n° 33 Marzo Settembre 2011
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n° 33 Marzo Settembre 2011
28-03-2011 17:14 Pagina 1 Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.A. -Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1, DCB Genova TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm ANNO XI | NUMERO 33 | MARZO | SET TEMBRE 2011 2 3 4 5 6 Nora alla prova George Bernard Shaw Lettere di Ibsen Nora alla prova Intervista a Ronconi Doppio finale Nora alla prova Due donne per la Melato Nora e le sue interpreti Operetta in nero Intervista a Liberovici Nanni Balestrini Rassegna alla Piccola Corte Saggio della Scuola Drammaturgia contemporanea Inedito di Peter Hacks Hellzapoppin Tre novità europee 7 8 Spettacoli ospiti al Teatro della Corte e al Teatro Duse Mariangela Melato protagonista di Nora alla prova che Luca Ronconi ha tratto da Casa di bambola di Henrik I b s e n RELAZIONI FELICI ‘‘ALLA PROVA’’ UNA VITTORIA DI TUTTI DAL 29 MARZO IN SCENA ALLA CORTE LO SPETTACOLO PRODOTTO DALLO STABILE Va in scena martedì 29 marzo al Teatro della Corte (repliche sino a giovedì 21 aprile) la prima nazionale di Nora alla prova da Casa di bambola di Henrik Ibsen. Nello spettacolo-evento prodotto dal Teatro Stabile di Genova e firmato da Luca Ronconi, Mariangela Melato è Nora, ma è anche Kristine, l’amica d’infanzia che la moglie-bambina elegge a sua confidente, trovando nell’insieme di questi due personaggi la completezza di un carattere femminile “moderno”. Madre di tre figli piccoli, Nora è sposata da otto anni con l’avvocato Torvald Helmer, che la considera alla stregua di un grazioso e vivace animale domestico. E lei sembra felice in questa sua gabbia famigliare, prolungamento di quella nella quale aveva già vissuto all’ombra del padre. La scoperta di se stessa da parte di Nora avviene però in modo drammatico e imprevisto, inducendola ad abbandonare la famiglia in cerca della sua vera identità. Il doppio titolo dello spettacolo – Nora alla prova da Casa di bambola di Henrik Ibsen – è stato voluto da Luca Ronconi per eliminare subito ogni tentazione di relegare la storia di Nora nel passato, come se fosse solo un momento arcaico della lotta per la Carlo Repetti Durante tutto il periodo delle prove di Nora, da Casa di bambola di Ibsen, ero preso da un contrastante, duplice sentimento: da una parte la felicità che mi dava il lavoro con artisti quali Luca Ronconi, Mariangela Melato e la compagnia tutta che stavano, con la solita assoluta dedizione e serietà, preparando questo nuovo, coinvolgente spettacolo; e dall’altra la preoccupazione angosciata che nasceva dal vedere con la decurtazione dei fondi per il Ministero della Cultura la parte più importante della nostra identità di grande paese civile, fondata sull’arte e lo spettacolo, svilita e messa a serio rischio di sopravvivenza. Poi, quasi improvvisamente, la settimana scorsa, verso gli ultimi giorni di prove, saggia e rasserenante la decisione del Governo: il Fondo Unico per lo Spettacolo veniva ripristinato e lo spettacolo e la cultura italiani potevano riacquistare la loro dignità, la loro forza di proposta civile. A molti va il merito della vittoria in questa battaglia che è stata difficile e significativa, e che temo non sarà l’ultima in difesa della cultura: al movimento coeso di tutti gli operatori della cultura e fra questi un grazie particolare credo lo si debba alle parole chiare e forti che Mario Monicelli pronunciò prima di morire, e all’atteggiamento esemplare di Riccardo Muti; al tempo stesso un ringraziamento deve andare a un sincero paladino dello spettacolo e della cultura, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e al Direttore Generale dello Spettacolo Salvo Nastasi. Ma credo che tutti saranno d’accordo nel riconoscere il ruolo di riferimento esercitato ancora una volta dal nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che nel novembre 2010 pronunciò le parole forti e chiare che avrebbero costituito la base sulla quale fondare la soluzione del problema. Diceva fra l’altro il Presidente Napolitano: «Naturalmente so bene quel che vi inquieta, quel che vi assilla, i motivi della protesta che ha attraversato il paese». (continua a pagina 8) M a r i a n g e l a M e l a t o i n u n a s ce n a d i N o ra a l l a p ro v a ( f o to d i M a rce l l o N o r b e r t h ) XVI Rassegna di Drammaturgia contemporanea Saggio della Scuola Dal 24 maggio all’11 giugno, il Teatro Stabile di Genova propone nello spazio della Piccola Corte la XVI Rassegna di Drammaturgia contemporanea che quest’anno ha in cartellone tre nuovi testi provenienti dalla Romania (Sempre insieme scritto in francese da Anca Visdei. In scena dal 24 al 28 maggio), dalla Svizzera (Persone predilette di Laura de Weck, dal 31 maggio al 4 giugno) e dalla Gran Bretagna (Motor Town di Simon Stephens, dal 7 all’11 giugno). Gli spettacoli, che saranno allestiti in forma di “mises en espace” ma con grande cura per la recitazione degli attori, sono affidati rispettivamente alla regia di Matteo Alfonso, Mario Jorio e Antonio Zavatteri e vedranno come interpreti i neodiplomati della Scuola di Recitazione dello Stabile, affiancati per l’occasione da attori professionisti che nella stessa scuola si sono formati negli scorsi anni. La Rassegna di “mises en espace” è intesa dallo Stabile di Genova non solo come momento di sperimentazione di nuovi autori europei e mondiali, ma anche come occasione per mettere alla prova nuovi interpreti e nuovi registi, oltre che come significativa opportunità di sperimentare un diverso rapporto con lo spettatore. In questo modo, nel corso degli anni sono già stati messi “en espace” cinquanta nuovi testi, numerosi dei quali si sono poi trasformati in veri e propri spettacoli in cartellone. La presenza di un apparato scenografico essenziale non impedisce ai singoli allestimenti di stabilire un rapporto di comunicazione diretta con il pubblico, il quale ha sempre dimostrato grande interesse per questa iniziativa. Al fine di favorire la presenza dei giovani e investire nel ricambio generazionale del pubblico, tutti gli spettacoli della Rassegna vengono presentati a ingresso libero, sino all’esaurimento dei posti. Margarete in Aix del tedesco Peter Hacks (1928-2003) è il testo – mai rappresentato in Italia – sul quale la Scuola di Recitazione dello Stabile sta preparando il saggio di fine anno del primo Corso di Qualificazione Professionale. Lo spettacolo, diretto come di consueto dalla direttrice della Scuola Anna Laura Messeri, che ha in programma di iniziarne le prove già a maggio nell’ambito dell’attività didattica, andrà in scena al Duse solo nella prima metà di settembre (data da definire), a causa del ritardo con cui le lezioni hanno potuto quest’anno avere inizio, in seguito a impreviste difficoltà burocratiche. Testo di esplicita struttura brechtiana, Margarete in Aix è una commedia che mescola il dramma politico alla pochade, l’amore cortese alla buffoneria. Ne è protagonista la figlia di Renato d’Angiò, poi moglie di Enrico VI d’Inghilterra, già immortalata da Shakespeare in alcune sue opere. liberazione della donna. Molte cose, infatti, sono cambiate anche per la donna dal 1879, quando Casa di bambola (Et dukkehjem) fu rappresentato per la prima volta, suscitando scandalo ovunque proprio per la sua lettura come esempio di un femminismo estremo; tanto che, in Germania, Ibsen fu addirittura costretto a trovare un nuovo finale al dramma, perché la protagonista si rifiutava di impersonare una madre da lei ritenuta snaturata. Ma se tutte queste polemiche hanno fatto di Casa di bambola l’opera forse più nota del norvegese Ibsen che lo scrisse in Italia ispirandosi a un caso reale, non la relega affatto in un passato ottocentesco, perché il tema di fondo – il dramma di una donna che, prima di essere moglie e madre, vuole essere persona – possiede ancora una forte carica di attualità. Ed è appunto questa modernità che Ronconi e la Melato intendono portare in scena, affiancati nell’impresa da Paolo Pierobon (Torvald Helmer), Giovanni Crippa (dottor Rank), Riccardo Bini (Krogstad), Barbara Moselli (l’altra Nora), Orietta Notari (l’altra Kristine) e Irene Villa (una cameriera). La scena e i costumi sono firmate da Margherita Palli, le luci da Sandro Sussi. “Operetta in nero” al Duse Sino a domenica 3 aprile è ancora in scena al Teatro Duse lo spettacolo Operetta in nero, scritto e diretto da Andrea Liberovici, il quale ne ha composto anche le musiche e curato l’apparato video. Prodotto dal Teatro Stabile di Genova, Operetta in nero si avvale dell’interpretazione della cantante statunitense Helga Davis e di quella degli attori Vito Saccinto e Federico Vanni, per raccontare l’incontro tra due persone molto diverse tra di loro, in un mondo futuro in cui ogni diritto umano, dignità e rispetto della vita sono stati calpestati dal lato “oscuro” di un capitalismo selvaggio, che ha portato l’umanità a un’inevitabile catastrofe. “Pop song” e dramma apocalittico