Apporto degli Osservatori dei media al gioco democratico-1
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Apporto degli Osservatori dei media al gioco democratico-1
COLLOQUE INTERNATIONAL « MEDIAS PUBLICS ARABES ET TRANSITIONS DEMOCRATIQUES » Tunisi, 26-27 aprile 2012 L’apporto degli osservatori dei media al gioco democratico nei paesi in transizione Manuela Malchiodi (Osservatorio di Pavia) Il ruolo che gli osservatori sui media giocano nelle società democratiche, così come in quelle in transizione verso la democrazia, non può che definirsi in relazione al ruolo dei media stessi, e ai modi in cui questi esercitano il loro potere. Dunque è necessaria una breve digressione sul potere dei media. In che cosa consiste il potere dei media? Senza addentrarsi troppo nella questione, dietro alla quale ci sono decenni di studi, teorie e dibattiti, ci si può limitare a un’affermazione su cui c’è un certo consenso tra gli studiosi: l’influenza dei media passa attraverso la selezione e la diffusione di informazioni e la definizione dell’agenda del dibattito pubblico. In altre parole, i media scelgono quali aspetti della realtà portare in primo piano e quali lasciare sullo sfondo, quali temi proporre alla discussione, a quali attori sociali dare accesso e visibilità. In tal modo possono imporre priorità, favorire o marginalizzare istanze e soggetti sociali e politici, e contribuire a rafforzare o a delegittimare opinioni e visioni del mondo. Pur senza voler esagerare il peso relativo dei media rispetto ad altri fattori che influenzano le scelte e le opinioni degli individui, è indispensabile essere vigilanti. Ciò che un osservatorio sui media può fare – e generalmente fa – è interrogare la realtà mediatica attraverso i suoi strumenti di indagine, riflettere sulle rappresentazioni della realtà offerte dai media e sulle loro influenze sulla percezione dei cittadini. Per esempio, alcune ricerche recenti dell’Osservatorio di Pavia, in collaborazione con altri istituti di ricerca che si occupano anche di sondaggi, hanno portato sugli allarmi suscitati dai media nell’ambito sanitario o in quello della sicurezza. I sentimenti di insicurezza della popolazione sembrano sensibili alla rappresentazione mediatica. Così pure, ai timori diffusi nel corpo sociale nei confronti della criminalità straniera non deve essere estraneo il modo in cui certi media insistono sul legame tra la criminalità e l’immigrazione, che spesso esagera il dato reale. A vantaggio di chi si esercita il potere dei media? Un’immagine piuttosto mitica dei media li vorrebbe indipendenti e separati dagli altri poteri, pronti semmai a vigilare sul loro operato e a denunciarne gli abusi. Li vorrebbe voce dei senza voce, al servizio dei cittadini. Benché non manchino i media che ispirano la propria attività a questi principi, spesso la realtà vede i media farsi complici o strumenti di altri poteri, con rischi conseguenti per la democrazia e il pluralismo. Avviene nei regimi autoritari, in cui i media sono generalmente 1 utilizzati come strumenti di propaganda per il regime, semplici prolungamenti del potere esecutivo; avviene anche nei paesi democratici, dove il rischio più ricorrente risiede nelle concentrazioni proprietarie, con le loro evidenti influenze sulle linee editoriali. In questi casi, sono spesso gli osservatori sui media a svolgere quel ruolo di vigilanza, di critica, di tutela dei cittadini a cui i media hanno rinunciato. Ad esempio, è stato molto noto l’impegno di Media Global Watch – e dei vari osservatori nazionali affiliati a questo movimento – contro ciò che definivano il “pensiero unico” veicolato da media sempre più concentrati nelle mani di imprese globali. Per fare un esempio tunisino, si può ricordare l’attività dell’Osservatorio tunisino sui media facente capo a un ombrello di associazioni della società civile (ATFD, AFTURD, LTDH, SNJT, CNLT, OLPEC) che, nell’era Ben Ali, ha svolto il monitoraggio dei media durante le elezioni del 2004 e del 2009, denunciando il controllo dell’informazione da parte dell’ex presidente. Come può essere usato il potere dei media al servizio del processo di costruzione democratica? C’è un certo accordo tra gli studiosi sul fatto che i media possano avere