Il settore assicurativo per un welfare moderno
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Il settore assicurativo per un welfare moderno
Giornate della previdenza “Il settore assicurativo italiano per un welfare moderno” Napoli, 14 maggio 2015 Aldo Minucci, Presidente Ania Permettetemi innanzitutto di ringraziarvi per aver accolto il nostro invito a prendere parte al dibattito che l’Ania ha promosso sui temi del welfare state nell’ambito della giornata nazionale della previdenza. E’ un saluto che naturalmente si estende ai partecipanti al nostro panel ed ai graditi ospiti che introdurranno i nostri lavori. In occasione di questa giornata il settore assicurativo presenta un bilancio dell’attività svolta l’anno precedente nel comparto previdenziale anticipando alcuni temi che saranno al centro della nostra prossima assemblea di luglio. In un mercato vita che lo scorso anno ha realizzato un record storico, con una raccolta di 110 miliardi di euro, quello della previdenza rappresenta un segmento particolarmente dinamico. Anche nel 2014 gli assicuratori hanno confermato la loro leadership con un incremento del 15% nella raccolta di piani individuali di previdenza, un ritmo molto superiore a quello fatto registrare dai fondi aperti (+7%) e dai fondi negoziali (-0,3%). Su quasi 6,6 milioni di italiani che hanno scelto di aderire ad una forma di previdenza complementare, sono ben 2,5 milioni quelli che hanno dato fiducia ad un piano di previdenza assicurativo. Se poi consideriamo anche il ruolo rilevante svolto dalle compagnie nei segmenti dei fondi negoziali e dei fondi aperti il nostro settore è senza alcun dubbio il principale player al quale gli italiani si rivolgono per integrare le prestazioni del sistema previdenziale pubblico. È un bilancio che ci rende orgogliosi, ci carica di nuove responsabilità ma anche di maggior impegno visto che rimangono ancor ampie le fasce di cittadini, soprattutto giovani, prive di una copertura integrativa. La crisi economica non favorisce certamente l’accumulo di risparmi previdenziali ma c’è anche un gap di conoscenza che va colmato. I giovani occupati non sono pienamente consapevoli del prevedibile livello delle loro future pensioni pubbliche, così da poterle per tempo integrare con piani integrativi. Tutto ciò favorisce indifferenza e fatalismo. Soltanto in queste settimane il neo presidente dell’Inps ha finalmente annunciato l’avvio, a partire da maggio, del progetto di “busta arancione”. Cioè di un simulatore, disponibile presso il sito web dell’Inps, con il quale i lavoratori interessati potranno calcolare l’importo delle future pensioni sulla base dei contributi già versati e del prevedibile andamento della loro carriera e delle variabili macroeconomiche. È uno strumento utile, auspicato dal mondo assicurativo, ma prima di metterlo in pratica sono passati anni. Era Il 22 aprile del 2009 quando l’allora Ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, annunciò in parlamento che entro l’anno successivo ogni cittadino avrebbe ricevuto “una certificazione annuale con il proprio estratto conto previdenziale e la proiezione della propria futura pensione”. Da quell’annuncio sono appunto passati 6 anni. L’amministrazione pubblica e la politica spesso non hanno la dimensione nel tempo. Anche i progetti che appaiono di più semplice esecuzione rimangono nei cassetti per anni prima di venire attuati. Ma la mancanza di tempestività e lungimiranza in un intervento di riforma può aggravare i problemi, renderli addirittura irrisolvibili. La storia del welfare state in Italia è piena di questi esempi. Il Ddl “Concorrenza” di cui il Parlamento sta iniziando l’esame in queste settimane, ha finalmente riconosciuto il diritto alla portabilità incondizionata del contributo datoriale in caso di trasferimento della posizione verso un’altra forma di previdenza complementare. Si tratta di una libertà di scelta elementare, da sempre richiesta dal mondo assicurativo, che permetterà ai lavoratori di portare i propri risparmi previdenziali (anche quelli del datore di lavoro) dove sono meglio gestiti, eliminando inefficienze e ingiustificate rendite di posizione. Ma per ottenere un simile riconoscimento sono stati necessari ben 10 anni ed ancora non abbiamo la certezza del risultato. Sul tema si preannunciano battaglie di retroguardia ormai inaccettabili. Anche nel campo dell’assistenza assistiamo a fatti analoghi. A distanza di tre anni dal decreto Balduzzi deve ancora essere emanato il decreto attuativo del ministero della Salute per favorire le coperture assicurative dei medici dal rischio di malpractice. Per non parlare delle tabelle di risarcibilità dei danni fisici gravi, una problematica che interessa non solo i medici ma anche gli automobilisti vittime di un sinistro. È un adempimento che attende di essere attuato da un decennio. In questo breve saluto ho voluto richiamare l’importanza del fattore tempo, troppo trascurata in questi anni, perché – lasciatemelo dire – il tempo stringe. Il riordino del welfare state rappresenta un fattore fondamentale per un’uscita dalla crisi duratura e sostenibile. Giungere ad un sistema integrato pubblico-privato è un’esigenza indifferibile per dare certezze agli italiani sulle future prestazioni previdenziali e assistenziali. L’azione di riordino si è fermata a metà del guado. Nella previdenza la riforma del 2005 ha dato un assetto definitivo alle diverse forme di pensione complementare (collettive ed individuali) ma si tratta di attuare quelle previsioni di legge che in molti casi rimangono ancora sulla carta. Quanto alla sanità e l’assistenza il cammino è soltanto agli inizi. Manca un testo unico delle forme di sanità integrativa e che includa a pieno titolo anche le forme di assistenza individuale e assicurativa tra quelle meritevoli di essere incoraggiate dallo stato e comprese in un sistema unitario. L’Italia è, tra i paesi europei, quello che detiene la quota maggiore delle spese sostenute di tasca propria dai cittadini per prestazioni sanitarie che il sistema pubblico non riesce più a erogare. E sono ormai 3,7 milioni i nostri connazionali che – ha stimato il X rapporto del Ceis, il Center for economic and international studies - dichiarano di non potersi permettere cure di cui avrebbero bisogno. Sono dati allarmanti che richiedono risposte tempestive e assunzioni di responsabilità da parte dei soggetti economici ma soprattutto da parte della politica che deve fare le sue scelte e deve farle in fretta. Una riforma della sanità che realizzi un efficace sistema misto pubblico-privato ridurrebbe l’area degli esclusi razionalizzando la spesa e concentrando le risorse pubbliche laddove sono realmente necessarie. In un nuovo assetto gli assicuratori verrebbero chiamati a svolgere un ruolo ancora più rilevante non soltanto nell’assicurare risarcimenti di spese sanitarie ma anche – è la sfida più impegnativa che abbiamo di fronte come erogatori diretti di servizi sanitari. Come vedete sono molti gli spunti per il nostro dibattito e sono convinto che il confronto che avremo stamattina sarà ricco di spunti e proposte operative per le impegnative scadenze che abbiamo di fronte per i prossimi mesi.