la raccolte dei testi

Transcript

la raccolte dei testi
L’Associazione AIAS di Bologna onlus con il contributo della “Società di Lettura”, della
Biblioteca “Natalia Ginzburg” ed il patrocinio della Provincia di Bologna e dei Quartieri
Savena e Santo Stefano ha promosso nel 2004 un Concorso Letterario per ricordare lo
scrittore Giuseppe Pontiggia che nel romanzo “Nati due volte” ha descritto con lucidità il
rapporto di un padre con il figlio disabile.
Come tema del Concorso Letterario, diviso nelle sezioni prosa e poesia, è stata scelta la frase
presente nell’ultima pagina del libro
“Possiamo immaginare tante vite, ma non rinunciare alla nostra” frase che si collega alla
dedica che Pontiggia pone all’inizio:
Ai disabili che lottano
non per diventare normali
ma se stessi.
Al Concorso hanno partecipato 46 persone disabili provenienti da diverse città italiane dai
15 ai 60 anni; l’Associazione ha deciso di raccogliere in un testo tutte le opere inviate,
riconoscendo in ognuna di esse l’espressione di una originale e particolare creatività.
L’AIAS di Bologna ringrazia la “Società di Lettura”,
la biblioteca Natalia Ginzburg, che
con il loro contributo hanno reso possibile la realizzazione del Concorso Letterario, la
Provincia di Bologna, i Quartieri Savena e S. Stefano di Bologna per il loro fattivo
patrocinio.
Alla Giuria selezionatrice che per mesi si è impegnata con grande competenza e totale
generosità ad esaminare e valutare i numerosi testi esprimiamo la nostra gratitudine
vivissima.
Aias di Bologna onlus
I
componenti della Giuria :
Gianfranco Vicinelli
Scrittore - Umorista
Delia Nardi
Eraldo Baldini
Fa parte de “La Società di Lettura” di Bologna, amante della
lettura
Giornalista – Assessore alla Cultura Comune di Casalecchio di
Reno (BO)
Romanziere, sceneggiatore, autore teatrale
Rosalba Casetti
Insegnante – organizzatrice di corsi di poesia
Roberta Ballotta
Responsabile della Biblioteca Natalia Ginzburg – divoratrice di
libri
Paola Parenti
A
Carlo Ciccaglioni che ha curato e coordinato i lavori del Concorso con intelligente
passione va il grazie di tutti i partecipanti …
I
migliori testi selezionati saranno inoltre pubblicati sul sito dell’AIAS Bologna Onlus
all’indirizzo www.aiasbo.it, sulla rivista aias nazionale e sul sito www.aiasnazionale.it
2
I° PREMIO
POESIA
3
STEFANO ARGIOLAS
NARCAO - CAGLIARI
Io urlo
Mi piacerebbe
passare il tempo a parlare con tutti,
per far conoscere il mio mondo.
Le cose che non mi piacciono.
Le cose che mi piacciono.
La musica che amo,
chi sono io,
chi mi piacerebbe essere,
uno che urla
voglio…….VIVERE.
4
I° PREMIO
NARRATIVA
5
GLORIA BELOTTI
ADRO – BRESCIA
Punk, amore, emiplegia
"Na fun to be around
Walking by myself
No fun to be alone
In love with nobody else... "'
Lo stereo acceso a volume implacabile.
Senza nessuna pietà.
Piena solo del suono che dagli auricolari rimbalzava nelle orecchie, e dello sgomento che le
riempiva gli occhi, come il deposito di zucchero in una tazzina ormai vuota. Si immaginava
berlo, quel caffé, in un' ipotetica mattina futura tipo nel 2016, sola, aggrappata al tavolo
rifiutata da tutti causa emiplegia stronza, e intanto che la voce di Iggy Pop l' Iguana si
arrampicava lungo le pareti della stanza una straripante voglia di urlare le sbatteva contro lo
sterno testarda. -Sfigata- rimproverò se stessa storcendo le labbra in una smorfia. Doveva
pensare positivo, cazzo, come sostenevano gli amministratori delegati della di lei vita, di
quelli che ti valutano la condotta esistenziale pronti a mitragliarti di rimproveri al minimo
turbamento sentimentale, salvo poi chiudersi in casa quando le picche toccavano a loro, e
non li vedevi in giro per giorni. Sorrise, fissandosi la punta dei calzini a righe colorate. Lei
almeno si sforzava di essere sincera con se stessa e non era facile mantenersi a galla in quel
marasma di contraddizioni. Avrebbe voluto baciarti, tesoro. Avrebbe voluto baciare te..
Faticava ad ammetterlo, forse avrebbe avuto bisogno di un pò di Guttalax per cagare fuori i
suoi sentimenti. Sbuffò. Neanche da innamorata riusciva a dimostrarsi romantica. Passate le
lacrime si sorprese a pensare che sarebbe stato bello se lui fosse riuscito a volerle bene lo
stesso. In fondo lui era un punk. E riuscite a immaginare qualcosa di più punk di una tipa
ormai adolescente fuori tempo massimo che fatica a stare in piedi ma riusciva lo stesso a
dimenarsi ascoltando gli Stooges? Beh, lei no. Perché il punk è l' handicap risuonano delle
stesse contraddizioni, legati a filo doppio a una realtà concreta di casini, e di rabbia, ma non
possono fare a meno dell'identica tensione a una indipendenza infinita, che anche se vaga e
utopica è in fondo la spinta propulsiva di entrambi. Come in quella canzone dei Kina. che
ascoltava sempre, la gioia del rischio. Lei che faticava a camminare si era ritrovata a
scalpitare, impaziente di correre verso sogni più grandi di lei, che avrebbe inseguito anche a
costo di afferrarli per i capelli, di acchiappare te per la punta della cresta.
"E' difficile camminare sul ghiaccio/ però è la gioia del rischio/ che li butta sul lago Correre
ogni giorno sulla lama del piacere/profondo, dell'insicurezza... "
Lanciò una rapida occhiata alle sue forme, ormai quasi scomparse, riflesse nel piccolo
specchio rotondo appoggiato sulla vasca da bagno distogliendo subito lo sguardo, ché il suo
fondoschiena sembrava quasi averle gettato uno sguardo di rimprovero. La curvatura in
fondo alla spina dorsale era quasi impercettibile. Tutti quanti. gli sguardi erano catalizzati
dal suo braccio rigido e dalla sua gamba immobile. Sorrise senza gioia rendendosi conto che
quel culo nessuno l' aveva mai percepita tranne lei, probabilmente. Si sedette. sulla vasca da
bagno e il contatto del marmo freddo contro le sue ossa la fece rabbrividire per un attimo, e
si presenta le mani la testa che ormai cominciava a girarle. Si ricordò il principale precetto
6
buddhista:" La causa del dolore è il desiderio. Eliminando il desiderio si elimina il dolore
".Tremava appena,e aveva fame, fame d'aria, sentendosi soffocare. Si lasciò scivolare sul
pavimento. Non aveva mai desiderato così intensamente di poter guarire, di essere come
tutte le altre ragazze, belle, desiderabili, sane. Si morse un labbro cercando di smorzare un
singhiozzo, Oh mierda, piagnucolare così, che caduta di stile.
Si ricordò di quel pomeriggio, quando sull'autobus, mentre si alzava in fretta per
raggiungere l'uscita ormai a poche centinaia di metri dalla sua fermata, il contenuto della
sua borsa si era rovesciato a terra. Si chinò per raccogliere il lettore cd, il quaderno degli
appunti, il dvd di "Una giornata particolare ", la colonna sonora di "Paz", "Automatic for
the people" dei Rem e tutto quanto il fottutissimo resto, sperando di riuscire a rimettere
tutto a posto in tempo con la sola mano che aveva a disposizione, fuori diluviava e se fosse
scesa alla fermata successiva sarebbe tornata a casa completamente ,fradicia. Il _ragazzo
seduto di fronte a lei aveva continuato a riempirsi i timpani ingordi con la musica trasmessa
dai suoi auricolari, indifferente. Non si era alzato per aiutarla a raccogliere la sua roba.
"Fankulo" sussurrò. sottovoce a lui, a se stessa o al Fato bastardo prima di scendere dall'
autobus di fronte alla gelateria, a poche centinaia di metri da casa. "Se fossi stata una
strafiga da paura forse sarebbe già sull' attenti e pronto a darmi una mano a raccattare
tutto,e magari anche a chiedere una bella slinguazzata di ringraziamento". Ma non le
importava un emerito dell' indifferenza che trasudava lo sconosciuto, i suoi pensieri
avevano già deragliato finendo con 1o schiantarsi addosso a un paio di occhi verdi sotto la
cresta blu di quel tipo dal sorriso larghissimo, così diversi da quel fighetto spocchioso
seduto lì dietro. Come al solito.
7
SELEZIONATI
POESIA
8
PAOLO CANDORI
IMOLA - BOLOGNA
Camminare e sperare
Cammino – cammino, vado dal mio amore
io uomo sono vita e vita voglia dare.
Cammino – cammino, vado a pregare il cammino è fede.
Cammino – cammino vado a giocare, il cammino è gaudio
Ora cammino con le ruote, non do vita
Ora cammino con le ruote, non c’è più gaudio
Ora cammino con le ruote, ma prego.
Anch’io sono uomo, uomo vero
Io odo, io vedo, io intuisco, ma ricordare ciò che eri
e mai più sarai, brucia tutte le speranze
così come legna brucia sul camino
Rinascerò dalle mie ceneri ne sono certo.
I miei versi mi daranno gaudio e amore
La vita avrà di nuovo sapore
9
LUIGIA MELONI
SAN GIOVANNI SUERGIU - CAGLIARI
Bambini
Un vagito di neonato,
una lacrima di mamma.
Apri gli occhi, e
tutto gira intorno.
Il sole ti dà la luce.
Vivi un giorno
Sogni una notte.
Un alito di vento ti solleva,
vivi, ti posi sulla luna.
Una nuvola; dolcemente
ti porta su un prato,
continui a sognare.
Ti ritrovi seduto
e poi a letto.
Tutti ti guardano
come il primo giorno.
Eppure sei adulto
nulla in te è cambiato
non sei invecchiato.
I pensieri son puliti,
la mente lucida.
Nessuno se ne accorge,
quel bambino è ancora lì,
nulla è cambiato
quel bambino è rimasto.
10
MARIA LUISA RADAELLI
VILLA CARCINA - BRESCIA
Ascoltando Ciaikowski
Ho ascoltato Ciaikowski
e Ti ho rivisto.
Eri in fondo a un viale,
un lungo viale
e sorridevi,
mi aprivi le braccia
e io correvo,
correvo incontro a Te.
Sono arrivata
in fondo al viale;
e Tu mi preso
tra le Tue braccia
e mi hai tenuta stretta
per tanto tempo.
Poi la musica è finita,
il viale è sparito,
io non correvo più
e Tu,
Tu eri sempre morto.
11
MAURO PAOLINI
PIANORO - BOLOGNA
Vivo felice in questa vita
Amo la vita
con tutte le sue sfumature
e i suoi solchi
Mi amo
Mi curo
Mi voglio bene
Perché voglio essere bello
ai miei occhi
e vivere per
vivere
amarmi, impegnarmi, correre
arrivare in ritardo
dormire
ridormire
Amo te, lui, l’altro
l’universo in cui vivo
Amo per essere amato
Voglio essere amato
per essere felice
ma voglio essere
Non voglio far spegnere il mio lume
non voglio che sparisca la mia personalità
e perdere la mia via
Voglio essere felice perchè sono io
Me stesso quello che sono
Cosi posso veramente amare
lei
non so chi è lei
ma mi sto preparando
12
SELEZIONATI
NARRATIVA
13
MIRKO FACCHINETTI
ALBINO - BERGAMO
“L’impiccione viaggiatore”
14
15
16
17
DALIDA BELOTTI
ADRO - BRESCIA
Sottosuole
Sentore di pioggia.Torpore mattutino. Lei era sdraiata su due sedili del solito autobus, e si
guardava le scarpe, dello stesso colore dei fiori sugli alberi. Un fottio di petali rosa. Ascoltava
Battisti, e ogni tanto chiudeva forte gli occhi, e muoveva le labbra, accennando le parole della
canzone. Premeva - Play - e mentre il nastro nel walkman
si sentiva trasportata nell' universo parallelo dei sentimenti normali. Trenta minuti di amore
scorrevole, che in quel momento si sentiva autorizzata a sognare anche lei - scema ma non troppo Nessuno ha voglia di decapitare le proprie speranze, nelle mattine non troppo fredde e di
primavera, no?
Ma si mordicchiava un labbro,esitante. Non poteva fare a meno di pensare che lei - Pensieri e
parole - non ne aveva mai suscitati, non love oriented, almeno. Percepiva se stessa come un
bizzarro incrocio geneticamente modificato tra Edward Manidifforbice, Jhon Merrick, e Samantha
Worthington, quando frugava freneticamente nella borsa, cercando le chiavi dell' ascensore
bastardamente nascoste nell' involucro blu degli assorbenti. Sua madre a volte diceva che le
sarebbe piaciuto avere quattro mani, ma la figlia si sarebbe accontentata di contare su una
dotazione standard....
Ah, avete mai provato a cambiarvi l'assorbente con una mano sola ?
Era convinta che se fosse esistita una formula per calcolare il potenziale di sviluppo indipendente
dalla famiglia di una ragazza emiplegiKa avrebbe compreso tra le variabili principali la capacità di
destreggiarsi con la superficie adesiva degli assorbenti esterni. E riuscita a
sviluppare una dimestichezza quasi invidiabile con quell'inevitabile involucro di plastica mensile,
anche se si rendeva conto che ammetterlo suonava inedito e forse anche un po' ridicolo.
Sapeva di gente che riusciva a rollarsi le cartine con una mano sola, e le sarebbe piaciuto imparare.
Avrebbe voluto imparare anche un metodo rapido per svincolarsi dai luoghi comuni, almeno agli
occhi delle persone che amava.
A volte iniziava a gridare di non essere solo una versione sghemba e post PUNK del grillo
parlante.
Ormai capitava che prima. di uscire di casa si passasse uno strato di rossetto sulle labbra.
Forse un giorno sarebbe riuscita anche a urlare che era anche lei, oh my God, una ragazza, con i
sogni che sono sintomi, il sorriso dolcemente seducente e tutto il resto.
Aveva iniziato a piovere, e le Converse rosa calpestavano strade coperte di petali fradici.
18
MARCO MIGNARDI
BOLOGNA
Possiamo immaginare tante vite ma non possiamo rinunciare alla
nostra
Oggi mi sono sentito completo in tutti i miei organi. Sì, in questo giorno d'inizio del quinto
mese, ho capito che eravamo due esseri umani uguali ma distinti, quindi capaci di vivere
esperienze al momento presente unite e nel futuro prossimo separate, capaci di vivere il
distacco. Ora io in questo involucro sento la tua protezione e vivo in te la sete e la fame,
immaginando che un giorno berrò, mangerò e camminerò da solo. Sai, m'incuriosisce sapere
come si vive sulla terra, se avrò un fratello o una sorella oppure se sarò figlio unico.
