Il linguaggio del corpo

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Il linguaggio del corpo
James Borg
Il linguaggio del corpo
James Borg
Il linguaggio del corpo
Guida all’interpretazione
del linguaggio non verbale
Seconda edizione
A tutti coloro che hanno acquistato questo libro.
EDIZIONE ORIGINALE
Body Language How to know what’s REALLY being said
Second edition
© Pearson Education Limited 2008, 2011
Pubblicato in Gran Bretagna nel 2011 da Pearson Education Limited
EDIZIONE ITALIANA
Traduzione di Simonetta Bertoncini
© 2012 Tecniche Nuove, via Eritrea 21, 20157 Milano
Redazione: tel. 0239090257, fax 0239090255
e-mail: [email protected]
Vendite: tel. 0239090440, fax 0239090373
e-mail: [email protected]
http://www.tecnichenuove.com
ISBN 978-88-481-2407-2
Questo libro è disponibile in versione digitale su www.libridigitali.com
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un mezzo qualsiasi, fotocopie, microfilm o altro, senza il permesso scritto dell’editore.
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Realizzare un libro è un’operazione complessa, che richiede numerosi controlli: sul testo,
sulle immagini e sulle relazioni che si stabiliscono tra essi.
L’esperienza suggerisce che è praticamente impossibile pubblicare un libro privo di errori.
Saremo quindi grati ai lettori che vorranno segnalarceli.
Illustrazioni di Bill Piggins
Copertina di Aliter, Vercelli
Realizzazione editoriale: Aliter, Vercelli
Stampa: Fotoincisione varesina, Varese
Finito di stampare nel mese di Ottobre 2012
Printed in Italy
Con l’augurio che, al termine delle sette lezioni,
sappiano leggere nella mente altrui (e gli altri nella loro!).
Sommario
Ringraziamenti dell’Editore.........................................................IX
Prefazione alla seconda edizione...............................................XIII
Nota dell’Autore.......................................................................... XV
Introduzione .Se mi leggeste nella mente................................... 3
Lezione 1 Lezione 2 Lezione 3 Lezione 4 Lezione 5 Lezione 6 Lezione 7 Il linguaggio della mente e del corpo ................19
Lo sguardo...........................................................43
L’ascolto ..............................................................91
Il linguaggio degli arti ......................................111
Mentire con il corpo..........................................165
Le fughe di informazioni..................................199
Comunicare simpatia........................................215
Appendice
Ricordate le sette regole del linguaggio non verbale!................239
Postfazione .................................................................................241
Indice...........................................................................................243
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Ringraziamenti
dell’Editore
L’Editore ringrazia, per aver concesso l’autorizzazione a pubblicare le seguenti citazioni coperte da diritto d’autore:
“With One Look” da Sunset Boulevard [Viale del tramonto], musiche di Andrew Lloyd Webber, parole di
Don Black e Christopher Hampton con il contributo di
Amy Powers; per gentile concessione di The Really Useful Group Ltd, Londra; stralcio da “Cameron and Clegg:
what is their body language really saying?”, Daily Telegraph, James Borg, 15 maggio 2010, © Telegraph Media
Group Limited 2010; stralcio da “Tiger Woods put in a
controlled performance, but he was clearly petrified”,
Daily Telegraph, James Borg, 19 febbraio 2010, © Telegraph Media Group Limited 2010.
- IX -
“Dal momento in cui ho preso in mano il tuo libro
fino a quando non l’ho chiuso, mi sono sbellicato
dalle risate. Un giorno lo leggerò.”
Groucho Marx
Prefazione
alla seconda edizione
Ebbene, eccola: l’edizione ampliata e aggiornata che spero vi
illumini e vi aiuti ad acquisire consapevolezza di questo argomento tanto affascinante. Come per gli altri due libri della trilogia, l’obiettivo è informare, educare e intrattenere.
Comunicare è un atto importantissimo, essenziale per il nostro benessere, e non si compie solo attraverso le parole. Tutto
dipende da come le pronunciamo e dalle posture e dai gesti con
cui le accompagniamo. Anche negli ultimi anni si è studiato con
grande interesse il linguaggio del corpo adottato dai politici, dalle “celebrità”, dagli sportivi, nel mondo del lavoro, ricavandone
osservazioni preziose per aiutarci a gestire meglio la comunicazione non verbale e farne uno strumento di espressione efficace,
che ci permetta di far conoscere le nostre precise intenzioni.
Per questo libro ho avuto l’onore di ricevere un premio: il
BAA (British Airports Authority) “Best Non-Fiction Travel
Read Award 2009”, la migliore lettura non-fiction da viaggio.
Nell’arco di un mese – tanto è durato il processo di votazione
– oltre 23.000 persone hanno espresso la loro preferenza da un
elenco di sei titoli (la presenza di un altro mio libro, Persuasione,
ha modificato leggermente le probabilità!).
Ringrazio di cuore chi acquista questa nuova edizione. Come
sempre, vi auguro “buon viaggio”.
- XIII -
Nota dell’Autore
Si dice spesso che non sia l’Autore a scegliere l’argomento
del libro che scrive, ma sia l’argomento a scegliere lui. È quanto è accaduto con i due libri precedenti della “trilogia”: Persuasione e Il potere della mente. Ho dedicato la vita allo studio
delle tecniche di persuasione e del linguaggio non verbale, sia
a livello accademico, sia nella realtà quotidiana della mia professione, dove la capacità di osservazione e l’autoconsapevolezza
erano e restano fondamentali per comprendere gli interlocutori e conseguire risultati positivi.
Negli ultimi anni l’interesse nei confronti del comportamento non verbale – il linguaggio corporeo – è aumentato
sensibilmente e per una ragione precisa: in un mondo in cui
la cronica mancanza di tempo ci impone ritmi di vita sempre
più frenetici, formuliamo inevitabilmente gran parte dei nostri giudizi sulla base delle prime impressioni.
Anche i nostri interlocutori decidono nel giro di pochi
istanti se meritiamo la loro fiducia, se suscitiamo la loro
simpatia, se intendono o no lavorare con noi, o stabilire una
relazione amorosa, e molto altro. I dati che emergono dalle
ricerche scientifiche lo confermano puntualmente: la comunicazione non si basa soltanto sul linguaggio verbale ma, anzi, è
- XV -
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
NOTA DELL’AUTORE
tipico della natura umana comunicare più attraverso il corpo
che attraverso la parola.
Nelle relazioni con i nostri simili, pertanto, dobbiamo
interpretare costantemente ciò che essi ci comunicano mediante il linguaggio non verbale e al contempo mantenere
il controllo su ciò che con lo stesso mezzo noi comunichiamo loro allo scopo di suscitare l’impressione desiderata. La
comunicazione non verbale è uno scambio reciproco, un
processo bidirezionale.
Uno studio degli anni ’70, spesso citato in letteratura, evidenziava come, nelle interazioni umane, la comunicazione avvenga per oltre il 90% attraverso segnali non verbali – gli indizi
che emergono da gesti e posture del corpo, ma anche dal modo
in cui i messaggi verbali sono pronunciati (linguaggio vocale) – e soltanto per il 7% dalle parole effettivamente articolate
(linguaggio verbale).
A prescindere dalle percentuali, comunque, l’elemento fondamentale che emerge da tali considerazioni è il seguente: nei
rapporti interpersonali, una parte preponderante di ciò che
effettivamente comunichiamo è rappresentata dai contenuti
espressi inconsapevolmente attraverso un linguaggio “muto”,
contenuti che possono confermare o contraddire il senso delle
parole pronunciate. La ricerca ha dimostrato che le persone di
maggiore successo, a qualunque gruppo sociale, economico ed
etnico appartengano, sono abili nel decifrare intuitivamente i
segnali non verbali veicolati da questi contenuti.
La buona recitazione è quella in cui la perfetta sintonia fra gestualità e comportamento dell’attore, da una parte, e l’emozione che il personaggio prova o le parole che
pronuncia, dall’altra, ci inducono a credere nella finzione
come se fosse realtà.
In proposito, ecco uno stralcio della recensione di uno spettacolo teatrale andato in scena di recente nel West End di Londra:
“Il mondo è un grande palcoscenico”
La “magia” del linguaggio corporeo
Per indurci a credere nel ruolo che interpreta e vincere la
naturale diffidenza che proviamo nei confronti di situazioni
che, come quelle dello spettacolo, non appartengono alla vita
reale, l’attore deve essere maestro del linguaggio corporeo:
è questo il mezzo attraverso il quale riesce a coinvolgere il
pubblico emotivamente.
Nell’interpretare il nostro ruolo nella vita quotidiana, anche noi, come l’attore professionista, dobbiamo adottare un
linguaggio corporeo adeguato al personaggio; in caso contrario, la “recitazione” risulta incoerente e le nostre parole non
appaiono credibili. Ho compreso l’importanza di tale concetto da ragazzo, quando, appassionato di magia e delle sue basi
- XVI -
- XVII -
“La credibilità del personaggio era totale. Il linguaggio
corporeo, il contegno e lo status erano resi con grande
sapienza […] coniugando teatro e danza l’artista comunica pensieri ed emozioni che il pubblico comprende
anche senza il veicolo della parola”.
Anche noi, nella vita quotidiana – quella privata, ma soprattutto quella lavorativa – interpretiamo ognuno un proprio
“ruolo”. Ecco allora che, anche per noi, il linguaggio corporeo è
il mezzo espressivo attraverso il quale comunichiamo le emozioni nostre o del “personaggio” in cui siamo calati. In tutto
questo non vi è nulla di “falso”, come ha saputo ben comprendere Shakespeare:
“Tutto il mondo è un palcoscenico,
e gli uomini e le donne puri teatranti, tutti?
Hanno le loro uscite e le loro entrate in scena,
e ciascuno recita molte parti nel corso del suo tempo”.
(Come vi piace)
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
NOTA DELL’AUTORE
psicologiche, ne ho studiato l’arte e ho iniziato a esibirmi in
numeri di illusionismo (convenzionale e di “lettura del pensiero”). Al termine di questo lungo lavoro sono stato ammesso
come uno dei membri più giovani al Magic Circle, la società
britannica dei maghi e degli illusionisti presso la quale ho assimilato il detto del celebre mago francese Robert Houdin (dal
quale prese il nome il grande Houdini): “Il mago è un attore
che recita il ruolo del mago”.
Che significa? Ecco che cosa mi spiegarono allora: poiché
la comunicazione interpersonale avviene in misura preponderante attraverso il comportamento – la postura, i gesti, il
contatto oculare, la voce, la sicurezza di sé – per essere “credibile” anche il mago, come l’attore, deve saper comunicare
la giusta impressione rinforzando il proprio ruolo mediante
l’uso sapiente del linguaggio corporeo. È questo che distingue
il bravo attore dall’attore mediocre: la presentazione è tutto.
Devo però aggiungere un altro elemento che chiarisce ulteriormente il concetto. In quel periodo – giusto per complicare
la vita del giovane dilettante che ero – non mi interessavo di
magia convenzionale, bensì di “magia mentale”, ossia di lettura del pensiero. Per compiere il miracolo, dovevo entrare
in sintonia con i pensieri altrui “leggendo” il linguaggio non
verbale (oltre, naturalmente, a ricorrere a qualche tecnica
di illusionismo vero e proprio!). Conoscere e utilizzare il linguaggio corporeo rappresentava per me una duplice necessità
in quanto, oltre a essere illusionista, avevo scelto specificamente il ramo della tecnica – la lettura del pensiero e la “magia
mentale” – che si basa, almeno in parte, sulla capacità di decodificare adeguatamente i messaggi non verbali.
La lettura del pensiero si fonda su un’attenta osservazione
del corpo, perché il corpo è una finestra aperta sull’inconscio.
Da questa pratica è iniziato il lungo percorso che mi ha condotto a perfezionare la capacità di percepire il comportamento
altrui, nonché di controllare il mio linguaggio corporeo. Per
indurre il pubblico a credere nella finzione e a lasciarsi “leg-
gere” nella mente, infatti, io stesso dovevo padroneggiare l’uso
del linguaggio non verbale.
Ho scoperto, così, due elementi importanti:
- XVIII -
1. nella vita reale ci sforziamo costantemente di leggere
nella mente dei nostri simili osservandone il linguaggio
corporeo. Tutti, ognuno a suo modo, ci occupiamo di
lettura del pensiero;
2. la comunicazione non verbale è un processo bidirezionale
che avviene fra noi e gli altri, e viceversa. Pertanto dobbiamo:
essere consapevoli del nostro linguaggio corporeo e
dei messaggi che comunichiamo per suo tramite (in
quanto gli altri li “leggono”);
“leggere” il linguaggio corporeo degli altri per comprendere i messaggi che inviano.
I “numeri di lettura del pensiero” che ho condotto per anni
hanno suscitato in me un interesse e una sensibilità particolari
nei confronti del linguaggio non verbale. Il fatto, poi, di aver
studiato psicologia all’università mi ha permesso di entrare nel
mondo del lavoro già dotato di un notevole bagaglio di conoscenze e, soprattutto, di consapevolezza.
Padroneggiare il linguaggio del corpo
Al termine delle sette lezioni presentate in questo libro
sarete in possesso degli strumenti necessari per leggere e utilizzare con grande proprietà il linguaggio non verbale.
Lo scopo è duplice:
1. sviluppare la consapevolezza necessaria per dominare il
vostro linguaggio non verbale e piegarlo ai vostri desideri;
2. affinare i sensi per imparare a leggere il linguaggio non
verbale altrui e reagire in modo adeguato.
- XIX -
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
NOTA DELL’AUTORE
Mentre cercate di penetrare nella mente del vostro interlocutore osservandone il comportamento, lui fa altrettanto
nei vostri confronti. Pertanto, dovete considerare il linguaggio
corporeo come uno strumento atto a esprimere ciò che effettivamente intendete comunicare e a trasmettere l’impressione
che desiderate anziché, come avete fatto finora, a lasciare che il
subconscio si esprima liberamente.
Al termine delle sette lezioni saprete leggere nella mente dei
vostri interlocutori e riuscirete a capire con grande chiarezza
ciò che pensano davvero. Avrete imparato a decifrare gesti ai
quali non avete mai prestato attenzione (dai più impercettibili ai più evidenti) e sarete consapevoli che anche i vostri gesti comunicano qualcosa di voi, provocando ancora altri gesti
nell’interlocutore.
Ho preferito alleggerire la trattazione snellendo al massimo
i fondamenti teorici e concentrarmi invece su quelli pratici,
poiché non sempre le analisi molto approfondite sono efficaci.
Quando avrete terminato le sette lezioni e ne avrete assimilato
il contenuto attraverso la pratica, sarete veri “maghi” del linguaggio corporeo.
perfezionare le proprie capacità di comprensione e comunicazione è invitato a intraprendere questo percorso.
Siamo pronti per iniziare. Ho organizzato il tutto in funzione di lettori che, come voi, vanno sempre di fretta. Vi auguro
buon viaggio!
James Borg
In conclusione
Le sette lezioni contenute nel libro vi aiuteranno ad acuire
l’intuito necessario per:
decifrare i segnali corporei altrui e
divenire più consapevoli dei vostri.
Imparerete a tenere sotto controllo il linguaggio del corpo e a
farne un uso adeguato per migliorare lo stile comunicativo con
gli amici, gli estranei, i famigliari, i colleghi di lavoro, i clienti.
Il libro si rivolge a tutti, indipendentemente dall’attività e
dalla professione. Chiunque abbia contatti con altre persone
(pochi possono essere esclusi da questa categoria!) e desideri
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- XXI -
“L’uomo medio guarda senza vedere, ode senza ascoltare
[…] tocca senza percepire […] si muove senza essere cosciente
del suo corpo […] e parla senza prima pensare.”
Leonardo da Vinci
Introduzione
Se mi leggeste nella mente
Il linguaggio non verbale è un argomento di grande fascino.
Nelle sette lezioni che seguono acquisirete le nozioni necessarie per interpretarne il codice e, quindi, comprendere i messaggi che sia voi sia i vostri interlocutori affidate a tale mezzo
espressivo. Imparerete a esercitare pienamente le vostre capacità di osservazione e di ascolto e scoprirete che, affinandole, potrete cogliere nuovi aspetti delle relazioni umane e migliorare
enormemente la qualità della comunicazione con il prossimo.
Dovete però ricordare un elemento fondamentale: la scienza
del linguaggio non verbale non è una scienza esatta. In relazione a “sistemi” di estrema complessità come l’essere umano, nulla
può essere semplice. Come vedremo, per giungere a una lettura
corretta del linguaggio non verbale dovremo effettuare la sintesi
di più elementi, evitando di giungere a conclusioni affrettate che
sono la causa dei comuni errori di interpretazione.
Per incominciare, vi invito a dare un’occhiata alla citazione
da Leonardo da Vinci illustrata a pagina 4. Nelle sue parole
potreste riconoscere voi stessi.
Falsificare il linguaggio corporeo è pressoché impossibile.
Occorrerebbe essere consapevoli, in ogni singolo istante, dell’attività di tutti i muscoli del corpo, compresi quelli facciali, ed
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
INTRODUZIONE
I SEGNALI DEL CORPO
I sentimenti si comunicano più attraverso il linguaggio
del corpo che attraverso le parole.
Il linguaggio non verbale è l’indicatore più affidabile attraverso il quale si comunicano:
sentimenti;
atteggiamenti;
emozioni.
esercitare su di essi il più completo controllo. Anche quando abbiamo la sensazione di dominare efficacemente la nostra fisicità,
il corpo invia segnali involontari che, al pari di altrettante “fughe
di notizie”, tradiscono all’istante i nostri veri sentimenti.
“Falsificare il linguaggio corporeo è pressoché impossibile.”
A questo punto vi invito a concentrare l’attenzione sul sistema bidirezionale che regola la comunicazione non verbale,
per comprenderne l’importanza:
se, volendo comunicare un certo messaggio, lo accompagniamo con espressioni non verbali adeguate, abbiamo
maggiori probabilità di conseguire l’effetto desiderato;
saper leggere le espressioni non verbali degli altri (il
loro linguaggio corporeo) ci permette di modificare e
formulare il nostro messaggio sulla base dei segnali subliminali positivi o negativi che essi ci inviano nel corso
dell’interazione.
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Per suo tramite esponiamo costantemente agli altri i nostri
pensieri più intimi senza esserne consapevoli. Mentre il linguaggio verbale – una forma di comunicazione che l’uomo,
nella sua evoluzione, ha acquisito più di recente – svolge infatti
la funzione di comunicare informazioni, il corpo assolve quella di comunicare sentimenti.
Che il comportamento non verbale lasci trapelare il nostro
stato d’animo e i nostri veri sentimenti più di quanto forse
vorremmo è un inevitabile dato di fatto. Attraverso i segnali
emessi dal corpo i nostri interlocutori percepiscono a livello
subconscio il nostro stato d’animo e reagiscono a esso.
Se, quindi, vogliamo comunicare un certo messaggio in
modo credibile è importante che vi sia coerenza (una delle tre
C di cui parleremo più avanti) fra ciò che diciamo a parole e
ciò che esprimiamo attraverso il corpo. Molto spesso, invece,
tutto ciò che riusciamo a mostrare è un’affettazione involontaria che sottrae valore alle nostre affermazioni e rende contraddittorio il messaggio per l’interlocutore.
La mancanza di coerenza fra le parole che pronunciamo e i
messaggi non verbali che inviamo dal corpo induce l’interlocutore a dubitare della veridicità delle prime. Talvolta la mancanza di coerenza è dovuta semplicemente a una cattiva abitudine comportamentale che trasmette un’impressione diversa
da quella che vorremmo: contrarre costantemente le labbra,
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
per esempio, reggersi la testa con le mani, coprire la bocca
con le dita mentre si parla, sospirare in momenti inopportuni o muoversi di continuo sulla sedia mentre si parla possono essere semplicemente abitudini, che però rischiano di essere
percepite come manifestazioni di sentimenti negativi.
Comunicare involontariamente attraverso il corpo ciò che
non si vuole far trapelare è già di per sé sgradito. Quando poi
non si ha effettivamente nulla da nascondere, ma ci si lascia
tradire da un’abitudine che può risultare irritante o da modi
che distorcono le nostre intenzioni, allora la situazione può
diventare problematica. L’interlocutore che non ci conosce a
sufficienza o che ci incontra per la prima volta non può sapere
che quel certo gesto o quella postura sono aspetti naturali del
nostro comportamento, e formula le proprie impressioni basandosi esclusivamente su ciò che vede e sente.
I SEGNALI DEL CORPO
Chi meno ci conosce più ci giudica.
INTRODUZIONE
Le lontane origini del linguaggio non verbale
I primi studi scientifici sulla comunicazione non verbale
risalgono ad appena una cinquantina d’anni fa, benché gli studiosi di antropologia sociale sottolineino come le sue origini
vadano ricercate agli albori della preistoria umana, quando
l’uomo non aveva ancora elaborato l’uso del linguaggio verbale. Nel XVI secolo anche Leonardo da Vinci, uomo di genio,
si interessò all’“intelligenza interpersonale” e all’importanza di
osservare i comportamenti altrui. Ecco che cosa consigliava al
giovane artista:
“Sii vago spesse volte nel tuo andare a spasso di vedere
e considerare i siti e gli atti degli uomini nel parlare, nel
contendere, nel ridere o nell’azzuffarsi insieme, che atti
sieno in loro, e che atti facciano i circostanti, spartitori o
veditori di esse cose”.
(Trattato della pittura, parte seconda)
“Non possiamo eliminare le abitudini gettandole dalla finestra del piano di sopra. Dobbiamo convincerle a
scendere un gradino alla volta”.
Per comprendere come “le azioni parlino più delle parole”
riflettiamo per esempio sul fascino dei vecchi film del cinema
muto; chi ha visto quei grandi attori in azione sa bene quanto
il loro linguaggio “senza parole” sia efficace.
Chi può dimenticare il grande Charlie Chaplin e, in un’epoca di poco posteriore, i primi film dei fratelli Marx, i quali, nonostante il sonoro, affidavano soprattutto ai gesti la loro
straordinaria comicità? Ricordate il movimento dei sopraccigli
con cui Groucho sottolineava le battute? Se avete visto almeno uno dei loro film potete comprendere quanto sia efficace il
linguaggio non verbale, che, attraverso gesti ed espressioni, comunica sentimenti ed emozioni che si trasformano in pensieri.
Il fatto è che, nonostante siamo perfettamente in grado di
scegliere i gesti e le azioni più appropriati per comunicare un
certo messaggio, il nostro corpo emette anche segnali che sfuggono alla sfera conscia e, di conseguenza, si diffondono senza
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In situazioni e contesti specifici – per esempio nei rapporti con gli amici, i parenti, i colleghi di lavoro e gli estranei –
ognuno di noi coltiva abitudini comportamentali che gli sono
proprie. Conoscerle ed esserne consapevoli ci permette di modificarle nella giusta direzione al fine di migliorare le relazioni
interpersonali. È un risultato che non si può realizzare da un
giorno all’altro, ma applicandoci con pazienza e impegno tutti
possiamo imparare a rendere coerenti gesti e modi con il messaggio che intendiamo comunicare. Come affermò lo scrittore
Mark Twain:
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
il nostro consenso! I messaggi verbali che pronunciamo nelle
interazioni con i nostri simili sono sempre, ci piaccia o no, accompagnati da espressioni non verbali che possono rivelare
ben più di quanto le parole non dicano. Sottolineo che tale
processo, nel quale ognuno di noi è ricevente ed emittente, è
vissuto da molti in modo del tutto inconsapevole.
Alla base di ciò vi è un dato scientifico di grande importanza: il cervello riceve circa il 95% delle informazioni attraverso
la vista, mentre gli altri sensi (udito, tatto, gusto e olfatto) –
peraltro non meno importanti – gli forniscono quel modesto
5% che permette di completare il quadro.
I SEGNALI DEL CORPO
All’inizio siamo più portati a credere a ciò che
vediamo anziché a ciò che sentiamo. I dati visivi sono
percepiti come vero significato, e sono questi a creare
l’impressione che si fissa nella mente come ricordo.
Vi riconoscete?
Attraverso il linguaggio corporeo, ognuno di noi suscita nel
prossimo sensazioni di attrazione o repulsione, simpatia o antipatia: è inevitabile. Ora, vi siete mai soffermati a riflettere su
ciò che comunicate agli altri con il linguaggio non verbale nel
corso delle comuni interazioni?
Autoanalisi:
Avete la sensazione di respingere inconsapevolmente i
vostri interlocutori?
Trasmettete inconsapevolmente segnali che comunicano che siete inaffidabili?
Avete difficoltà a persuadere il prossimo a cambiare atteggiamento o comportamento?
Avete difficoltà a ottenere un lavoro dopo avere sostenuto il colloquio di selezione?
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INTRODUZIONE
Avete difficoltà a ottenere un appuntamento galante?
Avete la sensazione di dire la cosa giusta al momento
giusto e tuttavia di non riuscire a compiere progressi?
A queste domande potrei aggiungerne molte altre. Il loro
scopo è introdurre un concetto preciso: se non comunichiamo il messaggio giusto attraverso il linguaggio corporeo (per
mancanza di consapevolezza o per semplice pigrizia), e al
contempo non sappiamo interpretare i messaggi che i nostri
interlocutori ci inviano sempre attraverso il linguaggio non
verbale, tutto nella vita quotidiana si complica inutilmente. La
comunicazione non verbale rappresenta infatti una componente essenziale dei rapporti interpersonali. Ignorarla significa
non rafforzare emotivamente ciò che esprimiamo a parole, ma
comporta anche l’incapacità di cogliere gli indizi che gli altri
ci offrono.
Tutto ciò di cui parleremo nelle sette lezioni che compongono questo libro riguarda un duplice livello: da
una parte l’analisi del nostro linguaggio non verbale
(ciò che comunichiamo attraverso i segnali prodotti
dal nostro corpo), dall’altra l’interpretazione del linguaggio corporeo altrui, ossia dei segnali che riceviamo dagli altri.
Emozioni e sentimenti
La capacità di riconoscere le emozioni e i sentimenti altrui
costituisce la competenza fondamentale per comprendere realmente le persone con cui interagiamo. Le emozioni si comunicano principalmente per mezzo del linguaggio corporeo e
soltanto in misura secondaria attraverso il linguaggio verbale. Probabilmente avete già sentito parlare della cosiddetta intelligenza emotiva, tema che, oltre un decennio fa, ha innescato un’importante riflessione sull’importanza delle emozioni e
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
INTRODUZIONE
dei sentimenti nelle relazioni umane. Gli studi svolti allora
hanno evidenziato l’esistenza di cinque competenze emotive
che, per i nostri fini, possiamo riformulare sotto forma di altrettante esortazioni:
Riflettete anche sui vostri interlocutori. Che cosa vi comunicano, attraverso il linguaggio non verbale, dei loro veri sentimenti? Ciò che percepite tramite questo mezzo – magari un
senso di disinteresse, frustrazione, rabbia o ansia – non è necessariamente legato a voi. È anche possibile, per esempio, che
la persona con cui state parlando sia appena venuta a sapere
che la compagnia di assicurazione non le rimborserà i danni
al tetto provocati dall’ultimo temporale e di conseguenza sia
molto contrariata. Ciò che dovete comprendere è che sta a voi,
il “ricevente” del messaggio, cercare di suscitare il suo interesse.
A tale scopo dovete esercitare in primo luogo l’empatia, la
facoltà che permette di percepire i sentimenti e comprendere
il punto di vista altrui, e in secondo luogo la sensibilità, che
induce l’interlocutore ad “aprirsi”.
Capita talvolta che, nel corso di una conversazione, di un
incontro o di una presentazione, chi parla invii inizialmente
messaggi non verbali che denotano un atteggiamento positivo
e di apertura ma, a un certo punto, passi a un atteggiamento
di chiusura, espresso per esempio dalle braccia incrociate sul
petto o da gesti delle mani e del viso (ne parleremo più tardi),
tale da indicare la presenza di un problema. Anche in questo
caso occorre percepire il cambiamento nello stato d’animo e
notare il momento in cui esso si è verificato, per risalire alla
causa e intervenire in modo adeguato.
1.
2.
3.
4.
sii consapevole delle tue emozioni;
impara a controllarle;
valuta le emozioni altrui;
impara a leggere gli indizi offerti dal linguaggio non verbale;
5. instaura relazioni efficaci con il prossimo.
Occorre osservare che il punto 5 può realizzarsi solo a condizione di aver assimilato pienamente i primi quattro.
Partite da voi stessi
È probabile che, a livello subliminale, siete consapevoli di
questi aspetti della comunicazione; tuttavia è normale che
nel ritmo intenso della vita quotidiana vi troviate spesso costretti a scegliere la via più breve: vuoi per pigrizia, per impazienza o per uno stato d’animo non propriamente favorevole,
ignorate i segnali non verbali che inconsapevolmente inviate
agli altri e non attivate le capacità intuitive che vi permettono di percepire i segnali altrui, il che equivale a sentire senza
realmente ascoltare.
Prima di interagire con altre persone dovreste soffermarvi
per breve tempo a valutare il vostro stato emotivo. Come vi
sentite? In voi predominano sensazioni di impazienza, rabbia,
ansia o risentimento? Ognuna di tali emozioni influisce sul
vostro modo di porvi rispetto al prossimo e può dare origine
a involontarie fughe di informazioni attraverso il linguaggio
non verbale, a loro volta causa di problemi nelle relazioni interpersonali. È importante, quindi, imparare a gestire e controllare questi segnali.
- 10 -
La percezione extrasensoriale
Iniziamo con una frase memorabile: il linguaggio corporeo è una finestra aperta sulla mente del soggetto. A tutti piacerebbe leggere nella mente altrui, ed è proprio ciò che imparerete a fare.
Il tema della percezione extrasensoriale (ESP) suscita sempre emozioni forti. Nello studio del linguaggio corporeo utilizzeremo però una versione “personale” di questo potere, che
quasi tutti possiedono allo stato latente e che si articola in tre
- 11 -
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
INTRODUZIONE
facoltà specifiche: empatia, sensibilità e percettività. Esaminiamole nel dettaglio.
sere sensibili significa anche essere coscienti del proprio
comportamento.
Empatia
Si è finalmente riconosciuta tutta l’importanza che
questa facoltà riveste nel permetterci di stabilire intesa
e fiducia nelle relazioni con il prossimo. Il concetto di
“intelligenza emotiva” ha evidenziato il ruolo centrale
dell’empatia paragonandola a una sorta di “radar sociale”. Essa consiste sostanzialmente nella capacità di percepire ciò che gli altri provano senza bisogno che lo esprimano a parole. Poiché è raro che le persone esprimano
verbalmente i propri stati d’animo, per comprenderli ci
basiamo su tre forme fondamentali di espressione:
Percettività
Le informazioni che interpretiamo ci rendono più percettivi nei confronti dello stato emotivo altrui e ci permettono di intuire ciò che passa nella mente del nostro
interlocutore. Inconsapevolmente “elaboriamo” le sue
parole alla luce del modo in cui le pronuncia e dei messaggi corporei con cui le accompagna. Questo ci permette anche di modificare opportunamente il nostro
comportamento per facilitare l’interazione e renderla
più produttiva.
i gesti;
le espressioni facciali;
i tratti vocali.
Questi tre elementi ci permettono di risalire ai veri sentimenti dell’interlocutore e sono alla base dell’interpretazione del linguaggio non verbale.
Sensibilità
Dopo avere percepito i segnali altrui grazie all’empatia,
dobbiamo interpretarli con sensibilità e metterci in sintonia con i sentimenti che essi esprimono. È però importante essere sensibili anche nei confronti delle nostre emozioni, ricordando che, come abbiamo già detto,
la comunicazione non verbale comporta sempre uno
scambio bidirezionale di messaggi. In sostanza, dobbiamo rilevare i segnali che noi stessi emettiamo (dovuti
alle emozioni che proviamo in quel momento), poiché
anch’essi influiscono sul comportamento del ricevente
(siamo parte della soluzione o parte del problema?). Es- 12 -
Abbiamo quindi chiarito come empatia, sensibilità e percettività rappresentino competenze fondamentali per intuire i
veri sentimenti dei nostri interlocutori. L’intuizione, a sua volta, costituisce una forma di lettura della mente.
Lettura della mente o lettura del pensiero?
Nel tentativo di leggere nella mente altrui mettiamo dunque in atto la nostra capacità di osservazione o comprensione
del linguaggio non verbale e le nostre innate capacità intuitive.
Se volete convincervi pienamente di poterlo fare, immaginate
di essere illusionisti che praticano la lettura del pensiero.
Il mago utilizza, di fatto, una sorta di “percezione extrasensoriale”, che schematicamente si attua in questo modo:
la mente formula un pensiero;
il pensiero genera un’emozione;
l’emozione trapela attraverso il linguaggio non verbale;
il mago interpreta il linguaggio non verbale per cogliere
l’emozione provata dall’interlocutore ed ecco,
gli legge nella mente.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Il linguaggio non verbale è una finestra aperta sulla
mente
Nei rapporti interpersonali mettiamo in atto inconsapevolmente le capacità intuitive che ci permettono di percepire
i segnali comunicatici dalla postura, dalle espressioni facciali,
dai gesti, dal tono della voce, dai movimenti degli occhi e da
molti altri elementi del linguaggio non verbale. Poiché i nostri
interlocutori fanno altrettanto nei nostri confronti, per padroneggiare la comunicazione non verbale dobbiamo essere
consapevoli di ciò che esprimiamo noi attraverso il corpo e
al contempo percepire empaticamente ciò che manifestano gli
altri con il loro.
Più in particolare dobbiamo riconoscere l’evento comunicativo nel momento in cui esso ha luogo, comprendere se è in
sintonia o no con gli altri aspetti del comportamento e, in caso
contrario, individuare gli “indizi” che confermano la nostra
impressione.
Vediamo subito in quale modo procedere.
Le tre C
È fondamentale prestare attenzione alle tre C: contesto, coerenza e complesso. Senza valutare correttamente questi aspetti
è impossibile effettuare una lettura accurata del pensiero.
Contesto
Questa precisazione può apparire ovvia, ma è utile: occorre prestare attenzione al contesto in cui si attua il
comportamento preso in esame. Un uomo che rientra a
casa al termine di una corsa mattutina ha il capo chino,
lo sguardo rivolto verso il basso e respira con un certo
affanno. Tutto questo indica forse che è annoiato, insicuro o depresso? No, denota semplicemente che è appena tornato da una corsa.
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INTRODUZIONE
Coerenza
Oltre il 90% di ciò che comunichiamo agli altri si esprime attraverso il linguaggio non verbale, ovvero attraverso i segnali visivi e vocali (per esempio, l’intonazione
della voce) emessi dal corpo. Dobbiamo pertanto verificare che il messaggio verbale, ovvero quello comunicato dalle parole effettivamente pronunciate, sia coerente
con il messaggio del corpo. Per esempio, la signora che
dichiarasse di apprezzare molto lo spettacolo teatrale
cui sta assistendo, ma al contempo tenesse le braccia incrociate, lo sguardo rivolto altrove e sospirasse ripetutamente non sarebbe credibile, perché il suo messaggio
verbale non sarebbe coerente con il messaggio corporeo.
In questo caso crederemmo al messaggio visivo.
Complesso
Data la scarsa affidabilità dei giudizi basati su un singolo gesto o espressione, per interpretare il messaggio
non verbale dobbiamo sempre considerare tutti i gesti
nel loro insieme. I gesti singoli sono come le parole che
compongono una frase: per comprendere il significato
di quest’ultima occorre prendere in considerazione tutte
le parole pronunciate nel loro complesso. Per interpretare i messaggi non verbali dei vostri interlocutori, basatevi sempre sul complesso dei gesti e non su gesti singoli.
Errori di interpretazione
Ecco un altro elemento importante nella lettura del linguaggio non verbale: gli errori di interpretazione.
Il linguaggio del corpo è il veicolo di processi comunicativi
che si attuano in due fasi:
1. trasmissione (da parte del soggetto) e
2. interpretazione (da parte dell’interlocutore).
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Pertanto:
A legge il “messaggio” espresso attraverso il linguaggio
del corpo di B (trasmissione e interpretazione);
A reagisce inviando a sua volta segnali a B;
B legge i segnali di A e reagisce con altri segnali;
A interpreta in modo non corretto i segnali di B.
Oltre alla trasmissione e all’interpretazione, esiste quindi
un terzo elemento fondamentale nella comunicazione non
verbale: gli errori di interpretazione.
Come vedremo nel nostro percorso, per leggere il linguaggio del corpo occorre ricercare complessi di informazioni (e non elementi isolati) sui quali fondare l’interpretazione. Non osservando questo principio, si cade nei tipici
errori di interpretazione.
Comprenderete meglio come questo avvenga progredendo attraverso le diverse fasi del processo.
Le naturali capacità intuitive
Spesso si dice che sapere è potere. Non esiste forse nulla di
più vero in relazione alla conoscenza di sé. Più conosciamo
noi stessi, più siamo in grado di controllare i nostri pensieri e
di leggere i pensieri altrui. Non è mai troppo tardi per apprendere i segreti del linguaggio non verbale, una scienza inesatta
della quale potete facilmente diventare esperti esercitandovi
con impegno nell’osservazione e applicando sempre la regola
delle tre C, senza dimenticare di essere cauti e di non trarre
conclusioni affrettate. Potenzialmente siamo tutti dotati della
capacità innata di leggere il linguaggio non verbale, il più antico mezzo espressivo dell’uomo. Non tutti però, probabilmente
per pigrizia, perfezionano tale capacità e comprendono quanto sia importante esercitare lo spirito di osservazione. Basta
tuttavia abituarsi a osservare con maggiore attenzione le azioni
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INTRODUZIONE
altrui – e le nostre – per notare subito un’enorme differenza.
Scopriamo che, prestando maggiore attenzione al comportamento dei nostri interlocutori e al modo in cui esprimono i
messaggi verbali, le nostre capacità intuitive si acuiscono.
Capiamo subito se si trovano in uno stato emotivo alterato,
se dicono la verità, se ci dispensano una piccola bugia mascherata con educazione o se ci raccontano una menzogna bella e
buona.
Affinando la sensibilità e la capacità di percezione entriamo
in sintonia con i loro pensieri.
L’intuizione, una straordinaria facoltà innata di cui tutti
siamo dotati, ci permette di capire già a un primo sguardo se
una persona è felice, triste, in ansia o tranquilla. Anche da una
certa distanza, osservando postura, gesti ed espressioni facciali, siamo in grado di comprendere se due persone stanno
litigando, stanno intrattenendosi in una conversazione amichevole o si scambiano appassionati messaggi d’amore.
Tutte queste informazioni le percepiamo inconsciamente.
Pensate, allora, quali risultati potreste ottenere decidendo consapevolmente di osservare il prossimo con maggiore attenzione. Diventerete lettori esperti del linguaggio non verbale e del
pensiero altrui. L’importante è sapere su quali aspetti concentrare l’osservazione.
Ne discuteremo nel corso delle nostre sette lezioni.
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Lezione 1
Il linguaggio
della mente e del corpo
“Parlo due lingue. L’inglese e il linguaggio del corpo.”
Anonimo
Tutti sappiamo per esperienza che, con il corpo, si possono
dire molte cose: le espressioni del volto, la postura e i gesti –
per esempio incrociare le braccia, inclinare la testa, lanciare
occhiate e distogliere lo sguardo – comunicano molto su di
noi e sui sentimenti che proviamo. Anche quando non sono
accompagnati da messaggi verbali, questi movimenti fisici veicolano significati che contribuiscono a creare l’immagine con
cui ci presentiamo agli altri e a determinare l’idea che essi si
fanno di noi.
Nelle interazioni personali è difficile comunicare quel che
si vuole esclusivamente attraverso le parole.
Per aggiungere peso alle parole che pronunciamo (il messaggio verbale), possiamo ricorrere a un sorriso o a una smorfia, distogliere di tanto in tanto lo sguardo, stare vicini al nostro interlocutore o mantenerci a una certa distanza, toccarlo o
evitare il contatto e attuare altre forme di comunicazione non
verbale. I numerosi studi scientifici condotti a tale proposito
negli ultimi cinquant’anni confermano che il linguaggio non
verbale – o linguaggio del corpo – comunica con grande efficacia sentimenti molto importanti come:
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
accettazione e rifiuto;
simpatia e antipatia;
interesse e noia;
verità e menzogna.
Essere in grado di decifrare questi messaggi impliciti è di
grande utilità nei rapporti con i nostri simili. Ci permette in
ogni caso di evitare inutili sprechi di tempo e incomprensioni,
fornendoci inoltre conferme grazie alle quali possiamo anche,
in alcuni casi, salvare una situazione difficile.
L’interpretazione del linguaggio non verbale è dunque uno
strumento pratico per migliorare le relazioni con i nostri simili
nell’intero ambito dei rapporti sociali: con gli amici, i famigliari, i colleghi di lavoro, i clienti, gli estranei, nei colloqui di
lavoro.
Comunicare con il linguaggio non verbale
La natura verbale dei rapporti che intratteniamo quotidianamente ci induce a ritenere che le competenze verbali – in
altri termini, la capacità di usare le parole in modo appropriato – rappresentino un aspetto molto importante delle relazioni
sociali. Questo è senz’altro vero, ma occorre aggiungere che
il linguaggio non verbale riveste un’importanza per lo meno
equiparabile.
I SEGNALI DEL CORPO
Il linguaggio corporeo comunica sottili messaggi
che spesso percepiamo inconsapevolmente, gesti ed
espressioni quasi impercettibili che ci dicono “non
avvicinarti” oppure “sono una persona avvicinabile”.
Oltre che con le parole, la comunicazione con i nostri simili
avviene attraverso:
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IL LINGUAGGIO DELLA MENTE E DEL CORPO
il modo di vestire;
la postura;
l’espressione del volto;
il contatto oculare;
i movimenti delle mani, delle braccia e delle gambe;
la tensione del corpo;
la distanza spaziale;
il contatto diretto;
la voce (tono, ritmo e inflessione).
Questa forma di linguaggio “silenzioso” scaturisce direttamente dal subconscio e rappresenta pertanto un indicatore
assai più eloquente rispetto alla parola nel rivelare i nostri veri
sentimenti.
La gestualità è un mezzo di comunicazione visiva capace di
trasmettere ciò che il linguaggio verbale non sa comunicare. Ne
consegue che la forma di comunicazione più efficace è quella
in cui alle parole si accompagnano i gesti. Consapevoli di ciò,
possiamo scegliere di usare i gesti più appropriati per comunicare i contenuti che desideriamo, ma nel processo comunicativo entra sempre in gioco un elemento imprevedibile che,
sfuggendo al nostro controllo, può interferire con il messaggio
voluto: il nostro corpo produce segnali involontari che tradiscono i contenuti del subconscio.
A questo punto voglio introdurre in termini più specifici i
dati emersi dallo studio fondamentale e ancora influente condotto nel 1971 dal professor Albert Mehrabian della University
of Los Angeles (UCLA), studioso di psicologia sociale. Confrontando l’efficacia dei messaggi verbali e non verbali nelle
quotidiane relazioni interpersonali, Mehrabian ha elaborato
un modello del processo comunicativo che rimane valido ancora oggi ed è considerato una sorta di riferimento universale
per comprendere il modo in cui deduciamo il significato dei
messaggi altrui.
Nel tempo il suo modello è stato anche male interpretato, e
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DELLA MENTE E DEL CORPO
ciò in conseguenza della volgarizzazione del tema del linguaggio del corpo, entrato nell’ambito di interesse di riviste di larga
diffusione che si occupano di gossip e “celebrità”.
Tuttavia, il suo significato generale è confermato da nuovi
studi condotti negli ultimi decenni. Resta indiscutibile, insomma, che “osservare e ascoltare” (il linguaggio non verbale) è il
segreto per una comunicazione reale ed efficace fra le persone.
Lo studio di Mehrabian evidenziava l’esistenza di tre elementi che sono alla base di qualunque atto comunicativo – il
linguaggio del corpo, la voce e le parole – e formulava il modello rimasto celebre del “55, 38 e 7%”, secondo il quale:
Il linguaggio non verbale rappresenta pertanto un mezzo
per cogliere, al di là delle parole, il messaggio silenzioso che ci
viene indirizzato (spesso direttamente dal subconscio).
Dallo studio classico di Mehrabian si può concludere che
l’impressione creata negli altri dipende essenzialmente da tre
fattori:
il 55% del significato di qualsiasi messaggio viene dedotto dal linguaggio visivo del corpo (gesti, posture,
mimica facciale);
il 38% è dedotto dagli elementi vocali (dunque, non
verbali) del parlato (tono, timbro e ritmo);
il 7% è dedotto dalle parole effettivamente pronunciate
(contenuto verbale).
Da ciò si giunge a una conclusione di notevole interesse.
I SEGNALI DEL CORPO
Il 93% del significato dei nostri messaggi è veicolato dal
linguaggio del corpo (compresi i tratti della voce).
1. l’aspetto fisico;
2. il modo in cui ci esprimiamo;
3. ciò che diciamo.
In breve, il linguaggio non verbale comunica assai più delle parole!
ATTENZIONE
Qualcuno ha male interpretato il modello del “55, 38 e
7%” di Mehrabian, concludendone che le parole siano
poco importanti e che gli elementi che maggiormente determinano l’efficacia della comunicazione siano
mostrare sicurezza di sé, creare una buona impressione, vestirsi in modo più che adeguato, parlare con
tono seducente e modulare opportunamente la voce,
anche se il discorso pronunciato è mal strutturato (un
tipico esempio della massima secondo cui “non c’è
informazione migliore della cattiva informazione”).
Secondo tale interpretazione le parole, che valgono
meno del 10% in termini di successo comunicativo,
avrebbero un peso modesto. Sbagliato. Lo studio non
ha evidenziato questo. Se in futuro vi capiterà di leggere una simile sciocchezza – e senza dubbio vi accadrà
sfogliando qualche rivista di scarso valore – inspirate
profondamente e passate oltre.
Questo significa che, nel fatidico lasso temporale – da 20
secondi a 3 minuti al massimo – in cui si formano le prime impressioni, queste sono determinate principalmente dal modo
in cui ci presentiamo e dal modo in cui diciamo le cose anziché
da ciò che effettivamente diciamo (contenuto verbale).
In caso di incoerenza fra il contenuto verbale e il modo di
proporlo, tendiamo a credere al modo anziché al contenuto
(ossia all’elemento che corrisponde alla percentuale più elevata
fra quelli sopraelencati).
Che cosa ci ha permesso di comprendere realmente il modello? Lo studio di Mehrabian ha evidenziato quanto segue:
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DELLA MENTE E DEL CORPO
se il 55% della comunicazione – il linguaggio visivo del
corpo – non è adeguato, nessuno è disposto a prestare
attenzione al restante 45%!
avevamo i volti!”, esclama Norma Desmond in Viale del tramonto
rammentando la sua attività di attrice del cinema muto).
