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IL GRUPPO DI APPRENDIMENTO Riflessioni su un’esperienza Dela Ranci* Riassunto Nella prima parte questo contributo ripercorre il significato e la valenza del “gruppo” in un setting di apprendimento; nella seconda parte propone, attraverso l’esperienza didattica della Scuola di specializzazione in psicoterapia del Centro di Psicologia e Analisi Transazionale di Milano, l’evolversi del processo di apprendimento di un gruppo/classe, evidenziando e descrivendo alcune tappe significative. Abstract LEARNING GROUP. THINKING OVER AN EXPERIENCE. The first part of the article presents general considerations on the “group” significance and meaning in a learning group setting. The second part proposes the development of the learning process in a specific group class inside the School of specialization in psychotherapy training program at Centro di Psicologia e Analisi Transazionale in Milan. Premessa: individuo e gruppo di appartenenza «Nella vita psichica del singolo, l’altro è regolarmente presente come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico e, pertanto, in questa accezione più ampia, ma indiscutibilmente legittima, la psicologia individuale è anche, fin dall’inizio, psicologia sociale». (Freud, 1921). Da questa prima affermazione di Freud si è venuto via via sviluppando il concetto che la mente umana è il risultato dell’interazione dinamica di diverse componenti; la struttura psichica è considerata una struttura evolutiva a base intersoggettiva. L’uomo è il prodotto dell’interazione con gli altri esseri umani. Il Sé, l’identità, si costruisce, può emergere solo nella relazione con l’altro, con gli altri; ognuno sviluppa un concetto di Sé che è influenzato dalle valutazioni delle persone percepite come significative. (Sullivan, 1953). La psicologia del Sé attraverso molteplici autori e, più recentemente, la teoria dell’intersoggettività, ci portano ad affermare che «la psiche singola è un prodotto psicologico che si cristallizza all’interno di nessi relazionali intersoggettivi». (Stolorov, Atwood, 1992). E’ il rapporto con altri esseri umani che garantisce all’uomo di sopravvivere; è il contatto sociale che consente al singolo di trovare una risposta alle proprie esigenze biologiche, psicologiche e sociali. (Berne, 1964). Senza legami interpersonali non sarebbe stata possibile la sopravvivenza della specie umana e la sua evoluzione; l’uomo, fin dalle origini della sua storia è vissuto in gruppi caratterizzati da rapporti intensi e continuativi. Il “gruppo” è esperienza costitutiva di tutti gli esseri umani; «sempre vi sono stati e vi saranno sempre dei gruppi finché l’uomo sopravviverà su questo pianeta». (Rogers, 1970). * Dela Ranci, psicologa, psicoterapeuta, analista transazionale didatta in formazione. E’ presidente del Centro di Psicologia e Analisi Transazionale di Milano. 1 Per Foulkes, il fondatore della gruppoanalisi, «il gruppo è la matrice della vita mentale dell’individuo» (Foulkes, 1973), parte costitutiva del suo mondo interiore. L’essere umano nasce, cresce, vive in situazioni di gruppo; è all’interno del gruppo primario familiare e sociale che costruisce la propria identità e, successivamente, è all’interno di situazioni gruppali che si situa la possibilità di accedere a dimensioni altre ed a processi di cambiamento. Il gruppo può essere considerato un laboratorio, uno spazio per approfondire le strutture dell’identità primaria, per attivare processi di trasformazione. Per l’individuo, la vita all’interno dei gruppi (familiari, professionali, ecc.) è fondamentale per lo strutturarsi della psiche, per il processo di identificazione, per l’elaborazione in itinere di un’identità individuale e per riconoscersi in una identità collettiva. L’individuo si costituisce nel rapporto con se stesso, ma anche con lo sguardo dell’altro e occupa un posto nella rete gruppale. E’ possibile distinguere i gruppi di appartenenza primari, sede del processo di identificazione del singolo, della sua identità psicologica