Comincio a percepire i tuoi ritmi e il tuo: riposo, da ciò intuisco il naturale avvicendarsi del
giorno quando vivi e ti muovi e della notte quando resti ferma e sola con te stessa. Immagino
la vita con entusiasmo come un gioco dove vince chi mette a frutto le sconfitte da cui si può
cominciare a vivere. Passano i giorni e la mia curiosità aumenta, con speranze dubbi e
desideri vorrei sapere come ci si prepara ad entrare nel mondo. Siamo arrivati al giorno più
atteso ormai da qualche `tempo fa caldo. Oggi pare proprio che i camici bianchi abbiano
deciso che questa simbiosi così profonda debba terminare per noi. Si sono riuniti e dopo
alterne vicende hanno deciso che devo nascere. Cara madre sei arrivata a questo momento
con legittime attese e le ultime incertezze svaniscono, ma accade che la signora bilirubina
vuole espandersi troppo, e con la sua invadenza comincia a salire la scala che dal mio sangue
porta al cervello. Questa signora, a cui era stato interdetto l’accesso ha ammaliato il neuro
carabiniere con il suo sorriso e alla fine, poiché lei,era carina, lui le ha concesso la chiave del
mio dna. lo le avevo detto che doveva stare al suo posto ma lei pettegola e invadente è
entrata e, arrivata fino al mio cervello, dove ci sono tutti i computer, li ha guastati con il suo
profumo che si chiama: "e lei si è metta in fila a nascere".
Dopo "Lascia o raddoppia" a Mike Buongiorno viene l'idea di presentare in televisione il suo
nuovo telequiz "Scommettiamo che... io nasco disabile". Questo gioco un po' spietato, le
regole sono simili a quelle della vita. Sulla grande ruota della fortuna se esce il cavallino
vinci subito un bel destino, se esce la carrozzella il nostro caro presentatore, con serafica
allegria, annuncia: "Peccato! Con l'handicap il concorrente è eliminato!". A me non è uscito
il cavallino ma non mi ritenga sfortunato. Nella vita comincio a giocare le mie carte sfidando
la sorte e rispettando i miei limiti. Con il tempo e l'esperienza imparo a supplire come posso
alle gambe irrigidite. Anche se a volte guardare la scientifica realtà suscita la voglia di
chiudere questo corpo in una scatola e dimenticarlo come un gioco rotto in un armadio,
impuro a dare forma alle qualità del tema della diversità. Incontro altre storie simili alla mia
che mi insegnano a guardare gli altri non per quello che possono fare ma per quello che
sono, imparo a riflettere sulle situazioni tentando di non giudicare in base all'apparenza ma
lasciandomi guidare dall'ascolto. Questo strano e imprevisto risultato si scontra col
qualunquismo di chi mi dice "servi a niente", ogni mio giorno serve a far capire a qualcuno
che è sbagliato sottolineare solo il risultato funzionale. Con un po' d'ironia, combattendo la
tristezza e vivendo la giocosa fantasia dimostro la dolce utilità di una sorte giudicata
avversa. Quando ero ragazzo tra sportivi, giornalisti ed attori la parola handicap la sentivo
usare controvoglia. Solo adesso si comincia a riflettere più a fondo sullo spazio da restituirle
per consentire alla società tutta di crescere in umanità psicologia e spiritualità, dando a tutti
un possibile punto di equilibrio per non rimanere schiacciati dai ritmi della vita.
19
Nel compiere il danno la bilirubina ha azzerata la matematica, ampliato l'italiano; dato
rudimenti al francese e niente al bolognese dalla c dolce e la g dura. Fortunatamente il suo
spray ha avuto un effetto ritardato così, almeno nel giorno in cui sono nato, sono apparso
ben formato e, udite udite, almeno quel giorno non ho fatto terapia. Battezzato in gran fretta
si temeva che la vorace signorina mi facesse fare un bel giro in Paradiso, ma si vede che
lassù hanno pensato: "Resta un poco sulla terra per convincere qualcuno che malattia e
disabilità non significano sempre morte". Così la mia vita è continuata per mostrare ancora
una volta che il dolore offre sempre nuovi spunti, che portano a comprendere in profondità,
senza imprecare, che si può stare bene con le proprie differenze tra la gente; di ogni
continente. La scuola e l'università hanno accompagnato il mio divenire tra speranze e dubbi
che tutti i giorni hanno dato i loro frutti. Nell'incontro con Dio ho accettato il mio destino
senza chiedermi perché. Sono andato a tentoni nel mio mondo con la gamba storta e il cuore
dolce. Insieme ad ogni amico che prende parte al mio cammino scopriamo e condividiamo,
meravigliandoci, che facendo la pace con noi stessi le nostre disabilità possono diventare
abilità.
Questa sarà una scoperta che rivoluzionerà sempre ogni, piccolo passo della mia storia e del
mio cammino, anche se a volte mi sento spaesato tra coloro che hanno scelto di vivere con
ritmi per me insostenibili. Io vorrei che gli uomini andassero più piano non per poterne
sostenere il passo, ma per offrir loro una possibilità di stare meglio con se stessi, con gli altri
e con Dio.
20
ANTONIO MOLINARI
BOLOGNA
Non arrendersi
Da quando la mia bella ditta è stata ceduta sono cominciati i disagi.
Luigi, il mio caporeparto e grande amico, venne ad annunciarmelo una mattina di due anni
fa.
- La nostra ditta è stata venduta. I nuovi padroni prenderanno i macchinari e assumeranno
anche chi di noi vorrà andarci - tirai un sospiro di sollievo.
- Allora andremo insieme? - chiesi fiducioso.
- Il problema è la distanza - rispose- la nuova ditta si trova a 30 chilometri da Bologna –
- E allora - domandai disperato già intuendo la risposta - Per te non so...- le parole, ricordo,
gli uscivano lente - io sono alla fine della carriera e non so se mi conviene ...
- E non gli convenne, così oggi io devo fare a meno di lui e di tanti altri cari colleghi...
Ma andiamo con ordine. I nuovi padroni, supponendo che io non potessi accettare il
trasferimento per via della distanza, mi assicurarono che mi avrebbero aiutato a cercare un
altro posto. Dove e come? A vent’otto anni, invalido in carrozzina, con solo il diploma di
terza media? La mamma chiese un colloquio con loro e si trovò la soluzione: sarei andato
con l'autobus di linea fino al capolinea e da li una macchina della ditta mi avrebbe portato al
lavoro (tre chilometri circa): una disponibilità che commosse la mamma e lasciò me di
stucco. E la mia macchina, pensai, con la quale da cinque anni ormai mi recavo al lavoro?
L'avrei dovuta lasciare a casa. Oh no!
Il pensiero mi corse ai primi giorni che alla sua guida mi ero avventurato per le strade della
città, i più belli della mia vita.
A casa i parenti avevano saputo del mio ardire e telefonavano:
- Antonio guida la macchina?- Sì - rispondeva orgogliosa la mamma - Ma è andato a scuola
guida? - insistevano - No, si è esercitato nel cortile, è un motociclo che si guida senza
patente. L'ho mandato a lezione di teoria per riconoscere i cartelli stradali- - Ma che bravo! commentavano - Lo so che è bravo - mi sosteneva la mamma e poi aggiungeva - Certo ogni
volta che esce in macchina sto male ma non succede questo a tutte le mamme del mondo? - e
con questo li metteva a tacere dimostrando che io, pur essendo in carrozzina, ero come tutti
gli altri.
Ma quando venni assunto dalla mia bella ditta distante quindici chilometri da casa, la
mamma escluse subito che io mi potessi recare fin là con la mia macchina, zitto accettai che
un pulmino del Comune mi trasportasse su e giù.
E così, come un novello Pollicino, senza lasciare i sassolini ma con occhio vigile alla strada
incominciai a memorizzare il percorso - semafori, curve, rotonde - e, in breve, sicuro del
fatto mio osai annunciare - Domani vado a lavorare in macchina! - apriti cielo e tutto il resto
ma così fu e la mamma dovette accettare la mia decisione. Ricordo quei viaggi all'inizio un
po' tesi, mani ben strette al volante, fiato trattenuto, poi sempre più rilassati e rilassanti,
goduti nel piacere di vedere i colori delle stagioni cambiare nella vasta pianura e... insomma
un gran godimento ogni giorno.
Sì, per cinque anni sono stato fortunato, la mia vita era quella che avevo sognato: il mio giro
in macchina, la mia bella ditta che mi aspettava, i miei simpatici colleghi, il bel lavoro di
montaggio insieme al mio caporeparto e grande amico Luigi.
Ma adesso tutto questo è finito.
21
Accettata la soluzione dell'autobus, seppure a malincuore, ho affrontato il mio destino
fiducioso come sono di carattere. La fermata è vicino a casa ma gli autobus non sono
attrezzati per far salire la carrozzina e non posso recarmici da solo ed essere così autonomo
come vorrei. Così ormai da due anni la mamma tutte le mattine mi porta all'autobus e al
pomeriggio (se non viene la nonna o Giuseppe) ritorna a prendermi per aiutarmi a scendere.
E la mia macchina? La uso di nuovo solo per i giretti in città. E’ vero, qualche volta, ho
affrontato il nuovo percorso e mi piace ma è lungo e mi stanca e poi, al contrario dell'altra
strada, questa è supertrafficata, camion a volontà, motorini guizzanti, macchine rombanti,
chi se la gode più?
Io vado piano, sono prudente, non ho mai avuto un incidente e voglio vivere in questo bel
mondo che non sempre è proprio come si vorrebbe.
22
GLI ALTRI
POESIA
23
FRANCA ALBERTAZZI
S. LAZZARO DI SAVENA - BOLOGNA
Metamorfosi
Dov’eri, prima di
conoscerti?
Perché ti cercavo,
affannosamente?
È cambiata, la mia
vita
come una pelle.
Vorrei che si fermasse
il tempo, accanto
a te.
Non potrei cambiare,
la mia vita e la
mia libertà.
Nessuna metamorfosi
Possibile,
può dare gioia.
24
ALESSANFRO ALFIERI
FERRARA
Al tramonto il fiume
M’abbarbaglio del tramonto colorato di tutte le
tonalità dell’anima e col il pensiero tuffo i ricordi
più tristi, ma riaffiorano come cadaveri nello
specchio dell’acqua scura.
E’ come un giuoco di bimbo assorto questo
mio immaginare;
Ho nell’orecchi il lento scorrere del fiume e della vita.
25
MATTEO BASEZZI
TRIESTE
Possiamo immaginare tante vite ma non rinunciare.alla
nostra…
Possiamo immaginare tante vite vissute
con gli altri nelle storie, nelle avventure,
belle e meno belle.
Tante ne abbiamo passate
e non verranno mai dimenticate,
ci rimangono nei ricordi.
Non muoiono mai, quei ricordi,
stanno nelle menti e nei cuori.
Ringraziando il cielo lì restano
e ci rimangono, affettuosi.
La vita si vive una sola volta,
ci viene donata,
vive in noi stessi:
e porta con sé, dentro di te,
nuovi arrivati.
Possiamo vivere
quante vite vogliamo
e rinascere quante volte possiamo
Ma mai alla nostra vita rinunciamo
26
MARCELLO CAMILLI
BOLOGNA
Palcoscenico
Stasera tocca a te, entri nello spettacolo! Dovrai leggere
queste poesie, dice Piero: mi raccomando stai tranquillo!
Interpretale come se le avessi scritte tu: sono poesie di
Danilo Dolci.
Monica, Paolo; Laura, Rosario; Giuliana; Tonino e tutti
gli altri si stringono intorno a me e gridano: MERDA!
Sono solo nel buio, cresce l’emozione, tocca a me iniziare.
La mia gola si blocca, scivolano le frasi intermittenti nella
memoria.
Lentamente il faro illumina la mai mente, il suo calore
scioglie i miei pensieri.
Tu mi accogli gentilmente cigolando dietro alle mie ruote.
Sento il respiro del pubblico, non lo vedo. Tu mi dai forza.
Monica entra in scena provocandomi con voce e
movimenti sensuali, Paolo accende una sfida verbale con
me; l’adrenalina sale, sale.
Ora il mio corpo si muove! Parlo! Canto! Ho voglia di
correre sul tuo piano.
Cambiano le luci, suona la musica, entrano i cavalli, tutti
Insieme corriamo verso il sole.
Ora vedo la gente che applaude e grida. Bravi! Bravi!
Mi volto, ti guardo, tu sei lì immobile, soddisfatto.
Grazie Palcoscenico!
27
ANDREA DI NOIA
BOLOGNA
"A me mi piace"
Vorrei non capisco
Vorrei fare il giardiniere da grande
Il postino lo so fare meglio
Vorrei dare una mano a voi
Vorrei fare lo spazzino
Vorrei fare li dottore
Bello questo
Da grande non so fare niente
Vorrei che si riprendesse lui Celestino
Vorrei essere contento
lo sono Andrea e sono come te
Sono Barbaro il pirata
II naso dritto
I piedi sono grandi
Ho due mani anzi quattro
Occhi grandi che vedono
Nel cervello non c'è niente
Bellina la mia voce
Attraversa la città
E sono un uomo
Se fossi Superman volerei
Avrei la S sul petto
Gli stivaletti rossi
Anche la tuta e il mantello blu
Vedo in città cosa c'è
Poi telefono ad un taxi per un passaggio
28
TARIKU DOSI
PIACENZA
Posso….
Posso materializzare lo sapere
in immagini.
Posso pensare empatici applausi
non manifestati.
Posso mescolare tappe lamentose
e tappe momentaneamente gioiose.
Posso lasciare navi mascheranti fumosi orizzonti
ammiccanti vissuti passati.
Posso ansiosamente lottare
solo
contro me stesso.
Posso arare i campi messaggeri di materia
nostri mondi salmodianti parvenze misteriose.
Posso macchiare modelli di umanità
saccente.
Posso memorizzare memorie remote
e sostenere mille ascolti.
Accade.
Amare è in me.
Ancora manco di materia umilmente umana.
Ma vivere porta forme diverse
sacre rappresentazioni di Colui chiamato
Amore.
29
DANIELA FALETRA
BOLOGNA
Pregiudizio
Urlare
correre
scappare
NON voglio il tuo abbraccio
il tuo alito sa di inganno e di raggiro
Urlare
urlare
correre
scappare
calci e pugni
Non mi lascerò contagiare
la mia vita è molto preziosa.
non voglio essere annientata
dal tuo alito mortifero.
30
MANUELA FILIPPOZZI
NERVIANO - MILANO
La Bambola
Tutta vestita di raso, la bambola stava li, immobile.
Bella come non mai ma, solo bella era.
I bambini non osavano toccarla tanto bella e fragile.
Tutta vestita di raso, la bambola stava lì, immobile.
Era fragile, bella preziosa, ma ai bambini non piaceva.
Non si poteva giocare con la bambola, se fosse
caduta si sarebbe rotta, essendo di porcellana.
I bambini giocavano con le altre bambole.
La bambola era triste, non sapeva che una bambola
Come lei, valeva di più delle altre bambole.
Nessun bambino lo capiva.
