Non ci guardiamo mai negli occhi.

Transcript

Non ci guardiamo mai negli occhi.
Non ci guardiamo mai negli occhi.
1.
Riflessioni metropolitane.
Maledetto suicida del cazzo.
Perché sempre a Pagano succede, e loro, l’ATM Azienda Trasporti Milanesi, loro, le barriere
antisuicidio le fanno a Sesto F.S.
Dove nessuno si è mai permesso l’idea di buttarsi sotto la metro. Lì le persone sono abbastanza
disperate da pensare anche alla poveraccia che dovrà raschiar via il loro cervello dalla banchina.
La Vergine dei depositi. La Squadra Pulizia Mobile.
Una volta ho conosciuto uno che lavorava per l’ATM Azienda Trasporti Milanesi. Faceva il
webmaster. Il capo dei programmatori informatici che gestiscono il sito internet di ATM Azienda
Trasporti Milanesi. Che fa cagare. Comunque ho chiesto a questo tizio che ho conosciuto, il
webmaster, come funzionava il sito.
Ha risposto che in mensa mangiano spesso roast-beef.
Bene.
Bene, il suicida del cazzo deve essersi arrostito bene, sui goliardici binari elettrificati, ma io sono in
ritardo. Ancora. Sarà stato un altro di quei ragazzini disadattati, di quelli “madre prostituta padre in
carcere fratello tossico nonno l’ultima volta l’hanno avvistato a fare il gioco delle tre carte in
Stazione Centrale o forse era l’Ippodromo non ricordo”.
Ah, no. Quelli ho detto che hanno la decenza di pensare all’impresa di pulizie, la Vergine bla bla.
E non è neanche Natale.
2.
Inizio di una fine annunciata.
L’attesa. Il ritardo sull’anticipo.
L’attesa.
Venerdì, 20.37.
Piove.
Il vestito troppo corto?
La soggezione.
Il dubbio.
Pensieri, immagini.
Ideare scenari.
Arriva da destra, saluto con la mano, “Sei quasi in ritardo”.
No.
Arriva da destra, faccio finta di non vedere, attendo.
No.
Arriva da sinistra, “Ehi”, “Andiamo?”
Dove?
L’arrivo.
“Ciao”
Silenzio.
Quando evitare uno sguardo.
Imbarazzo.
1
Stretta di mano? Bacio? Sulle guance? Quanti?
Aspettare.
21.00.
Campane registrate. Ottima annata.
Si avvicina.
Due baci.
“Buonasera”.
È già sera, vero? Notte? Buon appetito? Salve?
Silenzio.
“Che formalità”
Ridere.
Come. Ridere.
Ieri parlavamo di madri invadenti. Non nostre.
“Tempo ideale”
Argomento ideale.
Una mano sulla spalla.
Tensione.
“Dove vuoi andare?”
Mi fido.
Quando annuire.
Un posto tranquillo. Un posto tranquillo. Un posto tranquillo.
Musica soffusa.
Contatti volatili.
Sdrammatizzare.
Difficoltà.
L’intrattenimento.
Non è quello che fai, è con chi sei.
È il nome, che fa la situazione.
Tutto gelo.
Camminare in punta di piedi.
Voci soffuse.
Timore del rifiuto.
La maschera sale.
Tempo. Lavoro. Programmi per le vacanze. Libri.
“Vino?”
Quando annuire.
Silenzio.
Il lampadario rosso.
Locandine di vecchi film.
Contatto impercettibile.
Uno sguardo obliquo.
Vorrei.
Lo voglio.
Alzare lo sguardo.
Fuggire.
Vorrei dirti quello che penso.
“Come mai questo posto?”
Il secondo bicchiere.
Imbarazzo.
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Tensione.
Non allargare mai le ginocchia.
Brandelli di tovagliolo.
“Un altro po’ di vino?”
Gola arsa.
Silenzio.
Fuga di sguardi.
Entra una donna. Sola.
“Ha smesso di piovere”
Domanda.
Risposta.
Silenzio.
Domanda.
Risposta.
Silenzio.
L’assurdo assassinio del vivere quotidiano.
Guardo le mani.
Lui cerca lo sguardo. Perché? Perché?