si integrano su uno sfondo narrativo che cita il Faust di Goethe e il Tamerlano di Marlowe; per aprirsi infine anche a una riflessione etica sul nostro presente. Luci di Sandro Sussi e scena di Lucia Goj. TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm 28-03-2011 17:14 Pagina 2 2 l Nora alla prova E poi la donna ha aperto gli occhi George Bernard Shaw: «Casa di bambola ha risolto il problema della libertà della donna come poi è avvenuto nella realtà» SCANDALOSA NORA A ERIK AF EDHOLM Intendente dei regi teatri di Svezia Monaco, 3 gennaio 1880 AL NATIONALTIDENDE Monaco di Baviera, 17 Febbraio 1880 Illustrissimo Ciambellano, [...] Certamente Helmer desidera riconquistare Nora. Per quanto la riguarda, Nora dice appunto che in merito, per il momento, non sa nulla, e nulla può sapere; è nell’attimo in cui abbandona la casa che propriamente comincia la sua vita. Sua Eccellenza chiede se pensi di procurarsi nuovi trastulli. No, il rapporto di Nora con il dottor Rank dimostra la sua integrità morale sotto questo aspetto. Mi si chiede, inoltre, che ne sarà dei figli; chi li educherà. La risposta è che nel testo c’è una grande bambina adulta, Nora, che deve affrontare la vita per educare se stessa e, attraverso tale esperienza, forse in seguito sarà adeguata a educare i bambini - o forse no; nessuno può saperlo. Certo è che, con l’idea del proprio matrimonio che Nora s’è fatta l’ultima notte, sarebbe immorale da parte sua se continuasse a convivere con Helmer; lei non può e così se ne va. [...] Questo mio nuovo dramma, come forse sa Sua Eccellenza, ha sollevato in Danimarca una fortissima reazione (Casa di bambola sarebbe andata in scena al Teatro Reale di Stoccolma 1’8 gennaio 1880, ndr); le fazioni si fronteggiano bellicose; l’intera grossa tiratura del libro, 8.000 esemplari, è andata esaurita nel giro di due settimane e si sta già preparando una ristampa. Oggetto della contesa non è comunque il valore estetico del dramma, ma il problema morale che pone. Che da molte parti sarebbe stato contestato lo sapevo in anticipo; se il pubblico nordico fosse stato tanto evoluto da non sollevare dissensi sul problema, sarebbe stato superfluo scrivere l’opera. Con i segni della mia stima e un ringraziamento, per tutta la compiacenza usatami, mi firmo il sempre rispettosamente obbligato verso Sua Eccellenza Henrik Ibsen Egregio direttore, sul suo illustre giornale ho letto una corrispondenza da Flensburg, dalla quale vengo a sapere che Casa di bambola, in tedesco Nora, è stata rappresentata colà, e che il finale del dramma è stato cambiato - apparentemente su mia disposizione. Quest’ultima cosa è del tutto priva di fondamento. Subito dopo la pubblicazione di Nora, ho ricevuto dal mio traduttore e agente la comunicazione ch’egli aveva ragione di temere che sarebbe uscita una “rielaborazione” del dramma col finale cambiato, e che sarebbe stata probabilmente preferita in parecchi teatri. Per prevenire una simile eventualità, gli ho inviato uno schizzo di una variante da usarsi in caso di emergenza, secondo la quale Nora non abbandona la casa, ma Helmer la spinge sulla porta della camera da letto dei bambini; qui scambiano qualche battuta, Nora si accascia sulla porta, e il sipario cala. Questo cambiamento io stesso l’ho bollato come “una violenza barbara” nei confronti del dramma. Pertanto è del tutto contro il mio volere che lo si usi; ma nutro la speranza che non sarà adoperato da troppi teatri tedeschi. Finché non viene sottoscritta una convenzione letteraria fra la Germania e i paesi scandinavi, noi scrittori nordici qui siamo del tutto privi di protezione legale, come peraltro lo sono quelli tedeschi da noi. Di conseguenza i nostri lavori drammatici sono regolarmente esposti alle violenze perpetrate sia dai traduttori sia dai direttori, dai registi e dagli interpreti dei teatri minori. Ma di fronte a minacce del genere preferisco, istruito dall’esperienza, commettere violenza da me, piuttosto che affidare le mie opere al trattamento e alla “rielaborazione” di mani meno caute ed esperte. Henrik Ibsen marzo | settembre 2011 U n a s ce n a d ’i n s i e m e d e l l o s p e t t a co l o. I n b a s s o a s i n i s t ra M a r i a n g e l a M e l a t o e a d e s t ra R i c c a r d o B i n i e M a r i a n g e l a M e l a t o Otto anni fa, quando Mr. Charrington, con Casa di bambola, assunse in maniera ferma le parti di Ibsen, forse l’unica presa di posizione davvero decisa in Inghilterra fino a oggi, me ne rallegrai e stetti a guardare la rovina e la distruzione che questo dramma portò tra gl’idoli e i templi degli idealisti, come un giovane corrispondente di guerra sta a guardare i quartieri più malsani di una città mentre vengono bombardati. Ma oggi non mi soffermo più sul tema del risveglio della coscienza femmini- le, un tempo al centro delle discussioni, essendo il punto cardine del dramma. Perché dovrei farlo? Il testo risolve il problema nello stesso modo in cui questo è stato risolto nella realtà. La donna ha aperto gli occhi; ha abbandonato all’istante il proprio vestito da bambola e ha lasciato il proprio marito a guardarla attonito, indifeso, costretto ormai a scegliere tra fare a meno di lei (alternativa che metterebbe a nudo le sue illusioni di indipendenza), o trattarla come un essere umano, uguale a lui, riconoscendo in maniera piena di non essere una creatura di specie superiore, l’Uomo, che vive con una creatura di specie inferiore, la Donna, ma che l’umanità è uomo e donna e che la disparità tra i sessi è letteralmente una sciocchezza, destinata a finire in un’insostenibile umiliazione simile a quella che il nostro Re Artù di mentalità ristretta, Torvald Helmer, subisce per mano di Ibsen. La rivolta di Nora è la fine di un capitolo della storia umana. Lo sbattere della porta che segue la sua uscita ha più forza dei cannoni di Waterloo o di Sedan, dato che, quando ella tornerà, non troverà più la stessa casa: quando il patriarca perde il proprio potere, e chi «porta a casa il pane» ammette la propria dipendenza, il vecchio ordine giunge alla fine. E quando un sistema sociale che ha prodotto tanto sentimento e tante sofferenze, che ha dato tanta espressione ai più sacri diritti e alle più amare sconfitte, crolla, non può che trascinare con sé persino i suoi distruttori e ancor più coloro i quali credono che la sua estirpazio- ne sia una ferita mortale per la società. All’inizio, quest’istante di rimorso e sgomento in Casa di bambola fu messo in luce esclusivamente dalla questione dei diritti della donna. Oggi questo tema non ci distrae più, e dunque sentiamo l’intero peso dell’ignoto destino dei nostri Helmer, dei nostri Krogstad, dei nostri Rank e dei loro antenati, dei quali non ci possiamo liberare. George Bernard Shaw A Doll’s House Again in «Saturday Review» 15 May 1897 TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm 28-03-2011 17:14 Pagina 3 Nora alla prova l 3 C o nve r s a z i o n e c o n L u c a R o n c o n i , r e g i s t a d e l l o s p e t t a c o l o i n p r i m a n a z i o n a l e s u l p a l c o s c e n i c o d e l Te at r o d e l l a C o r t e Com’è Rousseau questo Ibsen Perché Nora alla prova? Lo spettacolo celebra i due sostantivi esplicitati da questo titolo. Da una parte, c’è la storia di Nora Helmer e, dall’altra, c’è la cerimonia meno consueta della prova. È in questo secondo ambito che il nostro spettacolo definisce la sua identità. Il fatto poi che Mariangela interpreti sia il ruolo di Nora, sia quello di Kristine rinvia, secondo me, a una possibilità, a una necessità interna al testo, che probabilmente solo attraverso l’espediente della prova riesce a evidenziarsi. A suo tempo, Nora suscitò grande scandalo, perché in quella società una donna che decideva di abbandonare il marito e i figli era certo un evento scandaloso, tanto più perché la scelta veniva motivata come un diritto. Ma oggi, che tale diritto ha cessato di essere in discussione, il comportamento di Nora può forse suscitare disapprovazione, ma non certo più scandalo. E allora? In Casa di bambola, non c’è soltanto Nora, ma c’è anche Kristine. Affidare queste due figure femminili a un’unica attrice concorre a sottolineare che una è la prosecuzione o l’inverso dell’altra. Nora fa una scelta molto coraggiosa e decide di andarsene di casa, pur dicendo “non so che cosa sarà di me”, mentre Kristine, che ha perso tutto quello cui Nora decide di rinunciare, ossia la famiglia e la casa, tenta proprio di recuperare questi valori. Messi insieme, questi due personaggi costruiscono una realtà più complessa e ambigua, che, a ben vedere, compete a tutta la commedia: almeno secondo la nostra lettura. A cominciare dal doppio finale che lo spettacolo sceglie di porre a prologo della rappresentazione? Mettere all’inizio i due finali esplicita subito che si tratta di una prova e in qualche modo aiuta gli attori, soprattutto Mariangela, a non essere dipendenti dalla trama, di una rappresentazione verista e ideologica, che credo sia la componente