Istruzioni per non mandare l`intelligenza in vacan
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Istruzioni per non mandare l`intelligenza in vacan
ISTRUZIONI PER NON MANDARE L’INTELLIGENZA IN VACANZA, PERMANENTE. L’appuntamento estivo con “Le vacanze intelligenti” del Cinema ABC di Bari è una delle tante occasioni per riflettere sulla necessità di articolare al meglio, a Bari e in Puglia, l’offerta culturale (in questo caso cinematografica) con strutture come mediateche e biblioteche che concertino insieme quelle azioni che nel linguaggio tecnico sono chiamate di audience development (sviluppo del pubblico), aprendosi al mondo delle associazioni e dell’iniziativa privata. Ancora meglio se queste azioni sono organizzate coordinando e mettendo in rete anche musei e archivi, centri studi e università. In questo caso si tratta di un’occasione perduta, ma prendiamola come esempio e proviamo nel nostro piccolo a porvi rimedio. Scopriremo la prima “legge” dell’audience development che è quella di rinunciare ad una comunicazione verticale, per favorire la nascita di pubblici anziché di un indistinto lavoro sul “pubblico”, come entità astratta o ridotta ad un presunto “target” (obiettivo che connota il prodotto per fasce d’età, ceto sociale eccetera). Al lavoro “per il pubblico” si sostituisce quello “con il pubblico”, quello per il quale nascono (o meglio: dovrebbero nascere) le biblioteche. Quello che dovrebbe vedere pubblico e privato lavorare come sistema cultura, dove le biblioteche aiuterebbero le librerie e le mediateche i cinema. Chi non ci crede, e continua a pensare di poter vivere di aiuti pubblici a proprio sostegno, paga oggi lo scarso rendimento dei suoi investimenti. Verrebbero ad essere molto più produttivi se allo Stato si lasciasse soprattutto il compito di organizzare l’offerta pubblica di luoghi di libero e gratuito accesso alla cultura, che non siano a loro volta luoghi separati, ma che lavorino sull’offerta culturale del proprio territorio, consentendo gli approcci differenziati dei vari pubblici e facendo nascere, sulle iniziative dei privati (organizzatori di eventi e associazioni, librerie, teatri e cinema) “conversazioni” che possano sedimentare e diventare conoscenza (cfr. R. David Lankes, “L’Atlante della biblioteconomia moderna”, Bibliografica, Milano 2014). Vediamo nel dettaglio il programma della rassegna cinematografica. Con intelligenza Angelo Ceglie, direttore artistico della rassegna e responsabile del Circuito D’Autore, ha articolato diversi percorsi tematici. Purtroppo non sono facilmente leggibili perché mancano quelle azioni congiunte di cui sopra: incontri collaterali, proposte di lettura e di visione nelle biblioteche, nelle librerie e nella Mediateca, mostre e tanto altro ancora. Uno di questi percorsi si è chiuso Venerdì 22 luglio, con un piccolo gioiello dimenticato nel “banco dei pegni” della storia del cinema: “Il fantasma e la signora Muir” (1947), di Joseph L. Mankiewicz. Musicato da quel Bernard Herrmann, già premiato nel 1941 con un Oscar, che connoterà in seguito in modo inconfondibile i film di Hitchcock. Una pellicola che insieme a quella di Martin Scorsese “Alice non abita più qui” (1974), riproposta nel ciclo dei classici d’autore, ci rimanda non solo alla musica, ma anche all’attuale invasione di serie tv con i loro primi tentativi ispirati proprio ai due film: rispettivamente “La Signora e il fantasma” (50 episodi in 2 stagioni, dal 1968 al 1970) e “Alice” (202 episodi per 9 stagioni, dal 1976 al 1985). Senza contare che dal nome del personaggio di un altro film del ciclo, “Vertigine” (1944, titolo originale “Laura”), nasce la Laura Palmer della più celebre serie televisiva d’autore, “Twin Peaks” di David Lynch (30 episodi in 2 stagioni dal 1990 al 1991, più un film nel 1992), perché prototipo di tutte le “donne che vissero due volte” (“Vertigo” di Hitchcock, come se il titolo italiano di “Laura” lo avesse ispirato). Oltre