il sopracitato documento della NATO (paragrafo No.83), nonostante i paesi ricchi abbiano ridotto le loro restrizioni commerciali
nel corso degli ultimi 50 anni, continuano a proteggere la loro produzione a forte intensità di manodopera dai prodotti similari provenienti
dai paesi poveri, quindi maggiormente africani. Questo fatto costituisce un ostacolo serio allo sviluppo economico di questi paesi. “La migliore politica di aiuto allo sviluppo che un paese sviluppato possa
mettere in atto sta nell’
aprire il proprio mercato a questo tipo di prodotti”. Le cannonate non fermeranno, a costo della loro vita i poveri
disperati che scappano dalla miseria, dalle malattie e dal sottosviluppo che i mercanti di schiavi continuano a sbarcare sulle coste dei
paesi ricchi. Il rimedio è uno solo: sviluppo. Nessuno lascia di buon
grado il proprio paese se vi ha buone condizioni di vita e prospettive
migliori per l’
avvenire.
Abdoulaye Bah - [email protected]
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G8 di Evian: incontro bilaterale
Cina - Francia