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La Rete delle donne a Torino
Il weekend del 14-16 ottobre 2016 ha rappresentato un momento
di comunione e di crescita importante per referenti e interessate
della rete delle donne luterane in Italia. Nei tre giorni,
magistralmente organizzati da una instancabile Katia Cavallito, si
è affrontato il tema del cibo da molteplici punti di vista.
La sede che ha ospitato il nostro gruppo, deliziandone il palato con
cibi biologici a km zero, e l’anima con la presenza sempre allegra
e positiva di Cecilia è quella dell’Arcabalenga. L’Arcabalenga è
un’associazione di vicinato nata come mutuo aiuto e scambio di
competenze tra vicini di casa. Col tempo i locali di questo centro
hanno ospitato corsi di ginnastica per i soci, doposcuola e anche
scuola di arabo aperta a tutti i bambini. Le mamme del quartiere
hanno trovato in quest’Arcabalenga il luogo ideale dove far
giocare i loro bambini d’inverno e dove ad esempio le signore più
anziane del quartiere si propongono di rammendare o creare
vestitini per i bambini. E, proprio da quest’esperienza positiva, le
mamme hanno portato avanti un progetto che ha permesso ai loro
bimbi di poter usufruire di uno spazio verde a loro dedicato
durante la bella stagione: lo St’Orto Urbano. Lo St’Orto Urbano è
stato realizzato in uno spazio pubblico abbandonato ed in stato di
degrado. I genitori ed i soci dell’Arcabalenga si sono dati da fare
ripulendo questo terreno, seminando, piantando alberi e
allietandolo con giochi per bambini tutti costruiti con materiale di
riciclo e tanta fantasia.
In quest’Arcabalenga ricca di iniziative e umanità, si è aperto il
nostro viaggio nella nutrizione con l’intervento della giovane
dietista, dott.ssa Rosso Elisa, che ha affrontato il tema della
sostenibilità in tavola e dell’alimentazione consapevole.
La dottoressa ha spiegato che il cibo che risulta più sano per il
nostro organismo e per l’ambiente è quello che ha subito meno
passaggi, meno trasformazioni, ad esempio è meglio mangiare uno
yoghurt intero che uno light. È sempre importante leggere l’elenco
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degli ingredienti; più sono, più quel cibo potrebbe far male. La
dottoressa Rosso ci ha fatto notare come l’industria alimentare
spesso si concentri su un alimento da mettere al bando, come ad
esempio, quest’anno, l’olio di palma, per poi produrre prodotti
senza tale ingrediente ed aumentare la vendita proprio basandosi
su questo allarme. In realtà tutti gli oli usati per fare biscotti,
merendine ecc. vengono trattati ad alte temperature e quindi sono
nocivi. L’olio migliore per la cottura è quello d’oliva perché ha il
punto di fumo più elevato e quindi non altera la sua composizione
in cottura. A sorpresa, va molto bene anche il burro per cucinare le
torte. Durante questo seminario abbiamo potuto comprendere
anche quanto sia grande lo spreco alimentare e quanto ogni
alimento sia frutto di un elevato sfruttamento di risorse naturali,
come acqua e terreno.
E visto che non siamo fatti di solo corpo, in questi tre giorni ci è
stato proposto anche del cibo per l’anima attraverso la biodanza
condotta da Coral Carte. Una danza molto dolce che attraverso
movimenti del corpo e delicati contatti fisici, ci ha fatto sentire
serene e unite.
La giornata si è conclusa con l’incontro ecumenico nel Duomo di
Torino alla presenza del cardinale Koch, presidente del Pontificio
Consiglio per l’Unità dei Cristiani, dell’Arcivescovo di Torino
Nosiglia, del decano luterano Heiner Bludau, del rappresentante
della chiesa ortodossa e della rappresentante della chiesa valdese,
Eugenia Ferreri. Un incontro profondo e ricco di buone intenzioni
verso un cammino di condivisione ed avvicinamento, culminato
con l’accensione di grandi ceri, uno per ciascuna delle
intercessioni espresse dai rappresentanti dei vari credo presenti.
La seconda giornata si è aperta con la preghiera mattutina seguita
dall’incontro con Vittorio Castellani detto chef Kumalè. Vittorio
ha incantato tutte noi con il suo racconto di vita e di esperienza.
Nasce come giornalista e dà vita a reportage sul cibo e sulla sua
provenienza, ad esempio Coffee roots. Viaggio alle radici del
caffè, con il sostegno di Lavazza e filmato dalla National
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Geographic. Uomo di grande conoscenza si trova a lavorare anche
in radio e, un giorno, proprio mentre racconta della cultura del
quartiere arabo di Torino e della sua bellezza, una cittadina lo
chiama in diretta lamentandosi della pericolosità del luogo.