ed anche dell’identità culturale specifica di quel gruppo, ed i gruppi di appartenenza secondari molteplici, più o meno definiti, gruppi che accompagnano la persona nel percorso della sua esistenza. In tali gruppi secondari si «presuppone che l’individuazione sia sufficientemente avanzata perché possano esistere rapporti tra individuo e individuo» (Ronchy, 1999). I gruppi secondari completano l’identificazione culturale, hanno una funzione di socializzazione, di interiorizzazione di norme e valori. Vi è una dinamica permanente tra processi primari e secondari e la possibilità di riprodurre e spostare all’interno dei gruppi secondari meccanismi propri ai gruppi primari. I processi primari nei gruppi di appartenenza secondari “si oggettivizzano in forma organizzata” (Ronchy, 1999) in dinamiche riconoscibili. Tali concetti si ritrovano in vari autori: Bion riconosce nella vita e nell’attività di un gruppo due livelli di realtà, il gruppo di base e il gruppo di lavoro, in continuo interscambio ed individua movimenti, dinamiche riconoscibili, “assunti di base” nella vita di un gruppo che riguardano appunto meccanismi mentali primitivi agiti nei gruppi di appartenenza secondari (Bion, 1961). Berne distingue in un gruppo la struttura pubblica e la struttura privata: l’imago del gruppo di quel dato membro. (Berne, 1966). L’imago è storicamente determinata e determina le modalità di partecipazione al gruppo, ha a che fare cioè con le esperienze primarie del gruppo familiare. In tal senso, ogni esperienza di gruppo viene da ciascuno filtrata dalle esperienze originarie. La situazione di gruppo diventa, quindi, il luogo privilegiato per “mettere in scena” e confermare i processi primari di individuazione e, contemporaneamente, per accedere ad esperienze correttive che consentano percorsi di trasformazione (Ranci, 1998). Questo processo di socializzazione secondaria ed interiorizzazione di nuovi codici può incontrare difficoltà quando il gruppo di appartenenza secondario non assicura una sufficiente “protezione” e struttura, salvaguardando contemporaneamente l’integrità del Sé e della identità. I gruppi di apprendimento I gruppi di apprendimento, i percorsi formativi, sono gruppi di appartenenza secondari, spesso impegnativi ed importanti per i partecipanti. La dinamica permanente tra processi primari e secondari costituisce da un lato un’opportunità per favorire processi di apprendimento significativi. Dall’altro una difficoltà: 2 le esperienze passate impediscono l’evoluzione della persona, l’acquisizione di nuove strategie di pensiero e di comportamento. Il processo di apprendimento prevede il confronto con nozioni, apporti teorici, tecnici e metodologici e l’acquisizione di comportamenti professionali coerenti agli apprendimenti in corso. La finalità dei percorsi formativi è la conoscenza “dell’altro”, delle relazioni umane e la conoscenza di sé: «imparare di più sui propri rapporti con gli altri» (Lai, 1976). Tale approccio prevede che il processo di apprendimento consenta non solo una riorganizzazione cognitiva, ma anche emozionale; prevede cioè un cambiamento profondo del soggetto che apprende. La situazione di apprendimento di gruppo favorisce la sinergia tra processi cognitivi ed esperienza affettiva. Infatti, la partecipazione ad un gruppo, in particolare ad un gruppo faccia a faccia, sottende un livello di coinvolgimento emotivo tale per cui diviene ambito privilegiato per favorire processi significativi di cambiamento, luogo per sperimentare appartenenze e per vivere nuovi, diversi processi di individuazione e differenziazione. Il gruppo, dunque, come spazio relazionale per riattivare esperienze primarie ed elaborarle nella realtà della vita del gruppo e per vivere esperienze relazionali nuove, che consentano un processo di cambiamento del soggetto e di accedere a nuove dimensioni nel rapporto con se stessi e con gli altri. L’esperienza nel gruppo di apprendimento risponde ai bisogni emotivi di affiliazione ed all’esigenza di rafforzare nel gruppo di appartenenza