Rimase li immobile, senza divertire i bambini,
per tutta la sua esistenza. Finché un giorno
cadde e si ruppe, non avendo mai potuto far divertire
i bambini, come tutte le altre bambole
31
SIMONA GARDENGHI
CASTEL GUELFO - BOLOGNA
Vita Bella
La mia vita
è così
è come il tempo,
un altro giorno è bello.
A volte la nebbia cala su di noi,
e ci fa vedere cose confuse;
un vetro si appanna
e non ci puoi vedere attraverso.
Poi, all’improvviso,
il velo si dissolve
e si vede tutto chiaro:
allora gli uccellini
cinguettano felici
nel tempo bello.
Sento gli uccellini cantare,
mi rallegrano molto,
e vedo la natura che nasce;
provo una gioia immensa,
come se mi regalassero
un giorno sereno.
32
RAFFAELLA GIANNICA
MELZO - MILANO
La Voce dei Miei Sogni
Immagino una vita diversa dalla mia,
con meno difetti
che sono per esempio
di ripetere sempre le stesse cose
e non aspettare mai il momento giusto
per chiedere qualcosa.
Vorrei rinascere di nuovo
ed essere un’altra persona,
più bella
più simpatica
e più spiritosa.
Posso immaginare tanti modi
di vivere la mia vita,
ma
io sono Raffaella,
non posso fermare la mia vita
sui miei problemi;
posso solamente modificare
qualche difetto del mio carattere,
ma non quelli del mio corpo
oppure negare i miei limiti.
Devo partire da quello che sono
per realizzare i miei sogni;
rinuncerei alla mia vita
solo per fare nascere un figlio;
anche se spero di cambiare la mia vita
ritengo che sia molto fortunata,
perché mi rendo conto
che tante persone stanno peggio
e non hanno tutto quello che ho io.
33
GIOVANNI LIMONINO
CAGLIARI
Il Pellegrino
Da ragazzo ho percosso le strade della Sardegna con il cross regalatomi da mio padre.
Ho cominciato a vivere libero, recandomi in quelle spiagge e in quella sabbia bianca
come la neve.
Spensierato percorrevo la mia vita come se vivessi da incosciente perché questa no era
altro che l’innocenza.
Da adulto percorrevo le montagne e le valli sull’altipiani sull’Altipiano Carsico di
Trieste per amore della corsa.
Ho fatto tantissime gare di corsa per le strade delle città del Friuli e del Veneto.
La speranza di vincere era il sogno, che mi portavo appresso, la vittoria la mia gioia.
Adesso da malato, come tanti altri, vivo come un pellegrino alla ricerca del Signore.
Lassù nel cielo intravedo, come da una finestra, il Signore affacciato con un sorriso,
che mi accompagna lungo il cammino.
Quel sorriso mi dà la forza di vivere e affrontare tutte le avversità che ancora mi riserva
la vita.
34
STEFANIA MELIS
CAGLIARI
Il treno della vita:
L’importante è viaggiare,
anche per me che non posso camminare:
“no, non ho bisogno di partire,
devo solo sognare”.
a volte mi devo fermare,
perché trovo degli ostacoli da superare,
perchè devo ripartire!
la mia famiglia, mi può aiutare.
solo io, il treno che posso guidare,
è il mio treno, non posso frenare:
l’handicap, è un bagaglio da portare,
con onore e dignità.
35
PAGELLA SILVANA
ALESSANDRIA
Immaginavo
Mi trastullavo
ed immaginavo
che la vita
fosse un gioco.
Mi destai
dal mio torpore
e mi accorsi
che la vita
è una lotta.
Lotta
E compresi
Che la lotta
porta
ad una conquista.
Conquistai
con le mie forze morali
e con le mie armi spirituali,
e scoprii tante vittorie.
Vinsi e sentii
che ogni vittoria
è come un gioco
36
ANDREA PEDRETTI
BOLOGNA
Cosa c’e’
cosa c’è che la mia vita è sola senza di te
cosa c’è nella mia vita, sto male senza di te
la mia vita non è niente senza questo gioco di
mani che si intrecciano con te
e questa città non è buia
senza le mie mani che vanno con questa gioia
37
GIANNI PILISI
NARCAO – CAGLIARI
Vorrei un domani
Vorrei essere un giorno
ciò che non sono.
Essere un altro me
libero da me stesso,
dalle pretese e attese.
Libero da quel senso di mancanza
che strozza il fiato
e sovrappone ogni speranza.
Vorrei sognare il sole
e veder il tramonto,
ma solo la vita è la realtà
che mi circonda mai un sorriso.
Ma chiedo amore
e non crudeltà,
solo passato
e nascosto futuro,
che in questa terra
grande e immensa
un domani vivere potrò.
38
FABIO TAGLIATTI
BOLOGNA
"Che so fare tante cose"
Se fossi uno che ci vede farei tante cose
Se fossi una macchina mi farei portare in giro
Se fossi una persona finta mi vestirei da finto
Se non fossi un essere umano mi vestirei con tutti i vestiti finti
Se fossi un pianista suonerei il piano
Se io fossi un pilota guiderei un aereo
Se io fossi un ciclista pedalerei sempre
Se fossi un motociclista guiderei la moto se ci vedessi
Se io faccio tante cose io penso che sono un pensatore
Se fossi un vedente guiderei i muletti e i trattori
La mia testa è bella
La mia testa non so dl che colore è
La mia testa può essere una macchina bianca
La mia testa non sa di cosa parlo
La mia testa ha dei grandi pensieri
La mia testa può essere bianca e ricoperta di tanti colori
La mia testa può immaginare i rumori che sente un essere umano
La mia testa non può pensare che sono un coccodrillo
La mia testa crede che il coccodrillo va in una chiesa finta
Io non so come ero una volta e non posso raccontare niente
Una volta non sapevo che ero non vedente ma ora lo so perché me l'hanno detto
Una volta non sapevo dove abitavo ma ora lo so
Una volta non sapevo che quest'anno dovevo venire qua ma ora so che siamo in tante
persone
Una volta non sapevo che sapevo andare in bici ma ora lo so
Una volta non sapevo quando ero nato ma adesso lo so Una volta non sapevo quanti
anni avevo ma adesso lo so
Una volta non sapevo fare niente ma adesso so fare tutto
39
LISA TARQUINI
BOLOGNA
"La bellezza è bella"
Vorrei fare una cosa che non so fare
Vorrei fare le cose che mi vengono impedite di fare Vorrei fare le cose che non posso
fare
Vorrei essere una strega Vorrei essere un'isterica Vorrei essere tante persone_ Vorrei
andare in un posto dove mi nascondo
Dove dicono questa persona è scomparsa nel nulla
E non mi faccio vedere non mi faccio trovare non mi faccio cercare Vorrei avere tante
sorprese che mi piacciono
Vorrei fare le cose che mi piacciono Per esempio far chiacchierate Ascoltare la musica
Scrivere
Mandare lettere cartoline
Vorrei andare a fare una passeggiata tante gite tanti pic-nic Vorrei fare una cosa diversa
fare una cosa nuova
Vorrei volare
Vorrei provare a volare
Vorrei raccontare delle barzellette
Vorrei telefonare a tutte le persone che posso conoscere a tutta la citta Vorrei mandare
dei messaggi
Vorrei avere più pazienza
Una volta volevo fare di testa mia ma ora cerco di accontentare gli altri Una volta
facevo tanti giochi da piccoli ma ora faccio dei giochi da grandi
Ora ho cambiato le cose
Ho cambiato attività cioè faccio cose diverse
Una volta non volevo accontentare gli altri ma ora sto provando e imparando
Cerco di essere diversa di cambiare
Cambio un po’ ma non tanto
Una volta ero pesante
Adesso lo sono anche adesso
Sono una tipo pesante io
Una volta facevo i capricci quando ero molto piccola ma li faccio anche da grande io i
capricci
Sono capricciosa
Una volta mi chiamavano in tanti modi
Che sono tremenda
Lo facevano sia una volta che adesso
Non facevo mai la brava ma ora la faccio un pochino
Sto diventando molto brava
Sono bella anche quando ingrasso
Sono bella come carattere
Sono bella quando faccio da me
40
FRANCESCA TRASACCO
CALENDASCO - PIACENZA
La vita
La vita è un meraviglioso viaggio
che vale la pena di percorre appieno
e col cuore sereno.
Non importa noi chi siamo
quel che importa è
che non ci fermiamo.
Noi possiamo fingere di essere diversi
Ma ci troveremo sempre persi.
41
GLI ALTRI
NARRATIVA
42
FRANCESCA AGGIO
BOLOGNA
Possiamo immaginare tante vite, ma non rinunciare alla nostra.
PREFAZIONE (utile, ma non indispensabile)
Ho iniziato a scrivere questo racconto, un pomeriggio di marzo mentre ero a casa ammalata.
I compiti erano sulla mia scrivania che aspettavano, perché io frequento la 2°media, ma la
mente si rifiutava. Per scrivere utilizzo il mio "amato"portatile e ho iniziato per cercare di
mettere un po' ordine in quella mia testolina (non del tutto integra).
Tante sono le emozioni che provo ogni istante della mia vita, spesso sento la necessità di
esprimerle, perché altrimenti mi fanno male. Mio papà era in viaggio e al suo ritorno sarebbe
stato il suo compleanno. Come sempre non sapevo cosa regalargli e dedicargli questo libro
mi è parsa una buona idea. Credo che sia stata la prima volta che io abbia fatto una cosa così
importante,entrambi avevamo bisogno di farci un così bel regalo. Penso di essere stata quasi
completamente sincera mentre scrivevo, e sicuramente non tutto sarà chiaro a tutti.
Ora comincia il "vero"libro......
Voi non conoscete tutte le emozioni che si nascondono fra tutti i pensieri che da ragazzini si
hanno.
- Avevo pensato di utilizzare due personaggi a me molto cari: Achille e Angelica, per
raccontarmi, ma poi ho preferito essere direttamente io la protagonista.
Quando conosco una persona spesso alcuni miei atteggiamenti non vengono capiti; per
esempio è capitato che a scuola dei miei compagni parlino male di me, perché io sono
diversa e non faccio, le loro stesse cose o faccio delle cose sbagliate, come agitarmi quando
devo andare in bagno. Sottovalutano cosa faccio a scuola e mi dà fastidio perché io vorrei
essere uguale agli altri.
Uguale all'Eugenia,alla Lisa a mia sorella che io non riesco mai a raggiungere perché non
studio abbastanza e sanno più cose di me, perché loro sono più interessate a tutto e trovano il
tempo per fare tutto e io sono più lenta. Lenta, è un aggettivo che quasi mi perseguita. Io ho i
miei tempi per fare qualsiasi cosa, ed è terribile perché mi devo adeguare agli altri, quando
per me è quasi impossibile e invece loro, con un po' di volontà ce la farebbero. Quando
capisco o sento che qualcuno parla male di me, vorrei reagire, arrabbiarmi, ma poi penso che
potrei perdere quell'amicizia e allora rimango zitta.
Io non so cosa mi riserva il Futuro, ma so che bisogna sbagliare poco. Quando ero alle
scuole elementari, scrissi una poesia per la mia maestra Miria e dissi che mi sentivo come un
animale selvaggio che correva velocissimo nella foresta (io che ancora non so camminare!!!)
e libera come il vento (io che la libertà poco conosco, sempre con un adulto al fianco che
controlla).
La gente sa vedere anche ciò che non c'è e spesso si rifugia nella propria fantasia.
Mi sono accorta che con il tempo avevo sempre più difficoltà a parlare con la gente, perché
avevo paura di sbagliare. Ricordo una cena insieme ai miei genitori ed amici in cui ero così
preoccupata di esprimermi nella maniera sbagliata che sono rimasta zitta tutto il tempo,ma
avevo invece un grande desiderio di parlare. Non riuscivo a trovare nessun aggancio ai
discorsi che mi sembrasse interessante per gli altri. Io che non sembravo affatto timida, mi
sono ritrovata ad esserlo e non mi piaceva per nulla. Ho quindi deciso di iscrivermi ad un
corso di recitazione teatrale, perché avrei forse imparato a mostrarmi ed essere una persona
migliore. Ero fermamente convinta di dover cambiare. Da sempre non mi sono mai piaciuta
molto, ora mi apprezzo di più.
Chi come me, utilizza una fantastica carrozzina blu per muoversi,forse sa quanto
fastidio,quanta frustrazione, quanta rabbia, quanto dispiacere, quanto dolore, quanta
43
angoscia si provi ad avere gli occhi puntati addosso. In quei momenti vorrei picchiarli ed
essere io a scrutarli seduti su quella bellissima carrozzina blu.
Chi legge potrebbe pensare che io sia una persona infelice,e invece quegli attimi scompaiono
in fretta e io sono una persona felice. Anche adesso ho appena pianto, ma subito sto
sorridendo. Mi capita di pensare che per le persone cervello e gambe siano collegate, ma il
mio cervello funziona (credo??) molto meglio delle mie gambe. Sono in grado di pensare e
forse è per quello che ne soffro.
Se è vero che per tutti è tanto difficile accettare la diversità, quanto può essere difficile per
me, accettare la mia? Una bellissima canzone recita che rassegnarsi vuol dire ricominciare a
vivere e forse è vero, ma sicuramente costa tantissima fatica.
Sono riuscita a ridere per un episodio che di buffo ha poco, ma l'ho trovato così assurdo che
ha suscitato in me divertimento. Nella palestra della mia scuola c’erano dei ragazzini che
giocavano ed ho domandato di unirmi a loro, ma mi hanno fatto capire che non ero gradita,
ovviamente senza dirmelo, e allora non ho fatto altro che starmene per conto mio,
domandandomi che cosa poteva interessare a loro se io sono diversa, in fondo non disturbo
mai.
Il mio migliore amico, Matteo, (e se mai leggerà ne sarà contentissimo)è diverso da tutti, e
finalmente amo questa parola, perché lui aiuta,ma lo fa veramente e sinceramente. Matteo
mai si sente obbligato a farlo. Credo che per vivere la mia vita avrò ancora bisogno di essere
guidata perché se oggi chi mi circonda mi insegna le "basi"allora domani sarò forse
autonoma e indipendente. Oggi, per me l'importante è conoscere i fondamentali, poi quando
sarò adulta e avrò una famiglia potrò vivere la mia vera vita.
Ho bisogno di crederlo. M'immagino una vita normalissima, con un marito,dei figli e vissuta
nella mia casa di campagna, perché lì sono libera, forse semplicemente per la vista di tanta
natura.
44
PIERO BASSI
BOLOGNA
Nella pienezza, una speranza
Siamo germogli che si aprono al sole.
Durante l'inverno stiamo al calduccio sotto terra e aspettiamo con pazienza che arrivi il
tiepido sole primaverile per rivelare al mondo la nostra bellezza e la nostra grandezza. Nel
germoglio c'è tutta la meraviglia della pianta: il colore, il profumo, la particolarità, l'unicità.
E noi siamo proprio così: unici, irripetibili, preziosi, ma... da coltivare, da curare ogni giorno
con amore.
Noi non vogliamo rinunciare a gustarci la vita, non vogliamo seccarci al sole torrido, nella
speranza che qualcuno ci consideri, non vogliamo illuderci nell'attesa di un futuro
sconosciuto.