Tornando al nostro discorso, in base a come ci comportiamo nelle interazioni personali rispetto ai tre fattori elencati in
precedenza (aspetto fisico, tratti vocali, parole pronunciate), i
nostri interlocutori decidono:
E anche qualora il nostro pubblico si dimostrasse attento,
se il 38% (il modo in cui parliamo) lo induce a perdere interesse, allora non presta attenzione neppure al 7% (le parole
effettivamente pronunciate) e si assenta mentalmente, con il
rischio che si allontani anche fisicamente.
È questo, in sintesi, ciò che lo studio ha dimostrato.
Quante volte avete pensato o detto – riferendovi a una festa
con gli amici, a un incontro di lavoro o a un appuntamento galante – che tutto sembrava procedere bene “fino a quando non
ha aperto bocca” (avete mai assistito a un programma televisivo
di “speed dating”, gli show in cui persone di sesso opposto che
non si conoscono si incontrano per trovare un partner?).
Evitate di cadere in questo errore: le parole hanno la loro
importanza. Il nostro obiettivo è indurre nel prossimo il desiderio di ascoltarci. Anche per chi è convinto di possedere un
carisma straordinario che emana spontaneamente dalla sua
persona senza il bisogno di pronunciare verbo, le parole restano fondamentali, ma altrettanto fondamentale è il modo in
cui sono pronunciate.
Gli esperti della materia concordano generalmente su due
punti:
se ci trovano simpatici o no;
se meritiamo la loro fiducia;
se desiderano corteggiarci;
se desiderano “fare affari” con noi.
In sintesi, se desiderano instaurare con noi un qualunque
tipo di relazione.
ATTENZIONE
Molte persone, pur applicandosi nell’interpretare il
linguaggio non verbale altrui, non osservano alcun
miglioramento nelle relazioni personali e di lavoro.
Per quale motivo? Perché trascurano di osservare il
proprio linguaggio non verbale.
(Discuteremo di come il modo di pronunciare le parole manifesti la sfera affettiva nella Lezione 3, quando parleremo dei tratti
paralinguistici, ovvero dell’aspetto non verbale del discorso.)
Talvolta il linguaggio non verbale è usato come mezzo alternativo ai messaggi di tipo verbale (“Non avevamo bisogno di parole,
Molte relazioni nascono o si dissolvono nei primi tre minuti dal primo incontro. A decidere per il pollice alto o il pollice verso è l’“istinto”, l’intuizione che, scaturendo dal subconscio, ci induce a basare le decisioni su quanto apprendiamo dai
messaggi non verbali.
Le parole più amichevoli perdono ogni significato se il corpo sembra dire tutt’altro. In quanto emittenti di messaggi, suscitiamo costantemente impressioni negli altri e al contempo,
in qualità di riceventi, riceviamo impressioni da loro. Il processo comunicativo avviene nelle due direzioni.
Grazie al “sesto senso” valutiamo le sensazioni che una
persona provoca in noi mediante il modo in cui si esprime a
livello corporeo. Alla base di tutto questo non vi è una decisio-
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le parole servono per comunicare informazioni;
il linguaggio non verbale comunica atteggiamenti, sentimenti ed emozioni.
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DELLA MENTE E DEL CORPO
ne razionale da parte nostra, bensì ciò che possiamo definire
come pura “intuizione”. Ecco una citazione che riassume in
modo brillante il concetto:
animali, il primo saggio che abbia affrontato l’argomento in
questione; fu però soltanto alla metà del Novecento che si riprese seriamente la ricerca scientifica su questo tema.
Uno dei pionieri nello studio del linguaggio corporeo fu,
negli anni ’50 del secolo scorso, l’antropologo americano Ray
Birdwhistell. Fu lui a coniare il termine “cinesica” – dal greco kinesis, “movimento” – per definire la comunicazione che
avviene attraverso la mimica e la gestualità. Mentre la bocca
pronuncia un discorso più o meno accurato, i nostri gesti, le
posture e le espressioni comunicano messaggi attraverso il
movimento. L’altra figura di rilievo in questo campo di studi è lo zoologo Desmond Morris. Secondo la definizione da
lui formulata, il gesto è “qualunque azione capace di inviare
un segnale visivo a un osservatore […] e di comunicargli una
qualsiasi informazione”. L’evento comunicativo di tipo gestuale può essere voluto o accidentale. I gesti accidentali sono, nella
maggior parte dei casi, indesiderati: preferiremmo non averli
compiuti ed è il caso, per esempio, del tipico reggersi la testa
fra le mani nel corso di una lezione poco interessante o nel
secondo atto di una commedia noiosa. Spesso compiamo tali
gesti senza neppure esserne consapevoli (quindi, involontariamente), tuttavia essi corrispondono ad altrettanti segnali che
comunicano un certo significato a chi ci osserva e li legge.
Il modello della cinesica fu ulteriormente perfezionato da
Paul Ekman e Wallace Friesen (University of California, 1970).
I due studiosi, dei quali riparleremo nella Lezione 2 a proposito delle espressioni facciali, hanno suddiviso la cinesica in cinque campi specifici che ci aiutano ad affrontare con maggiore
agilità il nostro argomento.
“Esiste una strada che va dagli occhi al cuore senza passare per l’intelletto”.
(G.K. Chesterton)
Smettete, quindi, di interrogarvi sulle ragioni che vi inducono a compiere particolari gesti fisici (le espressioni del volto, degli occhi, delle mani) e valutate invece, in termini visivi,
come essi possono apparire agli altri, ma soprattutto se ciò che
comunicano corrisponde effettivamente a quello che volete esprimere.
La prima impressione, positiva o negativa che sia, è quella
che si sedimenta nel subconscio. Uno spot televisivo andato in
onda anni fa pubblicizzava uno shampoo con lo slogan: “Non
avrai una seconda possibilità di fare una buona prima impressione”. Credo che non esista massima più vera.
I SEGNALI DEL CORPO
Come con il dentifricio, è più facile spremere le cattive
impressioni fuori dal tubetto piuttosto che ricacciarvele
dentro.
Fate in modo di comunicare agli altri l’impressione che desiderate. Se il vostro aspetto corrisponde esattamente al ruolo
che vi siete scelti e la presentazione non verbale è coerente con
esso, allora il messaggio verbale ne risulta rinforzato e il “pubblico”, decidendo che quanto dite merita fiducia, vorrà ascoltarvi ancora.
La cinesica
Nel 1872 Charles Darwin, cui si deve la teoria dell’evoluzionismo, pubblicò L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli
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1. Gesti illustratori
Sono gesti che accompagnano il discorso con l’intento di fornire messaggi visivi in grado di confermarne o
rinforzarne il contenuto, e sono per la maggior parte di
origine subconscia. Un esempio: nel dire che negli ul- 27 -
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
timi vent’anni i prezzi delle case sono saliti alle stelle,
possiamo accompagnare le parole con un ampio gesto
della mano che sale verso l’alto.
2. Gesti simbolici o emblemi
Sono gesti che, dotati di un significato specifico condiviso all’interno di un certo gruppo o di una certa cultura,
sostituiscono le parole. Un esempio è il gesto del pollice
alzato, che significa “conferma” o “vittoria”. Nell’ambito
di un contesto specifico e della cultura che ne condivide
il significato, questi gesti sono di immediata interpretazione da parte del ricevente.
Occorre tuttavia sottolineare che uno stesso gesto può
assumere significati diversi presso gruppi e culture diversi. Il pollice alzato, infatti, può anche significare:
una sposa proveniente da un certo villaggio;
un gruppo di muli;
un occhio nero;
tutte e tre le cose per i più fortunati!
3. Gesti indicatori dello stato emotivo
Sono gesti che tradiscono le nostre emozioni, positive o
negative che siano, e in generale sono compiuti inconsapevolmente. Comprendono espressioni facciali, gesti degli arti, posture e movimenti. Avremo modo di
parlarne ampiamente, in quanto rivelano molte cose sui
nostri sentimenti sia agli interlocutori sia a noi stessi.
Costituiscono quella sorta di “fuga di informazioni” che
in molti casi preferiremmo evitare.
IL LINGUAGGIO DELLA MENTE E DEL CORPO
barometro dei veri sentimenti, positivi o negativi. Rivelano se la persona mente o persegue una forma più grave
di inganno. Comprendono i cambiamenti di postura e
i movimenti (gesti centrati sull’altro), le azioni dirette
verso il proprio corpo, come carezzarsi o toccarsi il volto (gesti autoadattativi) e azioni come mordicchiare la
matita, togliere gli occhiali o giocherellare con i gioielli
(gesti centrati sull’oggetto).
5. Gesti regolatori
Sono atti che si compiono allo scopo di regolare le
funzioni del dialogo fra parlante e ascoltatore e che, al
contempo, indicano le nostre intenzioni (più avanti discuteremo dei “movimenti d’intenzione”). Rientrano in
questo gruppo gesti come annuire, il contatto oculare e i
cambiamenti nella posizione del corpo.
I SEGNALI DEL CORPO
Nell’affrontare le altre lezioni, ricordate di interpretarne
sempre i contenuti da entrambi i punti di vista: quello
del ricevente e quello dell’emittente. Ognuno di noi,
infatti, è sia ricevente sia emittente dei messaggi
non verbali.
Ponetevi sempre queste due domande:
1. Quali segnali inviano gli altri che io devo decodificare?
2. Quali segnali invio io? Comunico realmente ciò che intendo comunicare?
Accettiamo fin dall’inizio che:
4. Gesti di adattamento
Simili agli indicatori dello stato emotivo, anche i gesti di
adattamento rivelano il nostro stato d’animo e, difficili da
controllare volontariamente, rappresentano una sorta di
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spesso ciò che gli altri dicono non corrisponde a ciò che
pensano o provano realmente;
in quanto riceventi di informazioni, sta a noi interpre- 29 -
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
tare i segnali corporei per decifrare il vero significato del
messaggio.
Quando comunicate con altre persone dovete sapere:
se inviate segnali corporei positivi;
che, in quanto emittenti di informazioni, potete consapevolmente riconoscere ed eliminare i messaggi corporei negativi che comunicano impressioni sbagliate.
Tutto questo può influire sensibilmente sull’interazione.
Deliberato o involontario?
Prima di proseguire, ricapitoliamo brevemente il ruolo
del linguaggio non verbale nelle interazioni personali. Il linguaggio del corpo rappresenta una forma di comportamento
spontaneo, ma può anche essere utilizzato deliberatamente per
influire sulle interazioni.
Tutti noi comunichiamo quotidianamente al nostro prossimo una serie infinita di messaggi attraverso il linguaggio non
verbale. Tenete però a mente questi due punti:
alcuni gesti sono volontari (e quindi effettuati in modo
consapevole);
molti gesti sono estranei al nostro controllo in quanto
dipendono dalla fisiologia umana (e quindi sono involontari).
IL LINGUAGGIO DELLA MENTE E DEL CORPO
dobbiamo sempre ricordare che gesti e movimenti possono
anche rappresentare semplicemente la reazione a una situazione di stress. E anche questo rappresenta un dato prezioso sotto
il profilo della comunicazione.
Dove concentrare l’attenzione: i due binomi fondamentali
Per semplificare il discorso, intendo sottolineare subito due
elementi fondamentali, quelli di cui dobbiamo avere consapevolezza in qualsiasi interazione con il prossimo. Nei rapporti
con gli altri dobbiamo capire subito se essi manifestano:
segnali di serenità o di disagio (o ansia);
segnali di chiusura o di apertura.
D’ora in poi, basatevi sempre su questi due elementi per leggere il linguaggio non verbale. Data la loro importanza, vi esorto a imprimerli bene nella mente.
Procedendo in questo modo, quando sarete in presenza di
altre persone potrete concentrare immediatamente l’occhio
ormai consapevole su due aspetti che si convalidano a vicenda:
dal comportamento di questa persona percepisco un
senso di disagio o di tranquillità?
il suo linguaggio corporeo indica apertura o chiusura?
Apertura o chiusura?
Movimenti volontari e involontari sono entrambi governati dal pensiero e dalle emozioni che questo genera.
In alcuni casi forniscono preziose informazioni su ciò che
l’interlocutore pensa e sul sentimento che egli esprime loro
tramite. Dal momento però che, come vedremo nelle sette lezioni, leggere il linguaggio del corpo non è una scienza esatta,
Se la persona è a proprio agio lo dimostra, in generale, con
segnali corporei di apertura, mentre chi prova un senso di
disagio, ossia uno stato negativo dovuto ad ansia, paura, nervosismo od ostilità, manifesta segnali corporei di chiusura.
Bene, avete già compiuto un passo importante per imparare a riconoscere lo stato emotivo della persona che avete da-
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
vanti. Ciò che spesso impedisce di decodificare il linguaggio
non verbale non è la difficoltà di percepire questo stato, bensì
la pigrizia o la mancanza di consapevolezza (o entrambe).
PROVATE ANCHE VOI
Da questo momento in poi, impegnatevi ad affinare le
capacità di lettura della mente cercando di osservare
ciò che vedete e di ascoltare ciò che sentite. Per incominciare, provate a stabilire per ogni persona che incontrate se il suo linguaggio corporeo indica apertura
o chiusura.
Abbiamo parlato della gestualità e della necessità di interpretarne il significato basandosi non sul gesto singolo ma su
un complesso di gesti. In generale, negli incontri con altre persone è estremamente importante osservare l’insieme dei gesti
che comunicano senso di apertura o di chiusura.
Che cosa significa di preciso? Il senso di questi termini
appare immediatamente evidente in relazione alle espressioni verbali. Chi è più bendisposto? Colui che dichiara “Sono
aperto a qualunque proposta” o colui che dice “Su questo non
intendo negoziare”? O ancora, il capo che dice “Se hai un problema, vieni quando vuoi: la porta è sempre aperta”, oppure
“La porta è sempre chiusa!”?
Passando dal piano verbale al non verbale, la persona aperta si dimostra bendisposta, tranquilla e attenta, e il suo
linguaggio corporeo indica l’assenza di qualunque ostacolo
di carattere fisico o psicologico. Il corpo si espone al mondo senza frapporre barriere e, così facendo, è vulnerabile
agli altri, ma ciò non provoca alcun disagio alla persona.
Le mani sono in vista, magari con i palmi aperti (segnale
di sottomissione), le gambe e la postura in generale sono
sciolte, prive di tensione nervosa, e il contatto oculare è
buono. Tutto ciò rivela uno stato interiore positivo.
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IL LINGUAGGIO DELLA MENTE E DEL CORPO
Il linguaggio non verbale che indica chiusura si fonda
su un complesso di gesti, movimenti e posture con cui il
corpo si richiude su sé stesso. Chi, ritenendosi esposto
a qualche forma di minaccia, avverte di essere in una situazione del tipo “combatti o fuggi”, tende a far apparire
il corpo più piccolo di quanto è realmente e a proteggersi erigendo barriere difensive.
Per ottenere l’effetto di chiusura si avvicinano gli arti al
corpo e, per erigere una barriera, si incrociano le braccia.
Spesso si ricorre a questa posizione quando si vuole dimostrare al proprio interlocutore di non costituire una minaccia
per lui (la adottano di frequente le persone più introverse),
ma essa serve anche a manifestare il proprio disagio in una
certa situazione o con la persona presente. L’emozione negativa trova tipica espressione nello scarso contatto oculare, nella
tensione delle spalle e nella posizione incrociata degli arti
(braccia e gambe).
Riflettete qualche istante su quanto abbiamo appena detto.
Qual è la vostra postura tipica? Assumete queste due diverse
posture in situazioni diverse? Immagino di sì.
PROVATE ANCHE VOI
Assumete una postura chiusa e osservate in quale
modo essa influisce sul vostro stato d’animo. La mente
condiziona il corpo, ma a sua volta il corpo condiziona
la mente. Adesso assumete una postura aperta e osservate come cambia il vostro stato d’animo. Osservate
altre persone in queste due posizioni e cercate di percepire il messaggio che vi comunicano. È volontario o
involontario? Conoscete persone (al lavoro o nella vita
privata) che assumono queste due diverse posizioni?
Voi reagite in modo diverso a seconda della posizione
che assumono?
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
I SEGNALI DEL CORPO
La persona che comunica apertura assume posture
rilassate e sciolte, la persona che comunica chiusura
“chiude” il corpo avvicinando gli arti al tronco.
IL LINGUAGGIO DELLA MENTE E DEL CORPO
cedenza, dobbiamo basarci su “complessi” di segnali dalla cui
interpretazione giungeremo a una conclusione precisa.
Se vediamo una persona che si tocca il naso quando le viene
posta una certa domanda, possiamo dire con certezza, sulla
base di quest’unico indizio, che sta mentendo? Se qualcuno
cambia posizione quando è seduto, possiamo dedurre con certezza che sia teso? E se tiene le braccia incrociate, significa sicuramente che è annoiato? Se ha le caviglie incrociate, sta mascherando la propria aggressività? Assolutamente no. Questi
gesti considerati singolarmente non significano nulla, ma se si
presentano tutti insieme nel corso di un’interazione (complesso di segnali), allora vi sono buone probabilità che la persona
abbia un atteggiamento negativo. In tal caso può essere utile
cambiare strategia e/o cercare di scoprire il motivo della sua
insoddisfazione.
Attività dislocate e gesti di autoconforto
Le cosiddette attività dislocate e i gesti di autoconforto offrono indizi che si rivelano molto utili per meglio comprendere i nostri interlocutori. Le attività che lasciano trapelare
lo stato interiore della persona, infatti, ci permettono anche
di intuire in quale modo si svilupperà l’interazione. Non dovremmo tuttavia trarre conclusioni sulla base di singoli gesti,
perché cadremmo facilmente in un errore di interpretazione.
I gesti vanno considerati come le parole che compongono
una frase. La parola singola ci comunica assai poco e può
avere un significato ambiguo, mentre inserita nel contesto di
una frase può assumere un significato chiaro e specifico. Lo
stesso meccanismo vale in relazione al linguaggio non verbale.
Occorre raccogliere una serie di indizi che possano orientarci
verso un particolare significato o, come abbiamo detto in pre- 34 -
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DELLA MENTE E DEL CORPO
La causa del problema potreste essere voi stessi, il vostro
messaggio oppure l’ambiente (contesto). Molti sono convinti,
erroneamente, di saper interpretare bene i segnali non verbali
altrui: isolano una certa azione e, mancando dell’empatia necessaria per scavare più a fondo, la ascrivono a un particolare
sentimento, senza altri dati che confermino la supposizione.
Questo tipo di atteggiamento può provocare una situazione di
antagonismo con l’interlocutore (“No, non sono annoiata dalla conversazione, sono solo stanca”, “Non è vero, sei annoiata”,
“Possiamo lasciar perdere per il momento?”).
Per giudicare l’atteggiamento della persona dobbiamo basarci su una quantità considerevole di dati che vanno raccolti
progressivamente dai numerosi indizi osservabili. La fretta
e la mancanza di informazioni complete causano errori di
interpretazione.
D Vorrei porre una domanda di carattere generale prima di
passare alle lezioni successive. Vi sono persone che suscitano
subito l’impressione di essere cordiali e affidabili, e altre che
comunicano l’impressione opposta, tanto da spingerci a diffidare di loro fin dal primo incontro. Dipende dal linguaggio
corporeo?
Non sempre ce ne rendiamo conto al momento, ma, indipendentemente dal fatto di condividere ciò che il nostro interlocutore
dice, la “sensazione” di diffidenza ha origine dall’incoerenza dei
messaggi che riceviamo: avvertiamo che i segnali verbali ci dicono
cose diverse da quelle che percepiamo dai segnali non verbali. Evidentemente i messaggi involontari che ci giungono dal viso, dalla
postura o dai gesti di questa persona ci comunicano a livello subconscio che qualcosa non va. Di tutto questo parleremo più avanti.
D Ciò significa forse che il cervello percepisce altre informazioni, oltre a quelle che gli pervengono dai cinque sensi?
In un certo senso sì. Nelle interazioni personali il cervello rac-
coglie una grande quantità di informazioni dal linguaggio corporeo e dal linguaggio vocale (paralinguaggio). I sensi rinviano tali informazioni al subconscio, il quale le elabora alla luce
delle esperienze reali che abbiamo vissuto nel corso della vita,
generando la “sensazione” o “intuizione” di cui abbiamo appena
discusso. Quando questa raggiunge il livello della coscienza, la
mente elabora una risposta che determina il nostro modo di sentire e reagire alla situazione.
D Esistono persone che sono per natura più sensibili ai segnali non verbali e più portate a “leggere” nella mente altrui?
Senza dubbio. Come esistono persone più portate per un certo
sport o un certo strumento musicale, così vi sono persone più abili per natura nel percepire e interpretare il linguaggio non verbale. Questa capacità, tuttavia, può anche essere appresa. Non tutti
acquisiremo le doti superiori degli “eletti”, ma con la pratica potremo comunque raggiungere una buona competenza: l’esercizio
costante praticato con impegno produce sempre buoni risultati.
D Quindi, al termine delle sette lezioni, saremo tutti “maghi di lettura del pensiero”?
Questo è il risultato che auspico. Nelle sette lezioni apprenderete molte nozioni importanti, ma soprattutto imparerete a
vedere e ad ascoltare realmente il prossimo, diventerete più consapevoli dei numerosi aspetti della comunicazione interpersonale
e, grazie a questo, scoprirete cose che mai avreste immaginato.
D Se ho capito bene, dobbiamo tenere sempre a mente le
percentuali: 54, 30 e… non ricordo bene.
Nessun problema. Le percentuali sono: 55, 38 e 7. Vi garantisco che, al termine dell’ultima lezione, le avrete ben impresse
nella mente. Per il momento dovete semplicemente essere consapevoli del motivo per cui molti di noi si trovano in difficoltà nelle
relazioni interpersonali e non riescono a realizzare i risultati che
desiderano. A proposito: quando parlo di “relazioni” non intendo
soltanto le cosiddette “relazioni sociali” o le “relazioni amorose”,
ma mi riferisco a qualunque tipo di rapporto, per esempio con i
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Chiacchierata informale
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
vicini di casa, con i colleghi di lavoro, i fornitori, i clienti. In ogni
tipo di relazione possiamo suscitare attrazione o avversione nei
nostri interlocutori.
D Allora la “prima impressione” di cui tanto si parla è un
fenomeno reale che va considerato seriamente?
Non è propriamente un fenomeno, bensì una sensazione istintiva che può essere di piacere e fiducia o di avversione e diffidenza
nei confronti dell’interlocutore. Le informazioni che determinano
tale sensazione vengono comunicate in un arco temporale molto
breve. In un solo istante il cervello elabora infatti una quantità
sorprendente di dati.
D Credo di aver capito. In sostanza, la comunicazione non
verbale consiste nel raccogliere a livello subconscio informazioni che ci permettono di conoscere la verità meglio di qualunque discorso verbale. È giusto quanto ho detto?
Io stesso non avrei saputo esprimermi meglio.
IL LINGUAGGIO DELLA MENTE E DEL CORPO
Pausa caffè
1 Il linguaggio non verbale rappresenta una finestra
aperta sulla mente del nostro interlocutore. Per
percepire i suoi veri sentimenti dobbiamo attivare
tre facoltà: empatia, sensibilità e percettività.
2 Per leggere correttamente il pensiero altrui dobbiamo tenere sempre presenti tre elementi fondamentali, detti le tre C: (in qualunque ordine)
contesto, complesso, coerenza.
3 Se non decodifichiamo in modo corretto questi
tre elementi, cadiamo in un errore di interpretazione.
4 È molto importante essere consapevoli delle proprie emozioni e valutare quelle altrui.
5 Quando cercate di leggere nella mente del vostro
interlocutore osservando il suo linguaggio non
verbale, ricordate che lui fa altrettanto con voi.
6 Rammentate che i vostri gesti possono provocare
un gesto reciproco da parte dell’interlocutore (se
il gesto è negativo, ostacola la comunicazione).
7 Come per tutto ciò che riguarda l’essere umano,
la scienza della comunicazione non verbale non è
una scienza esatta.
8 I sentimenti si comunicano maggiormente attraverso il linguaggio non verbale che attraverso le
parole.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
9 Non è esagerato affermare che, nella vita quotidiana, attraverso il linguaggio corporeo possiamo
suscitare attrazione o repulsione nel prossimo.
10 Il linguaggio non verbale rappresenta sempre l’indicatore più affidabile nel rivelare sentimenti, atteggiamenti ed emozioni.
11 Se le parole che pronunciamo non sono coerenti con quanto esprime il nostro linguaggio non
verbale, anche se si tratta semplicemente di una
cattiva abitudine (e non di una manifestazione di
sentimenti reali), è importante sapere che corriamo il rischio di essere mal compresi.
12 I dati che emergono dalle ricerche indicano puntualmente che il linguaggio non verbale comunica
con efficacia quanto segue:
accettazione e rifiuto
simpatia e antipatia
interesse e noia
verità e menzogna.
IL LINGUAGGIO DELLA MENTE E DEL CORPO
14 In ogni evento comunicativo, oltre il 90% del significato è dedotto dagli aspetti visivi del linguaggio non verbale e dai suoi elementi vocali, mentre
il resto deriva dalle parole effettivamente pronunciate.
15 Pertanto dobbiamo essere consapevoli dei seguenti fattori:
il nostro aspetto
la nostra voce
le nostre parole.
16 Se fra questi elementi non vi è coerenza, l’interlocutore presta fede all’aspetto.
17 Nel leggere il linguaggio non verbale altrui dobbiamo sempre rilevare gli eventuali segnali di
serenità e disagio e capire se il corpo manifesta
indizi di apertura o di chiusura. Questi sono gli
elementi basilari dell’evento comunicativo.
13 Ecco alcune delle modalità attraverso le quali avviene la comunicazione non verbale:
tratti vocali
espressioni facciali
distanza spaziale
contatto oculare
postura
contatto fisico
abbigliamento
movimenti delle mani, delle braccia e delle gambe
tensione del corpo.
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Lezione 2
Lo sguardo
Due persone che, incontrandosi, si guardano negli occhi, si trovano
immediatamente in una condizione di conflitto. Desiderano guardarsi e al
contempo distogliere lo sguardo. Da ciò deriva una serie complessa di movimenti
oculari di arretramento e avvicinamento.
Desmond Morris
Questa lezione è dedicata al viso e, in particolare, agli occhi,
autentico fulcro della comunicazione non verbale. In termini
di linguaggio corporeo, la capacità del viso di rivelare informazioni su noi stessi è seconda soltanto a quella degli occhi.
Occorre però osservare che, nella maggior parte dei casi, siamo in grado di esercitare un buon controllo sulle espressioni
facciali, modificandole a piacere per comunicare l’emozione
che desideriamo. Se, per esempio, vogliamo apparire contenti
pur covando un sentimento di insoddisfazione, ci è sufficiente
“indossare” la maschera corrispondente.
È più difficile, invece, assumere il pieno controllo dei gesti
e delle inflessioni vocali, che restano pertanto la principale
fonte delle cosiddette “fughe di informazioni” non verbali.
Nei rapporti con il prossimo tendiamo a dare più importanza al viso che alle parole pronunciate, e a credere principalmente a ciò che esso esprime. Il punto focale del viso sono gli
occhi. Sono questi a rivelare la maggior parte delle informazioni, seguiti in tale ruolo dal volto. Ogni sotterfugio per nascondere i nostri veri sentimenti sarà prontamente tradito da una
piccola smorfia involontaria, da un improvviso restringimento
degli occhi o da un sopracciglio che si inarca.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Comunichiamo più attraverso gli occhi che con qualsiasi
altra parte del corpo. Se la nostra lezione si svolgesse in un’aula,
in questo stesso istante potrei leggere nei vostri occhi l’impazienza di chi è ansioso di entrare nel merito dell’argomento, e
voi stessi, osservando i miei, potreste facilmente percepire ciò
che provo io.
Avrete sicuramente avuto modo di notare la straordinaria
capacità espressiva dello sguardo nelle scene di film e programmi televisivi in cui gli occhi di un personaggio o di un attore
rivelano con grande efficacia i sentimenti in gioco. Parlando
dell’importanza dei dialoghi e della mimica nei suoi film, il
grande regista Alfred Hitchcock disse:
“I dialoghi devono essere un aspetto del sonoro come
tutti gli altri, un semplice suono emesso dalle bocche dei
personaggi, i quali raccontano la storia in termini visivi
attraverso lo sguardo”.
I SEGNALI DEL CORPO
Gli occhi sono la parte più espressiva del corpo in
termini di comunicazione non verbale.
Il contatto oculare
Il contatto oculare è uno dei segnali non verbali attraverso
cui possiamo:
esprimere simpatia/intimità e confermare l’andamento della relazione (tendiamo a guardare di più coloro
che ci piacciono);
esercitare controllo (per esempio, possiamo intensificare il contatto oculare nel tentativo di convincere il
nostro interlocutore di un certo argomento o per essere
più persuasivi);
regolare l’interazione (usiamo lo sguardo per orientare
la conversazione dopo averla avviata);
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LO SGUARDO
creare atmosfera e fornire informazioni su noi stessi
(possiamo, per esempio, dimostrare attenzione, competenza, credibilità, simpatia, ma anche, ovviamente, disinteresse).
Tutto questo ci induce naturalmente a riflettere sull’efficacia delle comunicazioni che avvengono per via telefonica e
tramite posta elettronica.
Lo specchio dell’anima
Leonardo definì gli occhi “lo specchio dell’anima”. Se i critici d’arte stanno ancora cercando di decifrare il reale significato
che si nasconde dietro lo sguardo enigmatico della Gioconda,
noi, nella vita quotidiana, abbiamo la fortuna di poter decifrare con maggiore facilità lo sguardo dei nostri interlocutori.
Se ci riflettete per un istante, vi renderete subito conto che,
durante le conversazioni, guardiamo quasi sempre il volto di
chi abbiamo davanti, e ciò conferma l’importante ruolo che gli
occhi assumono nel rivelare i pensieri e gli stati emotivi.
Il contatto oculare è uno strumento di grande importanza per stabilire intesa e senso di fiducia nei confronti dei
nostri interlocutori. La sua assenza può ostacolare la comunicazione, oltre a privarci di uno strumento che ci permette di
accertare la sincerità del parlante.
In generale tendiamo a dirigere lo sguardo verso ciò che
riteniamo interessante (può essere una persona o un oggetto)
e a distoglierlo da ciò che suscita interesse scarso o nullo. Tale
considerazione ci fornisce già un primo elemento per iniziare
a comprendere i sentimenti nostri e altrui.
La straordinaria importanza del contatto oculare nella comunicazione non verbale deriva dal fatto che esso è il tratto
comportamentale che notiamo immediatamente. Quando si
ha un contatto oculare positivo, la persona che ci è di fronte ci
appare – almeno inizialmente – degna di fiducia.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Il comportamento dello sguardo
Parlando di “comportamento dello sguardo” ci si riferisce
al significato psicologico dei movimenti oculari e alla loro appropriatezza rispetto alle diverse situazioni. Sappiamo che, nel
corso di una normale conversazione, il contatto oculare con
la persona che ci sta di fronte è tendenzialmente intermittente. Nella nostra cultura, i comportamenti che si discostano da
questa norma possono contrastare il senso di fiducia e di gradevolezza e provocare disagio.
Tale è la potenza dello sguardo che, prolungandone la durata anche di pochi secondi oltre la “norma”, otteniamo un segnale denso di significato.
Il parlante può distogliere di tanto in tanto lo sguardo e
quindi ripristinare il contatto oculare per accertarsi che l’interlocutore lo stia ancora ascoltando (e non si sia allontanato!)
e per verificare dall’espressione dei suoi occhi che sia ancora
interessato e comprenda il senso del discorso.
L’ascoltatore dimostra di essere interessato alla conversazione guardando la persona con maggiore frequenza.
Se è disorientato a causa di qualcosa che è stato detto, se
è in disaccordo, distratto o semplicemente annoiato dall’incontro, l’ascoltatore riduce al minimo il contatto oculare.
Se l’ascoltatore guarda costantemente altrove, significa che
è intervenuto qualcosa di serio a determinare la completa interruzione dell’attenzione.
In una conversazione normale si verifica una sorta di “danza” degli sguardi:
LO SGUARDO
ad assumere il ruolo del parlante. Inizierete pertanto
il vostro discorso, poi distoglierete lo sguardo e lo ricondurrete nuovamente su di me per verificare l’effetto delle vostre parole…
In una tipica interazione vi è un continuo movimento di
sguardi volto a verificare le reazioni dell’ascoltatore nei confronti del parlante: entrambi osservano il linguaggio corporeo dell’altro (oltre, naturalmente, a interpretarne le parole).
Alcune persone hanno particolare difficoltà ad accettare il
contatto oculare. In considerazione dell’importanza che esso
riveste nella cultura occidentale allo scopo di stabilire il senso di fiducia, la sua mancanza può effettivamente ostacolare
la qualità delle relazioni. Pensate a ciò che provate quando vi
trovate di fronte una persona che vi parla guardando altrove
(naturalmente, in qualche occasione è capitato a tutti di evitare il contatto oculare, magari per non doverci intrattenere
con un conoscente che abbiamo incrociato per la strada o in
un negozio).
io, parlante, inizio la conversazione e guardo verso di
voi; quando il mio discorso acquista slancio, guardo
altrove; terminato di sviluppare l’argomento, guardo
nuovamente verso di voi per verificare l’effetto della
mia dichiarazione; voi, gli ascoltatori, mi avete guardato per tutto il tempo e a questo punto siete pronti
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
ATTENZIONE
Nelle relazioni interpersonali, l’abitudine di evitare
il contatto oculare viene interpretata inconsciamente
dai nostri interlocutori come segnale che indica che
non si è meritevoli di fiducia (“Non saprei dire… in lui
c’era qualcosa di strano…”). Quand’anche tale interpretazione non corrispondesse alla realtà – siamo persone assolutamente affidabili – resta il fatto che questo comportamento dello sguardo, che magari fa parte
della nostra personalità o abbiamo acquisito nell’infanzia e non abbiamo mai corretto, crea una certa impressione negli altri e l’impressione, purtroppo, è ciò
che conta di più.
I SEGNALI DEL CORPO
A qualunque motivazione risponda, l’abbassare lo
sguardo ed evitare il normale contatto oculare è un
gesto che denota insicurezza ed è percepito come
segnale di sottomissione.
Dove dirigere lo sguardo
Molte persone trovano motivo di disagio nel contatto oculare e appaiono goffe perché – per le ragioni più diverse – non
sanno bene su quale zona del volto (o del corpo) dell’interlocutore concentrare lo sguardo. Alcuni esperimenti condotti
su tre diverse fasce del viso hanno evidenziato che si considera
come culturalmente normale il comportamento che segue.
1. In generale, per esempio quando siamo
in presenza di estranei – anche nelle relazioni di lavoro –, lo sguardo ideale è
quello rivolto all’interno di un triangolo
immaginario i cui angoli di base corrispondono agli occhi dell’interlocutore e il
vertice superiore alla sommità della fronte.
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LO SGUARDO
Evitate che lo sguardo scenda al di sotto dei suoi occhi:
abbassandolo, infatti, entrereste nella cosiddetta zona
dello “sguardo sociale” (si veda oltre), con l’effetto di
ridurre la formalità e la serietà della conversazione. Naturalmente potete decidere di farlo – a condizione che
lo desideriate – se percepite che l’incontro, dato il suo
andamento, può essere condotto a un livello maggiormente amichevole.
2. Lo “sguardo sociale”, quello che viene percepito come
normale negli incontri amichevoli, si dirige all’interno di
un triangolo immaginario compreso fra occhi e bocca.
3. Lo “sguardo intimo” segnala interesse di
natura sessuale. Si dirige verso gli occhi e
quindi scende sotto il mento fino ad altre
parti del corpo; nel caso di un uomo che
guarda una donna, scende generalmente fino al petto. Dopo questa scansione
effettuata con discrezione, lo sguardo
ritorna rapidamente a posarsi sugli
occhi, ma la sua durata è tale da dimostrare un chiaro interesse. Sia gli uomini
sia le donne utilizzano lo sguardo intimo
nell’ambito del corteggiamento; se anche l’altra persona è interessata, restituisce a sua volta lo stesso tipo di sguardo.
Ora vi invito a esercitarvi a usare il tipo di
sguardo più appropriato per ogni situazione e a far “danzare”
gli occhi durante la conversazione. Scoprirete di risultare molto più interessanti e credibili per i vostri interlocutori e noterete anche un cambiamento dei messaggi non verbali che essi vi
inviano. Non prolungate eccessivamente lo sguardo intermittente, perché creereste l’impressione dello sguardo insistente.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LO SGUARDO
Lo sguardo prolungato mette a disagio l’interlocutore
e provoca una pericolosa distorsione del messaggio. Molte
persone non si rendono conto di avere l’abitudine di fissare gli
altri in modo eccessivo, forse semplicemente perché nessuno
glielo ha mai fatto notare. Che si tratti di amici, colleghi di lavoro, conoscenti o estranei, il loro sguardo prolungato suscita
in noi una sensazione di disagio.
Costoro rientrano nella categoria, peraltro ampia, delle
persone delle quali diciamo “Non so… ma in lui/lei c’è qualcosa che non mi piace…”.
Distogliamo lo sguardo per meglio elaborare i pensieri e
liberarci della distrazione rappresentata dalla presenza stessa
dell’interlocutore. Chi ritiene che questo sia un segnale di rifiuto o di scortesia non ha compreso pienamente la fragilità della
condizione umana. Distogliere di tanto in tanto lo sguardo è
un modo per “offrire spazio” all’interlocutore e, al contempo,
per limitare la quantità di stimoli sensoriali cui siamo esposti. Questa pratica, inoltre, rientra nell’ambito dell’educazione
ed evita le spiacevoli conseguenze dell’osservazione insistente.
D’altra parte non occorre spiegare come, alternando al contatto oculare lunghe pause in cui lo sguardo vaga liberamente
intorno, possiamo suscitare l’impressione di essere annoiati o
disinteressati.
La “danza” degli sguardi
Fino a questo punto abbiamo sottolineato l’importanza
del contatto oculare nei rapporti diretti con le altre persone,
ma occorre aggiungere un ulteriore dettaglio del quale probabilmente non siete ancora consapevoli: il parlante distoglie lo
sguardo più spesso rispetto all’ascoltatore.
Forse non avete mai riflettuto su questo punto, nonostante anni di esperienza nelle relazioni interpersonali. Molto
semplicemente non ci avete mai fatto caso (come forse non
avete mai fatto caso al lato verso cui è rivolto il viso della regina sulla moneta da una sterlina o a come sono orientati i semi
quando tagliate una mela in due. Sapreste dirlo su due piedi?).
Vi chiederete per quale motivo, dopo avervi detto che nel
parlare agli altri è importante guardarli, adesso vi dico che dovete distogliere lo sguardo. La ragione è molto semplice: da
fragili esseri umani quali siamo, proviamo disagio nei confronti di uno sguardo troppo insistente. Lo sguardo quasi sempre rivolto altrove crea l’impressione sbagliata della persona
nervosa e inaffidabile, mentre lo sguardo troppo prolungato fa
apparire aggressivi o “strani”. Le cifre che vi fornirò tra breve
dimostrano che il buon oratore dotato di una spiccata intelligenza emotiva – o empatia – lancia sguardi intermittenti mediamente per metà del tempo o poco meno.
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I SEGNALI DEL CORPO
Nella normale conversazione il contatto oculare è
sempre intermittente. Qualsiasi trasgressione rispetto
a questa “norma” procura un senso di disagio.
Un contatto oculare efficace ci permette anche di segnalare
a chi ci sta ascoltando che stiamo per concludere il nostro intervento. Se osservate due persone che conversano, vi accorgerete che il parlante rivolge involontariamente un breve sguardo all’ascoltatore per segnalare che da lì a poco potrà prendere
la parola.
È interessante notare il comportamento di chi aspetta di
poter intervenire, ma non vi riesce perché l’oratore è logorroico oppure non possiede l’intelligenza emotiva necessaria per
leggere i lievi segnali corporei dell’ascoltatore; a questo punto
quest’ultimo distoglie lo sguardo, ossia interrompe il contatto
oculare. Può anche compiere un gesto e inspirare profondamente, riempirsi i polmoni d’aria e iniziare a parlare.
La ricerca dimostra che, in un’interazione tipica, l’oratore
esperto guarda l’ascoltatore per il 45-60% del tempo.
L’ascoltatore guarda l’oratore per il 70-80% del tempo.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LO SGUARDO
Per circa il 30% del tempo si instaura il cosiddetto “sguardo
reciproco”.
È importante anche la durata dello sguardo. La durata media dello sguardo “semplice” è di 2,95 secondi, mentre la durata media dello “sguardo reciproco” è di 1,8 secondi.
A questo punto vi è probabilmente chiaro che quella certa sensazione di “disagio” che provate nei confronti di alcuni
interlocutori è spesso dovuta alla durata del contatto oculare o
alla durata del loro sguardo. Lo sguardo socialmente accettabile
non è mai fisso o insistente.
Analizzando questo aspetto scoprirete cose di cui non eravate consapevoli sul vostro linguaggio non verbale. Ora riflettete sul comportamento dei vostri colleghi di lavoro, del capo,
dei parenti e degli amici:
I SEGNALI DEL CORPO
In una normale conversazione, il parlante distoglie lo
sguardo più di frequente rispetto all’ascoltatore.
Per comprendere quali intenzioni si nascondano dietro lo
sguardo prolungato è necessario raccogliere altri messaggi non
verbali. In proposito Desmond Morris ha affermato:
“Il problema è capire se la persona che ci rivolge uno
sguardo insistente ci desidera o ci disprezza”.
Si tratta di un individuo che ci è ostile o di una persona
che ha intenzioni benevole? Siamo in vista di un’imminente
“storia d’amore” o di uno scontro? La direzione assunta dallo sguardo rivela semplicemente se siamo o no oggetto di un
grado di attenzione un poco superiore o inferiore a quella che
è considerata la norma culturale. Per decodificare il messaggio
con maggiore precisione, dobbiamo interpretarlo alla luce di
altri segnali concomitanti. Riflettete per un istante sul vostro
comportamento. Nelle diverse occasioni della vita quotidiana,
in quale misura usate abitualmente il contatto oculare con:
i conoscenti;
i colleghi di lavoro;
gli estranei?
sono migliori o peggiori di voi?
il contatto oculare è più frequente o prolungato con alcuni di loro rispetto ad altri?
I SEGNALI DEL CORPO
Spesso dimostriamo il nostro interesse (di qualsiasi
natura) per un’altra persona prolungando di alcuni
secondi il contatto oculare.
E sul lavoro? Vi sono differenze in tale ambito fra:
subordinati;
pari;
superiori?
PROVATE ANCHE VOI
Provate a intensificare il contatto oculare (sempre
entro i limiti di accettabilità che abbiamo descritto)
con persone appartenenti a diversi ambiti della vostra
vita e valutate se si verificano cambiamenti significativi nei rapporti. Provate, per esempio, a prolungare il
contatto oculare con un amico (dopo averlo informato dell’esperimento) e invitatelo a dirvi a quale punto
inizia ad avvertire disagio.
La dominanza
Capita talvolta di imbatterci in persone che abbiamo difficoltà a guardare negli occhi perché tendono a prolungare
eccessivamente lo sguardo diretto, turbando il delicato equi-
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LO SGUARDO
librio della “danza” di cui abbiamo parlato in precedenza, oppure perché hanno lo sguardo “sfuggente”, ossia mantengono
il contatto oculare per intervalli troppo brevi. È tipico, per
esempio, che guardino a lungo fuori della finestra o tengano
lo sguardo rivolto al pavimento, per poi lanciare improvvisamente un’occhiata nella nostra direzione (a condizione che non
ce ne siamo già andati). Sono persone che incontriamo magari
a una festa o a una funzione, o persone “dominanti” che rivestono un ruolo superiore sul posto di lavoro.
Sul rapporto di dominanza/subordinazione è stato scoperto un elemento interessante. Alcuni esperimenti hanno evidenziato infatti che, nella maggior parte dei casi, nella conversazione fra due persone che non occupano lo stesso livello
gerarchico, la persona dominante tende a manifestare il proprio
status più elevato attuando in ordine contrario la consueta danza di sguardo-ascolto-discorso: mentre parla, guarda l’interlocutore per un tempo complessivamente superiore rispetto a
quando ascolta.
Il comportamento dello sguardo è per gran parte di natura
culturale. Nell’ambito di una certa cultura, in sostanza, ognuno sa quanto a lungo può guardare direttamente gli interlocutori. Tutti gli studi dimostrano che le persone i cui movimenti
oculari appaiono calmi e tranquillizzanti, ma al tempo stesso
attenti, sono percepite come sincere, premurose e affidabili.
Il contatto oculare è uno strumento efficace per stabilire il
senso di fiducia, ma può anche produrre un risultato opposto.
A questo proposito, affidatevi all’istinto. Che cosa vi fa sentire
a disagio? Ben sapendo che il significato di uno sguardo varia
di cultura in cultura, è evidente che nel mondo occidentale
uno sguardo troppo prolungato è ritenuto scortese, può risultare minaccioso e alienarci le simpatie altrui.
Naturalmente dobbiamo mantenere il contatto oculare con
l’interlocutore per il semplice motivo che dobbiamo osservarne
i messaggi non verbali per meglio comprendere i nostri sentimenti nei suoi confronti e coglierne le reazioni. Vale la pena
ribadire il concetto: la comunicazione non verbale è sempre
uno scambio reciproco.
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I SEGNALI DEL CORPO
In una conversazione in cui il contatto oculare è
importante – per esempio al ristorante o in un incontro di
lavoro – fate in modo di sedere di fronte all’interlocutore
e non al suo fianco o in posizione laterale.
A questo punto vorrei introdurre un breve commento sulle
automobili. Che cosa hanno a che fare con il contatto oculare?
Intendo discuterne perché molti di noi trascorrono parecchie
ore della giornata a bordo dell’auto.
Nella vita privata come sul lavoro, vi consiglio di non condurre conversazioni importanti o impegnative con la persona
che siede in auto al vostro fianco o alle vostre spalle, perché
mancano le condizioni per la buona riuscita dell’interazione.
Per una comunicazione efficace dovete trovarvi di fronte all’interlocutore e poterlo guardare direttamente (quante volte, nei
film e nella vita reale, avete visto persone scendere dall’auto
sbattendo la portiera?)
Sono certo di non esagerare nel sottolineare ancora una
volta come il maggiore contributo alla buona intesa che può
instaurarsi nel corso di una conversazione provenga dal giusto
grado di contatto oculare.