secondario la propria identità con il confronto con altri; ed è anche occasione per definirsi ed affermarsi in un processo di cambiamento. Il gruppo di apprendimento, dunque, da un lato risponde alle esigenze di fornire conoscenze, mezzi e strumenti di intervento; dall’altro consente di problematizzare ed elaborare l’esperienza formativa di ogni singolo soggetto, garantendo un luogo di appartenenza e di riconoscimento delle diversità soggettive, di rielaborazione e sistematizzazione del proprio processo di apprendimento. Il gruppo, la funzione del gruppo di apprendimento, diventa elemento determinante per gli obiettivi propri di un percorso formativo. Il gruppo di apprendimento ed il lavoro in gruppo in un setting formativo prevedono precise attenzioni strutturali e scelte metodologiche e relazionali che garantiscano sopravvivenza e coesione al gruppo nel processo di interazione individuo/gruppo, spesso segnato da dinamiche difensive e di resistenza al cambiamento. L’esperienza formativa del Centro di Psicologia e Analisi Transazionale I corsi attivati presso la Scuola di specializzazione in psicoterapia del Centro (riconosciuta con D.M. 9.5.94, GU n° 117 del 21.5.94 e successivo adeguamento con D.M. 25.5.2002, GU n° 160 del 17.7.2001) costituiscono gruppi di apprendimento con specifiche caratteristiche: hanno una lunga durata, quattro anni; esigono una partecipazione assidua ed impegnativa, prevedono lo studio per l’acquisizione di nuove conoscenze e competenze e l’assunzione di comportamenti professionali di grande responsabilità. In tal senso, ogni anno di corso costituisce un gruppo di apprendimento che esige particolari attenzioni a livello strutturale, gestionale e relazionale. Si intende ora richiamare alcune scelte che il Centro ha attivato come garanzie per tutelare questo percorso di apprendimento. Le scelte operate a livello di struttura riguardano aspetti del setting gruppale che garantiscano una funzione di contenitore propria del gruppo, una funzione di holding. La costituzione di un gruppo/classe impone la cura nell’individuazione dei partecipanti attraverso 3 uno o più colloqui di ammissione; la composizione del gruppo prevede di equilibrare elementi di omogeneità e disomogeneità a diversi livelli, prevede anche la definizione di un numero contenuto di allievi. Gli elementi strutturali riguardano, oltre la composizione del gruppo, la definizione della programmazione didattica e organizzativa, con programmi precisamente articolati nei tempi, nell’alternanza dei contenuti e delle docenze; riguardano anche la scelta dell’ambiente, con la disposizione circolare degli allievi e dei docenti nell’aula, così che ciascuno possa vedere ed essere visto da tutti gli altri ed occupare un qualsiasi posto nel cerchio; la definizione di momenti previsti di partecipazione individuale, quali ad esempio i contratti individuali di apprendimento all’avvio di ogni anno ed in altre specifiche occasioni; le verifiche articolate via via anno per anno su item noti ed esplicitati. Tali spazi di verifica, che prevedono autovalutazione, feed-back del gruppo e valutazione dei docenti, consentono relazioni di scambio e confronto via via meno difensive e più autentiche. La chiara definizione degli elementi strutturali, il mantenere, riprendere e riverificare nel gruppo in formazione tali scelte in itinere, garantiscono le esigenze di sicurezza ed appartenenza agite nel gruppo di formazione. Vi sono, inoltre, aspetti di contenuto riguardanti la cultura del gruppo: i valori, i pregiudizi, le aspettative magiche che si esprimono, a volte, nel blocco della comunicazione, della partecipazione all’interno del gruppo; blocco, quindi, dei processi di apprendimento. L’accettazione, l’esplicitazione e via via l’elaborazione di tali dinamiche presume di prevedere spazi di scambio e di riflessione sul percorso didattico e sull’esperienza di gruppo. In apertura delle giornate di formazione a cadenza regolare, quando vi è la presenza dei docenti interni al Centro, sono attivati momenti di scambio nel