La cosa più bella che ci può capitare è di incontrare le persone, relazionarci con il mondo.
Possiamo provare ad immaginare tante vite per noi, rinunciare alla nostra, renderci
protagonisti di fatti e avvenimenti straordinari, prendere il largo su ali d'aquila... ma non
possiamo abbandonare il bastone o le ruote, le stereotipie o le nevrosi.
Possiamo allora immaginare tante vite, le vite degli altri, i loro conflitti, le loro gioie e le
caparbie conquiste e vedere che poi non sono così diverse dalle nostre.
Ma guai rinunciare alla nostra preziosa esistenza, ricca di tante sfaccettature, manipolata e
manipolabile dalla malattia, dal dolore ma anche e soprattutto dalla speranza, dalla certezza
di una positività che permea la realtà,dalla costanza nell'intessere rapporti con ciò che ci
circonda.
Mai rinunciare alla strada che è stata tracciata per noi, mai smettere di attendere che maturi
ciò che in noi è stato seminato e ciò che noi abbiamo seminato.
Mai rinunciare all'imprevisto, a ciò che arriva inatteso come l'arcobaleno dopo il temporale.
In un clima di incertezza generale e di diffidenza dilagante, come fare per essere noi stessi?
Come fare bene quel poco o tanto che riusciamo a fare? L'unica cosa da fare è non rinunciare
mai alla nostra vita, perché solo vivendo pienamente noi stessi, saremo capaci di trasmettere
valori e di educare al bello, al vero, al buono che sta dentro le cose e le persone, chiunque ci
incontra o ci scontra.
Ho immaginato tante volte di avere gambe per camminare, correre, giocare e lingua per
parlare, cantare, urlare: non le ho.
Ma ho mani per lavorare, testa per pensare e soprattutto cuore per amare. Per amare quella
diversità che mi fa unico e prezioso e che mi fa dire: avanti! Non rinuncio al mio cuore, alle
mie mani, alla mia testa; per il resto, qualcuno mi aiuterà.
Se rimane in me la capacità di provare stupore per la mia vita, allora questo viaggio ha
senso, questo dolore ha senso, questa gioia ha senso, questi incontri hanno senso.
45
RICCARDO BRIOSCHI
MONZA
La mia storia
Riflessione e ricordi da un sasso in cortile
Da questo sasso in cortile, incomincia la mia storia; che dura da 54 anni, più precisamente
cominciò il 18 maggio di 54 primavere fa, un giorno molto piovoso.
La mia famiglia era una famiglia fatta così: un padre, una madre casalinga e mia sorella nata
tre anni prima di me, infine c’era mia nonna Cecilia che decise ad ogni costo di farmi
nascere due volte, come nel libro di Giuseppe Pontiggia.
Dopo la scelta di farmi nascere ci fu la scelta di farmi vivere una vita il più possibile
normale. Una vita fatta di drammi, di difficoltà e di coraggio che si manifestò in diversi
momenti. Questo coraggio che acquistai grazie all’incontro con delle persone che
condivisero e capirono la mia realtà, e dai quali ricevetti tanta solidarietà. La mia vita, è stata
teatro fatto di tante genti, e ciascuna con un ruolo che, mi fece crescere…oppure la paragono
ad un cortile dove si vivono tante storie come quelle raccontate da Felice Musazziconi con i
suoi Legnanesi.
Su quel sasso rimasto in quel cortile c’è rimasto un pezzo della mia storia, del mio passato.
Su quel sasso a quattordici anni, scelsi di non morire e capii che c’era un futuro anche per
me. Poi conobbi come tutti Papa Giovanni; e da una carezza prese a fluire la mia
adolescenza, il mio esistere. Non mi sono mai sentito solo, la mia famiglia, i miei
insegnanti,i medici e le terapiste. Tante persone, un caleidoscopio di storie, affetti e
sentimenti. Di queste tante persone, la professoressa Vittoria, la fisioterapista Agnese, la
dottoressa Giuliana, e in modo particolare mia madre Amelia e mio padre Carlo tutte
persone che occupano e occuperanno un posto nel mio cuore.
Un elenco di nomi, un insieme di storie che per anni sono state vicino alla mia, e che con lei
si sono intrecciate e hanno formato la mia. Quanti sono i grazie che dovrei a persone care;
alcune delle quali non le ho capite e neanche abbastanza amate.
Oggi in questo mio presente ci siete anche voi.
Cinquantaquattro anni ricordo quel sasso mi ha salvato, permettendo di scegliere la vita ed è
da lì che capii che tutto poteva partire da una carezza.
Oggi sono in un mondo sociale, un mondo fatto di gente che somiglia a quella gente che non
si può considerare lontana, proprio perché tutto, prende le mosse da una carezza di Papa
Giovanni cui sono devoto proprio perché ha salvato la mia vita con la sua sola presenza.
Quando prego ringrazio Dio per avermi fatto incontrare tanta gente che mi ha voluto bene,
siano essi passati presenti e magari sperando che ce ne siano di futuri. Dopo
cinquantaquattro anni non ho voluto rinunciare a questa mia scrittura sulla comprensione e
solidarietà, oltre a quella carezza che Papa Giovanni e per conseguenza logica la pedagogia
del Concilio Vaticano II esortava a cogliere i segni del tempo.
Oggi provo a cogliere i diversi segni, le diverse manifestazioni d’affetto della solidarietà;
quello che è cambiato è naturalmente il mio ruolo: da soggetto, sono diventato un ispiratore
e costruttore di solidarietà.
Adesso è questo il mio ruolo, lo scopo della mia vita.
In un ambiente lavorativo a contatto con persone che soffrono e lottano per vivere la loro
vita il meglio che sia possibile, voglio essere per loro un sinonimo d’aggregazione sociale,
un appoggop, un sostegno, un amico….
46
Tento di mettere in pratica una frase che è rimasta impressa nella mia mente dell’Enciclica
di Giovanni Paolo II. Per provare a capire e trovare un senso, ”perché vivere non è soltanto
un verbo senza tempo e privo d’ogni altro significato”.
47
MARCELLO CAMILLI
BOLOGNA
Una vita sul campo
Per descrivere oggi il mestiere del contadino, una tra le più vecchie attività dell'uomo é
necessario tornare indietro nel tempo almeno di trent'anni, perché all'epoca esistevano ancora
realtà dove si coltivava la terra in maniera tradizionale. La tecnologia con macchine
sofisticate e potenti ha preso il posto di buoi, cavalli, asini, zappe, vanghe, falci, nonché delle
braccia e della schiena dell'uomo; oggi i coltivatori della terra sono da considerare più tecnici
che contadini. Le cognizioni e gli effetti degli eventi naturali sulle coltivazioni, sugli animali
e sulla natura della terra formavano un interessante bagaglio culturale dell'uomo che
conduceva la vita in campagna. Il tempo da impiegare nel lavoro dei campi, la mancanza di
strumenti ed anche le scarse possibilità economiche non permettevano, in alcuni casi, di
frequentare la scuola o di tenersi aggiornati sui vari processî scientifici, sociali e culturali. Il
contadino normalmente era una persona forte, energica, pronta ad affrontare le fatiche del
lavoro dei campi, le intemperie e soprattutto i soprusi del padrone; contemporaneamente era
una persona saggia e generosa. In questo contesto si inserisce la storia di Rocco, bambino
disabile affetto da nanismo, nato da una famiglia di contadini, nei primi anni cinquanta, in un
piccolo paese della Toscana. Rocco rappresentò fin dalla nascita, la gioia e la preoccupazione
dei genitori, poiché per una famiglia impegnata quotidianamente a portare avanti i pesanti
lavori dei campi, la nascita di un figlio con limiti fisici, non rappresentava la massima
aspirazione. Ma un figlio é sempre un grande dono della natura ed i genitori si adoperarono
subito per verificare se dal punto di vista medico esistevano delle soluzioni che favorissero
una crescita normale. Rocco fu fatto visitare da diversi specialisti che tentarono di risolvere il
problema sottoponendolo a fortissime cure a base di ormoni. I risultati non furono quelli
sperati, tutti si dovettero rassegnare al fatto che Rocco avrebbe dovuto affrontare la sua vita
da una altezza inferiore agli altri. i genitori, abituati ad affrontare le difficoltà quotidiane con
coraggio e determinazione, si adoperarono per dare, al proprio figliuolo, tutte -le opportunità
per un proficuo inserimento sociale. Rocco dimostrava, sin da bambino, di crescere, nella sua
particolare condizione, giocando, scherzando e muovendosi all'interno della vita. di
campagna con grande vitalità ed interesse.
Venne il momento di frequentare la scuola elementare: i genitori seguendo anche i consigli di
parenti ed operatori sociali, decisero di mandare il ragazzo a studiare in collegio. Rocco
rimase in collegio fino al compimento della scuola dell’obbligo, dove dimostrò ottime qualità
ed attitudine allo studio, nello stesso tempo migliorò la socializzazione ed apprese un buon
livello di educazione; dimostrava una particolare attitudine per la letteratura ed amava molto
il teatro, in particolare si era appassionato alle commedie di Eduardo De Filippo. Dopo la
scuola media, i genitori preferirono iscriverlo all’Istituto Tecnico per Ragionieri perché
ottenuto il diploma avrebbe potuto trovare, in poco tempo, un lavoro. Rocco visse il periodo
dell’adolescenza soffrendo molto la sua diversità; non veniva aiutato dai modelli dei giovani
del paese che amavano la disobbedienza, il non rispetto delle regole, l’uso della bestemmia
era molto frequente ed anche segno di distinzione; la maggior parte dei ragazzi del paese
erano dei veri e propri monelli. Frequentando le scuole superiori trovò un impegno culturale e
delle amicizie che lo aiutarono a non farsi coinvolgere dal gruppo. Assimilava ed apprezzava,
giorno dopo giorno, il valore della vita, lo stare in buona compagnia ed il rendersi utile per gli
altri. Il paese non offriva molte iniziative sociali e culturali; anche la parrocchia che di solito
è un punto di incontro e di proposta per i giovani, si limitava con il vecchio Parroco Don
Lorenzo, a gestire la quotidianità. Rocco conseguì il diploma di Ragioneria al termine dei
cinque anni di studi con una buona valutazione. Dopo circa un anno trovò lavoro come
48
ragioniere in una Società di servizi contabili, che consentì di rendersi economicamente
autonomo dalla famiglia. Nei momenti di tempo libero cercava di migliorare le proprie
conoscenze culturali e si dedicava, con discreti risultati, alle iniziative sociali del paese; per
questo gli fu proposto di diventare consigliere comunale con l’incarico di seguire le politiche
sociali e la pubblica istruzione; lui accettò ed ottenne buoni risultati: Rocco aveva un feeling
particolare con le donne, le sue amicizie maggiormente erano femminili; si innamorò, in
periodi diversi di due belle ragazze: Lorenza e Claudia, con cui visse una intensa relazione
per circa due anni; in entrambi i casi il rapporto si sciolse al momento di scegliere il
passaggio alla vita matrimoniale.
All’età di 35 anni, inaspettatamente Rocco venne colpito da una grave malattia infettiva al
midollo spinale, che rese la sua disabilità ancora più grave, togliendogli la forza nelle gambe
e costringendolo a muoversi su una carrozzina. Ancora una volta aveva piovuto sul bagnato!
Ma Rocco non si demoralizzò mostrando nuovamente una gran forza di volontà, utilizzando
tutte le energie migliori che aveva in corpo e dentro la sua testa, cercò di riorganizzare la sua
vita. Dovette abbandonare il lavoro per affrontare l'evolversi e le conseguenze della sua
malattia; per questo si affidò alle cure di una struttura sanitaria di Bologna, dove rimase
ricoverato per circa un anno. Quando il destino sembrava gli avesse girata le spalle, arrivò la
sorpresa positiva, il cosiddetto colpo di fulmine: conosce la donna della sua vita, Francesca.
Rocco e Francesca decisero di sposarsi e continuare a vivere a Bologna. Rocco oltre all'amore
con Francesca ha trovato gli stimoli per una vita nuova, riscoprendo anche alcuni vecchi
interessi: per la prima volta si trova a fare il marito ed affrontare le questioni della famiglia; il
tempo che rimane lo dedica al Teatro. Studiare quotidianamente oppure mettersi in gioco,
improvvisare movimenti e relazioni con gli altri costituiscono un essenziale allenamento che
stimola energie positive utili alla propria vita. Recentemente Rocco ha terminato la
produzione di una spettacolo dove interpreta il ruolo di un clown, esso termina con una sua
battuta che recita: "La vita va vissuta sempre e con il massimo rispetto".
49
CIRO ESPOSITO
BOLOGNA
Il tempo della tentazione
Ibiza l’isola dei sogni e del divertimento, quello che accadrà domani non ha importanza visto
che posso godere, qui e ora, ciò che si presenta.
Nei sogni di questi giorni, l’immagine di mio padre dentro la bara, tormenta il mio
inconscio, mi costringe a una frammentazione: il tempo razionale e lineare del giorno, non
esiste più per me.
L’immagine ricorrente: sto aiutando il becchino a sistemare l’aria condizionata dentro la
bara, è un modo per non far scoppiare l’addome di mio padre.
Di sera, vado al porto, c’è un antico veliero e penso a lui, ai suoi lunghi viaggi….
Vivo in una sorta di eternità quotidiana che mi permette di essere romantico: non ho bisogno
di dimostrare a nessuno la sua dignità e il mio dolore di amarlo.
Passeggio in direzione del faro e osservo il veliero; poi vado verso il quartiere storico di
Ibiza.
Al castello c’è un promontorio, una costa altissima; mi affaccio da una balaustra.
Ho una camicia di seta trasparente, sbottonata. Un vento fortissimo strattona la camicia,
sembra di avere le ali. Leggero, potrei spiccare il volo, come un uccello in movimento verso
il futuro ma con uno sguardo rivolto all’indietro, affascinato dalle altezze. Sarebbe semplice
buttarmi giù. Vorrei lasciarmi andare…
D’improvviso, ascolto una voce: sono afferrato da un abbraccio; il mio torace è stretto da
due braccia robuste; mi giro, lo guardo ma non lo riconosco.
Resto lì, immobile a piangere, ad accogliere l’abbraccio di uno sconosciuto.
***
Il dolore procura ferite profonde: il viso è cambiato, l’occhio sinistro è solcato da rughe
profonde piccole e sottili e l’occhio destro no: come se metà parte di me avesse accettato il
dolore e l’altra no.
Il tempo della tentazione del volo sembrava eterno, come lo erano l’ansia e l’emozione di
rivedere il viso di mio padre.
***
Volevo raggiungerti.
Tu non ci sei. Tutti i ricordi rivivono davanti ai miei occhi. Chissà? Se ti avessi capito di
più? Se ti avessi amato di più? Domande inutili e patetiche. Sono solo adesso? È già finita la
nostra storia d’amore?
No, non credo: il mio cuore è con te e tu sei al centro di me.
Non ti dimentico anche se non ci sei. Ma che sarà di me? Se con te, tutto è stato inutile,
incoerente, difficile.
Adesso che sono solo non voglio credere negli addii ed è per questo che non ti dico “addio”.
***
Vita misteriosa che cosa posso fare di te?