più caduca e sorpassata di Casa di bambola. In che senso, la dimensione della M a r i a n g e l a M e l a t o e Pa o l o P i e r o b o n prova aiuta ad approfondire il testo di Ibsen? Libera dalla tentazione di ingessarlo come testo “bien fait” e permette di portare in primo piano i veri nodi narrativi del dramma. Noi non abbiamo aggiunto una parola a quelle scritte da Ibsen. Abbiamo solo fatto qualche spostamento strutturale e purificato il testo di alcuni legami artificiosi tra i suoi nuclei emotivi, perché mi sembra che siano la parte più caduca della drammaturgia ibseniana. E questo con quali risultati? Innanzitutto, la scelta fatta offre una grande possibilità creativa rispetto al dover per forza rispettare l’obiettivo finale della rappresentazione. In questo caso, la rappresentazione diventa la prova stessa, dalla quale possono meglio emergere le caratteristiche salienti di Casa di bambola, che non a caso è stata scritta subito dopo il fiasco del Peer Gynt. A ben vedere, infatti, anche Casa di bambola è una favola mascherata. Prendere coscienza di questo non significa complicarne la trama, ma caso mai renderla più chiara. Al centro del teatro di Ibsen non sta il realismo sociale, ma la rappresentazione simbolica della verità. Come in L’anatra selvatica, Ibsen muove anche qui da posizioni che rinviano a Rousseau: l’uomo nasce naturale ed è la società che lo rovina. Per questo, apro lo spettacolo con lo strepito degli uccelli. Nora e Torvald sono rappresentati all’inizio come due persone allegre e gioiose, piene di vita. È solo nel procedere dell’azione che l’allegria di Nora si scopre essere imposta dall’esterno; mentre Torvald, all’inizio così seducente e sensuale, si trasforma in modo del tutto innaturale in corrispondenza con la sua scalata sociale. Come c’è un certo rispecchiamento tra il tragitto esistenziale di Nora e quello di Kristine, qualcosa di simile accade anche tra Torvald e Krogstad, che nello spettacolo non è affatto presentato come un imbroglione, ma come un uomo che ha avuto un trauma affettivo molto forte e che trova in Kristine il suo angelo di salvezza. In questo contesto, quale ruolo svolgono l’altra Nora e l’altra Kristine? Lungi dall’essere solo delle funzioni narrative, esse sono dei veri e propri personaggi. Come testimoniano i loro abiti ottocenteschi (gli unici dello spettacolo), questa Nora e questa Kristine sono due donne molto vicine alla vulgata ottocentesca ibseniana e stabiliscono un rapporto dialettico con la modernità della Nora-Kristine interpretata da Mariangela. E il dottor Rank? Egli porta in scena un’esplicita immagine di morte: un’immagine nella quale Nora sembra all’inizio infantilmente rispecchiarsi (il vagheggiamento del suicidio), trovando però poi la via per una scelta più matura. Si torna così al doppio finale, di cui lo spettacolo sembra privilegiare quello storicamente più noto. Un conto è che il finale liberatorio sia posto come opzione tra due possibilità e un altro è invece assumerlo come un fatto necessario o come un’imposizione dell’autore. La struttura della prova, lungi dall’essere un rifugio nell’indeterminatezza, dimostra qui di essere la via per evidenziare la complessità del reale. Come scegliere uno spazio vuoto non significa rinunciare al senso, ma solo suggerire una diversa chiave di lettura del testo, così porre l’attore di fronte alla ricerca del proprio personaggio non vuol dire rendere il suo lavoro indeterminato, ma caso mai spingerlo verso un altrove, che in questo caso significa anche tenersi lontano dal melodramma, dal perdersi nella rappresentazione di sentimenti pur nobili e sublimi. Con l’espediente della prova, inoltre, possiamo permetterci di non dare continuità ai personaggi, di legare le diverse scene con passaggi esplicitamente narrativi; e in questo modo, mi sembra, Casa di bambola acquista una sua autentica modernità, senza bisogno di stravolgimenti o di sterili provocazioni. a cura di Aldo Viganò DOPPIO FINALE PER “CASA DI BAMBOLA” Nello spettacolo Nora alla prova sono messi in scena, uno dopo l’altro, i due finali del dramma, scritti da Ibsen in periodi successivi FINALE RICONOSCIUTO NORA Ascolta. Se una moglie abbandona la casa, come io faccio stanotte, le leggi, mi sembra, sciolgono il marito da ogni impegno. Sia ben chiaro, in tutti i modi, che tu, per me, sei libero. Come sono libera io. Assoluta libertà da una parte e dall’altra. Ecco il tuo anello. Dammi il mio. TORVALD Anche questo? NORA Anche questo. Grazie. Le chiavi sono là. TORVALD Penserai a me, Nora? NORA A te, alla casa, ai bambini... Se ci penserò! Non ne dubitare. TORVALD Potrò scriverti? NORA No, mai. Non voglio. TORVALD Potrò almeno mandarti... NORA Non voglio. TORVALD Aiutarti... NORA No, io non accetto nulla dagli sconosciuti. TORVALD Resterò sempre uno sconosciuto, per te? NORA Oh, Torvald, dovrebbe accadere un fatto più che meraviglioso... TORVALD Quale? NORA La nostra convivenza dovrebbe diventare un matrimonio. (Esce dall’uscio in fondo) TORVALD Nora! Nora! (Un silenzio. La porta vien chiusa) È andata via. È andata via.(Un gran silenzio) FINALE AGGIUNTO (Dopo l’ultima battuta di Nora) TORVALD Bene, allora va’! (La piglia per un braccio) Ma prima devi vedere i tuoi figli per l’ultima volta! NORA Lasciami, lasciami! Non li voglio vedere! Non li posso vedere! TORVALD (La obbliga verso la porta a sinistra) Devi vederli. (Apre la porta e dice a bassa voce)Vedi: dormono quieti e pacifici. Domani, quando si svegliano e chiamano la mamma, domani - sono orfani. NORA (Tremando) Orfani! TORVALD Senza mamma, come sei stata tu. NORA Orfani! (Lotta internamente, lascia cadere la valigia e dice) Stabile in tournée Commetto peccato contro di me, ma non li posso abbandonare. (Si accascia davanti la porta) TORVALD (Pieno di gioia, ma piano) Nora! (Cala il sipario) Proseguono sino al 15 maggio le rappresentazioni in tournée di Aspettando Godot. Dopo gli esiti trionfali ottenuti su tutti i palcoscenici delle città italiane, nelle quali è stato messo in programmazione, lo spettacolo prodotto dallo Stabile per la regia di Marco Sciaccaluga, con Ugo Pagliai ed Eros Pagni protagonisti, affiancati da Gianluca Gobbi, Roberto Serpi e Alice Arcuri, sarà ancora a Merano (Teatro Puccini, 29 e 30 marzo), Bolzano (Teatro Comunale, dal 31 marzo al 3 aprile), Verona (Teatro Nuovo, dal 5 al 10 aprile), Venezia (Teatro Goldoni, dal 13 al 17 aprile), Modena (Teatro Storchi, dal 28 aprile all’1 maggio) e Torino (Teatro Carignano, dal 3 al 15 maggio). marzo | settembre 2011 TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm 28-03-2011 17:14 Pagina 4 4 l Nora alla prova Mariangela Melato parla dei due personaggi che interpreta nella rilettura di Casa di bambola “Nora o Kristine, dipende dalla serata” Non femminista, ma femminile. Donna a tutto tondo, libera di essere e quindi di scegliere: i rischi dell’autonomia assoluta o quelli del compromesso di una vita familiare non appagante e da ricostruire. È la Nora alla prova alla quale dà corpo, voce e pensieri Mariangela Melato, protagonista dello spettacolo tratto da Casa di bambola di Henrik Ibsen e diretto da Luca Ronconi. Una prima volta assoluta per l’attrice che non si era mai messa alla prova con il drammaturgo norvegese e che lo fa in un teatro, lo Stabile di Genova, nel quale dice di sentirsi “a casa”, e con un maestro come Ronconi. «Mi è molto difficile parlare di questa esperienza mentre la sto facendo – confessa la Melato – Sto ancora cercando la parte e lo dico senza falsa modestia. Sono in prova, e mi piacerebbe che questo durasse tutto il tempo delle repliche e anche della tournée. È uno spettacolo non finito, com’è il teatro: un lavoro in prova tutte le sere, e ogni sera è diversa». E in questo spettacolo “in divenire” Nora, donna e bambola che, nel testo di Ibsen, alla fine osa rivendicare il suo diritto alla libertà, nelle mani di Ronconi e Melato si concede anche il diritto di una doppia scelta e di giocare, con la libertà che solo il teatro può mettere in mostra con tanta forza, con una doppia identità. «Questo non è uno spettacolo femminista – dichiara Mariangela – e non c’è una sola chiave di lettura». E, del resto, non potrebbe esserci visto che, sulla scena, per la protagonista diventano possibili i due finali scritti da Ibsen per Casa di bambola: quello, scandaloso per l’epoca, di Nora che, non potendo più accettare il ruolo di semplice oggetto amoroso di un uomo che per giunta scopre essere più meschino di quanto pensasse, lascia marzo | settembre 2011 Mariangela Melato e Giovanni Crippa marito e figli e va incontro a un futuro senza certezze, e quello di Nora che, invece, è costretta a restare per ricostruire, comunque, un rapporto di coppia e una vita familiare. Ma la libertà dell’essere donna e del gioco del teatro non finisce qui. Sotto la guida di Ronconi, Mariangela interpreta, infatti, anche il doppio ruolo di Nora e dell’amica Kristine che, diversamente da lei, vuole provare a costruire quel nucleo familiare