n° 33 Marzo Settembre 2011

Transcript

n° 33 Marzo Settembre 2011
28-03-2011
17:14
Pagina 1
Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.A. -Spedizione in Abbonamento Postale
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1, DCB Genova
TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm
ANNO XI | NUMERO 33 | MARZO | SET TEMBRE 2011
2
3
4
5
6
Nora alla prova
George Bernard Shaw
Lettere di Ibsen
Nora alla prova
Intervista a Ronconi
Doppio finale
Nora alla prova
Due donne per la Melato
Nora e le sue interpreti
Operetta in nero
Intervista a Liberovici
Nanni Balestrini
Rassegna alla Piccola Corte Saggio della Scuola
Drammaturgia contemporanea Inedito di Peter Hacks
Hellzapoppin
Tre novità europee
7
8
Spettacoli ospiti
al Teatro della Corte
e al Teatro Duse
Mariangela Melato protagonista di Nora alla prova che Luca Ronconi ha tratto da Casa di bambola di Henrik I b s e n
RELAZIONI FELICI ‘‘ALLA PROVA’’
UNA VITTORIA DI TUTTI
DAL 29 MARZO IN SCENA ALLA CORTE LO SPETTACOLO PRODOTTO DALLO STABILE
Va in scena martedì 29 marzo al
Teatro della Corte (repliche sino a
giovedì 21 aprile) la prima nazionale di Nora alla prova da Casa di bambola di Henrik Ibsen.
Nello spettacolo-evento prodotto
dal Teatro Stabile di Genova e firmato da Luca Ronconi, Mariangela
Melato è Nora, ma è anche Kristine, l’amica d’infanzia che la moglie-bambina elegge a sua confidente, trovando nell’insieme di
questi due personaggi la completezza di un carattere femminile
“moderno”. Madre di tre figli piccoli, Nora è sposata da otto anni
con l’avvocato Torvald Helmer, che
la considera alla stregua di un grazioso e vivace animale domestico.
E lei sembra felice in questa sua
gabbia famigliare, prolungamento
di quella nella quale aveva già vissuto all’ombra del padre. La scoperta di se stessa da parte di Nora
avviene però in modo drammatico
e imprevisto, inducendola ad abbandonare la famiglia in cerca della
sua vera identità. Il doppio titolo
dello spettacolo – Nora alla prova
da Casa di bambola di Henrik
Ibsen – è stato voluto da Luca Ronconi per eliminare subito ogni tentazione di relegare la storia di Nora
nel passato, come se fosse solo un
momento arcaico della lotta per la
Carlo Repetti
Durante tutto il periodo delle
prove di Nora, da Casa di bambola di Ibsen, ero preso da un
contrastante, duplice sentimento: da una parte la felicità che mi
dava il lavoro con artisti quali
Luca Ronconi, Mariangela Melato e la compagnia tutta che stavano, con la solita assoluta dedizione e serietà, preparando questo nuovo, coinvolgente spettacolo; e dall’altra la preoccupazione angosciata che nasceva dal
vedere con la decurtazione dei
fondi per il Ministero della Cultura la parte più importante
della nostra identità di grande
paese civile, fondata sull’arte e lo
spettacolo, svilita e messa a serio
rischio di sopravvivenza. Poi, quasi improvvisamente, la settimana
scorsa, verso gli ultimi giorni di
prove, saggia e rasserenante la
decisione del Governo: il Fondo
Unico per lo Spettacolo veniva
ripristinato e lo spettacolo e la
cultura italiani potevano riacquistare la loro dignità, la loro forza
di proposta civile.
A molti va il merito della vittoria
in questa battaglia che è stata
difficile e significativa, e che temo non sarà l’ultima in difesa
della cultura: al movimento coeso di tutti gli operatori della cultura e fra questi un grazie particolare credo lo si debba alle parole chiare e forti che Mario Monicelli pronunciò prima di morire, e all’atteggiamento esemplare di Riccardo Muti; al tempo
stesso un ringraziamento deve
andare a un sincero paladino
dello spettacolo e della cultura,
il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e al Direttore Generale dello
Spettacolo Salvo Nastasi.