Vittorio risponde, con ciò che credeva essere una battuta,
dicendole che ce l’avrebbe accompagnata lui. Da quel momento in
radio iniziano a raccogliere le prenotazioni dei torinesi interessati
e Vittorio si trova a portare due gruppi di persone in questo
quartiere, da qui, nasce una nuova attività che lui chiama Turisti
per casa. Durante questo percorso, che alla fine ci è parso come un
percorso anche introspettivo sulle nostre paure ed i nostri
pregiudizi su una cultura che non conosciamo e che per i fatti
sanguinosi di questi ultimi decenni, ci spaventa, siamo entrate in
un negozio arabo. Tra una miriade di spezie, pentole, teiere e cibo,
Vittorio ci ha spiegato questa cultura. Ci ha mostrato la tipica
pentola in terracotta in cui sotto viene messa la carbonella e nel
ripiano sopra i cibi vengono cotti lentamente. Ai nostri piedi
c’erano dei grandi piatti che lui ci ha spiegato essere quelli
tradizionali per servire il cous cous a tavola. Una curiosità; il
nome cous cous deriva dal suono che facevano i bracciali delle
donne mentre lo sgranavano.
Passando al reparto macelleria il nostro chef Kumalè ci ha
spiegato che la tecnica di macellazione araba è molto particolare.
Innanzitutto il macellaio o è lo stesso imam o deve essere andato a
scuola dall’imam ed avere imparato le preghiere da recitare
durante la macellazione. Questo rituale deriva dal fatto che l’uomo
si arroga il potere di togliere la vita, potere che spetta solo a Dio e
quindi deve pregare Dio per farlo. L’uccisione dell’animale
avviene tramite la rescissione della giugulare che provoca un
dissanguamento repentino. Studi scientifici hanno dimostrato che
questo tipo di macellazione stressa meno l’animale dando di
conseguenza una carne più sana. Inoltre, affinché la carne sia
mangiabile, cioè halal, l’animale in vita non deve aver mangiato
determinati cibi o assunto determinati medicinali, altrimenti
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diventata, haram, cioè non buono, quindi vietato. Perché per la
religione islamica esistono tre tipologie di cibo: ammesso, vietato
e neutro.
Infine, ci ha spiegato il rito del tè ed in particolare di come il tè
che viene servito oggi nei paesi arabi sia il frutto di un
naufragio… Infatti secoli fa una nave inglese affondò nei pressi
del Marocco. L’equipaggio ed alcune casse di merci vennero tratte
in salvo dai marocchini. Gli inglesi per ringraziarli gli offrirono il
loro tè contenuto proprio in alcune delle casse salvate. Il tè
inglese, duro, dal gusto tannico e rigorosamente servito senza
zucchero non fu minimamente apprezzato dai marocchini che a
loro volta offrirono agli inglesi il loro estremamente zuccherato
che a sua volta non piacque agli inglesi. Fu così che cercando la
giusta mescolanza di gusti si arrivò al tè che ancora oggi si serve
nel mondo arabo.
Il nostro Vittorio ci ha poi portate alla pasticceria marocchina
gestita da una donna – Saida – perché il Marocco è molto
emancipato al riguardo e permette alle donne di lavorare e di
ereditare come da noi. Squisiti dolci marocchini, ricchi di miele,
frutta candita, datteri, pistacchi ci sono stati offerti dalla
proprietaria insieme ad un delizioso tè alla menta. Con qualche
dolcetto nella borsa siamo uscite per andare a vedere il mercato
coperto di Porta Palazzo in cui le culture diverse si riuniscono per
vendere i propri prodotti tipici. Qui, girando per le bancarelle
ricolme di ogni tipo di frutta e verdura anche in formato maxi,
come i broccoli e le melanzane, abbiamo potuto scoprire vegetali
nuovi che dai cinesi ora vengono coltivati anche in Italia, fasci di
menta che usano gli arabi per il tè ecc. a dimostrazione di come
l’arrivo di altre culture abbia arricchito di sapori, colori e gusti le
nostre tavole a costi inferiori.
All’interno del mercato coperto abbiamo trovato numerose
macellerie gestite da diverse etnie. L’arrivo dei flussi migratori a
Torino ha portato dei grandi cambiamenti e benefici
nell’economia del quartiere di Porta Palazzo. Ad esempio, c’era
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un macellaio italiano la cui attività risentiva pesantemente della
crisi economica. Questo macellaio ha notato l’afflusso di rumeni
che caratterizzava quel periodo ed ha notato come questi
immigrati facessero la cosa più naturale per ogni persona, ossia
ricercare nel luogo in cui erano arrivati i sapori della loro terra
natia, che ovviamente non trovavano. Nasce così l’idea di
produrre insaccati e altre specialità come da ricette rumene che
frutterà al macellaio, sull’orlo del fallimento, il successo. A loro
volta i dipendenti rumeni di questo commerciante italiano,
osservando il guadagno del macellaio, si mettono in proprio con
l’idea vincente e milionaria di creare un import di prodotti tipici
rumeni. E così un’economia che pareva sull’orlo della fine si è
ripresa proprio grazie all’immigrazione. Passando tra i banconi di
questo mercato, la nostra guida ci ha fatto notare come la presenza
di macellerie gestite e rivolte a diverse nazionalità, sia utile per
abbattere lo spreco alimentare. La nostra società occidentale,
infatti, dell’animale ucciso consuma solo il 30%, perché vuole
solo mangiare le parti più pregiate o più veloci e facili da cucinare.