che non ha mai avuto. «Una donna se ne va dalla famiglia, l’altra va alla ricerca di una famiglia, ha bisogno di essere madre. Anche questo è un tratto femminile, non femminista. Kristine, però, vuole avere un ruolo di guida familiare e non di subalternità. Nella mia interpretazione – spiega la Melato – non c’è quasi nessun cambiamento fra una donna e l’altra. Io non so quale preferisco, Nora o Kristine, dipende dalla serata, da quella che mi viene meglio. Sarebbe sbagliato avere preferenze. Quando mi vengono bene mi piacciono entrambe. Ci sono delle differenze velate, che conosciamo bene io e il regista, negli atteggiamenti, nel modo di stare in scena. È una vera prova di spettacolo e questo è anche il nostro stato d’animo: non si vuole dare un’idea di compiutezza. Io, comunque – aggiunge – sono sicura che il pubblico capirà quando sono l’una e quando sono l’altra, ma non è finita né l’una, né l’altra. Questo è uno spettacolo che esige attenzione, come del resto dovrebbe accadere sempre a teatro: anche il pubblico deve lavorare con noi. Quella passività totale a cui ci ha abituato la televisione preferiremmo che non ci fosse, perché si chiede agli spettatori la B a r b a r a M o s e l l i , O r i e t t a N o t a r i , Pa o l o P i e r o b o n , M a r i a n g e l a M e l a t o. S o p ra a s i n i s t ra M a r i a n g e l a M e l a t o capacità di assistere insieme a qualcosa che si sta facendo». Ma se l’essere donna è pieno di sfaccettature e anche di ambiguità, lo spettacolo non tradisce, tuttavia, un desiderio di libertà assoluta espresso in particolare in quel “non so che cosa sarà di me” che Nora pronuncia nel finale in cui si prepara a lasciare marito e figli. «Nora va via senza sicurezze – sottolinea l’attrice – Accetta un rischio e in questo sta il suo massimo coraggio, perché non sa che cosa sarà di lei. Ha una voglia vera di libertà e dell’allegria che solo la libertà vera ti può dare. Questa donna alla fine sarà libera pagando di tasca sua, senza avere dei piani per il suo futuro». Libertà sempre refrattaria, però, alle regole di un “dover essere” comunque inteso dalla società o da parte di essa e che, quindi, nell’altro finale, significa, per Nora, affrontare il rischio di privilegiare le relazioni affettive rispetto alla propria autonomia, mentre per il personaggio di Kristine libertà vuol dire seguire il desiderio di essere compagna di un uomo e madre. Tante facce dell’essere donna, insomma, senza canoni precostituiti, e senza pudori nel mettere in mostra la problematicità e la complessità che comporta la volontà di non tradire se stesse. «Ogni spettatore è libero di interpretare – osserva la Melato – Noi sappiamo a che cosa aspiriamo, che cosa vogliamo far emergere, e siamo consapevoli di avere a che fare con una cosa speciale. Ogni volta che lavoro con Luca c’è una spinta verso l’alto che non è facile trovare di questi tempi». Tempi nei quali, secondo Mariangela Melato, è anche ardito e improprio parlare di una ripresa del movimento femminista che, ai suoi albori, nel XIX secolo, vide proprio nella Nora di Ibsen un’eroina di quelle prime battaglie. «Direi che oggi c’è stato un tentativo di ripresa del movimento delle donne. Mai la figura della donna è stata svilita come in questo momento. Parlerei, quindi, non di femminismo adesso, ma semplicemente di difesa della dignità. Mi sembra più che sufficiente, visto il punto a cui si è arrivati. E la vergogna, se mai, è tutta maschile». a cura di Annamaria Coluccia DALLA SCENA ALLO SCHERMO Il dramma di Henrik Ibsen al cinema e in TV Il cinema dapprima, e poi anche la televisione, si sono più volte confrontati con Casa di bambola di Ibsen portandone sullo schermo (grande e piccolo) diverse interpretazioni, affidate quasi sempre a grandi attrici che avevano interpretato il personaggio di Nora anche sul palcoscenico: dalla russa-americana Alla Nazimova (1) all’italiana Lilla Brignone (2), dalle tedesche Maria Schell (3) e Margit Carstensen (4), all’inglese Claire Bloom (5), sino alle statunitensi Julie Harris (6) e Jane Fonda (7). A Doll’s House (1917) regia di Joseph de Grasse, con Dorothy Phillips, William Stowell, Lon Chaney; A Doll’s House (1918) regia di Maurice Tourneur, con Elsie Ferguson, 1 Holmes Herbert, Alex Shannon; A Doll’s House (1922) regia di Charles Bryant, con Alla Nazimova, Alan Hale, Florence Fisher; Casa de muñecas (1943) regia di Ernesto Aracibia, con Delia Garces, George Rigaud, Maria Arrieta; A Doll’s House (1953) regia di Lawrence Menkin, con Jan Sherwood; Casa de muñecas (Messico, 1953) regia di Alfredo B. Crevenna, con Marga López, Ernesto Alonso, Miguel Torruco; Maison de poupée (Francia, 1954 TV) regia di Claude Loursais, con Jeanne Cerval, Danièle Delorme, Patrick Dewaere; Casa de bonecas (Brasile, 1955) con Jaime Barcellos, Lia de Aguiar, Heitor de Andrade; Nora 2 (Germania, 1955 TV) regia di Hanns Farenburg, con Ewald Balser, Josef Dahmen, Käthe Gold; Ett dockhem (Svezia, 1958 TV) regia di Åke Falck, con Herman Ahlsell, Georg Årlin, Gun Arvidsson; Casa di bambola (Italia, 1958 TV) regia di Vittorio Cottafavi, con Lilla Brignone, Ivo Garrani, Lia Angeleri; A Doll’s House (USA, 1959 TV) regia di George Schaefer con Julie Harris, Christopher Plummer, Hume Cronyn, Eileen Heckart, Jason Robards; Nora (Austria, Aaltonen, Iris-Lilja Lassila, Jaakko Nuotio; Casa di bambola (Italia, 1968 TV) regia di Gian Domenico 4 Giagni, con Giulia Lazzarini, Renato de Carmine, Anna Miserocchi; Ett dockhem (Svezia, 1970 TV) regia di Per Sjöstrand, con Solveig Ternström, Olof Bergström, Ann-Mari Adamsson; Et dukkehjem (Norvegia, 1973) regia di Arild Brinchmann, con Lise Fjeldstad, Knut Risan, Per Theodor Haugen; A Doll’s House (Gran Bretagna, 1973) regia di Patrick Garland, con Claire Bloom, Anthony Hopkins, Ralph Richardson; A Doll’s House (Portogallo, 1973) regia di Joseph Losey, con Jane Fonda, Edward 5 Fox, Trevor Howard; Nora Helmer (Germania, 1974 TV) regia di Rainer Werner Fassbinder, con Margit Carstensen, Joachim Hansen, Barbara Valentin; Et dukkehjem (Danimarca, 1974) TV regia di Palle Kjaerulff-Schmidt, con Hanne Borchsenius, Lily Broberg, Malene Krogh; Casa di bambola (Italia, 1982 TV) regia di Leonardo Cortese, con Micaela Esdra, Giulio Bosetti, Gisella Arden, Roberto Herlitzka; Nóra (Ungheria, 1986 TV) regia di Karoly Esztergalyos, con Lajos Balazsovits, Laszlo Galffi, Istvan Iglodi; Casa di 6 bambola (Italia, 1986 TV) regia di Gianni Serra, con Ottavia Piccolo, Gianni Cavina, Sergio Rubini; A Doll’s House (Gran Bretagna, 1992 TV) regia di David 7 3 1961 TV) regia di Michael Kehlmann, con Elfriede Kuzmany, Paul Dahlke, Horst Tappert; Nora oder Ein Puppenheim (Germania, 1965 TV) regia di Imo Moszkowicz, con Maria Schell, Veit Relin, Hans Holt; Nukkekoti (Finlandia, 1968) regia di Tuija-Maija Niskanen, con Risto Thacker, con Juliet Stevenson, Trevor Eve, Geraldine James; Sara (Francia, 1993) regia di Dariush Mehrjui, con Khosro Shakibai, Niki Karimi, Yasman Malek-Nasr; Et dukkehjem (Danimarca, 2002 TV) regia di Peter Reichhardt, con Trine Appel, Jesper Hyldegaard, Morten Kirkskov; Mabou Mines Dollhouse (Francia, 2009 TV) regia di Lee Breuers, con Elisabeth Girardeau, Eamonn Farrel, Ricardo Gil. TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm 28-03-2011 17:14 Pagina 5 Operetta in nero l 5 Conversazione con Andrea Liberovici, autore e regista dello spettacolo in scena al Duse sino al 3 aprile Mephisto o dell’umanità al tramonto Operetta in nero è un testo che mescola reminescenze classiche (dal Faust di Goethe al Tamerlano di Marlowe) con il “pop song”, la dedica a Edoardo Sanguineti con l’omaggio a Robert Wilson e a Peter Greenaway. Qual è la necessità di fondo che ti ha spinto a scrivere e a realizzare questo spettacolo, che trascorre in modo molto libero dalla prosa alla musica, dal culto del palcoscenico vuoto all’uso più sofisticato del suono, della luce e del video? Credo che Operetta in nero sia uno spettacolo che parla del presente e della opulenta arroganza dell’Occidente. Solo facendo un bel tuffo nel passato, però, io posso capire il presente e cercare di immaginarlo in un grande futuro. In questo modo, Operetta in nero è diventata anche una riflessione su ciò che accade quando la conoscenza è sostituita con la comunicazione. Bolla è il prototipo della contemporaneità, colui che è vissuto immerso nella rete, senza alcuna consapevolezza di sé: è un essere umano privo sia di passato che di futuro, perché vive in un eterno presente. Diversamente da Bolla, il Generale ha invece un grande passato, essendo stato uno degli artefici di quel sistema che ha portato l’umanità all’autodistruzione. Ma ora, proprio per questo, anche il Generale non sa più vedere il futuro e vive un presente infelice: con Bolla condivide l’incapacità di avere relazione con l’altro da sé. Perché il Generale non è più in grado di progettare il futuro? Credo che l’abitudine a stare dentro un presente finto, non reale, inevitabilmente precluda ogni possibilità