un ruolo come attori dinamici delle transizioni democratiche, anche se rimangono ancora inesplorati molti aspetti di questo apporto (sfida interessante per un osservatorio sui media). Cercando di semplificare e di fissare alcuni punti fondamentali, senza voler essere esaustivi, i media possono dare un contributo alla costruzione della democrazia su vari piani, che corrispondono alle loro sfere di attività essenziali: 1. Il piano dell’informazione: offrire ai cittadini un’informazione completa, trasparente e onesta, in particolare sulle questioni sociali, economiche e politiche più importanti che li riguardano, in modo che essi possano compiere le loro scelte con cognizione di causa e improntare il loro agire sociale alla consapevolezza. Mission importante del giornalismo è approfondire la conoscenza della realtà attraverso gli strumenti dell’inchiesta, volgarizzare i concetti più complessi per la popolazione meno istruita, far risalire fino alle autorità i bisogni informativi e le esigenze della popolazione, ecc. 2. Il piano della rappresentazione del reale: ritrarre la diversità sociale nella sua ricchezza, assicurare l’accesso ai media di tutti i gruppi e le istanze sociali, comprese le minoranze e i gruppi marginalizzati, per favorire il dialogo sociale, il rispetto della diversità e per alimentare una cultura realmente pluralista. Nei periodi elettorali, diventa essenziale per una corretta competizione politica garantire una copertura equa di tutte le forze in competizione. 3. Il piano della sensibilizzazione e dell’educazione civica: coinvolgere i cittadini negli obiettivi collettivi, nell’azione civica, offrire loro gli strumenti per comprendere il significato, le implicazioni, il funzionamento dei processi sociali e politici cruciali, sviluppare campagne sociali per favorire il comportamento civico in vari ambiti. Nei periodi elettorali, i media possono svolgere un ruolo cruciale nel mobilitare e informare l’elettorato. 4. Il piano della partecipazione: incentivare la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, creando spazi e modalità di coinvolgimento e arene di dibattito, così da alimentare la cultura del dialogo tra le varie componenti sociali. 2 D’altro canto, perché i media possano dare effettivamente un contributo positivo in questo senso, è necessario che alcune condizioni siano soddisfatte: 1. Che i media siano liberi di esprimersi e di svolgere il loro lavoro senza restrizioni, che i loro diritti siano rispettati e che sia garantito il loro libero accesso all’informazione. 2. Che i media siano plurali e diversificati: la buona e libera informazione non fiorisce nel monopolio. 3. Che i media agiscano con professionalità e nel rispetto la deontologia, e assumano pienamente la loro responsabilità sociale. Ruolo degli osservatori sui media e apporto al gioco democratico 1. Compito essenziale degli osservatori dei media è verificare, attraverso opportune metodologie di indagine, se le condizioni sopra descritte sono soddisfatte; se i diversi media offrono un contributo positivo all’affermarsi e al diffondersi di una cultura democratica, o al contrario la frenano; quali sono gli ostacoli e le principali debolezze che emergono, e se questi sono riconducibili a défaillances dei singoli media oppure a condizioni strutturali del paesaggio mediatico o, ancora, a un quadro normativo carente. Per questo lo sguardo deve rivolgersi sempre, e contemporaneamente, ai contenuti dei media e al loro contesto, il che richiede un’analisi del quadro normativo e istituzionale dei media, del paesaggio mediatico e del contenuto dei media. Quest’ultimo aspetto può richiedere grandi investimenti in termini di risorse tecniche, umane e finanziarie. Di particolare rilevanza è il monitoraggio del pluralismo socio-politico, cruciale soprattutto durante le elezioni. Si tratta di una tecnica di osservazione scientifica, basata sull’analisi del contenuto, che permette di analizzare in maniera obiettiva e rigorosa la copertura riservata alla campagna elettorale e ai suoi attori. I risultati consentono di valutare se e quanto i media, soprattutto quelli pubblici, adempiono alla loro missione di informare in modo obiettivo e completo gli elettori e contribuiscono così