L’intesa, come la fiducia e la bellezza (e le lenti a contatto!), si trova negli occhi dell’osservatore.
Gli studi sulla direzione dello sguardo
In quanto “specchio dell’anima”, gli occhi ci forniscono
molti indizi su ciò che un soggetto pensa realmente. Numerosi
studi sulla direzione dei movimenti oculari hanno rivelato che
questi sono correlati all’elaborazione dei pensieri in termini di
suoni, immagini e sensazioni.
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LO SGUARDO
Ma vediamo più in particolare che cosa rivelano. Immaginate di essere impegnati in una conversazione con una persona che, mentre parla o vi ascolta, compie i movimenti oculari
elencati nel seguito. Si tratta di un comportamento assolutamente comune, cui si assiste di frequente, e che noi stessi assumiamo nello svolgimento delle normali interazioni quotidiane
pur non essendone consapevoli. Ecco, nel dettaglio, che cosa
esso rivela:
rapidi (anche 30-40 al minuto) indica una forma di ansia. Le
persone che si trovano improvvisamente sotto pressione accelerano i movimenti delle palpebre; lo stesso accade a chi
mente, nel qual caso tale comportamento generalmente si accompagna ad altri gesti rivelatori. Quando infine la persona
ritorna a una condizione normale, anche il battito palpebrale
si normalizza.
Noterete che vi sono persone che battono le palpebre a un
ritmo accelerato quando cercano di spiegare qualcosa, quando sono imbarazzate per qualche motivo o come reazione di
disappunto per qualcosa che è stato detto. Tale comportamento rivela di solito uno stato di disagio dovuto a:
la persona che guarda in basso a destra riporta alla
mente sensazioni e sentimenti;
la persona che guarda in basso a sinistra parla con sé
stessa;
la persona che guarda in alto a sinistra cerca di visualizzare qualcosa che è accaduto in passato;
la persona che guarda in alto a destra cerca di immaginare qualcosa;
la persona che volge lo sguardo a sinistra cerca di ricordare dei suoni;
la persona che volge lo sguardo a destra cerca di ricostruire dei suoni.
Il battito palpebrale
azioni compiute dalla persona stessa;
incapacità della persona di esprimere un parere al momento opportuno;
qualcosa che è stato detto.
I SEGNALI DEL CORPO
Quando il battito palpebrale del vostro interlocutore
accelera, è il momento di cambiare l’argomento della
conversazione.
Che cosa sappiamo del battito palpebrale e che cosa esso
può comunicarci? Di norma battiamo le palpebre 8-15 volte
al minuto (il numero varia a seconda della situazione). Dal
punto di vista fisiologico, chiudere e aprire le palpebre ci permette di mantenere lubrificata la cornea. Quando lavoriamo
al computer fissandone lo schermo e quando guardiamo la
televisione, il ritmo palpebrale varia in funzione del grado di
concentrazione mentale. Il battito palpebrale alterato viene generalmente associato a qualche forma di disagio.
Osservando con attenzione il prossimo, potrete notare che
il passaggio dal battito palpebrale normale a movimenti più
Qualcuno forse ricorda, per averne sentito parlare o per
averlo visto in televisione, un episodio entrato ormai a pieno
diritto nel folklore occidentale: il comportamento dell’ex presidente americano Bill Clinton di fronte al gran giurì e il suo
ritmo palpebrale accelerato quando fu posto sotto pressione.
Occorre ribadire che, di per sé, l’accelerazione del battito delle
palpebre indica soltanto che la persona vive una situazione di
disagio. In quanto situazioni stressanti, sia il mentire sia l’essere semplicemente interrogati possono provocare l’accelerazione del battito palpebrale.
In generale i suoi cambiamenti sono accompagnati da altri
comportamenti che indicano nervosismo, ansia o menzogna,
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LO SGUARDO
ma talvolta manifestano invece il senso di superiorità che il
soggetto nutre rispetto all’interlocutore.
Possiamo osservare spesso, alla televisione (per esempio,
nelle interviste a uomini politici) o nella vita reale, che chi si
sente superiore agli altri rallenta leggermente il battito delle
palpebre rispetto alla norma.
Ora che conoscete il significato di questo comportamento
quasi impercettibile, soffermatevi a riflettere per qualche istante. Ricordate di averlo notato in qualcuno? Cercate di visualizzarlo nella mente. Il battito palpebrale rallentato permette
di tenere gli occhi chiusi più a lungo, ossia di eliminare più
a lungo dalla vista l’interlocutore (il negoziante spocchioso,
la segretaria del medico, il nuovo capo… vi viene in mente
qualcuno?).
Spesso questo comportamento è adottato da persone che
detengono un certo “potere” su di noi; verosimilmente è un
potere che immaginano maggiore di quanto non sia in realtà e
che assume dimensioni distorte e ingiustificate ma appaganti
(e che compensano la misera retribuzione). Riassumendo: una
persona vi guarda battendo le palpebre lentamente per escludervi dalla vista più a lungo del normale. Tiene anche la testa
leggermente reclinata all’indietro? Comodo, vero? Così può
anche guardarvi dall’alto in basso (ecco un tipico complesso
di segnali!).
A questo punto dobbiamo considerare le situazioni in cui si
verifica questo comportamento. Lo riscontriamo, per esempio,
in occasione di conferenze, in classe durante una lezione, negli
incontri pubblici e nelle conversazioni in generale. Può essere
dovuto alla noia, al disaccordo con ciò che viene detto o a un
sentimento di ostilità: l’ascoltatore che desidera fuggire rallenta il battito palpebrale. Di fronte a questo segnale l’oratore
accorto percepisce il messaggio negativo e modifica la propria
strategia, oppure introduce un diversivo per stimolare nuovamente l’interesse del pubblico.
Come sempre, per formulare il giudizio dobbiamo però
ricercare altri gesti di conferma – un complesso gestuale – e
non basarci su una sola osservazione. La persona che ascolta
con interesse e concentrazione, per esempio, pur mantenendo
un buon contatto oculare può anche rallentare il battito delle
palpebre perché prova ammirazione per l’oratore o per quanto
egli dice: in tal caso il rallentamento è un segnale positivo, e
questo conferma la necessità di raccogliere sempre un insieme
di indizi.
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Il cut-off o comportamento di esclusione
Vi sono persone che hanno la tendenza a chiudere gli occhi
mentre parlano: per alcune è un’abitudine, altre lo fanno soltanto quando rispondono a una domanda. Durante i suoi interventi, per esempio, la parlamentare britannica Anne Widdecombe mantiene gli occhi chiusi a lungo (benché ultimamente
sia molto migliorata).
Le palpebre si abbassano e restano chiuse alcuni secondi
prima di riaprirsi, e il gesto si ripete più volte nel corso della
conversazione. Conoscete persone che manifestano tale comportamento?
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LO SGUARDO
Lo trovate gradevole o fastidioso? Margaret Thatcher aveva
questo “vizio” agli inizi del mandato di primo ministro, ma riuscì a eliminarlo quasi del tutto grazie all’intervento dei consulenti d’immagine. In molti casi questo tipo di comportamento
è un mezzo attraverso il quale il corpo “chiude fisicamente la
saracinesca” per interrompere un incontro sgradevole o una
situazione che pone la persona sotto particolare pressione.
In altri casi si tratta invece del tentativo di escludere gli stimoli sensoriali esterni allo scopo di concentrare ogni energia
sull’organizzazione dei pensieri. L’elemento importante, tuttavia, è che tale comportamento – derivante da un’esigenza effettiva o da una semplice abitudine – può suscitare irritazione
nell’ascoltatore e comunicargli un messaggio sbagliato.
Ancora una volta dobbiamo ricercare altri indizi (complesso) a conferma della condizione emotiva della persona. Se
questa compie altri gesti che denotano irritazione, è evidente
che il suo stato interiore è negativo; se invece la chiusura delle
palpebre è un gesto isolato e non accompagnato da altri elementi coerenti, probabilmente si tratta soltanto di un’abitudine (che può comunque risultare irritante!).
Mi viene in mente in proposito la scena in cui Hannibal
Lecter, chiuso in cella, pone nel suo modo inimitabile una domanda inquisitoria a Clarice Starling, la quale, turbata, interrompe il contatto oculare e volge lo sguardo a terra:
“Non troverai certo la risposta fissando quelle scarpette
da due soldi, Clarice...”
(Il silenzio degli innocenti)
Altre attività oculari
Abbassare lo sguardo
Se, come abbiamo visto, vi è chi attua una propria variante
del normale battito palpebrale chiudendo gli occhi per alcuni
secondi, vi è anche chi esprime il desiderio di sottrarsi alla situazione abbassando lo sguardo.
Talvolta questo comportamento rappresenta il tentativo di
interrompere una conversazione che si sta facendo difficile, altre volte segnala all’interlocutore che può assumere momentaneamente il controllo della conversazione, in altre occasioni
serve invece a evitare di rispondere a una domanda inopportuna o imbarazzante.
Questo tipo di comportamento oculare è detto eye dip.
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Hannibal Lecter (Anthony Hopkins) studia l’agente dell’FBI Clarice Starling
(Jodie Foster)
Lo sguardo oscillante
Un altro movimento oculare molto comune è quello in cui
gli occhi si dirigono rapidamente da un lato all’altro mentre la
testa rimane ferma (un po’ come l’espressione di Benny Hill in
una scena con alcune donne in abiti succinti!). In questo caso
si parla di eye shuttle o “sguardo oscillante”. Si tratta essenzialmente di una reazione di “fuga”. Potreste averlo osservato
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LO SGUARDO
nel titolare dell’impresa edile quando, nel momento in cui si
congedava con l’assegno in mano, gli avete chiesto se esisteva
qualche forma di garanzia sul lavoro svolto per voi, o in un
conoscente che avete fermato a una conferenza dopo averlo
riconosciuto.
Lo sguardo che si dirige rapido da un lato all’altro rivela il
desiderio inconscio di trovare una via di fuga dalla situazione e
dal luogo, o di individuare una forma di soccorso inaspettato.
Al contempo comunica un senso di nervosismo e di disagio,
creando nell’interlocutore un’impressione negativa che può
indurlo, a sua volta, a inviare segnali negativi.
Come sempre – e vale la pena ribadirlo – la comunicazione
non verbale è uno scambio in entrambe le direzioni: io interpreto (in modo corretto o scorretto) i segnali corporei dell’interlocutore e, sulla base di questa interpretazione, reagisco inviando a mia volta segnali a lui.
Alla luce di tali osservazioni è facile comprendere per
quale motivo le incomprensioni sono tanto frequenti.
La persona che ha il vezzo “irritante” (la persona A) comunica un messaggio subliminale al suo interlocutore (la persona
B); costui lo interpreta in maniera negativa e a sua volta, a causa dell’irritazione che prova, reagisce inviando segnali corporei
negativi ad A. Nel riceverli, anche A prova irritazione nei confronti di B e la comunicazione fallisce, semplicemente, a causa
di sentimenti percepiti e non reali.
Immaginiamo che cosa potranno riferire più tardi A e B ai
rispettivi amici:
Questa situazione illustra bene la natura di scambio reciproco della comunicazione non verbale e il principio di causa
ed effetto.
Osserviamo, qualora vi fosse il bisogno di ribadirlo, che
queste sensazioni si comunicano per la maggior parte senza
alcun riferimento alle parole pronunciate. Se interpretiamo
gli sguardi di cut-off come segnali negativi indirizzati a noi
personalmente (crediamo, per esempio, che l’interlocutore ci
disprezzi) mentre così non è, soltanto perché abbiamo trascurato di considerare il contesto e il complesso gestuale, allora
può prodursi una situazione di cattiva comunicazione.
La persona potrebbe averci inviato quei segnali perché era
tesa per motivi suoi e aveva bisogno di ridurre per qualche
istante l’afflusso di stimoli sensoriali esterni per ritrovare la
concentrazione. Talvolta tutti abbiamo bisogno di isolarci visivamente dal mondo per recuperare la lucidità mentale.
In qualche caso, poi, si tratta di un semplice tic nervoso. Sarebbe tuttavia opportuno che la persona ne fosse consapevole
e, soprattutto, ne comprendesse l’effetto sui suoi interlocutori. Insomma, sarebbe utile a tutti conoscere il linguaggio non
verbale!
B (a un amico): “In lei c’era qualcosa che mi infastidiva.
Aveva un’espressione severa… non vedevo l’ora di andarmene”.
Contrazione e dilatazione
Un altro comportamento che tutti assumiamo di tanto in
tanto consiste nel contrarre gli occhi. Qual è il suo significato? In generale indica una forma di disapprovazione o è un
segnale di dominanza, ed è stato paragonato all’effetto di una
visiera abbassata sugli occhi. Si accompagna all’abbassamento
delle sopracciglia, perciò può essere facilmente scambiato per
un’espressione corrucciata che denota rabbia, ma non sempre
è vero.
Alcune persone adottano questa espressione quando si
concentrano intensamente, soprattutto nella lettura. Possono
avere un comportamento rilassato e trasmettere segnali di totale apertura che ce le fanno apparire gioviali e ben disposte,
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A (a un amico): “Non so perché, ma non mi è proprio
piaciuto. Aveva uno sguardo infastidito… e poi, non mi
ascoltava”.
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
fino a quando non prendono in mano il report che abbiamo
stilato per loro. A quel punto, nell’osservarne l’espressione,
possiamo pensare che abbiano cambiato umore e si siano adirate o infastidite a causa del contenuto dello scritto, e invece,
al termine della lettura, sollevano lo sguardo e commentano:
“Bene, ottimo lavoro”. Come mai?
È evidente che questo tipo di persona adotta un aspetto
pensieroso o minaccioso quando si concentra intensamente:
il viso si blocca in un’espressione di studiata concentrazione.
Pensate a Basil Rathbone (Sherlock Holmes) che analizza un
documento con un esasperato dottor Watson al fianco.
La persona che invece prova un reale sentimento di disapprovazione adotta questi stessi segnali quando incontra elementi del documento che le procurano preoccupazione o fastidio. L’aspetto esteriore è identico in entrambi i casi, ma uno
è dovuto al tipo di personalità e alla concentrazione, l’altro è
una reazione fisica che si manifesta a livello oculare. Prima di
giudicare, quindi, valutate sempre la persona nel suo insieme e
non la sua singola espressione.
Avete mai notato che, quando volete manifestare segni di
incredulità o di innocenza, o volete dimostrare che siete attenti
e interessati (le donne in particolare), spalancate gli occhi e
al contempo sollevate le sopracciglia? Gli occhi grandi hanno
un effetto attraente; pensate per esempio a ciò che proviamo
nei confronti di un bambino povero che ci guarda con gli occhi spalancati. Nelle indagini statistiche su ciò che nelle donne richiama maggiormente l’attenzione maschile, gli uomini
dichiarano spesso (contrariamente all’opinione comune) di
guardare per prima cosa gli occhi. Gli occhi spalancati e le sopracciglia sollevate favoriscono le buone relazioni.
Le espressioni facciali
Con uno sguardo posso spezzarti il cuore
Con uno sguardo posso interpretare qualunque ruolo
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LO SGUARDO
Posso far cantare il tuo cuore triste
Con uno sguardo posso dirti tutto ciò che devi sapere
Non vi sono parole per dire quel che dicono i miei occhi
Guardami quando mi acciglio, non sapresti dirlo a voce
Sai che ho ragione, è qui nero su bianco
Quando ti guardo, capisci bene ciò che dico…
(Viale del Tramonto)
Come cantava Norma Desmond in Viale del tramonto, lo
sguardo vale più delle parole. In termini di comunicazione
non verbale il viso è la parte più espressiva del corpo e la prima
verso la quale rivolgiamo naturalmente lo sguardo nelle interazioni con i nostri simili. Ciò che diciamo è sempre accompagnato dalle espressioni facciali. Il volto è la parte del corpo
che emette il maggior numero di segnali e non potrebbe essere
diversamente, dal momento che dispone di 22 muscoli attivi
per ciascun lato.
Attraverso il viso una persona può comunicarci, per esempio, di essere arrabbiata, mentre altri segnali sono indicativi
del tipo di reazione che la rabbia provoca in lei. Agita le braccia
o cerca di reprimere i sentimenti con movimenti nervosi, per
esempio tamburellando le dita sul tavolo?
I SEGNALI DEL CORPO
Numerosi studi hanno evidenziato che le donne sono
più abili degli uomini nell’usare un linguaggio non
verbale efficace e appropriato, soprattutto attraverso
il viso.
Abbiamo già discusso degli occhi e sappiamo che lo sguardo è uno strumento comunicativo di grande efficacia e nel cui
uso dimostrano una particolare abilità le donne, maestre nel
dire molte cose con un solo sguardo. Pensiamo per esempio
all’attrice Judi Dench e alle impareggiabili occhiate con cui
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
“trafigge” il povero Geoffrey Palmer nella sitcom As Time Goes
By della BBC, ma anche, nelle vesti di M, a un provato James
Bond nei film di 007.
Conosciamo il significato dei movimenti oculari, ma sappiamo anche che, per ottenere informazioni più complete,
dobbiamo interpretarli alla luce di altri movimenti dei muscoli facciali, del naso, delle labbra e della mandibola. In generale
tendiamo a credere a ciò che ci rivela un volto più che alle parole pronunciate. Se qualcuno afferma di “essere giù di morale”, ci aspettiamo di vedergli in viso un’espressione afflitta;
se dichiara di essere arrabbiato, ci aspettiamo un’espressione
incollerita.
Ma se poi dichiara con un generoso sorriso di disprezzare
qualcuno, allora crediamo più al sorriso che alle parole. Quando il messaggio verbale non è coerente con l’espressione facciale, prestiamo fede a ciò che vediamo, cioè l’espressione, e
non a ciò che udiamo, ossia le parole (ricordate a questo proposito la regola del “55, 38 e 7%”).
Le espressioni del viso sono state oggetto di innumerevoli
studi. Il primo a far luce sulla loro importanza comunicativa e sulla loro capacità di esprimere le emozioni fu Charles
Darwin. Le emozioni universalmente riconosciute come tali in
tutte le culture sono sei:
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LO SGUARDO
gioia;
tristezza;
sorpresa;
disgusto;
paura;
rabbia.
Quando vi trovate in compagnia, magari in treno, al centro commerciale o per la strada, provate a guardarvi intorno
con attenzione e osservate le espressioni facciali di chi vi circonda. La pratica permette di padroneggiare l’arte. Inconsapevolmente vi troverete a memorizzare un intero repertorio di
espressioni da utilizzare come riferimento nel mettere a frutto
quell’incredibile facoltà che si chiama “intuito”.
Se doveste qualificare con un solo attributo l’impressione
che vi comunica il volto di una persona, quale usereste? Provare a osservare, nei luoghi pubblici, se le espressioni facciali
sono “coerenti” o se contrastano con ciò che comunica il resto
del corpo.
A proposito di coerenza, di recente ho visto il video promozionale di un nuovo terminal aeroportuale in cui vi era una
lunga coda di passeggeri in attesa, tutti con il volto sorridente.
Che storia è mai questa? Non mi è mai capitato di vedere visi
sorridenti in aeroporto!
PROVATE ANCHE VOI
Quando ne avete la possibilità, sedete di fronte a una
persona e provate a contare il numero di espressioni
e smorfie facciali che compie nell’arco di 10 minuti. È
un’esperienza rivelatrice.
Esercitatevi nella lettura del viso e del corpo e cercate di risalire alla voce interiore delle persone (il flusso di pensieri che
le induce a cambiare espressione). Provate a identificare anche
le espressioni associate agli eventi “ambientali”, per esempio
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LO SGUARDO
quando, in treno, un passeggero appena salito a bordo costringe un’altra persona che è già seduta a raccogliere i gomiti o le
gambe entro uno spazio più limitato.
E voi? Quanti “sentimenti universali” avete provato nelle
ultime due settimane? Al lavoro e in famiglia, siete sempre riusciti a mascherarli in modo che gli altri non se ne accorgessero? Ne dubito: è difficile essere consapevoli di tutte le “fughe di
informazioni” che avvengono attraverso il linguaggio non verbale e, soprattutto, attraverso l’attività della parte inferiore del
corpo. Per vostra fortuna, fra tutti coloro con cui siete venuti a
contatto, soltanto i più empatici hanno visto oltre la maschera.
Va tuttavia precisato che, nella conduzione di questi studi, si utilizzano generalmente espressioni simulate, mentre nel
cercare di valutare le espressioni spontanee e genuine le percentuali risultano di poco superiori al 50%. Infatti nella vita
quotidiana siamo più abituati a manifestare due espressioni
facciali convenzionali, legate rispettivamente alla gioia e alla
tristezza:
Sorridi… e il mondo ti sorriderà
Gli studi rivelano che entrambe sono di facile riconoscibilità. La gioia, per esempio, è l’unica emozione positiva. Come
indicano i dati menzionati sopra, sembra che nell’uomo vi sia
una particolare predisposizione a riconoscere nei propri simili
la presenza di stati d’animo positivi. In merito al sorriso sono
stati prodotti numerosi studi. Esso, infatti, riveste particolare interesse sotto il profilo psicologico e neuroscientifico in quanto,
insieme con il viso serio, rappresenta un accorgimento cui si ricorre di frequente per “mascherare” le proprie emozioni.
Il sorriso è considerato in generale l’espressione più semplice da adottare, quasi possedessimo un interruttore che ci
permette di accenderlo e spegnerlo. Non ce lo dimostrano forse gli uomini politici nel corso delle interviste o nel periodo
elettorale, non appena hanno a portata di mano una bella fanciulla fotogenica?
Il grande interesse della scienza per il sorriso è legato alla
sua capacità di suscitare un atteggiamento benevolo negli
altri e di favorire le interazioni positive. Come suol dirsi, sorridi e il mondo ti sorriderà.
Scoprite se il mondo vi sorride. Imponetevi di sorridere
quando incontrate altre persone e osservate gli effetti del vostro comportamento. Ricevete in risposta altri sorrisi? Trovate che il prossimo sia meglio disposto nei vostri confronti?
A questo punto è opportuno citare il nome di Paul Ekman,
influente psicologo americano che, negli ultimi trent’anni, ha
condotto studi approfonditi sulle espressioni del viso. Come
la scienza è riuscita a tracciare la mappa del genoma umano,
così Ekman e il collega Friesen hanno compilato una mappa
completa delle espressioni che l’uomo è in grado di produrre
e del loro significato, individuando anche i singoli muscoli interessati. I loro studi hanno permesso inoltre di comprendere
molti aspetti del comportamento associati alla finzione e alla
menzogna (ne parleremo più specificamente nella Lezione 5).
In uno studio del 1982 i due scienziati americani hanno
determinato il grado di riconoscibilità delle sei emozioni universali da parte di un campione di soggetti.
Ecco i dati rilevati:
gioia: riconosciuta nel 100% dei casi;
tristezza: riconosciuta nell’80% circa dei casi;
sorpresa: difficile da identificare perché transitoria;
disgusto: riconosciuto nell’80% circa dei casi;
paura: riconosciuta nell’80% circa dei casi;
rabbia: riconosciuta nell’80% circa dei casi.
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il sorriso;
l’espressione associata a emozioni di tristezza e avvilimento.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LO SGUARDO
I rapporti migliorano? Siete ricercati dalla polizia? (In tal
caso cambiate tattica!).
che adottiamo quando in realtà siamo scontenti, ovvero il tipico
sorriso di chi “fa buon viso a cattivo gioco”.
Tutti prima o poi vi ricorriamo, e la persona dotata di una
fine empatia è perfettamente in grado di riconoscerlo. È un
tipo di sorriso che mostriamo quando siamo delusi o in difficoltà, ma non intendiamo svelarlo per non essere costretti a
spiegare i nostri veri sentimenti, perché ci procurerebbe imbarazzo o ci obbligherebbe nostro malgrado a intrattenerci a
lungo con una persona.
Le inflessioni della voce nel pronunciare il fatidico “Tutto bene, grazie” forniscono generalmente indizi opportuni;
un’altra indicazione importante deriva dal fatto che, in questo
tipo di sorriso, gli angoli della bocca non si spostano verso l’alto bensì di lato, e gli occhi non esprimono gioia in quanto non
si formano le tipiche rughe sul loro contorno.
A questo punto voglio compiere un viaggio a ritroso nel
tempo per parlarvi di Guillaume Duchenne de Boulogne, neurofisiologo francese attivo alla metà dell’Ottocento. Duchenne
era interessato in particolare alla muscolatura facciale dell’uomo e incuriosito dal fatto che, spesso, l’essere umano sorride
pur essendo triste, semplicemente perché è capace di farlo.
La capacità di fingere il sorriso comporta la possibilità di
ingannare facilmente il prossimo (e, naturalmente, di esserne
ingannati). Grazie alla profonda conoscenza della muscolatura facciale, Duchenne riuscì a comprendere la differenza fra il
sorriso vero e quello falso. Per i primi studi (invito a questo
punto i più sensibili di stomaco a inspirare profondamente)
utilizzò un volontario affetto da paralisi, ma più tardi collezionò teste di ghigliottinati, sottoponendole a stimoli elettrici con
elettrodi posizionati in vari punti, per analizzare i movimenti
dei muscoli facciali.
Gli effetti del sorriso
Riflettete sull’effetto che il sorriso altrui ha su di voi nella vita sociale, nell’ambiente di lavoro e con gli estranei. Siete
propensi a ritornare in un certo negozio perché sapete che il
personale vi sorride? Evitate inconsciamente i luoghi in cui invece predomina un’atmosfera troppo seria?
Forse scegliete il ristorante in cui i gestori e i camerieri vi
accolgono con atteggiamento gioviale piuttosto che quello in
cui servono effettivamente piatti migliori, soltanto perché vi
sentite più a vostro agio nel primo.
Tipi di sorriso
Esistono due tipi di sorriso: quello vero (o spontaneo) e
quello falso. Il sorriso è un’espressione che tutti indistintamente manifestano e rappresenta l’attività facciale innata attraverso cui la specie umana esprime il sentimento della gioia.
Quale ulteriore variante del sorriso falso vi è poi il sorriso
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Il sorriso di Duchenne
Duchenne compì una scoperta fondamentale: il sorriso è
controllato da due gruppi di muscoli.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Gli zigomatici maggiori decorrono ai lati del viso collegando gli zigomi agli angoli della bocca. Quando si contraggono, esercitano una trazione laterale sulla bocca,
i cui angoli si sollevano, talvolta fino a esporre i denti,
mente le guance si riempiono e salgono anch’esse verso l’alto. Le estremità delle labbra risalgono verso lo zigomo. Gli zigomatici maggiori sono muscoli volontari,
possiamo, cioè, controllarne volontariamente i movimenti.
I muscoli orbicolari circondano gli occhi. La loro contrazione fa restringere e arretrare le palpebre, provocando la formazione delle caratteristiche increspature
della pelle (zampe di gallina) nella zona perioculare e
l’abbassamento delle sopracciglia. Duchenne scoprì
che questi muscoli sono involontari, di conseguenza riflettono i nostri veri sentimenti.
LO SGUARDO
insorge e svanisce bruscamente;
si presenta asimmetrico.
Il sorriso falso (di circostanza e sociale), che non coinvolge
gli occhi, presenta al contrario questi elementi distintivi:
Gli studi di Ekman: sorriso “autentico” e sorriso “falso”
Proseguendo gli studi avviati nel secolo precedente da Duchenne, Ekman ha scoperto un altro aspetto tipico del sorriso
spontaneo: i movimenti delle labbra dovuti alla contrazione
dei muscoli zigomatici sono più brevi di quelli che si hanno nel
sorriso falso o sociale. Nel linguaggio comune distinguiamo
fra sorriso autentico (spontaneo e di vera gioia) e sorriso falso
(volontario e di mascheramento). Sappiamo che, quando proviamo una reale sensazione di piacere o di gioia, il cervello genera impulsi che producono un sorriso coinvolgente la bocca,
le guance e gli occhi, mentre nel sorriso falso entrano in azione
soltanto i muscoli zigomatici (volontari).
Personalmente, però, preferisco non usare il termine “falso”, come fanno invece molti psicologi e altri studiosi di questo campo, in quanto, tecnicamente, alla classe dei sorrisi falsi appartengono i sorrisi di circostanza e i sorrisi sociali, cioè
espressioni che denotano mancanza di ostilità e servono a “lubrificare” le relazioni con il prossimo.
Quindi, riassumendo, la classe dei cosiddetti sorrisi “falsi”
comprende sia il sorriso “sociale” sia il sorriso “di circostanza”, e quest’ultimo serve per mascherare le emozioni anziché per
manifestarle.
In alcune situazioni, cerchiamo di nascondere un’emozione
negativa mascherandola con un sorriso. Chi però impara a leggere la “microespressione” (vedi oltre) che balena rapidamente
sul volto non appena questo sorriso scompare può scoprire ciò
che esso nasconde. Ed è una scoperta rivelatrice.
Detto questo, in alcune circostanze conviene effettivamente
sapere se il sorriso maschera una preoccupazione o un’antipatia. Ekman è venuto in nostro soccorso e, in collaborazione
con il collega Friesen, ha stilato il Facial Action Coding System
(FACS, sistema di codificazione dei movimenti facciali), attri-
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Il sorriso sincero coinvolge anche gli occhi. Come ha scritto
Duchenne:
“Il primo [zigomatico] obbedisce alla volontà, mentre
il secondo [orbicolare dell’occhio] risponde soltanto ai
più teneri moti dell’anima”.
(Qualcuno prima di lui non aveva forse detto che gli occhi
sono “lo specchio dell’anima”?)
Il sorriso sincero è quindi caratterizzato dai tratti che abbiamo enunciato sopra, ai quali si aggiungono altri due elementi importanti:
insorge e svanisce lentamente;
presenta una simmetria bilaterale.
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LO SGUARDO
buendo al sorriso autentico e spontaneo il nome di “sorriso
di Duchenne” in riconoscimento del contributo pionieristico
dello studioso francese in questo campo.
Ne osserviamo ogni giorno nelle situazioni più diverse.
Quante volte avete “fatto buon viso a cattivo gioco”, esibendo
un sorriso nonostante il vostro stato d’animo vi suggerisse l’esatto contrario? E quante volte lo avete fatto oggi stesso?
Sono certo che in occasione di cerimonie quali la consegna
degli Oscar – evento che provoca sempre lacrime e acclamazioni di trionfo – avrete notato come “recitano” i candidati
delusi nel momento in cui si annunciano i nomi dei vincitori.
Terribile! Non per loro, ma per noi spettatori!
Le microespressioni
Il sistema FACS ha introdotto anche il concetto di “microespressione”, piccolo e breve movimento del viso che corrisponde
a una “fuga di informazioni” in quanto rivela i veri sentimenti
della persona. Il viso tende infatti a tradire le nostre emozioni
più sincere in conseguenza dell’azione che queste esercitano a
livello fisiologico.
In sostanza i sentimenti – per esempio la rabbia e la paura –
innescano movimenti facciali involontari che trapelano per una
frazione di secondo dal sorriso con cui cerchiamo di mascherarli.
Ecco il meccanismo alla base di questo fenomeno: il viso agisce
con grande efficienza e, in una frazione di secondo, registra il
messaggio proveniente dal cervello attivando i muscoli facciali
appropriati. L’eventuale contrordine che il cervello invia per mascherare tale espressione giunge sempre con un lieve ritardo, cosicché dapprima emerge l’espressione sincera, poi sopraggiunge
la controespressione che la cancella. Immediatamente represse,
le microespressioni possono essere visualizzate soltanto con
strumenti sofisticati dotati di playback e di fermoimmagine e
vengono percepite esclusivamente dagli osservatori più accorti.
Nel programma The Apprentice messo in onda dalla BBC
nel 2008, si utilizzavano dei fermoimmagine per osservare le
“microespressioni” che rivelavano i veri sentimenti nascosti
dietro la “maschera” dei candidati; molto difficili da percepire
in tempo reale, quelle “smorfie” erano tuttavia assai rivelatrici.
Emozioni contrastanti a una cerimonia di premiazione
Tutti abbiamo imparato istintivamente dalle esperienze
della vita che esistono sorrisi sinceri e sorrisi che invece hanno
lo scopo di mascherare i veri sentimenti della persona.
Avete capito a che cosa mi riferisco: quei larghi sorrisi a
trentadue denti che le povere anime amareggiate sfoderano
nell’applaudire la persona che le ha private di un soprammobile da esporre in soggiorno o da conservare nello sgabuzzino.
Bene, care Angelina Jolie e Gwyneth Paltrow, capiamo come
potete sentirvi! Che altro potrebbe fare una donna? (O lo stesso
George Clooney, perché anche gli uomini indossano la “ma-
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Far buon viso a cattivo gioco: il sorriso di circostanza
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LO SGUARDO
schera”?) Non vorrei essere scortese, ma ho la sensazione che,
se aveste recitato in quel modo anche nel film in concorso,
l’Oscar ve lo sareste portato a casa voi!
Anche noi sfoderiamo lo stesso sorriso nell’interpretare il
nostro “ruolo” nella vita sociale, con gli estranei, al lavoro, con
chiunque. Non stiamo però a valutare ogni volta se sia sincero
o no, perché nella maggior parte dei casi ciò non ha alcuna
importanza: l’importante è che esso svolga la sua funzione di
“lubrificante” sociale.
Erano sorrisi sfoderati nei momenti più ingiustificati e inopportuni. In questo caso, in termini di comunicazione non verbale vi è mancanza di coerenza, poiché l’espressione facciale non
corrisponde al contenuto del messaggio verbale. Non essendovi
alcuna traccia di empatia, il messaggio risulta inefficace.
Optare per la naturalezza
Secondo il principio delle tre C, il sorriso deve essere coerente con le parole pronunciate (il contenuto verbale del
messaggio). In caso di incoerenza, tendiamo inconsciamente
a non credere al messaggio verbale. In una società dominata
dai media come quella in cui viviamo, il mondo della politica
offre innumerevoli esempi quotidiani di questo tipo di incoerenza e un terreno fertile per l’acuto osservatore del linguaggio
non verbale.
I pagatissimi consulenti d’immagine cui si rivolgono gli
uomini politici consigliano puntualmente ai loro clienti di
sorridere. Un esempio interessante sotto questo aspetto fu
la creazione del sorriso di Gordon Brown, che caratteristicamente era stato paragonato da alcuni giornalisti a quello
del mostruoso Accalappiabambini, il personaggio creato da
Roald Dahl per il film Chitty Chitty Bang Bang ispirato al
romanzo di Ian Fleming.
Il problema dell’ex premier britannico era scegliere il “sorriso giusto”: sorrideva a sproposito, in modo del tutto casuale
e imprevedibile. Lo Stato ha smarrito i CD con i dati relativi ai
beneficiari di assegni famigliari… sorriso. Il prezzo dei carburanti ha raggiunto un nuovo record… sorriso. Il prezzo degli
alimentari è in continuo aumento… sorriso. Messaggi non coerenti con il linguaggio del corpo!
Esiste una lezione da trarre da tutto questo? È piuttosto
ovvia: sorridete soltanto quando lo trovate naturale e fate in
modo che il sorriso corrisponda al contenuto del messaggio
verbale e non entri in conflitto con gli eventi. Vi è mai capitato che un amico, un conoscente, un capo o un collega a cui
avevate chiesto qualcosa vi abbia risposto in modo negativo
accompagnando il rifiuto con un sorriso esagerato (un sorriso
che adesso siete perfettamente in grado di riconoscere come
falso)? Quale tipo di messaggio vi ha comunicato?
In primo luogo non vi era coerenza, per cui non avete creduto che il sorriso corrispondesse a un reale sentimento di
dispiacere nel non poter accogliere la vostra richiesta (non si
sorride quando si deve comunicare una cattiva notizia). Avete
avuto quindi l’impressione che il vostro interlocutore non
avesse fin dall’inizio l’intenzione di rispondere positivamente e non abbia neppure preso in considerazione tale possibilità; anzi, magari mascherava anche una certa antipatia nei
vostri confronti.
In secondo luogo questa sorta di “inganno” risulta irritante.
Il comportamento normale sarebbe stato un’espressione neutrale del viso, magari con un sorriso di tanto in tanto nel menzionare alcuni punti del discorso: avrebbe denotato almeno
un briciolo di sincerità. Ne avreste dedotto che l’interlocutore
aveva valutato con serietà (nel bene o nel male) il fatto di non
concedervi quanto avevate chiesto, o almeno comprendeva la
ragione della vostra richiesta.
Se siete voi ad avere un comportamento simile, cercate di
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Il sorriso incoerente
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
capire che la mancanza di coerenza fra il messaggio verbale e
il messaggio corporeo invalida la vostra argomentazione e può
risultare irritante per l’ascoltatore, confonderlo e fargli perdere
fiducia nei vostri confronti. Se i gesti non sono “coerenti” con
le parole e con quanto dichiara il resto del corpo, si crea una
condizione che minaccia la solidità della vostra immagine.
LO SGUARDO
Leggere il sorriso
Uno dei sorrisi più celebri è senza dubbio quello della Gioconda, celebrato da secoli tanto dai poeti quanto dalla cultura
popolare. Consideriamo che l’espressione di un volto viene
riconosciuta prendendo in considerazione due zone separate:
gli angoli degli occhi;
gli angoli della bocca.
Il sorriso sociale
Il sorriso è probabilmente l’espressione facciale più facile da
identificare. Denota un’emozione positiva e manifesta gioia,
ma è altresì un’espressione che ci troviamo spesso ad adottare
per convenienza sociale. Sincero o di convenienza che sia, suscita infatti una sensazione gradevole in chi lo riceve in quanto
comunica (come avviene sin dai primordi della vita umana)
la mancanza di ostilità e la disposizione alla benevolenza. Chi
svolge lavori a contatto con il pubblico – per esempio nel settore dei servizi – riceve l’indicazione di sorridere spesso come
parte della propria mansione, anche se non ne avverte il desiderio. Il sorriso è un’espressione che impariamo ad assumere
fin dall’infanzia e la lunga pratica ci permette di esibirlo a piacere. Il sorriso sociale si caratterizza così:
gli angoli della bocca si spostano verso gli
orecchi (senza sollevarsi), mentre nella
zona perioculare non vi è alcuna attività
che denoti la presenza di emozioni.
Il sorriso spontaneo (o sincero) si caratterizza, invece, in questo modo:
gli angoli della bocca si spostano in alto
in direzione degli occhi, mentre nella zona
perioculare si formano le tipiche rughe a
zampa di gallina.
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Nel suo celebre dipinto, Leonardo ha fatto in modo che
queste due aree rimanessero in ombra, creando in tal modo il
senso di enigmatica incertezza sullo stato d’animo della Gioconda che da sempre alimenta il dibattito sull’opera.
Tutti ricorriamo al sorriso spontaneo e al sorriso sociale
(sia per convenzione, sia per esprimere vera cordialità), ma è
importante anche saperli riconoscere quando li vediamo negli
altri. Immaginate per esempio di partecipare alla festa di un
amico che, per dovere, ha invitato anche una persona che sapete non essergli particolarmente simpatica. Provate a confrontare il sorriso con cui la accoglie con quello rivolto alle persone
che gli sono care.
In tal modo vi appropriate di un elemento indicatore che vi
sarà utile per valutare in seguito il comportamento dell’amico
nei vostri confronti. Trasponete la stessa esperienza in una situazione di lavoro, imparando a riconoscere quando il capo e i colleghi sorridono sinceramente perché sono piacevolmente colpiti da una proposta e quando invece sono semplicemente cortesi
(e più tardi troveranno il modo di bocciare la vostra proposta).
In presenza di questo segnale ammonitore, cambiate strategia.
Oltre a soddisfare una legittima curiosità, saper riconoscere i due tipi di sorriso in una conversazione ci permette di
guidare il discorso verso gli argomenti che suscitano un sincero interesse e di proporre con maggior tatto (o evitare del
tutto!) quelli che suscitano un sorriso di pura cortesia.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Purtroppo – nonostante le ripetute esortazioni da parte del
capo – molti non sorridono abbastanza sul lavoro! Gli studi
confermano che siamo più attratti dalle persone che esibiscono sorrisi sinceri (che percepiamo come tali inconsciamente)
e tendiamo a giudicarle socievoli. Anche se al momento non
ce ne accorgiamo, siamo più coinvolti dalle persone che sorridono. Ne parleremo fra breve, quando affronteremo ancora il
tema degli studi di Ekman sul sorriso e le emozioni, ma prima
vi propongo un esempio per illustrare l’effetto che il sorriso
può sortire nel contesto di “servizi” che tutti conosciamo bene.
Negli Stati Uniti (patria delle mance!) sono stati condotti
numerosi studi in condizioni simulate sulla correlazione fra il
comportamento dei camerieri e le mance.
I camerieri che sorridevano ed esibivano un linguaggio
corporeo amichevole ricevevano più mance.
A riceverne il maggior numero erano quelli che si chinavano al fianco del cliente seduto al tavolo per consigliarlo sul menu.
Si è accertato inoltre che il contatto fisico – per esempio,
sfiorare il gomito del cliente o il lato del braccio – permetteva di stabilire una maggiore intesa, che influiva a
sua volta sulla generosità delle mance.
Esistono molti tipi di sorriso. Così come abbiamo visto che
il linguaggio non verbale può comunicare senso di apertura o
di chiusura, non vi stupirà sapere che lo stesso accade con il
sorriso. Kate Middleton ha un sorriso molto aperto e comunica emozione anche dalla zona oculare (un sorriso di grande
fascino che le conquista parecchie simpatie!).
Il sorriso che comunica apertura è quello in cui si mostrano i denti.
Il sorriso che comunica chiusura non li mostra; può essere a labbra serrate o asimmetrico (detto “sghembo”).
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LO SGUARDO
Il sorriso e le emozioni: l’uovo o la gallina?
Abbiamo già parlato di Paul Ekman e degli studi pionieristici con cui ha approfondito ricerche condotte molti decenni
prima. Le apparecchiature moderne hanno permesso di dimostrare scientificamente il legame fra espressioni facciali ed
emozioni e l’effetto che queste esercitano sul sistema nervoso
autonomo.
Sulla scorta dei dati evidenziati da tali ricerche, a chi esibisce abitualmente
un’espressione corrucciata o severa, oppure
un’espressione sconsolata o altre espressioni facciali “negative” (talvolta per scelta, talvolta inconsapevolmente)
consiglio di smettere subito di farlo! Per quale motivo?
Ebbene, in passato si è sempre ritenuto – e dato per scontato – che fra emozioni ed espressioni facciali esistesse un rapporto di causa-effetto. Si presumeva, in altri termini, che prima si provassero le emozioni (per esempio, gioia o tristezza) e
solo in un secondo momento queste trovassero manifestazione
in espressioni corrispondenti del viso.
Ora vi rivelo la grande novità, e mi raccomando: fatela conoscere a tutti quei cupi negozianti, camerieri, impiegati di
banca, bigliettai del cinema, assistenti medici, guardie di sicurezza, cassiere dei supermercati, colleghi di lavoro e capi (se ho
dimenticato qualcuno, porgo le mie scuse!).
Ecco la notizia:
se ci imponiamo di manifestare una certa espressione, la
mente e il corpo la riconoscono e provvedono a elaborare fisiologicamente l’emozione che vi corrisponde, inducendo opportune modificazioni a livello biochimico;
pertanto, se per esempio siamo tesi o insoddisfatti, imponendoci di abbandonare l’espressione cupa e di sorri- 81 -
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
dere proveremo sensazioni positive in quanto il sorriso
stimola la liberazione degli ormoni del buonumore nel nostro organismo.
La ricerca ha ribaltato la situazione! L’espressione del viso
può condizionare le emozioni? Ebbene, sì.
Opportuni studi hanno valutato i cambiamenti che si verificano a livello del sistema nervoso autonomo (frequenza
cardiaca, frequenza respiratoria, temperatura corporea e altre
funzioni) in relazione alle sei emozioni di Ekman che abbiamo
elencato in precedenza.
LO SGUARDO
provoca l’aumento del ritmo cardiaco, della temperatura del corpo e della concentrazione degli ormoni dello
stress. Sorridere giova alla salute. Fatelo anche voi!
Le labbra
PROVATE ANCHE VOI
I test di laboratorio sul sistema nervoso autonomo
rivelano che, quand’anche non corrispondesse a uno
stato d’animo reale, il viso costantemente imbronciato
Abbiamo spiegato come, nel sorriso, la posizione delle labbra sia determinata dall’azione dei principali muscoli facciali.
Grazie alla loro versatilità, questi muscoli possono lavorare
anche in modo autonomo, rendendo così possibile il sorriso
asimmetrico o “sghembo”; un lato del viso racconta una storia,
l’altro lato ne racconta un’altra: piacere e sofferenza. Un noto
esempio di sorriso asimmetrico è quello dell’attore americano
Harrison Ford.
Le labbra sono molto espressive anche nel comunicare sentimenti diversi dalla gioia e sono valide indicatrici delle nostre
emozioni. Abbiamo già discusso dei segnali di apertura nel
linguaggio non verbale. In riferimento alle labbra aggiungiamo che, quanto più esse sono dischiuse, tanto più il soggetto
appare rilassato e aperto al mondo, mentre se ha le labbra tese
e contratte significa che cerca di trattenere un’emozione, perlopiù negativa.
Le labbra serrate – altra espressione alquanto comune –
indicano in generale che la persona è concentrata nei propri
pensieri e non è ancora pronta a parlare, o perché non è giunto il momento opportuno per intervenire, o perché sta elaborando il discorso mentalmente. Le labbra serrate sono quasi
sempre un segnale di disapprovazione; pertanto, se le osservate
nel vostro interlocutore, indagate sulle ragioni del dissenso e
sforzatevi di risolverlo.
Talvolta ci mordiamo le labbra, ma di questo parleremo
nella Lezione 5.
La ex Spice Girl Victoria Beckham sembra avere riportato
in auge le labbra imbronciate: chiuse e molto sporgenti, con la
lingua che spinge contro il palato. Questa espressione nascon-
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Per le emozioni negative come tristezza, disgusto e paura si sono rilevati importanti cambiamenti fisiologici,
con un notevole aumento della frequenza cardiaca e della temperatura esterna del corpo. L’attività del sistema
nervoso autonomo raggiunge i massimi livelli in relazione alla rabbia.
Tali cambiamenti non si verificano quando i muscoli
facciali assumono la configurazione del sorriso: al contrario, questo passaggio esercita un effetto calmante
sull’attività del sistema nervoso autonomo.
Nel parlare di Alastair Campbell – ex consigliere di Tony
Blair a Downing Street – i commentatori politici hanno costantemente sottolineato la sua espressione perennemente
imbronciata. Se il viso è sempre pronto a manifestare rabbia
e bellicosità, il sistema nervoso autonomo continua ad alimentare tale condizione e rinforza, di conseguenza, le emozioni negative.