di immaginare il futuro. Il Generale è depositario di una memoria solo ed esclusivamente manipolatoria, che mitizza una serie di valori astratti, ma è poi incapace di tradursi concretamente nella realtà. Questo fa del Generale la prima vittima del mondo che ha concorso a imporre, trasformandolo nel cadavere di questo stesso modello nel quale volente o nolente tutto l’Occidente si è rispecchiato. Il Generale e Bolla s’imbattono casualmente l’uno nell’altro. Non si sono cercati. Appartengono a due generazioni diverse. Hanno un diverso rapporto con il mondo. Cosa nasce dal loro incontro? Di fatto, sono due personaggi speculari. Il Generale diventa per Bolla il padre che non ha mai avuto, rappresentando per lui l’immagine della autorità. Il Generale ama avere un pubblico che gratifichi il suo narcisismo e lo trova in Bolla, ma poi anche lui è trasformato dalla presenza di questo “fool”. Ed è significativo che il loro incontro avvenga su un palcoscenico popolato di voci, che loro sentono insieme agli spettatori, attribuendole alla loro testa: un palcoscenico che diventa così luogo di raffronto, d’incontro e di scontro, pur restando sempre un posto misterioso e magico, quale potevano intenderlo gli antichi greci. H e l g a D a v i s i n t re m o m e nt i d e l l o s p e t t a co l o «UNA STORIA ALLEGRA TRISTE E SCANZONATA» (...) Dopo essere entrati nel teatro, superata la biglietteria e il guardaroba, quando entrerete nella sala non vi troverete di fronte un palcoscenico chiuso dal suo bravo sipario, ma qualcosa di inaspettato che non vi sto a dire per non sciuparvi la sorpresa. E non sarà che l’inizio di quello a cui state per andare incontro. Se proprio volete saperne di più, se l’impazienza vi rode, posso darvi un piccolo assaggio. Immaginatevi immersi nell’incubo di un sogno interminabile, proiettati in un futuro catastrofico, sopravvissuti a disastri ecologici, guerre di sterminio, pestilenze devastanti. Immaginatevi vagare tra metropoli in rovina, incontrare bizzarri personaggi che rievocano il vostro passato, la vostra storia, le vostre colpe che hanno condotto il mondo alla rovina, i vostri egoismi e i vostri cinismi che hanno permesso la distruzione del pianeta, la vostra indifferenza irresponsabile che ha portato alla fine la nostra umanità. Se tante accuse vi sembrano esagerate, improbabili e ingiuste, se vi sentite piuttosto vittime inconsapevoli di un destino malvagio, se non volete saperne niente perché non potete proprio farci niente, l’unica soluzione sarebbe che vi alziate e ve ne andiate, sopportando le maledizioni degli spettatori della vostra fila ineducatamente disturbati. Sarete usciti così da un incubo penoso, che non vi appartiene e con cui vigliaccamente non volete avere niente da spartire. Se invece scegliete di non chiudere gli occhi, le orecchie e la mente agli squarci sul futuro che vi si aprono davanti, ma volete mettervi in gioco, poter dire la vostra, contare qualcosa, allora stringete i denti, aggrottate la fronte e meditate sul vostro squallido presente, sulle vostre inutili giornate aggrappate a schermi, antenne, parabole, telefonini, a voci, suoni e immagini che vi attraversano e vi appassiscono, culi e massacri, merci e canzonette, stupri e tiri in porta. (...) Se sentite che intorno a voi si mormora, si ride, si commenta non vi allarmate. Questa Operetta in nero non è funerea, mortifera, penitenziale. È una storia allegra, triste e scanzonata, con canzoni dolci e crudeli che vi prende per mano e vi insegna a non fidarvi di tutte le menzogne che vi assediano, che vi mostra dove potete cadere e come dovete rialzarvi. Che vi spaventa e vi diverte, che tornerà nei vostri sogni, perché il teatro è la vita più profonda. Se quando uscirete da teatro ancora un po’ pensosi vedrete in fondo alla piazza un uomo corpulento senza scarpe correre dietro a un ragazzo magro in calzoncini corti, non spaventatevi. Non siete ripiombati nella storia cui avete appena assistito, adesso quella storia è in voi, ve la porterete dentro anche quando sarete tornati ai vostri stupidi schermi, antenne, parabole, telefonini, per ricordarvi che il pericolo è sempre in agguato, ma che voi ormai potete conoscerlo e non esserne travolti. Nanni Balestrini In che modo il Generale è trasformato dall’incontro con Bolla? Costretto a prendere coscienza della propria solitudine, il Generale inizia a riflettere sul senso della sua vita e, per la prima volta, si confronta con l’altro da sé, acquista consapevolezza di non avere vie d’uscita. Questo accade soprattutto dopo che il fallimento del suicidio di Bolla lo costringe a entrare in ascolto, a rendersi conto che Bolla è l’ultimo appiglio al di là del quale c’è solo la solitudine assoluta. Da questo momento i due iniziano a trattarsi reciprocamente come persona. E il ruolo di Mephisto in abito talare? Con Shadow/Mephisto siamo in un tempo indeterminato. Formalmente il personaggio canta delle canzoni pop, ma attraverso queste io intendo anche rendere omaggio (più o meno evidente) alla mia “sacra triade”, ovvero (nell’ordine gerarchico che attribuisco loro per la mia formazione) a Kurt Weill, Erwin Piscator e Bertolt Brecht. Mephisto è l’ombra (“shadow”) dei due altri personaggi, li commenta, li racconta, li sintetizza in canzoni, dove in tre parole si deve saper dare il senso del tutto. Mephisto è destinato a sparire solo nel momento in cui il Generale e Bolla trovano finalmente una relazione; come a dire che quando c’è il dialogo, qualunque esso sia, non ci può essere l’ombra, il lato oscuro dell’esistenza. Mephisto è la cultura odierna. Con ironia e perfidia racconta il presente che sarà e ne canta la tragedia con leggerezza e comicità. Come nella variazioni musicali, ogni scena ha un tema (il denaro, l’amore, la guerra, la tecnologia, ecc.) e Mephisto riassume con una canzone dei nostri tempi la causa che ha fatto arrivare gli uomini e il mondo a quei tempi. Perché Mephisto canta in inglese? Mephisto parla la lingua dell’impero e usa una forma musicale, il “pop song”, che è la colonna sonora della nostra vita attuale. Lo fa indossando l’abito talare, perché rappresenta la religione del nostro tempo. Qual è stato il ruolo di Luca Ragagnin nella stesura del testo? Luca si è inserito dentro a un’idea già molta costruita, ma è stato importantissimo nel dare forma definitiva alla scrittura. Io sono un teatrante, non sono uno scrittore. Quindi lui è stato un’ottima levatrice. Mi ha aiutato a togliere e a sintetizzare, a mettere a fuoco la produzione del senso. In Operetta in nero, qual è sinteticamente questo senso ? Credo che stia già tutto nel verso che Goethe mette in bocca a Mephisto: «Sono una parte della forza che vuole sempre il Male e produce sempre il Bene». Malgrado la stupidità degli esseri umani, infatti, la natura vince sempre e rigenera i disastri che questi fanno. Noi cerchiamo di dominare la natura, ma alla fine è sempre lei che ci domina. a cura di Aldo Viganò Hanno detto di “Operetta” Non inganni il titolo, Operetta, come nell’”Allegretto” della Settima Sinfonia di Beethoven, la laggerezza c’è ma è in apparenza, il tema è estremamente profondo. Come è nel suo stile, Liberovici costruisce l’architettura musicale mettendo insieme elementi sonori di varia natura: registrazioni acustiche (il solido violoncello di Jeffrey Ziegler), suoni elettronici e, dal vivo, la splendida voce di Helga Davis che interpreta le canzoni offrendo un magnifico saggio di bravura. (...) La Davis canta in inglese (con i sovratitoli) e in inglese la voce recitante (Robert Wilson) introduce le singole scene. I due attori, Federico Vanni e Vito Saccinto, dialogano in italiano e colgono con bravura il senso di un testo non facile, sospeso, disseminato in scene senza tempo, squarci di dialoghi fra passato e presente, con un finale atto di fiducia nell’uomo: “L’unica ideologia possibile era l’essere umano”. Roberto Iovino, LA REPUBBLICA, 19 MARZO 2011 Su una scena dominata dai relitti simbolici dell’apparire, due riflettori reliquie disastrate del consumismo e due uomini: un generale che ricorda il Tamerlano di Christopher Marlowe o il Goebbels, ministro della propaganda del terzo Reich, e un ragazzino che ha creduto troppo nelle magnifiche sorti e progressive dalla tecnologia. Sono gli unici sopravvissuti a un disastro che ha cancellato dal mondo ogni traccia di civiltà. Si confrontano con la loro cattiva coscienza, con il diavolo in abito talare che portano dentro di sé, una Helga Davis che non a caso si è formata con Bob Wilson e Peter Greenaway, una voce che sa di miele avvelenato con note maschili da basso e limpidezze da soprano. I suoi otto song non sono la colonna sonora di effetti speciali, per i quali a Liberovici non è mai mancato il talento, ma affluenti che zampillano con un ritmo proprio in un fiume di parole. Silvana Zanovello, IL SECOLO XIX, 18 MARZO 2011 Un’operetta macabra e grottesca, iconoclasta e poetica, che richiama una simbologia mitica e pesca da Marlowe e da Goethe (visivamente riportandoci a The Black Rider di Tom Waits), fruga dentro e intorno al doppio Faust/Mephisto, sviscera i contorni del Bene e del Male, rimesta nell’intimo dell’umano. (Ma va in scena anche) la storia di due superstiti, esponenti diversissimi dell’exgenere umano, beni di consumo accatastati insieme ad altre macerie in un mondo distopico molto vicino a quello orwelliano, ma non distante neanche da quello di Huxley. Laura Santini, MENTELOCALE, 16 MARZO 2011 Infine, il discorso si sposta dal piano politico a quello esistenziale: non conta più il passato, né esiste un futuro, ma solo il presente. Unico rifugio resta il palcoscenico, antica culla del sapere, unico maestro per gli incolti. Clara Rubbi, IL CORRIERE MERCANTILE, 17 MARZO 2011 Ho visto una’opera allegra questa sera, perché mi ha insegnato a sentire le voci delle ombre e mi ha portato una nuova candela da accendere per quel futuro. Operetta in nero è un antidoto alle ombre. Luciana Lanzarotti, TEATRO.ORG, 16 marzo 2011 Queste otto canzoni sono un vero capolavoro, in cui esce fuori tutta la preparazione musicale del regista che ancora una volta porta in scena il suo particolare modo di intendere il teatro. Un ensemble di musica, prosa e videoproiezioni, in cui non c’è predominanza di una forma d’arte sull’altra e in cui tutto s’amalgama nel migliore dei modi per donare al pubblico un risultato di gusto che indubbiamente affascina. Francesca Camponero, IL GIORNALE, 22 marzo 2011 marzo | settembre 2011 TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm 28-03-2011 17:15 Pagina 6 6l Rassegna di drammaturgia contemporanea In scena alla Piccola Corte tre testi inediti di autori europei Storie inquiete dalle nuove generazioni P r o d o t t a d a l Te a t r o S t a b i l e d i G e n o v a , l a R a s s e g n a d i D r a m m a t u r g i a C o n t e m p o r a n e a g i u n g e q u e s t ’a n n o a l l a X V I e d i z i o n e e r i b a d i s c e i l t r a d i z i o n a l e i n t e resse dello Stabile per i nuovi autori della scena internazionale. Ideata nel 1996 da Carlo Repetti, la Rassegna ha già sperimentato cinquanta nuovi testi, numerosi dei quali sono poi diventati dei veri e propri spettacoli di produzione. Realizzata con la collaborazione degli istituti di cultura stranieri oper a n t i i n L i g u r i a , l a R a s s e g n a p r o p o n e q u e s t ’a n n o s u l p a l c o s c e n i c o d e l l a P i c c o l a C o r t e t r e n u ov i t e s t i ( p r ove n i e n t i d a R o m a n i a , S v i z ze r a e G r a n B r e t a g n a ) . C i a s c u n o s p e t t a c o l o s a r à r a p p r e s e n t a t o a G e n o v a p e r c i n q u e r e p l i c h e c o n s e c u t i v e , d a m a r t e d ì a s a b a t o ( o r e 2 0 . 3 0 ) . I n g r e s s o l i b e r o s i n o a l l ’e s a u r i m e n t o d e i p o s t i . SVIZZERA ROMANIA / FRANCIA GRAN BRETAGNA PICCOLA CORTE PICCOLA CORTE PICCOLA CORTE da martedì 24 a sabato 28 maggio (ore 20.30) da martedì 31 maggio a sabato 4 giugno (ore 20.30) da martedì 7 a sabato 11 giugno (ore 20.30) Sempre insieme Persone predilette Motor Town (Toujours ensemble) (Lieblingsmenschen) (Motortown) di Anca Visdei di Laura de Weck di Simon Stephens versione italiana di Mariella Fenoglio e Roberto Della Casa versione italiana di Luca Viganò versione italiana di Giuliana Manganelli regia di Matteo Alfonso regia di Mario Jorio regia di Antonio Zavatteri con Barbara Alesse e Irene Villa con Antonietta Bello, Alessandra Caviglia, Lucio De Francesco con Pierluigi Pasino, Alex Sassatelli, Antonio Zavatteri, Agnese Ascioti Fausto Morciano, Sarah Pesca Caterina Fornaciai, Flavio Furno, Melania Genna, Luca Terracciano Due sorelle nella Romania di Ceausescu. Una aspira a diventare scrittrice e l’altra attrice. La maggiore, Alexandra, si compromette con l’opposizione al regime e le due sorelle decidono insieme che le conviene andare all’estero. Da questo momento il racconto procede in forma epistolare, con le due ragazze che si raccontano (qualche volta con reticenza) le reciproche esperienze. La solitudine, la fame, la ricerca di un lavoro. In Svizzera, Alexandra riesce infine a realizzarsi come scrittrice, mentre a Bucarest, Ioanna ottiene qualche successo sul palcoscenico solo grazie alla protezione di un funzionario di partito, che già corteggiava Alexandra. Alexandra ringiovanisce mentre Ioanna invecchia. Così si ritrovano nel dicembre 1989, quando (caduto Ceausescu), Alexandra torna a Bucarest con il figlio. Rapporti di coppia e di amicizia tra studenti universitari. L’autrice racconta la propria generazione, mescolando in modo personale scene dialogate, monologhi e mar tellanti scambi di sms e individuando così nel linguaggio la via principale per raccontare la confusione esistenziale dei giovani di oggi. Lieblingsmenschen (letteralmente Persone predilette) porta in primo piano il personaggio di Lili, studentessa di psicologia che vorrebbe essere sedotta dal riluttante Darius, ex della sua migliore amica Jule; ma nell’intrecciarsi delle relazioni umane entrano in gioco anche lo “sfigato” Sven e la speranzosa Anna, fidanzata con il sempre assente Philips. Quest’ultimo è uno studente di medicina, di cui tutti parlano, ma che non si vede mai. Forse rappresenta la stabilità e la saggezza di cui tutti sono invano alla ricerca, ma... «Questa è una commedia sull’Inghilterra in guerra» ha detto l’inglese Simon Stephens, specificando poi di aver scritto Motor Town («una commedia sulle conseguenze della guerra al terrorismo e quindi anche sulla guerra in Iraq») di getto nel 2005, a Londra, nelle ore che vanno dall’euforia per l’assegnazione delle Olimpiadi all’Inghilterra alla tragedia collettiva per le bombe terroriste nella metropolitana. Reduce da Bassora, il protagonista Denny non si riconosce più nell’Inghilterra in cui fa ritorno. E a nulla servono gli incontri con le donne della sua vita, con il fratello e con gli amici di una volta. Ormai non gli resta che la strada, dove combatterà un’altra, più personale battaglia. Motor Town è un testo costruito per “stazioni”, in cui domina un crescente disagio esistenziale destinato a esplodere in scena con sempre più violenza, spinta sino al limite dell’omicidio. Nata a Bucarest, Anca Visdei ha scritto la sua prima commedia a quattordici anni e a diciannove ha pubblicato il suo primo libro e ha vista messa in scena una sua pièce. Dopo aver studiato regia all’Istituto di Teatro e Cinema di Bucarest, si trasferisce come rifugiata politica in Svizzera, dove diventa assistente alla cattedra di diritto internazionale presso l’Università di Losanna. Oggi vive a Parigi, dove si occupa soprattutto di teatro. Ha scritto e messo in scena una trentina di commedie. Ha inoltre pubblicato alcuni racconti per ragazzi e ha lavorato per il cinema e per la televisione. Giornalista, insegna arte drammatica e dirige due festival di cinema documentario. Laura de Weck è nata a Zurigo nel 1981 e ha lavorato anche ad Amburgo e a Parigi, dove le sue opere sono state già rappresentate. Ha studiato teatro allo Zurich College di Musica e Drammaturgia, dove ha scritto le sue prime commedie. Nel 2005, prende parte al Frankfurt Playwrights Forum e partecipa a workshops di drammaturgia a Wolfenbüttel, Mannheim e Vienna con la commedia Lieblingsmenschen, che è stata messa in scena per la prima volta a Basilea nel marzo 2007. In seguito, ha scritto SumSum, presentata al Munich Kammerspiele. Dalla stagione 2007/08, Laura de Weck è stata scritturata come attrice al Junges Schauspielhaus d’Amburgo. Nato nel 1971, Simon Stephens si è laureato all’università di York e dal 2005 lavora nel dipartimento di letteratura teatrale del Royal Court Theatre di Londra. Nel corso degli anni ha scritto numerose commedie, quasi tutte rappresentate sui palcoscenici inglesi e alcune premiate al Festival di Edimburgo (Pornography, 2007) o segnalate come migliore commedia dell’anno (Punk Rock, 2009). Tra le sue numerose opere teatrali si possono ricordare anche Bluebird (1998), On the Shore of the Wide World (2005), Harper Regan (2007) e Marine Parade, The Trial of Ubu, T5 (tutte del 2010). Per la radio ha scritto Five Letters Home to Elisabeth e Digging. ...e allora cambia! www.amorchio.it Stufo dei vecchi sistemi? Il nuovo modo di fare informazione Quotidiano ON-LINE di cultura e tempo libero in Liguria marzo | settembre 2011 TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm 28-03-2011 17:15 Pagina 7 l 7 Quando Berlino sognava la Provenza Una stagione di “Hellzapoppin” nel Foyer del Teatro della Corte Margarete in Aix, commedia sui risvolti grotteschi della politica, è il testo scelto per il saggio di fine anno della Scuola di Recitazione dello Stabile, in scena al Duse a settembre. L’autore Peter Hacks era amico e collaboratore di Bertolt Brecht Il saggio scelto quest’anno dalla Scuola di Recitazione sarà Margarete in Aix di Peter Hacks. Andata in scena per la prima volta nel 1969 in Svizzera (a Basilea), quest’opera era stata scritta nel 1966 