Indice - CLEAN edizioni
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Copyright © 2011 CLEAN via Diodato Lioy 19, 80134 Napoli telefax 0815524419-5514309 www.cleanedizioni.it [email protected] Tutti i diritti riservati È vietata ogni riproduzione ISBN 978-88-8497-156-2 Editing Anna Maria Cafiero Cosenza Grafica Costanzo Marciano Referenze fotografiche Disegni di Le Corbusier © F.L.C./by SIAE 2010 pp. 36, 40-61, 64, copertina. Le immagini storiche sono tratte da: Giuseppe A. Berritto, Pompei e Valle, Omaggio a Pompei nel 75° anniversario della sua costituzione, Edizioni Incantesimo, Pompei 2003, pp. 10, 17, 20, 22-23, 24, 26, 27, 34-35. Alfonso Mattia Berritto, pp. 68-69, 70-71, 72-73, 74, 75, 76, 77, 78-79, 80, 81, 82, 84-85. Cherubino Gambardella, pp. 8, 9 Indice Realizzato grazie alla Pro-loco “Città di Pompei” Con il patrocinio morale del Comune “Città di Pompei” 6 Prefazione Cherubino Gambardella 11 Antefatto 17 29 37 65 87 Pompei 1911 frammenti per una immagine di città Un arrivo inatteso Un racconto in ventuno disegni La casa delle nozze d’argento Da Le Corbusier a oggi un racconto di case 6 Prefazione 7 Cherubino Gambardella Per forma, struttura, immagine Pompei ha il carattere di una grande opera di architettura. Non è un sito archeologico in senso stretto, con la discontinuità dei settori di scavo e il sottile gioco di pressioni praticate sul terreno, con le tracce, a volte esigue e solo intuite, di una memoria che affiora lontana. Le manca il rapporto sublime con la natura che in Africa, in Asia minore, nelle isole del Mediterraneo orientale è forte, rigogliosa e racconta di un’azione lenta donata ai luoghi dal tempo. Pompei descrive una memoria vicina, la città è sepolta da un lampo, cristallizzata nel suo momento quotidiano, nella sua opulenza e nello scorrere della vita. È sola, con il suo carico stilizzato e perfetto di architettura, con le forme stradali e domestiche, con le terme, le piazze e il foro. Dal suo riaffiorare stupefacente ha alimentato un mito di architettura da manuale, si è ricomposta come un abaco, è stata immaginata da archeologi, architetti e antiquari come un sommario del classicismo, una istantanea sulla declinazione delle forme architettoniche imperiali. A ben vederla, però, si offre come un corpo unico, un grande palazzo cui l’eruzione e la cenere, con il loro peso, hanno cancellato la differenza delle coperture uniformando tutto sotto la linea del cielo. La natura si ripone in un confronto a scala geografica con il vulcano e le sagome dei monti Lattari tese, in lontananza, verso la Penisola Sorrentina. Allora Pompei è una sola sagoma, una sofisticata sezione basamentale fatta di invasi, piattaforme, steli, muri. È, dunque, un meraviglioso abaco eclettico, un calco completato da restauri senza coraggio e dallo sguardo accademico di molti architetti che l’hanno attraversata come fonte tipologica, vissuta come sommatoria di stili e di condizioni insediative, trattata ingenuamente come prodotto di mille architetture. Credo, invece che questa città sia la casa comune dell’architettura di oggi, il corpo sintetico da cui scaturiscono le più insolite qualità dello spazio contemporaneo. E, questo libro di Alfonso Mattia Berritto ha il merito di mettere in luce la data di inizio di questa storia nel pomeriggio dell’9 ottobre 1911. In quelle ore, infatti, il giovane Le Corbusier arriva in città (ma è una città?) e consuma per cinque giorni pietre e persone, geometrie e luce fissando nel celebre carnet di viaggio le tracce di una passione nascente. Il libro ci dice che Pompei non è ancora una città, ci racconta delle sue locande come fossero