gruppo/classe. Il cosiddetto “tempo di gruppo” accompagna e scandisce, quasi come rituale ripetuto, ma continuamente rivitalizzato, le giornate di formazione. Tempo di gruppo per dare spazio ai singoli, a domande di contenuto, a considerazioni sulla propria partecipazione al gruppo, alla comunicazione delle proprie incertezze ed insoddisfazioni, alla cristallizzazione di apprendimenti professionali. Infine, attenzione al processo del gruppo, all’evoluzione dell’immagine gruppale dall’indifferenziazione alla progressiva differenziazione, al processo dalla dipendenza all’autonomia, agli eventi interni o esterni al gruppo (nuovi ingressi e abbandoni) possono interrompere o ritardare il processo evolutivo. Ogni gruppo presenta una sua storia specifica che interroga i conduttori e richiede azioni diversificate; è la storia della vita del gruppo. Ogni gruppo vive e pian piano diventa consapevole del proprio ciclo di vita; consapevole della storia del singolo nel gruppo, consapevole della storia del gruppo. Queste storie, le storie dei gruppi, diventano intelleggibili, possono essere raccontate dal gruppo nel gruppo, come momento di apprendimento cognitivo e insight emotivo. Il percorso di un gruppo/classe Attraverso alcuni appunti degli allievi, mi è possibile ricostruire e descrivere la storia di un gruppo classe giunto al termine del proprio training formativo, evidenziando alcune tappe significative. Tale descrizione consente di riconoscere il processo evolutivo di questo gruppo di apprendimento. All’avvio del percorso, nella fase di costituzione del gruppo, al primo anno vi è una prima giornata in cui il contenuto dell’apprendimento proposto è “Il gruppo”: concetto di gruppo nella letteratura, in specifico nella letteratura di Analisi Transazionale. 4 In questa giornata, l’esperienza del gruppo, di questo gruppo/classe, diventa per la prima volta oggetto di riflessioni e di apprendimento. Si propone al singolo di esplicitare il proprio impegno nel gruppo, la propria modalità di partecipazione, e poi di confrontarlo nel gruppo. «Se questo gruppo di formazione fosse un personaggio, che tipo di personaggio sarebbe?» «Con quali aggettivi può essere definito questo gruppo di formazione?» «Qual è, sotto forma di egogramma, il ritratto di questo gruppo?» Percezione del gruppo, descrizione dell’imago sottesa: Il gruppo classe è Peter Pan, è un grande regista, «è curioso, giovane, ricco, disponibile, è aperto al confronto, cerca l’empatia, vuole apprendere rispettando le differenze, condividere, evolvere, sperimentare, senza prevaricazioni». Le aspettative sono grandi, “magiche”, il clima del gruppo idealizzato. Ci si attende accoglienza, accudimento: il gruppo come spazio per ciascuno e per tutti, per le esigenze della propria area Bambina. Il gruppo, dunque, libero di vagare ed esprimersi e ricercare come Peter Pan, il gruppo però anche come un grande regista, un grande genitore, che organizza, definisce, sintetizza, guida la crescita, conduce a produrre. Un momento successivo, al secondo anno, sempre di apprendimento sul “gruppo e le sue dinamiche”, consente di riconoscere il copione di questo gruppo/classe come si è venuto definendo nel proseguire del percorso didattico. Il gruppo è fonte di permessi; permessi di esserci, di essere te stesso, di sentire, di fidarti, di crescere, di riuscire. Il gruppo, nella sua riflessione, definisce anche dei confini per cui «non usare il gruppo di formazione come il gruppo di terapia» ossia «puoi essere presente emotivamente, tenendo presente il contesto». Il gruppo di formazione è riconosciuto quale ambito di apprendimento che coinvolge aspetti cognitivi ed emotivi, ma l’elaborazione personale degli aspetti emotivi richiede un altro setting. Tale distinzione coincide con una tappa significativa nel percorso di questo gruppo, consente una decontaminazione dell’Adulto del gruppo, sottolinea la distanza e lo scambio tra il gruppo di apprendimento e la terapia personale, l’uno risorsa per l’altra e viceversa; gli eventi del gruppo di apprendimento