da un drammaturgo, poeta e saggista di primo piano apparso sulla scena tedesca nella seconda metà del Novecento e che pure, quando morì a Berlino nel 2003, era quasi dimenticato. E siccome era stato vittima di un ostracismo dovuto a prese di posizione ideologiche, vale la pena ripercorrere – se non altro succintamente – la sua vita. Nato nel 1928 in terra polacca, ma allora tedesca, a Breslavia (oggi Wroclaw), Peter Hacks studiò a Monaco dove nel 1951 si laureò con una tesi dal titolo Il teatro Biedermeier. Nel 1955, la grande svolta: lasciò la Germania Ovest per trasferirsi a Berlino Est dove al Berliner Ensemble, c’era Brecht. In quel mitico teatro Hacks venne presto scritturato come collaboratore nella sezione di drammaturgia. Ma dopo qualche anno perse l’incarico. Appartenente “all’esiguo partito degli incorruttibili” (secondo un’azzeccata definizione), lui marxista pagò con l’isolamento le proprie tenaci convinzioni politiche refrattarie a cedimenti o compromessi. Così, in una Germania ancora divisa, Hacks si trovò a essere guardato con diffidenza sia a Est che a Ovest e questa pregiudiziale si prolungò nel tempo. Eppure questo scrittore scomodo ha dato molto al teatro. In tutta la sua ricca produzione (una cinquantina di opere), la concretezza dello sguardo, la musicalità dello stile, la vena umoristica, la sperimentazione dell’assurdo si espandono con la libertà dell’artista senza restare in nulla atrofizzate da una qualsiasi partigianeria. È una dote che gli viene riconosciuta sempre e ovunque, se solo si lascia che siano semplicemente le sue commedie a parlare. Legato a Brecht da una forte consonanza d’idee e di poetica, ma tutt’altro che suo pedissequo seguace, Hacks ne echeggia il gusto per la favola popolare intesa come parabola didattica, tanto da scrivere racconti e commedie destinate a un pubblico infantile. Ma anche la grande storia è una favola ed ecco l’interesse di Hacks per episodi del passato (le Indie di Cristoforo Colombo, il Sacro Romano Impero di Ottone I, la Prussia di Federico II); finché a un certo punto gli viene innanzi Shakespeare con le sue Histories. Nasce Margarete in Aix. Questa Margherita è storicamente lo stesso personaggio che domina la trilogia dell’Enrico VI e riappare poi, indimenticabile accusatrice, nel Riccardo III; in questa pièce la vediamo, regina spodestata d’Inghilterra, esule in Provenza - ad Aix, appunto - e in un anno preciso, cioè il 1477, quando la Borgogna è oggetto di due opposti interessi: da un lato, la richiesta di alleanza da parte di Margherita che in quanto vedova Lancaster vorrebbe tornare sul trono inglese e battere l’odiato York, dall’altro, le mire di conquista territoriale da parte del re di Francia Luigi XI. Si tratta di un momento cruciale in cui la guerra inglese delle Due Rose s’intreccia con la formazione di un grande stato unitario francese. A Aix, Margherita si è rifugiata presso la reggia del padre. Qui essa passa come un fantasma ossessionato dalla vendetta fra gli svaghi di una corte allietata dai trovatori. In una terra, la Provenza, “dove le canzoni fioriscono come giardini e i giardini come canzoni”, il padre, conosciuto come il “buon re Renato” protegge il teatro e la poesia. Su questo spunto offertogli dai documenti storici, il drammaturgo costruisce lo scontro fra due temperamenti e due modi di guardare alla vita, tocca la dialettica fra arte e vita e nello stesso tempo crea un mondo variegato dove il dramma politico si mescola alla pochade, l’amor cortese alla buffoneria. Questo che si presenta come un dramma storico, l’autore può dunque ben definirlo “commedia”, anzi – nelle parole del Prologo pronunciate significativamente dal Re di Francia, sotterraneo motore di tutta la trama – “una farsa”. Su tutto aleggia uno spirito divertito e dissacrante perché l’imbecillità umana – sembra voglia dirci Hacks – ha risvolti grotteschi e le manovre della politica assomigliano a una tragica farsa. C’è molta amarezza in questa considerazione, ma chi può dargli torto? Questa Margarete in Aix non risulta abbia avuto molte rappresentazioni in patria; nel 1973 Benno Besson la mise in scena al Volksbühne di Berlino e nel 1976 ne è stata fatta in Germania un’edizione televisiva. È praticamente sconosciuta nel resto del mondo. Questa è la prima traduzione italiana. Si cimentano nella recita tutti gli allievi del 1° Corso di Qualificazione Professionale alla loro prima prova di palcoscenico; come è ormai simpatica consuetudine, è prevista la partecipazione di exallievi già diplomati. Messo in prova al termine dell’anno scolastico, che ha potuto avere inizio solo a gennaio, il saggio dedicato a Margarete in Aix andrà in scena al Duse a settembre, in data ancora da definire. Anna Laura Messeri L’incontro con Vittorio Franceschi (mercoledì 13 aprile, ore 17,30) e le letture dedicate a Nelly Bly e al suo giro del mondo in 72 giorni (venerdì 15 aprile, ore 17) concludono gli appuntamenti stagionali con Hellzapoppin - Arte e artisti nel foyer della Corte. Nel corso dell’anno un pubblico sempre molto numeroso ha potuto assistere a 12 conversazioni con i protagonisti, organizzate in collaborazione con l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e condotte da Umberto Basevi, il quale ha fatto parlare dei loro spettacoli e della loro carriera Eros Pagni, Gian Piero Alloisio e Giuseppe Cederna, Franco Branciaroli, Paolo Bonacelli con Patrizia Milani e Carlo Simoni, Andrea Jonasson e le altre interpreti di Donna rosita nubile, Massimo Popolizio, Carlo Giuffré, Marco Sciaccaluga e gli attori di Il ritorno a casa, Luca De Filippo, Marco Paolini, Andrea Liberovici e gli attori di Operetta in nero. Gli spettatori dello Stabile hanno poi potuto seguire le letture dedicate ai Racconti di donne audaci (Dora d’Istria, Henriette D’Angeville, Sophie Blanchard e Nelly Bly) dall’Associazione culturale “L’incantevole aprile” e apprezzare le cinque conferenze corredate d’immagini che la Fondazione Mario Novaro ha dedicato quest’anno alla Riviste letterarie liguri con interventi di Andrea Aveto, Simona Morando, Stefano Giordanelli, Massimo Bacigalupo e Diego Divano. Sempre nel foyer della Corte ci sono stati anche la lettura di Passi affrettati di Dacia Maraini e il Recital di Laura Curino, organizzati in collaborazione con il Festival dell’Eccellenza al Femminile 2010; la Fondazione Paolo Grassi ha proposto la rievocazione storica di una parte della corrispondenza tra i direttori del Piccolo di Milano e dello Stabile di Genova; mentre la Coop Liguria ha dedicato a Pino Caruso (protagonista di Il berretto a sonagli) il suo incontro annuale con un attore di primo piano del cartellone di ospitalità dello Stabile genovese. Datasiel al servizio del Sistema Liguria Soluzioni informatiche innovative per il cittadino. collegati al territorio [Datasiel e Regione Liguria] collegati al futuro www.datasiel.net marzo | settembre 2011 TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm 28-03-2011 17:15 Pagina 8 8l spettacoli ospiti Quanto Costa di Enzo Costa Duse, 4 aprile con Carla Peirolero, Enrico Campanati, Roberta e Gian Piero Alloisio Fuori programma - ingresso libero “Pensieri, parole, sogni e incubi di un umorista umorale” è il sottotitolo della serata a ingresso libero dedicata ad Enzo Costa, autore (non solo) satirico, già firma di Tango e Cuore, oggi collaboratore di la Repubblica e L’Unità. Una sorta di diario pubblico con licenza di far ridere che riflette e (s)ragiona su fatti e misfatti italici e mondiali, senza fare sconti a nessuno (o quasi). Aforismi, invettive, rime recitate, monologhi, deliri, descrizioni surreali e racconti realistici, fiabe per adulti e filosofie infantili, articoli editi, inediti e “lanternini” (la rubrica quotidiana firmata ogni giorno da Costa sulla prima pagina di la Repubblica - Il Lavoro). Previste incursioni e omaggi all’autore da parte di alcuni ospiti. Forse l’opera che meglio sa raccontare l’Europa della seconda metà del Novecento. Un classico contemporaneo, che con un dialogo brillante, arguto, a tratti persino comico rappresenta il mondo dopo la catastrofe. Ritratto di famiglia in un interno. C’è Hamm, patriarca pressoché inerme e cieco; e c’è Clov, che, un po’ servitore e un po’ figlio adottivo, si occupa di lui da quando è bambino. Ma da due bidoni della spazzatura emergono ogni tanto anche i genitori di Hamm, per i quali non c’è nulla di più comico dell’infelicità umana. Tutti attendono il “finale di partita”, vivendo esistenze dominate da rituali che evocano il simulacro della vita. Con Vittorio Franceschi. Mauro garibaldino per caso di Gian Carlo Ragni Duse, 18 – 19 – 20 aprile regia di Gian Carlo Ragni Fuori abbonamento dal 4 aprile al 22 maggio 2011 sformazione. Tra gli interpreti, Eugenio Allegri, Natalino Balasso e Jurij Ferrini. si sono diffuse, garantendo la sopravvivenza stessa della musica indipendente degli Stati Uniti. Una storia avventurosa e per molti versi sorprendente: un divertente viaggio al ritmo della