In questo mercato, invece, si possono notare esposte tutte le parti
dell’animale, perché più le etnie sono povere, più parti
dell’animale mangiano. E quindi si è passati da uno scarto del
70% a quasi zero! Inoltre trattandosi di parti poco pregiate
dell’animale costano molto meno, attirando così in questo mercato
anche anziani e studenti italiani che hanno bisogno di risparmiare.
Salutato Vittorio Castellani, il nostro palato è stato deliziato da un
pranzo tipico arabo al centro italo-arabo Dar al Hikma. Questo
centro è situato presso i bagni hammam di Torino. L’hammam è
nato quando gli immigrati appena arrivati a Porta Palazzo
trovarono ad accoglierli edifici che non erano provvisti di docce o
bagni. Autotassandosi, la comunità araba, ha trovato un edificio,
dove prima c’erano le docce pubbliche per gli immigranti
dall’Italia del Sud, chiuso ed in disuso e lo hanno ristrutturato a
trasformato in hammam con sotto un ristorante. In questo
ristorante vengono preparati cibi arabi e italiani, in questo modo,
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gli italiani imparano a conoscere il cibo arabo e gli arabi il cibo
italiano permettendo uno scambio ed una conoscenza che passa
dal palato per poi arrivare alle persone.
Durante la nostra permanenza nel centro abbiamo conosciuto il
dottor Younis Tawfik che da iracheno venuto in Italia una trentina
di anni fa ha fornito una sua visione politica e sociale riguardante
la situazione mondiale attuale ed il terrorismo che potrebbe
meritare maggior spazio ed attenzione anche nelle nostre chiese,
perché la voce di chi certe esperienze di guerra e di vita in paesi
che per noi sono solo pezzi di una cartina geografica si potrebbe
rivelare molto utile per la costruzione di un nostro pensiero
occidentale più consapevole e quindi più incisivo.
Tornate all’Arcabalenga abbiamo conosciuto alcune splendide
persone che prestano la loro opera con gioia ed amore in
associazioni di volontariato.
Ad esempio, un progetto che ha colpito particolarmente tutte noi è
quello di Farina nel sacco. In questa panetteria vengono venduti
pani creati con farine selezionate e macinate a pietra, preparati e
cotti nei forni del carcere di Torino da detenuti inseriti in un
programma di recupero, supervisionati e diretti da panettieri
professionisti. Questa iniziativa ha lo scopo di dare una
professionalità spendibile una volta fuori dal carcere a questi
detenuti, perché studi dimostrano che la percentuale di recidiva tra
i detenuti che hanno avuto un percorso di recupero professionale
in carcere è nettamente minore di quella di chi non l’ha avuto.
Oltre a questo panificio, progetto ricco di buoni sapori antichi e
tanto entusiasmo, c’è stata l’idea di creare un ristorante all’interno
del carcere stesso che ha appena aperto al pubblico. I detenuti si
sono anche specializzati nella produzione di pasticceria e quindi
anche di panettoni per Natale che confezionano e spediscono
ovunque.
Silvia Venturini ci ha illustrato, invece, il progetto Fare bene. Qui
l’idea innovativa sta nell’avere creato delle liste di persone
bisognose che si iscrivono a questo progetto e che sono visibili
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presso ogni stand del mercato che vi aderisce. Ogni persona che va
al mercato può decidere di acquistare un prodotto in più da
destinare a questo progetto ed in cambio, chi riceve l’aiuto si
adopera per restituire il favore proponendosi per piccoli lavoretti,
tipo pulizie, fare la spesa, portare pesi al posto degli anziani e così
via, in modo da trasformare l’aiuto ricevuto da passivo a scambio,
così da restituire dignità e responsabilità in chi riceve e maggiore
soddisfazione in chi lo dà.
La domenica mattina è arrivato il momento di riflettere su tutte le
esperienze che abbiamo fatto. Quello che è emerso è che ciascuna
di noi ha preso consapevolezza dell’esistenza di molte ottime
iniziative sociali degne di essere esportate anche nelle nostre
chiese, di come il cibo possa essere fonte di integrazione e di
come si capisca e conosca poco del fenomeno dell’immigrazione.
Ci siamo portate a casa sicuramente la voglia di migliorare e
l’entusiasmo che abbiamo visto negli occhi e nel lavoro delle tante
persone speciali che abbiamo conosciuto e che ci hanno fatto
capire che se anche il mondo a volte pare andare a rotoli esiste ed
esisterà sempre qualcuno che nel silenzio si adopera per fare del
bene, per trovare soluzioni a problemi che sembrano sovrastarci,
che porta speranza e amore.
Il nostro incontro si è concluso con un culto sulla salvaguardia del
creato.
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