possono essere “materiale” per il percorso terapeutico personale. Questa consapevolezza può consentire di utilizzare a pieno il gruppo come momento di apprendimento, con minori intrusioni del “gruppo di base”, del proprio gruppo di appartenenza primaria. Scrivono infatti i partecipanti che i compiti di ciascuno nel gruppo ora sono: protagonismo: “partecipazione attiva” “portare la propria esperienza professionale” autonomia: “rendersi responsabili del proprio apprendimento” “ognuno regista di se stesso” differenziazione: “individualizzazione dell’apprendimento e del proprio personale iter formativo” confrontazione e scambio delle risorse: “ la formazione passa attraverso il lavoro di gruppo”. Il gruppo è consapevole delle proprie risorse e dei propri limiti; è consapevole del proprio “copione” di gruppo e lo può descrivere puntualmente. Infine, la giornata conclusiva all’ultimo anno sul tema: L’Analisi Transazionale e l’intervento nei gruppi. Questa giornata ha l’obiettivo di rivedere le competenze acquisite 5 rispetto ai gruppi, sia a livello teorico che come strumento di intervento, attraverso una riflessione sul percorso vissuto in questo gruppo di formazione. Il lavoro della giornata è strutturato tenendo conto della prossima chiusura del corso e, quindi, della fase di separazione che ognuno nel gruppo si prepara a vivere. Il brainstorming iniziale attorno alla situazione “gruppo” è finalizzato a focalizzare i partecipanti sugli apprendimenti significativi maturati attraverso le acquisizioni e l’esperienza di gruppo vissuta nel training che va a concludersi. Le parole del brainstorming: Avvicinarsi al distacco. Missione esplicita, missione implicita; un compito del gruppo è esplicitare gli impliciti. Gruppo di lavoro, gruppo di base (Bion). La struttura pubblica – la struttura privata (Berne). Gruppo: maggiore possibilità di cambiamento. Il gruppo ha sempre due livelli di vita, rimanda alla prima situazione gruppale, è evocante la situazione antica. Rapporto io-gruppo, tra appartenenza e differenziazione. Per il conduttore, tenere conto del gruppo e dei singoli. Come appartenere e contemporaneamente differenziarsi. Le fasi legate a questo processo appartenenza/differenziazione. Appartenenza/dipendenza/differenziazione. Le fasi del gruppo e gli assunti di base. Gli eventi esterni e le difficoltà attuali nel gruppo. Il cambiamento nella composizione del gruppo, vissuto come attacco al confine. E’ difficile che un gruppo si definisca con un buon senso di appartenenza senza una buona gestione della leadership. L’imago che il leader ha di quel gruppo è la sua imago del gruppo. Gruppo come micromondo e microcosmo. Quel che succede qui è anche quel che succede a me. Il gruppo è anche e non solo: è di più della somma dei singoli. Da una rapida analisi degli elementi emersi è possibile individuare l’intreccio tra apprendimenti, eventi e vissuti di questo gruppo: Anzitutto la consapevolezza dell’attuale fase del gruppo: la separazione e la necessità di elaborarla. Il rapporto tra storia personale e storia del gruppo. Il ciclo di vita del gruppo, le fasi e la funzione della leadership. L’esigenza di dipendenza. La distinzione tra dipendenza e appartenenza. Il processo di crescita e decontaminazione. La tutela dei confini del gruppo: confine interno della leadership, confine esterno rispetto agli ingressi e alle uscite che bloccano l’evolversi del ciclo di vita del gruppo. Il passo successivo nel lavoro della giornata conclusiva sul gruppo è la richiesta: «scrivete la storia del vostro gruppo di training così come, secondo voi, si è sviluppata». Il raccontare è un raccontarsi, risentirsi per individuarsi: “fare l’album delle fotografie” dalla nascita ad oggi, riconoscere il percorso fatto, dare una forma all’esperienza perché diventi memoria e apprendimento per tutti e per ciascuno, momento di apprendimento emotivo e cognitivo. I partecipanti si organizzano in tre sottogruppi che scrivono tre storie con tre diverse modalità. 