chitarra acustica e degli strumenti che meglio l’accompagnano. Madri clandestine di Emilia Marasco Duse, 11 – 15 maggio regia di Antonio Zavatteri Honour di Joanna Murray-Smith Duse, 27 aprile – 1 maggio regia di Franco Però Cosa succede quando un confortevole matrimonio borghese all’improvviso si frantuma? Quando valori e responsabilità individuali non possono più convivere? Quando si presenta la possibilità di rinnovare la propria vita, ma a spese della felicità e della sicurezza di qualcun altro? E qual è l’impatto di tutto ciò sulla famiglia? Uno spettacolo di narrazione e musica costruito dalla Compagnia del Suq intorno al tema della maternità. Maternità clandestina o negata. Maternità offesa. Maternità come speranza di un futuro diverso. Basta un gesto, perché la protagonista Nunzia (Carla Peirolero) diventi il personaggio di cui volta a volta racconta: Danya, la donna che nonostante il regolare permesso di soggiorno non Nemico di classe di Nigel Williams Duse, 5 – 10 aprile regia di Massimo Chiesa Un celebre testo generazionale che, riproposto a distanza di quasi trent’anni, rivela sul palcoscenico tutta la sua contemporaneità. Sei ragazzi chiusi nell’aula di una scuola di periferia. Non sono eroi, ma i rappresentanti di una generazione senza futuro. Sono abbandonati, sono isolati dal mondo, sono soli, in attesa dell’arrivo di qualcuno che li possa salvare e introdurre nella vita. In questo senso, quei ragazzi hanno qualcosa in comune con i protagonisti di Aspettando Godot. Ma la loro emarginazione è anche il risultato di una scelta esistenziale. Uno spettacolo giovanile, coinvolgente, emozionante, poetico e violento. Finale di partita di Samuel Beckett Duse, 12 – 17 aprile regia di Massimo Castri In attesa di imbarcarsi per l’America, dove spera di trovare quella fortuna che non ha mai avuto nell’Italia da poco diventata nazione, Mauro attacca discorso con un gruppo di musicisti, ai quali inizia a raccontare le sue avventure (vere o inventate) di garibaldino reclutato per caso da Nino Bixio. Tra fandonie da osteria, racconti fantasiosi e tanta musica, un modo divertito e divertente per ripercorrere alcuni momenti della storia di un’Italia che festeggia il centocinquantesimo anniversario della sua unità. Un concerto di parole e di musica che parla di Garibaldi (tra le donne e gli ozi di Caprera) ed evoca la spedizione dei Mille. Con Mauro Pirovano protagonista. Lui, George, è un famoso giornalista e un influente critico letterario; sua moglie, Honour, è stata una scrittrice di successo, ma ha scelto di vivere all’ombra del marito. La coppia ha una figlia, Sophie, studentessa universitaria. L’intrusa è una giovane rampante, Claudia, incaricata d’intervistare l’intellettuale famoso. Il tema classico del triangolo amoroso rivisitato con fresca improntitudine. Con Paola Pitagora e Roberto Alpi. può ricongiungersi con la figlia; Lin, orgogliosa della sua pancia e fragile come un albero di pesco; Anna, alla ricerca di una figlia adottiva; la mamma di Fatma, Zora, che ha i piedi più belli di tutto il Magreb. E, intorno a loro, un trionfo di musica, danze, canti e colori. Tutto è bene quel che finisce bene di William Shakespeare Duse, 17 – 22 maggio regia di Daniela Ardini Acoustic Night 11 di Beppe Gambetta Corte, 5 – 6 – 7 maggio regia di Beppe Gambetta e Federica Calvino Prina (segue da pagina 1) «(...) Non dimentichiamo che “il teatro in tutte le sue forme e con la sua lunga e ricchissima storia” è parte integrante della cultura europea, e “già alla sua origine, in Attica” esso era “la manifestazione pubblica più convincente e splendida del nostro modello di società democratica”. (...) Il discorso sullo spettacolo come mondo espressivo e come attività economica, come industria - richiede un’attenzione specifica, per le gravi difficoltà che sta attraversando, per l’incertezza che pesa sul suo futuro. (...) Non c’è dubbio che al di là di ciò si imponga una riflessione di fondo e di prospettiva. Ed essa deve comprendere l’insieme del capitolo cultura e quindi delle risorse pubbliche e private da destinarvi: spettacolo, comprese le istituzioni, anch’esse sofferenti, dell’opera lirica e della musica sinfonica, e musei, siti archeologici, palazzi storici, centri urbani e luoghi paesaggistici da preservare nella loro unicità, il patrimonio straordinario, insomma, che abbiamo ereditato e che abbiamo il dovere di preservare e valorizzare. Quale spazio, quale grado di priorità merita tutto questo, la risorsa cultura, nella legislazione e nel bilancio dello Stato e delle Regioni, nelle cure delle istituzioni nazionali e locali, nelle scelte di investimento e nelle donazioni dei privati? (...) Abbiamo da fare i conti con una riduzione, cui non possiamo sfuggire, del nostro debito pubblico, nell’interesse, soprattutto, delle nuove generazioni, sulle cui spalle non abbiamo il diritto di scaricare un simile peso. Ciò ci impone di ripensare molte cose, in Italia e in Europa, anche per come siamo cresciuti finora, spesso al di sopra delle nostre possibilità nei paesi ricchi - ricchi nel contesto mondiale, per quanto segnati al loro interno da squilibri e iniquità. (...) Queste sono le prove, queste sono le sfide attraverso cui passerà il futuro dell’Italia, e che richiedono revisioni rigorose nella spesa pubblica. Dobbiamo discuterne seriamente e trovare nuove vie per il nostro sviluppo economico e sociale. Ma è con serietà e convinzione che mi sento di dire: queste vie non le troveremo attraverso una mortificazione della risorsa di cui l’Italia è più ricca: la risorsa cultura, nella sua accezione unitaria. Adoperiamoci perché di ciò si convincano tutti e perché se ne traggano le conseguenze. Questo deve essere il nostro solidale impegno». E questo deve essere il nostro costante lavoro, la nostra lotta quotidiana. Rusteghi da Carlo Goldoni Corte, 26 aprile – 1 maggio regia di Gabriele Vacis «Una commedia che parla ancora al nostro tempo, all’intolleranza travestita da moralismo, alla difficoltà di mettersi in relazione, alla mancanza di comunicazione di un’epoca che proprio della comunicazione fa il proprio vessillo». Così il regista Gabriele Vacis sintetizza il senso del suo spettacolo tratto da I rusteghi di Goldoni. Una libera, ma rispettosa, rilettura tutta al maschile di un classico della maturità del commediografo veneziano, sempre più tormentato dal disinganno di una realtà storica in profonda e radicale tra- Girata la boa del “Decennale”, Beppe Gambetta porta sul palcoscenico della Corte una nuova Acoustic Night n° 11, circondandosi di numerosi artisti ospiti per raccontare la Radio (più precisamente la Radio d’America, come puntualizza il sottotitolo) come mezzo di comunicazione profondamente radicato nella storia della musica americana: motore attraverso cui le grandi musiche sono nate e Una commedia ricca di brio e di eventi fantasiosi. Una “dark comedy” che si colora con impronta picaresca, trovando la sua più autentica vena comica nel personaggio del ribaldo Parolles (nel quale è certo presente il ricordo di Falstaff) e attingendo alla freschezza del gioco giovanile attraverso l’abile stratagemma con cui Elena riesce a risolvere il paradosso impostole dal riottoso marito (aspettare un figlio da chi non la vuole e portare al dito l’anello dal quale l’amato mai si separa), grazie soprattutto alla complicità della bella Diana, figlia di una locandiera fiorentina. Quando Shakespeare rilegge a modo suo Boccaccio. Ministero Beni e Attività Culturali soci fondatori COMUNE DI GENOVA PROVINCIA DI GENOVA REGIONE LIGURIA sostenitore partner della stagione sostenitore numero 33 • marzo | settembre 2011 Edizioni Teatro Stabile di Genova piazza Borgo Pila, 42 | 16129 Genova www. teatrostabilegenova.it Presidente Prof. Eugenio Pallestrini Direttore Carlo Repetti, condirettore Marco Sciaccaluga Direttore responsabile Aldo Viganò Collaborazione Annamaria Coluccia Segretaria di redazione Monica Speziotto Autorizzazione del Tribunale di Genova n° 34 del 17/11/2000 Progetto grafico: art: Bruna Arena, Genova (06811) Stampa: Microart’s Genova a Palazzo Ducale L’invenzione della guerra Quattro giorni di dialoghi con la storia a Palazzo Ducale dal 14 al 17 aprile 2011. ...Cosa cambia con la guerra? Quali cambiamenti sociali essa provoca? Può portare al progresso? Quali le motivazioni? Cambia la geografia, alcuni popoli scompaiono, quali trasformazioni hanno luogo a causa di una guerra? E il progresso tecnologico? I bambini soldato? Tra i partecipanti: Marco Aime, Alessandro Barbero, David Bidussa, Joanna Bourke, Anna Bravo, Lucio Caracciolo, Vincenzo Cerami, Annping Chin, Angelo Del Boca, Giovanni De Luna, Marco Deriu, Richard J. Evans, Marcello Flores, Antonio Gibelli, Mario Giro, Paul Jankowski, Nicola Labanca, Lauro Martines, David Meghnagi, Gabriele Ranzato, Ennio Remondino, Francesco Remotti, David Riondino, Donald Sassoon, Barbara Schiavulli, Jonathan Spence, Gian Antonio Stella, Françoise Thébaut, Tzvetan Todorov. marzo | settembre 2011