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
de una serie di emozioni negative, talvolta solo immaginarie,
come tristezza, rabbia e disgusto. Se la osservate, cercate altri
segnali rivelatori che confermino l’ipotesi. Se non ne notate
alcuno, è possibile che, data la popolarità hollywoodiana della
signora Beckham, la sua espressione sia un semplice vezzo per
far colpo sul prossimo.
La posizione della testa
Parleremo dell’efficacia comunicativa di gesti del capo (per
esempio l’annuire) quando affronteremo il tema dell’ascolto
nella Lezione 3. Qui vediamo invece il significato attribuito a
varie posizioni della testa. Considerate gli esempi che seguono
e i messaggi che comunicano.
Testa completamente china (e spalle curve) – comunica lo stato d’animo attraverso la direzione dello sguardo.
Siccome questo è rivolto verso il basso, l’emozione può
essere di depressione, colpa, affaticamento, stanchezza
estrema o anche il tentativo di nascondere qualcosa. Negli ultimi anni ho notato un nuovo fenomeno che si manifesta in vari contesti. Un esempio per tutti: una volta,
entrando in un ristorante, notai a un tavolo un gruppo di
una decina di persone. Alcune parlavano animatamente,
altre erano curve e tenevano la testa china e le mani sotto il tavolo. Strano, sembrava che si fossero accomodate
al tavolo sbagliato. Pensai che si trattasse di un atteggiamento di difesa. No. Forse era timidezza? Mancanza di
socialità? Depressione? Poi, sedendomi al mio tavolo,
vidi che stavano digitando sullo smartphone. La postura aveva comunicato un messaggio sbagliato (ma a parte
questo, non lo trovate un segno di maleducazione?).
Testa leggermente china – può indicare il tentativo di
evitare il contatto oculare (per un qualsiasi motivo). Talvolta si adotta questa posizione per dimostrare rispetto
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LO SGUARDO
nei confronti di qualcuno, in altri casi per proteggersi,
magari in una situazione in cui si percepisce l’affollamento come “invasione” dello spazio personale.
Testa inclinata lateralmente – spesso si assumere questa posizione per dimostrare interesse per quanto viene
detto o sta per essere discusso. Qualcuno la usa per manifestare curiosità, ma talvolta è un segno di timidezza, oppure il mezzo per comunicare dubbio su quanto
è stato detto e cercare rassicurazione nel parlante. Di
fronte a questa posizione, cercate sempre altri segnali
che vi permettano di comprenderne il vero significato.
Se, per esempio, la testa inclinata è accompagnata da
un improvviso incrociare le braccia e da un’espressione
perplessa, significa che c’è qualcosa che non va.
Molti non sono consapevoli della postura che assumono
quando sono seduti o quando camminano e ne prendono coscienza soltanto quando gliela si fa osservare. Lo stesso vale per
la posizione della testa.
Ecco un principio molto semplice: chi guarda dritto davanti a sé guarda al futuro. Chi guarda verso il basso è probabilmente depresso.
Non dimenticate che fra la mente e il corpo è sempre attivo
un meccanismo di biofeedback (ne riparleremo alla Lezione 6):
ricordate gli effetti che il sorriso può esercitare sul corpo.
Chiacchierata informale
D Gli occhi sono molto espressivi, ma per essere certi di interpretare correttamente il messaggio che ci comunicano dobbiamo basarci anche sulle espressioni generali del viso. È vero?
Verissimo. Quando guardiamo una persona, i nostri occhi possono comunicare affetto, gradimento o ostilità. Se siamo arrabbiati
o nutriamo sentimenti negativi, le pupille si contraggono e i movimenti dei muscoli perioculari conferiscono allo sguardo un aspet- 85 -
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LO SGUARDO
to meno amichevole. A denotare il sentimento è però l’espressione
facciale: il sorriso, per esempio, dimostra gradimento oppure attrazione, mentre le labbra e la mandibola serrata possono indicare
antipatia.
sbagliata sul mio conto. Mi sforzo di suscitare empatia, ma non
riesco a dimostrarlo con il viso. Che cosa mi suggerisce di fare?
In generale crediamo più ai messaggi visivi che non a quelli
verbali. Se i due messaggi mancano di coerenza reciproca, prestiamo più fede a quello visivo (ricorda la regola del “55, 38 e 7%”?).
Pur con tutta la migliore volontà, lei cerca di comunicare le sue
emozioni a parole (7%), ma non essendovi coerenza con l’espressione del viso i suoi interlocutori credono a quest’ultima. Mi spiace
essere brusco, ma devo dire che costoro non possono che avvertire
un senso di avversione.
D A volte mi capita di parlare con una persona che, nelle
pause fra i contatti oculari, guarda oltre la mia spalla o altrove. Mi accorgo che questo comportamento mi irrita. Ho forse
torto?
Niente affatto. Salvo che questa persona non sia in fuga dalla
polizia o non aspetti con ansia l’arrivo di qualcuno (nel qual caso
dovrebbe informarne anche lei), non vi sono scuse che tengano.
Qualunque cosa possa dire, è altamente probabile che non sia vera.
D Ho una collaboratrice simpatica e competente. Quando
parliamo, però, abbassa sempre il capo e guarda a terra, un po’
come faceva la principessa Diana. Come devo comportarmi? È
possibile che sia colpa mia?
La sua collaboratrice le offre l’opportunità di assumere un ruolo
dominante: chinare il capo, infatti, è un tipico gesto di sottomissione. Dal momento che – mi pare di capire – è una sua subordinata, lei ha comunque una posizione di autorità nei suoi confronti.
Questo comportamento è adottato spesso dalle donne e può segnalare il desiderio di non essere coinvolte in un’interazione, e in lei
ispira senza dubbio un sentimento protettivo nei confronti della
collaboratrice. Le donne si comportano in questo modo anche nel
corteggiamento, per evocare un’idea di innocenza facendo apparire più grandi gli occhi. Di fronte agli occhi grandi, l’essere umano
reagisce in modo protettivo (pensiamo, per esempio, agli occhi dei
bambini). Può anche essere uno “stile” comunicativo tipico di questa persona. Se il comportamento è sincero, e non le crea problemi,
non vedo ragione di preoccuparsi.
D Che cosa posso fare?
Mi pare di aver chiarito quanto sia importante sorridere. Non
occorre sfoderare un sorriso a trentadue denti, ma di tanto in tanto, al momento giusto, provi a manifestare la sua empatia con un
cambiamento di espressione. Sono certo che otterrà ottimi risultati.
D Ho letto il consiglio che ha offerto alla signora che dice
di avere sempre l’espressione seria. Il viso rivela le nostre emozioni ma, entro una certa misura, possiamo anche mascherarle
con espressioni opportune. Com’è possibile, allora, penetrare
oltre la maschera?
Come ho già detto, nell’interpretare il linguaggio non verbale
occorre verificare la “coerenza” fra i messaggi del corpo e i messaggi verbali e prendere sempre in considerazione il complesso degli
indizi e non i singoli gesti. Dobbiamo valutare se l’espressione è
coerente con i tratti vocali (paralinguaggio) e con gli indizi visivi, o
se vi sono complessi di indizi, soprattutto nel volto, che contrastano
con la nostra impressione. Se questi indizi esistono, allora possiamo
andare oltre la maschera. Tenga presente che, mentre le espressioni
facciali possono essere controllate volontariamente (chi non vuole
apparire triste può fingere di non esserlo), è molto più difficile controllare il tono della voce e i gesti.
D Vorrei un consiglio. Credo di avere sempre un’espressione seria che potrebbe comunicare agli altri un’impressione
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Pausa caffè
LO SGUARDO
9 Mantenere il contatto oculare ci permette di osservare il linguaggio non verbale dell’interlocutore.
1 La capacità del volto di rivelare informazioni sul nostro conto è seconda soltanto a quella degli occhi.
2 Poiché gli occhi sono la parte del corpo con cui
comunichiamo di più, ne consegue che il contatto
oculare è molto importante per stabilire un senso
di intesa con l’interlocutore.
3 Quando parliamo con estranei e sul lavoro, lo
sguardo deve dirigersi normalmente entro il
triangolo immaginario situato tra la fronte e la
base degli occhi.
4 A livello sociale lo sguardo si dirige normalmente
entro il triangolo immaginario situato fra gli occhi e la bocca.
5 Nel contatto oculare normale il parlante distoglie
lo sguardo più a lungo rispetto all’ascoltatore.
6 Il contatto oculare normale è sempre intermittente (diversamente provoca disagio).
7 Abbassare lo sguardo ed evitare il contatto oculare
è un gesto che denota sottomissione e insicurezza.
8 Accade spesso che, per dimostrare interesse nei
confronti di una persona, manteniamo il contatto
oculare un po’ più a lungo della norma (qualche
secondo in più).
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10 Gli occhi grandi sono attraenti (provate a chiederlo agli uomini e alle neomamme!). Se volete
dimostrare interesse e attenzione non contraete
gli occhi, ma cercate di farli apparire più grandi
sollevando le sopracciglia.
11 Il viso esprime il nostro stato d’animo, ma sono
gli altri gesti (per esempio agitare le braccia o
tamburellare con le dita) a rivelare ciò che le emozioni suscitano in noi.
12 Gli studi dimostrano che le donne sono più abili
degli uomini nell’interpretare il linguaggio non
verbale e, soprattutto, le espressioni del viso.
13 Le sei principali emozioni identificabili sono:
gioia;
sorpresa;
disgusto;
paura;
tristezza;
rabbia.
14 La ricerca dimostra che tendiamo a riconoscere
più facilmente la gioia come unica emozione positiva rispetto alle altre (100% di risultati positivi
rilevati nei test).
15 In generale si riconoscono due tipi di sorrisi: il
sorriso vero (o spontaneo) e quello falso. Vi è poi
il sorriso di circostanza, che adottiamo per fare
“buon viso a cattivo gioco”.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Lezione 3
L’ascolto
16 Nel sorriso vero si attivano i muscoli zigomatici,
che decorrono ai lati del viso, e gli orbicolari, situati nella zona perioculare.
17 I muscoli orbicolari non rispondono al controllo
volontario e per questo sono indicativi del sorriso
spontaneo.
18 Le altre caratteristiche del sorriso vero sono:
simmetria bilaterale nel viso (e non asimmetria bilaterale come nel sorriso falso);
insorge e svanisce lentamente (e non rapidamente come il sorriso falso);
coinvolge anche gli occhi (al contrario del sorriso falso).
19 Le labbra rivelano altre emozioni oltre alla gioia.
In generale, quanto più sono dischiuse tanto più
ci fanno apparire rilassati e attenti, mentre se sono
contratte indicano che tratteniamo un’emozione
negativa.
“C’era tutto un discorso in quel silenzio,
tutto un parlare in ogni muto gesto.”
William Shakespeare
Nella vita quotidiana dedichiamo una notevole quantità
di tempo ad ascoltare gli altri. Le relazioni con il prossimo e
la loro qualità sono determinate in ampia misura dalla nostra
capacità di ascolto, elemento che influisce profondamente
sull’efficacia dell’intero processo comunicativo.
In qualsiasi tipo di interazione ci troviamo a svolgere un
duplice ruolo. Siamo, in alternanza,
ascoltatori e
parlanti.
La maggior parte delle persone preferisce parlare anziché
ascoltare. Come ha dichiarato in un’occasione Larry King,
conduttore di talk show per la CNN, “è una lotta senza quartiere per occupare spazio televisivo”. Conosciuto per uno stile
giornalistico che privilegia l’ascolto, King intervista quotidianamente celebrità, politici e imprenditori e ha osservato come,
al contrario di lui, molti intervistatori preferiscano “tenere
banco” anziché cedere la parola agli ospiti.
Anche nella vita quotidiana molti amano sentir parlare sé
stessi più che gli altri e prestano scarso ascolto al prossimo.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
L’ASCOLTO
Per fortuna non mancano le eccezioni e voi siete forse una di
queste.
Studi e test confermano puntualmente che le persone più carismatiche e di maggior successo – o che semplicemente godono
di maggiore popolarità – sono grandi ascoltatori e, soprattutto,
dimostrano di ascoltare. In quale modo? Attraverso il linguaggio del corpo. Trasmettono un’evidente empatia e manifestano
di possedere la sensibilità necessaria per capire quando parlare e
quando ascoltare, comunicando con la gestualità del corpo e la
mimica facciale di essere intente all’ascolto. Il risultato: un grande senso di intesa con l’interlocutore.
La marcata empatia di queste persone permette loro anche di
“leggere” oltre le parole pronunciate e di “ascoltare fra le righe”.
Sono molto sensibili al secondo elemento del linguaggio
non verbale, cioè quello che, insieme con l’aspetto visivo, comunica il 93% del significato di qualunque messaggio (contribuendo a questa percentuale con il 38%, ricordate?): il modo
in cui le parole sono pronunciate, ovvero l’elemento vocale
(tratti paralinguistici).
In generale si tende ad ascoltare le parole, ma non si presta
attenzione al loro significato emotivo. Se invece, durante l’ascolto, attiviamo tutti i sensi, arriviamo a sfruttare anche quel
“sesto senso” – l’“intuizione” – che ci permette di cogliere tutti
gli aspetti del significato insiti nelle parole. Dei tratti paralinguistici parleremo più avanti nel corso della lezione.
L’ascolto attivo
Quando una persona vi parla – e assumete, pertanto, il ruolo dell’ascoltatore – dimostrate con il corpo di essere all’ascolto, di essere presenti e di comprendere ciò che viene detto
(anche nel caso in cui non siate d’accordo)?
Praticare il cosiddetto “ascolto attivo” significa non soltanto
ascoltare, ma anche dimostrare di ascoltare.
Il messaggio del parlante si compone di tre elementi:
le parole pronunciate (elemento verbale);
il linguaggio del corpo (elemento visivo);
i “tratti paralinguistici” (elemento vocale).
Come abbiamo già sottolineato, le parole pronunciate hanno la loro importanza, ma sappiamo che i nostri interlocutori
prima ci giudicano e poi, a seconda del giudizio formulato,
decidono se continuare ad ascoltarci e proseguire o meno l’interazione. Questo vale per tutti i tipi di relazione nell’intero
corso della vita. Il messaggio viene generalmente interpretato
sulla base del linguaggio visivo del corpo e di ciò che si ascolta
“fra le righe”.
Indizi visivi e vocali
PROVATE ANCHE VOI
Quando ascoltate una persona, provate a interrompere il flusso dei pensieri evitando di formulare mentalmente la risposta. Scoprirete di udire e ricordare di più.
A questo punto abituatevi a prestare attenzione ai tratti paralinguistici (il modo in cui la persona pronuncia
il suo discorso): diventerà il vostro “stile” di ascolto.
Che cosa significa ascoltare “fra le righe”? Significa sintonizzarsi sull’aspetto vocale del linguaggio del corpo, ovvero
percepire timbro della voce, tono, volume, ritmo, velocità
della parlata e tutti gli indizi paralinguistici capaci di rivelare molto più di quanto le parole non dicano (affronteremo
l’argomento in modo più approfondito in una parte successiva
di questa lezione).
Quando, in occasione di una riunione o di un incontro sociale, il nostro ascoltatore o il “pubblico” non sono d’accordo
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
con noi o ci sembra che non abbiano compreso quanto diciamo, tendiamo a incolparlo. In realtà la colpa è nostra, perché non abbiamo saputo coinvolgerlo nel modo giusto: non
abbiamo colto i segnali corporei che indicavano dubbio, incertezza od ostilità da parte sua, e l’inconsapevolezza ci ha
impedito di provare almeno a modificare la situazione.
L’ASCOLTO
Udire e ascoltare
Il problema – ed è un’abitudine che si instaura a partire
dall’infanzia – è che spesso confondiamo l’udire con l’ascoltare. Vi invito a riflettere su questo punto: conoscete la differenza fra le due azioni? Per incominciare, possiamo dire che:
l’udire è un processo fisiologico;
l’ascoltare è un processo psicologico.
Ascoltare con i sensi
Ascoltare e reagire in modo tale da comprendere bene il
punto di vista altrui e dimostrare nello stesso tempo di essere
realmente all’ascolto sono i primi passi per stabilire il senso
di intesa. Devo tuttavia ricordare – e me ne rammarico – che
per la maggior parte siamo cattivi, se non pessimi, ascoltatori. La scarsa capacità di ascolto provoca gravi conseguenze
nella vita di molte persone, e per ascolto intendo non solo
quello del discorso verbale, ma anche del modo in cui esso è
pronunciato e dei messaggi corporei che lo accompagnano.
Quando ci troviamo ad ascoltare senza poter intervenire,
abbiamo una naturale tendenza a distogliere l’attenzione e ad
assentarci mentalmente. Tuttavia è importante ascoltare attivando tutti i sensi, poiché spesso il vero messaggio non è quello che viene comunicato attraverso le parole.
Nello spettro delle manifestazioni autistiche vi è una condizione che prende il nome di sindrome di Asperger. I soggetti
che ne sono affetti presentano gravi difficoltà nell’ascoltare e
nel percepire il linguaggio non verbale; come tutti i soggetti
autistici, hanno scarse capacità di relazione sociale e di conseguenza trovano difficile interagire con gli altri. A causa
dell’incapacità di leggere le espressioni facciali e di mantenere
un contatto oculare adeguato, tendono a trascurare completamente i sentimenti altrui. La situazione è complicata dal fatto
che, essendo insensibili all’aspetto vocale del linguaggio corporeo – il tono della voce – sono anche incapaci di interpretare
il parlato al di là del suo significato strettamente letterale.
Mentre udire, o sentire, significa semplicemente percepire
i suoni esterni che l’orecchio raccoglie, elabora e invia al cervello (processo fisiologico), ascoltare comporta anche un atto
di interpretazione e comprensione del messaggio che è stato
percepito attraverso l’udito. Si tratta pertanto di un’attività
psicologica attraverso la quale interpretiamo quanto abbiamo
udito. Udire e ascoltare sono due attività diverse che ci permettono, insieme, di trarre un significato dai suoni percepiti.
L’esistenza dei due processi comporta però la possibilità di
udire i suoni senza effettivamente ascoltarli. Immagino che
conosciate bene tale situazione, che forse avete sperimentato
a scuola: presi a fantasticare con la mente, prestavate scarsa
attenzione all’insegnante che, parlando di “stalattiti” che si sviluppano sulla volta delle grotte, disturbava la vostra ricostruzione mentale dell’ultimo episodio di Sex and the City visto la
sera prima. Notando la vostra postura scomposta, l’insegnante
vi invitava a ripetere ciò che aveva appena spiegato e voi, sussultando sulla sedia, recitavate meccanicamente: “Le stalattiti
si sviluppano sulla volta delle grotte”.
Sì, ve la siete cavata, ma limitandovi a ripetere una frase di
cui non avete compreso il significato e che, pertanto, sarebbe
rimasta nella memoria breve per una cinquantina di secondi per poi svanire per sempre. Quella era un’attività di puro
“udito”, priva di un’elaborazione psicologica che permettesse
di trarre un significato dai suoni e di memorizzarlo a lungo.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
L’ASCOLTO
Spesso siamo convinti di ascoltare, mentre in realtà ci limitiamo a udire. L’ascolto è un’attività che richiede grande concentrazione: è diretta infatti non soltanto alle parole, ma anche
al modo in cui sono pronunciate (i tratti paralinguistici) e al
linguaggio corporeo del parlante. Ascoltando, inoltre, dobbiamo dimostrare di farlo.
Si ritiene che l’annuire, ossia l’atto di chinare il capo in
avanti per dire “sì”, sia un gesto innato, come ugualmente
innato è lo scuotere la testa per dire “no”. Questo segnale, in
particolare, deriverebbe dal gesto tipico del lattante che, per
rifiutare il cibo quando è sazio, volge la testa prima da un lato
e poi dall’altro.
Molti non riescono a stabilire un buon senso di intesa con
gli interlocutori perché non dimostrano attraverso il corpo
(generalmente con qualche cenno del capo) di essere presenti,
interessati e all’ascolto.
Come abbiamo visto, il cenno del capo ci permette di comunicare cinque messaggi al parlante; è un gesto semplice che
può favorire l’efficacia dell’evento comunicativo, mentre la sua
assenza può comprometterla, in quanto il parlante è indotto a
pensare che:
“Ascoltare” il linguaggio del corpo
“Ascoltare” il linguaggio del corpo significa:
mantenere un buon contatto oculare;
usare i movimenti della testa;
rispecchiare in modo naturale il linguaggio corporeo
dell’interlocutore attraverso l’eco posturale.
Abbiamo già discusso del contatto oculare in una lezione
precedente e ormai ne conoscete le regole non scritte. Il contatto oculare aiuta il parlante a sapere di essere ascoltato con
interesse. Trovarci di fronte una persona che, mentre ci ascolta, continua a guardarsi intorno è un’esperienza irritante: per
questo chi sa mantenere un buon contatto oculare viene percepito come persona gradevole e interessante.
I movimenti della testa rappresentano un elemento utile
per incoraggiare le persone a parlare e per stabilire il senso di
intesa. Il segnale principale è il cenno di approvazione con il
capo. Ne sono stati identificati cinque tipi diversi:
il cenno di incoraggiamento (“Sì, è molto interessante”);
il cenno di conferma (“Sì, sto ascoltando”);
il cenno di comprensione (“Sì, ho capito”);
il cenno di approvazione (“Sì, è giusto”);
il cenno di consenso (“Sì, lo farò”).
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l’ascoltatore non sia attento;
l’ascoltatore non sia interessato.
I SEGNALI DEL CORPO
Gli studi hanno rilevato come gli ascoltatori che
annuiscono ripetutamente tendano a ottenere quattro
volte più informazioni rispetto a quelli che tengono la
testa ferma.
Un consiglio: controllate la direzione dello sguardo. Se
l’interlocutore lo distoglie da voi, significa che intende
prendere la parola. Se invece vi guarda, vi comunica di
essere d’accordo con quanto state dicendo.
Avrete notato come, nei talk show televisivi, i conduttori
più abili incoraggino ripetutamente gli ospiti ad “aprirsi” annuendo più volte mentre loro parlano.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
L’ASCOLTO
Se non siete soliti annuire, provate a farlo non appena ne
avete l’occasione e osservate la differenza. Scoprirete che le
conversazioni dureranno più a lungo, saranno più aperte e
l’avvicendarsi dei ruoli fra parlante e ascoltatore avverrà in
modo assai più naturale.
In tema di movimenti del capo durante l’ascolto e dei modi
per dimostrare interesse, abbiamo già parlato di un segnale tipico: quello di inclinare la testa (vedi Lezione 2). Osservandolo
nell’uomo e negli animali, Darwin lo aveva interpretato come
gesto di “assenza di minaccia” che denota interesse.
Che cosa comunica l’annuire?
Il significato dell’annuire si deduce generalmente dalla velocità con cui si compie il movimento.
Molti, confusi da questo gesto, non hanno mai voluto andare oltre e imparare a interpretarne le varie sfumature, ma io
vi invito a farlo perché vi sarà utile per comprendere i vostri
interlocutori ed evitare di irritarli dando l’impressione di non
comprenderne il messaggio!
Annuire lentamente è un gesto di incoraggiamento che
compiamo per invitare il parlante a proseguire il discorso (gli
comunica che non intendiamo ancora invertire i ruoli).
Annuire a velocità media è un gesto di conferma con il
quale comunichiamo di capire.
Annuire rapidamente è un gesto con il quale comunichiamo di essere in totale accordo (proviamo un’emozione) oppure
di voler interrompere il parlante per assumerne a nostra volta
il ruolo.
Per cogliere il preciso significato del gesto, il parlante deve
verificare la presenza di altri indizi verbali.
Gli studi più recenti confermano che il padre dell’evoluzionismo aveva ragione: tendiamo a inclinare inconsapevolmente
il capo quando ascoltiamo con attenzione perché qualcosa ha
suscitato il nostro interesse. È un gesto che vediamo compiere
spesso fra il pubblico del cinema e del teatro, nelle riunioni di
lavoro, nei corsi di formazione e, ovviamente, nelle conversazioni. Come annuire, anche inclinare la testa è un gesto di
sottomissione. Si ritiene che esso ricrei la sensazione che provavamo da piccoli nell’adagiare la testa sul corpo dei genitori
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
L’ASCOLTO
alla ricerca di conforto o per riposare. Riflettete per qualche
istante sulle persone di vostra conoscenza che compiono abitualmente questo movimento. E voi lo compite qualche volta?
Consapevolmente o senza accorgervene? Le risposte saranno
senza dubbio rivelatrici.
Dopo un certo tempo non solo il loro linguaggio corporeo
diviene istintivamente simile, ma diventano sincroni anche gli
aspetti vocali come la velocità dell’eloquio e l’intensità della
voce, senza che nessuna delle due imiti deliberatamente lo stile
paralinguistico dell’altra. Si sincronizzano anche i movimenti
della testa, le posture e i gesti delle mani, che assumono un
ritmo simile e del tutto naturale. Quando l’una si protende per
ascoltare, l’altra fa altrettanto. Si è creato un rapporto di intesa
attraverso il linguaggio corporeo.
Eco posturale o sincronia dei movimenti
(per stabilire intesa)
Quando due persone vanno d’accordo e stabiliscono una
buona intesa reciproca o, per usare un’altra espressione, sono
sulla stessa lunghezza d’onda, fra loro si instaura un tipo di
sintonia per cui l’una imita inconsapevolmente il linguaggio
corporeo dell’altra e viceversa, adottandone le espressioni e
la postura non in modo sistematico e speculare, bensì con la
massima naturalezza.
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“Fare la differenza”
Tendiamo istintivamente a comportarci in modo contrario – a esibire un linguaggio corporeo negativo – quando ci
troviamo a disagio o in disaccordo con l’interlocutore, o quando magari, in un contesto di lavoro, ascoltiamo qualcuno che
infarcisce la conversazione di irritanti cliché tratti dal gergo
aziendale e dalla sua vasta schiera di acronimi e calchi: “fare
la differenza”, per esempio, “fare il planning per il brainstorming”, “cogliere le opportunità”, “noi non abbiamo problemi,
abbiamo sfide”, “tracciare gli ordini”. Se queste espressioni scoraggiano l’ascolto, allora non favoriscono la comunicazione –
semplicemente la impediscono.
Il parlante potrà comprendere che è preferibile cambiare
stile e spiegare il significato di qualche espressione leggendo
i segnali del linguaggio corporeo di chi lo ascolta, che magari, anziché protendersi in avanti mostrando interesse, arretra
sulla sedia. Questo comportamento può indurre una reazione
simile nell’interlocutore e creare una situazione di eco posturale negativa.
Se vi accorgete che questo accade, siate consapevoli delle
vostre emozioni e assumete nuovamente una postura che
indichi apertura. Cercate di resistere alla tentazione di “chiudere” il corpo e adottate uno stile aperto, perché in tal modo
è più probabile che l’interazione abbia un esito favorevole e
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
L’ASCOLTO
l’altra persona eviti a sua volta di “chiudersi” su sé stessa. Il linguaggio non verbale è contagioso, nel bene e nel male. Se la
persona che avete davanti persiste nell’atteggiamento di chiusura, porgetele qualcosa da guardare per costringerla a sciogliere le braccia conserte.
piamo che un contenuto espresso in modo rapido comunica
senso di urgenza, mentre un discorso pronunciato lentamente
o con più attenzione trasmette qualcosa di assai diverso: può
infatti indicare, per esempio, lo stato d’animo della persona,
che magari è insicura o nervosa.
A seconda della personalità, ognuno di noi tende a scegliere
una particolare velocità di parlata, che per qualcuno è tipicamente impaziente e rapida, mentre per i soggetti più introversi
è pacata e lenta.
Anche l’intensità della voce ha un suo valore espressivo:
l’urlo è generalmente associato a sentimenti di rabbia. In proposito ricordo una commedia, alla quale ho assistito, in cui un
personaggio ripeteva di continuo alla moglie con voce tonante: “Ti avverto. Sono di cattivo umore”.
Queste tre caratteristiche del parlato determinano il ritmo
del discorso. Le persone dotate di una voce attraente possiedono una dote che le rende gradevoli agli altri (ne discuteremo più avanti).
Detto questo, chi non ha ricevuto una formazione specifica e non ha pertanto la voce “impostata” come gli attori non
attribuisce grande importanza a tale aspetto della comunicazione e al modo in cui gli altri lo percepiscono. Se vi accorgete
di non avere successo nei colloqui di lavoro, di non ottenere le
promozioni sperate, di non essere convincenti nelle riunioni,
nelle attività di vendita o in altre occasioni, è possibile che non
abbiate la voce “giusta”.
Un altro elemento che concorre a rendere chiara ed efficace
la dizione è la respirazione. Se, per esempio, non fate mai una
pausa per riprendere fiato, l’ascoltatore può rimanerne irritato
e innervosito.
Gli aspetti vocali del linguaggio non verbale
A contare non è quello che dici, ma il modo in cui lo dici.
L’aspetto vocale del linguaggio non verbale corrisponde a quel
38% di cui abbiamo discusso in precedenza e riguarda il tono
del parlato, che cambia in funzione delle seguenti variabili:
il timbro (o altezza) della voce: può variare da basso ad alto
(dalla voce cupa a quella stridula) anche nell’ambito di
una stessa conversazione;
la velocità della parlata: può essere maggiore o minore;
l’intensità della voce: può variare dal sussurro al grido;
il ritmo del discorso: è dato dalla successione più o meno
serrata delle frasi e anch’esso può variare.
Quelli elencati sono i tratti paralinguistici del parlato, detti
anche paralinguaggio o linguaggio paraverbale (para deriva
dal greco e significa “intorno”, “nei pressi”).
Come prima cosa esaminiamo il timbro della voce, un tratto capace di esprimere molti significati e che pertanto riveste
grande importanza nell’ambito del linguaggio non verbale.
Il timbro serve, innanzitutto, per marcare la differenza tra
l’affermazione e la domanda; per esempio: “Sono già tornati”
e “Sono già tornati?”.
Serve anche per sottolineare un particolare elemento della
frase e modificarne il significato; per esempio: “Sono già tornati?”. L’innalzamento del timbro vocale può manifestare anche senso di sorpresa.
Anche la velocità della parlata può indicare molte cose. Sap- 102 -
La respirazione profonda che interessa anche l’addome
produce una voce più rilassata e sicura.
La respirazione superficiale, con respiri brevi, è causata
da uno stato di ansia o nervosismo.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
I SEGNALI DEL CORPO
La respirazione determina alcune caratteristiche
della voce.
Ricordate che, per una buona emissione della voce, è necessario avere anche una buona postura. Le spalle curve o la
posizione rilassata, ma anche la tensione a livello della gola
o dello stomaco ostacolano la buona dizione e l’emissione
vocale. Prima di fare una telefonata importante o di entrare nella stanza in cui dovrete sostenere un colloquio, ispirate
lentamente e profondamente attraverso il naso – almeno per
qualche secondo – ed espirate lentamente dalla bocca.
La voce ha la sua importanza anche nel determinare il grado di simpatia o antipatia che si suscita nel prossimo. Pensate per esempio ai presentatori radiofonici e in particolare ai
DJ che conducono programmi di intrattenimento musicale.
Non potendo sfruttare il linguaggio visivo, si affidano principalmente alla voce per riscuotere il gradimento del pubblico.
Senza dubbio la popolarità del programma radiofonico condotto da Terry Wogan per la BBC non è dovuta soltanto alle
canzoni mandate in onda. Pensiamo poi al leggendario Tony
Blackburn, tornato a condurre per BBC Radio con il produttore Phil Swern, vincitore del Gold Badge Award. E al programma Today di John Humphry su Radio 4. Dipende tutto dalla
musica e dalle notizie? No, anche dal fatto che, nel subconscio,
troviamo gradevole la voce dei conduttori.
I SEGNALI DEL CORPO
Se non ci piace il messaggero, non ci piace neppure il
messaggio.
L’ASCOLTO
La formula per una voce perfetta
Nel maggio 2008 il Dipartimento di Linguistica della Sheffield University ha pubblicato uno studio molto interessante dal
titolo Formula per una voce perfetta. I ricercatori hanno elaborato la formula della voce maschile e femminile ideale, specificando un particolare mix di timbro, ritmo, dizione, parole al
minuto e intonazione. Analizzando le voci che riscuotevano il
massimo indice di gradimento, accademici e ingegneri del suono hanno formulato l’equazione matematica della voce ideale.
Secondo i loro calcoli, il parlato non deve contenere più di
154 parole al minuto (ppm) e va spezzato con pause di 0,48
secondi per separare frasi di intonazione decrescente. Il risultato: la voce femminile ideale è una combinazione fra quelle di
Judi Dench, Mariella Frostrup e Honor Blackman. Judi Dench
pronuncia 160 ppm con pause di 0,5 secondi tra una frase e
l’altra; Mariella Frostrup circa 180 ppm con pause di 0,5 secondi; Honor Blackman parla al ritmo più pacato di 120 ppm.
E per gli uomini? La voce più gradevole è una combinazione
fra quelle di Alan Rickman, Jeremy Irons e Michael Gambon.
Jeremy Irons pronuncia 200 ppm, Alan Rickman 180 ppm e
Michael Gambon 160 ppm.
I ricercatori hanno anche rilevato come i tratti vocali associati a tratti positivi come sicurezza e fiducia risultino più
gradevoli e contribuiscano anch’essi a determinare la voce ideale. In conclusione, come anticipato a inizio lezione, non è importante solo quello che diciamo… ma anche come lo diciamo.
Chiacchierata informale
Se, pur comportandovi in modo appropriato, non riuscite a capire in che cosa sbagliate, è possibile che il problema
risieda nell’aspetto non verbale della voce.
D Credo di essere un buon ascoltatore ma, dopo quello che
ho letto, mi pare di capire che il problema stia nel fatto che non
dimostro di ascoltare. In effetti gli altri – anche i colleghi di
lavoro – si confidano poco con me. Devo mantenere il contatto
oculare con chi mi parla per dimostrare che presto attenzione?
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
L’ASCOLTO
No, non è così semplice. Non basta un manichino che ci punti addosso un bel paio di occhi azzurri. Non si tratta, infatti, di
“ricevere” semplicemente il messaggio. Chi le parla vuole avere la
certezza che lei, oltre ad ascoltare, comprenda ciò che le viene detto,
che sia “presente” (e non concentrato sui propri pensieri); vuole sapere se lei è interessato e se è d’accordo o no. Le sembra una pretesa
eccessiva? Se a parlare fosse lei, non si aspetterebbe altrettanto da
chi la ascolta?
per esempio, a parlare allo stesso ritmo, a compiere gli stessi gesti e
ad assumere la stessa postura. E se una tende a parlare velocemente
e a voce alta, anche l’altra adotta spontaneamente lo stesso stile.
La percezione inconscia della mancanza di contrasti favorisce una
conversazione libera e proficua.
D Sì, effettivamente è così. Ma che cosa devo fare per dimostrare il mio interesse?
Come ho già detto, è importante dimostrare di ascoltare con
tutto il corpo. Un buon ascoltatore vale tanto oro quanto pesa e
suscita reazioni molto positive nel parlante. Provi ad annuire per
incoraggiare l’interlocutore a proseguire il discorso e inclini leggermente la testa (come spesso fanno le donne) per dimostrare di
essere attento. Se è seduto, protenda un poco il busto in avanti: è
un segnale di apertura che spesso invoglia la controparte a fare
altrettanto. E poi, al momento giusto, sfrutti il potere delle espressioni facciali per dimostrare la sua empatia. Potrà osservare grandi
cambiamenti.
D Ho trovato molto interessante la parte che riguarda i
“tratti paralinguistici”. Io non possiedo grandi doti oratorie e
non ho una dizione perfetta, ma mi pare di aver capito che,
perfezionandomi in quello che voi psicologi definite “impression management”, potrei ottenere notevoli miglioramenti.
Questo mi dà qualche speranza. Ho forse capito male?
Temo di sì. Errore di interpretazione. È importante che lei comprenda bene questo concetto: se attraverso il linguaggio del corpo
non crea una prima impressione positiva, gli altri non saranno disposti neppure ad ascoltare ciò che ha da dire. E se poi l’impressione
visiva è valida ma, non appena lei apre bocca, fa disastri, allora non
ha più alcuna possibilità di recupero. Non siamo alla ricerca di un
palliativo. Ciò a cui dobbiamo mirare è la coerenza fra l’aspetto visivo e il messaggio verbale, allo scopo di creare la giusta impressione.
D Lei ha detto che nelle interazioni personali si finisce spesso con l’imitare il linguaggio corporeo della persona che si ha
davanti. Ha definito questo fenomeno “eco posturale”, mi pare.
Ma in che cosa consiste di preciso? Non le sembra un comportamento un po’ falso?
Forse lei ha frainteso lo scopo di questo comportamento e ha
dimenticato che ho detto che si tratta di un fenomeno del tutto
naturale. Alcuni studi osservativi sulle interazioni personali hanno
evidenziato che, quando si crea intesa, due persone arrivano ad
adottare l’una il comportamento vocale e corporeo dell’altra, realizzando una perfetta sincronia di movimenti e gesti. Il tutto avviene senza forzature, in modo spontaneo e naturale, e rappresenta
un indice della buona intesa raggiunta. Le due persone arrivano,
D Sono d’accordo. Nei colloqui che teniamo in azienda per
selezionare le assistenti dei manager incontriamo spesso giovani donne che si presentano ben vestite e con un bel portamento, ma che poi, non appena si siedono e aprono bocca, non
si dimostrano all’altezza del ruolo.
Lei ha colto bene il senso del mio discorso. A titolo d’esempio, le
cito la conversazione fra la responsabile del personale di una banca
che cercava nuovi addetti agli sportelli e il suo superiore: “C’era
una ragazza che aveva una voce terribile. Non ha mai cambiato
tono per l’intero colloquio, ho avuto l’impressione che fosse poco
energica o annoiata. Ovviamente non è l’impressione che vogliamo
comunicare ai clienti quando entrano in banca per avere informazioni allo sportello”.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Pausa caffè
1 Le relazioni con il prossimo sono condizionate
dalla nostra capacità di ascolto.
2 Praticare l’ascolto attivo significa percepire con
tutto il corpo e dimostrare di ascoltare.
3 Gli studi dimostrano che le persone più carismatiche, di maggiore successo o più apprezzate sono
ottime ascoltatrici e che sono capaci di dimostrarlo; in tal modo comunicano empatia e favoriscono l’intesa.
L’ASCOLTO
8 Gli aspetti vocali del linguaggio corporeo sono
detti “tratti paralinguistici” e comprendono:
timbro, velocità del parlato, intensità della voce e
ritmo.
9 La respirazione addominale profonda conferisce
alla voce un tono più sicuro e rilassato. La respirazione superficiale (con respiri brevi) è un segnale
di ansia o nervosismo.
10 Studi recenti hanno dimostrato che i tratti vocali
associati a caratteristiche positive come la fiducia
e la sicurezza riscuotono un alto indice di gradimento da parte dell’ascoltatore.
4 Molte persone non conoscono bene la differenza
fra udire e ascoltare. Il primo è un processo fisiologico, il secondo un processo psicologico.
5 Ascoltare il linguaggio del corpo significa:
mantenere un buon contatto oculare;
compiere movimenti con la testa;
rispecchiare in modo naturale il parlante attraverso l’eco posturale.
6 I cenni di approvazione con il capo favoriscono il
senso di intesa. La loro mancanza può comunicare (erroneamente) assenza di interesse o di attenzione da parte dell’ascoltatore.
7 Le caratteristiche del parlato veicolano il 38 % del
significato (ricordate, 55, 38 e 7%?) dell’evento
comunicativo.
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Lezione 4
Il linguaggio degli arti
“Chi ha occhi per vedere e orecchie per sentire può convincersi che non vi è mortale che sappia mantenere un segreto. Benché le labbra non proferiscano parola, egli
parla con le dita delle mani e trasuda inganno da ogni poro della pelle.”
Sigmund Freud
In questo capitolo parleremo dei messaggi non verbali che
comunichiamo attraverso il comportamento degli arti: braccia e mani, gambe e piedi. Esamineremo anche le cosiddette
attività dislocate e i gesti di autoconforto con i quali lasciamo
trapelare informazioni che rivelano i nostri veri sentimenti. Vi
invito a memorizzare queste due definizioni, perché ricorrono di frequente quando si parla di linguaggio non verbale e
rappresentano concetti chiave nell’interpretazione dei segnali
corporei che osserviamo negli altri e che noi stessi inviamo
ai nostri interlocutori. In quanto indicatori dei pensieri, sono
fondamentali per leggere nella mente altrui.
Le mani
Le mani sono la parte del corpo che manifesta forse il comportamento più spontaneo. Le usiamo per salutare, per esprimere le emozioni del momento e per illustrare i punti di un
discorso. Tale funzione sembra essere codificata nel DNA della
nostra specie: il cervello, infatti, è collegato alle mani da un
numero di connessioni nervose superiore a quelle di ogni altro
distretto corporeo: il 25% del totale va alle mani e il 15% alle
braccia. Abbiamo invece un minore controllo consapevole sul- 111 -
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
le gambe e sui piedi: con le parti più lontane dal cervello siamo
meno in grado di fingere.
La gestualità delle mani comunica molte cose sulla persona che sta parlando e influisce sul modo in cui ella percepisce
l’interlocutore quando parla a sua volta. In generale si ritiene
che il messaggio verbale acquisisca maggiore chiarezza se è
accompagnato da gesti delle mani.
Cameron e Clegg: che cosa dicono attraverso il corpo?
(James Borg, Daily Telegraph, 15 maggio 2010)
“... Le simmetrie fanno parte della loro presunta intesa politica. A un primo sguardo David Cameron e Nick
Clegg hanno molte somiglianze: l’aspetto, l’età, la statura e la formazione culturale, ma anche la gestualità.
Quanto, però, si assomigliano davvero? In quest’ultima
settimana hanno comunicato attraverso il linguaggio
del corpo una serie di muti e sottili messaggi sullo stato
reale dei loro rapporti.
Prima della conferenza stampa, si sono fatti fotografare davanti al 10 di Downing Street – rito che Cameron
doveva avere studiato molto bene. Quell’aria rilassata
e autorevole non la si improvvisa. In simili situazioni,
davanti a una barriera di flash e giornalisti, vince chi
sa apparire naturale in quello che essenzialmente è un
ambiente innaturale. Dopo l’iniziale stretta di mano, li
abbiamo visti mettersi reciprocamente la mano sulla
spalla, un gesto che in neuropsicologia è detto ‘parentale’, ovvero compiuto dai genitori con i figli. E che cosa
vogliono dire i genitori quando lo mettono in atto? ‘Comando io.’ Questo gesto comunica la posizione gerarchica e può assumere una risonanza particolare nella
situazione di ‘primi fra eguali’ in cui si sono trovati a
essere Cameron e Clegg.
Ma i messaggi corporei erano più complessi. Cameron
è stato il primo a compiere questo gesto e Clegg lo ha
replicato, lui lo ha ripetuto e Clegg anche... prima che
Cameron lo elargisse per un’ultima volta, ponendo assertivamente la destra sulla spalla del vice mentre questi
varcava la soglia. È stata una tipica esibizione di corteggiamento, ma anche una lotta di potere occultata a
fatica. Con quell’ultimo gesto, Cameron si è assicurato
l’ultima parola cruciale del dialogo vernacolare.
La conferenza stampa ha offerto poi l’occasione di
conoscere i due ‘novelli sposi’. Nei modi e nel discorso, Cameron si è dimostrato più sicuro, già calato nel
ruolo di primo ministro, accompagnando i frequenti
riferimenti al nuovo partner con gesti della mano destra rivolti nella sua direzione. Quando parla, Cameron
ha l’abitudine inconsapevole di aprire le dita, un gesto
con la mano aperta che comunica affidabilità. Questo,
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Status, posizione gerarchica e dominanza
Osservando persone che interagiscono, spesso possiamo
dedurre inconsapevolmente in quale posizione gerarchica rispetto alle altre ognuna percepisca sé stessa. È più facile compiere questo tipo di osservazione nel contesto quotidiano del
luogo di lavoro, dove il contatto fisico è un mezzo attraverso il
quale si esprime appunto la posizione gerarchica. Nel mondo
aziendale e della politica, i test confermano che, in generale,
la persona che percepisce sé stessa come titolare di uno status
più elevato è la prima a instaurare il contatto fisico. Lo si può
osservare di frequente fra i politici, là dove il politico vuole
imprimere nella mente del pubblico (l’elettorato), ma anche
del diretto interlocutore, chi detiene il potere.
Un chiaro esempio di questo comportamento fu offerto
dopo le elezioni politiche britanniche nel maggio del 2010,
quando i due leader della nuova coalizione di governo si fecero fotografare dalla stampa mondiale davanti all’ingresso di
Downing Street.
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
in contrasto con la mano chiusa del suo predecessore a
Downing Street.
Clegg ha tentato la tecnica che ormai gli è propria di
non guardare sempre gli appunti, ma di alzare di tanto
in tanto lo sguardo. In generale, però, aveva un’espressione più sottomessa del solito e ha tenuto gli occhi bassi
più di Cameron – chiaro segno d’ansia. E di motivi per
essere in ansia, per non dire in imbarazzo, ne aveva, visto che la settimana precedente era emersa la notizia di
colloqui occulti con i laburisti – l’equivalente politico
di una ex – prima che decidesse di andare a nozze con i
conservatori.
È stato interessante notare che, quando Clegg parlava,
Cameron orientava tutto il corpo verso di lui. Quando si
è totalmente a proprio agio con una persona e interessati a lei, le si volge non soltanto la testa, ma tutto il corpo
e spesso anche i piedi.
Quando invece ha parlato Cameron enumerando le sfide che la sua amministrazione dovrà affrontare, Clegg
volgeva verso di lui soltanto la testa. Non solo, si è notata qualche microespressione, gesti effimeri e inconsapevoli di tre, cinque secondi, ma che denotano disagio.
Si è morso le labbra in più occasioni e si è toccato l’interno della bocca con la lingua. Lo si è visto soprattutto
quando è stato sollevato il tema della rappresentanza
proporzionale.
Verso la fine c’è stato un cambiamento. Mentre Cameron parlava, Clegg si è voltato verso di lui con tutto il
corpo e con i piedi – una bella differenza. E mentre il
primo ministro rispondeva alle domande, lui ha iniziato
ad annuire e a lanciare sguardi pieni di rispetto. Questo,
in generale, non denota totale accordo, ma un atteggiamento più essenziale nei rapporti di lavoro: la deferenza.
Clegg riconosce che, pur essendo lui un attore potente,
chi comanda è Cameron.”