a un’elezione libera, trasparente, equa. Analizziamo più da vicino in che cosa consiste l’apporto di un osservatorio dei media al gioco democratico, e in che modo i suoi effetti virtuosi possono essere amplificati. • È prima di tutto un apporto di conoscenza e di vigilanza: la presenza di una struttura professionale, di ricercatori formati alle metodologie di osservazione, di un equipaggiamento tecnico di certe dimensioni permette di monitorare in maniera costante, sistematica, scientifica il settore mediatico, vigilando sul suo buon funzionamento e cogliendone facilmente e precisamente le debolezze; permette di vigilare al tempo stesso sulla libertà e sulla responsabilità dei media; permette di rinnovare continuamente le domande e, infine, di mantenere viva la riflessione su un settore di pubblica utilità come quello dei media. • L’apporto degli osservatori sui media non si limita, generalmente, alla conoscenza pura, ma può tradursi in diverse forme di azione, con ripercussioni positive sul corpo sociale e effetti virtuosi sul processo democratico: o Divulgazione: creare occasioni per familiarizzare l’opinione pubblica con le pratiche della corretta informazione e per rassicurarla sull’esistenza di un organismo che ha, tra gli altri, l’obiettivo di proteggerla dalle manipolazioni e dall’informazione viziata. 3 A questo fine, un osservatorio sui media può organizzare incontri rivolti alla cittadinanza, o diffondere i risultati delle sue indagini attraverso i principali media, meglio ancora se con appuntamenti fissi. Un esempio interessante è fornito dall’OLPED (Observatoire de la liberté de la presse, de l'éthique et de la déontologie) in Costa d’Avorio, che per diversi anni ha pubblicato sulla stampa e diffuso attraverso la radio e la televisione i risultati del suo monitoraggio quotidiano, che si occupava di registrare le violazioni della deontologia da parte di un giornalismo spesso molto aggressivo e fazioso. o Formazione/educazione: spesso gli osservatori mettono la loro esperienza e i risultati delle loro ricerche al servizio della formazione dei giornalisti e operatori dei media, per sensibilizzarli sulle buone pratiche e migliorarne la professionalità. Molti osservatori svolgono anche progetti di educazione ai media nelle scuole, utili per formare le nuove generazioni a una concezione democratica dell’informazione. Alcune esperienze internazionali interessanti, a cui l’Osservatorio di Pavia ha partecipato in paesi dell’Africa sub-sahariana - dove le radio associative hanno una grande importanza ma in certi casi concorrono ad alimentare le tensioni etniche consistono nel coinvolgimento degli osservatori dei media e delle radio in uno stesso progetto: l’osservatorio, attraverso un monitoraggio iniziale, rileva le principali défaillances nell’informazione, nella conduzione di dibattiti, in generale nella programmazione radiofonica; in una seconda fase esso restituisce questi risultati sotto forma di formazione e sensibilizzazione rivolte al personale delle radio; la terza tappa implica un nuovo monitoraggio per valutare gli effetti della formazione e l’opportunità di nuovi interventi mirati. o Consulenza e stimolo alle istituzioni incaricate dei media, in particolare alle istanze di regolamentazione e controllo. Grazie alle conoscenze acquisite possono aiutare le istituzioni nell’identificare le aree deboli del paesaggio mediatico, che richiedono interventi e riforme. Durante i periodi elettorali, in cui vigono regole più rigide e un controllo più stringente sui media, gli osservatori possono esercitare un ruolo di mediazione tra le istituzioni e i media, per facilitare la negoziazione delle regole e la comprensione dei criteri del monitoraggio. Normalmente non spetta agli osservatori, neanche se facenti capo alle istituzioni di regolamentazione e sorveglianza, il compito di applicare i richiami e le sanzioni in caso di inosservanza delle regole. Tuttavia essi forniscono alle istituzioni competenti tutte le informazioni necessarie per questi interventi, importanti per incentivare il rispetto delle norme e per assicurare la parità di trattamento di tutti i media, in base alle responsabilità definite dal loro statuto e dalle loro convenzioni. o Protezione della legalità e forme di pressione sui media e sulle autorità: l’esistenza di un osservatorio sui media, e un buon uso dei risultati dei suoi monitoraggi, può servire come forma di pressione nei confronti dei media che non rispettano le regole giuridiche e professionali. D’altro canto, la pressione può rivolgersi alle autorità e alle istituzioni, qualora esse siano responsabili di leggi, misure, azioni che non tutelano la libertà dei media. Si pensi all’attività di organizzazioni internazionali come Article 19, Reporters sans Frontières e International Freedom of Expression Exchange. 