dei belvedere sulla grande fabrica degli scavi e non si sofferma sul già studiato valore dei disegni. Il testo ci immerge nel mondo incontrato da Charles Eduard Jeanneret quando attraversava via dell’Abbondanza descrivendo il suo intuito nell’isolare il sedime archeologico come forma mondo, come casa delle case, come luogo da cui far partire la promenade architecturale. Più degli accademici di Francia, degli artisti, degli americani dei 8 tedeschi, dei fascisti e dei soprintendenti Le Corbusier consegna a nuova vita la città morta ponendola al centro di una teoria, una idea fatta di luce e ombre, di spazi intuiti e rivelati, di estensioni segrete e improvvise apparizioni. Tanti architetti hanno lavorato con l’immagine messa a punto da Corbu e la casa moderna parte proprio dalla piastra pompeiana che questo libro ha il merito di ricordare come origine e inconscio della modernità. Antefatto 12 Antefatto 13 Un libro per raccogliere spunti, frammenti, indicazioni al fine di costruire una mappa progettuale dell’architettura contemporanea avendo come punto di partenza un avvenimento tragico quanto sublime. Tutto ha inizio il 24 agosto del 79 d.C., data nella quale fine e principio di una città si sovrappongono. Pompei è stata tale fino a quel giorno, ha avuto un lungo oblio cancellato dalla sua rinascita avvenuta nel 1763 grazie a Carlo di Borbone e alle campagne di scavi che da quel momento si susseguirono incessantemente portando alla luce abitazioni, templi, terme, ginnasi, teatri. Restava, però, ancora seppellito sotto la lava e le ceneri, un disegno completo di città. Ci furono idee di architetti francesi appartenenti alla tradizione Beaux-Arts, la visita di intellettuali e amanti dell’estetica portati dalla moda del Grand Tour come Goethe e Schinkel, viaggiatori di fine Ottocento e inizio Novecento e anche tanti studenti di architettura ispirati. All’esterno dei paletti e delle funi che delimitavano il sedimento archeologico, invece, la presenza di un mito condizionò il primo disegno urbanistico della città che verrà; Bartolo Longo arrivò nella valle nel 1872. La città non c’è ancora ma ci sono le sue due polarità di cornice cattolica e pagana, già ben delineate, che cominciano a specchiarsi: fede, turismo, estetica, archeologia, teatro, pittura, fotografia tutto lavora in un unico sistema che intenderemo assecondare nel suo carattere meticcio e disorganico. Un sistema territoriale che si presta incredibilmente a far nascere una idea di modernità architettonica proprio perché in quel sito si trovano ancora gli elementi essenziali e incorrotti della masseria contadina, una campagna forte e fertile, un paesaggio aspro e possente, una minaccia costante e una presenza urbana ormai fin troppo delineata e tante tracce intellettuali che hanno lavorato in modo accademico. Doveva accadere qualcosa di dirompente che spezzasse la noia dei vari Winckelmann, che tramutasse l’interesse storico in stimolo creativo. Nell’autunno del 1911 la visita di un Le Corbusier trentenne a Pompei determinò questo cambiamento di rotta. I suoi schizzi giovanili e la forza delle immagini di “Pompei la morta”1 così chiamata da Alberto Savinio, e soprattutto le figure della Pompei viva, delle terrazze, delle pergole, dei limoneti, diventeranno bagaglio di emozioni e ispirazione dell’architettura bianca del Mediterraneo. Ventuno schizzi scelti come cunaboli, icone fondative di un mondo pronto a farsi astratto, pronto a perdere, come combuste dal vulcano, le decorazioni e a trasformarsi in qualcosa di essenziale nel prodromo di una pianta, nello schema di uno spazio. “...i grandi spazi dell’architettura nascono con Roma” 2 sosteneva Luigi Moretti nel suo Strutture e seguenze di spazi. Lo spazio interno, il vuoto viene visto come elemento fondamentale del progetto. Lo spazio interno è considerato vera e propria materia 1. A. Savinio, Capri, Milano 1988, pp. 30-31. 