Nel parlare alcuni gesticolano con la massima naturalezza, mentre altri, meno inclini a farlo, devono concentrarsi per
controllare i gesti. È stato osservato che la tendenza ad accompagnare il discorso con la gestualità aumenta in funzione dell’estroversione del soggetto: sembra che le persone più
estroverse, insomma, gesticolino di più. Per quanto ho potuto
osservare io stesso, gli oratori più abili ricorrono a un uso molto appropriato della gestualità per sottolineare l’importanza
dei vari passaggi del proprio discorso, in una perfetta sincronia
fra gesti e parole.
Dopo il volto, le mani sono la parte più espressiva e comunicativa del corpo; oltre a rinforzare il significato delle parole, talvolta i loro gesti possono anche sostituirle. Quindi non
sorprende che siano uno strumento privilegiato per avvalorare
il discorso, e neppure che siano responsabili di una notevole
quantità di “fughe di informazioni”. A conferma di ciò vi è il
fatto che percepiamo inconsciamente come un preciso segnale
se una persona non mostra le mani durante un dialogo o una
conversazione in pubblico (tenendole magari nascoste sotto
una scrivania, un leggio o un tavolo).
Gli esperimenti condotti in questo ambito confermano
puntualmente che la persona che “nasconde” le mani viene percepita in modo negativo. È vero che talvolta non si tratta di un
comportamento deliberato, ma di una necessità; tuttavia resta
il fatto che le impressioni si basano su ciò che percepiamo. Come
abbiamo già osservato, nel mondo del linguaggio non verbale
la comunicazione si basa sulla percezione.
Come vi sentireste se vi chiedessero di tenere un discorso
con le braccia immobili ai lati del busto? Se siete abituati a
gesticolare anche in misura modesta, provereste un forte senso
di disagio: mentre parlate, rigidi come manichini, dareste l’impressione di essere insicuri e il vostro intervento apparirebbe
innaturale. In termini di linguaggio non verbale (la famosa
regola del “55, 38 e 7%”), l’impatto delle parole (7%) sarebbe completamente oscurato dal modo in cui le pronunciate
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
(38%) e dall’immagine che comunicate: quella di un contegno
incerto e imbarazzato (55%).
Nell’ambito della funzione comunicativa delle mani, prendiamo in considerazione innanzitutto i palmi. Sulla loro posizione si sono condotti numerosi studi, che riconducono principalmente a due casistiche: palmi verso l’alto e palmi verso il
basso. Qual è il loro significato?
I palmi verso l’alto sono percepiti come segnale positivo. La
persona che, quando parla, mostra i palmi delle mani suscita
un’impressione positiva negli ascoltatori; se pronunciasse le
stesse parole con i palmi rivolti in basso, riscuoterebbe un indice di gradimento inferiore.
Per quale motivo? Noi esseri umani associamo il segnale
della mano “aperta” ai sentimenti di amicizia, onestà e fiducia. Con la mano aperta prestiamo giuramento. “Posso dire in
tutta onestà quello che penso?”, domanda una delle parti al
tavolo negoziale, gesticolando con i palmi esposti davanti a sé.
Poiché l’esibizione dei palmi è generalmente un gesto inconscio, tendiamo a credere che sia genuino e siamo indotti ad assumere un atteggiamento di maggiore apertura nei confronti
della persona che lo compie. In generale si ritiene che chi cerca
di fingere una certa emozione o di mentire non riesca a farlo
mostrando i palmi.
Nell’antichità l’uomo mostrava i palmi per far capire di essere disarmato. Da
tale convenzione ebbe origine quella della stretta di mano, di cui discuteremo più
ampiamente in seguito. Ciò che mi preme
sottolineare adesso è che si tratta essenzialmente di un gesto di sottomissione
(pensate per esempio ai mendicanti per la
strada o alla reazione del “cattivo” in un
vecchio film di Sherlock Holmes in cui Holmes, Watson e l’ispettore fanno irruzione nella scena finale). Il fatto che una
persona mostri i palmi mentre parla è indice della sua sincerità: cerca di farvi capire che merita la vostra fiducia (“Ti prego,
credimi”).
Benissimo, direte voi, ma che cosa dobbiamo pensare degli agenti immobiliari, dei venditori di automobili usate e di
tutti gli imbonitori che fanno uso abituale di questo gesto?
Non è forse un comportamento deliberato per ingannarci? Sì,
avete ragione, il loro scopo è questo. Tuttavia, al termine della
Lezione 7, saprete che esso va interpretato come gesto falso e
non spontaneo qualora manchi di coerenza con altri segnali di
“apertura” che ne confermino il senso (contatto oculare, postura appropriata, sorriso spontaneo e tono aperto e sincero).
Il gesto dei palmi rivolti verso il basso comunica dominanza o autorità ed equivale all’emanazione di un comando. Nel
2008, all’inizio della campagna per la candidatura alle elezioni presidenziali, faceva uso di questo gesto Hillary Clinton,
nell’intento di trasmettere al pubblico l’impressione di avere
il pieno controllo della situazione; in una fase successiva della
campagna, i consulenti probabilmente le consigliarono di passare ai palmi verso l’alto, e lei iniziò a mostrare un solo palmo
(è un accorgimento comune per facilitare il passaggio da un’abitudine all’altra).
Data la grande importanza comunicativa delle mani, se vogliamo ispirare fiducia e creare l’impressione giusta dobbiamo mostrarle. Tuttavia bisogna farlo con cautela, in quanto
possono lasciar trapelare indizi che l’ascoltatore accorto sa ben
interpretare, cogliendovi, oltre ai segnali positivi, anche eventuali segnali di ansia e negatività.
Immaginate per esempio che un collega di lavoro del vostro
stesso livello esclami, agitando verticalmente il palmo chiuso: “Vuoi spostare quella pila di elenchi che hanno piazzato
lì? Mi danno fastidio”. Accompagnato da quel gesto, l’invito è
percepito come un comando, ma a formularlo non è il vostro
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I palmi delle mani: verso l’alto o verso il basso?
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
capo, bensì un collega di pari grado. Risultato: una probabile
situazione di antagonismo. E la causa non sono le parole pronunciate, ma il gesto che le accompagna e il modo in cui sono
dette. Un cocktail micidiale!
Ora, immaginate che la stessa richiesta (e con le stesse
identiche parole) sia accompagnata dal gesto delle mani con
il palmo rivolto verso l’alto: assumerebbe immediatamente le
connotazioni di un messaggio di sottomissione (ovvero, la richiesta di un favore) o di impotenza e avrebbe assai minori
probabilità di irritarvi, invogliandovi a soddisfare la richiesta.
Esiste una variante del palmo verso il basso in cui le dita
sono strettamente unite: è tristemente noto a tutti come il saluto del Terzo Reich che abbiamo visto compiere da Adolf Hitler nei cinegiornali d’epoca.
dice addosso? Immagino che non vi sentiate a vostro agio.
Forse la situazione vi riporta alla mente ricordi dell’infanzia?
Oppure vi rammenta il comportamento di un genitore, di un
insegnante o di una persona antipatica? Si tratta di un gesto
aggressivo associato quasi universalmente al sentimento riassumibile nella frase: “credo che tu abbia capito”. Molte persone, tuttavia, sono inconsapevoli di compierlo di frequente o
non percepiscono l’effetto che esso produce nell’interlocutore.
Se siete soliti compiere questo gesto, e magari con un certo orgoglio, smettete al più presto perché è offensivo. Va bene
forse per i personaggi televisivi, ma nella vita reale il ricevente
lo percepisce come provocatorio.
Le attività dislocate
Il dito puntato
Parlando del significato dei palmi, voglio accennare anche
all’effetto irritante del gesto dell’indice puntato contro l’interlocutore: la mano chiusa forma un pugno, dal quale emerge
l’indice teso. Come reagite quando qualcuno vi punta l’in-
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È giunto il momento di introdurre un concetto che riveste
grande importanza nella psicologia del linguaggio non verbale: le attività dislocate. Tale definizione si riferisce ad azioni
che compiamo inconsapevolmente allo scopo di allontanare
l’ansia o il nervosismo. Vi invito a memorizzarla perché vi sarà
utile per classificare e interpretare particolari comportamenti
dei vostri interlocutori.
Talvolta le attività dislocate sono costituite da movimenti
fugaci e quasi impercettibili, ma risultano estremamente rivelatrici.
Le attività dislocate sono movimenti che compiamo quando ci troviamo in situazioni di conflitto interiore o di frustrazione. Sono piccole mosse capaci di rivelare parecchie cose su
ciò che avviene nella nostra mente. D’altronde, spesso sono le
piccole cose a determinare una grande differenza. Questi gesti,
perlopiù inconsapevoli, corrispondono infatti ad altrettante
“fughe di informazioni” sul nostro reale stato interiore.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
I SEGNALI DEL CORPO
Se vi sfugge l’importanza delle piccole cose, allora vi
pongo una domanda: vi è mai entrata una zanzara nella
camera da letto?
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
Studi osservativi condotti presso stazioni ferroviarie e aeroporti, ossia luoghi in cui spesso i passeggeri vivono l’attesa
con una certa tensione, hanno permesso di ricavare dati interessanti. Si sono osservate attività che denotavano con chiarezza lo stato di apprensione, ma anche attività mascherate che i
passeggeri compivano nel tentativo di non rivelare l’ansia o la
paura per l’imminente prospettiva di salire a bordo di un aereo
e il desiderio concomitante di fuggire dal terminal.
Le attività dislocate più tipiche in queste situazioni sono
controllare di continuo biglietti e passaporti, accertarsi che il
portafogli sia al suo posto, sollevare il bagaglio e depositarlo nuovamente a terra, guardare ripetutamente il cellulare.
I passeggeri osservati ripetevano questi gesti a intervalli di
pochi minuti.
Come prevedibile, il tasso di attività dislocate riscontrate
presso gli aeroporti è risultato 10 volte superiore rispetto a
quello delle stazioni ferroviarie (soltanto l’8% dei passeggeri
in attesa di salire sul treno si intratteneva in tali attività, contro l’80% dei passeggeri ai check-in degli aeroporti). Inoltre
si sono notate con una frequenza molto superiore alla norma
azioni come grattarsi la testa, fare smorfie con il viso, toccarsi i lobi degli orecchi e altre parti del corpo, manipolare
futilmente oggetti.
Vi erano poi persone che fumavano a causa dello stress,
esibendo l’intero “rituale” del fumo: trovare il pacchetto, recuperare l’accendino o i fiammiferi, accendere e spegnere la
fiamma, collocare in posizione strategica il portacenere, eliminare dagli abiti tracce inesistenti di cenere e infine spegnere
la sigaretta con un gesto enfatico dopo pochi “tiri” (oggi il divieto di fumare ci impedisce di assistere a questa complessa
manifestazione del conflitto interiore nei luoghi pubblici, ma
possiamo osservarla in altre occasioni).
Sono certo che quanto abbiamo detto vi renda più consapevoli di come anche voi vi comportate in aeroporto o in altre
situazioni di tensione. Conoscendo l’esistenza e il significato
delle attività dislocate, potete imparare a evitarle in tutte le
circostanze in cui non riteniate opportuno svelare le vostre
vere emozioni.
Ognuno possiede un proprio repertorio di attività dislocate cui ricorre per superare i momenti di conflitto e tensione: masticare una gomma, mordicchiarsi le unghie, mangiare,
bere, tenere la sigaretta fra le labbra (anche se spenta). Nei
suoi “spaghetti western” l’attore Clint Eastwood aveva sempre una sigaretta spenta all’angolo della bocca e, al momento
di parlare, generalmente in una situazione di forte tensione,
anziché toglierla l’accendeva e la teneva fra le labbra mentre
articolava le parole.
La fitta rete di connessioni nervose fra il cervello e le mani
rende queste ultime la sede di azioni talvolta convulse, che
compiamo nelle situazioni in cui proviamo emozioni contrastanti (situazioni di conflitto interiore). Si tratta di attività dislocate volte a fornirci conforto, permettendoci al contempo
di scaricare la tensione nervosa. Se ne riconoscono due tipi:
azioni dirette verso l’esterno e azioni dirette verso sé stessi
(gesti di autoconforto). Di queste ultime parleremo più avanti.
Le attività dislocate dirette verso l’esterno comprendono per
esempio: giocherellare con gli indumenti o con oggetti come
chiavi, penne, occhiali, monete, lo stelo di un bicchiere, il cellulare, un anello. Benché riflettano i nostri sentimenti, risultano irritanti per chi ci osserva. Se vi capita di vederle compiere
ad altre persone, interpretatele sempre alla luce del contesto e
di un intero complesso di segnali.
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Treni e aerei
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Stili di fumo
Il fumo è un’altra attività dislocata rivolta verso l’esterno
sulla quale vale la pena riflettere, poiché fornisce indizi utili sulla persona che la compie. Fumare consente di compiere
movimenti con le mani quando ci si sente nervosi o in ansia.
Quest’attività è stata oggetto di numerosi studi che hanno permesso di comprendere l’associazione fra stato interiore (positivo o negativo) e stile di fumo.
Che cosa ne è emerso? Salvo fattori situazionali specifici che
obbligano il fumatore a espirare il fumo in una particolare direzione – per esempio, la vicinanza di altre persone e il fatto di
trovarsi in uno spazio limitato – gli studi rivelano che:
chi è in uno stato d’animo positivo e fiducioso tende a
espirare il fumo verso l’alto;
chi lo espira verso il basso, invece, in generale segnala negatività, rabbia e frustrazione.
Inoltre la velocità con cui viene espirato il fumo è correlata
all’intensità dell’emozione: più rapido è il movimento verso
l’alto, più intenso è il sentimento di fiducia e positività; più
rapido è il movimento verso il basso, più intensi sono i sentimenti negativi.
Un altro aspetto interessante legato al rito del fumo riguarda il modo di spegnere la sigaretta. È un gesto cui abbiamo
assistito migliaia di volte nei film, al ristorante, nelle riunioni e
nel corso di trattative (naturalmente, prima che fosse imposto
il divieto di fumare nei luoghi pubblici). Il modo in cui il fumatore spegne la sigaretta rivela molto sul suo conto:
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
Analogamente, la persona che inspira il fumo profondamente, con lentezza e in modo deliberato in genere si trova
sotto pressione e la sigaretta rappresenta per lei più una necessità che un’attività dislocata. Vedrete fumatori che picchiettano ripetutamente la sigaretta accesa sul bordo del portacenere
anche se non vi è cenere da eliminare, o che, sempre per eliminare della cenere inesistente, fanno scattare la sigaretta con un
colpo del pollice dal basso verso l’alto. Sono gesti che denotano
uno stato di agitazione (avete forse detto qualcosa di poco gentile?). Quanto ai sigari, date le loro dimensioni (mi riferisco
ai sigari grandi) sono associati a gesti e a tipi di persone diversi rispetto alle sigarette (pensiamo per esempio a Winston
Churchill). In linea molto generale possiamo affermare che la
connotazione di successo attribuita a chi fuma il sigaro (un po’
come lo champagne) fa sì che molti di questi fumatori – per la
maggior parte uomini – lo esibiscano più che altro come “oggetto di scena”, una sorta di attributo di prestigio.
Al contrario della sigaretta, in mancanza di “tiri” frequenti
il sigaro si spegne. Il fumatore è pertanto autorizzato a portarlo a lungo alle labbra, trovando in ciò un’azione dislocata
se preme rapidamente e con forza il mozzicone nel posacenere significa che è deciso e pronto all’azione;
se compie il gesto lentamente e con cura esagerata significa che è incerto perché qualcosa lo turba.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
perfetta e un comodo supporto psicologico. In merito al sigaro
che teneva sempre in mano senza mai accenderlo nel corso
delle comparizioni televisive e teatrali, l’attore George Burns,
all’età di 96 anni, affermò: “Alla mia età, se non mi aggrappo a
qualcosa rischio di cadere!”
La persona reprime in tal modo un atteggiamento negativo che non può esibire. Chi siede al tavolo o alla scrivania
può ricorrere fondamentalmente a due posizioni delle mani
intrecciate: la prima consiste nel tenere i gomiti sul tavolo e
le mani intrecciate davanti al volto, la seconda nel tenere le
mani appoggiate sul piano (o, talvolta, in grembo).
La ricerca ha evidenziato che la posizione più alta (ossia,
davanti al volto) corrisponde alla maggiore tensione negativa.
Chi assume questa posizione si oppone all’interlocutore e alle
sue idee. Se le mani sono poste sulla bocca o in sua prossimità, significa che il soggetto cerca di trattenere un potenziale
“fiume di parole”. Le mani appoggiate sul piano del tavolo
o in grembo indicano invece uno stato di tensione minore; il
soggetto può essere irritato per qualche motivo, ma non è sul
punto di esplodere come nel caso della posizione precedente.
Talvolta vediamo invece persone in posizione eretta che si
afferrano le mani o le intrecciano all’altezza dell’inguine, in
una postura dal significato profondamente diverso rispetto
alle precedenti: non denota infatti né un atteggiamento negativo né insicurezza, ma piuttosto nervosismo. Molti individui
adottano la cosiddetta “copertura dell’inguine” perché non
sanno dove mettere le mani, e anche per creare una barriera
protettiva in una postura che, come quella in piedi, rende vulnerabili in quanto espone per intero il corpo.
I gesti di autoconforto
I gesti di autoconforto sono attività dislocate che l’individuo rivolge verso sé stesso.
Afferrarsi le mani
Capita spesso di notare persone che, mentre parlano, si afferrano la mano sinistra con la destra in quello che Desmond
Morris ha definito il gesto del “tenersi la mano”. Può sembrare un atto innocuo, come tutti quelli che si compiono con
le mani, ma rivela effettivamente qualcosa e, al contrario di
quanto può apparire, non è associato al senso di sicurezza. La
persona, infatti, vive una situazione di conflitto. Le mani intrecciate in un modo o nell’altro possono muoversi ritmicamente mentre il soggetto parla, ma rimangono legate per tutto
il tempo a causa della tensione che egli prova.
Mani “a guglia”
È giunto il momento di esaminare un gesto delle mani che
sembra suscitare grande interesse negli studiosi del linguaggio
non verbale. Il primo a richiamare l’attenzione su di esso fu
l’antropologo Ray Birdwhistell, che notò come le persone non
abituate a gesticolare durante le interazioni – nei soggetti osservati i gesti, a parte le espressioni facciali, erano pressoché
assenti – usino le “mani a guglia”. Si tratta di un atto isolato,
non inscrivibile quindi in un complesso gestuale, che rivela
senso di sicurezza da parte del parlante.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
Le mani in questa posizione descrivono una forma simile
a quella della guglia di una chiesa gotica. Il gesto è adottato
spesso da persone “autorevoli” quando rilasciano interviste ai
giornalisti o quando interagiscono con altri soggetti (generalmente “subordinati”). Oltre che dai politici, lo vediamo compiere dai professionisti, per esempio medici e avvocati.
Tale gesto può assumere due varianti. La persona che
parla seduta tende a usare la guglia verticale: con i gomiti
appoggiati sul tavolo, avvicina fra loro i palmi e sostiene i
polpastrelli gli uni con gli altri, mantenendoli in una posizione simile a quella della preghiera. La persona che ascolta
tende invece a usare la guglia orizzontale, con le mani nella
stessa posizione ma appoggiate sul piano del tavolo oppure
fra le ginocchia. Nella versione orizzontale il gesto connota
in generale una maggiore disposizione alla collaborazione;
nel ruolo di ascoltatore, la donna tende ad assumere questa
variante piuttosto che quella verticale.
denota sicurezza e disinvoltura. Si è inoltre accertato che il
soggetto che passa dal gesto difensivo delle mani intrecciate a
quello delle mani a guglia vive effettivamente un netto cambiamento emotivo.
La posizione delle mani a guglia è più frequente nell’uomo
che nella donna; se poi, anziché mostrare segnali di apertura,
il soggetto inclina il capo e il corpo all’indietro, può apparire arrogante. Vi sono anche persone che sollevano la “guglia”
oltre l’altezza della testa. Gli studi indicano che chi osserva
negli altri il gesto della guglia lo percepisce come segnale che
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PROVATE ANCHE VOI
Adottate la posizione delle mani a guglia nel corso di
una conversazione o di una riunione di lavoro e osservatene l’effetto. Modifica forse il vostro stato emotivo? Vi fa sentire più autorevoli e sicuri? Se provate
disagio di fronte a una persona perché non sapete
come tenere le mani e temete di gesticolare troppo,
provate questa posizione: vi darà contegno e sicurezza. Quando avvertite un certo nervosismo – magari
durante un colloquio o un’importante riunione di
lavoro – la posizione delle mani a guglia vi permetterà di evitare il lieve tremore che talvolta si verifica
in queste situazioni. Praticandola spesso, diventerà
un’abitudine acquisita.
Se nel corso di una conversazione vi accorgete di stringervi
nervosamente le mani, passate alla posizione della guglia: scoprirete che vi aiuta a migliorare la concentrazione e a pensare
all’interlocutore anziché a voi stessi.
Al contrario delle mani a guglia, le dita intrecciate denotano
maggiore nervosismo e costituiscono un gesto difensivo, ma
assumono un significato diverso, ossia esprimono sicurezza,
quando sono associate ai “pollici all’insù”: questo gesto ibrido
ha un significato positivo e, dal punto di vista dell’osservatore,
ispira fiducia nel parlante.
Mani dietro la schiena
Avete senz’altro presente questa posizione: la persona che
si afferra una mano con l’altra dietro la schiena. Il gesto non
ha lo scopo di nascondere la mani, ma, al contrario, comunica
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
che chi lo compie è sicuro di sé in quanto espone tranquillamente la parte anteriore e vulnerabile del corpo. Siamo soliti
osservare tale postura in poliziotti, militari d’alto rango, chirurghi e docenti universitari.
qualche motivo. La mano sembra quasi trattenere il polso per
evitare che questo compia un gesto inconsulto. Più in alto è
effettuata la presa, maggiore è l’emozione di rabbia o frustrazione che il soggetto prova.
Le braccia
A volte bastano pochi centimetri di differenza per suscitare impressioni completamente diverse. Se la mano dietro
la schiena non afferra l’altra mano bensì il polso, allora siamo
in presenza di una persona infastidita, frustrata o nervosa per
I gesti mano-viso
Quando ci troviamo in situazioni che procurano tensione o
disagio, spesso tendiamo a compiere gesti di autoconforto che
comportano il contatto della mano con il viso, la testa o i capelli (ve ne siete mai accorti?). È interessante osservare che, in
questo tipo di comportamento, tendiamo a toccare le zone del
corpo che forniscono conforto nel bambino piccolo: gli studiosi
del comportamento ritengono che, nel confortare noi stessi,
siamo soliti ricorrere agli stessi metodi con cui ci consolavano
i genitori quando eravamo piccoli.
Spesso, nelle situazioni d’ansia, tendiamo a passarci una
mano fra i capelli (l’uomo tipicamente sulla sommità della testa o dietro la nuca). Avete mai compiuto questo gesto? Lo avete mai visto compiere a una celebrità ospite di un talk show
televisivo, nel momento in cui termina l’applauso di accoglienza del pubblico in sala? Una bella ravviata ai capelli… O
alla persona che, dirigendosi verso l’auto parcheggiata, vede
da lontano il vigile intento a scrivere? Altra bella ravviata…
Una variante di questo gesto, spesso compiuta con entrambe le mani, si può osservare in David Beckham e in altri calciatori quando sbagliano un rigore, o in un tennista che compie un doppio fallo al match point di Wimbledon. Si passano
istintivamente le mani sulla testa o sulla nuca per consolarsi, ma così facendo manifestano anche il proprio dispiacere,
l’ansia e il momentaneo nervosismo. Il significato del gesto in
questo caso è molto evidente: milioni di fan affranti sono in
grado di interpretarlo senza alcun problema. Il cosiddetto “gesto della culla” compiuto con entrambe le mani è usato spesso
come reazione alle situazioni in cui una cattiva notizia o l’ansia
ci fanno sentire bisognosi di conforto. Il ricordo dei genitori
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È stato dimostrato che questa posizione può effettivamente
accrescere il senso di sicurezza del soggetto, modificarne le emozioni e influire positivamente sugli altri. Ricordo un episodio
accaduto molti anni fa, quando accompagnai tre persone in visita a uno studio pubblicitario. Al momento di congedarci, porsi
istintivamente un dossier di relazioni annuali all’uomo che aveva tenuto per tutto il tempo le mani dietro la schiena. Venni a
sapere poi che era un tirocinante informatico assunto da soli sei
mesi, mentre gli altri due presenti erano rispettivamente l’amministratore delegato e il direttore finanziario.
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
che ci sostenevano il capo quando eravamo piccoli ci conforta
e, almeno per un attimo, ci rassicura.
La pelle umana possiede una notevole quantità di recettori altamente sensibili, che reagiscono prontamente al contatto
inviando al cervello impulsi che producono una sensazione di
rassicurazione e benessere. Non sottovalutate mai il potere del
contatto fisico (ne parleremo più approfonditamente nella Lezione 5). Spesso ricorriamo ad azioni di autoconforto che ci
permettono quasi di ricreare la sensazione rassicurante che, da
piccoli, ci procurava il contatto con i genitori.
L’interpretazione dei gesti mano-viso e mano-testa richiede buone capacità di osservazione. Come prima cosa bisogna
imparare a riconoscere i gesti tipici e in secondo luogo notare,
per ottenere ulteriori indizi, a quale punto della conversazione
diventano frequenti. In tale compito attingerete istintivamente
al vasto bagaglio di conoscenze accumulato negli anni, ma per
raggiungere un buon livello di competenza dovrete attivare al
massimo l’attenzione e la capacità di osservazione.
Il gesto tipico è quello in cui la mano sostiene l’intera mandibola, con il gomito appoggiato sul tavolo. In generale quanto
più la mano è visibile, tanto più la persona è annoiata o disinteressata. Se quindi essa copre l’intero lato del volto fino al
sopracciglio, significa che è terribilmente annoiata. La noia e il
disinteresse insorgono e progrediscono gradualmente, accompagnati dalla mano che, da reggere il mento, passa a poco a
poco a sorreggere completamente la testa.
Noia
Vi capiterà spesso di notare un gesto mano-viso dal quale potete dedurre che la persona che vi ascolta non è, per un motivo
che spetta a voi dedurre, “incantata” dalla saggezza delle vostre
parole (può capitare anche a voi di compierlo nel ruolo di ascoltatore). Il gesto può manifestarsi nel corso di una presentazione
di lavoro, con gli amici al bar, a una festa, a un ritrovo, durante
una lezione… insomma, nelle situazioni più diverse.
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ATTENZIONE
Talvolta, a seconda della posizione della mano sulla
guancia, il gesto può indicare che l’ascoltatore intensifica l’attenzione, o perché è particolarmente interessato, o perché vuole dimostrare empatia nei confronti
del parlante (“Oh, pazzesco! Ti ha detto veramente
questo?”). In tal caso il gesto significa l’esatto contrario della noia (adesso capite perché il linguaggio non
verbale è tanto complesso?).
Se il soggetto manifesta segnali di attenzione e poi, improvvisamente, passa a questa posizione estrema, è improbabile
che il suo gesto denoti noia. Come abbiamo già detto, la noia
e il disinteresse insorgono gradualmente, non all’improvviso.
Talvolta il viso poggia delicatamente sulla mano chiusa a
pugno. Può trattarsi di una manifestazione di noia, ma spesso
si assume questa posizione perché si è disturbati o “irritati” da
qualcosa che è stato detto, dopodiché si riporta generalmente
la mano nella precedente posizione di riposo. A confermare le
vere emozioni della persona sarà il complesso dei segnali visivi
che accompagnano il gesto.
Diverso è invece il caso del pugno che sostiene il mento: come
la mano che regge la mandibola, è un segnale che deve mettervi in guardia se a compierlo è una moltitudine di persone che
avete di fronte mentre tenete una presentazione, una lezione o
un discorso.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
quasi certezza di dover modificare l’approccio per risvegliare
l’attenzione del pubblico; se poi giudicate che la situazione sia
irrecuperabile, rinunciate al tentativo.
Se il gesto è accompagnato dal giocherellare con carta e
penna, dal fantasticare a occhi aperti (osservate gli occhi!),
da un’espressione assente, da un sorriso falso, da qualche sospiro, da tensione a livello della mandibola (ecco un tipico
complesso di gesti) e da movimenti più frequenti degli arti,
allora introducete un diversivo!
Disapprovazione o dissenso?
Consideriamo l’atto di coprirsi la bocca con le dita tenendo
il pollice premuto contro la guancia. Questo gesto indica generalmente che il soggetto dissente da quanto il parlante ha
dichiarato, oppure non crede che gli abbia detto la verità. La
mano si sposta inconsapevolmente alla zona della bocca.
Come interpretare tale gesto? È come se il cervello imponesse
alla persona di tacere il proprio dissenso, la disapprovazione o
la mancanza di fiducia nei confronti di quanto viene detto. Se
vedete compiere questo gesto da una o più persone del vostro
pubblico, prestate molta attenzione e modificate la strategia,
ma non senza aver individuato la ragione del problema grazie
ad altri indizi.
Per capire se si tratta di noia o no, il gesto mano-testa va
interpretato alla luce dell’espressione degli occhi. Se sono rivolti verso il basso, mezzi chiusi o persi nel vuoto (uno sguardo che sembra implorare “per favore, basta”), allora avete la
Nella situazione opposta, quella in cui la persona che parla
compie questo gesto subito dopo aver detto qualcosa, il gesto
stesso può indicare che mente, per cui il cervello invia un impulso per impedirle di lasciar fuoriuscire altre menzogne dalla
bocca (ne discuteremo ancora nella Lezione 6).
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Una variante consiste nel mettere le dita in bocca, atto che
solitamente denota un senso di disagio o di pressione. Qualunque tipo di situazione ansiogena, anche solo la necessità
di prendere una decisione banale, può indurre il desiderio di
mettere qualcosa in bocca. Ho visto persone compiere questo
gesto mentre guardavano ansiose il tabellone degli orari dei
treni per trovare la coincidenza più comoda. È un gesto di
autoconforto riconducibile all’infanzia e all’atto proprio del
bambino che trova rassicurazione succhiando il latte o il dito.
Se vi accorgete di compiere questo gesto quando non state neppure parlando o, magari, siete soli, riflettete su ciò che
provate realmente. Oltre a comunicare i nostri sentimenti al
prossimo, il linguaggio non verbale ci permette di stabilire
un dialogo interiore con noi stessi e di risalire alle emozioni
che sono alla base dei diversi gesti. Sappiamo che i pensieri condizionano le emozioni e che queste, a loro volta, determinano il
comportamento non verbale.
In presenza di altri, sappiate che il mettere le dita in bocca
può rivelare cose che non intendete affatto divulgare. Se vedete compiere questo atto da altri, cercate di capire meglio le
circostanze e di scoprire se esso ha a che fare con voi o no. In
caso negativo, vi ha offerto almeno la possibilità di dimostrare
empatia nei confronti del vostro interlocutore ponendo alcune domande.
I SEGNALI DEL CORPO
I sentimenti del parlante condizionano i sentimenti
degli ascoltatori.
Un altro gesto frequente del tipo mano-viso è quello in cui
il pollice sostiene il mento, mentre l’indice (un dito importante e rivelatore) è tenuto in posizione verticale a sorreggere
la guancia. In generale questo atto non denota sentimenti
positivi, ma piuttosto una forma di dissenso. Spesso, data la
somiglianza, viene confuso con la posa di chi “valuta la situa- 134 -
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
zione”, ma a fornirci l’indizio decisivo è la posizione del pollice. La persona che assume tale postura può spostare di tanto in
tanto l’indice fino a toccare l’occhio (magari sfregandolo), per
escludervi ulteriormente dalla vista!
Lo sfregamento dell’occhio può anche non essere accompagnato dal contatto con la guancia o con il mento e talvolta
comporta l’abbassamento della palpebra.
Le azioni più comuni
In uno studio osservativo sui gesti mano-testa e mano-viso compiuti da soggetti in situazioni di stress è emerso che le
azioni più frequenti sono, in ordine decrescente:
1. sostenere la mandibola;
2. sostenere il mento;
3. toccarsi i capelli;
4. sostenere la guancia;
5. toccarsi la bocca;
6. sostenere la tempia.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
Lo studio in questione ha rivelato che l’azione di sostenersi
la tempia (6) ha una frequenza doppia nell’uomo rispetto alla
donna, mentre il toccarsi i capelli (3) è tre volte più frequente
nella donna che nell’uomo.
Le braccia
Ricordate quanto abbiamo detto in merito ai segnali di
apertura e di chiusura? Credo abbiate ormai capito (benché
istintivamente lo sapeste già) che si ha la certezza che l’interazione proceda bene soltanto quando il corpo manifesta segnali di “apertura”. Lo stesso discorso vale per la posizione delle
braccia, della quale ci accingiamo per l’appunto a parlare, accennando al suo significato e ai suoi riflessi a livello cerebrale.
ATTENZIONE
Sembra che i gesti di autoconforto che compiamo inconsapevolmente nelle situazioni di disagio, come toccarci e accarezzarci, siano legati all’infanzia: ci fornirebbero infatti un sostituto del contatto rassicurante
con il corpo dei genitori.
Quando segnala che la persona sta
“valutando” la situazione, e assume
quindi connotazioni più positive, il
gesto coinvolge in misura maggiore il
mento e meno il resto del viso. La persona interessata a ciò che diciamo adotta spesso la posizione del pugno leggermente chiuso che sostiene la guancia, con
l’indice puntato verso l’alto, il più delle
volte in direzione dell’orecchio.
Quando invece denota una richiesta
di interazione o una presa di posizione, vi è il passaggio della
mano al mento.
Se la mano rimane in tale posizione, o se magari la persona
si protende in avanti e toglie del tutto la mano dal viso, significa che è ancora interessata alla presentazione, al discorso, alla
proposta, alle foto delle vacanze, alla ricetta dei muffin ai mirtilli, alla vostra disquisizione sulla diminuzione del prezzo degli immobili o sull’aumento di quello del carburante. Se invece
passa a inviare un complesso di segnali di noia, allora dovete
darvi da fare per riconquistare la sua attenzione.
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Braccia conserte
Le braccia rivestono grande rilevanza dal punto di vista
del linguaggio corporeo, in quanto possono formare una
“barriera” che ostacola lo scambio comunicativo fra noi e gli
altri. Avete presente i buttafuori in piedi all’ingresso delle discoteche? In quale posizione tengono le braccia? E in discoteca
(siete riusciti a entrare?), come si comportavano le ragazze per
comunicarvi che non erano interessate a voi?
Se, come sembra, dobbiamo collocare nell’infanzia l’origine di molti gesti tipici del linguaggio corporeo dell’adulto,
provate a ricordare come, da bambini, per trovare protezione
vi nascondevate dietro ai genitori, o magari dietro a un albero,
un tavolo o qualunque altra cosa vi infondesse sicurezza rispetto al mondo esterno.
Crescendo abbiamo scoperto di disporre di un meccanismo
di difesa “portatile”: le braccia, che possiamo comodamente
incrociare in vari modi nei momenti di sconforto. Adottiamo
posture difensive quando dissentiamo da ciò che viene detto, nelle situazioni di tensione o quando un pensiero negativo
crea in noi un’emozione corrispondente.
I SEGNALI DEL CORPO
Le braccia incrociate (salvo che non servano per
ripararsi dal freddo) indicano quasi sempre una forma
di disagio.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Le braccia incrociate sono un gesto che si può osservare in
ogni regione del mondo. Come abbiamo detto, denota essenzialmente una forma di disagio, ed è questo il messaggio che
viene comunicato all’osservatore. E quel che comunichiamo attraverso i segnali non verbali ci deve sempre interessare, giusto?
Prima di trarre delle conclusioni, si deve tuttavia considerare che alcune persone incrociano le braccia per semplice abitudine, in modo disinvolto, come una sorta di “autoabbraccio”
confortante. È la posizione che assumono spontaneamente
quando sono rilassate e ben disposte ad ascoltare.
Ne offre un esempio il personaggio di Rachel (Jennifer
Aniston) in Friends. Incrocia le braccia per mettersi comoda
ad ascoltare le ultime novità di Monica, Joey, Ross, Phoebe e
Chandler.
È tipico della specie umana ritrarre le braccia quando si
prova ansia o disagio, tenendole lungo i fianchi o chiuse davanti al petto per avere una barriera di difesa e al tempo stesso una
forma di autoconforto. Dal momento che non vogliamo comunicare un’impressione sbagliata, dobbiamo essere cauti nell’incrociarle – anche se l’impianto di riscaldamento è guasto!
I SEGNALI DEL CORPO
Gli studi dimostrano che la posizione delle braccia
conserte è interpretata dagli osservatori come gesto
negativo o difensivo.
La posizione delle braccia incrociate può assumere alcune
varianti. La più comune, che potete riconoscere anche in voi
stessi e che è impressa nel patrimonio genetico della nostra
specie, è la posizione generica delle braccia conserte: le due braccia sono piegate sul petto, magari con una mano nascosta fra
il braccio e il petto. È la variante più frequente, osservabile
presso ogni popolazione del mondo, e generalmente esprime
(con cortesia!) uno stesso significato chiaro e preciso: “Cerco
di difendermi da qualcuno o da qualcosa che non mi piace”.
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IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
Oltre che nelle interazioni quotidiane, potete notare questo gesto ovunque: in metropolitana, in ascensore, nelle code
all’ufficio postale, nelle sale d’attesa e negli eventi sociali.
Chiunque lo compia si sente a disagio o minacciato per qualche motivo.
Al lavoro, per esempio nel corso di una riunione o di una
discussione con un collega, un cliente o il capo, se il vostro
interlocutore assume improvvisamente tale posizione (e il suo
comportamento generale vi suggerisce che per lui non è una
posizione abituale), è possibile che abbiate detto qualcosa da
cui dissente. Magari vi comunica a parole di essere d’accordo
(questa volta con voce attenuata ed esitante), ma il gesto, che
può essere accompagnato da un cambiamento nell’espressione
del viso (meno “aperta”), deve far suonare in voi un campanello d’allarme.
Considerate la situazione che segue.
Simon, rivolgendosi alla sua assistente nel corso di una
riunione d’ufficio: “Bene, definiamo l’organizzazione
per il weekend a Brighton. Io prenoto l’albergo, quel
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
quattro stelle sul mare … sai, … con quel fantastico
centro benessere. Porta il tuo ragazzo – viene anche mia
moglie, ci piacerebbe conoscerlo. (Karen si copre la bocca con la mano.) Come si chiama quel posto…?”.
Karen: “È il Thistle Brighton. Sì, è un bell’albergo, ricco
di atmosfera”. (La sua voce si fa più acuta, il ritmo del
parlato cambia e, nel pronunciare le ultime sillabe, la
giovane si porta la mano al collo.)
Simon: “Sì, quello. Dal ristorante c’è un’ottima vista e
poi è in una posizione comoda per lo shopping”.
(A questo punto Karen volge lo sguardo in basso e incrocia
le braccia.)
Simon non coglie i segnali di Karen, che tuttavia sono
piuttosto evidenti. Sapendo che lei mantiene abitualmente
un buon contatto oculare, avrebbe dovuto percepire subito
che qualcosa non andava: la voce esitante, il fatto che avesse coperto la bocca, afferrato il collo e infine incrociato le
braccia era un chiaro complesso di segnali d’ansia (Simon
ha scoperto più tardi che Karen aveva lasciato il fidanzato
alcuni giorni prima.)
In questa situazione abbiamo un insieme di segnali a conferma del vero senso del messaggio che trapela dal linguaggio
non verbale. Sapendo che il significato vero (difficile da fingere) di qualunque messaggio è quello comunicato dal corpo,
i segnali corporei e vocali (il 55 e il 38%) che emergono nel
dialogo suggeriscono come, per una comunicazione proficua,
dobbiamo scoprire la causa dell’ansia dell’interlocutore.
È però ovvio che, fino a quando costui si arrocca dietro la
barriera delle braccia incrociate, nulla può cambiare. Bisogna
introdurre un diversivo.
Quando mi trovo in una situazione di questo genere, di
solito cerco di offrire all’interlocutore qualcosa da fare o da
guardare: così, lo obbligo indirettamente a “slegare” le braccia
e ad assumere una postura più distesa.
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Ricordo una volta in cui, mentre tenevo una presentazione
di lavoro, la collega che mi accompagnava si accorse all’improvviso che il cliente aveva manifestato segnali di disinteresse.
Non avendo a portata di mano documenti o brochure da porgergli, lei prese la caraffa del caffè e, fingendo di non riuscire ad
aprirla, gli chiese cortesemente di aiutarla. Lui lo fece volentieri e la pausa caffè anticipata divenne l’occasione per chiedergli
se vi fossero punti che andavano chiariti (non sottovalutate
mai il potere della “donzella” in difficoltà!).
Varianti delle braccia incrociate
L’aspetto più rilevante di questa postura è che la persona
che la assume mantiene lo stesso atteggiamento mentale fino a
quando non la abbandona.
Mani strette intorno alle braccia
Una variante della posizione è quella in cui le mani afferrano saldamente la parte superiore delle braccia, quasi
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
che il soggetto voglia essere certo di non alzarle a causa
dell’estrema tensione. Il gesto equivale ad afferrare saldamente i braccioli della sedia. Il soggetto prova un’ansia
estrema, prevede un evento sgradevole o è terribilmente
ostinato nel difendere la propria posizione. È una postura che assumono di frequente nei negoziati sindacali le
persone insoddisfatte nell’ascoltare le ragioni della parte
avversa. Immaginate quali reazioni potreste provocare
assumendola di fronte ai vostri interlocutori.
dalle espressioni facciali o dai movimenti delle gambe o
dei piedi. Se intendete tentare la riconciliazione, evitate
di assumere voi stessi questa posizione per “eco posturale” e ricorrete piuttosto a gesti di apertura per incoraggiare l’interlocutore a spiegare la ragione dei suoi sentimenti negativi. Di quali sentimenti si tratta lo sapete
bene; quel che dovete scoprire è la loro causa.
Braccia incrociate con i pollici in alto
Un’altra variante delle braccia conserte studiata dai ricercatori del linguaggio non verbale è quella con i pollici rivolti verso l’alto. L’ho osservata spesso in persone
come artigiani e meccanici che cercano di negoziare o
di giustificare il prezzo del loro intervento per una riparazione d’emergenza. La posizione delle braccia conserte comunica disagio o apprensione, ma i pollici rivolti
verso l’alto vi aggiungono senso di sicurezza. Che cosa
hanno di particolare i pollici? Sappiamo, per esempio,
che le persone sicure tengono spesso uno o entrambi i
pollici fuori dalle tasche della giacca, come era solito fare
John F. Kennedy.
Sì, l’artigiano e il meccanico cui ho accennato provano
un certo disagio nel tentativo di riuscire a strappare il
prezzo più alto possibile, ma al contempo si sentono
sicuri perché sanno di trovarsi in una situazione particolare: sono le uniche persone in grado di risolvere
all’istante il problema del cliente. Nell’osservare questo
tipo di postura sul lavoro e nella vita quotidiana, sappiate quindi che l’individuo che la adotta prova un certo
disagio, ma si sente comunque sicuro di poter ottenere
ciò che vuole.
Braccia incrociate e pugni chiusi
Un’ulteriore variante è quella delle braccia conserte con
i pugni chiusi nascosti sotto le braccia. Non trasmette
una bella impressione, non vi pare? La adottano tipicamente i buttafuori, il personale della sicurezza e i poliziotti per comunicare un messaggio intimidatorio. Oltre
a innalzare una barriera difensiva, essa implica infatti
una componente di ostilità, che può essere confermata
Braccia parzialmente incrociate
Prima di congedarci da questo tema importante, voglio esaminare brevemente il modo in cui possiamo cercare di mini-
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
mizzare l’esibizione di tale gesto difensivo. Forse lo fate anche
voi di tanto in tanto: si tratta di un incrocio parziale che
coinvolge un solo braccio, il quale, piegandosi sul petto per
afferrare l’altro, crea una barriera difensiva. È un gesto frequente nelle donne e che vedrete spesso nei gruppi di persone
che conversano, soprattutto se non si conoscono a fondo.
Ritorniamo per un breve istante all’infanzia: l’incrocio
parziale delle braccia ci ricorda la sensazione di sollievo che
provavamo quando qualcuno ci prendeva per mano o per il
braccio perché avevamo paura.
Possiamo vederlo compiere dai candidati che ascoltano i
risultati delle urne nella notte elettorale, ma anche da chi è in
attesa di ricevere un premio o un riconoscimento al termine di
una gara o di un concorso.
Nelle situazioni in cui non ci si può afferrare l’altro braccio
o non si vogliono lasciar trapelare le vere emozioni, si ricorre a
un gesto difensivo mascherato e meno evidente, che permette
comunque di scaricare energia nervosa e di beneficiare del
conforto di una barriera.
Non vi sorprenderà sapere che, per mantenere integra la
propria immagine, le persone che vivono costantemente sotto
l’occhio del pubblico, come i politici e le “celebrità”, ricorrono di frequente a gesti difensivi mascherati. Noi abbiamo il
privilegio di osservarli con la lente di ingrandimento grazie
alle telecamere della televisione. Nonostante il profondo disagio interiore che possono provare, queste persone devono
sforzarsi di rimanere calate nel “personaggio” con un faticoso
e costante lavoro di recitazione.
Le riviste patinate pubblicano puntualmente foto di coppie
che raggiungono o lasciano locali notturni e vari luoghi di ritrovo. Chi è l’accompagnatore? Chi è la donna che si stringe a
lui? Come lo abbraccia? Come lo guarda? Che cosa ci dicono
i loro gesti? Prenderemo nota di qualunque sfumatura rivelatrice del suo linguaggio non verbale, signora Kate Moss, e la
useremo come prova contro di lei.
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IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
Coloro che, conducendo una vita pubblica, hanno un’immagine da mantenere e da salvaguardare, tendono a proteggersi con un braccio incrociato quando camminano sul tappeto rosso, entrano a Downing Street o salgono le scale di un
ristorante alla moda di Los Angeles. Il braccio incrociato davanti al corpo per sistemare il cinturino dell’orologio (magari
inesistente), per accomodare una cravatta peraltro in perfetto
ordine o per raddrizzare un orecchino è un meccanismo di
difesa cui si ricorre in mancanza di barriere permanenti.
I SEGNALI DEL CORPO
La comunicazione non verbale ha un peso decisivo
nel determinare la nostra immagine pubblica. Attori,
politici e celebrità studiano nei dettagli il modo in cui
presentarsi al pubblico. L’immagine che proiettiamo
denota lo stato d’animo, il grado di fiducia o di disagio
che proviamo.