4 Vantaggi e limiti dei vari Osservatori dei media Esiste una tipologia molto ampia di osservatori dei media, che operano in maniera diversa in base al loro statuto, alla loro composizione, alla loro mission dichiarata. Qui di seguito si delineano alcune tipologie “pure”, cercando di metterne in luce le principali capacità e i principali limiti. A. Osservatori legati alle istituzioni di regolamentazione dei media Solitamente gli organi di regolamentazione dei media si appoggiano su osservatori per lo svolgimento dei loro compiti di sorveglianza. La loro mission consiste essenzialmente nella verifica del rispetto delle regole. > Il loro vantaggio è che, essendo permanenti e avendo una copertura finanziaria, possono svolgere un monitoraggio costante e professionale. La loro vicinanza alle istituzioni di regolamentazione rende particolarmente efficace la loro osservazione, che si traduce poi in interventi di richiamo, sanzionatori, ma spesso anche interventi formativi o comunque finalizzati a migliorare le performance dei media e le condizioni in cui operano. > La loro debole autonomia rispetto all’autorità di regolamentazione può generare problemi qualora quest’ultima non sia realmente indipendente rispetto ai poteri forti, e/o sia infiltrata dalla politica. Un altro limite che talvolta si osserva è che il controllo della legalità, posto al cuore della loro attività, finisce talvolta per monopolizzarla, mentre altri aspetti altrettanto importanti della produzione mediatica rimangono trascurati. In Tunisia, l’Unité de monitoring des médias dell’ISIE costituitasi durante il processo elettorale si avvicinava a questo modello, fatto salvo il carattere non permanente dell’ISIE e, di conseguenza, anche della sua unità di monitoraggio. I suoi membri sono stati scelti, tra un certo numero di candidati appartenenti a diverse categorie, dall’HIROR, una commissione indipendente in cui quasi tutto lo spettro politico e le principali associazioni della società civile erano rappresentati, cosa che ne ha favorito l’imparzialità. B. Osservatori legati agli organi di autoregolamentazione dei media Sono molto frequenti gli osservatori creati in seno alle associazioni di giornalisti e operatori dei media, che vigilano sul rispetto della deontologia. In Tunisia esiste, in seno al SNJT, un Observatoire de la déontologie. Molte esperienze interessanti e di grande efficacia sono nate in questo ambito. La loro mission fondamentale consiste nel miglioramento della professione e nell’affermazione di standard professionali elevati. > Il loro vantaggio è di essere costituiti da professionisti del mondo dei media, che ne conoscono ogni sfumatura e condividono il linguaggio e le preoccupazioni. Spesso la loro autorità è accettata dai giornalisti più facilmente rispetto a quella di organi esterni, statali, percepiti come censori. > L’evidente limite di questo tipo di Osservatori risiede anch’esso nella loro composizione: gli osservatori coincidono con gli osservati e il conflitto di interessi è inevitabile. Inoltre, l’efficacia dell’autoregolamentazione è molto legata al contesto culturale, e l’esperienza dimostra che in alcuni paesi essa non attecchisce bene. Infine, anche il finanziamento di 5 questi Osservatori si rivela spesso un fattore problematico: in situazioni di scarsità di fondi e assenza di finanziamenti pubblici, la scelta è tra l’interruzione dell’attività e l’esposizione all’influenza di società e imprese private. C. Osservatori delle associazioni della società civile Si incontrano in questo campo molteplici esperienze, diverse per origine, obiettivi, composizione, base finanziaria e