2. L. Moretti, Spazio n.7, Strutture e seguenze di spazi, Milano, 1952-53, p. 56. 14 Pompei, Maison d'un Boulanger, da Pompei, Travaux et envois des architectes francais au XIX siècle. da progettare. Lo stesso individua qualità specifiche: lo spazio ha una geometria, dimensione, densità data dal valore della luce, pressione rappresentata dal rapporto psicologico col fruitore da cui nasce il principio del flusso dei fluidi. Questioni che vengono argomentate analizzando casi di studio del passato, dove gli spazi interni rappresentano un forte tema progettuale. Le Corbusier non renderà un grande servizio solo a se stesso e alla sua carriera ma sarà capace di sovvertire l’approccio al disegno degli spazi; porterà Pompei, il suo senso di chiusura e le sue pareti mute al cospetto di una genealogia che in cento anni ha costruito un modo unico di fare case ancora oggi resistenti a classificazioni analogiche o tipologiche. Il maestro di La Chauxde-Fonds porta quella che W. Benjamin3 chiamava l’aura fuori da perimetri consueti fino all’altare dell’architettura contemporanea unica e irripetibile e non solo nelle ormai note e indagate case a patio di Mies van der Rohe ma, in anamorfosi lunghe un secolo. È da questo punto e in questo saggio che abbiamo voluto raccogliere e costruire un atlante di frammenti che con l’anima dell’architettura contemporanea, getti un ponte simbolico tra Pompei, il tempo ed il mondo. 15 3. W. Benjamin, Kleine Geschichte der Photographie, in Schriften, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1955 (trad. it. Piccola storia della fotografia, in W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966, 2000, p. 70). 30 Un arrivo inatteso 31 Non era ancora un Comune autonomo ma, nel 1911, Pompei già appariva compiuta, con una struttura urbana ben marcata dagli assi che attraversavano il territorio da est a ovest e da sud a nord. Nel suo racconto Gradiva, una fantasia pompeiana del 1903 ambientato tra Roma e Pompei, lo scrittore Wilheim Jensen scriveva del suo protagonista giunto nella città campana: (…) a un bivio, tuttavia, prese la strada sbagliata e invece di arrivare al lato occidentale delle antiche mura, si ritrovò su quello orientale; immerso com’era nei propri pensieri, si avvide dell’errore solo quando giunse a un edificio che non recava né l’insegna del Diomede né dell’Hotel Suisse, ma aveva anch’esso tutta l’aria di essere un albergo. Quando Norbert scorse non lontano i resti del grandioso anfiteatro di Pompei, gli venne in mente che si trattava dell’albergo “del Sole”, non molto frequentato a causa della distanza dalla stazione e ch’egli stesso non aveva mai visto prima. Era accaldato per la camminata e per di più la nebbia che gli vorticava nel cervello non accennava a diradarsi; entrò per la porta aperta e ordinò una bottiglia di acqua minerale, rimedio a suo avviso efficace contro la congestione. Fatta ovviamente eccezione per la presenza delle mosche al gran completo, il locale era vuoto e l’oste, non avendo altro da fare, colse quell’opportunità di attaccar discorso col nuovo venuto per elogiare l’albergo e i preziosi reperti di scavo che vi erano conservati. Alluse senza mezzi termini alla presenza, nei dintorni di Pompei, di gente che vendeva numerosi reperti archeologici senza che tra questi ve ne fosse uno solo autentico, erano tutte contraffazioni; lui, invece, accontentandosi