Interventi - Giappichelli

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Interventi - Giappichelli
Parte prima
Interventi
Il sistema delle fonti. 2011: l’anno della legislazione statale
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Il sistema delle fonti.
2011: l’anno della legislazione statale
di Maurizio Malo
SOMMARIO: 1.1. Codice statale in materia regionale. – 1.2. Codice e qualità della legislazione. –
1.3. Nuove discipline “extracodicistiche”: l’imposta di soggiorno.
1.1. Codice statale in materia regionale
Deve ancora scorrere l’ultimo quadrimestre, ma si può già ritenere che il
2011 sia destinato ad essere evocato, in riferimento al turismo, come l’anno
della legislazione statale, in considerazione della emanazione del codice, del
congiunto riordino normativo, dell’approvazione di altre disposizioni, sull’imposta di soggiorno, sui distretti turistici e sulla nautica da diporto.
Era prevedibile una così rilevante attività legislativa statale? Va rammentato
al riguardo che la collocazione del turismo come materia (legislativa) residuale
regionale non esclude in assoluto la competenza legislativa dello Stato, per via
dell’interferenza con materie o aree disciplinari trasversali di competenza statale (come «l’ordinamento civile»: art. 117, 2° comma, lett. l, Cost.); per via del
passaggio di settori normativi dalla materia «turismo» ad altre materie, di competenza esclusiva statale o di competenza concorrente (come il settore delle professioni turistiche, facente ora parte – secondo l’interpretazione fornita dalla
Corte costituzionale – della materia concorrente delle «professioni»: art. 117, 3°
comma, Cost.); e per via della assunzione di compiti amministrativi da parte dello Stato, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di adeguatezza: assunzione
che richiede la relativa base legislativa (statale), secondo il principio di legalità,
«il quale impone che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano organizzate e regolate dalla legge» (Corte cost. sent. n. 303 del 2003).
Nessuna delle tre prospettive giustifica – però – l’adozione di un codice
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statale del turismo (introdotto con d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79). Le disposizioni rientranti nell’ambito dell’area trasversale privatistica dell’«ordinamento
civile» (nel codice, le disposizioni del Titolo VI, sui contratti del turismo organizzato) potrebbero, piuttosto, far parte del codice del consumo (d.lgs. n.
206 del 2005), o anche del codice civile, classica fonte di disciplina organica
del diritto privato (ordinamento civile). Le disposizioni che in realtà riguardano altra materia, dovrebbero essere condotte in una fonte normativa della diversa materia, come le disposizioni sulle professioni turistiche, destinate ad
una legge statale sui principi fondamentali in materia di professioni. Infine, le
disposizioni per disciplinare azioni amministrative assegnate allo Stato, in via
sussidiaria, dovrebbero comunque rappresentare l’eccezione o riguardare solo
qualche aspetto che richiede necessariamente, secondo ragionevolezza, l’intervento del livello centrale di amministrazione. È una disciplina, quella prodotta
per chiamata in sussidiarietà, che dovrebbe quindi essere piuttosto circoscritta
e isolata: tutt’altro che idonea a costituire, da sola, un codice.
I codici (intesi come corpi normativi tendenzialmente completi, organici in
una data materia), si possono immaginare, relativamente alla legislazione statale, per le materie in cui lo Stato ha legislazione esclusiva; non per materie di
legislazione concorrente (ove lo Stato è chiamato ad approvare le sole norme
di principio, la cui tipica veste è quella della cosiddetta “legge cornice”); né
(tanto meno) per materie di competenza legislativa «piena» o «esclusiva» regionale (come «il turismo»).
Ad ogni buon conto, la presenza di un codice del turismo dovrebbe almeno consentire di leggere la relativa disciplina legislativa statale tutta unita in un
organico corpo normativo (il codice). Ma neppure questo obiettivo è stato adeguatamente raggiunto.