fonti di finanziamento, capacità metodologiche e tecniche, continuità nel tempo. Dall’osservatorio estemporaneo e “artigianale”, nato per seguire un particolare momento o evento (solitamente le elezioni), in cui spesso la buona volontà supera le effettive capacità, fino all’osservatorio professionale e permanente; dall’iniziativa intrapresa per vegliare sul rispetto della libertà di espressione a quella che vuole difendere gli utenti dalle diverse forme di manipolazione messe in atto dai media (pubblicitaria, politica, ecc.), all’osservatorio interessato alla rappresentazione delle categorie sociali sfavorite (ad esempio le donne, i minori, le minoranze etniche). Solitamente questi Osservatori nascono sotto la spinta di un impegno militante ed esprimono una volontà di cambiamento ispirata a particolari convinzioni ideali. > In questa categoria si incontrano esempi molto interessanti e dinamici di osservatori sui media, e la loro esistenza è generalmente auspicabile perché riesce a mantenere vivo il dibattito sul ruolo e le prestazioni dei media, e ad esprimere le esigenze di molteplici categorie sociali. Nei paesi non democratici, spesso rappresentano forme di resistenza alla repressione dei media e al pensiero unico e mantengono in vita un pensiero critico sui media e sul loro uso politico. > Per contro, i limiti che vi si riscontrano più spesso sono: una professionalità talvolta carente, una disponibilità limitata di mezzi, una scarsa chiarezza e scientificità dei progetti, scelte di campo e presupposti ideologici che a volte incidono sull’obiettività e il rigore della ricerca. Inoltre, i loro risultati sono spesso considerati poco affidabili dagli attori interessati (media, istituzioni, partiti, ecc.), a causa di una presunta partigianeria implicita. Un esempio positivo riconducibile a questa categoria è l’Observatoire tunisien des médias, coordinato nel 2011 dall’ATFD. Positivo perché nel corso degli anni ha compiuto sforzi per la professionalizzazione, ha acquisito una certa permanenza realizzando il monitoraggi dei media in ogni scadenza elettorale (2004, 2009, 2011), ha potuto ottenere finanziamenti che gli consentono progetti ambiziosi senza interferenze indebite, ha una composizione variegata (un certo numero di associazioni di diversa natura) e un comitato scientifico composito che dà autorevolezza ai risultati. D. Osservatori nati all’interno di istituzioni culturali Si tratta generalmente di centri studi, perlopiù creati in seno alle Università. Ma può trattarsi anche di istituti di ricerca privati. La loro mission è generalmente e prevalentemente conoscitiva. > Il loro principale atout sta nell’essere culturalmente innovativi, all’avanguardia dal punto di vista metodologico, spesso caratterizzati da una ricchezza che risiede nella multidisciplinarietà delle competenze messe in gioco, nella vastità, nell’approfondimento e nella pertinenza dei progetti di ricerca. Il coinvolgimento di studenti nelle ricerche, con le sue ripercussioni educative, è un altro vantaggio significativo. Inoltre, la collocazione ne permette solitamente la permanenza. La loro indipendenza è generalmente maggiore rispetto ad altri tipi di osservatorio, ma questo dipende naturalmente dal contesto. 6 > I limiti possono consistere, invece, in una debole efficacia pratica della loro attività di ricerca. La qualità del loro lavoro dipende dall’importanza accordatagli dall’ambiente scientifico, dalle strategie degli istituti e dagli investimenti materiali, che a volte sono limitati. Accanto a queste categorie, esistono anche osservatori che sono prima di tutto imprese operanti nel settore della ricerca sui media, che lavorano dietro commessa e a progetto. Quelle sopra descritte, come si è detto, sono tipologie “pure”. Capita però sempre più spesso di incontrare forme ibride di osservatori, che uniscono aspetti e componenti riconducibili alle diverse categorie descritte o che nascono da sinergie tra diverse iniziative. Molti osservatori, ad esempio, cercano di includere nei comitati direttivi i rappresentanti dei media, delle istituzioni, i cittadini appartenenti ad associazioni della società civile, i membri di istituti accademici. In altri casi, le istituzioni preposte alla