di un commercio ristretto, offriva ai suoi clienti solo cose sicuramente originali. Difatti si limitava ad acquistare quei reperti alla cui messa in luce avesse assistito di persona. Tra le altre cose da quel fiume di parole risultò ch’egli era stato presente al ritrovamento della giovane coppia di amanti che, consapevoli della catastrofe incombente, s’erano stretti l’uno all’altra e abbracciati avevano atteso la morte (…) 1. Jensen ci offriva già una veduta della Pompei dell’inizio secolo e, pochi anni dopo, allo stesso modo, come da me immaginato, un giovane architetto trentenne si fermò e alloggiò alcuni giorni nell’Albergo del Sole. Era l’8 ottobre del 1911 e Charles Edouard Jeanneret, conosciuto poi come Le Corbusier, arriva in serata a Pompei. A completamento della sua carriera di studi, Le Corbusier nel 1907 si preparò “a un grande viaggio” che lo portò in Europa e poi in Oriente, tra Atene e Istanbul per poi tornare in Italia nel 1911. A Napoli resta per pochi giorni e la sera dell’8 ottobre si reca a Pompei dove prende alloggio all’Albergo del Sole, in prossimità dell’Anfiteatro, dove vi si fermerà 5 giorni, fino al 13 ottobre 2. L’attenzione riposta verso la formazione di Le Corbusier interessa soprattutto in quanto matrice di un modo di fare architettura del tutto nuovo che conserva tracce nel contemporaneo e che, nei disegni di Pompei, crea i presupposti per una tipologia di case che 1. Wilheim Jensen, “Gradiva, una fantasia pompeiana”, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, I edizione novembre 1992. 2. K. Baedeker, L’Italie des Alpes a Naples, Leipzig 1907, p. 395. 32 dura da cento anni. Pompei diventa il punto di partenza di analogie costruttive; qui Le Corbusier raccoglie un bagaglio architettonico che ripercorre il XX secolo ed è riscontrabile anche nel contemporaneo, resistendo a classificazioni analogiche e tipologiche. L’Hotel dù Soleil era di proprietà di Gerardo Pacilea ma, antecedentemente i proprietari erano altri, come risulta da una lettera del 5 giugno 1896, che si trova presso l’Archivio Storico della Soprintendenza Archeologica di Napoli: “Ill.mo Comm. Giulio De Petra. Direttore del Museo Nazionale e degli Scavi. La sottoscritta Maria Garella, vedova Erra, domiciliata in Pompei, espone quanto segue: Proprietaria dell’Albergo “Dù Soleil”, sito sulla via Provinciale, di prospetto all’Anfiteatro, per la modicità dei suoi prezzi in confronto a quelli siti in Pompei, i suoi avventori si compongono di professori e studenti di archeologia, la maggior parte di nazioni estere, i quali fin’oggi hanno usufruito, specie per ritorno dell’uscita della porta n. 4, sita al centro est degli scavi stessi conducenti all’Anfiteatro. Ora l’amministrazione degli scavi per sue vedute coll’intesa dei proprietari aventi diritto al passaggio per quei luoghi, ha praticato due chiusure: una a sudest della porta stabiana mediante cancello, cui è stato preposto un custode, ed un’altra di rimpetto al suo albergo immettente all’Anfiteatro. Per tale modo tutti sono obbligati ad entrare ed uscire dalla porta unica denominata Porta Marina, togliendosi il custode addetto all’uscita n. 4, al centro est degli scavi, della quale potranno usufruire soltanto quei visitatori aventi l’accompagnamento del custode. Siccome tutti i professori e gli studenti archeologi, aventi il biglietto gratuito d’entrata per studio negli scavi, non hanno l’accompagnamento del custode, sono impossibilitati usufruire dell’uscita n. 4 e di quella dell’Anfiteatro sulla provinciale di rimpetto al suo albergo, e fa si che i danni a lei rilevanti siano di gran lunga inconcepibilità poiché