1.2. Codice e qualità della legislazione
Il codice tratteggia l’organizzazione pubblica per il turismo a livello statale
(Titolo VII), ma non include le norme legislative generali sull’E.N.I.T. che restano “incuneate” nel d.l. n. 35 del 2005 (art. 12), come modificato dalla legge
di conversione n. 80 del 2005 (disposizioni urgenti per lo sviluppo del Paese)
e nella legge n. 69 del 2009 (art. 19). L’art. 57 del codice reca alcune disposizioni sull’E.N.I.T. che ripetono solo in parte quelle dell’art. 12 del d.l. n. 35
del 2005 (senza considerare quelle dell’art. 19 della legge n. 69 del 2009), effettuando fra l’altro un rinvio recettizio al regolamento di organizzazione dell’E.N.I.T. n. 207 del 2006 (emanato con d.p.r., a norma dell’art. 17, comma 2,
legge n. 400 del 1988), come se fosse una fonte (regolamentare) insostituibile.
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Il codice contiene alcune disposizioni sulle azioni amministrative statali (erogazione dei buoni vacanza, art. 27; attribuzione di attestazioni e medaglie al
merito turistico, artt. 59 ss.; ecc.), ma ne omette altre che restano “labirinticamente” collocate in altre fonti legislative, come quella sul cofinanziamento di
progetti per lo sviluppo del turismo, dell’art. 1, comma 1228, legge n. 296 del
2006 (modificato dalla legge n. 69 del 2009). E anche laddove dispone (buoni
vacanza, art. 27), esso effettua tuttavia un rinvio a disposizioni esterne (art. 2,
comma 193, legge n. 244 del 2007), che a loro volta continuano a disciplinare
lo stesso settore.
Il codice reca disposizioni sulle agenzie di viaggio e turismo (Titolo IV),
senza abrogare le “parallele” disposizioni del r.d.l. n. 2523 del 1936 (Norme
per la disciplina delle agenzie di viaggio e turismo), convertito dalla legge n.
2650 del 1937, e senza operare con esse alcun coordinamento, ancorché le
disposizioni legislative statali del 1936, sulle agenzie di viaggio, siano state
comprese fra quelle (anteriori al 1970) di cui si ritiene indispensabile la
permanenza in vigore, a norma dell’art. 14 della legge n. 246 del 2005, di
semplificazione e riassetto normativo (v. allegato 1, punto 526, d.lgs. n. 179
del 2009).
Il codice disciplina i contratti del turismo organizzato (Capo I del Titolo
VI), ma le disposizioni sui contratti di multiproprietà e per vacanze a lungo
termine restano nel codice del consumo (d.lgs. n. 206 del 2005); e non si è avvertita l’opportunità di introdurre nel codice del turismo altre disposizioni,
relative ad ulteriori tipi di contratto turistico, ad iniziare dal contratto d’albergo. Anzi, per il contratto di locazione turistica, il codice genera disposizioni di novellazione di altra legge (v. l’art. 52, che modifica l’art. 27 della legge n.
392 del 1978): operazione che – sotto il profilo della tecnica legislativa – appare assai curiosa, per un codice. Esso, infatti, anziché includere disposizioni,
nella prospettiva di formare un corpo normativo ampio e organico, nasce con
una “cessione di disposizioni” in favore di altra fonte legislativa.
Il codice lambisce il tema delle professioni turistiche (Titolo II), senza incorporare almeno le disposizioni relative alle principali professioni, che rimangono invece legate ad altre fonti legislative.
Allo stesso modo, il codice individua le tipologie turistiche (Titolo V), ma
rinvia ad altre fonti per la loro disciplina, come in tema di turismo termale e di
agriturismo.
Né esso ha l’ambizione di includere le rilevanti disposizioni, recentemente
approvate, sull’imposta di soggiorno (che resta fondamentalmente disciplinata
dal d.lgs. 14 marzo 2001, n. 23, all’art. 4) e sui distretti turistici, le cui disposizioni istitutive, approvate con decreto-legge di poco precedente (d.l. 13 maggio 2011, n. 70, art. 3), si sarebbero potute inserire nel codice del turismo attraverso la legge di conversione del decreto-legge (legge 12 luglio 2011, n.