50
Misericordia che scivoli tra le mie mani, sei una brezza, un leggero vento: non andare via.
Che occasione! Che sorpresa! La mia volontà ha scelto la vita.
***
Ritorno al porto, il veliero non c’è più: tu sei partito per un altro viaggio e non mi hai
detto:<<Addio>>.
Adesso che sei lontano, non ho più paura di amarti.
La mia mano accarezza il mio viso come se toccasse il tuo: sereno, ritornato bellissimo, con
tratti distesi: sei in pace.
Tu non smetterai mai di amarmi.
Se ti sentirò, se mi salverai ancora una volta, dammi la forza di vivere e la tua dignità,
amore mio papà.
51
MARIA LETIZIA FERMI
CARPANETO - PIACENZA
Luca e Giorgio
"Dai andiamo, fai girare quelle ruote, altrimenti arriviamo tardi... dai, ti spingo io!" Giorgio
prese in mano la situazione, si mise dietro alla sedia a rotelle di Luca e spinse, spinse più
forte che poté, tanto che i capelli di Luca si alzarono per il vento che gli sbatteva sulla faccia
e lui rideva, contento e un po' rabbrividendo per l'aria che gli entrava nella camicia.
Giorgio e Luca erano amici da un casino di tempo, si conoscevano dall'infanzia e fino ad ora
erano stati inseparabili, con le solite litigate che si fanno da bambini, ma niente di veramente
serio, solo com'è giusto avvenga fra amici. Dopo le scuole superiori fatte insieme nella
stessa classe, Luca aveva contratto una terribile malattia e allora era cambiato, non poteva
più seguire l'amico nelle sue mille imprese, o meglio, non riusciva a stargli dietro anche se
avrebbe voluto e allora lo lasciò andare verso il suo destino senza accompagnarlo. Giorgio
pensava che l'avesse abbandonato per qualche inspiegabile motivo, questa volta più grosso e
potente della loro amicizia, che forse aveva a che fare con l'annosa questione della biondina,
ma non ci andò mai a fondo. Giorgio continuò da solo la sua vita, scelse una carriera
universitaria che gli piaceva e per la quale si sentiva portato e iniziò a studiare e a dare
ottimi esami, sempre con la testa china sui libri. Per migliorare la sua preparazione, dopo
poco si trasferì in Inghilterra e lì ci rimase qualche anno.
Luca combatté senza di lui contro la malattia, non voleva il suo aiuto, perché Giorgio lo
aveva abbandonato e non lo aveva seguito in questa prova, ma non aveva nemmeno il tempo
di fermarsi a cercare di rintracciarlo, perché ora era troppo intontito dalla ricerca esasperata
di qualcosa che bloccasse il progredire della malattia. Passarono gli anni e Giorgio tornò
dall'Inghilterra, laureato e sicuro nelle conoscenze apprese; Luca, dopo molti ricoveri
ospedalieri, si era ridotto sulla sedia a rotelle, la colonna vertebrale non riusciva più a tenerlo
in piedi e aveva perso ogni interesse per la vita di società, rimaneva sempre chino sui suoi
libri e usciva di casa solo per le numerosissime visite che doveva fare.
Quel giorno Giorgio si presentò a casa di Luca, suonò il campanello e la madre lo fece
entrare e gli fece mille domande sulla sua esperienza all'estero e sul lavoro; Giorgio rispose
molto gentilmente al super-interrogatorio, in fondo sentiva la signora come una seconda
mamma, ma alla fine non ce la fece più e disse: " Mi scusi signora se sono così veloce e
sbrigativo a rispondere alle sue domande, ma... Sono ritornato qui con uno scopo preciso...
Vorrei rivedere Luca... come sta signora, lui come ha passato questi anni? " Luca era lì
dietro alla porta e come sentì pronunciare il suo nome entrò subito in sala sulla sedia a
rotelle e disse: "Ciao Giorgio finalmente...... " ma non riuscì a pronunciare nient'altro e
scoppiò in lacrime per l'immensa gioia che sentiva in sé; nemmeno Giorgio riuscii a
trattenere le lacrime e disse: "Luca scusa se t'ho abbandonato..." La madre di Luca se n'andò
dalla sala per lasciare soli gli amici e appena uscita dalla stanza Giorgio a bassa voce disse:
"Tu con questa malattia hai intrapreso un viaggio senza di me; io non ce la facevo a vederti
in quello stato, a fare fatica a camminare anche solo per qualche passo e poi sulla sedia a
rotelle. Ma ora voglio recuperare il tempo perduto... ..." Non gli sembrava più di conoscerlo,
c'era qualcosa che lo cambiava, che lo rendeva diverso e non era quella sua strana
capigliatura con i capelli cortissimi e nemmeno il fatto della sedia a rotelle, ma la sua
espressione in volto, con un sorriso tirato, forse fatto per forza, per mantenere una certa aria
d'amicizia. Luca si schiarì la voce e disse: "Dimmi com'è l'Inghilterra, che bei monumenti ci
sono....... lo non so se ci andrò mai..." Giorgio prese subito la palla al balzo e iniziò a
raccontargli della sua vita al college universitario, delle nottate passate a studiare, della mole
di libri che si era procurato in giro sui mercatini dell'usato e dei bei giardini che si trovavano
52
attorno a ville antiche. Poi gli disse: "Ti va di venire con me stasera al teatro del paese, come
ai vecchi tempi, per vedere uno spettacolo che sono sicuro ti piacerà?"
Alle sette in punto Giorgio arrivò a casa di Luca e scesero in strada; all'inizio Luca cercò con
tutta la sua forza di stare al passo di Giorgio, ma non ce la faceva; allora Giorgio si mise a
spingere la sedia a rotelle di Luca e correva, zigzagando sulla strada per evitare i vari
ostacoli, sassi e bidoni, e Luca correva anche lui, con la mente però, ed era già là, sotto al
palco.
53
MATTEO GABBANI
PESARO
La vita di Donato
Era una fredda e piovosa notte d'inverno, ma lei, Claudia non era triste perché fra due mesi
avrebbe dato alla luce Donato il suo primogenito, che lei e suo marito, Luca avevano tanto
atteso e desiderato.
Ma poi , proprio quella notte, fu svegliata da forti dolori, improvvisi e inaspettati. Subito i
due coniugi si precipitarono all'ospedale, impauriti e sconcertati ma fiduciosi che non fosse
nulla di grave. La loro speranza fu subito annientata dai medici i quali la ricoverarono subito
per un parto d'urgenza. La mattina dopo Donato venne alla luce e fu subito messo in un
macchinario chiamato "incubatrice," in quanto troppo piccolo di peso. I genitori, tesi ma
felici per questo parto prematuro, guardavano il loro scricciolo muoversi lentamente ma
all'improvviso il sorriso scomparve dai loro volti. 1 medici, dopo un primo esame. avevano
evidenziato una lesione celebrale: Donato avrebbe avuto problemi motori, forse anche
psichici. Subito le menti dei due furono assalite da mille domande: perchè a noi? Nostro
figlio avrà una vita normale? Potrà camminare? Potrà studiare? Cosa potrò fare per lui? e
senza dirsi una parola scoppiarono in un pianto disperato.
Tre mesi dopo Donato usci dall'ospedale e subito i suoi genitori iniziarono una lunga trafila
di visite ed esami ma la risposta era sempre la stessa:» Vostro figlio non ha danni a livello
intellettivo, ma solo a livello motorio, e con opportuni interventi e terapie potrà stare in piedi
e camminare anche se non in modo autonomo«.Rinfrancati dalla diagnosi che faceva
intravedere per loro una possibilità di vita "normale", i due uniti più che mai in questa nuova
"avventura", si adoperarono per trovare le migliori strutture ed iniziò cosi per Donato un
periodo di riabilitazione e piccoli interventi.
Donato cresce, e al compimento dei tre anni, arrivo per lui l'ora di entrare a far parte della
scuola materna. I dubbi dei genitori riguardo presunte difficoltà d'inserimento del proprio
figlio furono subito fugati: Donato gioca, ride, scherza, è benvoluto dai compagni; inoltre si
dimostra abbastanza veloce nel apprendere i primi insegnamenti. La stessa cosa si riproponeanche al momento di entrare a far parte della scuola elementare e media. Gli amici
aumentano, i risultati scolastici sono discreti, cresce cosi di pari passo la felicità di Luca e
Claudia.
Ma purtroppo le cose non andarono sempre per il meglio. In piena fase adolescenziale,
Donato conobbe una prima crisi: i progressi verso la sua piena autonomia si fecero più lenti,
lo studio che prima lo appassionava tanto, non gli interessava più, usciva sempre meno con i
suoi amici preferendo rinchiudersi nella sua stanza. Iniziò i manifestarsi in lui la sensazione
di non essere uguale agli altri: provava invidia nel vedere i suoi amici giocare a pallone,
vedeva che le ragazze, che comunque gli dimostravano affetto non si comportavano con lui
come con gli altri ragazzi, si sentiva non all'altezza verso i suoi genitori che cosi tanto lo
avevano aiutato, ma a cui, secondo lui non aveva dato nulla in cambio. Ciononostante
Donato "maschera" la sua crisi e a contatto con gli altri si mostra sempre felice e scherzoso
come al solito, non destando alcun sospetto tra i suoi conoscenti.
Gli anni passarono e Donato si diplomò con buoni voti. Arrivò per lui il momento di entrare
a far parte del mondo del lavoro visto che gli studi non lo interessavano più. L'iniziale
entusiasmo fu subito sopito dai tanti colloqui che si risolvevano in nulla di fatto, a volte
anche dopo un semplice primo sguardo. Tutto questo non fece altro che acuire il suo stato di
depressione e, nonostante Donato continuasse a ripetere che le cose sarebbero migliorate,
nella sua mente balenarono i primi brutti propositi di suicidio.
54
Cosi, un giorno di primavera, sopraffatto dallo sconforto, rimasto solo in casa decise di
suicidarsi ingerendo una forte dose di barbiturici unita a dell'alcool. Fu fortunatamente
salvato dall' arrivo tempestivo dei suoi genitori. Da quel momento Donato divenne un fiume
in piena e diede sfogo a tutto il suo dolore e la sua sofferenza tenuta dentro per anni,
lasciando increduli ed esterrefatti parenti ed amici.
I genitori si sentirono morire e iniziarono ad interrogarsi su che cosa avessero sbagliato in
tutti questi anni, ma nonostante tutto non riuscirono a trovare qualcosa di sbagliato nel loro
comportamento. In effetti l'unica colpa di cui li si poteva accusare era di aver amato e
protetto troppo il proprio figlio.
Iniziò cosi per Donato una lunga trafila di incontri con psicologi, che però non portano a
nessun risultato. Luca e Claudia presi dallo sconforto più totale, decisero come ultima
spiaggia di rivolgersi ad Augusto, un disabile del loro quartiere, che con la sua attività di
volontariato e di sport aveva salvato molti giovani in difficoltà. Donato incominciò a
frequentarlo e, dopo l'iniziale scetticismo, iniziò ad aprirsi con Augusto e ritrovò piano piano
la sua strada. Donato capi che nonostante la sua disabilità, poteva ottenere qualsiasi cosa, a
patto di lottare per conquistarla. La prova ne era lo stesso Augusto, che nonostante la sua
grave disabilità gli permettesse di muovere solamente la testa, aveva una serenità e una
voglia di vivere che Donato non aveva mai riscontrato in nessuna altra persona. Inoltre con
la sua attività era amato e rispettato da chiunque lo conoscesse.
Donato ritrovò cosi la sua voglia di vivere, riuscì ad ottenere un occupazione, intraprese
l'attività sportiva conobbe una ragazza, la sposò e fece due figli.
Vi ho raccontato la vita di Donato, una vita "diversa" dal normale, direte voi, invece no é
una vita come tante, fatta di gioie e di dolori, felicità e tristezza; perché Donato, come noi,
avrà potuto immaginare per sé tanto vite, ma non ha rinunciato alla sua, come noi non
possiamo rinunciare alla nostra.
55
GIOVANNI LIMONCINO
ASSEMINI – CAGLIARI
“La malattia accompagna la mia vita e …
io l’assecondo con dolcezza”
Ho vissuto una vita da sano, ma con questo non voglio abbandonare la vita che devo vivere
da malato, sarebbe come soccombere per la seconda volta.
A tante cose devo adattarmi, poiché l’essere paralizzati comporta tanti problemi.
Restare se stessi è accettare tutto ciò che non puoi fare.
Essere ottimisti è la capacità di potersi proiettare in un futuro. E’ necessario essere sempre
preparati a tutti i cambiamenti, spesso repentini affrontare i problemi per poter continuare a
vivere anche nei momenti difficili.
In questo momento più di prima il mio pensiero riesce ad andare ben oltre le mie capacità
fisiche riuscendo ad eludere le difficoltà, pensando sempre tutto in positivo, consapevole dei
miei limiti. Di sicuro non posso illudermi di avere le capacità di prima, ma certamente, se
pur lentamente, cerco di portare a termine un progetto.
Affrontare la vita da diversamente abili, vuol dire cercare in me tutte quelle risorse nascoste.
Tra queste ho scoperto la parte poetica in me. Poter trascrivere la mia autobiografia,
lasciando cosi un ricordo ai miei nipoti, mi da immensa gioia, come se comunicassi con loro.
Ho scoperto che nel momento in cui ho perso il mio “IO” ho trovato “DIO”.
Quando ero giovane la vita sembrava un gioco, tutto per me un semplice. Trascorrevo la vita
tra il lavoro, la mia famiglia e la tanta amate atletica.
Ero innamorato della corsa e le mie gambe lo sapevano e raramente mi tradivano.
A casa avevo tante di quelle coppe che, non ricordo più il numero, ma di sicuro avevo
abbandonato la cosa più importante che è “DIO”.
Un giorno scopro in me di essere affetto da S:M: e da quel momento incomincia una nuova
corsa ma affianco a me c’è “DIO”.
Sono convinto che DIO è in me, ricordo che un giorno sentivo nell’aria un profumo
meraviglioso, chiesi a chi mi stava vicino se percepiva nell’aria un profumo, ma mi rispose
di no e in quel momento con dei movimenti del tutto involontari incominciai a masticare,
proprio come se quel profumo avesse un aroma dolce.
Di ciò ne parlai con il parroco del paese, che per sua consuetudine venire a trovarmi, ma
considerò tutto questo un evento banale.
L’evento si ripetè più volte nell’arco di due anni e io ancora oggi sono convinto che quello
fosse un segno di “DIO” per indirizzarmi in un cammino spirituale che tutt’oggi percorro e
che mai abbandonerò.
Affrontare la vita con DIO mi avvicina alle persone anziane che hanno tanto da raccontare
della loro passata giovinezza. Anche loro, come me, trovano difficoltà nell’affrontare la vita,
ma io con il mio spirito cerco di dare loro dei momenti di conforto e serenità.
Ricordo che un giorno vidi un vecchio, seduto in una panchina e fui colpito dalla sua
solitudine, mi avvicinai a lui e gli chiesi quanti anni avesse, mi rispose che ne aveva
novantatre e poi cominciò a raccontarmi la sua giovinezza.