Tenere le braccia lungo i fianchi comunica senso di
apertura e di fiducia, anche se le emozioni vere sono
tutt’altre.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Le mani della famiglia reale britannica
In Inghilterra si citano spesso come esempio i membri della
famiglia reale quando si parla di gesti mascherati, dato il gran
numero di impegni pubblici (inaugurazioni e cerimonie di
ogni tipo) nei quali trapela ancora il disagio che essi provano
nonostante i lunghi anni di pratica.
La regina è nota per la borsetta che porta sempre al braccio
tenuto davanti al corpo, che le offre una comoda barriera ogni
volta che ne ha bisogno. Il principe Carlo ha un suo repertorio di gesti “accattivanti” di cui si serve per dominare l’ansia:
quando scende dall’automobile reale e, tra due ali di folla, si
reca per esempio alla Royal Albert Hall, incrocia sempre un
braccio davanti al busto per sistemare i gemelli al polsino della manica opposta; e benché i reali non portino mai denaro
con sé, lui incrocia il braccio sul petto e tocca la giacca nella
zona corrispondente alla tasca interna come per accertarsi che
il portafogli (inesistente) sia al suo posto. Un portafogli con
qualche sterlina per comperarsi il gelato durante l’intervallo
o il biglietto per rientrare a Palazzo in metropolitana al termine dello spettacolo…
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
Di recente ho assistito a un’esibizione interessante nella sala
TV di un albergo. Alcuni ospiti – uomini e donne – guardavano uno degli ultimi episodi di Masterchef della BBC. I candidati in attesa di conoscere i risultati manifestavano involontariamente la tensione attraverso il ritmo respiratorio accelerato
(una tipica reazione del sistema nervoso autonomo). Notai
che quattro delle sette signore sedute intorno al televisore si
afferrarono il collo con la mano e rimasero in quella posizione
fino all’annuncio dei risultati.
La mano al collo
Un tipico gesto di autoconforto nei momenti d’ansia è
quello di portarsi una mano al collo, magari per accarezzarsi
la gola o – più comune negli uomini – massaggiarsi la nuca. Le
donne tendono a toccarsi il collo più degli uomini, i quali si
afferrano tipicamente lo zona immediatamente sotto il mento
per stimolare le terminazioni nervose.
Le donne in ansia per qualche motivo si accarezzano la gola e,
se indossano una collana, vi giocherellano con le dita. Se l’emozione aumenta si toccano o coprono completamente la piccola
“fossetta” alla base del collo, proprio sopra lo sterno; talvolta la
tengono coperta con la mano finché l’ansia non scompare.
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Nell’osservare il linguaggio corporeo femminile, prestate
attenzione al gesto della mano che tocca il collo e osservate
quale posizione assume. Dal giocherellare con la collana allo
sfregare la gola fino ad afferrarla saldamente, vi fornirà un indizio sull’intensità del disagio. E ricordate che, per formulare
un giudizio valido, dovete considerare il complesso dei gesti.
La mano sugli occhi
Nella prima parte di questa lezione abbiamo accennato ai
gesti di “cut-off ” o di esclusione. A questo punto parliamo in
modo più specifico del gesto di portarsi la mano sugli occhi: è
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
un modo per proteggerci da una vista sgradita o da parole che
ci procurano ansia o stress. La mano ci protegge dal “vedere” la
realtà delle cose, anche se non ci impedisce di sentire.
Un esempio illuminante – ma anche triste – di questo tipo
di comportamento fu offerto agli spettatori durante la campagna elettorale britannica del 2010 nel cosiddetto scandalo
“Duffygate”. Il primo ministro Gordon Brown, in corsa per la
rielezione, partecipava al Jeremy Vine Show negli studi della
BBC. A un certo punto il conduttore gli comunicò che i giornalisti avevano raccolto un commento privato che lui aveva
espresso in auto dopo avere parlato con un elettore. Brown si
scusò dicendo che era soltanto un commento privato, ma poi
lo informarono, con sua grande sorpresa, che il commento era
stato registrato e che sarebbe andato in onda. Lui chiuse gli
occhi, se il coprì con una mano e lasciò cadere la testa fin quasi
sul tavolo. Il commento andò in onda e questa foto fu mostrata
dalle TV di tutto il mondo. Nel maggio del 2011, l’intervista –
con il relativo materiale video – fu premiata con il prestigioso
Sony Radio Awards come migliore intervista dell’anno.
esempio, state conversando con una persona che vi sta di fronte
e a un certo punto, nonostante la conversazione proceda bene,
questa volge un piede verso l’esterno mentre l’altro è ancora rivolto verso di voi, quel movimento significa che il vostro interlocutore deve o desidera andarsene. Ha il corpo ancora rivolto
verso di voi, ma un piede puntato in un’altra direzione (la via
d’uscita). Forse ha un appuntamento al quale non deve tardare,
o ha semplicemente deciso che preferisce andare via. Il piede
fornisce informazioni importanti sulle sue intenzioni.
In molti casi la capacità di cogliere i gesti d’intenzione permette di salvare un rapporto in cui, per semplice cortesia, una
delle due persone preferisce non verbalizzare le proprie intenzioni e affidare il messaggio alla capacità altrui di leggere il linguaggio del corpo. La continua ripetizione di movimenti d’intenzione può risultare irritante per l’interlocutore e suscitare
emozioni negative in quanto è l’ultima cosa che egli ricorda
dell’interazione avvenuta.
A volte la situazione è palese. State parlando a qualcuno che
si mantiene costantemente di lato, con i piedi rivolti in un’altra
direzione. Nonostante l’espressione facciale piacevole, i piedi
rivelano le sue vere intenzioni. Alcuni ricercatori ritengono
che i piedi siano la parte più “sincera” del corpo perché hanno
sempre assunto il ruolo di reagire prontamente alle situazioni
minacciose e di pericolo senza attendere decisioni consapevoli da parte del soggetto. Le gambe e i piedi forniscono informazioni sulle emozioni positive e negative. Possiamo battere
i piedi eccitati, in attesa che Madonna compaia sul palco del
concerto, e far dondolare avanti e indietro un piede mentre
sediamo con le gambe accavallate aspettando da mezz’ora di
essere ricevuti a un colloquio di lavoro.
I piedi
Le gambe possono fornirci molte informazioni, soprattutto se i loro movimenti sono accompagnati da segnali delle
braccia e fanno quindi parte di un complesso significativo di
gesti. Anche i piedi hanno la loro importanza, poiché tendiamo condizionatamente a volgerli in direzione delle cose e delle
persone che ci piacciono. Volgere i piedi altrove dimostra che
vogliamo prendere le distanze da una situazione. In generale,
se non li guardiamo direttamente, siamo inconsapevoli della
posizione che essi assumono.
Come vedremo nella Lezione 5, la parte inferiore del corpo
è quella che offre maggiori indicazioni nel rivelare se il parlante
mente. Per quanto riguarda le gambe e i piedi, sono particolarmente rivelatori i cosiddetti movimenti d’intenzione. Se, per
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Avvicinamento o allontanamento?
Come abbiamo già accennato, per nostra natura ci volgiamo spontaneamente verso le cose e le persone che ci piacciono,
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
sia stando in piedi sia seduti. Se siamo in posizione eretta e
parliamo con qualcuno, possiamo avere inizialmente i piedi
orientati in un’altra direzione.
Col procedere della conversazione, senza che ce ne rendiamo conto, è possibile che noi o il nostro interlocutore muoviamo i piedi per dirigerli verso l’altro in modo del tutto naturale.
Se invece i piedi rimangono diretti altrove (e verso l’uscita), significa che non si desidera restare o che, per qualche motivo,
non si è stabilita una buona intesa. Può però anche accadere
il contrario, ossia che si inizi la conversazione con i piedi diretti
verso l’interlocutore e poi li si volga all’esterno, magari perché
si deve effettivamente andare via o perché lo si desidera a causa
del disagio provato. È importante capire il motivo di questo
movimento: un impegno pressante o la disapprovazione?
È utile osservare in quale direzione sono orientati i piedi
anche quando si è seduti, a condizione che le gambe non siano
accavallate. Se entrambi i piedi del vostro interlocutore poggiano a terra e uno o entrambi non sono rivolti verso di noi, significa che è a disagio. Verificate se è semplicemente perché la sedia
è scomoda o se questa persona è in uno stato d’animo negativo.
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IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
Può capitare anche la situazione in cui una persona siede
davanti a voi con le gambe accavallate e i piedi orientati in
un’altra direzione. Le gambe accavallate sono una barriera
eretta contro di voi: ciò è dovuto allo stato emotivo o alla disposizione dei mobili? Inoltre, cercate di capire se:
la persona ha cambiato postura;
prima era rivolta verso di voi e adesso è rivolta altrove
(forse ha trovato irritante qualche vostra affermazione?).
Non appena ne avete l’opportunità, osservate un gruppo di
persone in piedi mentre conversano. Qualcuna di loro ha un piede rivolto verso un’altra in particolare? Magari un uomo con un
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
piede rivolto verso l’unica donna del gruppo o viceversa? Prestate attenzione a questo segnale nelle occasioni sociali e di lavoro:
può rivelare molto (degli altri o di voi!), anche perché spesso il
comportamento dei piedi sfugge al controllo volontario.
Gesti d’intenzione
Un gesto comune che tutti compiamo, perlopiù inconsapevolmente, quando siamo seduti e vogliamo segnalare l’intenzione di andar via, è quello di orientare i piedi verso l’uscita.
Appoggiamo le mani sui braccioli (o, in mancanza di questi,
sulle ginocchia) e ci apprestiamo ad andarcene. Se il nostro
interlocutore non coglie il segnale e continua a parlare, dobbiamo ripetere il gesto e la cosa può risultare irritante.
I SEGNALI DEL CORPO
Tendiamo a essere inconsapevoli del comportamento
e della direzione assunta dai nostri piedi perché sono la
parte del corpo più lontana dal cervello.
Se notiamo che la persona, oltre a girare i piedi in una certa
direzione, li agita anche, significa che non vede l’ora di uscire
dalla situazione in cui si trova. Analogamente, battere il piede
a terra (o tamburellare con le dita) denota che il soggetto è sul
punto di perdere la pazienza.
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
I SEGNALI DEL CORPO
Le donne spesso accavallano le gambe non per
atteggiamento, ma per comodità o a causa del tipo di
abiti indossati.
La posizione delle gambe accavallate, che anche gli uomini
adottano per semplice abitudine o a causa della scomodità della
sedia, è rivelatrice soltanto se è accompagnata dalla posizione
delle braccia conserte. In generale, sia per gli uomini sia per le
donne, le braccia e le gambe incrociate denotano chiusura e
tensione. Come abbiamo già osservato, in tal caso occorre incoraggiare in qualche modo l’interlocutore a compiere gesti di
apertura e individuare la causa del suo atteggiamento negativo.
Talvolta a essere incrociate non sono le gambe, ma le caviglie. Le donne siedono spesso con le ginocchia unite e le mani
appoggiate in grembo, mentre gli uomini tendono a tenere le
gambe aperte e le mani ai lati della sedia. Come abbiamo ripetuto più volte, l’aspetto importante è l’impressione che la
postura o il gesto crea negli osservatori. Le caviglie incrociate
possono farci apparire sulle difensive, quindi in un atteggiamento di chiusura: è questa l’impressione che vogliamo effettivamente comunicare?
Le gambe
Anche le gambe sono estremamente rivelatrici, soprattutto se i movimenti che compiono e le posizioni che assumono sono interpretate nell’ambito di un complesso gestuale.
Le gambe accavallate (di solito la destra sulla sinistra) fanno
spesso parte di un complesso in cui le braccia manifestano
atteggiamenti negativi o difensivi. Tuttavia, al contrario delle braccia conserte, le gambe accavallate non possono essere
considerate di per sé come indicatori di disagio.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
Voglio spendere qualche parola su una posizione piuttosto
irritante che spesso si nota negli uomini. L’avete sicuramente
già vista e qualche volta (mi riferisco solo agli uomini) anche
assunta: le mani dietro la testa e una gamba incrociata sull’altra con la caviglia sul ginocchio. Equivale a dire con il corpo:
“Forse un giorno sarai un tipo in gamba come me”.
le”, una sorta di “bolla” invisibile con la quale si protegge dal
mondo esterno.
L’esigenza di difendere lo spazio personale è ciò che, per
esempio, negli uffici open-space ci spinge a utilizzare fotografie incorniciate, grandi oggetti e piante in vaso per erigere barriere protettive. Chi viaggia in treno e in metropolitana conosce probabilmente la sensazione di fastidio che insorge quando
altri individui sono costretti a invadere il nostro spazio personale per aggrapparsi ai cinque centimetri di corrimano rimasti
liberi. Per difenderci in questa situazione:
evitiamo il contatto oculare;
volgiamo il capo altrove;
ci proteggiamo con segnali corporei di chiusura (spingendo all’indietro per farci spazio) e magari con un
giornale come barriera.
Negli anni ’60 l’antropologo americano Edward Hall introdusse il concetto di “prossemica” (da “prossimità”) per indicare le relazioni di vicinanza spaziale nei rapporti interpersonali.
L’idea alla base dei suoi studi è che l’uomo, in quanto animale
territoriale, definisce intorno a sé un proprio “spazio persona-
Come osserva lo psicologo Robert Sommer, per tollerare le
situazioni di sovraffollamento e la violazione dello spazio personale ci illudiamo convincendoci che il soggetto che lo ha invaso
sia inanimato, per cui decade l’obbligo di rispettare le normali
convenzioni del comportamento sociale: facciamo finta di niente se ci tocca inavvertitamente, adottiamo un’espressione assente e distogliamo lo sguardo. Un comportamento simile si può
osservare anche quando vi sono più persone in ascensore.
Nelle normali interazioni quotidiane, Hall ha riconosciuto
l’esistenza di varie zone invisibili riservate a situazioni specifiche. A seconda del rapporto che ci lega agli altri, queste zone
corrispondono ad altrettanti gradi di prossimità che accettiamo essi assumano nei nostri confronti. Interessante, non
trovate? Quante volte, care signore (mi rivolgo esclusivamente
al pubblico femminile), vi siete sentite infastidite da una persona che si è vista costretta ad avvicinarsi un po’ troppo a voi
per essere più comoda? Magari un estraneo, un conoscente, un
collega o un amico?
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Vi sono professionisti che la adottano in presenza dei subordinati. Questa postura suscita molta irritazione nelle donne che la osservano, anche se non è diretta nei loro confronti.
Può essere adatta per un produttore hollywoodiano, ma per il
resto vi consiglio di evitarla.
I SEGNALI DEL CORPO
I piedi e le gambe sono decisamente le parti più
“sincere” del corpo.
La prossemica
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Sono persone che non hanno ancora capito come ci si comporta, vero? O che si prendono libertà eccessive, non conoscono le regole del buon comportamento perché nessuno gliele ha
mai insegnate, o magari appartengono a una cultura diversa?
In ogni caso, non si comportano forse in modo irritante? Naturalmente il discorso non riguarda soltanto le donne. Tutti
abbiamo provato questa sensazione.
Quante volte avete pensato che una persona non vi vada
a genio perché non sa mantenere la distanza “giusta”? Per il
resto si comporta bene, ma non rispetta la vostra “bolla” territoriale, non sa qual è la distanza interpersonale appropriata.
LE DISTANZE APPROPRIATE
Distanza di grande intimità: 0-15 cm. È riservata
a pochissime persone: partner e altri soggetti (per
esempio i figli) con i quali accettiamo il contatto fisico e ammettiamo i comportamenti più intimi.
Distanza intima: 15-45 cm. Vi sono ammesse solo le
persone per noi più importanti: partner, famigliari,
amici stretti. Se questo spazio viene violato da estranei, da soggetti che non conosciamo bene o non ci
piacciono, proviamo una sensazione di disagio.
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
Distanza personale: 45-120 cm. La distanza del
braccio: lo spazio entro il quale si riesce a compiere
la classica stretta di mano. Nella cultura occidentale
è la distanza ideale per la maggior parte delle interazioni personali. La osserviamo nelle cerimonie sociali e negli eventi conviviali. (Sommer notava che,
mantenendo una distanza maggiore, possiamo suscitare negli altri sentimenti negativi.)
Distanza sociale: 1,20-3,5 m. È la distanza che va rispettata nelle interazioni con le persone con cui non
siamo in confidenza, per esempio i commessi dei negozi e i vari prestatori di servizi.
Distanza pubblica: superiore a 3,5 m. Quando ci
rivolgiamo a un gruppo di persone in un ambiente
formale, questa è la distanza appropriata da assumere rispetto alla prima fila. Implica generalmente l’assenza di interazioni sociali.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
In sostanza, la distanza che osserviamo fra due persone ci
permette di dedurre il tipo di relazione che le lega.
Per uscire da questa impasse, deve agire prima sulla mente. Poiché i pensieri condizionano le emozioni, e le emozioni a loro volta
determinano il comportamento fisico, se vuole modificare questa
sua abitudine deve innanzitutto imporsi mentalmente di farlo, e a
quel punto anche il corpo si aprirà. Salvo non abbia la fortuna che,
proprio in quel momento, mentre è al cinema, la sua ragazza non
le passi qualcosa da sgranocchiare.
Chiacchierata informale
D Nei rapporti personali è sempre consigliabile cercare dimostrare segnali di apertura nei confronti dell’interlocutore?
Con le persone con cui si viene a contatto abitualmente, sì. Se
tuttavia vi capitasse di imbattervi in un orso bruno, nessuno si
meraviglierebbe se adottaste una postura chiusa, formando una
barriera con le braccia e le gambe per proteggervi dal pericolo. In
generale, insomma, nei normali rapporti con gli altri ricerchiamo
l’armonia e la collaborazione, e per ottenerle l’ideale è mantenere
un linguaggio non verbale che denoti apertura.
D Questa lezione mi ha messo in allarme. Per anni non mi
sono reso conto di avere l’abitudine di tenere le braccia conserte: lo faccio quando sono con gli amici, nelle riunioni di lavoro,
al cinema, quando sono in fila in banca. Riflettendoci capisco che, nella maggior parte di tali situazioni, mi sento sempre
un po’ a disagio. In base a quanto ho capito in questa lezione,
il mio comportamento manifesta ciò che provo nell’intimo.
Credo di non avere causato grandi danni, ma immagino che
i miei amici, e anche i colleghi di lavoro, possano provare una
sensazione negativa nel vedermi sempre con le braccia conserte quando mi parlano. Mi chiedo che tipo di messaggio ho
comunicato loro.
E fa bene a chiederselo. In alcuni casi merita l’assoluzione, ma
ricordi: l’importante è ciò che percepisce l’interlocutore. D’ora in
poi deve sempre tenere presente che più a lungo mantiene un certo
complesso gestuale – per esempio braccia conserte e gambe accavallate – più a lungo alimenta il sentimento corrispondente. Fino a un
certo punto è la mente a controllare il corpo, ma poi, adottata una
certa posizione, è il corpo che controlla la mente e mantiene vive le
emozioni legate alla postura assunta.
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D Ho trovato molto interessante il concetto, che non conoscevo, delle “attività dislocate”, e mi sono resa conto di compierne costantemente. Voglio parlarne con gli amici: li stupirò
con questa nuova scoperta. Non ricordo però la definizione
che lei ne ha dato prima. Può riassumerla brevemente?
Certo. Le attività dislocate sono tutti quei gesti che compiamo
per mascherare e al contempo scaricare la tensione nervosa.
D E una definizione sintetica dei gesti di autoconforto?
Sono gesti diretti verso il nostro corpo che compiamo per rassicurarci e procurarci una sensazione di conforto. Derivano da lontani ricordi dell’infanzia.
D Vorrei porre una domanda sulle azioni mano-viso. In
base a quanto abbiamo detto, se vedo che l’operaio che fa un
lavoro di riparazione in casa mia si tocca il naso quando gli
chiedo se va tutto bene, significa che mente?
No, questo è un tipico errore di interpretazione. Del gesto
di toccarsi il naso discuteremo nella Lezione 5. Può darsi che
a questo signore pruda effettivamente il naso proprio nel momento in cui lei lo interpella. Se però nota tale comportamento
ogni volta che gli pone una domanda particolare, e se il gesto è
accompagnato da altri segnali, allora può essere un messaggio
di menzogna.
D Mi rendo conto che, quando sono in presenza di altri,
tendo a stringere i braccioli e a tenere i piedi sotto la sedia.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Costoro capiranno che non si tratta di un atteggiamento difensivo o di una manifestazione di tensione nervosa?
Assolutamente no.
D Quando mi convocano a una riunione di lavoro, mi
stringo le mani tenendo le dita serrate. È il subconscio che mi
sta comunicando qualcosa?
Sì. Le sta comunicando che lei è a disagio, ma lo stesso messaggio viene colto anche dalle persone più attente che la osservano.
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
Pausa caffè
1 Le mani sono la parte più sincera e spontanea del
corpo.
2 Vi sono più connessioni nervose fra il cervello e le
mani che fra il cervello e qualunque altra parte del
corpo.
3 La mano aperta, insieme con la posizione dei palmi verso l’alto, denota onestà e fiducia.
4 Le azioni che compiamo per scaricare l’ansia e la
tensione nervosa sono dette “attività dislocate”.
5 Alcune attività dislocate come giocherellare con le
chiavi o con la penna sono rivolte verso l’esterno.
6 I gesti di autoconforto sono gesti che rivolgiamo a
noi stessi.
7 Quando ci afferriamo un braccio con la mano, più
alta è la posizione, maggiore è la tensione nervosa.
8 Afferrarsi il polso dietro la schiena con l’altra
mano è un segnale di fastidio o di frustrazione.
9 Con i gesti mano-viso e mano-testa cerchiamo di
riprodurre la sensazione di conforto e rassicurazione che provavamo da bambini.
10 Non sottovalutate mai l’efficacia del contatto fisico. La pelle possiede infatti cellule recettrici molto
sensibili e reattive al contatto.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
11 Nel tipico gesto mano-viso che denota noia (quando si è seduti), la mano sostiene tutta la guancia e
il gomito è appoggiato sul tavolo.
12 Dovete sempre basare le interpretazioni su un
complesso di gesti.
13 In presenza di segnali di noia occorre sempre
guardare gli occhi.
14 Se l’ascoltatore si copre la bocca con le dita, significa che dissente o che il parlante non sta dicendo
la verità.
15 Se il parlante si copre la bocca subito dopo aver
detto qualcosa, in generale significa che mente.
16 Mettere le dita in bocca è in generale un segno di
menzogna.
17 Quando il pollice sostiene il mento e l’indice è in
posizione verticale, il segnale non è positivo.
IL LINGUAGGIO DEGLI ARTI
21 Per minimizzare l’esibizione del gesto difensivo
delle braccia conserte, si ricorre talvolta a quello
delle braccia parzialmente incrociate (molto diffuso fra le donne). Le “celebrità” e i personaggi
pubblici ricorrono spesso alla variante delle braccia conserte mascherate.
22 A differenza delle braccia incrociate non possiamo dedurre che le gambe accavallate siano un segnale difensivo per interpretarle dobbiamo basarci su un complesso gestuale.
23 I piedi forniscono validi indizi sui sentimenti e le
intenzioni della persona: osservate se sono diretti
verso di voi o in un’altra direzione.
24 Lo studio dello spazio personale è detto prossemica e ha identificato cinque distanze.
25 La distanza ideale per le interazioni personali nella cultura occidentale è la distanza sociale da circa
45 a 120 cm.
18 Nel gesto di valutazione, l’indizio è fornito dalla
posizione del pollice.
19 In termini di linguaggio non verbale, le braccia
conserte formano una barriera.
20 Gli studi confermano che l’osservatore interpreta
quasi sempre le braccia conserte come segnale difensivo o negativo.
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Lezione 5
Mentire con il corpo
“La percezione è reale, anche quando non è realtà.”
Edward de Bono
Charles, funzionario di un’agenzia pubblicitaria, ritorna
dall’incontro con un cliente e riferisce al suo superiore quanto segue:
Charles: “Ottime notizie. Sono riuscito a convincerli ad
acquistare la quarta di copertina del prossimo numero
disponibile”.
Il capo: “Quello di luglio?”.
Charles: “Sì, ma rettifico. Non ho neppure dovuto convincerli: si sono convinti da soli”.
Il tema dell’inganno e della menzogna riveste grande fascino ed è oggetto di vasti studi scientifici nell’ambito della
psicologia e di altre discipline umanistiche.
L’efficacia e la riuscita delle interazioni è determinata non
da ciò che intendiamo comunicare, ma dal modo in cui l’ascoltatore percepisce ciò che comunichiamo (e noi stessi!). Il vero
fattore determinante, quindi, è la percezione da parte dell’interlocutore.
Questa si basa sia su ciò che diciamo, sia sul nostro comportamento non verbale. Come ormai sappiamo, è possibile
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
MENTIRE CON IL CORPO
anche emettere segnali negativi che non ci fanno apparire sotto la giusta luce. Può insomma succedere che diamo l’impressione di ingannare il prossimo anche quando non è vero.
Analogamente capita che interpretiamo i segnali non verbali altrui come indicatori di menzogna anche quando la persona che abbiamo davanti è assolutamente onesta e sincera.
Spesso l’inganno è solo percepito, non reale.
In questa lezione parleremo di un tipo di menzogna più
interessata e non della “menzogna sociale” cui fa riferimento
l’esempio. Si può infatti dire che, in questo ambito, è diventato
socialmente accettabile fare dichiarazioni come quella riportata sopra. Sono volte a evitare di offendere, a farci apparire
cortesi o a proteggere qualcuno dalla verità. Pensiamo, per
esempio, ai genitori che devono nascondere determinate informazioni ai figli perché non sono “ancora pronti” a conoscere la realtà. O ai figli adolescenti che nascondono i particolari
delle loro relazioni con l’altro sesso perché i genitori non sono
“ancora pronti” a sentirsi dire come stiano realmente le cose
(che cambiamento!). È un dato di fatto che molte relazioni
della vita privata sono sostenute, come ha detto Paul Ekman,
“dai miti che perpetuano”.
Le aree del linguaggio non verbale che suscitano maggiore
interesse da parte del pubblico in generale sono due:
Le menzogne cui si ricorre nelle interazioni personali sono
di varia natura, dal dichiarare di aver svolto un certo compito
quando non è vero alle tipiche “bugie sociali” o “di cortesia”
con cui rispondiamo a domande del tipo “Sono grassa?” o “Ti
piace come canto?”, dalle iperboli degli uomini d’affari che
trattano contratti importanti alla testimonianza di Bill Clinton di fronte al gran giurì. Anche gli osservatori più attenti
concordano su un fatto: non esiste alcun elemento “rivelatore”
completamente affidabile che ci permetta di stabilire con certezza se una persona mente oppure no.
Per fortuna, la maggior parte delle “bugie” che raccontiamo
o ci vengono raccontate appartengono al gruppo delle cosiddette bugie sociali e non a quello delle gravi menzogne capaci
di distruggere il tessuto della società. Dire alla signora che ci
ha invitati a cena che la sua crème brûlée casalinga è di gran
lunga migliore di quella delle “buste confezionate” – anche se,
nel prendere il vino in cucina, abbiamo casualmente visto la
confezione aperta – è certo preferibile al guastare un rapporto.
Il più delle volte preferiamo spontaneamente non offendere il
prossimo ed evitare di metterlo in imbarazzo.
Voglio aprire un inciso: talvolta capita che una persona ci
dica una cosa palesemente falsa, ma sulla quale non vi è modo
di farle cambiare parere in quanto è convinta che sia assolutamente vera. Situazione curiosa, non vi pare? L’interlocutore
riferisce qualcosa che gli è stato raccontato da altri e che noi
sappiamo essere falso, mentre lui è convinto del contrario. Per
esempio, il titolare dell’impresa edile dichiara che siete stati
voi a chiedere a un suo operaio di installare i coprinterruttori
in acciaio, sostenendo che, quando questi vi ha invitato a scegliere fra plastica e acciaio, voi abbiate risposto: “Faccia pure
lei”. Uno dei due mente o soffre della sindrome dei falsi ricordi.
In questo tipo di situazione è indispensabile basarsi sui
complessi comportamentali, poiché ciò che percepiamo come
menzogna potrebbe essere, di fatto, un semplice malinteso o
una convinzione sincera; a confermare quest’ultima ipotesi
sarà la mancanza di segnali negativi (di cui parleremo tra breve). Quindi, se qualcuno sostiene che la terra è piatta, e in tutta
onestà lo crede, a seconda delle circostanze farete bene a non
contraddirlo.
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la simpatia (cui dedicheremo la Lezione 7): “Come faccio a sapere se gli sono simpatico?”;
la menzogna: “Come faccio a sapere se mi dice la verità?”.
Inganni e menzogne
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Trascorriamo gran parte della vita “immersi” nelle interazioni personali.
Se dicessimo sempre ciò che pensiamo, la società andrebbe
in frantumi. Tuttavia, in merito agli argomenti più seri confidiamo nella sincerità reciproca, in quanto al venir meno della fiducia (il principale legante dei rapporti umani) è assai
difficile porre rimedio.
MENTIRE CON IL CORPO
Il comportamento abituale o basale
In generale si riconosce che, a differenza di altri aspetti del
linguaggio non verbale, quello della menzogna sia un ambito
piuttosto incerto: capire se una persona mente è assai difficile. Questo vale per i profani, per esempio i genitori nei rapporti con i figli, ma anche per gli specialisti come poliziotti, giudici, giurati e politici (benché molti di loro siano abilissimi nel
mentire!). I test condotti da Ekman negli anni ’70 e ’80 hanno
dimostrato che, invitati a giudicare se una persona mentisse o
meno, i soggetti chiamati in causa hanno avuto successo nel
50% circa dei casi.
Come sempre, non esiste un gesto singolo che ci permetta
di trovare conferma alle nostre sensazioni. Il compito, inoltre,
è reso ancora più arduo dal fatto che mentire – siamo sinceri – è
un’attività in cui tutti ci siamo cimentati fin da bambini e da
ragazzi. La pratica, insomma, ci ha resi maestri dell’arte.
Nel cercare di capire se il nostro interlocutore mente, dobbiamo compiere uno sforzo osservativo maggiore e affinare le
capacità di ascolto rispetto alle inflessioni vocali.
La regola, se una regola esiste, per comprendere dal linguaggio del corpo e dagli indizi vocali se una persona mente o meno
è la seguente: fare riferimento al suo comportamento abituale (o
basale). Questo è un aspetto importante da cui dipende l’affidabilità delle osservazioni.
Il compito risulta più facile se conosciamo bene il nostro interlocutore, se costui è una persona con cui abbiamo frequenti
contatti, relazionali o di lavoro. In tal caso, sapendo già come
si comporta abitualmente in una situazione “normale” in cui
è sincero, siamo “allertati” non appena osserviamo che ciò che
dice sembra essere contraddetto dal “paralinguaggio”. È possibile
tuttavia definire un quadro di riferimento anche con le persone
che si conoscono da poco. La parola d’ordine è sempre la stessa: guarda e ascolta. Dobbiamo osservare il comportamento del
corpo (naturalmente, anche del volto) e prestare attenzione agli
indizi vocali. In breve tempo avremo a disposizione due gruppi
di indizi comportamentali da interpretare facendo ricorso alla
dote fondamentale dell’“intuizione”, un bagaglio di conoscenze
subconsce registrate e custodite dal cervello che ci metterà in
allerta non appena noteremo che esse non corrispondono agli
indizi comportamentali del momento – una sorta di “sesto senso” o di sensibilità nella lettura del comportamento.
Osservate lo “stile” comportamentale che la persona assume
quando dice la verità riguardo a fatti indubitabili. Ognuno ha il
proprio stile. Vi sono, per esempio, persone che tendono a evitare il contatto oculare quando parlano, o che cambiano posizione
di frequente, o che giocherellano continuamente con quel che
capita loro in mano. Concluderne subito che il loro comportamento tradisca un senso di colpa, d’ansia o una menzogna può
essere molto lontano dal vero. Se questo è il modo in cui si comportano abitualmente quando dicono la verità, allora non possiamo considerarlo un buon indicatore per capire se mentono.
Con le persone che conosciamo, tutto diventa più facile.
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I SEGNALI DEL CORPO
Se qualcuno vi dice che la terra è piatta e vi dimostra,
attraverso il linguaggio non verbale, di esserne
veramente convinto, non contradditelo… a condizione
che vi prometta di non spingervi oltre il margine!
Falso o sincero?
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
MENTIRE CON IL CORPO
Possiamo confrontare il comportamento abituale (o basale)
con quello osservato nella situazione specifica e rilevare le
eventuali discordanze (anche queste si manifestano in gruppi
o complessi gestuali). Se invece abbiamo a che fare con una
persona che conosciamo poco o incontriamo per la prima volta, dobbiamo osservarne il comportamento e il modo di parlare in una situazione tranquilla e distesa, nella quale non abbia
motivo di disagio. Scoprendone gradualmente i modi abituali,
dobbiamo prestare particolare attenzione alle aree di cui abbiamo discusso nelle lezioni precedenti, alla ricerca di eventuali comportamenti “anomali”: osservare la mimica facciale,
lo sguardo e l’attività degli occhi, i movimenti delle mani, i
gesti di autoconforto, i movimenti delle braccia, l’attività dei
piedi e delle gambe, i tratti paralinguistici.
Nessuno ha mai detto che sia facile scoprire le menzogne.
Le variabili in gioco sono molte. Un particolare gesto o azione
può essere manifestato per semplice disagio o per altri motivi
che non hanno nulla a che fare con l’inganno deliberato. Per
questo, nel valutare, è importante più che mai fare riferimento
a complessi comportamentali; una singola espressione o gesto non è sufficiente. La persona che, per esempio, si gratta
il naso quando le viene posta una certa domanda, può farlo
come azione spontanea del momento e non come “copertura della bocca” volta a “mascherare” una menzogna. A volte
avremo la fortuna di intuire correttamente, altre giungeremo
a conclusioni sbagliate. In ogni caso, sappiate che anche con le
persone che si incontrano per la prima volta è possibile registrare inconsciamente il comportamento “normale” nel giro di
pochi minuti.
Se conoscete il poker (o vi hanno mai accusato di “barare”)
sapete che l’aspetto più divertente di questo gioco è legato alla
capacità di leggere i messaggi non verbali degli altri giocato-
ri, i quali, ovviamente, leggono i nostri. Per giocare a poker è
quindi fondamentale avere un ottimo controllo sul comportamento non verbale allo scopo di occultare le emozioni e ridurre al minimo le fughe di informazioni. A ciò si aggiunge la
possibilità di bluffare: comunicare deliberatamente attraverso
il linguaggio del corpo di avere in mano un gioco perdente
quando è vincente, e viceversa.
Se svolgete un’attività d’ufficio che comporta la partecipazione a riunioni, probabilmente ricorrete spesso alle tecniche
del poker. Come abbiamo già osservato, il tentativo di “mascherare” le emozioni raggiunge il massimo grado sul lavoro, in quanto ognuno svolge, e recita, un proprio “ruolo”,
cercando al contempo di non manifestare segni di debolezza che potrebbero indicare la sua inadeguatezza rispetto al
compito. Provate a sostituire al tavolo del poker un tavolo da
riunione e scoprirete che la situazione non cambia: saranno in
atto le stesse tattiche volte a celare i veri sentimenti e a bluffare.
Probabilmente sapete che, nel gergo del poker, si usa il
verbo “parlare” per designare particolari gesti compiuti inconsapevolmente (fughe di informazioni, come giocherellare
con una matita se si è in ansia), o volontariamente (nel caso
del bluff). Avrete anche visto nei film giocatori che indossano
spessi occhiali neri per non lasciar trapelare segni rivelatori attraverso gli occhi. Sappiamo che la gioia induce la dilatazione
delle pupille, mentre l’ansia e la rabbia fanno aumentare la
frequenza del battito palpebrale. Anche per chi non gioca,
osservare un tavolo di giocatori di poker in azione è sempre
molto interessante, a Las Vegas come nel soggiorno di casa.
Oltre ad assistere all’attuazione delle varie strategie volte a mascherare le emozioni, si possono individuare i gesti “rivelatori”
e avere dimostrazione dell’intelligenza con cui i bari si cimentano contro la sorte.
Ma torniamo al mondo reale. Per capire se una persona ci
inganna o no (per uno scopo qualunque, futile o grave che
sia) non dobbiamo mai basarci su un unico gesto isolato, ma
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La vita è una partita a poker
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
MENTIRE CON IL CORPO
esaminare un intero complesso di segni. Per aiutarvi in questo
compito vi presento una panoramica di ciò che gli studi scientifici hanno permesso di rilevare e degli indizi più importanti che ci permettono di capire se abbiamo a che fare con una
“parsimonia di verità” o con una menzogna bella e buona.
“Ho bevuto solo un bicchiere”) non suscitano emozioni sufficientemente intense da produrre una “fuga di informazioni”
negative, mentre le menzogne più gravi generano un’attività
fisiologica intensa, tale da produrre manifestazioni esterne.
I SEGNALI DEL CORPO
Gli studi hanno dimostrato che nel 90% dei casi le
menzogne sono accompagnate da segni rivelatori del
corpo o dei tratti paralinguistici (vocali).
Le microespressioni
Naturalmente il viso è la parte del corpo più coinvolta nel
mascherare l’inganno. Il contrasto di emozioni che si crea a livello cerebrale può manifestarsi sul volto – specchio delle emozioni – attraverso le fugaci “microespressioni” su cui Ekman ha
fatto luce dopo aver condotto studi approfonditi sugli atteggiamenti facciali umani. Si tratta di piccoli guizzi involontari
del viso che esprimono le vere emozioni, ben diversi dai moti
volontari con cui si cerca di dominare l’immagine offerta agli
altri. Quando proviamo emozioni negative, per esempio di
colpa o di vergogna, l’area limbica del cervello – che presiede
alle emozioni – induce una reazione fisica spontanea.
La microespressione trapela per un breve istante – può durare meno di mezzo secondo – dopodiché sul viso cala nuovamente la “maschera”. Il soggetto, in sostanza, può indossare la
maschera della persona preoccupata o gioiosa, oppure totalmente inespressiva, ma per un attimo lascia emergere la microespressione, costituita magari da un ghigno o da un sorriso
malevolo che è altamente rivelatore per gli osservatori.
Le microespressioni rivelatrici sono involontarie e soltanto
le persone più attente e percettive riescono a coglierle. Generalmente le piccole bugie prive di conseguenze (per esempio:
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Il sorriso rivelatore
In generale si tende a ritenere che le persone che mentono
mascherino la verità dietro un sorriso per il semplice fatto che
questo rappresenta l’esatto opposto di ciò che ci aspetteremmo da loro se sapessimo che, per l’appunto, mentono. Il sorriso genera minori sospetti e, come sappiamo, offre il vantaggio
di suscitare sensazioni positive nell’interlocutore. Ricordate
infatti che la specie umana tende per natura a credere a ciò
che vede.
Gli studi dimostrano invece che, nella maggior parte dei
casi, si verifica il contrario: chi mente sorride meno. Non è che
i bugiardi non sorridano, ma semplicemente sorridono meno
nel tentativo di ingannare la comune percezione secondo cui ci
aspettiamo che il mentitore sorrida molto.
I SEGNALI DEL CORPO
Contrariamente all’opinione più diffusa, la ricerca
dimostra che chi mente sorride meno di chi è sincero.
Il mentitore che comunque sorride nel pronunciare la menzogna adotta il sorriso “falso” (quello che coinvolge soltanto
la parte inferiore del viso, ricordate?). Anche in questo caso,
ricercate i classici segni del sorriso non spontaneo su cui ci
siamo soffermati nella Lezione 2. Rammentate: il sorriso falso
si manifesta rapidamente, viene mantenuto molto più a lungo
di quello sincero e altrettanto rapidamente scompare.
Per chi lo avesse dimenticato, il sorriso sincero o spontaneo,
invece, si disegna lentamente sul viso e altrettanto lentamente scompare. Produrre un sorriso sincero quando si dichiara
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
MENTIRE CON IL CORPO
il falso è assai difficile. Ricordate, inoltre, che il sorriso falso
è asimmetrico e con gli angoli della bocca inclinati verso il
basso anziché verso l’alto. Di fronte a un sorriso asimmetrico
riconosciamo tutti prontamente la mancanza di vera gioia, ma
nelle normali interazioni di “cortesia” non vi attribuiamo particolare importanza perché un sorriso resta comunque un sorriso, ovvero un’espressione che la nostra specie apprezza per
istinto innato. Se tuttavia ricerchiamo altri indizi rivelatori, il
tipo di sorriso costituisce un utile elemento di valutazione.
Contrariamente all’idea comune che attribuisce al mentitore uno sguardo “sfuggente”, in realtà chi mente tende al
comportamento opposto: può infatti ricorrere a un contatto
oculare eccessivo. Poiché lo sguardo dipende dal controllo volontario del soggetto, nel dire una bugia costui può deliberatamente utilizzarlo allo scopo di dimostrarsi sincero. Nei suoi
studi, Ekman ha accertato che ricorrono a questo comportamento persone prive di scrupoli come truffatori e psicopatici.
Il loro atteggiamento va dunque contro le aspettative comuni; infatti, ricerche condotte nell’arco di decenni in ogni
parte del mondo confermano quanto segue: la maggior parte
di noi è convinta che il principale segnale che tradisce il mentitore sia il fatto che non ci guarda negli occhi.
A conferma di tale generalizzazione io stesso, nel corso di
un seminario, ho effettuato un esperimento con una donna
presente. Mostrandole alcune carte da gioco che io non vedevo, mi sono proposto di capire quando lei mentiva nel dichiarare di quali carte si trattasse. In breve, fu tradita da un
contatto oculare breve ma intenso.
Quando domandai agli altri presenti (soggetti molto acuti,
devo ammettere) di dirmi in base a quale elemento io avessi
potuto capire che la donna mentiva, la risposta fu: “Dagli occhi”. Questo era vero, ma loro aggiunsero che, quando menti-
va, la signora non mi guardava in faccia. In realtà era il contrario: ricorreva al contatto oculare soltanto quando non diceva
la verità, mentre per il resto guardava in basso o lanciava risatine nervose all’individuo seduto alla sua sinistra. I presenti
tuttavia ricordavano che, quando io capivo che lei mentiva, il
suo sguardo era rivolto altrove. Ciò conferma come la maggior
parte di noi associ l’inganno allo sguardo sfuggente.
Conosciamo senz’altro soggetti che non ci guardano negli
occhi quando mentono o quando rispondono con disonestà
a una domanda; magari guardano verso il basso o vagano
qua e là con lo sguardo come fanno i bambini interrogati
dai genitori o da un adulto. Anche i piccoli, tuttavia, possono
sfruttare il contatto oculare eccessivo nel tentativo di persuaderci della propria innocenza. Ancora una volta, dobbiamo
individuare altri segnali del corpo o della voce che confermino il nostro sospetto.
Ho già introdotto il tema del comportamento abituale o
basale. È un concetto che vi invito a comprendere e a memorizzare, poiché ci permette di notare più facilmente i comportamenti “anomali”. Se, per esempio, una persona abitualmente
conversa utilizzando un contatto oculare minimo (magari a
causa della timidezza) e di fronte a una particolare domanda
inizia a lanciare sguardi insolitamente prolungati, allora deve
suonare un campanello d’allarme.
Osservate anche la frequenza del battito palpebrale.
Come si presenta rispetto al normale, cioè a com’era prima
che poneste la domanda all’interlocutore? Dovete cercare di
individuare le differenze rispetto al comportamento basale e osservare in quale momento si verificano nel corso della conversazione: vi sveleranno molte cose. Ricordate però che simili “tic”
possono anche essere dovuti all’ansia o al nervosismo e, pertanto, occorre ricercare altri indizi.
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Gli occhi
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
I SEGNALI DEL CORPO
Anziché distogliere lo sguardo, il mentitore può
compensare utilizzando un contatto oculare eccessivo.
La direzione dello sguardo
Vi parlerò ora di quanto è emerso dagli studi condotti sulla
direzione dello sguardo, invitandovi tuttavia a considerare tale
fattore con estrema cautela. Gli esiti della ricerca forniscono
infatti elementi che possono essere molto utili per l’interpretazione del linguaggio non verbale, ma solo a condizione di
aver prima osservato attentamente il comportamento basale
del soggetto. Non mi stancherò mai di ripeterlo: esaminate il
comportamento normale della persona e memorizzatene le caratteristiche. Soltanto a quel punto potete rilevare le anomalie rispetto alla norma e interpretarle come tali.
Ricorderete dalla Lezione 2 che la direzione dello sguardo
assunta dal soggetto in particolari fasi dell’interazione è un
importante elemento rivelatore. In breve – e sottolineo ancora
una volta che questi dati vanno utilizzati con estrema cautela – le neuroscienze hanno individuato funzioni diverse per i
due emisferi cerebrali: l’emisfero sinistro presiede alle funzioni
logiche e quindi alle attività razionali, analitiche e linguistiche,
mentre il destro è deputato alle funzioni di natura immaginativa, creativa e intuitiva.
Sulla base di tale distinzione, sappiamo che:
quando cerchiamo la risposta a una domanda nel “magazzino di dati” situato nel cervello (ovvero “recuperiamo” informazioni già memorizzate), si attiva in misura
maggiore l’emisfero sinistro;
quando mentiamo, e pertanto non recuperiamo informazioni ma dobbiamo attivare le facoltà immaginative
per elaborare una risposta fittizia, si attiva maggiormente l’emisfero destro.
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MENTIRE CON IL CORPO
La ricerca ha scoperto che quando, nel corso di un dialogo, interrompiamo spontaneamente il contatto oculare con
l’interlocutore, la direzione del nostro sguardo può rivelare –
lo ribadisco, soltanto attraverso il confronto con il comportamento basale – se la persona dice o meno la verità. Come
avviene questo?
Come probabilmente già sapete, gli emisferi cerebrali governano ciascuno i movimenti del lato opposto del corpo: l’emisfero sinistro controlla il lato destro e viceversa.
Pertanto, se l’interlocutore guarda a destra mentre risponde
alla vostra domanda, è probabile che stia dicendo la verità (si
attiva infatti l’emisfero sinistro per recuperare dati).
Se guarda a sinistra, è probabile che stia elaborando una
risposta falsa attivando le facoltà immaginative dell’emisfero
cerebrale destro.
Se avete osservato con attenzione il comportamento oculare della persona rilevando la direzione dello sguardo, questo dato, insieme con altri indizi, può costituire un indicatore utile per determinare la sua onestà.
ATTENZIONE
Come ho ribadito più volte, questa teoria va messa alla
prova utilizzando come confronto il comportamento basale precedentemente osservato nel soggetto. Vi
sono infatti persone che, per esempio, guardano sempre nella stessa direzione per una semplice abitudine.
Nei mancini, inoltre, gli orientamenti spaziali e i relativi significati possono anche essere invertiti.
