ANDREA CONTI: La storia

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ANDREA CONTI: La storia
VADO AL MASSIMO
Fase 1 - Lettura della prima parte della storia di Andrea
VOLEVO FARE L’ATLETA
Mi chiamo Andrea Conti e ho da poco compiuto i 42 anni. Ho avuto una
vita normalissima fino a 18 anni: un papà e una mamma che mi hanno
sempre voluto bene, una sorella più vecchia di me di 5 anni con la quale
siamo sempre stati vicini nei momenti belli e brutti della vita. Frequentavo
la parrocchia, ho fatto fino in seconda media il chierichetto, avevo ed ho
tanti amici, mi piaceva e mi piace cantare quando si è in compagnia. Fin da ragazzo avevo una passione “sfrenata”
per l’atletica leggera e in particolare per il mezzo fondo e questa era forse la “nota” più predominante della mia
adolescenza.
Per me correre era diventato come una specie di “benzina” senza la quale non andavo avanti e quindi tutto quello
che facevo era finalizzato al raggiungimento di un sogno che ho inseguito per otto anni: partecipare alla maratona
di New York. Ho iniziato a praticare atletica leggera a circa 10 anni e i primi risultati gli ho ottenuti a partire da 14
anni vincendo un campionato provinciale studentesco e piazzamenti in numerose gare, cui fece seguito la
convocazione in una squadra che a quei tempi era la più forte a livello europeo.
Il “frutto” che avevo messo nelle scarpe stava germogliando e cresceva forte e saldo con l’aiuto anche della mia
“piccola fede” che non era solo di facciata, ma vissuta nella messa domenicale o meglio nella messa del sabato
sera, perchè la domenica mattina era dedicata per circa 50 volte l’anno alle gare più o meno competitive e alla
frequentazione attiva nel gruppo adolescenti.
La vita trascorreva serena... D’estate, tanto per rimanere in allenamento, facevo il guardiano dei campi di tennis e
da calcio del mio paese, Cerro Veronese, e tra una partita a tennis e correre attorno ai campi, mi tenevo in forma
per il mio amato sport, ma è stato proprio lì che una sera di luglio del 1988 in sella al vecchio motorino lasciatomi
da mio nonno, recandomi ai campi, il mio destino è stato cambiato per “...sempre...”.
Il frontale con l’automobile che veniva nell’altro senso di marcia e che ha invaso la mia corsia è stato terribile. In
quei 10 metri di “volo”, nel tempo di 2 secondi, tutto si è frantumato su quell’asfalto intriso del tuo sangue che
esce a zampilli dallo squarcio che avevo in testa. Tutti i tuoi sogni sembrano “annegare” in quel piccolo “lago”
rosso che, mescolandosi con la polvere e i sassolini della strada, creano una putrida fanghiglia, dove io ho dovuto
restare immobile per circa mezz’ora fino all’arrivo dell’ambulanza. Oltre al trauma in testa l’impatto sul
parabrezza della macchina ha provocato l’iperstensione della colonna cervicale e la conseguente frattura della
settima vertebra che significa “TETRAPLEGIA”: ovvero paralisi agli arti inferiori e anche superiori. Ciò che rimane
mobile del tuo corpo sono solo una parte delle braccia e le mani restano praticamente flaccide e anche tenere in
mano un bicchiere di plastica con poca acqua diventa difficile”.
Fase 2 - Meditiamo
Riflettiamo su quanto ascoltato, chiedendoci: “Tu, al posto di Andrea cosa faresti a
questo punto della tua vita?”. Ci sono situazioni nelle quali ti sei sentito “a terra”..? Come
hai reagito?”. Evitiamo di fermarci a frasi generiche (“Avrei ricominciato …”), ma
proponiamo atteggiamenti ed azioni concrete.
Il lavoro può essere svolto singolarmente o a gruppi non troppo numerosi per permettere
a tutti di esprimersi. Nel caso in cui si decida di lavorare a gruppi è utile, prima di passare
alla fase successiva, un momento di confronto (ad es. riassumere cosa avrebbero fatto in
uno slogan da presentare a tutti).
Fase 3 - Lettura della seconda parte della storia di Andrea e dell’articolo de “L’Arena”
Dalle “ceneri” si deve ripartire e dopo un mese di sala rianimazione e 13 mesi di rieducazione in ospedale lontano
da casa, bisogna ridisegnare la propria vita con modalità completamente diverse da prima e cercare un nuovo
“frutto” da poter mettere, non più nelle scarpe, ma nelle ruote. Mi sono imposto di stracciare una marea di
gomme, proprio come voi che consumate le suole delle scarpe ogni 2/3 mesi.