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106), mediante espressa modifica (novella) del codice nel frattempo emanato
(d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79).
Quanto alla struttura del testo normativo, appare inutilmente ridondante
(almeno in alcuni punti) la doppia partizione, in Titoli e in Capi: non c’è ragione di suddividere il Titolo II (Professioni e formazione nel settore turistico), in due Capi, ciascuno dei quali contiene un solo articolo; né ha senso interporre, fra Titolo (IV, sulle agenzie di viaggio) e articoli, un solo Capo (I,
con equivalente denominazione). Più sobria (e corretta) avrebbe potuto essere
la partizione del testo in Capi (anziché in Titoli), con eventuale suddivisione in
Sezioni, solo di alcuni Capi (ove la partizione interna sia davvero opportuna).
È riduttivo utilizzare l’espressione Mercato del turismo per presentare le
sole disposizioni sulle strutture ricettive (Titolo III): l’espressione (peraltro
infelice, tratta dal gergo aziendale) comprende infatti diversi settori, come
quello delle agenzie di viaggio (Titolo IV) e quello delle professioni turistiche (Titolo II).
Sembra scarsamente seguita la prescrizione sulla brevità degli articoli e dei
commi, al fine di rendere più nitido, leggibile il testo normativo.
Non si comprende perché sia stato effettuato il richiamo alla fonte precedente, soltanto nella rubrica dell’art. 11 (sulla pubblicità dei prezzi delle strutture ricettive, già disposta dalla legge n. 284 del 1991, abrogata dallo stesso
d.lgs. n. 79 del 2011).
Compaiono disposizioni inutilmente ripetute, come quella sugli standard
minimi nazionali delle strutture ricettive turistiche, al comma 1 dell’art. 10 e al
comma 1 dell’art. 15.
Ed altri appunti potrebbero aggiungersi, relativi alla qualità del testo normativo, anche in considerazione della solenne qualificazione della fonte legislativa come codice, che avrebbe richiesto massima cura nella stesura e adeguato controllo redazionale.
1.3. Nuove discipline “extracodicistiche”: l’imposta di soggiorno
Quanto alle novità legislative, il codice, oltre ad istituire le attestazioni di
eccellenza turistica nel settore enogastronomico ed alberghiero e la medaglia
al merito del turismo per la valorizzazione dell’immagine italiana (artt. 59-64),
prevede «la procedura di mediazione» (finalizzata alla conciliazione delle controversie in materia di turismo: art. 67), istituisce «lo sportello del turista»
(per la presentazione di istanze, richieste e reclami: artt. 68 e 69), e riconosce
pienamente (superando tentennamenti giurisprudenziali: v. Manuale, pagg.
295 s.) il diritto al risarcimento del danno da vacanza rovinata (art. 47). Altre
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disposizioni sostanzialmente confermano elementi già presenti nell’ordinamento, anche quelli che non sembrano aver dato buona prova, come gli evanescenti sistemi turistici locali (art. 23). Sono riproposti organi e sedi di coordinamento (Comitato permanente di promozione del turismo, art. 58; Conferenza nazionale del turismo, art. 56), e permane la discutibile procedura dei
«buoni vacanza» (art. 27).