Ma credo che tutti saranno d’accordo nel riconoscere il ruolo di
riferimento esercitato ancora
una volta dal nostro Presidente
della Repubblica Giorgio Napolitano, che nel novembre 2010
pronunciò le parole forti e chiare che avrebbero costituito la
base sulla quale fondare la soluzione del problema. Diceva fra
l’altro il Presidente Napolitano:
«Naturalmente so bene quel che
vi inquieta, quel che vi assilla, i
motivi della protesta che ha
attraversato il paese».
(continua a pagina 8)
M a r i a n g e l a M e l a t o i n u n a s ce n a d i N o ra a l l a p ro v a ( f o to d i M a rce l l o N o r b e r t h )
XVI Rassegna di Drammaturgia contemporanea Saggio della Scuola
Dal 24 maggio all’11 giugno, il Teatro Stabile
di Genova propone nello spazio della Piccola
Corte la XVI Rassegna di Drammaturgia contemporanea che quest’anno ha in cartellone
tre nuovi testi provenienti dalla Romania
(Sempre insieme scritto in francese da Anca
Visdei. In scena dal 24 al 28 maggio), dalla
Svizzera (Persone predilette di Laura de Weck,
dal 31 maggio al 4 giugno) e dalla Gran Bretagna (Motor Town di Simon Stephens, dal 7
all’11 giugno). Gli spettacoli, che saranno
allestiti in forma di “mises en espace” ma con
grande cura per la recitazione degli attori,
sono affidati rispettivamente alla regia di
Matteo Alfonso, Mario Jorio e Antonio
Zavatteri e vedranno come interpreti i neodiplomati della Scuola di Recitazione dello Stabile, affiancati per l’occasione da attori professionisti che nella stessa scuola si sono formati negli scorsi anni. La Rassegna di “mises en
espace” è intesa dallo Stabile di Genova non
solo come momento di sperimentazione di
nuovi autori europei e mondiali, ma anche
come occasione per mettere alla prova nuovi
interpreti e nuovi registi, oltre che come significativa opportunità di sperimentare un diverso rapporto con lo spettatore. In questo modo,
nel corso degli anni sono già stati messi “en
espace” cinquanta nuovi testi, numerosi dei
quali si sono poi trasformati in veri e propri
spettacoli in cartellone. La presenza di un apparato scenografico essenziale non impedisce
ai singoli allestimenti di stabilire un rapporto
di comunicazione diretta con il pubblico, il
quale ha sempre dimostrato grande interesse
per questa iniziativa. Al fine di favorire la presenza dei giovani e investire nel ricambio
generazionale del pubblico, tutti gli spettacoli della Rassegna vengono presentati a ingresso libero, sino all’esaurimento dei posti.
Margarete in Aix del tedesco Peter
Hacks (1928-2003) è il testo – mai
rappresentato in Italia – sul quale
la Scuola di Recitazione dello Stabile sta preparando il saggio di fine anno del primo Corso di Qualificazione Professionale. Lo spettacolo, diretto come di consueto
dalla direttrice della Scuola Anna
Laura Messeri, che ha in programma di iniziarne le prove già a
maggio nell’ambito dell’attività
didattica, andrà in scena al Duse
solo nella prima metà di settembre (data da definire), a causa del
ritardo con cui le lezioni hanno potuto quest’anno avere inizio, in seguito a impreviste difficoltà burocratiche. Testo di esplicita struttura
brechtiana, Margarete in Aix è una
commedia che mescola il dramma politico alla pochade, l’amore
cortese alla buffoneria. Ne è protagonista la figlia di Renato d’Angiò, poi moglie di Enrico VI
d’Inghilterra, già immortalata da
Shakespeare in alcune sue opere.
liberazione della donna. Molte cose, infatti, sono cambiate anche per
la donna dal 1879, quando Casa di
bambola (Et dukkehjem) fu rappresentato per la prima volta, suscitando scandalo ovunque proprio
per la sua lettura come esempio di
un femminismo estremo; tanto
che, in Germania, Ibsen fu addirittura costretto a trovare un nuovo
finale al dramma, perché la protagonista si rifiutava di impersonare
una madre da lei ritenuta snaturata. Ma se tutte queste polemiche
hanno fatto di Casa di bambola
l’opera forse più nota del norvegese Ibsen che lo scrisse in Italia ispirandosi a un caso reale, non la relega affatto in un passato ottocentesco, perché il tema di fondo – il
dramma di una donna che, prima
di essere moglie e madre, vuole essere persona – possiede ancora una forte carica di attualità. Ed è appunto questa modernità che Ronconi e la Melato intendono portare
in scena, affiancati nell’impresa da
Paolo Pierobon (Torvald Helmer),
Giovanni Crippa (dottor Rank),
Riccardo Bini (Krogstad), Barbara Moselli (l’altra Nora), Orietta
Notari (l’altra Kristine) e Irene Villa (una cameriera). La scena e i
costumi sono firmate da Margherita Palli, le luci da Sandro Sussi.