andrebbe a perdere tutti gli avventori e sarebbe costretta a chiudere l’esercizio e languire nella più squallida miseria. All’uopo prega caldamente la S.V. Ill.ma a finchè l’Amministrazione degli scavi, mantenga fisso il custode alla porta n. 4 per dare adito a tutti l’uscita e provveda che al cancello ora messo all’uscita della provinciale all’Anfiteatro fisso un altro custode, che possa lasciare libero il passo a quelli provenienti dalla porta n. 4, ed il giovedì e tutte le feste riconosciute per l’entrata libera, siano i detti cancelli lasciati aperti ai visitatori. Con la speranza vivissima del benevole accoglimento della presente dato l’animo giusto della S.V. Ill.ma, con la profonda gratitudine, si protesta. Pompei, 5 giugno 1896. Obbligatissima Maria Grella, vedova Erra”. La vecchia proprietaria, certa Maria Grella, chiedeva con questa lettera che fosse tenuto aperto l’ingresso agli scavi di fronte il suo albergo in prossimità del centro est degli stessi. Si registra, quindi, che l’Hotel dù Soleil fosse posizionato di fronte all’Anfiteatro e sul lato ovest della Basilica Pontificia, prima che fosse abbattuto dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale e ricostruito, per mano della famiglia De Martino, un centinaio di metri più a occidente, dove è attualmente posizionato. L’edificio che ospitò il soggiorno pompeiano di Le Corbusier era formato da due corpi rettangolari tenuti collegati da un muretto e un cancello che recintavano il giardino fatto da alberi di media altezza. L’edificio a est era formato da due piani e ospitava le camere dei visitatori, mentre quello a ovest, con due ingressi sul fronte strada ospitava il ristorante ed era di un solo piano fuori terra. Da entrambi i corpi si poteva accedere al giardino, coperto da un traliccio alla pompeiana che riparava da poche foglie caduche e filtrava i raggi del sole tra i due edifici. Lo stile era quello del tempo, semplice ma durevole come i disegni che Le Corbusier fece del pergolato. Per cinque mattine, dal 9 ottobre del 1911, il giovane architetto varcò la soglia del piccolo albergo per recarsi verso la porta n. 4 di ingresso agli scavi e altrettante sere vi ritornò ricco di disegni e fotografie che soddisferanno il suo bagaglio di conoscenze. 33 34 35 Un racconto in ventuno disegni 38 Un racconto in ventuno disegni Le lettere e gli appunti dei carnets che il maestro di La Chaux-deFonds ci ha tramandato, consentono con buona approssimazione di ripercorrere i suoi passi all’interno del sedime dell’impianto archeologico di Pompei. Dei tanti, ventuno schizzi li abbiamo scelti come immagini pronte a perdere contatto con la realtà, a spogliarsi delle vestigia reali per trasformarsi in icone di un modo di fare case del tutto lontano da tipologie architettoniche. I disegni riportati nel carnet 4 del viaggio in Oriente, che illustrano Pompei, il Foro e le case patrizie diventano ispirazioni per la creazione di nuovi spazi sia in contesti urbani che domestici, sia di tipo sociale che individuale. Tra questi disegni ve ne sono alcuni che invece riprendono Pompei fuori le mura archeologiche e anche questi suggeriscono che l’architettura ha bisogno di qualsiasi cosa: di un pergolato o di una modesta chiesa di campagna. Le Corbusier, infatti, non disegna la Basilica Mariana che ormai nel 1911 presenta tutta la sua bellezza ma, è affascinato dalla Chiesa del S. Salvatore, nella quale vede il gioco di volumi che diventeranno le facciate dei suoi edifici. Entrato nella città romana da Porta Marina, passando lungo il fianco occidentale della Basilica, si affaccia al Foro, di mattina presto, come ricostruisce il