La novità legislativa del 2011 che appare più significativa, è tuttavia esterna
al codice del turismo e consiste nella istituzione dell’imposta di soggiorno, ad
opera del decreto legislativo sul cosiddetto «federalismo fiscale municipale»
(d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 4). In effetti, si tratta di novità relativa, in
quanto l’imposta di soggiorno già era presente nell’ordinamento italiano, rappresentando addirittura la prima disciplina specifica in materia di turismo
(legge n. 863 del 1910; successivamente, d.l. n. 1926 del 1938, convertito dalla
legge n. 739 del 1939). Venne soppressa nel 1989 (con d.l. n. 66, convertito
con modificazioni dalla legge n. 144 del 1989), restandone però espressamente
consentita l’istituzione (con legge, data la riserva di legge in tema di prestazioni patrimoniali, dell’art. 23 Cost.), alla Regione Sardegna e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, secondo le disposizioni delle rispettive leggi costituzionali statutarie (art. 8, lett. h, legge cost. n. 3 del 1948, Statuto Sardegna:
«le entrate della Regione sono costituite: … h – da imposte e tasse sul turismo
e da altri tributi propri che la regione ha facoltà di istituire con legge in armonia con i princìpi del sistema tributario dello Stato»; art. 72, d.p.r. n. 670 del
1972, t.u. leggi cost. statutarie per il Trentino-Alto Adige: «Le province possono stabilire imposte e tasse sul turismo»). La Regione Sardegna, recentemente avvalsasi della facoltà di istituire l’imposta di soggiorno (introdotta con
legge regionale n. 2 del 2007, giudicata “non illegittima”, dalla Corte cost. con
sent. n. 102 del 2008), ha avuto un repentino ripensamento (abrogando, con
legge regionale n. 1 del 2009, la legge regionale istitutiva, del 2007: peraltro, le
due leggi sono state approvate da maggioranze politiche di segno opposto).
Ora, la fonte legislativa statale (d.lgs. n. 23 del 2011, art. 4) consente, in
generale, ai Comuni capoluogo di provincia (e alle Unioni di Comuni e ai
Comuni inclusi in elenchi regionali di località turistiche), di istituire l’imposta
di soggiorno.
Alla lettura dell’art. 119, 2° comma, Cost. (per il quale «le Regioni … stabiliscono … tributi ed entrate propri»), sorgerebbe subito un dubbio di legittimità costituzionale della norma statale, in quanto la decisione legislativa sull’istituzione di tributi in materie di competenza «piena» regionale, com’è il turismo (ex art. 117, 4° comma, Cost.), dovrebbe spettare ai legislatori regionali,
non al legislatore statale: tributi istituiti con legge regionale nelle materie di
propria competenza. Ma, senza indugiare in questa sede sul punto, proseguiamo con l’illustrazione della disciplina.
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Sono, quindi, i Comuni (capoluogo, e quelli qualificati turistici e Unioni di
Comuni) a decidere se applicare o meno l’imposta «a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate nel proprio territorio» (art. 4, comma
1, d.lgs. n. 23 del 2011).
L’imposta non può essere superiore «a 5 euro per notte di soggiorno» (misura del prelievo fiscale).
Il regolamento di attuazione, del Governo, previsto dal comma 2, dell’art.
4 (d.lgs. n. 23 del 2011), non risulta ancora emanato (agosto 2011); tuttavia lo
stesso comma 2, consente ai Comuni di agire anche in assenza del regolamento, attraverso l’adozione di proprie norme regolamentari.
Fra i Comuni capoluogo di Provincia, hanno introdotto l’imposta di soggiorno i tre Comuni di maggior attrazione turistica, nel Paese:
a) Firenze, con deliberazione del Consiglio comunale, del 20 giugno 2011,
con la quale è stato adottato anche il regolamento (v. http://www.comune.fi.it/
opencms/export/sites/retecivica/materiali/hp_amministrazione/delibera_imposta_soggiornodef.pdf);
b) Venezia, con deliberazione del Consiglio comunale, del 23-24 giugno
2011, con cui pure è stato adottato il regolamento (v. http://www.comune.venezia.
it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/47786);
c) Roma, con deliberazione (e annesso regolamento) già del 22-23 dicembre 2010, del Consiglio comunale (a cui ha fatto seguito la deliberazione dell’11 luglio 2011, di modifica del regolamento). L’attivazione “anticipata” del
tributo ad opera del Comune di Roma si fonda sul disposto normativo del d.l.
n. 78 del 2010 (convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010) che
all’art. 14, comma 16, ha previsto apposite misure per «Roma capitale», fra cui
l’introduzione del «contributo di soggiorno a carico di coloro che alloggiano
nelle strutture ricettive della città» (lettera e), (v. http://search.comune. roma.it/
search?q=regolamento+imposta+di+soggiorno&filter=p&site=sito_comune&frontend =default
_frontend&client=default_frontend&proxystylesheet=default_frontend).