6 Primo sottogruppo: una storia “Dal riso in bianco alla paella” Noi col gruppo abbiamo pensato alle fasi del gruppo distinguendo i diversi anni: 1° anno, 2° anno, 3° anno, 4° anno e focalizzandoci sulla costruzione dell’oggetto anche perché è stato un argomento, il primo argomento trattato, come argomento proposto dalla scuola. E abbiamo usato una metafora che ci è servita per dare la forma a questo percorso, una metafora culinaria: dal riso in bianco alla paella. Quindi ci siamo visti al primo anno come riso in bianco perché eravamo appunto come chicchi di riso, un po’ indifferenziati e come se ci aspettassimo dalla scuola, dai cuochi della scuola che ci dessero un condimento, che ci cucinassero per arrivare a quello che noi pensavamo come risultato; ad esempio un risotto alla milanese. Un buon riso appunto con i condimenti messi dalla scuola... per arrivare ad una forma, un buon piatto con tutti i grani di riso. C’è stato un primo momento di disillusione rispetto al risotto alla milanese che è stato dato dalle perdite del gruppo, dal fatto che due persone non hanno proseguito oltre il precorso e poi da ... che ha lasciato all’arrivo dell’ultimo anno. E quindi questa disillusione da questa amalgama del risotto, diciamo così, è stato come prender coscienza che questo corso, questa proposta non portava a quello che ci immaginavamo. Nel secondo anno, c’è stato un po’ come il diventare cuochi. Quindi portando i nostri ingredienti, mescolandoli. Ognuno portava tante cose, ognuno portava i propri ingredienti un po’ a caso. Infatti abbiamo anche pensato all’aggiunta oltre questi chicchi di riso di altri ingredienti, tipo verdure miste, piselli, carote, patate. Nel secondo anno ci dicevamo molto innovativi però anche più anziani…, un po’ come un buon vino invecchiato che veniva ad unirsi a questa ricetta. Noi eravamo lì ad inventare la ricetta del bambino libero però alla fine del secondo anno c’è stata anche la tesina. Questa tesina ci ha fatto riflettere sul nostro punto di vista professionale, per cui noi lì vedevamo soprattutto il “puoi pensare”, puoi essere te stesso, puoi pensare a modo tuo. Il terzo anno si è caratterizzato per l’autonomia; abbiamo vissuto anche un nuovo ingresso, e quindi vi erano ancora elementi diversi nel gruppo, come se fossimo dei chicchi di riso, ognuno con un grado di cottura diverso. Questa autonomia è vista sia all’interno del gruppo, sia rispetto alla scuola con alcuni episodi. Si era molto critici verso gli elementi della formazione, verso i professori, si assumeva più un atteggiamento come gruppo verso, a volte contro, i docenti. Ognuno ricorda di quell’anno, elementi di individualizzazione rispetto al gruppo e poi del gruppo rispetto alla scuola. E tutto questo ci faceva venire in mente che ognuno si sta riconoscendo come individuo, e che era in corso la differenziazione dell’individuo dal gruppo. E questo proprio al terzo anno; un po’ come diceva C.: “Gruppo come cambiamento e crescita”. Soprattutto nei gruppi alla pari dove avevamo sperimentato sia l’autonomia, però anche il giudizio da parte di chi ci proponeva questa autonomia. Poi nel quarto anno, ci vedevamo come un’équipe di cuochi in cui è stata molto chiara la distinzione dei ruoli di ognuno. Per mantenere la metafora, era come trovare il modo perché gli ingredienti potessero stare bene legati insieme, far star bene tutti questi ingredienti diversi. Avevamo visto che in realtà sono diversi e però abbiamo trovato un modo di unirli. E quindi è come se avessimo imparato ad utilizzare degli strumenti: i mestoli, la padella e la scelta della ricetta e quindi a 7 scegliere anche un nome per il piatto da cuocere, vedere che cosa stavamo facendo e vedere che cosa stava venendo fuori; infatti c’è stato anche un momento di riconoscimento di ognuno. Come se questa paella fosse, sempre riprendendo questa metafora, un piatto comune che nutre i cuochi che l’hanno preparato e che aspettano di mangiarlo tutti insieme. L’esame finale è la sperimentazione di quello che abbiamo costruito per far sì che i cuochi siano pronti a far andare avanti