Vorrei dirti che mi piace la tua attenzione. Vorrei dire che mi metti in soggezione.
Pensi che sia fredda.
Allungare una mano.
Contatto.
Troppo. Poco.
Potresti piacermi. Ti ascolterei per ore.
Non qui.
I luoghi cambiano le persone.
Allungare una mano.
Un segno con significati. Non attinenti.
Capirà?
Immagino di sì.
Quando le parole non bastano, ma sono tutto ciò che hai, o che ti imponi di usare, e che non sai
usare.
Nessuno può rompere il vetro. O sì? Come?
Rido. Il terrore sotto i lustrini.
Cosa c’è all’origine di tutto?
Due persone si trovano gradevoli.
Due persone parlano.
Due persone trovano un punto di contatto.
Due persone condividono.
Dissolvenza.
Titoli di coda.
Parla del lavoro. Parla dell’infanzia. Parla di sogni.
Come dire sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato.
“E tu?”
Come si devia ogni volta che ci si affronta.
Puoi dichiarare questo tipo di stato quando lo vivi, in pubblico?
È terapeutico?
Socialmente accettabile?
Illegale?
Irrigidirsi.
L’imbarazzo che ti blocca.
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La tensione anche fisica.
Come ci nascondiamo.
Il commiato.
“Ti accompagno?”
“No, grazie”
Troppo. Il conto. La strada.
L’asfalto bagnato sotto lampioni malaticci.
Non fargli perdere tempo.
L’indipendenza a colpi di orgoglio.
Silenzio.
Il bisogno di sensazioni.
Il bisogno fisico di calore.
L’ambiguità nel rapporto umano. L’abbraccio.
Desiderio e controllo.
Passi appiccicaticci.
Silenzio.
Buio.
Come?
3.
Fine di una fine annunciata.
Ero lì, avevo sganciato la bomba e già cominciavo ad annoiarmi. La parte interessante era andata. Il
discorso montato e provato era finito nel cesso, riducendosi ad una sintesi significativa di risatine,
“ehm”, saltelli, false partenze e monosillabi. Undici noni, 3D, popcorn grazie. L’Altro aveva tentato
un’ipotesi, aveva indovinato e si era raccontato tutta la storia. Storia che conoscevo a menadito,
ovviamente, essendone la protagonista. Anche l’Altro, altrettanto ovviamente, credeva di esserne il
protagonista.
“Mi odi?” “No, il contrario” “Sei innamorata di me” “Forse è un po’ eccessivo”.
E lì, nella noia del sentirsi ripetere per l’ennesima volta tutto quanto, mi ero accorta di una serie di
cose: UNO, l’Altro aveva un ultracorpo sul mento. Era l’unica cosa che riuscivo a fissare, sulla sua
faccia. Non un brufolo, “IL brufolo”. Come “LO squalo”. DUE, l’altro aveva delle scarpe orrende,
su cui continuava a cadermi l’occhio, quando si stancava deL brufolo e della voglia di schiacciarLO
o altra perversione del genere. Sembravano essere loro, le scarpe, a parlare, a vomitare tutte quelle
parole ragionevoli e leggermente offensive. Io potevo sembrare ragionevole, potevo annuire, potevo
anche ridere del mio muscolo cardiaco scatarrotico e frantumato che tentava di rianimarsi da solo. E
l’Altro non l’avrebbe mai capito. Ah, TRE. Le piastrelle erano grigie e rettangolari. Con una
gomma da masticare, più grigia, incastonata verso la ringhiera. Come una pietra preziosa nella
vetrina più triste di Via Montenapoleone. L’autolesionismo del venditore porta a porta alla prima
commissione. Mi ero presentata con un tabellone delle freccette appeso al collo. E mentre i miei
ormoni finivano di suicidarsi, il fiume di razionalità continuava a vomitarsi addosso. E io passavo le
freccette.
“E poi non sei il mio tipo”.
A quel punto anche le metafore mi annoiavano. Basta? Potevo andare? Ah, grazie.
“Sì, alla prossima. Anche a me ha fatto molto piacere. Teniamoci in contatto, mi raccomando”.
Mi incamminai fischiettando verso il primo massacro etnico disponibile.