Prendendo ad esempio il regolamento del Comune di Venezia, vediamo la
disciplina più in dettaglio.
Presupposto dell’imposta è il pernottamento in strutture ricettive ubicate
nel territorio comunale.
Soggetto passivo dell’imposta è la persona che pernotta in una struttura ricettiva. L’imposta viene applicata sino ad un massimo di cinque pernottamenti consecutivi. Sono previste riduzioni ed esenzioni per determinate categorie di soggetti.
Soggetto responsabile della riscossione è il gestore della struttura ricettiva
che, ogni trimestre, è tenuto a versare al Comune le somme riscosse a titolo
d’imposta.
Il gettito d’imposta è destinato a finanziare interventi in materia di turismo
e promozione della città, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricetti-
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ve, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali
e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali: l’art. 1, 3° comma, del
regolamento del Comune di Venezia, riproduce il secondo periodo dell’art. 4,
1° comma, d.lgs. n. 23 del 2011, aggiungendo soltanto «la promozione della
città», tra i fini a cui destinare le risorse (come se Venezia avesse particolari
problemi di promozione turistica …).
Il vincolo di destinazione delle risorse finanziarie (che deriva quindi dalla
legge), essendo complessivamente ispirato ad accrescere la qualità del settore
turistico, fattore assai rilevante sia per lo sviluppo economico che per l’assetto
sociale delle località implicate, sembrerebbe poter giustificare l’esborso (per lo
più modesto) a carico dei turisti e l’incombenza a carico dei gestori delle strutture ricettive (che si trovano ad essere esattori, ovvero sostituti d’imposta).
Ma è difficile essere ottimisti se si considera come – mediamente – sono gestite e impiegate le finanze comunali (e le finanze pubbliche, in genere): Comuni con forti capacità di entrata, anche in assenza dell’imposta di soggiorno
(come sono i Comuni di Firenze, Roma e Venezia e quelli delle principali località turistiche), già avrebbero potuto impiegare in modo più virtuoso ed equilibrato le risorse finanziare (anche) per finalità, legate al turismo, di manutenzione e valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale locale. Il decoro
urbano, delle piazze monumentali, delle “cornici” relative a siti archeologici,
del verde pubblico, spesso lascia assai a desiderare, specialmente nei mesi estivi (di maggior flusso turistico). Ognuno potrebbe agevolmente esemplificare.
Qui si indica il caso del Lido di Venezia (Comune di Venezia), cosiddetta “ex
Isola d’oro” (ex, appunto), dove il degrado del suolo pubblico e dell’arredo
urbano è diffuso, dove recentemente è stata abbattuta una storica pineta
(pubblica, in parte tutelata da vincolo paesaggistico) per dare spazio al cemento, dove non si vede la Laguna e non si vede il mare dai punti più caratteristici
dell’Isola, per la realizzazione di sciagurate opere pubbliche, rispettivamente
per l’approdo dei mezzi di trasporto acqueo (un grigio, freddo terminal di
stampo aeroportuale) e per finalità turistico-ricreative (un tetro fortilizio, da
Deserto dei Tartari). Si auspicherebbe l’istituzione di un’azione popolare per
danno paesaggistico, di fronte a siffatte opere.
In ogni modo, le cronache dei primi giorni di applicazione dell’imposta di
soggiorno nel territorio veneziano (imposta in vigore dal 24 agosto 2011), registrano una situazione turbolenta, tra Associazione degli albergatori (contrari
all’imposta) e Comune, con impugnazione al Tribunale amministrativo regionale dei provvedimenti comunali. E la situazione veneziana non è diversa da
quella delle altre città in cui si è data o si sta per dare applicazione all’imposta,
fra cui Padova, ove si leva la sferzante critica del Presidente dell’associazione
dei commercianti (Fernando Zilio) alla decisione comunale di attivare l’imposta, nell’osservare – fra l’altro – che «l’imposta rischia di mettere gli uni contro