“Operetta in nero” al Duse
Sino a domenica 3 aprile è ancora in scena al Teatro Duse lo spettacolo Operetta in nero, scritto e diretto da Andrea Liberovici, il quale
ne ha composto anche le musiche e curato l’apparato video. Prodotto dal Teatro Stabile di Genova, Operetta in nero si avvale dell’interpretazione della cantante statunitense Helga Davis e di quella degli
attori Vito Saccinto e Federico Vanni, per raccontare l’incontro tra
due persone molto diverse tra di loro, in un mondo futuro in cui ogni
diritto umano, dignità e rispetto della vita sono stati calpestati dal
lato “oscuro” di un capitalismo selvaggio, che ha portato l’umanità a
un’inevitabile catastrofe. “Pop song” e dramma apocalittico si integrano su uno sfondo narrativo che cita il Faust di Goethe e il
Tamerlano di Marlowe; per aprirsi infine anche a una riflessione
etica sul nostro presente. Luci di Sandro Sussi e scena di Lucia Goj.
TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm
28-03-2011
17:14
Pagina 2
2 l Nora alla prova
E poi la donna ha aperto gli occhi
George Bernard Shaw: «Casa di bambola ha risolto il problema della libertà della donna come poi è avvenuto nella realtà»
SCANDALOSA NORA
A ERIK AF EDHOLM
Intendente dei regi teatri di Svezia
Monaco, 3 gennaio 1880
AL NATIONALTIDENDE
Monaco di Baviera,
17 Febbraio 1880
Illustrissimo Ciambellano,
[...] Certamente Helmer desidera riconquistare Nora. Per quanto la riguarda, Nora dice appunto che in merito, per il momento, non sa nulla, e nulla
può sapere; è nell’attimo in cui
abbandona la casa che propriamente comincia la sua vita. Sua
Eccellenza chiede se pensi di
procurarsi nuovi trastulli. No, il
rapporto di Nora con il dottor
Rank dimostra la sua integrità
morale sotto questo aspetto. Mi
si chiede, inoltre, che ne sarà
dei figli; chi li educherà. La risposta è che nel testo c’è una
grande bambina adulta, Nora,
che deve affrontare la vita per
educare se stessa e, attraverso
tale esperienza, forse in seguito
sarà adeguata a educare i bambini - o forse no; nessuno può
saperlo. Certo è che, con l’idea
del proprio matrimonio che Nora s’è fatta l’ultima notte, sarebbe immorale da parte sua se continuasse a convivere con Helmer; lei non può e così se ne va.
[...] Questo mio nuovo dramma,
come forse sa Sua Eccellenza,
ha sollevato in Danimarca una
fortissima reazione (Casa di
bambola sarebbe andata in
scena al Teatro Reale di Stoccolma 1’8 gennaio 1880, ndr);
le fazioni si fronteggiano bellicose; l’intera grossa tiratura del
libro, 8.000 esemplari, è andata
esaurita nel giro di due settimane e si sta già preparando una
ristampa. Oggetto della contesa non è comunque il valore estetico del dramma, ma il problema morale che pone. Che da
molte parti sarebbe stato contestato lo sapevo in anticipo; se
il pubblico nordico fosse stato
tanto evoluto da non sollevare
dissensi sul problema, sarebbe
stato superfluo scrivere l’opera.