i loro ristoranti. Secondo sottogruppo: un mimo in quattro fasi, così descritto successivamente dai partecipanti: Noi abbiamo pensato al gruppo come ad un “bambino precoce”, che vuole arrivare sempre un attimo prima degli altri; un “gruppo un po’ narcisista” ha affermato qualcuno ridendo. I momenti della vita del gruppo, considerati “significativi” perché evolutivi per il gruppo sono stati rappresentati attraverso alcune scene mimate. La storia inizia con la prima scena. Una alla volta arrivano le persone e vengono accolte da un docente che le fa accomodare sulle sedie disposte a cerchio. Il docente rimane in piedi vicino alla lavagna a fogli mobili e inizia a spiegare, guardando ciascuno dei membri, invitandoli a prestare attenzione a quello che lui scrive alla lavagna. I partecipanti del gruppo sono molto attenti e “attratti” dai gesti del docente, che li affascina e li incuriosisce. All’inizio le attenzioni sono tutte rivolte al docente, con il passare del tempo però ogni tanto un partecipante lancia un’occhiata ad un altro, oppure annusa il suo vicino. I membri del gruppo cominciano a guardarsi con una certa curiosità. E’ il primo anno. Qualcuno bussa alla porta, è un nuovo allievo. Il docente lo invita a sedersi con gli altri e anche lui, il docente si siede in cerchio e diventa parte del gruppo. Succede qualcosa di nuovo. Le persone che appartenevano al vecchio gruppo si raccolgono in un angolo emarginando il “nuovo” arrivato, che viene guardato con diffidenza. Le facce delle persone esprimono le domande “chi è?”, “perché?”. Poi poco alla volta i partecipanti si avvicinano al nuovo arrivato e la forma del gruppo torna ad essere quella di un cerchio, le sedie tornano ad essere equidistanti l’una dall’altra. Le persone si sorridono e cominciano a tirare fuori dalle loro borse e dalle loro cartelle fogli e poi ancora fogli, li leggono, scrivono e poi si passano i fogli sempre sorridendosi. Mimano in questo modo il forte apprendimento, lo scambio intellettuale e profondo del secondo anno. Ad un certo punto il regolare e sorridente scambio di fogli, si interrompe le distanze fra le sedie si modificano. Le facce delle persone si incupiscono. Si formano coppie che vengono distrutte dall’intervento di un terzo che arriva rompe con rabbia la coppia e ne crea una nuova. Questo si ripete più volte coinvolgendo tutti i membri del gruppo. E’ la scena delle polarità, dei gruppi fra pari, della competizione, è il terzo anno. Ad un certo punto qualcuno dice con voce decisa “Basta!". Le persone si fermano e tornano a sedere in cerchio ad equa distanza. Hanno tutti un’espressione seria. Ognuno pare essere concentrato su di sé, riprende in mano i suoi fogli e vi scrive sopra il suo nome insieme ad un simbolo, un suo simbolo. Ciascuno rappresenta così il suo modo singolare di legittimarsi un personale stile terapeutico. Una legittimazione prima personale e poi di gruppo. Infatti ciascun partecipante una 8 volta scritto il proprio nome e il proprio segno di riconoscimento lo guarda e poi lo mostra agli altri. E’ il quarto anno, la legittimazione delle differenze. Ecco che le persone raccolgono i loro fogli, si salutano e una alla volta come sono arrivate se ne vanno ciascuna con in mano il suo foglio che porta il suo nome e il segno del suo modo unico di essere terapeuta. Terzo sottogruppo: una riflessione in sottogruppo. Un sottogruppo, seguendo la consegna, ha ripensato a quelle che erano le iniziali immagini del gruppo proprie dei partecipanti. Sono tornate alla memoria immagini insieme ad emozioni proprie dei primi tempi di scuola. Una persona ha ricordato che all’inizio vedeva il gruppo come una vasca da bagno per il suo clima caldo ed accogliente. Un’altra ha ricordato che all’inizio il gruppo le rievocava l’immagine di una classe con i banchi “tipo quelle delle scuole elementari” e lei si vedeva seduta nel banco più prossimo alla porta, per poter uscire se voleva. Un’altra ancora, entrata nel gruppo solo quando questo si era già formato, lo vedeva come una costellazione di cui