Il battito palpebrale e lo “sfregamento degli occhi”
Quando si dichiara il falso, il battito palpebrale può aumentare perché l’incremento dell’attività cognitiva associato alla
necessità di rispondere a una domanda imbarazzante produce
un’accelerazione generalizzata a livello fisiologico. Tuttavia ciò
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
non avviene soltanto quando si mente, ma anche a causa della
stanchezza e della tensione nervosa.
Si è inoltre scoperto che alcune persone compiono abitualmente il gesto di sfregarsi gli occhi. È un gesto simile a quello
con cui ci si sistema una lente a contatto (accertatevi che non
sia proprio questo il caso): quando mente, la persona si sfrega
uno o entrambi gli occhi. Lo fanno sia gli uomini sia le donne, ma in generale gli uomini compiono un gesto più rapido,
mentre le donne si limitato a toccare l’angolo dell’occhio o
la zona sottostante. Sembra che lo sfregamento sia tanto più
accentuato quanto maggiore è la percezione della menzogna;
talvolta, compiendolo, il mentitore distoglie anche lo sguardo
dall’interlocutore.
Come si spiega questo gesto sotto il profilo psicologico? Si
ritiene che si tratti di un tentativo di escludere l’inganno da sé
o di eliminare dalla vista la persona alla quale si mente. Ritenendola una minaccia, vogliamo cancellarne l’immagine.
Toccarsi il volto
Quando si mente si osserva in generale anche un aumento delle attività dislocate mano-viso. Chi più chi meno, nelle
interazioni personali tutti quanti ci tocchiamo il viso, ma la
ricerca dimostra che, in caso di inganno, tale attività si intensifica. Vi invito come sempre alla cautela, in quanto non
esiste un particolare gesto rivelatore in base al quale formulare
il giudizio. Prendete sempre in considerazione un complesso
di indizi e valutateli con attenzione.
MENTIRE CON IL CORPO
però, anche gli adulti non sanno fare a meno del conforto
che deriva dal portare una mano al viso e soprattutto alla
bocca. Quando proviamo sorpresa di fronte a qualcosa, portiamo istintivamente la mano a coprire quest’ultima. È un gesto compiuto in modo inconsapevole, allo scopo di trattenere
l’emozione che potrebbe sfuggire dalla bocca mentre si spalanca spontaneamente: abbiamo bisogno di tempo per valutare
meglio. Anche da adulti, quindi, siamo portati a coprirci la
bocca con la mano nei momenti di tensione o di sorpresa.
Questo comportamento quando si mente è un espediente per
coprire la menzogna stessa, oppure qualcosa che percepiamo
sarebbe stato meglio non dire (troppo tardi!). Il cervello rifiuta
il messaggio falso e impone alla mano di coprirlo.
La bocca
Il fatto che il bambino si porti una mano davanti alla bocca
è già sufficiente al genitore per comprendere che sta mentendo. Noi adulti ricorriamo a bugie e inganni ben più sofisticati e a mezzi assai più elaborati nell’intento di celarli. Spesso,
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
MENTIRE CON IL CORPO
Di solito il palmo copre tutta la bocca, mentre il pollice è
orientato verso l’orecchio (questo gesto conferisce un aspetto
preoccupato e, se non una vera bugia, denota perlomeno una
forma d’ansia o di dubbio).
Un gesto alternativo consiste nel sostenere il mento con la
mano, tenendo un dito a contatto con la bocca; è simile all’atto
con cui si invita a fare silenzio (sht!) con l’indice sulla labbra, al
quale eravamo abituati da bambini. In sostanza, il subconscio
impone alla mano di invitarci a stare zitti.
Un’altra posizione è quella con tutte le dita disposte a ventaglio sulla bocca.
Talvolta, anziché con il palmo aperto, la bocca viene coperta
con il pugno. È un gesto che compie soprattutto l’ascoltatore
quando, avendo udito il messaggio del parlante, ritiene che
costui nasconda qualcosa e adotta tale posizione per reprimere l’impulso inconscio a reagire per metterlo alla prova.
Trattando l’argomento “viso” non possiamo trascurare di
parlare delle labbra; non però del contatto con esse, di cui abbiamo già discusso, bensì dell’attività che queste compiono a
nostra insaputa. Esaminando in precedenza i vari tipi di sorriso, abbiamo affermato che nell’area periorale (intorno alla
bocca) vi è un complesso sistema di muscoli in grado di attivarsi autonomamente e in modo reciproco, consentendoci di
assumere le espressioni più diverse. Grazie a
tale caratteristica, le labbra possono fornire
molte informazioni sulle nostre emozioni
(la tensione produce sempre effetti manifesti) ma anche nasconderle (“labbro superiore irrigidito”).
Capita a tutti, in alcune circostanze, di
avere le labbra contratte: la tensione denota
generalmente il tentativo di non manife-
stare il senso di colpa per una bugia, un’emozione di rabbia
o un intimo piacere associato a qualche motivo. Anche l’espressione del “labbro superiore irrigidito”, in cui appare teso
soltanto il muscolo sopra il labbro superiore, serve per reprimere un’emozione, il più delle volte negativa. Nell’osservatore
può suscitare l’impressione che la persona sia sospettosa, in
quanto è indice del tentativo di occultare qualcosa.
Un’attività particolarmente interessante, che spesso si accompagna agli stati d’ansia o a complessi di comportamenti
legati alla menzogna, è quella di mordersi le labbra. Abbiamo
già detto che, nelle situazioni di stress, vi è un aumento del
contatto mano-bocca, ma adesso aggiungo che vi è anche la
tendenza a masticare e a portarsi oggetti alla bocca per trarre
conforto dalla sensazione di contatto con le labbra. Atti come
mordicchiare il labbro superiore con l’arcata dentale inferiore
e viceversa fanno anch’essi parte, in generale, di un insieme di
attività legate all’ansia che vanno sempre interpretate in base
al contesto (una delle “tre C”).
In particolari situazioni il significato è evidente: per esempio, ci “mordiamo le labbra” quando, allo scopo di non scatenare reazioni negative, preferiamo tacere. Forse anche voi
avete adottato spesso questo sistema sul lavoro o con le persone più care.
In altri contesti la stessa attività ha lo scopo di comunicare empatia e viene adottata anche da personaggi pubblici che
ne hanno fatto un proprio segno caratteristico. Bill Clinton
– quanti esempi ci offre l’ex presidente! – si mordicchia abitualmente il labbro inferiore quando tiene discorsi e nelle interazioni sociali, accompagnando il gesto con altre espressioni facciali allo scopo di manifestare empatia e dimostrare che
condivide le emozioni del pubblico.
Un’altra attività comune è dovuta semplicemente al fatto
che, per l’ansia o per la pressione psicologica, le labbra seccano e, nel tentativo inumidirle per alleviare il fastidio fisico, le
lecchiamo di frequente o le ritiriamo all’interno della bocca.
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A proposito delle labbra
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Il naso
A livello popolare è diffusa la convinzione che la persona
che mente non guardi negli occhi gli interlocutori e si tocchi
il naso mentre parla (il cosiddetto “effetto Pinocchio”). Fosse
facile! Mi auguro che a questo punto sia perfettamente chiaro a
tutti come, per interpretare correttamente la gestualità, occorra
basarsi su un complesso di indizi o di “fughe di informazioni”.
Toccarsi il naso è un’attività dislocata alternativa al toccarsi
la bocca: si tratta di un gesto di autoconforto che permette di
mascherare l’atto di coprire la bocca. La mano sale al naso e cela
opportunamente quest’ultima, che è il vero scopo di quest’azione; in sostanza, toccandoci il naso otteniamo l’effetto di coprire la bocca.
Esistono tuttavia situazioni in cui abbiamo effettiva necessità di toccarci il naso, e non a causa del raffreddore o di
un’allergia: motivi peraltro assolutamente legittimi (ricordate,
però, che i nostri interlocutori possono mal interpretare questi
gesti!). L’esigenza di toccarsi il naso può derivare da ragioni di
ordine fisiologico. Che cosa significa questo?
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MENTIRE CON IL CORPO
I SEGNALI DEL CORPO
Toccarsi il naso aiuta ad alleviare la tensione interna e
non è un atto associato necessariamente al mentire. Lo
stress, infatti, determina un aumento della pressione
e la liberazione di sostanze chimiche che dilatano i
tessuti nasali.
Osservate in quale momento si verifica l’azione, con
quale frequenza e in quale contesto.
A scatenare il bisogno è l’attività del sistema nervoso autonomo. Nelle situazioni di tensione – possiamo mentire in
circostanze traumatiche o più semplicemente in situazioni di
forte tensione emotiva – il maggiore afflusso di sangue fa
gonfiare i tessuti nasali. Il naso ingrossa leggermente e l’infiammazione – che non è visibile a occhio nudo – suscita la
sensazione di prurito o di formicolio che ci induce a toccarci
o a sfregarci il naso.
Il gesto di toccarsi il naso balzò al centro dell’attenzione
pubblica nel 1998 quando fu mandata in onda la deposizione
dell’allora presidente Bill Clinton di fronte al gran giurì in merito alla vicenda di Monica Lewinsky. La “sceneggiata” passò
alla storia per il suo contenuto e la sua fatuità, con uno scambio capzioso di domande e risposte in merito alla definizione
del termine “rapporto sessuale” (durante la deposizione per il
precedente caso Paula Jones, Clinton aveva già dichiarato fra le
varie risposte: “Dipende da quale significato si attribuisce alla
parola ‘è’”).
La deposizione offrì comunque al pubblico televisivo (e al
gran giurì) una dimostrazione magistrale dei comportamenti associati all’ansia. Clinton ricorse più volte alla “copertura della bocca”, mantenne uno sguardo intenso e prolungato
e gesticolò poco con le mani, se non per portarle alla bocca.
Per quanto riguarda il naso, l’analisi del filmato dimostrò che,
quando parlava di fatti palesemente veri, non si toccava mai il
naso bensì il viso; mentre, riferendo del suo coinvolgimento
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
con la Lewinsky, si toccò il naso ogni quattro minuti circa, per
un totale di 26 volte.
È difficile stabilire se, nel proporre una personale ridefinizione di alcuni termini specifici, l’ex presidente si fosse effettivamente convinto di non mentire alla nazione e, entro i limiti
definiti per le finalità della deposizione, credesse realmente di
dire la verità. Se così è stato, non lo si è comunque percepito
dal suo comportamento mentre tentava di difendere la carriera politica e di evitare l’impeachment. Le numerose e ripetute
attività dislocate catturate dalle telecamere impietose sono
state molto illuminanti in proposito.
Anche Hillary Clinton sembra condividere – forse in modo
del tutto innocente – la propensione a ridefinire il significato
del lessico inglese. Nel corso della campagna per la nomination dei democratici nel 2008 subì un grave calo di immagine
quando “si espresse male” nel riferire quanto era accaduto durante una visita in Bosnia.
Hillary aveva raccontato al pubblico che, durante il periodo
in cui era first lady, era atterrata in Bosnia in condizioni di
grave pericolo sotto il fuoco dei cecchini.
“Poi mi sono slegata con i denti, ho allontanato a calci un
paio di alligatori e mi sono messa in salvo.”
“L’ultimo film di Indiana Jones?”
“No, il discorso di Hillary Clinton.”
L’episodio offrì un ottimo spunto ai vignettisti (appena prima del festival di Cannes).
Con grande premura, alcune emittenti televisive andarono
a recuperare i vecchi servizi, che la mostravano mentre attraversava sorridente la pista di atterraggio e veniva accolta da
una bambina che le porgeva un messaggio di benvenuto.
Si era semplicemente espressa male? È quanto disse lei, accompagnando la dichiarazione con gesti di difesa, quando le fu
chiesto per quale motivo avesse mentito. Lei non aveva mentito, si era semplicemente “espressa male”.
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MENTIRE CON IL CORPO
Le mani
Abbiamo già discusso dei gesti mano-viso; vediamo adesso
quali sono le attività tipiche delle mani quando non vengono
a contatto con quest’area. Tutti gli studi evidenziano come,
quando si mente, l’attività delle mani tenda a diminuire rispetto al comportamento basale. Contrariamente a quanto si
è portati a ritenere, quando si mente le mani sono ferme.
I normali gesti delle mani (gesti illustratori) cui si ricorre
abitualmente per accompagnare il discorso e sottolinearne i
punti più importanti sono visibilmente assenti. Vi è piuttosto
la tendenza a stare in guardia e a reprimere i movimenti – soprattutto quelli delle mani – allo scopo di evitare fughe involontarie di informazioni. Quando si mente si tengono spesso
le mani nascoste. Vi invito tuttavia, come sempre, a giudicare
con molta cautela, in quanto lo stesso comportamento può essere indice di semplice nervosismo. La tendenza a nascondere
le mani è associata al tentativo inconscio di evitare il tipico
atto simbolico di portarsi la mano al cuore, che denota sincerità.
Le mani possono essere nascoste sotto il tavolo, nelle tasche
della giacca o sotto le ascelle a braccia conserte, una posizione
difensiva di chiusura che non fa mai buona impressione. In
alternativa una mano può afferrare l’altra e tenerla in basso.
I SEGNALI DEL CORPO
La persona che mente tende a muoversi più lentamente
del normale.
Vi sono anche situazioni in cui la persona (verificate sempre
il comportamento basale) intraprende attività orientate all’oggetto, per esempio giocherellare eccessivamente con le dita o
con la penna, scarabocchiare inconsapevolmente su un pezzo
di carta o far ruotare un bicchiere vuoto sul tavolo. Questi gesti “adattatori” – ne abbiamo già parlato, ricordate? – possono
costituire un indizio nell’ambito di un complesso di segnali.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Le gambe
Qualcuno sarà sorpreso nel sapere che, come rivelano gli
studi condotti in proposito, la parte del corpo più eloquente nel
rivelare la menzogna è quella inferiore, dalla vita ai piedi.
Ekman e Friesen hanno scoperto che, quando si mente, le
gambe e soprattutto i piedi, nonostante rispondano al controllo volontario, sono in realtà meno controllabili poiché sono
più lontani dal cervello.
I SEGNALI DEL CORPO
La persona che si sente sicura di sé e a proprio agio
tende ad aprire il corpo, mentre la persona a disagio lo
richiude su sé stesso.
MENTIRE CON IL CORPO
Una variante
Una variante delle “caviglie incrociate” consiste nell’agganciare i piedi alle gambe della sedia, una postura innaturale
per l’uomo, ma non per la donna. A essa si accompagnano
spesso la salda presa delle mani sui braccioli (se la sedia ne è
fornita), la posizione delle braccia conserte o un continuo giocherellare con qualche oggetto. È un atteggiamento tipico nelle
situazioni in cui il soggetto reprime qualcosa dentro di sé, è in
ansia o sulle difensive. In questo caso la mente e il corpo sono
in armonia, in quanto la posizione rispecchia le emozioni
negative vissute dalla persona. La mancanza di movimento
rivela la volontà di non abbandonare la posizione difensiva.
Piedi e caviglie incrociate
Nelle situazioni che procurano tensione le caviglie possono essere sovrapposte l’una all’altra nella tipica posizione delle
caviglie incrociate. È interessante osservare che i piedi si muovono poco: questa postura accompagna di frequente lo scarso
movimento delle mani e delle braccia in un tipico complesso gestuale di chiusura. È quello che, per esempio, adottano
molte donne quando siedono nella sala d’attesa del dentista e
sfogliano nervosamente le pagine di vecchie riviste, o i passeggeri imbarcatisi sull’aereo mentre aspettano il decollo. Molto
comune nei colloqui di lavoro, sia mentre si aspetta di essere
chiamati (non è bene adottarlo in questo caso) sia durante il
colloquio stesso, il suo effetto è talvolta attenuato dalla presenza di una scrivania che fornisce una barriera.
I SEGNALI DEL CORPO
La menzogna viene rivelata con maggiore facilità dalla
parte inferiore del corpo.
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Il movimento
Un messaggio analogo è veicolato anche quando la postura è accompagnata da movimenti irrequieti e ripetitivi. Molte persone, per esempio, siedono con le gambe accavallate e
fanno dondolare il piede in posizione superiore lateralmente, avanti e indietro o descrivendo dei cerchi. Osservate se vi
è un cambiamento, cioè se i piedi passano da una posizione
ferma a un movimento improvviso, oppure da movimenti circolari a movimenti lineari.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
MENTIRE CON IL CORPO
Incontrerete soggetti che di norma, quando siedono rilassati, accavallano le gambe e dondolano il piede. Di
fronte a domande imbarazzanti o ad argomenti che li
mettono a disagio, costoro possono effettivamente interrompere il movimento dei piedi.
In questo caso l’indizio è la mancanza di movimento
a denotare la transizione dalla serenità al disagio. Non
indica necessariamente che il soggetto mente, bensì la
reazione a qualcosa che ha indotto in lui un pensiero
negativo.
Questo passaggio denota generalmente uno stato di fastidio e di nervosismo estremo vissuto in modo inconsapevole.
Talvolta la persona, oltre a dondolare il piede, accavalla e separa più volte le gambe con movimenti a scatti, assai diversi da
quelli che si possono osservare in una normale conversazione
priva di tensioni.
Notate se e quando si verifica il movimento del piede (il
che può essere difficile in presenza, per esempio, di un
tavolo che funge da barriera).
Se è chiaro che il movimento del piede incomincia specificamente nel momento in cui discutete di un certo
argomento e cessa quando ne affrontate un altro, potete
trarre un indizio importante (le madri conoscono bene
tale alternanza di movimenti e pause per averla osservata nelle figlie adolescenti sottoposte alle loro domande).
I SEGNALI DEL CORPO
Se conosciamo il comportamento basale del nostro
interlocutore a livello dei piedi, possiamo rilevarne i
cambiamenti che denotano alterazioni emotive.
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In altre occasioni vedrete persone che siedono con il corpo
rilassato battendo il piede a terra, o che tendono ad allontanare
il corpo dalla fonte del disagio e girano uno o entrambi i piedi
in direzione della via di fuga: la porta.
Dietro le quinte
In molti ambienti di lavoro, nelle riunioni e in altri tipi di
interazioni, la presenza di un tavolo o di una scrivania offre
spesso uno “scudo” protettivo dietro al quale la parte inferiore del corpo rimane nascosta. Sotto il tavolo – come dietro le
quinte – accadono tuttavia cose molto interessanti.
Provate a ricordare un colloquio di lavoro cui vi siete sottoposti. Forse la scrivania della persona che vi interrogava vi
ha aiutati a dare di voi un’immagine positiva dalla vita in su.
Come vi sentivate rispetto a situazioni in cui avevate l’intero
corpo esposto?
Che cosa accade sotto il tavolo durante una cena d’affari,
quando negoziate un accordo importante, o in occasione di
un incontro romantico, o mentre presentate con fare sicuro
una proposta interessante al cliente o al potenziale partner, che
appare sicuro quanto voi? Che cosa trapela sotto il tavolo dal suo
linguaggio non verbale?
E che dire degli interrogatori di polizia? Alla televisione e al
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
MENTIRE CON IL CORPO
cinema constatiamo che gli interrogati hanno sempre l’intero corpo in vista. Per quale motivo? Perché i poliziotti vogliono trarre ulteriori informazioni dalla parte inferiore del corpo,
quella che risponde meno al controllo volontario del soggetto.
Spesso, infatti, il comportamento delle gambe e dei piedi offre
spunti rivelatori.
Se l’interazione si svolge in posizione eretta, abbiamo ovviamente la possibilità di osservare il comportamento di tutto
il corpo e i cambiamenti di postura che avvengono in particolari momenti. Possiamo anche notare se la persona batte il
piede a terra; qualora, nel luogo in cui ci troviamo, non venisse
diffusa musica, allora quel gesto denoterebbe una forma di disagio e il desiderio del nostro interlocutore di fuggire via.
Le situazioni in cui possiamo impedire che la parte inferiore del corpo ci tradisca palesemente si verificano soprattutto
negli uffici, grazie alla scrivania, e quando siamo seduti intorno a un tavolo.
menzogna ed evitare la fuga involontaria di informazioni attraverso il corpo. Se tuttavia il soggetto si è esercitato a lungo
prima di pronunciare la menzogna, è possibile che la velocità
dell’eloquio non risulti in alcun modo alterata.
I tratti vocali
Gli aspetti non verbali del parlato rappresentano la seconda componente del comportamento non verbale e forniscono
anch’essi informazioni importanti, al pari degli indizi offerti
dal corpo. Il fatto che una persona menta o eviti di rivelare
la verità è tradito molto spesso dal modo in cui si esprime.
Non mi riferisco in particolare al contenuto del suo messaggio
verbale (ovvero alle parole che pronuncia), ma al modo in cui
lo pronuncia. L’aspetto che qui interessa concerne i tratti paralinguistici o paralinguaggio.
Eloquio lento
Spesso la persona che mente tende a parlare più lentamente
del normale, in quanto deve basarsi più sulle facoltà immaginative che sulla verità. Il cervello, inoltre, deve compiere uno
sforzo maggiore per gestire contemporaneamente verità e
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Silenzi e pause
Durante l’esposizione, talvolta vi sono pause o silenzi chiaramente percepibili. La persona che mente tende a separare
maggiormente le parole e le frasi e spesso pronuncia enunciati
incompiuti che corrispondono a pensieri mal articolati; quindi,
dopo un silenzio prolungato, riprende a parlare non dal punto
in cui aveva smesso di farlo, ma iniziando una nuova frase.
Respirazione
La persona che mente può sforzarsi di mascherare il disagio
mostrandosi rilassata – che sia in piedi o seduta – ma è difficile
che riesca a nascondere il segno rivelatore del petto ansimante,
soprattutto se muove le spalle. Il respiro più rapido e superficiale, accompagnato da cambiamenti della voce, è un elemento
pregno di significato.
Raschiarsi la gola
Lo facciamo spesso. Poiché lo stress tende a seccare la gola,
la deglutizione diviene faticosa. Se quest’attività è eccessiva, è
segnale di un disagio estremo.
Errori ed esitazioni nel discorso
Talvolta il discorso tende a farsi esitante, intercalato da numerosi “uhmm” ed “eh”, per lo sforzo dovuto al tentativo di
costruire una spiegazione plausibile. È molto diverso dall’eloquio tranquillo e scorrevole della persona sincera.
Timbro
I cambiamenti nel timbro di voce rappresentano un altro
elemento che rivela il tumulto delle emozioni. Chi mente tende
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
MENTIRE CON IL CORPO
ad assumere un timbro più alto, aumenta probabilmente anche
l’intensità vocale e stenta a mascherare tale cambiamento.
Anche in questo caso sottolineo che non esiste un elemento
specifico capace di per sé di denotare l’inganno e la menzogna. Pertanto, per accertare la coerenza (una delle “tre C”) fra
messaggio verbale e non verbale, vi invito a valutare sempre
gli indizi vocali che vi appaiono significativi insieme con altri
segnali del corpo.
Il pubblico ha dovuto attendere qualche mese prima che il
campione di golf Tiger Woods rendesse pubblica confessione
delle sue avventure extraconiugali. Per avere efficacia, le scuse
formulate pubblicamente dovevano essere credibili.
La confessione venne nel febbraio del 2010, non nel corso di
una conferenza stampa, ma davanti a un pubblico selezionato
di famigliari, amici e collaboratori presso la sede della PGA
Tour in Florida. L’imperativo era dimostrare senza ombra di
dubbio la sua sincerità, qualsiasi cosa rivelasse. Il linguaggio
del corpo, le parole e soprattutto il modo di condurre il discorso avrebbero determinato l’impressione comunicata a milioni
di telespettatori.
La prima cosa che si nota di una persona è il suo aspetto.
Woods sembrava parlare sotto coercizione, e benché di solito vestisse in modo elegante, in quell’occasione indossava una
camicia di una taglia sbagliata, senza cravatta, come se si fosse
vestito di fretta per non arrivare in ritardo a un appuntamento
scomodo. Ecco le mie osservazioni in merito:
“La messinscena ci mostra una superstar pietrificata in caduta libera.”
(James Borg, Daily Telegraph, 20 febbraio 2010)
“... Woods riprenderà la terapia ed è chiaro che non è
ancora pronto per ritornare al golf. I primi gesti nel
momento in cui è entrato – concentrarsi mantenendo
lo sguardo basso, sistemare gli appunti sul leggio e poi
alzare gli occhi per ringraziare il pubblico – hanno rivelato i segnali tipici dell’uomo teso e avvilito.
Deglutiva spesso e spostava di frequente gli occhi da sinistra a destra, due segnali di grave tensione nervosa. È
sorprendente che non abbia comunicato maggiore sincerità nella sua dichiarazione: sembrava più attento alle
parole che a tutto il resto.
Il modo in cui si parla (paralinguaggio) è un aspetto
importante del linguaggio del corpo; quando si presta
eccessiva attenzione alle parole, si perde il controllo sul
tono. Woods ha parlato come un automa, senza mai variare il tono.
Ci si sarebbe aspettati che, soprattutto nel parlare della
famiglia, facesse a meno degli appunti per qualche minuto [...] invece ha continuato seguendo il solito schema: parlare per 10 secondi, guardare gli appunti, parlare per altri 10 secondi e così via. La parlata meccanica
ha sollevato un elemento di dubbio sulla sua sincerità
[...] Un discorso impacciato e inespressivo [...] avrebbe
comunicato molto di più se avesse ricordato la vecchia
buona massima dello sport e dello showbusiness: l’immagine è tutto.”
Purtroppo, in quei 13 minuti, l’unica volta in cui la sua
voce ha espresso un filo di emozione è stato quando se
l’è presa con i giornalisti per le domande insistenti sulla
sua famiglia.
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I SEGNALI DEL CORPO
Contrariamente all’opinione comune, chi mente si
lascia tradire più dalle parole (soprattutto dal modo in
cui le pronuncia) che dal comportamento.
Una performance inferiore alle aspettative
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Chiacchierata informale
D Mi pare di aver capito che non esista un metodo per distinguere con certezza se una persona mente o è sincera. È vero?
Esatto, e come sempre dobbiamo basare le nostre interpretazioni sull’esame di un complesso di elementi anziché su gesti singoli.
D Questo accade perché i “segni” della menzogna sono simili a quelli della semplice tensione nervosa?
Sì, in parte è così. Tuttavia possiamo almeno sapere che, in determinate circostanze, una persona non dovrebbe avere motivo di
essere tesa; se manifesta comunque nervosismo, allora possiamo
ricercare i segni tipici della falsità.
D Lei ha affermato che le cosiddette “bugie sociali” sono
innocue in quanto sono dette per non turbare i rapporti con il
prossimo. Significa allora che sono legittime?
Quando a Natale la zia le regala l’ennesima confezione di
sei paia di calze, se proprio vuole nulla le vieta di chiederle molto apertamente: “Quanti piedi credi che abbia?”. Se invece è un
tipo comprensivo, preferisce tacere, sapendo che la povera signora
è andata a piedi fino al negozio, ha fatto la coda per pagare e ha
confezionato il pacchetto con le sue mani solo per il piacere di fare
un dono al nipote. Vale davvero la pena di far soffrire una persona
tanto gentile? La risposta, mi pare, l’ha già fornita lei.
D L’interesse del discorso, quindi, si concentra soltanto sulle menzogne più inique e pregne di conseguenze?
Sì. I motivi che in generale ci spingono a voler comprendere e
interpretare il linguaggio non verbale sono due. Vogliamo capire:
se risultiamo simpatici (o antipatici) a una certa persona;
se una certa persona è sincera oppure mente.
D Qual è il consiglio più importante che può offrirmi per
capire se una persona sta mentendo o nasconde la verità?
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MENTIRE CON IL CORPO
Cerchi di conoscere il comportamento abituale (o basale) di
quella persona, il contegno che adotta di solito nelle interazioni
con il prossimo. Tende a essere espressiva o chiusa? Com’è normalmente la sua voce? E il contatto oculare? A volte non conosciamo a
sufficienza i nostri interlocutori e non ci è possibile trascorrere con
loro tutto il tempo che sarebbe necessario, ma anche nelle interazioni brevi possiamo trarre numerose informazioni invitandoli a
parlare del più e del meno. Osservare il loro comportamento nelle
situazioni “normali” ci permette di capire se e come esso cambia in
circostanze particolari.
D Questa lezione mi ha permesso di scoprire l’importanza
dei piedi e delle gambe. Devo cercare di nasconderli?
No, se non ha nulla da nascondere: non parlo dei piedi, naturalmente, ma di qualcosa che possa indurre il sistema nervoso a
scatenare movimenti involontari rivelatori. In ogni caso, gambe e
piedi si comportano nello stesso modo anche se, pur essendo sincero, lei si sente nervoso per un qualunque motivo. Quando mentiamo, insomma, manifestiamo determinati comportamenti perché
mentire ci rende nervosi.
D Allora il problema non si pone, perché gli altri non se ne
accorgono?
Gli altri notano un comportamento che può denotare sia nervosismo sia falsità. Per capire di quale delle due cose si tratti devono
basarsi su un complesso di segnali, ma se non hanno letto il libro…
D A preoccuparmi non sono tanto le gambe e i piedi, ma
la voce. Quando sono teso, mi accorgo che cambia. Non vorrei
che gli altri pensassero che sto raccontando frottole.
Quando ciò accade, inspiri profondamente e rallenti il ritmo
dell’eloquio. Vedrà che anche il timbro ritornerà gradualmente al
livello normale.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Pausa caffè
1 Non esiste un gesto particolare che di per sé ci
permetta di capire se una persona mente. L’ideale
è osservare il comportamento basale e valutare se,
rispetto a esso, vi sono cambiamenti o no.
2 La ricerca ha dimostrato che il 90% delle bugie
produce segnali non verbali rivelatori.
3 Molti pensano che chi mente riduca il contatto
oculare, mentre spesso il mentitore cerca di compensare con un contatto oculare eccessivo.
MENTIRE CON IL CORPO
8 Le gambe e i piedi possono rivelare molte cose:
si tratta infatti delle parti meno controllabili del
corpo, in quanto più lontane dal cervello.
9 Quando si mente, gli aspetti vocali del discorso,
ovvero i suoi tratti paralinguistici, tendono a subire molti cambiamenti.
10 Contrariamente a ciò che molti pensano, chi
mente si lascia tradire più dal modo di parlare che
dal comportamento.
4 La persona che mente può compiere molti gesti
mano-viso Occorre però essere cauti nell’interpretarli, in quanto la stessa attività può essere un
segnale di nervosismo.
5 Le labbra possono essere molto rivelatrici: quando l’inconscio si sforza di occultare la verità, la
persona può avere le labbra contratte o mordersi
le labbra.
6 Mentendo può anche capitare che ci si tocchi
spesso il naso: l’aumento dell’afflusso di sangue,
infatti, fa gonfiare i tessuti nasali (ma è difficile
percepirlo a occhio nudo).
7 Quando si mente, le azioni delle mani tendono a
discostarsi dal comportamento abituale; la persona, per esempio, può giocherellare con qualche
oggetto o tamburellare con le dita.
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Lezione 6
Le fughe di informazioni
“Di un uomo si capiscono molte cose
dal modo in cui mangia le caramelle.”
Ronald Reagan
Ritengo che a questo punto abbiate ben compreso la straordinaria eloquenza del linguaggio non verbale. Sapete inoltre
che, per designare i gesti e le espressioni che lasciano trapelare
i nostri veri sentimenti, la scienza della comunicazione non
verbale ha coniato la definizione di “fughe di informazioni”.
Il legame fra mente e corpo
Fra la mente e il corpo esiste un legame estremamente intimo che fa sì che a ogni pensiero corrisponda una reazione fisica. Leggere in modo corretto i messaggi del corpo ci permette
quindi di meglio interpretare il senso reale dei messaggi verbali, mentre – come abbiamo ribadito più volte – esercitare
un controllo appropriato sul linguaggio del corpo ci consente
di comunicare con più efficacia agli altri ciò che desideriamo.
Nelle interazioni con il prossimo non cerchiamo mai di
nascondere i pensieri positivi, bensì i sentimenti di disagio
e ansia. Nonostante il nostro impegno, però, il corpo talvolta
ci tradisce e lascia trapelare emozioni non concordanti con il
messaggio verbale (le cosiddette “fughe di informazioni”), creando una palese “incoerenza” fra ciò che affermiamo e ciò che
il corpo comunica.
- 199 -
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Gli psicologi riconoscono due tipi principali di ansia:
ansia caratteriale;
ansia situazionale.
Com’è facile intuire, l’ansia caratteriale è un tipo di ansia non
specifica tipica della personalità e costituisce pertanto un tratto
del carattere. Le persone ansiose tendono a vivere qualunque
situazione con un grado accentuato di sensibilità emotiva. L’ansia situazionale invece si produce in risposta a stimoli specifici.
In particolari situazioni il soggetto è in ansia, mentre per il resto
vive in condizione di equilibrio in quanto non percepisce elementi di minaccia. Molti di noi divengono ansiosi o nervosi se,
per esempio, devono tenere un discorso in pubblico o comparire in televisione. È una reazione del tutto normale: anche gli attori di lunga esperienza possono raggiungere un notevole livello
di ansia quando devono esibirsi davanti al pubblico.
L’agente 007
A questo proposito voglio portarvi l’esempio dell’attore
Daniel Craig e della sua partecipazione al talk show televisivo
Parkinson una settimana dopo l’uscita del film Casino Royale,
nel quale interpretava il ruolo di James Bond. Trovai interessante osservare le numerose attività dislocate e di autoconforto
che compì in quell’occasione.
Lo schermo televisivo è una sorta di lente d’ingrandimento
che enfatizza la portata di ogni gesto; pertanto non possiamo
che provare simpatia e comprensione per coloro che devono
sottoporsi all’esame dei riflettori. Ho analizzato l’intervista a
Daniel Craig per aiutarvi a comprendere quanto siano evidenti le fughe inconsapevoli di informazioni e quale impressione
creino negli osservatori. Ho elencato in ordine cronologico le
attività dislocate e le attività di autoconforto per meglio evidenziare lo schema comportamentale esibito dall’attore e far
- 200 -
LE FUGHE DI INFORMAZIONI
luce sul complesso di segnali che denotano ansia.
Seduto davanti a Michael Parkinson, come prima cosa Daniel Craig ha afferrato il bracciolo della poltrona con la mano
destra. Dopo il saluto iniziale ha incominciato a parlare (con
le gambe accavallate) e, nel corso dell’intervista, ha prodotto,
nell’ordine, i seguenti segnali:
si è accarezzato l’orecchio;
si è toccato la base del naso;
ha compiuto un “movimento d’intenzione” che indicava il desiderio di andarsene (ha afferrato i due braccioli
della sedia);
si è toccato la base del naso;
si è grattato un lato del collo;
si è bagnato le labbra con la lingua;
ha compiuto tre cut-off contemporanei (quando gli è
stato chiesto come avesse reagito sua madre nel sapere
che voleva intraprendere la professione di attore);
si è toccato il sopracciglio;
si è toccato la base del naso;
si è spostato nella poltrona;
si è lisciato i capelli sulla nuca;
si è toccato la base del naso;
si è sfregato il naso;
si è bagnato le labbra con la lingua;
si è lisciato i capelli sulla nuca e, riportando subito la
mano in avanti, si è sfregato il naso per poi riafferrare il
bracciolo della poltrona;
si è spostato nella poltrona e si è sfregato il naso;
si è sfregato il naso;
ha compiuto un “movimento d’intenzione” che indicava
il desiderio di andarsene;
si è toccato la base del naso;
si è grattato la guancia sinistra;
si è toccato la base del naso.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LE FUGHE DI INFORMAZIONI
Quando poi Michael Parkinson ha pronunciato la parola
“infine” per introdurre l’ultima domanda, Daniel Craig, visibilmente più rilassato, ha orientato il corpo per la prima volta
in direzione dell’intervistatore e, negli ultimi due minuti, non
ha più compiuto attività dislocate, salvo il “movimento d’intenzione” di recarsi verso l’uscita al termine dell’intervista (quando
finalmente l’intenzione ha potuto realizzarsi!).
Per concludere su questo episodio, voglio evidenziare due elementi interessanti.
Per l’intera durata dell’intervista Craig ha avuto le pupille
contratte, cosa della massima evidenza a causa dell’azzurro chiaro dei suoi occhi. Abbiamo già avuto modo di osservare che le
pupille si dilatano quando proviamo sensazioni gradevoli, mentre si restringono quando siamo a disagio o in ansia.
Nell’intervista si è anche visto con molta chiarezza che, quando lasciava per un attimo il bracciolo della poltrona per gesticolare, non appena ritornava nella posizione iniziale la mano destra
di Craig stringeva ancora con la stessa forza di prima.
Tutto questo lo si è notato, ovviamente, soltanto quando
Craig, nei 14 minuti di durata dell’intervista, aveva la telecamera
puntata addosso. L’episodio, che non sminuisce in alcun modo
le sue doti recitative, ci permette di comprendere come anche gli
attori più esperti e famosi non possano evitare di lasciar trapelare
i loro veri sentimenti.
cologico: il tennis, di cui si dice spesso che sia un gioco in cui
tutto dipende “dalla testa”.
In questo sport un linguaggio corporeo sicuro comunica
un messaggio preciso all’avversario, ma influenza anche la disposizione mentale del giocatore: le sue conseguenze si ripercuotono su entrambi. Lo stesso avviene nel caso di eventuali
fughe di informazioni negative da parte del giocatore, che daranno un vantaggio all’avversario e non faranno che demoralizzare ulteriormente lui.
In campo l’avversario percepisce i segnali consci e inconsci
che trapelano dalle azioni del giocatore e ne trae un’impressione complessiva, riuscendo a comprendere se ha di fronte una
persona fiduciosa, che sente di avere la partita sotto controllo,
oppure frustrata (magari per un servizio imprendibile), nervosa o stanca. Vi è capitato di vedere un match di tennis alla
TV e di capire, anche senza l’audio e senza vedere il punteggio,
quale dei due giocatori era in vantaggio? Per capirlo basta osservare il comportamento.
Il campione britannico Andy Murray è un tennista di gran
talento, ma di tanto in tanto – troppo spesso, a detta sua – ha
“la testa altrove” e durante il gioco reagisce con un linguaggio
del corpo negativo che non fa che avantaggiare l’avversario.
Secondo i critici, l’atteggiamento indisponente che Murray
tiene in campo e i frequenti accessi di rabbia nei confronti di
sé stesso e del suo entourage sono precisamente ciò che gli impedisce di esprimere appieno il suo potenziale.
Ecco cosa dichiarò nell’aprile 2011 ai giornalisti di BBC
Sport:
I SEGNALI DEL CORPO
Quando siamo in ansia, mettiamo in atto una serie di
attività dislocate e di gesti di autoconforto. La fisiologia
del corpo non perdona.
È tutta una “questione di testa”
“A Miami ero rabbioso... mi sentivo perso. Cercavo di
fare troppe cose senza mai venire a rete...”.
E che dire dei grandi campioni sportivi? Il linguaggio del
corpo li aiuta a raggiungere il successo? In quale modo? Parliamo brevemente di uno degli sport a più alto contenuto psi-
La partita va affrontata con lucidità. Probabilmente quello
stato mentale si rifletteva nel linguaggio corporeo.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Anche voi avrete avuto occasione di notare alcuni di questi
comportamenti negativi in qualche giocatore:
spalle curve;
testa bassa quando ritornano alla linea di fondo o si dirigono verso l’arbitro;
scuotimenti della testa dopo un punto;
borbottii o grida rivolte a sé stessi o ad altri;
camminata lenta;
respiro con affanno.
Pensate invece al giocatore che si sente bene e vuole intimidire l’avversario stanco e scoraggiato: pugno stretto, testa alta,
movimenti rapidi, al termine del set raggiunge la sedia saltellando e batte i piedi a terra quando è seduto, quasi non vedesse
l’ora di rientrare in campo. Sa bene che il linguaggio corporeo
positivo lo aiuta ad affrontare meglio la partita e a scoraggiare
le prestazioni dell’avversario. Si dice che a distinguere i grandi
campioni sia la capacità di controllare le emozioni. Il linguaggio corporeo autodistruttivo (scagliare palle e racchette a terra, percuotersi) è invece un’espressione di rabbia incanalata in
modo sbagliato, che va a discapito della prestazione.
Rafael Nadal, più volte campione del Grande Slam, ha fama
di essere un giocatore che non vuol perdere un solo punto,
neppure quando è in netto vantaggio e ha la vittoria in pugno.
Oltre a rincorrere ogni palla, dopo un punto a suo svantaggio
limita il linguaggio corporeo negativo a una semplice esibizione di disappunto – una smorfia o un’espressione delusa. Anche
quando è in svantaggio, concentra le energie nei colpi anziché
in movimenti disfattisti, e quando realizza un punto con un
dritto o un rovescio vincente stringe con vigore il pugno, salta
e guarda con espressione incoraggiante il team degli allenatori.
Come altri grandi campioni, sa che il comportamento negativo condiziona la mente e quindi la performance, oltre a incoraggiare l’avversario.
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LE FUGHE DI INFORMAZIONI
Cambiamenti nella mente e nel corpo
Per comprendere il meccanismo della fuga di informazioni
è utile riflettere brevemente sui pensieri negativi e ansiogeni
e sulla catena di cambiamenti che essi alimentano a livello
mentale e fisico.
1. I pensieri negativi suscitano
2. emozioni negative, le quali condizionano
3. la sensazione di benessere fisico, che a sua volta influisce
4. sul comportamento.
I pensieri determinano le emozioni
Poiché lo stress e l’ansia scaturiscono da una precisa sequenza di eventi mentali e fisici (le fasi da 1 a 4 appena elencate), si deduce che, riuscendo a modificare i pensieri in maniera
opportuna, possiamo bloccare anche i comportamenti negativi che si manifestano attraverso il linguaggio non verbale.
Spesso, però, lo facciamo troppo tardi, quando siamo ormai
alla fase 3. Stiamo già sostenendo il colloquio di lavoro (nella
mente si affollano pensieri negativi: “C’è troppa competizione”, “Non ce la farò mai”, “Desideravo tanto riuscire a ottenere
questo posto…”), ed ecco che i segni dell’ansia si palesano a
livello fisico (accelerazione della frequenza cardiaca, tensione
muscolare) e lasciano trapelare messaggi (fughe di informazioni) non coerenti rispetto all’immagine di persone serene e
cordiali che intendiamo offrire di noi.
Proviamo a scardinare questo schema comportamentale.
Se, quando ci troviamo ancora nella sala d’attesa, siamo consapevoli dei segni d’ansia manifestati dal nostro corpo, possiamo
risalire alla loro causa – le emozioni – e modificare i pensieri
prima di entrare nella sala del colloquio. È più facile a dirsi
che a farsi, penserete voi. Tuttavia, poiché i pensieri (positivi
o negativi) determinano le emozioni, che a loro volta inne- 205 -
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LE FUGHE DI INFORMAZIONI
scano le reazioni fisiche, che a loro volta si manifestano in un
certo comportamento, è evidente che, modificando i pensieri, possiamo influire anche sul comportamento che sfugge al
nostro controllo.
non fa che stimolare il turbinio di altri pensieri negativi, con
l’unico risultato di aggravare il nostro stato di malessere.
I SEGNALI DEL CORPO
Uno dei miei detti preferiti: “È solo un pensiero. Non può farti alcun male”.
Capita anche a voi?
Se riusciamo a riconoscere in noi stessi i sintomi dell’ansia e dello stress, possiamo anche controllarli. Abbiamo già
introdotto il concetto, noto a molti, di intelligenza emotiva,
nel quale riveste un ruolo importante la capacità di riconoscere e controllare le emozioni. Per interpretare il linguaggio
corporeo altrui dobbiamo imparare a leggere nel pensiero (o
nella mente), nonché a riconoscere i nostri pensieri e ad esserne consapevoli, poiché da essi derivano le emozioni che
proviamo ed esprimiamo attraverso il linguaggio non verbale (positivo o negativo).
A causare l’ansia non sono gli eventi della vita, bensì la nostra visione di tali eventi. Perciò è su questa che dobbiamo agire
per contrastare l’ansia. Sappiamo che i pensieri negativi alimentano sentimenti di ansia e rabbia: eliminando il pensiero,
annulliamo anche l’emozione che esso suscita.
ATTENZIONE
I pensieri negativi si autogenerano e si moltiplicano
spontaneamente, mentre i pensieri positivi si comportano in modo diverso e hanno minori capacità di
autogenerarsi.
Esercitatevi consapevolmente a sostituire i pensieri che vi
procurano ansia e preoccupazione con pensieri positivi (“Non
perderò il filo del discorso”, “Non sono meno qualificato degli
altri candidati”). Il cervello può concentrarsi su un solo contenuto alla volta: focalizzando la mente su pensieri positivi che
soppiantino i consueti pensieri negativi, il nostro stato d’animo migliora. Questo risultato è dovuto in gran parte al potere
che il pensiero positivo esercita sulla biochimica dell’organismo umano: stimola l’immissione in circolo di ormoni e neurotrasmettitori capaci di favorire il buonumore, mentre riduce
la presenza degli ormoni responsabili degli stati d’ansia.
Che cosa accade a livello biochimico?
Avrete sentito parlare spesso dei benefici del “pensiero positivo”. Nel conflitto che si instaura tra forze negative e positive, il
più delle volte prevalgono le prime: quando si instaura un ciclo ansiogeno, l’attività depressiva degli ormoni dello stress
Vediamo quali processi biochimici si instaurano nel cervello e nel corpo.
I pensieri, che originano nell’area corticale del cervello, attivano le cellule nervose lungo il tracciato neurale che raggiunge il sistema limbico (la parte centrale del cervello), sede delle
emozioni.
Queste cellule inviano un messaggio al surrene (ghiandola
endocrina situata sopra i reni), il quale stimola l’azione di altri
organi che immettono nel circolo ematico diverse sostanze.
Queste sostanze raggiungono l’ipofisi, situata nel cervello
appena sotto l’ipotalamo, che a sua volta stimola la produzione di ormoni dello stress da parte del surrene.
Volete conoscere i nomi delle sostanze in questione? Mi au-
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“Il maggior traguardo che la cultura morale possa raggiungere è riconoscere la necessità di dominare i nostri pensieri.” (Charles Darwin)
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
guro che non lo facciate per poter giustificare, snocciolando i
nomi di qualche ormone dello stress, la rabbia che scaricate sui
colleghi! Comunque, stiamo parlando di neurotrasmettitori e
ormoni, in particolare di adrenalina, noradrenalina e alcuni
corticosteroidi.
L’attività biochimica e le sostanze immesse in circolo producono un’accelerazione delle funzioni vitali, soprattutto
negli episodi di paura e di rabbia. È però sufficiente anche
un modesto livello di ansia per indurre lo stesso processo.