Con i segni della mia stima e
un ringraziamento, per tutta la
compiacenza usatami, mi firmo
il sempre rispettosamente obbligato verso Sua Eccellenza
Henrik Ibsen
Egregio direttore,
sul suo illustre giornale ho letto
una corrispondenza da Flensburg, dalla quale vengo a sapere che Casa di bambola, in
tedesco Nora, è stata rappresentata colà, e che il finale del
dramma è stato cambiato - apparentemente su mia disposizione. Quest’ultima cosa è del
tutto priva di fondamento. Subito dopo la pubblicazione di
Nora, ho ricevuto dal mio traduttore e agente la comunicazione ch’egli aveva ragione di
temere che sarebbe uscita una
“rielaborazione” del dramma
col finale cambiato, e che sarebbe stata probabilmente preferita in parecchi teatri. Per
prevenire una simile eventualità, gli ho inviato uno schizzo
di una variante da usarsi in caso
di emergenza, secondo la quale
Nora non abbandona la casa,
ma Helmer la spinge sulla porta
della camera da letto dei bambini; qui scambiano qualche
battuta, Nora si accascia sulla
porta, e il sipario cala. Questo
cambiamento io stesso l’ho bollato come “una violenza barbara” nei confronti del dramma.
Pertanto è del tutto contro il
mio volere che lo si usi; ma nutro la speranza che non sarà adoperato da troppi teatri tedeschi. Finché non viene sottoscritta una convenzione letteraria fra la Germania e i paesi
scandinavi, noi scrittori nordici
qui siamo del tutto privi di protezione legale, come peraltro lo
sono quelli tedeschi da noi. Di
conseguenza i nostri lavori drammatici sono regolarmente esposti alle violenze perpetrate sia
dai traduttori sia dai direttori,
dai registi e dagli interpreti dei
teatri minori. Ma di fronte a minacce del genere preferisco, istruito dall’esperienza, commettere violenza da me, piuttosto
che affidare le mie opere al trattamento e alla “rielaborazione”
di mani meno caute ed esperte.
Henrik Ibsen
marzo | settembre 2011
U n a s ce n a d ’i n s i e m e d e l l o s p e t t a co l o. I n b a s s o a s i n i s t ra M a r i a n g e l a M e l a t o e a d e s t ra R i c c a r d o B i n i e M a r i a n g e l a M e l a t o
Otto anni fa, quando Mr. Charrington, con Casa di bambola, assunse in maniera ferma
le parti di Ibsen, forse l’unica
presa di posizione davvero decisa in Inghilterra fino a oggi,
me ne rallegrai e stetti a guardare la rovina e la distruzione
che questo dramma portò tra
gl’idoli e i templi degli idealisti, come un giovane corrispondente di guerra sta a guardare
i quartieri più malsani di una
città mentre vengono bombardati. Ma oggi non mi soffermo più sul tema del risveglio della coscienza femmini-
le, un tempo al centro delle
discussioni, essendo il punto
cardine del dramma. Perché
dovrei farlo? Il testo risolve il
problema nello stesso modo
in cui questo è stato risolto
nella realtà. La donna ha aperto gli occhi; ha abbandonato
all’istante il proprio vestito da
bambola e ha lasciato il proprio marito a guardarla attonito, indifeso, costretto ormai a
scegliere tra fare a meno di lei
(alternativa che metterebbe a
nudo le sue illusioni di indipendenza), o trattarla come
un essere umano, uguale a lui,
riconoscendo in maniera piena di non essere una creatura
di specie superiore, l’Uomo,
che vive con una creatura di
specie inferiore, la Donna, ma
che l’umanità è uomo e donna
e che la disparità tra i sessi è
letteralmente una sciocchezza, destinata a finire in un’insostenibile umiliazione simile
a quella che il nostro Re Artù
di mentalità ristretta, Torvald
Helmer, subisce per mano di
Ibsen. La rivolta di Nora è la
fine di un capitolo della storia
umana. Lo sbattere della porta che segue la sua uscita ha
più forza dei cannoni di
Waterloo o di Sedan, dato che,
quando ella tornerà, non troverà più la stessa casa: quando il patriarca perde il proprio
potere, e chi «porta a casa il
pane» ammette la propria dipendenza, il vecchio ordine
giunge alla fine. E quando un
sistema sociale che ha prodotto tanto sentimento e tante
sofferenze, che ha dato tanta
espressione ai più sacri diritti
e alle più amare sconfitte,
crolla, non può che trascinare
con sé persino i suoi distruttori e ancor più coloro i quali
credono che la sua estirpazio-
ne sia una ferita mortale per la
società. All’inizio, quest’istante di rimorso e sgomento in
Casa di bambola fu messo in
luce esclusivamente dalla questione dei diritti della donna.