Quell’esperienza mi arricchì spiritualmente, ma allo stesso tempo diedi a lui entusiasmo per
la vita, nonostante la sua vecchiaia.
56
ANTONELLA MANNUCCI
PALERMO
Una vita a metà
“Immaginare tante vite”… Perché immaginarle se la vita la puoi vivere anche se sei una
persona disabile! La vita è una e tutti hanno il diritto di scoprirla, assaporarla: E’ come un
lungo viaggio, devi a poco a poco avventurarti riuscendo con tutte le tue forze a combatterla,
ad inserirti in questo mondo dove sembra ci sia postoselo per le persone così dette normali.
Attenzione!! Noi, “persone disabili” siamo “normali”, è la società che emargina, ma noi con
il dovuto aiuto possiamo e vogliamo vivere.
Molte volte la mia mente è volata altrove, dove mi vedevo libera di muovermi, di lavorare,
di avere una mia vita privata. Sogno sempre di essere su una pista da ballo e su musica
latino-americana muovere il mio corpo nei movimenti pacati e sensuali. Il tuo corpo diverso
ma che nulla avrebbe da invidiare se non fosse ….. Mi piace molto l’estate, tuffarmi nel
mare limpido e distendermi sulla sabbia, e perché no, farmi ammirare, indossare questi abiti
alla moda svolazzando di qua e di là. Hai una forte rabbia dentro di te, purtroppo ti accorgi
che è un’illusione.
La musica mi porta lontano, dove il mio essere donna si congiunge con le vibrazioni
dell’infinito e, vedi la vita più bella, senza sofferenza, senza occhi spalancati che ti scrutano
anche con curiosità.
Mi capita spesso di vedere ciò che gira intorno a me, sorpresa per quello che esiste di bello.
Emozioni, sensazioni da vivere e non chiuderle e soffocarle dentro di te. Sembra un film
dove puoi in qualche modo apparire come comparsa.
Ho sempre lottato per non sentirmi una “persona disabile”, ho cercato sempre di frequentare
luoghi e persone che mi facessero sentire viva e attiva, anche a scuola è stato piuttosto facile
perché il mio handicap era motorio e potevo gestire la situazione, tutta la mia vita è stata
centrata sulla normalità, perché ho sempre incontrato persone intelligenti.
Se riesci ad andare avanti con caparbietà, c’è sempre la tua condizione a riportarti alla realtà,
quella purtroppo è un dato di fatto.
Nulla ti è dato senza che ti ricordino ciò che sei, così sei costretta ad ingoiare amaro. Molte
volte mi sento sola e sconfitta perché sento la vita, quella vera sfuggirmi dalle mani e . . . .
E’ facile immaginare tante vite, perché ogni giorno la vedi questa vita diversa: in tv, in
strada, tutto appare nuovo per “noi disabili”, vuoi a tutti i costi farti spazio e respirare questa
vita che purtroppo sei costretta a non avere.
Sei legata a quel qualcosa che per certi versi ti ostacola, la carrozzina, ma solo per le barriere
che ti circondano perché, essa, è la tua vita.
Puoi fare tutto con la carrozzina, basta avere la forza per accettarla e condividere con essa la
“tua preziosa vita”. Si, la nostra vita è preziosa e deve essere vissuta nella sua completezza.
Devi cogliere ciò che ti da, perché poi ti rimarranno i bei ricordi un giorno . . .
Mi piace raccontare della mia vita perché l’ho vissuta bene per un lungo periodo, sono stata
bene in salute sino a tanti anni fa, adesso c’è delusione che tutta la mia beltà è finita con il
peggioramento della mia malattia, adesso più che mai sono legata ad una carrozzina e la mia
patologia mi ha trasformata mettendomi nella condizione di sentirmi non realizzata nella vita
sociale ed affettiva.
Mai sarò una donna completa e questa la vera ragione del perché immagino la mia vita
diversa. Sì, una donna in carriera, che viaggia, con un compagno vicino.
C’è chi la vita la perde tra droga e violenza, magari vogliono una vita lussuosa facendo del
male, ma non è questo il senso della nella vita.
57
Noi “persone disabili” siamo etichettati come quelli che non hanno obiettivi, sentimenti, ma
chi lo dice! Anche nella nostra piccola vita siamo capaci di costruire. Di amare, di metterci
in discussione.
(Accidenti), lasciatemelo dire, la vita è MERAVIGLIOSA, e ve lo dice una persona che
AMA la vita e vuole viverla a tutti i costi. Per me purtroppo è un miraggio, ogni giorno mi
accorgo quanto desidererei Viverla diversamente ma ciò che faccio è, guardarla da dietro i
vetri con tanta stanchezza. Non arrendiamoci, cerchiamo di INVENTARCI il nostro modo di
VIVERE la vita.
Una vita a metà ma pronta e fiduciosa di cambiarla e di gioire delle piccole cose che per noi
sono grandi. E, come una sirena sogno di riemergere dalle acque libera in cerca di rifugio, di
sostegno e trovare due nani forti che mi facciano vivere.
. . . Ma forse sono solo Sogni di una Vita a metà.
58
BEATRICE MANZO
MONZA
I miei primi quaranta anni (di gioie e dolori)
Non vi fate trarre in inganno dal titolo, mi chiamo Beatrice Manzo e non Marina Ripa di
Meana, e il primo novembre compierò quarant’anni, ecco perché questa mia storia l’ho
intitolata così.
Sono nata a Nabeul in Tunisia nel 1964, secondogenita di due sorelle e un fratellino che è
morto dopo 15 giorni.
Era una domenica e nessun dottore era reperibile, al momento delle doglie, c’era solo
un’infermiera incompetente. Il parto si presentava podalico, era necessario effettuare un
taglio cesareo che non fu praticato. Dopo quattro ore, venni al mondo metà cianotica e
quando entrò mio padre l’infermiera affermò che ero morta; mio padre si avvicinò, notò che
il mio cuore batteva ancora, così, la scacciò e chiamò un’altra infermiera che mi mise
nell’incubatrice e mi salvò la vita.
Quella mancanza d’ossigeno mi provocò una paralisi ai nervi motori.
Nel 66 lo stato arabo ci cacciò dalla Tunisia e su di una nave venimmo in Italia.
Dopo un anno passato in un campo di profughi a Napoli, mio padre trovò un lavoro a Monza
presso la Singer; il governo ci diede la casa, dove tuttora vivo. Fin da piccola, capivo
benissimo che non potevo correre e giocare come gli altri bambini e tutte le sere pregavo la
Madonna perché mi guarisse . Quando compii sei anni nel 70, andai in una scuola speciale
per portatori di handicap a Gorla. Qui passai un’infanzia felice. Nel 75 m’iscrissero contro la
mia volontà in una scuola normale, vicino a casa.
Da un ambiente protetto e ovattato, mi trovai come un pesce fuor d’acqua, i miei compagni
di classe scrivevano più in fretta di me e avevano i tempi d’apprendimento più veloci dei
miei, mi facevano sentire diversa, prendendomi in giro.
Le medie le feci alla Pascoli, e mi diplomai con il massimo dei voti.
Fin da piccola, il mio sogno era di fare la maestra, ma per il mio problema di linguaggio,
frequentai un biennio per segretaria d’azienda; quindi, avere un’opportunità di trovare un
lavoro come impiegata.
Dopo un decennio fatto di speranze, delusione nel tentativo di inserirmi nel mondo del
lavoro, quando mi ero ormai rassegnata a vivere dentro quattro mura; fui assunta il 12
febbraio del 92 alla Schindler S.p.A. di Concorezzo. Qui trovai delle persone che mi stimano
e mi vogliono bene, e da quel giorno incominciò per me una nuova vita.
Mio padre morì nel 93, perché era malato di cuore, fu il primo di una lunga serie di lutti
famigliari; e di tanto dolore.
Nel 97 decisi di realizzare il mio secondo desiderio: quello di prendere la patente.
Desiderio che si realizzò solo a metà; fui promossa all’esame di teoria, ma nell’esame di
pratica fui bocciata, il mio desiderio d’autonomia era così forte che con l’appoggio del mio
amico del cuore Sergio mi comprai un quadriciclo che funziona a diesel; alla faccia di quegli
ingegneri che mi bocciarono, io guido lo stesso!
C’è una cosa che mi è mancata e mi manca ancora, è essere amata desiderata come donna.
Nel 89 conobbi un uomo sposato con due figli. All’inizio fu una bell’amicizia, ma poi si
trasformò in una bruciante passione. Tanto era grande il mio bisogno di essere amata, che mi
accontentai di vivere una storia clandestina; ripetevo a me stessa meglio poco che meglio di
niente.
In mezzo alla gente mi denigrava, per paura di compromettersi, ma quando eravamo soli mi
faceva sentire la donna più bella e desiderata del mondo.
59
Tormento ed estasi, inferno e paradiso. Nel 94 lui si separò dalla moglie, mi promise che non
appena otteneva il divorzio si sarebbe sposato con me, ero veramente felice, ma nel luglio 97
venni a sapere da una persona solo un mese dal divorzio, si era risposato con un’altra; fu un
gran dolore, che mi procurò un forte esaurimento.
Il tempo sana ogni ferita, così a poco a poco ricominciai a vivere e a sperare. Finché c’è vita
c’è speranza e dentro il mio cuore spero ancora di trovare il grande amore; questo è il mio
terzo desiderio.
60
FERDINANDO MEVIO
BIANZONE - SONDRIO
Il rientro del medico
Il giorno seguente fortunatamente il chirurgo italiano rientrò dalle ferie: vedendomi ridotto
in quel modo rimase pietrificato davanti a me. Andò dalla caposala a chiedere informazioni
ma lei fece finta di cadere dalle nuvole.
Ci pensai io a spiegare corre erano andate le cose, e fu allora che cominciò ad apostrofarla in
francese, utilizzando termini a me sconosciuti. Vi posso però assicurare che non erano
complimenti ... Arrivò il primario e sentì anche lui la sua dose di critiche.
Il mattino seguente mi portarono in sala operatoria, per togliere il liquido: quel che era fatto
era fatto, si trattava quasi di chiudere una stalla dopo che erano scappati gli animali.
Al mio ritorno in corsia mi svegliai e c'era mia madre, china su di me, che mentre mi teneva
la mano mi chiedeva come stavo.
Mi svegliai completamente solo più tardi, e mi accorsi della presenza di Carlo nel letto
accanto.
Il giorno dopo chiesi a Mumari, questo il nome del medico che mi aveva operato, se
l'emiplegia che avevo contratto si sarebbe protratta nel tempo, oppure sarebbe stata una cosa
di breve durata. Mi rispose che si sarebbe trattato di sopportarla sei, sette mesi, e
bastarono queste poche parole a calmarmi.
Ciò che mi ferì fu che un giorno un'infermiera mi chiamò per un esame, io le risposi di
venirmi a prendere con la carrozzella e lei disse ironicamente "aspetta che chiamo l'auto
presidenziale ". Incosciente, non sapeva che non potevo camminare?
Ritornò poco dopo con una carrozzella tutta sgangherata, mancavano persino i copertoni
alle ruote...
Quando mi riportò in camera, ad esame effettuato, dopo avermi aiutato a sdraiarmi nel
letto, vidi che se ne stava andando con quello che era stato il mio mezzo di trasporto.
Chiesi se poteva lasciarmela, potevo forse utilizzarla più tardi, per farmi un giro, ma mi
rispose che era l'unica in tutto l'ospedale. Le chiesi se stava scherzando, rispose di no e
io cominciai a ridere così forte che accorsero anche gli altri italiani.
Dopo aver spiegato l'accaduto, il padre di un ragazzo italiano ricoverato per un tumore al
cervello, in seguito deceduto, si avvicinò e mi disse di stare tranquillo, che me l'avrebbe
comprata lui la carrozzina.
61
ANTONIO MOLINARI
BOLOGNA
Gli amori del passato
Sono al cinema, sento la nonna che sta piangendo seduta nella poltrona accanto a me mentre
sullo schermo vedo il protagonista del film "Le chiavi di casa" che fa altrettanto: è l'ultima
scena in cui il padre singhiozzando abbraccia il figlio handicappato Paolo, poi scorrono i
titoli di coda, e io seduto fra la nonna che si soffia il naso e un amico che mi stringe forte
una mano non so che dire. Anch'io sono commosso perchè durante la proiezione spesso mi
sono distratto confondendo le immagini del film con i miei ricordi: gli anni di scuola, gli
ospedali, i progressi, le delusioni.
Soprattutto mi erano venuti in mente i primi tempi della scuola elementare coincisi col
nascere di quel sentimento di amore-odio (così lo definì lo psicologo) verso la sedia a
rotelle, un impulso che mi prendeva all'improvviso facendomi sfrecciare per i corridoi della
scuola a una velocità supersonica rincorso dalle dade che spaventate mi urlavano dietro
"fermatiiii!"
O ancora di più, nei momenti più impensati, ricordo, mi si scatenava il desiderio
irrefrenabile di smontarla. Oh quante volte, alla fine dell'intervallo, la maestra Rosa mi
sorprese in un angolo della classe seduto in terra ad armeggiare con la carrozzina! E ogni
volta era la stessa scena: subito si disperava, si arrabbiava e mentre mi urlava " che fai?" già
i miei compagni si sguinzagliavano per la classe in cerca di bulloni, viti, leve da me già
debitamente nascosti. Ricordo che poi con aria ingenua sollevavo il capo in su e il volto
della Rosa mi si avvicinava sempre più rosso " Perchè lo fai?- mi supplicava - la carrozzina
ti serve, se la distruggi chi ti porta in braccio?"
A quel punto tutto il mio piacere svaniva e ritornando alla dura realtà tiravo fuori i bulloni e
le viti e mi rimettevo ad aggiustarla, fra i suoi imperiosi comandi - "Tutti a posto!" Calmatasi poi mi redarguiva: "Ecco lo sapevo, mi hai fatto perdere un sacco di tempo!" mentre i miei compagni se la ridevano sotto i baffi (si fa per dire!) dimostrandomi con
occhiolini e sorrisetti tutta la loro gratitudine per aver perso quel "sacco di tempo"!
Nel film poi mi sono commosso durante la scena in cui si vede nell'album di Paolo il volto
della sua innamorata Cristina e allora i ricordi si sono tutti rivolti ai miei grandi amori, il
primo quello dei cinque anni delle scuole elementari: la bellissima Susanna. Non c'era volta
che passasse vicino al mio banco, che stava di lato alla cattedra, e non mi facesse una
carezza, che se mai poi se ne scordava veniva subito chiamata da me all'ordine. Devo dire
che questo suo ascendente venne molto sfruttato dalla mia maestra Rosa:
- Susanna vieni a sederti vicino ad Antonio e per favore aiutalo a finire il compito Queste parole mi suonavano dolcissime e così, spesso e volentieri, al fine di sentirle
pronunciare mi perdevo in lungaggini, cancellavo e riscrivevo, mi stiravo sulla sedia a
rotelle, e finalmente arrivava il comando della maestra Rosa e Susanna si alzava dal suo
banco e coi suoi passettini leggeri, obbediente e sorridente, veniva a sedersi accanto a me. Si
può descrivere la mia gioia in quel momento? Credo di no.