4.
4
Bruno Pizzul.
Comunismo discount.
Dizionario enciclico.
Look acrilico.
Merde.
Mi faccio le unghie? Fegato senza senso?
Impudica cucina barocca. Natura morta con barattolo di carciofini.
È simpatico è ludibrico.
“Il Capro ludibrico al centro del rituale ricorda Dioniso come Pan”
Prendete un cuscino. Legatevi strettamente attorno uno spago ad un terzo e un altro spago a circa
metà della lunghezza, ottenendo tre rigonfiamenti distinti. Sul rigonfiamento più piccolo, con dei
pezzetti di nastro adesivo nero, ottenete due occhi a croce e una striscia dritta, la bocca.
Destino asburgico.
Gesù che cammina sulle acque in una giornata particolarmente frivola. Sulle strisce.
La maionese nell’insalata di riso?!
Il filtro sullo scarico della doccia. O l’acido muriatico tra i capelli.
Logorrea e Dissenten e ThyssenKrupp
Interno di lavanderia a secco. Grucce di metallo e brochure di viaggi in Medio Oriente.
Superenalotto soverchiante.
Milioni. Motivi. Mufloni. La vicina di tram parla di mufloni. Ha una pianta carnivora tra i capelli.
ATM.
ATM.
Binario sempre morto.
Fermata. Fermata. È la tua fermata. Capolinea. Pozzanghera.
Merde.
5.
Rimozione di una fine annunciata. Barbie deve morire.
Caga zucchero filato, il capello è biondo e stirato che neanche la parrucca della Carrà, e crede che
“umorismo” sia il nome di una divinità della Nuova Guinea. Barbie non è stupida. Barbie trasuda
disponibilità carità cristiana e maternità verginale. Barbie è una gattamorta: per essere una
gattamorta non puoi avere acume, lasciamo stare spirito. Povera, non ci può fare niente. È carina, è
buona, è molliccia. Con che coraggio puoi penetrare Barbie? Si sgonfia. Non lo dico io. Che?
Gelosa? No, la stupidità la posso fingere benissimo. Ah, ho detto che non era stupida. Però posso
fingere di farmi piacere il rosa e il celestino. E piangere ogni volta che vedo un cucciolo di foca
foderare il cappotto di un eschimese infreddolito. E non conoscere le statistiche di stupro under-16
della mia città. Barbie non ha mai lasciato il suo castello con ascensore e scaldabagno funzionante.
Non ha mai incontrato un idraulico. Non ha mai incontrato il Tecnico della Tapparella. Povera. Però
posso motivare la mia percezione di Barbie. Ho detto che non è gelosia. È un transfert palatale prepuberale. Cioè. Quando vedo una cosa bionda e sculettante foderata di bianco e rosa, il paragone
con la BIG BUBBLE è immediato. Sì, la gomma da masticare panna e fragola dell’infanzia.
Gestibile finché credi che Babbo Natale ti premierà per averne masticato un intero pacchetto. Ma
Babbo Natale, lo sappiamo, è una metafora efficace dell’economia argentina. Bene. Ho cercato di
imparare a fare i palloncini, con la BIG BUBBLE panna e fragola, come tutti i miei amici delle
elementari. Ho vomitato ininterrottamente per tre giorni. Non è colpa mia, se Barbie mi ricorda il
primo shock anafilattico della vita. E capisco perché gli piaccia. Perché gli piaccia all’Altro. In sua
compagnia, rischia di essere lui – così razionalmente edificante, l’Altro - quello con il senso
dell’umorismo. Barbie è così calcuttianamente buona, così vanigliosamente adorante, così
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mediocremente piatta. Una sogliola dal profumo troppo dolce, e gli occhi già appannati del pesce
che è lì da un po’.
Credo molto nell’amore (quello con la A maiuscola, le roselline, i cuoricini, l’happy end, il
sentimento, le notti stellate, i sedili posteriori delle utilitarie nei parcheggi isolati, gli orsetti di
peluche giganti, quello vero). Credo di più nell’educazione alimentare. Credo in slow food. È cosa
buona pulita e giusta.
6.
E…
E tutto ciò è estremamente immaturo.
Giuro.
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