regolamentazione dei media si appoggiano su osservatori esterni, nello svolgimento dei loro compiti di vigilanza. L’Osservatorio di Pavia rappresenta appunto una forma ibrida, poiché si tratta: > di una società cooperativa, dunque una realtà economica (anche se no-profit) sul mercato della ricerca > che è nata in stretto legame con l’Università > che svolge un monitoraggio permanente delle TV del servizio pubblico, il quale usa questi dati per correggersi in caso di necessità – dunque nel quadro di un’autoregolamentazione – ed è tenuto a trasmetterli alla Commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI > che svolge funzioni di vigilanza per le istituzioni di controllo dei media regionali > che partecipa a progetti di istituzioni internazionali (UE, OSCE, ecc.) di osservazione o di assistenza tecnica nel campo dei media > che offre spesso i suoi servizi (ricerche, monitoraggi) a vari tipi di associazioni Conclusioni Nel caso tunisino, l’osservatorio istituzionale legato all’ISIE nel periodo elettorale ha giocato un importante ruolo di regolazione. Purtroppo la sua attività si è conclusa al termine della fase elettorale, e la costituzione della HAICA, che prevede anche un’attività di osservazione dei media, sembra procedere a rilento. Si è concluso anche il monitoraggio svolto dall’osservatorio della società civile e continua ad apparire debole il ruolo dell’osservatorio sulla deontologia del SNJT, che andrebbe invece rafforzato, così come tutto il lavoro e la riflessione sull’autoregolamentazione. La conseguenza è che si è lasciato sguarnito un settore in piena evoluzione e denso di problemi, che invece richiederebbe un’attenzione sistematica e costante. Certo, rimane lo sguardo attento di organismi internazionali come RSF e Article 19, la cui presenza è importante; tuttavia sarebbe auspicabile un’iniziativa strutturata di osservazione nazionale. Che tipo di osservatorio sarebbe più indicato nel caso tunisino? Questa rimane naturalmente una domanda aperta e un invito alla riflessione. Per quanto mi riguarda, sono in generale favorevole alle forme ibride, con una componente universitaria importante ma non esclusiva. Ma ogni situazione richiede una valutazione specifica: se si punta alla creazione di un osservatorio in grado di fornire le 7 maggiori garanzie di indipendenza, è necessario valutare il contesto e i suoi centri di potere e di contro-potere. Generalmente la coesistenza di più osservatori, con le loro diverse prospettive e competenze, è solitamente positiva, a maggior ragione nei paesi in transizione democratica. La Tunisia, paese che sta riformando un sistema mediatico duramente provato dal regime di Ben Ali e ancora pieno di incertezze, si avvantaggerebbe dall’esistenza di pesi e contrappesi anche nell’ambito dell’osservazione dei media. Riferimenti bibliografici ARTICLE 19, Guidelines for Election Broadcasting in Transitional Democracies, London 1994 Freedom of Expression Handbook, International and Comparative Law, Standards and Procedures, London 1993 Bentivegna Sara, Mediare la realtà. Mass media, sistema politico e opinione pubblica, Franco Angeli, 2002 Compendium of International Standards for Elections ec.europa.eu/europeaid/what/humanrights/election_observation_missions/documents/compendium__int_standards_en.pdf De La Brosse Renaud, Quelques pistes de réflexion sur le rôle des Médias dans les transitions démocratiques, Les Cahiers du Journalisme n. 10, printemps-été 2002, pp. 228-245 Guidelines on Media Analysis during Elections Observation Missions (Prepared in co-operation between OSCE’s Office for Democratic Institutions and Human Rights, the Council of Europe’s Venice Commission and Directorate General of Human Rights, and the European Commission) www.venice.coe.int/docs/2005/CDL-AD(2005)032-e.pdf Instance Supérieure Indépendante pour les elections, Monitoring des medias en période électorale, Juillet 2011 Moussa Zio, l’OLPED pionnier de l’autorégulation des médias en Afrique, Fédération Internationale des Journalistes http://africa.ifj.org/assets/docs/111/239/3f7536f-e81c1ef.pdf Osservatorio europeo sulla sicurezza, L’insicurezza sociale ed economica in Italia e in Europa. 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