Poi ebbi un altro amore alla scuola media si chiamava Valentina: capelli lunghi, alta e snella.
Era un tipo più serio rispetto a Susanna, un po' meno affettuosa, ma sapevo che mi voleva
bene perchè mi guardava con ammirazione e apprezzava i miei progressi scolastici e si
dimostrava contrariata quando la professoressa Teresa, l'insegnante di sostegno, mi portava
fuori dalla classe. Anch'io non ero felice di quelle uscite e spesso rimanevo imbronciato.
Così durante l'intervallo, glielo confessavo:
62
- Non mi va di andare fuori a studiare, ma così è la legge, voi cosa avete fatto? - e lei
pazientemente mi raccontava di matematica, inglese o storia ma io, confesso, non l'ascoltavo
e godevo solo di averla accanto a me, grato che mi dedicasse il suo tempo e il suo amorevole
sguardo. Bei tempi!
Ah è vero, ci fu anche la Rita e lì ci scappò qualche bacetto sulla guancia; una sensazione
bellissima che mi portava a sognare una vita accanto a lei. Facevo tanti progetti... Ma finita
la scuola tutto si è complicato in quel campo, io sono diventato timido e le belle ragazze non
mi guardano più.
Usciamo dal cinema e il mio amico mi aiuta a fare i gradini mentre la nonna parla del film e
di quanto l'è piaciuto. lo adesso sono un po' triste perchè i ricordi sono finiti e si ritorna alla
realtà di cui non mi voglio lamentare perchè ho un lavoro, una bella famiglia, degli amici,
ma nessun amore, peccato!
63
FRANCESCO MOSCATI
PONTINIA - LATINA
LA FINE DEI SOGNI
"Ha detto che vuol parlare con il padre" dice l'infermiera.
Entro con cautela, col passo timoroso di un peccatore pentito in chiesa; attorno a me lo
spettacolo della sofferenza si dipana in tutto il suo turgore; immagini di uomini e donne in
lotta. con mali dai nomi arcani e dal potere implacabile mi fanno pensare che poteva andare
peggio, molto peggio di come è andata. Forse.
"Tu sì nu stronz! Vattenn'a cà! Nun me poi rompere palle frn'a che io so viecchie! Truovate
nu Iavoro e vattenne! Na' femmena! Nun sì capace e truvarte na femmena! Ma tu te ne rende
cunto? Me lieve vent'anni evita! Fin'a quando m'aggia preoccupa e tè? Hai perso tutti i
treni! Va afa u' barbone! Iettate a coppa bisce! Iettate! " ti dissi.
Tu sei là, nel penultimo letto vicino alla finestra, tra un cancro terminale ed un
extracomunitario cui è scoppiata una vena nel cervello. Senza occhiali non mi riconosci,
sembri fissare il vuoto che ti circonda; gambe e braccia ti sono state legate al letto.
Mi avvicino al tuo letto; questi giorni di agonia, di coma terapeutico hanno reso ancora più
filiforme il tuo fisico; solo la tua faccia è gonfia, abnormemente gonfia, dal lato in cui è
avvenuto l'impatto; il tuo occhio destro è chiuso, la tumefazione è così eclatante che la faccia
ha la forma di un palloncino pronto a scoppiare; sembri un mostro strano, un incrocio tra un
panda ed uno strano tipo di down.
Mi riconosci; ti sforzi di sorridermi, ma non puoi, le fratture non te lo permettono: ne esce
uno strano ghigno a metà che mi riempie di pena; sollevi i muscoli tesi del tuo capo dal letto
di sofferenza; solo allora mi accorgo del profondo buco alla base della tua gola, una ferita
aperta dalla quale spurgano gli umori neri dei tuoi polmoni, il frutto di dieci anni di fumo di
sigarette.
Fatico a non piangere; mi siedo a fianco a te e metto una mano sul tuo capo; vorresti
parlarmi, ma fuori mi hanno spiegato che soffriresti troppo.
"Possibile che non vi siate mai accorti che c'era qualcosa che non andava?" chiede la
psichiatra. "Ha... ha sofferto qualche volta di depressione... " risponde Bianca, mia moglie.
Non sa dire altro. Io non so aggiungere altro. "Mio figlio sta bene, è anche molto
intelligente" vorrei dire “peccato che è uno strunz" già, la categoria dello stronzo, il criterio
valutativo di mio padre. Lo ripeto sempre: "Mio padre aveva otto figli e ci chiamava tutti
continuamente stronzi. E' questo. che ci ha spinti a fare qualcosa di buono nella vita! Lui lo
faceva per il nostro bene!" Ma questo criterio non ha funzionato per mio figlio: da piccolo
era intelligente, molto intelligente. Gli chiedevano cosa volesse fare, e lui
se ne usciva sempre con risposte eclatanti: lo scienziato, il generale, l'archeologo. Poi ha
iniziato a crescere: taciturno, debole. Senza amici: sempre in casa, da solo, a leggere libri.
Ed ogni volta che l'ho spinto ad andarsene di casa, ogni volta che mi sembrava di essere
riuscito nel mio intento di farlo divenire un uomo, ritornava indietro sempre più taciturno,
depresso, sempre più chiuso nel suo mondo. Non so niente di quello che gli è successo fuori.
Ora me ne accorgo. Dopo l'ultimo tentativo di trovare un lavoro al Nord l'ho tempestato. E
lui ha reagito come ha reagito. Un volo dal quarto piano. Un litro di Lysoform trangugiato.
Ha fatto sul serio, maledettamente sul serio.
Ora sono lì di fronte a lui: si sforza di sorridermi; io cerco di rispondere al suo sorriso senza
commuovermi. Sono io a parlare: "Francesco, perdonami... io non ti ho mai capito. Forse
non ti ho amato abbastanza, forse non ti ho dimostrato abbastanza il mio amore..."
Lui si sforza col capo di farmi cenno di no, che la colpa non è mia.
64
Mi commuovo; la mia volontà logorata cerca di porgere un argine alle lacrime che tracimano
e formano un velo sugli occhi; io sono un uomo, mi ripeto, io sono un uomo. Parlo:
"Francesco... devi perdonarmi... ma ti prometto che, una volta usciti da qua, ci faremo un
viaggio insieme... e parleremo da uomo a uomo... ci confronteremo... e tutto cambierà... ti
troverai un lavoro, una ragazza... ed ora, perdonami... se sono stato troppo duro con te... "
Sollevi nuovamente il capo: parli, nonostante le proibizioni dei dottori: "Papà... non è colpa
tua... sono io che vi ho deluso... c'è qualcosa in me che non va... non va... "
"Lo so... i dottori me l'hanno spiegato... ma tutto cambierà. TU CAMBIERAI, vedrai... Devi
solo stare tranquillo... Ora, se mi perdoni, dammi la mano... "
Mi porgi la mano tremolante, ed io la accolgo tra le mie. Non resisto più: le lacrime
sgorgano copiose e scorrono imperterrite nell'incavo tra le gote ed il naso.
Prima di congedarmi, mi dici un'ultima cosa.
Dici: "Papà... una volta che sarò uscito di qui... accettate che... nulla cambierà nella mia
vita... MAI. E' l'unica cosa che potete fare... vi prego... basta farmi lottare... "
Annuisco. Hai ragione: finché siamo piccoli possiamo sognare di essere ciò che vogliamo,
ma cresciamo solo quando accettiamo di essere ciò che siamo. Poi mi allontano, pensando:
"Non ti preoccupare, piccolo mio, ci sono io" ricordando il bambino prodigio che era e che
non c'è più e che, forse, non è mai esistito, se non nelle mie illusioni di genitore.
65
GIANNI PILISI
NARCAO - CAGLIARI)
“Ho immaginato tante vite, ma non rinuncero’ mai alla mia”
In questo testo parlerò un po’ della mia vita, di ciò che sto vivendo e di come affronto la
realtà. Sono un ragazzo nato nel 1980. Nel 1991 iniziarono i miei problemi, scoprii di avere
un’atrofia muscolare spinale…. Ho immaginato la mia vita tantissime volte, tante da
perderne il conto, ho immaginato di essere un ragazzo come tutti gli altri, ”senza problemi”,
senza quei problemi che mi ostacolano la vita e mi privano del sorriso, i problemi che mi
ritrovo ogni giorno. So benissimo che dovrò affrontarli, forse mi starò illudendo, ma in
fondo spero che un giorno possa guarire, allo stesso tempo però già so e immagino il mio
destino.
Sembrerò un po’ banale ma lotto ogni giorno, ho dovuto e sto cambiando la mia vita in quasi
tutto, ma sono cose che vivo solo io. Credo che tutte le persone che abbiano problemi come
me, sappiano ciò che si prova e che significa, soffrire e tenersi tutto dentro. E c’è un perché,
Io non ho ancora accettato la mia malattia, perché non avevo nulla, correvo, giocavo, a volte
scappavo di casa per andare a rincorrere un pallone di calcio, tutto ciò che un ragazzo può
fare a dodici – tredici anni. Queste sono cose che ricordo spesso o mi ricordano gli amici
quando ci incontriamo “ti ricordi quando giocavamo a calcio insieme?” e invece ora è solo
un sogno che è stato reale ma che è finito. Gia! Proprio come un sogno, ma poi ti svegli e
non c’è più. Ora pian piano, giorno per giorno, ho paura del mio futuro, paura di non farcela.
L’unica realtà positiva che abbia è la fisioterapia, che mi permette di rallentare il corso della
malattia. E lì mi impegno assai, perché so che è per il mio bene e perciò non lo trascurerò
mai.
A volte mi chiedo come faccio ad essere così tranquillo, quando parlo con le persone,
scherzandoci sopra, tutti mi dicono “ma come fai ad essere così forte d’animo?”, non ho
risposta su ciò, forse perché sono un ragazzo che ha tanta voglia di vivere e non voglio
arrendermi. Immagino tutte le persone che hanno problemi come i miei e tutte le persone
diversamente abili, credo che in fondo ci basti un piccolo sorriso, per me non chiedo tanto,
non pretendo tanto dalla vita, ma anch’io ho i miei desideri, anche se se non so se un giorno
si avverranno. Penso spesso anche ai sorrisi che mi sono stati regalati e mi sono stati regalati
dalla vera amicizia che c’è sempre e quando ai bisogno, non fugge via, ma ti aiuta a reagire;
a me è capitato. Chiedo: ”è così strano fermarsi a pensare quanto una persona ti possa
rendere felice la vita, i giorni, i piccoli istanti?” eppure ho scoperto che è così! Trovare una
persona speciale, che ti faccia sentire importante è una delle cose più belle che possano
esistere, una persona con il potere di farti sorridere quando si è tristi, capace di farti crescere
e insegnarti i valori della vita; che ti asciughi le lacrime prima ancora di fartele versare.
Questa è per me è la vera amicizia, un valore importantissimo nella vita, senza il quale è
difficile vivere. Io tutto ciò, l’ho già trovato e ringrazio qualcuno di vero cuore, con un
grandissimo grazie. Quando si fa notte mi rattristo e i miei pensieri compaiono, emergono le
ombre, le mie paure più nascoste, i dubbi e mi accorgo che il tempo è padrone, come il sole
che sorge e dopo tramonta, e lì mostra la notte … e subito sorge la luna, ma solo sulle mie
emozioni. Così facendo, libera il mio cuore da ogni paura, da ogni ombra e da ogni dubbio:
così la notte continua…. Padrona assoluta dei miei sogni più nascosti.
Alle volte quando mi rattristo mi sento sfuggente, quasi come foglia dominata dal vento in
un giorno di autunno. Quando piove, mi affaccio alla finestra e lì penso alle mie avventure,
alle disavventure e a tutte le gioie. Piango molto spesso pensando al mio passato, già lì in
quell’istante penso a tante cose, alle cose più belle che ho vissuto. Quando ho i miei
momenti bui, oscuri, mi rattristo talmente tanto, che le lacrime mi scendono senza motivo e
66
in quell’istante prendo carta e penna e scrivo tutto ciò che penso a quel foglio, che in quel
momento sa ascoltarmi. Gli racconto tutto come un diario segreto, gli racconto le mie paure,
e tutto ciò che mi fa stare male. Per me ogni giorno è come un traguardo, una gran vittoria,
così, ogni giorno, mi riempio le giornate d’impegni e attività. Così non ho il tempo di
pensare, pensare a miei problemi, a ciò che mi distrugge il cuore e mi fa rattristare. Mi è
capitato di sognare che ero un ragazzo libero, senza problemi, che correva entusiasta, ma
come un sogno mi sono svegliato e tutto è cessato, lasciando dentro di me una grandissima
delusione. Ma in fondo m’è servito per capire un po’ di più, il senso della vita e al no
arrendersi mai, a lottare per riuscire a sorridere, che è la cosa più bella che può ricevere chi
soffre, o chi sta passando momenti crudeli, cattivi e a volte anche ingiusti. Senza un perché e
niente risposte; mi chiedo spesso perché? Ma nulla, non trovo risposte. C’è qualcosa che mi
fa molto male,
ricordare il mio passato, ma ogni volta che ci penso, sorrido, perché almeno per ciò che mi
ricordo, ho vissuto come un ragazzo senza problemi, anche se ora sono tanto cambiato e mi
sento tanto cambiare. So che dovrò soffrire ancora tanto, avere altre delusioni da questa vita,
ma non rinuncerò mai a lottare, combatterò finché ci riuscirò. Prenderò questa vita come una
sfida, affrontandola giorno per giorno. Non rinuncerò a vivere anche se ho paura, paura del
mio futuro e del mio destino crudele, prenderò tutto ciò con un sorriso,affronterò la realtà
con le mie più oscure paure. Spero solo di continuare ad essere così forte d’animo e a saper
reagire in ogni ostacolo quotidiano. Già scrivere per me è molto importante, mi serve da
sfogo, e così facendo, mi libero dalle mie paure. Ora penso a quella foglia sfuggente, che
affacciato alla finestra vedo; mi chiedo come potesse sentirsi, sapeva, che prima o poi quel
momento sarebbe arrivato? E’ triste, ma in fondo sperava che venisse trascinata dal vento,
verso un mondo oscuro, verso un mondo nuovo. Spera solo che sia migliore, spera solo di
trovare l’albero da cui si è staccata. Mentre il vento la trascina, la foglia chiude gli occhi,
saluta tutti, tenendo dentro se un gran ricordo, un ricordo chiamato vita.
67
VLADIMIR POLIANTSEV
BOLOGNA
ANGELO SCAVATORE 27/2/2004
Tieni le tue mani sulle mie bianche ali...
strappa qualche penna...
dissolviti dentro di me scorri nel mio sangue esplora la mia mente
se non ti fa paura
Tra poco volo via, aggrappati a me
Ti porterò lontano dove il tempo è vano
dove i fiori scavano la terra coma talpe
dove le nuvole sono macigni e i cigni
non sono eleganti
Fatti trasportare sopra ogni
mare che liquido non è.
