Ed ho convinto le stelle a cadere

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Ed ho convinto le stelle a cadere
Bologna più che una città … è una famiglia!
Ed ho convinto le stelle a cadere
di Emanuele Muccillo
Ed ho convinto le stelle a cadere,
a brillare per me un’ultima volta,
e adesso ch’è sì fredda la nera volta
l’inverno durerà tre primavere.
Ed ho scritto su nuvole di carta
le poesie più dolci della storia,
per l’amore, per il tempo e la gloria,
o solo per te: la mia Musa più alta.
Ed ho strappato tutti i fiori al mondo
ai tuoi capelli per farne ghirlanda;
ora il tuo aroma è di muschio e lavanda
e la tua bocca in ogni mio ricordo.
Ed ho sognato più di mille notti
le tue mani sugli occhi e sulla pelle,
sulle mie labbra e le tue labbra belle,
tra le tue gambe, e gli umori più forti.
Ed ho amato le tue gote olivastre,
i tuoi seni come lamponi acerbi,
le tue vesti di raso e senza lembi;
le tue lacrime, di miele e salmastre.
Ed ho visto poi il Sole al tramonto
quando la brezza accarezzava il mare,
quando le onde sembravano parlare
e paziente, il tuo viso, in ogni porto.
Ed ho giurato, ho giurato alla vita,
ai tuoi occhi di porpora e gelsomino,
al tuo viso e alla tua pelle di lino,
al tuo cuore, e alla tua bocca dipinta.
Bologna più che una città … è una famiglia!
Ed ho sporcato la voce in una grido,
le mie gambe, i miei sogni, la tua vita;
e mi chiedo: se oramai è già finita,
perché allora, amore mio, già sorrido?
Ho composto versi
di Emanuele Muccillo
Ho composto versi così leggeri,
in mezzo a nodi di filo spinato;
li ho scritti adesso, così come ieri,
“rime nuove” di un poeta umiliato.
L’inchiostro è scialbo e sempre più irretito,
la mano è lenta e così delicata,
è come il movere di un dolce invito,
come acqua di una foce mutilata.
Sento il vocìo di liriche innate,
di quei cantori dall’animo buono;
e dolci laude appena sussurrate,
teneri elogi tra la veglia e il sonno.
Il mio amore s’illude, s’innamora,
tra la peste e la vacua giovinezza,
e la Notte a lui si mostra, lo sfiora
finché il giorno viene, infine lo spezza.
Resto solo, ingobbito, cagionevole,
tra voci assordanti e labbra serrate,
qui da solo, solo e così arrendevole
come ramo ardente, nella fredda estate.
Come germogli intrusi
di Emanuele Muccillo
Era come affogare lentamente
in quei suoi occhi di fuoco e stalattite,
sulla sua pelle morbida e lucente,
Bologna più che una città … è una famiglia!
tra le sue gambe sinuose e infinite.
Il suo ventre asciugava il mio sudore
intriso nei suoi capelli ramati
senza parole o brandelli d’amore;
nudi, come foglie e rami spezzati.
Il suo corpo tingeva le lenzuola,
il suo respiro vorticoso e lento,
le mie mani e la sua tenera gola,
i miei denti e il suo dolcissimo mento.
Così piccola e così delicata,
così preziosa, splendida e infinita,
così gracile, tiepida e sognata,
così vera, così Lei, così vita.
La morte in fondo ha un nome così dolce,
uno di quelli che uccide i rimpianti;
e bastano due occhi, due sole gocce
per bere il mare intero in pochi istanti.
La guardo, ed è come guardare il cielo
quando il Sole perde tutti i suoi raggi
e l’oceano, tra sassi, vento e gelo
parla al cuore di tutti i suoi naufragi.
E’ come guardare il mondo dall’alto,
come risvegliarsi con gli occhi chiusi,
mentre i fiori da un soffitto d’asfalto
ci osservano come germogli intrusi.
E scoprirsi diventa così inutile
se i miei versi si veston già di lei,
se questa mia voce è come un canto umile
tra le sue labbra rosse e i sogni miei.
Era come annegare tra le lacrime,
bagnarsi in un giorno di fioritura
quando in inverno sbadigliano le anime,
come ammalarmi di una dolce cura.
E così mi arrendo, sempre mi arrendo
a quel mare che dai suoi occhi trabocca,
al suo seno e a quel bacio così freddo,
al suo bel viso che al mio amor si tocca.