al tema musicale del film scritto da David Raksin (la cui prima colonna sonora fu “Tempi Moderni” di Chaplin), da cui la canzone “Laura” che divenne presto un successo mondiale, ma nasce come variazione della canzone voluta da Preminger per il film e che lo aveva ispirato, la notissima “Sophisticaded Lady” di Duke Ellington. Sono questi due dei quattro titoli di un ciclo dedicato all’attrice Gene Tierney che ha raccolto un pubblico numeroso e trasversale. La prova che il futuro vedrà sempre più crescere un’offerta variegata di film, da quelli del passato alle novità, affiancando alla distribuzione commerciale quella delle cineteche (in primis la Cineteca di Bologna, ormai eccellenza internazionale nel campo), di archivi pubblici e privati, o degli stessi distributori. Come in questo caso la Lab80 di Bergamo, già un tempo importante distributore di cinema indipendente (gli scorsi anni utilizzato anche per alcune iniziative in Mediateca, fornendo servizi quali la digitalizzazione di cinema famigliare), che sta distribuendo questi film in una ventina di sale in tutta Italia con il titolo “La Diva Fragile” (cfr http://lab80.it/pacchetti/36). Film, prima d’essere rieditati in digitale, splendidamente restaurati, ancora più luminosi se nell’originario Technicolor a tre pellicole, come il film che consegnò Gene Tierney alla fama e che ha aperto il ciclo: “Il cielo può attendere” (1943), di Ernst Lubitsch, per la sua regia nominato all’Oscar. Rivisti in sala, questi film regalano un’esperienza nuova allo spettatore, ma possono aprire anche finestre interessanti sulla storia delle tecnologie, per gli studenti del Politecnico a quelli dell’Accademia. Pensando a questi ultimi, in Italia il film fu affidato al genio del pittore Anselmo Ballester, che ne disegnò manifesti e locandine. Oggi considerato il padre della scuola italiana del manifesto cinematografico, quest’anno la Cineteca di Bologna gli ha dedicato una mostra con bozzetti e manifesti. Ampie collezioni di questi, non ancora restaurati, sono presenti anche in Puglia a cominciare dalla Mediateca, dei tanti collezionisti privati ma anche nel patrimonio purtroppo abbandonato dello stesso Centro di Cultura Cinematografica che un tempo conviveva con il Cinema ABC. L’Agis Puglia e Basilicata pensò a restaurare solo la sala cinematografica, anziché puntare e valorizzare questa convivenza, non casuale. Fu proprio questa convivenza il motivo di orgoglio e di vanto del Prof. Mario Nuzzolese, venuto meno nel 2008 e a cui per altro la nuova Sala dedica al suo ingresso una targa. Ma Alice non abità più lì e manifesti e pellicole vagano per depositi, perdendo così ogni valore e significato. Un altro approccio ai film lo indicava il pubblico in sala, incuriosito dai costumi e dall’evoluzione della moda, dopo la visione del film “Femmina Folle” (1943), del poco noto John M. Stahl. Non a caso, perché i costumi erano firmati dal marito della diva, il noto stilista d’origine francese, il conte Oleg Cassini famoso per i suoi “abiti da cocktail” e per aver vestito Jacqueline Kennedy e Audrey Hepburn. Dal 1941, anno del loro matrimonio, vestirà nei film la moglie. Sino al 1951, un anno prima del loro divorzio, segnato dalle gravi crisi di depressione che porteranno l’attrice al ricovero clinico nel 1955. Dal loro matrimonio erano nate due figlie, la prima con problemi dovuti alla rosolia in gravidanza e la seconda morta l’anno scorso in miseria a Parigi. Anche i personaggi di Gene, gli stessi per i quali si vide candidare agli Oscar, saranno segnati da gravi squilibri. Siamo sul finire dell’epoca d’oro del cinema americano e “il melodramma si allontana dall’alta società o dai night club degli anni trenta per chiudersi tra le pareti domestiche, in un mondo, in cui le donne non riescono a conciliare il sogno dell’autonomia con l’ideale patriarcale” (Giuliana Muscio, “Cinema e guerra fredda” in “Storia del Cinema mondiale. Volume II/2: Gli Stati