Un luogo dove corrono lumache
e tartarughe le vecchie sono senza rughe
i giovani son saggi il sole non ha raggi
e calore e dolce è il dolore il
predatore è sempre preda e ogni cieco
veda
Il mio volo è alto e infinito
c'è forza nelle mie enormi ali
Tu tieniti ben salda e credi a ciò che
dico. Saremo una cosa sola
io fendo l'aria debole e cedevole
si lascia ben tagliare a pezzi
con tutti i mezzi ti porterò a quel
mondo perchè soltanto lì vedrai il
profondo il fondo di ogni cielo
le Montagne di nebbia
l'acqua di ciascun respiro
il limite di ogni orizzonte la fine
di tutto l'infinito
Vedrai a terra muoversi i pensieri
il passato non avrai allora ancora
incontrato
nel cielo strisceranno i serpenti
i tuoi capelli non faranno movimenti
perchè il vento non esisterà o
forse allora lui si muoverà nascosto
di fianco a te
il futuro sarà presente in quel
luogo in ogni nostro attimo eterno
68
e l'inverno bianco non sarà
calore ci darà che ogni sole
di rubare tenterà
e quel mondo sarà immondo
sporco di ogni candida verità che
fuggirà da ogni nostro mondo
che vivere ha tentato che hai
tradito e che ha perciò fallito
Io ti darò la verità che è vera senza
che la pensi la leggerezza che più ti
peserà ogni peso verrà
sospeso e soppesato e catalogato
il tempo non verrà fermato
ma disintegrato e ogni suo granulo
assorbito nei tuoi occhi ogni paura
ti sarà amica ci parlerai ridendo
all'ombra del tuo sole preferito
lo prenderai lo lancerai lontano
rotolerà e me ne andrò lontano
anche io perchè il mio compito a
quel tempo sarà esaurito il mio
volo infinito terminato
e tutto il possibile futuro già passato
69
ELEONORA REGGI
GRANAROLO DELL’EMILIA - BOLOGNA
*Io e mio padre*
Finalmente mi è data l’occasione se pur brevemente del rapporto amore e ……., con mio
padre, anche perché sono stanca che i normodotati parlino della disabilità senza conoscerla
in pienezza.
È molto difficile parlarne anche come disabile poiché, mettendo insieme le due tipologie
dovrebbe essere un grande motivo di crescita reciproca, ma questa è solo opinione di chi
scrive.
Il motivo che mi spinge a parlare della mia esperienza con mio padre, forse perché
istintivamente mi sono voluta mettere dalla parte del figlio di Giuseppe Pontiggia, è dire che
le fatiche genitoriali sono pari a quelle filiali, questo lo dire poiché, oltre ad essere figlia,
sono anche genitore e non c’è fatica maggiore o minore, è semplicemente vita.
Ricordo perfettamente il giorno che ho deciso di scrivere a mio padre e io come sempre
volevo essere per lui motivo di orgoglio, quindi gli mandai i miei lavori per farlo partecipare
in modo più concreto alla mia vita, da lui sempre discussa, a motivo di una grande fatica che
non hai mai reso facile i nostri rapporti.
Sappiamo tutti che il mettersi in rapporto vero, in modo chiaro, risulta sempre duro e
brutale,è la mia stessa presenza che lo fa, non ho mai potuto fare niente per ovviare a queste
tensioni della sua esistenza, poiché se lo avessi fatto, avrei annullato la profonda ragione
d’essere di una vita come la mia. (Sono una persona con la tetraparesi spastica)
Devo però ammettere e ricordar, che sono consapevole, che lui non è l’unica persona che
non capisce la ragione del mio agire; nonostante……..
Tutto questo lo dico a distanza di anni dal mio scritto, credo di aver detto a mio padre di non
sapere la ragione del mio scrivergli.
Ora mi è molto più chiara!
Ero come alla ricerca di una sua ammirazione; approvazione, come dicevo poc’anzi, una
cosa che non è avvenuta, ma che comunque io non mi stanco cercare e ricercare.
“Possiamo immaginare tante vite, ma non rinunciare alla nostra”.
La mia esperienza globale è proprio completamento l’opposto.
Nella mia vita ho dovuto operare sempre una mediazione tra quello che avrei potuto fare e
quello che in realtà ho fatto in ragione del rispetto per gli altri e di quello che gli altri si
aspettano da me.
Questo fatto della mia vita, una vita molto interessante se si vuole guardare da un punto di
vista filosofico e di fede poiché a volte sono andata là dove non volevo e su questo mi dovrei
dilungare, ma si può intuire che ho trovato in questo un enorme crescita interiore.
70
Bibbiena; 23.11.1997
Ciao babbo
Non so il motivo esatto che mi spinge a regalarti copia dei lavori fatti ne 1996 1997 forse è
vanità? O probabilmente è un modo per farti partecipare maggiormente alla mia vita di tutti i
giorni e, dirti quello che”mi hai insegnato con il tuo silenzio” che io ho sempre interpretato,
come un grande rispetto per il genere umano, e questo ha fatto di me una persona che ha
avuto sempre una grande valutazione di sé, per poter affrontare il sociale in maniera
paritaria; questo lo devo a te, mi hai dato una consapevolezza di come sono in positivo,
anche se non mi hai risparmiato dure critiche,severe quando non sono stata esattamente
quella che ti aspettavi. Tutto questo lo capivo da uno sguardo.
Credo di averli sempre capiti, fin da piccola, quando vi coglievo ribellione per te e
sofferenza per me,”questo mi ha spinto molto a volere una vita nella norma” anche se per me
ora è difficile cogliere cosa sia la normalità, poiché in un mondo evoluto non ci sono dei
canoni precisi tra questo e quello, sono rimasti solo: l’accettazione o non. Quindi tutto
questo è dovuto alla consapevolezza,che per riuscire, una persona come me, deve avere una
forza di volontà e di conoscenza dei propri limiti, e tenerne conto per un maggior impegno.
Tutto questo l’ho capito guardandoti! Grazie.
Eleonora
71
ROSA MARIA SONZINI
MILANO
Milano 11 luglio 2004
TEMA:
commenta la seguente frase di Giuseppe Pontiggia: “Possiamo
immaginare tante vite, ma non possiamo rinunciare alla nostra”.
Svolgimento
Questa frase, tratta dal romanzo”Nati due volte” oltre che da uno scrittore è stata scritta da
un genitore di un disabile che, senz’altro, come tutti, ha sofferto per cercare di recuperare al
meglio il figlio Paolo. Di questa frase tratta da questo romanzo ne condivido pienamente il
contenuto.
Però, al di là di questo problema strettamente personale, credo che ognuno, non sia mai
totalmente felice di ciò che ha e di ciò che è; perciò molte volte prova ad immaginarsi altre
vite in cui pensa di potersi sentire realmente soddisfatto. Questo lo porta, molto spesso, a
rifugiarsi nel mondo della sua fantasia dove tutto e tutti sono perfetti; ma, anche, ad invidiare
persone importanti e note o, semplicemente individui più vicini a noi, che a nostro parere,
sono più fortunati. Poi, piano piano, avvicinandoli o leggendo i pettegolezzi sui giornali
scopriamo che anche loro hanno una vita simile alla nostra fatta di gioie e dolori, di sogni e
delusioni, di solitudine e di allegria, ecc.
Perciò, comprendiamo che la vita non è semplice per nessuno ed è per questo, forse, che
nessuno rinuncerebbe mai alla propria esistenza. In fondo, credo che ognuno alla propria vita
sia affezionato perché è la cosa più importante che appartiene a lui: infatti, con lei ha
condiviso molte cose: affetti, gioie, dolori, sconfitte, momenti belli, ecc… Insomma la
riconosce come propria, l’ama così com’è perché la conosce. È attraverso la nostra vita che
noi la riconosciamo e ci distinguiamo come esseri umani, assumiamo un’identità diversa da
ogni soggetto (anche dai nostri parenti ed amici), ci costruiamo il futuro facendo le nostre
scelte, ecc.. Perciò, penso che la nostra vita ci appartenga in parte, cioè fin dove riusciamo a
dirigerla come vogliamo ed è per questo che io credo che ognuno non può rinunciare a
questo bene prezioso che ci è stato offerto dal buon Dio. E tutto ciò dovrebbe anche darci la
forza di superare i nostri momenti più oscuri, di accettarli anche loro come parte di noi:
pensando che ognuno ha il suo carico di sofferenza e che non dobbiamo invidiarlo perché,
all’apparenza, ci sembra più leggero; ma, anzi, dobbiamo conoscerlo per condividerlo
meglio.
In poche parole, le conclusioni che vorrei trarre da queste mio breve componimento,
riflettendo sulla frase di Pontiggia, sono queste: la prima è quella riferita al tema, cioè che
nessuno può rinunciare alla sua vita per le ragioni sopra esposte e la seconda è quella di non
sentire invidia per altre vite umane che ci possono sembrare migliori della nostra ma, di
capire che anche queste persone soffrono, a volte, come noi, perciò, sarebbe meglio cercare
di essere solidali con loro per ascoltarle e condividere i loro problemi, come chi ci vuole
bene cerca di fare con noi.
72
ANGELA VACCARO
FIRENZE
Serena consapevolezza
Nascere due volte? Chi non è tentato! Per me ha significato aver intrapreso, fin da piccola,
un discorso onesto con l’handicap. L’impedimento fisico, grazie al sostegno costante e
testardo della famiglia, non è stato un tassello di protezione, di chiusura o un limbo dove
vivere da innocente-immatura. L’innocenza di bambina c’è stata, ma sempre pronta a
sfoderare la volontà che, nonostante le difficoltà motorie, mi hanno permesso di realizzare,
le mete prefissate e quindi, alla luce delle nuove conquiste, di “nascere due volte”.
Immaginare altre vite? All’età di una bambina può sognare di diventare una ballerina
famosa. Io, invece, all’istituto di riabilitazione per bambini spastici”Anna Torrigiani” di
Firenze, diretto dal Prof. Milani, realizzavo un sogno tutto mio. Sentivo nascere in me la
passione, mai venuta meno, di trascrivere su carta bianca i miei pensieri interiori.
Desideravo, con tutte le mie forze, usare una macchina da scrivere alla quale era applicata
una tastiera speciale. Questo ausilio di difficile gestione, per il mio deficit motorio,
rispondeva, comunque, alle mie esigenze. Ricordo un tema in cui mi trasformavo in una
dama del 1800 e danzavo. Era il sogno di una adolescente che, infastidita da continue
diffidenze, da continui sguardi indiscreti, pressata da innumerevoli domande” E’
intelligente? Sa leggere? Legge con interesse?”, per un attimo si staccava dalla sua realtà. La
fantasia non ha regole fisse e può suggerire anche,, a chi è costretto a misurarsi con il
movimento fisico scoordinato e con una verbalità non perfetta di vivere, nel breve tempo di
una creazione, in una atmosfera romantica tratta da sceneggiati televisivi dell’epoca o da
indimenticabili romanzi ottocenteschi.
Dall’infanzia all’adolescenza la mia personalità è nata più volte sull’onda di un’innata
positività? Si! Ho cominciato a captare quanto la mia diversità non fosse un ostacolo per
crescere insieme agli altri e comunicare affetto, lealtà, volontà. E nel percorso del mio
recente passato? I ricordi di molteplici tasselli: l’importanza di una significativa amicizia, il
confronto e il fondamentale affetto degli amici, il costante supporto di persone capaci di
capire le mie esigenze, mi hanno suggerito suggestivi video-clip. In questi flash ho percepito
quando l’intreccio di avvenimenti-sentimenti: serenità, angoscia, gioia, malinconia, viaggi,
lettura, grande passione per il teatro, apprendimento del computer, mi abbia proiettato in
tante piccole realtà. Le vicende giornaliere non mi hanno costretto a “immaginare altre vite”
piuttosto mi hanno dato da sempre la spinta per crescere nella soddisfacente impegnativa
quotidianità. L’immaginazione,tuttavia, è illimitata e ha portato il mio pensiero a riflettere
interrogativamente:” Chissà se fossi sposata, se fossi mamma”. Questa domande si sono in
breve tempo volatilizzate sia per il bel rapporto affettivo realizzato con chi condivide con me
la quotidianità, che per l’interesse letterario. Ho preso infatti, con volontà e fermezza, la
laurea in lettere moderne. Ero lungi da pormi traguardi irraggiungibili. Esultavo
gioiosamente per il 110 finale.
Il presupposto per una mia maggiore maturazione? E’ strettamente collegato all’iter
universitario. E’ stato fondamentale stabilire un contatto con una realtà che, al di là dello
studio, ha fortificato il mio carattere. Il caos di tante esperienze nuove, l’abitudine a
muoversi tra le barriere architettoniche, la incomprensione di alcuni professori, la grande
disponibilità culturale e umana di altri, mi ha insegnato a superare ostacoli apparentemente
insuperabili. Un grido interiore, tuttavia, simboleggiava la voglia di esplorare ancora. Per
rinascere due volte? No! Sentivo, semplicemente, il bisogno di completare, almeno in senso
psichico, il distacco dell’ambito domestico. L’ulteriore arricchimento interiore, molto
73
positivo, si è realizzato grazie alle accompagnatrici-amiche con le quali ho potuto scegliere
spazi esclusivamente miei.
E attualmente? L’esperienza con la disabilità da quasi mezzo secolo mi fa essere una donna
che, fra impegno, emozioni, pensieri, hobby, è conscia di avere una vita stimolante. La
costruzione del proprio io è indipendente dal vivere in carrozzina. Sono convinta, perciò che
l’uomo donna disabili, con difficoltà psicofisiche, debbano essere accettati come individui
che lottano per la via. Sottoscrivendo, quindi, la frase di Pontiggia “Possiamo immaginare
tante vite, ma non rinunciare alla nostra”, chiedo alle persone handicappate di aprirsi
coraggiosamente verso un disegno di personale libertà per non chiudersi in pericolose
fortezze sia morali che fisiche.
Le distrazioni per le persone con handicap sono permesse? Sicuramente! Influiscono
serenamente sul mio percorso esistenziale. Senza ricorrere, perciò, alla problematica
simbologia del pirandelliano “Uno, Nessuno,Centomila”, mi diletto a fantasticare:
“Io vorrei avere una voce impostata come le più famose attrici. Io vorrei, per un momento,
abbandonare il computer per scrivere e probabilmente comporre, come i grandi scrittori, con
un fine pennino”. Comprendo che nemmeno la più determinata forza di volontà mi potrà fare
questa regalo. Un regalo più concreto? La mia realtà degna di essere vissuta tra complessità,
consapevolezza e ricchezza di sentimenti.
74
L’AIAS, Associazione Italiana Assistenza Spastici, riunisce persone disabili, i loro familiari
volontari e operatori.
Cura direttamente, o in convenzione con Enti Pubblici, servizi a sostegno delle persone
disabili e delle loro famiglie intervenendo in avari ambiti: scuola, lavoro tempo libero, ausili
tecnologici, vita quotidiana.
L’AIAS di bologna è nata nel 1962. Ente morale riconosciuto, è iscritta all’anagrafe delle
ONLUS – Organizzazione Non Lucrative di Utilità Sociale – e associata all’AIAS nazionale
Ufficio Promozione e Comunicazione AIAS Bologna Onlus
via Ferrara 32, 40139 Bologna 051 454727 - 051 450729 Š fax 051 466105
Š E-mail: [email protected] Š Internet http://www.aiasbo.it
75