lei era una stella distante. A partire da queste immagini è stata ripercorsa la storia del gruppo. In particolare le persone che erano uscite dal gruppo e anche le gravidanze dei quattro anni e dei quattro bambini nati. Il filo rosso della storia del gruppo è la “protezione” o sviluppo di una autoprotezione personale stimolata da un’esperienza di gruppo in cui i momenti “critici” (uscita di un membro, condivisione di traumi) non vengono evitati, ma anzi vengono vissuti e facilitati dal gruppo che protegge e si protegge. La storia del gruppo è, pertanto, la storia di ogni terapia dove ogni persona con cui il terapeuta lavora apre in lui suoi ricordi, suoi frammenti di storie e di conflitti. Il terapeuta per questo è chiamato a proteggere se stesso, l’altro e la loro relazione perché questa sia evolutiva. Alcune conclusioni I tre scritti esprimono tre punti di vista rispetto all’esperienza di gruppo di questa classe di training; esprimono elementi comuni, e ciascuno sottolinea aspetti significativi. Le tre storie possono a loro volta essere lette l’una come seguito dell’altra; un’unica storia di questo anno di training che riporta ciascuno dalle “immagini originarie” all’attuale consapevolezza di sé e del proprio ruolo “terapeutico”. Storia, dunque, di un’esperienza di gruppo collettiva ed individuale, attraverso la quale ciascuno ha rivisitato convinzioni e vissuti antichi, sperimentato nuove dimensioni relazionali, acquisito conoscenze e consapevolezze in un processo di apprendimento cognitivo ed emotivo che si conclude storicamente nel setting di questo gruppo/classe; ma che prosegue per ciascuno nel lavoro professionale intrapreso. Solo apparentemente il docente, il tutor, il supervisore è osservatore, ascoltatore, regista di questo processo di apprendimento; i processi transferali e controtransferali agiti nel gruppo, parimenti lo coinvolgono in una relazione di apprendimento, in uno spazio definito di pensiero e di esperienza relazionale nel gruppo/classe. Il docente, i docenti, occupano via via, nell’evolversi della storia di ogni gruppo/classe, posizioni diverse che punteggiano le fasi di vita del gruppo; il ruolo docente è percepito come valutante, come protettivo ed accudente, come una figura genitoriale che coniuga entrambe queste funzioni, a volte adeguatamente o, a 9 volte, non adeguatamente, ed infine, a volte, come un compagno di strada con cui dialogare e confrontarsi. La consapevolezza e l’elaborazione di queste dinamiche è parte integrante del ruolo docente in un gruppo di apprendimento e prevede la scelta di strategie relazionali con il gruppo e con i singoli nel gruppo. In tale ruolo sono possibili insight cognitivi ed emotivi ed anche blocchi e difese che, a mio parere, richiedono a loro volta spazi e tempio di riflessione e confronto; il consiglio dei docenti, l’équipe dei docenti, costituisce anch’esso un “gruppo di apprendimento” che si articola parallelo al percorso del gruppo/classe. 10 Bibliografia BERNE E. (1964), trad. it. A che gioco giochiamo?, Bompiani, Milano 1967. BERNE E (1966), trad. it. Principi di terapia di gruppo, Astrolabio, Roma 1986. BION W.R. (1961), trad. it. Esperienze nei gruppi, Armando, Roma 1971. FOULKES S.H., ANTHONY E.J., The group as matrix of the individual’s mental life, in R.L. Wolberg, E.K. Schwarz (a cura di) Group Therapy, 1973. FREUD S. (1921) trad. it. Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Boringhieri, Torino 1971. LAI G.P. , Gruppi di apprendimento, Boringhieri, Torino 1976. RANCI D. (1998) Gruppo, Individuo e Società: il contributo dell’Analisi Transazionale, in “Quaderni di Psicologia, Analisi Transazionale e Scienze Umane”, n° 23, Ed. La Vita Felice, Milano. ROGER C.R. trad. it. I gruppi di incontro, Astrolabio, Roma 1976. RONCHY J.C., trad. it. Dispositivo, quadro istituzionale e interpretazione, in «Gruppi nella clinica, nelle istituzioni, nella società. Gruppo e complessità», n° 2, 1999, Franco Angeli, Milano. STOLOROW R.D., ATWOOD G.E. 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