In 14 mesi di ospedale hai tutto il tempo che vuoi, anche troppo, per pensare e farti domande che non troveranno
risposte, ma una è certo che in tutto in quel tempo si è rinforzata sempre più una cosa: con Dio non si sbaglia
mai... Per questo motivo ho voluto leggere tutta la Bibbia; mi è rimasto impresso il libro di Giobbe e da quel giorno
ho cercato di dare un “frutto” nuovo alla mia vita cercando di trasformare il dolore in qualcosa di utile e quindi
anche una lacrima se fatta cadere nel posto giusto, non resterà inutile.
Mi piace molto scrivere poesie. Adesso voglio condividerne una con voi.
IN UNA LACRIMA
Non sarà un calcio ad un pallone che non potrò più dare,
non sarà una moto che non potrò più guidare,
non sarà una montagna che non potrò più scalare,
non sarà tutto questo ad impedirmi di sognare e di amare,
perché c'é ancora tanto che si muove dentro me,
anche se a volte sembra che tutto svanisca in una lacrima...
Quella lacrima però che si liberò quel giorno,
rivedendo quel prato dove la mia voglia di correre
più di un paio di scarpe ha stracciato,
scese lentamente e inesorabilmente
solcando il mio viso come l'aratro il campo,
ma giunta al suolo, bagnando un pezzettino di terra arido,
fece nascere una piantina.
Ecco questa piantina, che dentro di me c’è sempre stata, ha trovato il suo posto e
alimentata dalla fede ha saputo crescere e diventare ogni giorno più forte, proprio come
“la casa costruita sulla roccia...” e quindi ritorno a ribadire che “...con Dio non si sbaglia
mai...”. Avrei avuto tutti i miei buoni motivi per allontanarmi da Dio, ma un vero padre
non lascia mai il suo figlio in qualsiasi situazione si trovi.
Dopo ormai 24 anni di sedia a rotelle il fisico un po’ ne risente, gli uomini sarebbero fatti
per camminare, ma con tanta ginnastica si riesce un po’ a supplire ai vari inconvenienti
che capitano a chi deve stare in questa posizione da mattina a sera.
Concludo queste righe con due cose importanti, anche se ce ne sarebbero tante altre da
raccontare. La prima è aver avuto la fortuna di incontrare lungo il mio “cammino” Elena, che poco dopo un anno e
mezzo dal nostro incontro è diventata mia moglie. La seconda, la più importante, è stato il miracolo di coronare il
nostro amore con la nascita di nostra figlia Veronica: è la cosa più bella che possa capitare a chi si vuole bene”.
Lettura dell’articolo de “L’Arena” (cfr. allegato) che racconta l’attuale storia sportiva di Andrea Conti
Fase 4 – Far fruttificare
Riflettiamo su come Andrea abbia saputo “far fruttificare” il dono per eccellenza, quello della vita, anche e
soprattutto dopo l’incidente. E’ importante il passaggio sulla vita personale: “Come puoi far fruttificare i doni che
lo Spirito Santo ti ha regalato?”. Il passaggio nel mondo degli adolescenti è un salto di responsabilità che chiede di
rispondere ad una domanda: “Vuoi impegnarti a rendere Frutti quelli che ti sono stati dati come Doni?”.
Fase 5 – Preghiamo con le parole di Kirk Kilgour, campione sportivo, costretto su una sedia a rotelle a seguito di
un grave infortunio (puoi scaricare il video ai seguenti link http://www.youtube.com/watch?v=xGM_YMcHpjs
oppure http://www.youtube.com/watch?v=QfLoXI6PcTI).
Chiesi a Dio di essere forte per eseguire progetti grandiosi;
Egli mi rese debole per conservarmi nell'umiltà.
Domandai a Dio che mi desse salute per realizzare grandi imprese;
Egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio.
Gli domandai la ricchezza per possedere tutto:
mi ha fatto povero per non essere egoista.
Gli domandai il potere perché gli uomini avessero bisogno di me:
Egli mi ha dato l'umiliazione perché io avessi bisogno di loro.
Domandai a Dio tutto per godere la vita:
mi ha lasciato la vita perché io potessi apprezzare tutto.
Signore non ho ricevuto niente di quello che chiedevo,
ma mi hai dato tutto quello di cui avevo bisogno e quasi contro la mia volontà.
Le preghiere che non feci furono esaudite.
Sii lodato; o mio Signore, fra tutti gli uomini nessuno possiede quello che io ho.