Uniti”, Einaudi, Torino 2000). Gene Tierney deve tra l’altro la sua carriera anche all’intervento paterno, che per lei fondò una società sponsorizzatrice a Broadway. Un tema, quello della figura femminile, in relazione alle trasformazioni sociali e al ruolo della donna, che vede cattedre universitarie, centri studi e gruppi di ricerca al lavoro sul nostro territorio. Notata da Anatole Litvak (regista di gangster movie e noir, famoso per “Anastasia” 1956) esordì subito come protagonista nel primo western di Fritz Lang “Il vendicatore di Jess il Bandito” del 1940. Insieme a quest’ultimo, ed altri come “I trafficanti della notte” (1950) di Jules Dassin, questi film sono facilmente reperibili in DVD per un prestito in Mediateca, e potrebbero essere proposti con un palchetto all’utenza, completando e rafforzando la riproposta in sala dei film di quest’attrice. Se non accade, e ci si limita a pubblicizzare l’iniziativa espondendo le brochure, qualcosa non funziona. La carriera di Tierney finisce di fatto con il suo ricovero per depressione, anche se nel 1962 sarà lo stesso Otto Preminger, che l’aveva valorizzata al meglio con la sua Laura (“Vertigine”), a riportarla sugli schermi con “Tempesta su Washington”. Dopo solo due anni e tre film, nel 1964, Gene si ritira per sempre e non tornerà più in scena sino al 1991, anno della sua morte a 70 anni. In Italia non è mai stata tradotta la sua autobiografia che affronta con coraggio il tema della malattia mentale. Una proposta per qualche biblioteca, con un gruppo di lettura in lingua originale: “Self Portrait”, Gene Tierney, Wyden, New York 1978. Un altro approccio possibile, che vede un grande interesse nel Conservatorio di Bari, fondato da Nino Rota, è quello sulle colonne sonore. Abbiamo già detto di Herrmann e Raksin, e della canzone “Laura”, ma ci sarebbe anche Alfred Newman che firma due delle pellicole in programma e che per la Fox, con cui la Tierney era sotto contratto, era il General Music Director, musicando circa 300 film e vincendo il record di 9 Oscar. Per il film di Lubitsch userà il repertorio dell’operetta viennese “La Vedova allegra”. Intanto da venerdì 29 luglio parte un altro ciclo imperdibile. L’estate scorsa fu Ozu e quest’anno è Tati (cfr. http://www.omaggioatati.it). Si inizia con “Mon oncle” (1958), un capolavoro del passato che in alcune città d’Italia ha fatto incassi importanti nei mesi scorsi. Ancora una volta un’iniziativa che parte dal Friuli, da un editore di DVD quale la Ripley’s insieme alla VIGGO. Da notare il lavoro di ricostruzione della versione originale di “Playtime” (1967), in proiezione il 5 agosto, compiuto dal laboratorio di Bologna in collaborazione con quello francese Arane-Gulliver. Un lavoro difficile per la complessità del film, realizzato in 4 anni e girato in panoramico 70mm e con 5 tracce stereofoniche (e torna l’interesse che un Politecnico potrebbe avere per le tecnologie audiovisive). Caduto in disgrazia Tati e fallita la casa di produzione, il film era stato distribuito nel 1978 in una versione oscena per i tagli subiti e il degrado del sonoro. Anche il pubblico di mezza età avrà quindi modo di scoprire qualcosa in realtà d’inedito, come spesso avviene nella storia dell’arte e nella cultura. Dopo “Le vacanze del Monsieur Hulot” (1953) di venerdì 12 agosto, il ciclo si chiuderà il 19 agosto con il primo film di Tati “Giorno di festa” (1949). Piccoli grandi capolavori, manufatti di rarissima unicità (Tati è noto per lavorare nell’assoluta assenza di dialoghi, rinnovando nella modernità del sonoro l’arte che fu già di Chaplin e Keaton) sui quali non nascerà alcuna “conversazione”. In questo modo anziché fare vacanze intelligenti, come Angelo Ceglie con tenacia che gli va riconosciuta si ostina per fortuna a fare, mandiamo in vacanza l’intelligenza, dell’offerta culturale. Ne riparliamo dopo le vacanze. Angelo Amoroso d’Aragona Coordinatore generale dal 2012 al 2015 della Mediateca Regionale Pugliese