Gresleri, “… il sole è a destra e gli oggetti proiettano lunghe ombre ai suoi piedi. Prima ancora di inoltrarsi nella grande spianata di marmi di cui coglie le dimensioni a occhio, le prime riflessioni sono rivolte all’ordine dorico, così diverso dal classico greco che aveva potuto osservare 39 ad Atene: “il tipo (dei capitelli) dorici varia ovunque”, dice1. In piedi, voltando le spalle al Tempio di Giove, come l’ombra mattutina dei basamenti dimostra, ritrae scrupolosamente il sito in pianta e in alzato. Passa al Tempio di Apollo, sale alla cella, ne annota in dettaglio le dimensioni, osserva la tecnica di posa del mosaico, gira attorno all’altare ritraendo così il Foro da una posizione alta, come prima aveva fatto a livello del suolo…”2. Nel tardo pomeriggio, all’uscita, dall’ultimo spalto dell’Anfiteatro coglie la prospettiva posteriore della chiesa del S. Salvatore e annota parole che riportano alla composizione dei cubi che la compongono e al colore rosa con cui essa è dipinta; rientra poi in albergo e termina il suo primo giorno a Pompei. Ricostruire gli spostamenti che il maestro franco-svizzero mosse in Pompei, risulta estremamente facile per la precisione delle note riportate e dai disegni elaborati. Inoltre, ad accompagnare il nostro, vi è sempre la sua macchina fotografica che rende atemporali i soggetti antichi che egli di volta in volta inquadra con estrema attenzione, dimostrando di aver letto e studiato il celebre libro di Pierre Gusman, Pompei la ville, les moeurs. “Ai disegni, alle foto, alle guide, aggiunge ora una singolare quantità di cartoline illustrate e annota sul retro particolarità e date”3. Del Tempio di Giove disegna la pianta e l’alzato, si sofferma sui due archi collocati a destra e a sinistra del tempio, in posizione rispettivamente arretrata e avanzata. 1. Carnet du Voyage d’Orient 4, cit. p. 23. 2. G. Gresleri, Le Corbusier: puis…le sud de l’Italie avec Pompei, in “Parametro”, n. 261, gen-feb 2006. 3. Ibidem. 40 Le dos d’1 église/depuis le Théatre/Pompei/le cube a/av. composition/=rose//a// 41 42 l’irregularité des 2 arcs de triomphe/ determinent 1 rythme et 1 équilibre/ correspondants. ./ à droite, les colonnes vertes etaient en dorique cannelé, pierre brune/Les autres en dorique uni, pierre blanche/ les colonnes hautes 3,85 y compris l’abaque diam 70 Cette hauter réduite est/typique//. Il primo dei due archi era dedicato a Germanico, il secondo a Caligola; qui vengono annotati i materiali, i colori e le dimensioni che LC prende a occhio, ma con singolare precisione. Al Tempio di Giove “bisogna (venirci) quando il sole / del mattino entra esattamente sull’/asse. Al di là la grande onda glauca dei monti / Le misure sono la causa di questa bellezza”. Il rilievo in pianta e in alzato del tempio ci dimostra non solo quanto egli abbia realmente misurato ma come tali misure “causa (appunto) della bellezza architettonica” siano state riesplorate in tempi successivi. a/b/250/b/a//La paroi ext du Temple de/Jupiter est en stuc fin glacé/ divisée en panneaux dont/ l’effet est beau. Les gorges sont/ 14 1/2/ 1,2/ 5 1/2/2/ soffitte// - ce qu’il y a de typique c’est à - b// 43 44 Temple de la/ Fortune./ Il y avait un/ portique.// 135/ 90/ 85/ 300/ 300/ 300// I disegni del Tempio della Fortuna Augusta contengono informazioni sulla dimensione degli spazi e la natura dei materiali, sui modi di costruzione e la misura dei particolari. All’angolo tra la via Nola e la strada del Foro, nell’insula 4, dedicato alla Fortuna Augusta, il tempio fu eretto da Marco Tullio, duumviro nel 3 a.C. Nel suo disegno LC ricostruisce la scalinata, perduta nella parte centrale. 45