Alla luce di questi meccanismi è facile comprendere come,
nelle situazioni che procurano ansia e stress, il corpo lasci trapelare parte delle sue reazioni.
Consideriamo ora in quale modo si generano i segnali
esterni che tradiscono il nostro disagio.
Lo stomaco non tollera bene gli ormoni dello stress. Come
reazione produce acido cloridrico, lo stesso che permette la digestione del cibo e che tuttavia, in mancanza di sostanze da
digerire, provoca il tipico bruciore gastrico.
I muscoli si contraggono. Nelle situazioni di stress intenso
possiamo perdere la coordinazione muscolare ed essere colti
da tremore.
La possibile contrazione dei polmoni può indurre irregolarità della respirazione.
Per mantenere stabile la temperatura corporea e contrastare l’effetto termico prodotto dall’aumento della pressione sanguigna, le ghiandole sudoripare si attivano: ecco che ci sudano
le mani, la fronte e le ascelle.
Diminuisce la produzione salivare, per cui la gola e la bocca
sono secche.
Lo stress accresce l’afflusso di sangue a livello cutaneo, producendo rossore e vampate di calore (più evidenti quando
proviamo imbarazzo).
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LE FUGHE DI INFORMAZIONI
Gli effetti degli ormoni dello stress sul cervello
Gli ormoni dello stress ostacolano la normale funzione cerebrale. Ciò aiuta a spiegare perché, quando siamo con gli
altri, talvolta ci sentiamo agitati e ansiosi, non controlliamo
il linguaggio corporeo e le irregolarità vocali che solitamente ci
sforziamo di evitare, abbiamo vuoti di memoria e non riusciamo a ragionare lucidamente.
Inoltre questi stessi ormoni ostacolano o inibiscono la trasmissione neuronale abituale, ossia il transito delle informazioni a livello cerebrale.
Da ciò derivano mancanza di lucidità e difficoltà della memoria (vi è mai capitato, scendendo le scale dopo essere usciti
da una riunione o da un colloquio importante, di ricordare
tutto a un tratto quello che non vi veniva in mente quando occorreva?). Non più in grado di elaborare i messaggi che riceve,
il cervello non riesce neppure a recuperare i dati memorizzati.
Entro una certa misura il pensiero e la memoria sono processi chimici. Le cellule nervose liberano i neurotrasmettitori,
composti che, sotto l’effetto degli ormoni dello stress, interferiscono con la trasmissione delle informazioni a livello cerebrale, condizionando negativamente la lucidità mentale e la
memoria.
La contrazione polmonare riduce inoltre l’afflusso di ossigeno, fondamentale per le funzioni del cervello, il quale, se non
riceve abbastanza ossigeno, perde efficienza.
Vi perdonate?
Mi auguro che abbiate compreso i meccanismi fisici (mancanza di ossigeno e azione inibente dei neurotrasmettitori)
che condizionano negativamente il comportamento nelle situazioni ansiogene. Sotto il loro effetto diventiamo incapaci
di assumere decisioni, di pensare lucidamente, di concentrarci
a fondo e di ricordare. Se non riuscite a capire come mai, dopo
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
LE FUGHE DI INFORMAZIONI
aver preparato con il massimo scrupolo il discorso che dovevate tenere a una riunione di lavoro o a un matrimonio, vi siete
ritrovati con lo guardo perso davanti al pubblico, cercate di non
sentirvi troppo in colpa. Questa infatti ricade su quegli spietati ormoni dello stress che, scatenando una battaglia contro i
neurotrasmettitori, mettono KO la memoria. “Dimenticare il
discorso” è una delle cinque maggiori paure riscontrate negli studi in questo ambito.
Di lasciarsi sopraffare dall’ansia, comunque, può capitare a
tutti. Pensate a questo povero oratore:
Pensate anche voi quello che penso io (provate a leggermi
nel pensiero…)? A me viene in mente una sola cosa: Guinness
dei primati! Ho l’impressione che quel comportamento abbia
lasciato trapelare qualche sentimento negativo. Voi no? E non
abbiamo visto la parte inferiore del corpo, quindi non sappiamo che cosa abbiano fatto le gambe e i piedi… Secondo voi
Gordon Brown era contento di trovarsi lì?
Voglio tornare per qualche istante a quello che, insieme al
mondo dello spettacolo, è uno degli ambiti più ricchi di esempi: la politica.
Analizzando un discorso pronunciato da Tony Blair ai delegati del congresso del Partito laburista, un ricercatore notò
che l’allora cancelliere Gordon Brown, che gli sedeva accanto,
aveva compiuto le seguenti attività dislocate: si era sistemato
l’abito 25 volte, morso il labbro 12 volte, toccato il viso 35
volte, aveva giocherellato con i polsini 29 volte, incrociato e
disteso le braccia 36 volte, distolto lo sguardo 155 volte.
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Sintesi dei gesti associabili a “fughe di informazioni”
Per concludere questa lezione voglio offrirvi un promemoria dei gesti che più di frequente corrispondono a una sensazione di disagio, segnali dai quali spesso trapelano informazioni negative.
Ricordate che nessuno dei gesti qui elencati è sufficiente,
se isolato, a rivelare alcunché. Possiamo formulare una lettura
corretta soltanto in presenza di almeno tre o più gesti. In caso
contrario, rischiamo di commettere un errore di interpretazione. Non vi rammento il significato di ciascuno, nella certezza
che ormai li sappiate riconoscere con facilità:
il corpo racchiuso su sé stesso;
il corpo o le spalle rivolti in una direzione diversa da
quella dell’interlocutore;
le braccia conserte con i pugni chiusi;
le braccia conserte con le mani che afferrano la parte
superiore delle braccia;
torcersi le mani;
stringere e sollevare le spalle;
le gambe accavallate e le braccia incrociate;
le gambe o i piedi agganciati alla sedia;
un piede agganciato dietro al ginocchio (quando il soggetto è in piedi);
le caviglie incrociate (quando il soggetto è seduto);
strisciare i piedi o muoverli eccessivamente;
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
tenere uno o entrambi i piedi rivolti in direzione diversa
da quella dell’interlocutore;
dondolare una gamba appoggiata sull’altra;
mordersi le labbra;
contrarre le labbra;
toccarsi il naso o grattarlo;
toccare o tirare il lobo dell’orecchio;
toccarsi spesso il viso;
coprirsi la bocca con la mano/le mani;
sostenere il mento con la mano;
bagnarsi le labbra con la lingua;
deglutire di frequente;
giocherellare con gli oggetti;
giocherellare con la sedia;
afferrarsi il mento o grattarlo;
battito palpebrale accelerato;
chiudere gli occhi mentre si parla (cut-off);
spostare lo sguardo da un lato all’altro;
contrazione delle pupille;
sguardo verso il basso.
Chiacchierata informale
D Dopo tutto quello che abbiamo imparato sui segnali che
indicano “fughe di informazioni”, non abbiamo più scuse:
dobbiamo coglierli in noi stessi e negli altri.
Senza dubbio. Credo che abbiate compreso che una certa dose
di empatia – osservare attentamente e saper leggere fra le righe – ci
permette di comprendere molto meglio i nostri interlocutori e di
comunicare in modo più efficace. Il compito, per chi lo affronta con
volontà, non è poi così difficile.
LE FUGHE DI INFORMAZIONI
Mi fa piacere che adesso ne siate consapevoli.
D Quindi, in sostanza, è tutta questione di immagine. Se i
messaggi non verbali non sono coerenti con quanto diciamo,
non riusciamo a comunicare l’immagine di noi che desideriamo. Insomma, il linguaggio del corpo contribuisce in grande
misura a creare la nostra immagine. Che cosa ci consiglia di
fare a questo scopo?
Non è una domanda facile… mi avete preso alla sprovvista. Be’,
“non tentate mai la grande uscita di scena se avete ai piedi un paio
di infradito”!
D La mia domanda era seria.
Facciamo i seri proprio alla fine? Altre domande?
D Sì, volevo chiedere questo. All’inizio della prima lezione
ci ha detto che quella del linguaggio non verbale non è una
scienza esatta. Ma esiste veramente una scienza esatta?
Rispondo rivolgendo una domanda a voi: ma chi ha detto
che la “scienza” sia “esatta”?
Diamine, che concetto profondo! Mi manca quasi il fiato.
Potrò usarlo per anni. Adesso però ho bisogno di una pausa
di riposo.
D Il fatto – e credo di poter parlare a nome di molti – è che
per noi si tratta di novità assolute. Non conoscevamo neppure
l’esistenza del linguaggio non verbale.
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Lezione 7
Comunicare simpatia
“Non sei paranoico, sei l’esatto opposto.
Soffri della folle illusione di piacere agli altri.”
Woody Allen
Tanto gli studi scientifici quanto i sondaggi condotti da riviste maschili e femminili di larga diffusione individuano una
serie di elementi che denotano la simpatia, facendo riferimento al più ampio spettro di interazioni: i rapporti con gli estranei e i conoscenti, le relazioni con colleghi di lavoro e clienti, le
“faccende di cuore” (corteggiamento e incontri amorosi).
Tutti abbiamo conosciuto persone che sembrano entrare
subito in sintonia con gli altri fin dal primo incontro. Grazie
a un modo di fare gradevole, stringono relazioni con facilità,
suscitano simpatia e per questo sono giudicate positivamente
anche sotto altri aspetti.
La simpatia determina il successo nella professione e nella vita privata. È stato dimostrato più volte che essa costituisce
la base di relazioni solide e durature in ogni ambito, garantendo una serie di vantaggi: godere di una migliore vita affettiva
e di amicizie più salde (e qui è prevedibile), ottenere incarichi
di lavoro più prestigiosi e promozioni più frequenti, migliori
prestazioni da parte di medici, addetti ai servizi in generale e
camerieri; insomma, vivere meglio. Qualcuno sostiene che le
buone relazioni siano la base del successo.
Com’è possibile? Se gli altri stanno bene in nostra compa- 215 -
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
COMUNICARE SIMPATIA
gnia, tendono a provare simpatia per noi grazie al fatto che
traggono dalla nostra presenza un’“esperienza psicologica”
positiva. In parole povere: quando siamo in compagnia di una
persona piacevole e cordiale ci sentiamo meglio e ci divertiamo di più! Sostanzialmente, questo è il punto. Come si fa a
diventare una persona di questo tipo? Ebbene, avete già compiuto i primi passi; sviluppando ulteriormente le competenze
empatiche potrete conseguire risultati sorprendenti sia nella
vita privata sia nel lavoro.
In ambito lavorativo i colleghi saranno meglio disposti nei
vostri confronti e i clienti potrebbero preferirvi ai concorrenti. È un dato di fatto indiscutibile: tendiamo a stabilire relazioni professionali e d’affari con le persone che ci piacciono.
Qualcuno è ancora convinto che basti essere puntuali, lavorare
sodo e comportarsi in modo leale. Purtroppo non è così. Sia
nei rapporti interni all’organizzazione sia nelle relazioni esterne con i clienti, tutti gli studi indicano che, oggigiorno, l’essenziale non è più sufficiente. Uno studio condotto presso un
campione rappresentativo di organizzazioni ha posto in luce i
tre motivi principali (in ordine di importanza) che inducono
a selezionare un’azienda a svantaggio di un’altra:
conoscenze che avete acquisito, quanto di tutto ciò dipende
dal fatto che comunicano segnali positivi attraverso il linguaggio del corpo? Probabilmente molto. Chi, in nostra presenza,
prova emozioni negative, cercherà il più possibile di evitarci, di
non sceglierci, di non acquistare da noi, di non ascoltarci e di
non aiutarci. Così è ed è sempre stato.
la simpatia del personale;
la conoscenza del settore;
la reattività.
I dati sembrano quindi corroborare l’idea che la vita sia una
sorta di gara di popolarità, nonostante tutto ciò che si adduce
a sostegno della tesi opposta.
Se gli altri stanno bene in vostra compagnia e ne traggono
un’esperienza psicologica positiva, vi trovate in una posizione
di vantaggio. Provate a domandarvi: “È meglio perdermi oppure trovarmi?”.
E le persone con cui venite a contatto? Quante di loro possiedono quella sorta di innegabile “presenza”? Sulla base delle
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Le prime impressioni si fissano a lungo
Abbiamo già parlato dell’importanza delle prime impressioni. Una loro caratteristica è quella di fissarsi a lungo nella
mente – da qui il detto “non avrai una seconda opportunità di
fare una buona prima impressione”.
Quando si fa una nuova conoscenza, sulle prime la conversazione verte su argomenti banali. Non c’è nulla di male.
Così è sempre stato. (Come sostengo da sempre, gli argomenti
banali conducono a temi più importanti.) È una prima fase in
cui ci si valuta a vicenda sulla base delle pure sensazioni, che
derivano dai messaggi del corpo e del linguaggio non verbale.
Non è tanto il contenuto della conversazione a farci risultare
gradevole una persona, quanto piuttosto il suo aspetto, il comportamento, il modo di porsi e di parlare. Ricordate? Bisogna
saper osservare e ascoltare.
Quando vi capita di fare una nuova conoscenza, ponetevi le
domande che seguono.
Che cosa vedo dalle espressioni del volto? Questa persona sorride molto o piuttosto reprime un’espressione
negativa? Vedo qualche “microespressione” da cui trapelano i suoi veri sentimenti? Il contatto oculare è costante, con la consueta “danza” degli sguardi? O è anomalo?
Questa persona distoglie troppo spesso lo sguardo, si
guarda in giro cercando altre persone?
Che cosa mi dicono i suoi gesti? Abbiamo parlato a lungo dei comportamenti che indicano apertura e chiusura.
- 217 -
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Questa persona tiene il corpo rivolto verso di me o altrove? Si protende verso di me mentre parlo? Annuisce al
momento giusto? Stabilisce un contatto fisico – tramite
il braccio, la spalla o la mano? Lo fa con la dovuta cortesia per evidenziare un punto o mostrare empatia?
E la voce? Il tono della voce è coerente con il linguaggio
del corpo? Quando sorride, i toni vocali confermano l’espressione del viso?
Infine, quel che dice. Il linguaggio del corpo è forse in
conflitto con le sue parole? C’è una contraddizione fra le
espressioni e quel che dice? Mi fido di lei?
COMUNICARE SIMPATIA
“Oggi sono in ordine… mi sono vestita per andare in
onda, ma di solito sembro un passeggero scampato al
deragliamento di un treno.”
(Victoria Wood)
Diamo uno sguardo ai fattori comuni che emergono dagli
studi scientifici in materia di simpatia e attrazione. Com’è prevedibile, l’aspetto è il fattore principale, e per aspetto intendiamo l’abbigliamento e la cura della persona.
L’abbigliamento è un elemento molto importante in termini di linguaggio del corpo poiché comunica agli altri qualcosa
di noi – che lo vogliamo o no. Non vi è mai capitato di giudicare qualcuno all’istante sulla base di come era vestito? E il giudizio si è rivelato giusto? O, intrattenendovi poi a conversare con
questa persona, avete capito che vi eravate sbagliati?
Sappiamo che il giudizio della “prima impressione” si basa
per il 90 per cento circa sugli aspetti visivi e vocali del linguaggio del corpo. L’abbigliamento, naturalmente, fa parte del
linguaggio non verbale. Il nostro pubblico – anche una sola
persona – ci giudica e si fa un’opinione di noi nell’arco di un
minuto o anche meno, spesso prima ancora che abbiamo avuto la possibilità di pronunciare una parola. Malgrado l’evidenza tendiamo a trascurare l’abbigliamento, che tuttavia riveste
una grande importanza a livello subliminale per chi ci osserva,
poiché il primo contatto fra le persone avviene sempre attraverso lo sguardo che osserva il corpo.
L’abbigliamento ci permette di presentarci agli altri con un
aspetto corrispondente alla nostra identità, ma anche di integrarci nell’ambiente o in una situazione specifica, o di comunicare una certa immagine.
Pensiamo agli uomini politici in visita ufficiale presso
aziende o presso stati esteri: in alcune occasioni vestono completo e cravatta, in altre niente giacca, in altre ancora camicia senza cravatta e infine camicia con le maniche arrotolate.
Sono consapevoli che l’aspetto comunica un’impressione dalla
quale dipenderà il loro indice di gradimento e la capacità di
conquistare la gente; cercano di identificarsi con l’elettorato, o
di comunicare un’immagine autorevole ricorrendo al comple-
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Tutti questi elementi concorrono a determinare la simpatia
iniziale. È ormai ampiamente accettato che le prime impressioni si basano sull’aspetto e vengono poi rinforzate dal comportamento. Negli ultimi decenni si sono studiati con particolare interesse i temi del fascino, del carisma e della simpatia
personale. Gli esiti di queste indagini ci permettono oggi di
migliorare le competenze che accrescono ed esaltano tali qualità. Il segreto della simpatia e del fascino risiede nella capacità di procurare agli altri emozioni positive.
Tali meccanismi ci pongono in una condizione di grande
responsabilità: spetta a noi esserne consapevoli e metterli in
funzione. L’esito di questo duro lavoro non è trascurabile: chi
entra in contatto con noi prova emozioni positive e, di conseguenza, ci gradisce. Vi pare poco?
Il segreto per conseguire un simile risultato va ricercato
principalmente nel linguaggio non verbale.
L’aspetto
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
COMUNICARE SIMPATIA
to formale. Le stesse regole valgono naturalmente per le donne, le quali hanno tuttavia una maggiore possibilità di scelta
nell’ambito dello stile “casual elegante”.
Oltre all’aspetto generale è importante la valutazione immediata della postura e dei movimenti corporei. L’osservatore
accorto nota se una persona si muove con disinvoltura tenendosi bene eretta, e coglie anche il portamento della testa: se è
diritta, se è reclinata all’indietro (segno di arroganza o di altezzosità), se è bassa e con le spalle curve. E quando cammina,
ha lo stesso portamento? Questo aspetto offre un indizio sulla
personalità del soggetto e determina il modo in cui gli altri gli
si rivolgono. La persona esitante, timida e magari introspettiva comunica, attraverso il linguaggio del corpo, l’impressione
di non essere interessata agli altri o di non essere disponibile
all’interazione – mancanza di contatto oculare, corpo orientato non verso l’interlocutore ma in una direzione di fuga, spalle
curve. L’insicurezza le impedisce di comunicare segnali di interesse perché è convinta che non sortirebbero alcun effetto.
Come spezzare il circolo vizioso?
Osservato l’abbigliamento, inconsciamente si passa subito
a valutare la gradevolezza fisica. Sulla psicologia dell’attrazione
fisica si sono scritti fiumi di parole e condotte innumerevoli
ricerche. Ci limiteremo a parlare degli elementi più ovvi. Sappiamo che la prima impressione si forma all’istante. Gli studi
dimostrano che la gradevolezza fisica ha senza dubbio, almeno all’inizio, un effetto prevedibile sui giudizi che formuliamo
sugli altri. Sappiamo fin troppo bene che vi sono persino organizzazioni che selezionano il personale basandosi esclusivamente su questo fattore.
Nella vita quotidiana, le persone dotate di bellezza fisica suscitano una prima impressione migliore. L’aspetto è quindi un
elemento che influenza il giudizio. Nel medio e lungo termine, tuttavia, nel trovare piacevole o meno una persona ci basiamo su altre caratteristiche e, se giudichiamo gradevole il
suo linguaggio non verbale, tendiamo a trascurare l’aspetto
fisico. Spesso si sente dire che la bellezza è una qualità puramente esteriore o un fatto soggettivo. Ecco una battuta sull’argomento del commediografo americano Jean Kerr:
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“Sono stufo di sentir dire che la bellezza è una dote superficiale. È profonda quanto basta. Che cosa volete, un
pancreas adorabile?”
(The Snake Has All the Lines, 1960)
Il sorriso
Non sorprende che il sorriso, tipica espressione di giovialità
che suscita una reazione speculare nel prossimo, sia uno dei
fattori principali nel determinare la gradevolezza delle persone. Sorridendo comunichiamo sensazioni piacevoli. Non occorre avere sempre il sorriso stampato sul volto, ma semplicemente sorridere in modo sincero. Come disse George Eliot,
“Se sorridi ti fai degli amici; se ti accigli ti fai venire le rughe”.
Quando, in situazioni non propriamente positive, adottiamo un sorriso un po’ forzato, i più sensibili lo colgono e
cercano di comprendere le ragioni del contrasto di emozioni
che viviamo.
Su questo non vi è dubbio: il sorriso, nel luogo giusto e al
momento giusto, può compiere miracoli. Angelina Jolie e Brad
Pitt (i mitici “Brangelina” di Hollywood) conoscono bene i segreti della comunicazione mediatica e sanno come conquistare
le simpatie dei fan.
L’espressione degli occhi
Anche l’espressione degli occhi occupa uno dei primi posti nell’elenco delle caratteristiche capaci di suscitare simpatia.
Mentre il contatto oculare dimostra che proviamo interesse
per la persona che ci sta davanti (e se l’interesse è di natura
sessuale tendiamo a mantenerlo più a lungo), l’espressione de- 221 -
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
COMUNICARE SIMPATIA
gli occhi può comunicare sentimenti di giovialità, simpatia o
preoccupazione. L’attenzione che rivolgiamo agli altri aumenta la loro sensazione di autostima e lo stesso vale, senza dubbio,
per l’attenzione che loro rivolgono a noi.
Clint Eastwood. La coerenza fra aspetto visivo e vocale risulta
gradevole. Marilyn Monroe aveva una voce perfettamente corrispondente alla propria immagine e alla propria personalità.
Jack Paar, l’attore che fu suo partner nel film Le memorie di
un dongiovanni, osservò: “Quando parlava, Marilyn ansimava;
poteva essere un segno di passione oppure l’asma”.
I SEGNALI DEL CORPO
Se, attraverso il contatto oculare e l’attenzione,
facciamo sentire bene il nostro interlocutore, egli prova
attrazione nei nostri confronti.
L’ascolto
Nella Lezione 3 abbiamo discusso dei tratti non verbali del
discorso, sottolineando quanto siano importanti nel condizionare i nostri rapporti con gli altri. In generale, se il timbro
di voce, il volume e il ritmo del discorso risultano gradevoli
all’interlocutore, l’intesa migliora in quanto non si creano motivi di disagio.
Provate questo consiglio degli esperti. Nella fase della prima impressione – a prescindere dal vostro consueto ritmo di
conversazione – sforzatevi di adottare i tratti vocali dell’interlocutore: provate a parlare con la velocità, il ritmo, il volume
e il tono che ha adottato lui. Si è osservato che questo accorgimento permette di stabilire subito un buon senso di intesa.
Superata questa fase, potete riadottare il vostro stile consueto,
ma se questo presenta tratti – per esempio la velocità dell’eloquio – molto diversi da quelli della persona con cui vorreste
stabilire una relazione duratura (di tipo romantico o professionale), provate ad adeguarvi gradualmente.
Ricordate che anche la voce contribuisce a determinare
l’immagine. Dal momento che, come prima cosa, notiamo
l’aspetto visivo, quando passiamo agli elementi vocali del linguaggio non verbale ci attendiamo di trovarli “coerenti” con
l’aspetto. Da una persona timida ci aspettiamo una voce tenue,
che tuttavia non sarebbe coerente se uscisse dalle labbra di
Anche la capacità di ascolto è giudicata un elemento capace
di rendere attraenti. Come vi sentite quando parlate a una persona che volge lo sguardo altrove? O che ha lo sguardo assente,
tutta presa nei suoi pensieri? Avete la sensazione che non vi
ascolti. E che dire di chi tiene continuamente banco e, giunto
il momento di cedere la parola, dice: “Ho parlato abbastanza.
Che ne pensi di me?”.
Provate ad ascoltare con tutto il corpo e vedete quale effetto ha sull’interlocutore. In generale le donne sono considerate
più capaci di offrire un ascolto attento e di comunicare empatia: spalancano gli occhi, si protendono in avanti e annuiscono
più di frequente – una miscela potente di segnali per suscitare
attrazione. Vari studi rivelano che le donne restano molto sorprese quando trovano un uomo capace di ascoltare nel vero
senso della parola (quello sul quale ci siamo soffermati nella
Lezione 3). Una vecchia barzelletta riguarda un uomo che dice:
“Mia moglie si lamenta sempre del fatto che io non la ascolto… almeno, mi sembra che dica così”.
Quando conversano fra loro, le donne tendono ad animarsi
di più (ma non sempre: le eccezioni, ovviamente, non mancano) e a dimostrare di essere ascoltatrici attente. Ascoltano
con tutto il corpo: annuiscono al momento giusto e assumono
espressioni facciali che comunicano empatia. Gli uomini, al
contrario, tendono ad avere problemi di concentrazione, con
il facile rischio che l’argomento della conversazione si perda
in un alternarsi di battute incoerenti. In generale sono anche
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La voce
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
COMUNICARE SIMPATIA
meno propensi a manifestare visivamente di ascoltare con attenzione. Le donne, in quanto buone ascoltatrici, hanno fra
loro conversazioni più facili ed efficaci.
Quando incontriamo una persona capace di ascoltare, ce
ne sentiamo attratti. La capacità di ascolto favorisce l’empatia,
che a sua volta aumenta la gradevolezza della persona. Permette di entrare in sintonia con le emozioni altrui e di leggere più
facilmente nella mente dei nostri interlocutori.
L’esperimento dimostra quanto i giudizi si basino sul portamento e sul modo di gesticolare. Ricordatelo e fatene tesoro.
Nella fase delle “prime impressioni” sono in gioco più fattori sulla base dei quali si formulano all’istante giudizi di tipo intuitivo.
Postura e gesti
Abbiamo parlato a lungo degli aspetti che suscitano attrazione a livello subliminale. Le parole non valgono nulla se c’è
qualcosa che non va nel modo in cui la persona si muove. Tra
le prime cose che gli altri noteranno di voi vi sono il portamento e il modo in cui vi presentate.
Gli uomini politici sono sempre molto consapevoli dell’importanza e dell’influenza del linguaggio corporeo quale mezzo
per manipolare la percezione pubblica. Nel mondo della politica le parole contano molto meno del linguaggio del corpo.
Per porre in luce il potere condizionante della lettura subliminale del portamento fisico, i ricercatori della Bangor University hanno sperimentato questa tecnica. Hanno scelto brevi filmati di due uomini politici alla Camera dei comuni – in
questo caso Gordon Brown e David Cameron, all’epoca rispettivamente primo ministro e capo dell’opposizione – e hanno
trasformato le loro immagini in semplici sagome stilizzate per
renderli irriconoscibili. La figura di Cameron si appoggiava
su un gomito mentre compiva gesti ampi con l’altra mano.
Brown, invece, continuava a dare colpi con l’avambraccio.
Le immagini furono mostrate a persone che dovevano
dire quale dei due omini fosse più gradevole e possedesse migliori doti di leadership. Cameron risultò il più disponibile,
sicuro e rilassato; Brown fu giudicato ansioso, depresso, a disagio e aggressivo.
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Assillato dai giornalisti che volevano sapere come mai
non fosse tanto gradito al pubblico, il musicista Andrew
Lloyd Webber domandò ad Alan J. Lerner, paroliere di My
Fair Lady, per quale motivo, secondo lui, la gente lo avesse
subito giudicato antipatico. “Per risparmiare tempo”, rispose Lerner.
Il linguaggio non verbale nei colloqui di lavoro
Interviste e colloqui di lavoro rappresentano situazioni particolarmente ansiogene per molti di noi. Il colloquio di lavoro
ci pone in condizione di essere interrogati da un estraneo che
non sa nulla di noi e osserva il nostro linguaggio corporeo
senza conoscere il nostro comportamento abituale.
Come possiamo produrre una buona impressione usando
un linguaggio non verbale positivo? Ebbene, sappiamo già
ciò che non dobbiamo fare in quanto abbiamo esaminato nel
dettaglio tutti i gesti corrispondenti a “fughe di informazioni” capaci di distorcere il senso del messaggio che intendiamo comunicare.
Per suscitare una buona impressione, cercate di attenervi ai
consigli elencati di seguito.
Ricordate che sarete osservati anche prima dell’incontro
con la persona che conduce il colloquio, ossia in ascensore o nella sala della reception mentre siete in attesa.
Fate in modo di adottare un comportamento “coerente”
per tutto il tempo in cui siete osservati.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Controllate i movimenti mentre entrate nella sala del
colloquio, evitando gesti goffi e inconsulti.
Stringendo la mano al vostro interlocutore, afferrategli
il palmo e non soltanto le dita.
Inizialmente adottate un sorriso neutrale per manifestare cordialità.
Mantenete sempre un buon contatto oculare.
Talvolta la sedia o poltrona può creare qualche problema. Per esempio, se è molto soffice, rischiate di affondarvi e di trovarvi in una posizione troppo bassa, che vi
costringe a curvare la schiena, vi limita nella possibilità
di parlare e, in generale, vi conferisce vostro malgrado
un aspetto sottomesso. Cercate di sedere altrove; qualora non fosse possibile, mantenetevi sul bordo della poltrona e protendetevi in avanti per dimostrare che siete
quantomeno attenti e interessati.
Ascoltate con tutto il corpo. Ricordate di annuire nei
momenti opportuni per dimostrare che ascoltate e per
incoraggiare l’interlocutore a proseguire il discorso.
Evitate di compiere attività dislocate e gesti di autoconforto.
Controllate i movimenti anche quando uscite, nello
stesso modo in cui avete fatto entrando.
Dirigendovi verso la porta, ricordate che l’ultima immagine che dovete lasciare di voi è quella del volto e non
del posteriore (fanno eccezione la donna che esca da una
selezione per modelle di bikini e l’uomo al termine di
un’audizione per il “Fondoschiena maschile dell’anno”).
Uscendo, quindi, non voltatevi per un ultimo saluto.
Il linguaggio non verbale per i discorsi e le presentazioni
COMUNICARE SIMPATIA
Non comportatevi come manichini, soprattutto se c’è
un leggio. Il movimento aiuta a mantenere vivo l’interesse del pubblico.
Se c’è un leggio, non stringetelo tra le mani come se
foste sulle montagne russe, perché questo gesto comunica ansia.
Tenete la testa alta.
Tenete le braccia distese e i palmi rivolti verso l’alto.
Se dovete utilizzare uno schermo o una lavagna, ricordate di mantenere la parte anteriore del corpo rivolta verso
il pubblico. Per indicare, voltatevi solo brevemente.
Non guardate in basso, neppure se sul pavimento è segnata qualche indicazione.
Mantenete il contatto oculare con tutto il pubblico, con
sguardi brevi e intermittenti. Ognuno dei presenti vuole avere l’impressione che parliate a lui soltanto; questo
accorgimento accresce il senso di cordialità e credibilità
che ispirate. Avete presente i conduttori televisivi? Sembra che si rivolgano proprio a voi: fate come loro.
Variate lo stile paralinguistico modulando il ritmo, il
timbro, il tono e l’inflessione della voce.
Rilevate gli eventuali messaggi non verbali “negativi”
provenienti dal pubblico osservando le possibili “fughe di informazioni” (dopo le sette lezioni siete degli
esperti!) e agite di conseguenza: coinvolgete gli interlocutori, cambiate strategia oppure, se possibile, proponete una pausa.
Il linguaggio non verbale nel corteggiamento
Se dovete tenere un discorso o una presentazione, sapete
bene quanto sia importante l’ormai famoso 93% (il 55% del
messaggio viene comunicato attraverso i segnali visivi e il 38%
attraverso i tratti paralinguistici).
Il rituale del corteggiamento non può in alcun modo prescindere dal linguaggio del corpo, attraverso il quale riveliamo
tutto ciò che non possiamo o non vogliamo comunicare esplicitamente a parole. In una prima fase il corpo invia segnali –
alcuni volontari, altri inconsci – che palesano all’altra persona
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
COMUNICARE SIMPATIA
il nostro interesse nei suoi confronti, e in una seconda fase (1)
segnali che hanno lo scopo di richiamare la sua attenzione e
(2) di mantenere vivo il suo interesse.
Le donne hanno un vantaggio sull’uomo. Oltre a essere in
generale più abili nella lettura dei segnali corporei, sanno anche farne un uso migliore. Il mondo dello showbusiness ne
offre un’infinità di esempi. Marilyn Monroe era apprezzata per
la recitazione, ma qualcuno (soprattutto le donne!) la criticava
per la spudoratezza. Quando recitò in Niagara (1953), il film
che la rese famosa nel suo abito scarlatto, l’attrice Constance
Bennett osservò laconica: “In lei si nasconde il futuro di una
poco di buono”.
Ma Marilyn conosceva bene il potere del linguaggio del
corpo ed era consapevole del suo portamento. A chi la criticava disse: “Cammino così da quando avevo 11 anni”, e aggiunse
altre note illuminanti: “Sono fatta per avere un uomo. Vado
d’accordo anche con le donne. Ma con gli uomini ancheggio,
con le donne cammino.”
Marilyn è scomparsa ormai da 50 anni e nel frattempo non
si è ancora vista una come lei.
L’uomo è meno abile della donna nella lettura dei segnali
corporei e spesso confonde la manifestazione di amicizia con
la dichiarazione di un interesse di natura sessuale. La donna,
come l’uomo, ha bisogno che il potenziale partner interpreti
correttamente gli indizi o i segnali che invia (anche se si tratta
di un messaggio negativo di “non disponibilità”).
Affronto dapprima il comportamento femminile, in quanto gli studi dimostrano che, generalmente, è la donna a compiere le mosse iniziali nel corteggiamento, mentre l’uomo è
riluttante a entrare in contatto con la donna che non abbia
manifestato la propria disponibilità.
Quanto al comportamento messo in atto da entrambi nel
corso del “rituale”, l’uomo cerca di accentuare la propria virilità, mentre la donna si sforza di apparire più femminile.
I primi segnali di disponibilità sono lo sguardo diretto, il
sorriso e il corpo rivolto in direzione del possibile partner. In presenza di questi tre elementi si può dedurre che la persona sia
disposta ad avviare il dialogo. Tutti gli altri segnali sono di natura più sottile, soprattutto da parte della donna.
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Lei
La ricerca dimostra che, nel corso del corteggiamento, spesso la donna mette in atto questi segnali (attenzione, signori,
non costituiscono una prova certa!):
sorride fugacemente alcune volte per segnalare la propria disponibilità (spesso gli uomini non colgono questo
segnale);
abbassa o china la testa (questa posizione fa apparire più
grandi gli occhi e conferisce un aspetto vulnerabile);
esibisce i polsi (durante la conversazione espone di frequente la delicata parte inferiore del polso e il palmo);
si tocca il collo, area vulnerabile del corpo;
volge il ginocchio in direzione del possibile partner;
volge il piede in direzione del possibile partner (se è in piedi);
intreccia le gambe (quando è seduta), premendole saldamente l’una contro l’altra allo scopo di evidenziarne la
tonicità;
quando incontra lo sguardo di un uomo al quale è potenzialmente interessata, talvolta scuote la testa per agitare i capelli;
espone il collo ruotando la testa o sollevando il mento;
le pupille si dilatano (azione involontaria);
aumenta la frequenza del battito palpebrale;
aumenta la frequenza dei gesti di autocontatto, rivolti generalmente alla coscia e al collo;
scuote la testa per far ondeggiare i capelli sulle spalle o se
li accarezza con la mano;
si liscia il vestito.
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
COMUNICARE SIMPATIA
Infine, dagli studi emerge un altro dato interessante: quanto più la donna lascia che l’uomo si avvicini alla sua borsetta,
tanto più è disponibile nei suoi confronti.
Nel 1961 i produttori cinematografici Albert “Cobby”
Broccoli e Harry Saltzman cercavano un attore cui affidare il
ruolo dell’agente segreto 007. Conclusi i provini, nonostante
le riserve di altri selezionatori scelsero un giovane speranzoso di nome Sean Connery. A Broccoli piaceva il suo “linguaggio corporeo”.
Nel 1967 i due produttori spiegarono in un’intervista cosa
li avesse spinti a scegliere proprio lui, che nel frattempo era
diventato una superstar. Dissero che avevano trovato molto
gradevole “il suo modo di muoversi”.
Saltzman aggiunse che attori come Connery “hanno le movenze di un gatto... ed è rarissimo che un uomo di grande corporatura abbia il passo felpato”.
Nell’ottobre del 1962 debuttò nelle sale di Londra Agente
007 – Licenza di uccidere. Già dalla scena di apertura al casinò,
la critica capì perché i due produttori avessero trovato in lui
l’uomo giusto per trasporre sul grande schermo l’eroe letterario di Ian Fleming.
Lui
Al confronto con quello femminile, il repertorio non verbale maschile appare limitato. La ricerca rivela che l’uomo
possiede scarsa capacità sia di ricevere sia di inviare segnali.
Questa sua prerogativa gli lascia quindi poche possibilità.
In generale il maschio si limita a reagire agli avvisi inviatigli
dalla femmina. Ecco i segnali più frequenti cui ricorre nel “rituale” del corteggiamento quando trova attraente una donna:
assume una postura eretta;
dilata il torace e ritrae l’addome;
lancia sguardi prolungati;
fissa il “triangolo del corteggiamento”, ossia la zona dalla
bocca in giù;
tiene la testa alta;
inizialmente è possibile che adotti un timbro di voce più
profondo;
effettua frettolosi gesti di cura dell’aspetto (si liscia i capelli, si sistema l’orologio al polso, si aggiusta gli abiti,
giocherella con la cravatta).
Buona fortuna, signore mie!
Entrare nel ruolo
Chiacchierata informale
D È un fatto sul quale non avevo mai riflettuto, ma mi pare
di capire che la simpatia che suscitiamo negli altri derivi, in
ultima analisi, dal linguaggio non verbale.
Temo proprio di sì, ed è la simpatia che si comunica con il linguaggio verbale a spingerci ad approfondirne la conoscenza. Chi
ignora gli argomenti di cui abbiamo parlato, lo fa a proprio rischio.
Gli attori di cinema e di teatro sanno bene che la recitazione
richiede la massima padronanza del linguaggio del corpo e che
il loro successo è determinato dalla capacità di dominare la postura, i gesti e i movimenti. Perché non seguire il loro consiglio
e imparare a comunicare quel che vogliamo attraverso il corpo?
D Sì, adesso mi rendo conto di quanto sia importante la voce
e capisco che, sentendo una voce sgradevole, non sono invogliato a conversare. Io stesso credo di avere una voce un po’ monotona, che forse suona ancor meno gradevole al telefono.
Temo proprio che sia così.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
D E capisco anche perché a un certo punto le donne, dopo
una breve conversazione, non si fanno più vedere. Forse hanno
l’impressione che non le ascolti.
Com’è che il discorso va a finire sulle donne? Le interessa solo
parlare di loro?
D Sì, almeno in parte è così. Ma capisco che tutto ciò di cui
abbiamo discusso si riferisce a qualsiasi rapporto: relazioni di
lavoro, rapporti sociali e d’amore.
Certo. Tutto ciò che abbiamo detto vale per ogni aspetto della
vita privata e professionale. Nel caso dei rapporti amorosi vi sono
però alcuni “gesti” e “regole” che si differenziano rispetto a quelli
del normale comportamento sociale e professionale. In generale gli
uomini sono poco abili nel produrre segnali di corteggiamento, e
anche nel coglierli. Compiono troppi errori di interpretazione (e di
conseguenza incassano molti rifiuti!).
COMUNICARE SIMPATIA
esporre il polso e il palmo;
tenere la testa inclinata di lato;
portare lo sguardo verso la zona intima, situata fra il naso
e la bocca se non oltre;
la dilatazione delle pupille (è ciò che accade quando guardiamo qualcosa che ci piace);
toccarsi il collo e la gola;
allontanare i capelli per mostrare il collo e la gola;
gettare i capelli all’indietro con la mano o con un movimento della testa;
accarezzarsi i capelli o la pelle mantenendo il contatto oculare;
protendersi in avanti (sia in piedi sia sedute);
tenere i piedi rivolti verso l’interlocutore;
sistemarsi gli abiti e giocherellarci.
D Questi segnali sono inequivocabili?
No, se li consideriamo singolarmente, ma sono comunque attività osservabili tipicamente nella donna che nutre interesse (anche
solo potenziale) per un uomo. Non basta però la presenza di un
unico gesto. Il gesto singolo è come una parola, e noi dobbiamo
poter leggere una “frase” intera. Se riconosciamo almeno tre gesti,
allora la frase può avere un significato compiuto.
D Quali sono i segnali che noi uomini dobbiamo imparare
a cogliere? Le donne, a quanto pare, sanno già tutto.
Ve ne indico qualcuno perché citarli tutti richiederebbe troppo
spazio. Anche in questo caso è importante basarsi non sul gesto
singolo, ma su un complesso gestuale. I principali segnali del corteggiamento femminile sono:
D E noi donne, che cosa dobbiamo osservare? Sarete pur
capaci anche voi uomini, nonostante la proverbiale inespressività, di lasciar trapelare qualche segnale che ci comunichi attrazione!
Ebbene, signore, noi uomini freddi e inespressivi diamo senza
dubbio minor soddisfazione, ma non manchiamo di segnali ai
quali dovete prestare interesse:
aumento dei rituali di cura della persona (alcuni sono
elencati nel seguito);
portare lo sguardo nella zona intima, fra naso e bocca;
raddrizzare o sistemare la cravatta o il colletto della polo
o della camicia;
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
ravviarsi i capelli;
tirarsi su i calzini;
giocherellare con gli indumenti (un bottone della giacca,
i polsini ecc.);
aumento della gestualità mani-viso;
sguardo ammiccante;
espressione amichevole e attenta.
(Davvero poco in confronto alle signore!)
COMUNICARE SIMPATIA
Pausa caffè
1 La simpatia determina il successo nella vita privata e professionale.
2 Il segreto della simpatia è: suscitare emozioni positive.
3 Gli studi dimostrano che, se mettiamo a proprio
agio l’interlocutore con un contatto oculare appropriato e prestando attenzione quando parla,
lui avrà di noi un’impressione positiva.
4 Le prime impressioni sono molto importanti.
Non sorprende quindi sapere che la prima cosa
che gli altri giudicano di noi è l’aspetto.
5 Il sorriso è il fattore più importante nel determinare la simpatia, in quanto suscita una reazione
speculare nell’interlocutore.
D E nella vita lavorativa? Che cosa possiamo fare per riuscire gradevoli? A mio parere basta lavorare con impegno e
scrupolo.
Per iniziare, consiglio di cercare di migliorare tutti gli aspetti del
linguaggio non verbale di cui abbiamo parlato, valutando accuratamente i dati che emergono dagli studi. In generale, nel decidere
di assumere o di promuovere una persona, manager e imprenditori si basano inizialmente sulla sua gradevolezza. In un secondo
momento, e solo allora, giudicano se sia effettivamente all’altezza
dell’incarico.
6 La capacità di ascolto è anch’essa molto importante nel favorire la gradevolezza di una persona:
le donne tendono ad animarsi di più nelle conversazioni fra loro e, di conseguenza, stabiliscono
prima degli uomini l’intesa reciproca.
7 Le donne ascoltano con tutto il corpo, manifestando segnali visivi che promuovono l’empatia.
8 Gli uomini tendono a manifestare meno indizi visivi per dimostrare di essere intenti all’ascolto. Per
questo le donne si stupiscono quando conoscono
un uomo che sa ascoltare.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
9 Tra i fattori fondamentali per determinare la simpatia o la gradevolezza di una persona vi è, oltre al
contatto oculare, anche l’espressione degli occhi.
10 Un altro elemento importante è la voce; se l’interlocutore ne gradisce il timbro, il tono e l’intensità
si crea un’intesa migliore.
11 Il fattore da cui dipende il nostro “quoziente” di
gradevolezza è, naturalmente, il linguaggio non
verbale.
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APPENDICE
Ricordate le sette regole
del linguaggio non verbale!
1. Per leggere nella mente o nel pensiero altrui dobbiamo osservare:
gli occhi;
le espressioni del viso;
i gesti;
la postura;
i tratti vocali.
2. Ricordate sempre di considerare le “tre C”:
contesto;
coerenza;
complesso.
3. Attenzione: errore di interpretazione.
Rispettare la regola delle “tre C” è il segreto per leggere nella
mente altrui. Trascurandola si corre il rischio di compiere
errori di interpretazione.
4. Ricordate la regola del “55, 38 e 7%”.
5. Siate consapevoli del linguaggio non verbale vostro e altrui
osservando:
le attività dislocate;
i gesti di autoconforto.
6. Nell’analizzare il linguaggio non verbale dovete sempre individuare quei comportamenti che indicano se la persona è
a proprio agio o si sente a disagio.
7. Ogni pensiero induce una reazione fisica.
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Postfazione
Giunti al termine delle sette lezioni, inizia per voi una nuova avventura. Inizierete subito a vedere cose che non avevate
mai notato e ad acquisire gradualmente il controllo sul vostro
linguaggio non verbale. Ricordate che l’impressione complessiva si compone di piccoli dettagli: intervenite su quelli e
scoprirete che vi aiuteranno a migliorare in modo inaspettato
la qualità dei rapporti e l’efficacia della comunicazione.
Osservate le persone con cui venite a contatto nel quotidiano e prestate attenzione al modo in cui anch’esse, volontariamente o no, ricorrono ai gesti e alle azioni di cui abbiamo
parlato. Adesso sapete leggerne il significato.
John Keats accusò Isaac Newton di aver distrutto la poesia
dell’arcobaleno: spiegando scientificamente l’origine dei suoi
colori, lo avrebbe privato del suo magico mistero. Secondo
qualcuno, per un motivo analogo si dovrebbe evitare di spiegare i misteri che sono alla base del comportamento umano. Il
linguaggio non verbale, tuttavia, è un argomento troppo importante perché ci si possa permettere di trascurarlo. Mi auguro che le conoscenze che avete acquisito grazie a queste lezioni
vi aiutino a migliorare le relazioni con il prossimo. A questo
punto potete ritenervi lettori della mente. Non dimenticate
mai che:
la mente formula un pensiero;
il pensiero genera un’emozione;
l’emozione trapela attraverso il linguaggio non verbale;
leggendo il linguaggio non verbale cogliamo l’emozione;
ed ecco che, come per magia, leggiamo nella mente altrui.
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IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Prima di congedarmi voglio ricordarvi che, nonostante
l’impegno a migliorare la comunicazione attraverso quanto
avete appreso, di tanto in tanto vi scontrerete con una certa
resistenza. Non sarà tuttavia a causa del vostro stile comunicativo, ma del fatto che l’interlocutore non ha imparato a “leggere nella mente” del prossimo. Voi avrete la coscienza a posto.
Come suol dirsi, non sempre si può vincere. Per incoraggiarvi,
mi congedo con una citazione:
“L’opera è stata un grande successo, ma il pubblico è stato un fiasco.”
(Oscar Wilde)
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