Oggi questo tema non ci distrae più, e dunque sentiamo
l’intero peso dell’ignoto destino dei nostri Helmer, dei nostri Krogstad, dei nostri Rank
e dei loro antenati, dei quali
non ci possiamo liberare.
George Bernard Shaw
A Doll’s House Again
in «Saturday Review»
15 May 1897
TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm
28-03-2011
17:14
Pagina 3
Nora alla prova l 3
C o nve r s a z i o n e c o n L u c a R o n c o n i , r e g i s t a d e l l o s p e t t a c o l o i n p r i m a n a z i o n a l e s u l p a l c o s c e n i c o d e l Te at r o d e l l a C o r t e
Com’è Rousseau questo Ibsen
Perché Nora alla prova?
Lo spettacolo celebra i due sostantivi esplicitati da questo titolo.
Da una parte, c’è la storia di Nora
Helmer e, dall’altra, c’è la cerimonia meno consueta della prova. È
in questo secondo ambito che il
nostro spettacolo definisce la sua
identità. Il fatto poi che Mariangela interpreti sia il ruolo di Nora, sia
quello di Kristine rinvia, secondo
me, a una possibilità, a una necessità interna al testo, che probabilmente solo attraverso l’espediente
della prova riesce a evidenziarsi. A
suo tempo, Nora suscitò grande
scandalo, perché in quella società
una donna che decideva di abbandonare il marito e i figli era certo un
evento scandaloso, tanto più perché la scelta veniva motivata come
un diritto. Ma oggi, che tale diritto
ha cessato di essere in discussione, il comportamento di Nora può
forse suscitare disapprovazione,
ma non certo più scandalo.
E allora?
In Casa di bambola, non c’è soltanto Nora, ma c’è anche Kristine.
Affidare queste due figure femminili a un’unica attrice concorre a
sottolineare che una è la prosecuzione o l’inverso dell’altra. Nora fa
una scelta molto coraggiosa e decide di andarsene di casa, pur dicendo “non so che cosa sarà di
me”, mentre Kristine, che ha perso tutto quello cui Nora decide di
rinunciare, ossia la famiglia e la casa, tenta proprio di recuperare questi valori. Messi insieme, questi due
personaggi costruiscono una realtà più complessa e ambigua, che, a
ben vedere, compete a tutta la commedia: almeno secondo la nostra
lettura.
A cominciare dal doppio finale
che lo spettacolo sceglie di porre a
prologo della rappresentazione?
Mettere all’inizio i due finali esplicita subito che si tratta di una
prova e in qualche modo aiuta gli
attori, soprattutto Mariangela, a
non essere dipendenti dalla trama,
di una rappresentazione verista e
ideologica, che credo sia la componente più caduca e sorpassata di
Casa di bambola.
In che senso, la dimensione della
M a r i a n g e l a M e l a t o e Pa o l o P i e r o b o n
prova aiuta ad approfondire il
testo di Ibsen?
Libera dalla tentazione di ingessarlo come testo “bien fait” e permette di portare in primo piano i
veri nodi narrativi del dramma.
Noi non abbiamo aggiunto una parola a quelle scritte da Ibsen. Abbiamo solo fatto qualche spostamento strutturale e purificato il testo di alcuni legami artificiosi tra i
suoi nuclei emotivi, perché mi
sembra che siano la parte più caduca della drammaturgia ibseniana.
E questo con quali risultati?
Innanzitutto, la scelta fatta offre
una grande possibilità creativa
rispetto al dover per forza rispettare l’obiettivo finale della rappresentazione. In questo caso, la rappresentazione diventa la prova
stessa, dalla quale possono meglio
emergere le caratteristiche salienti di Casa di bambola, che non a
caso è stata scritta subito dopo il
fiasco del Peer Gynt. A ben vedere, infatti, anche Casa di bambola è una favola mascherata.
Prendere coscienza di questo non
significa complicarne la trama, ma
caso mai renderla più chiara. Al
centro del teatro di Ibsen non sta
il realismo sociale, ma la rappresentazione simbolica della verità.
Come in L’anatra selvatica, Ibsen
muove anche qui da posizioni che
rinviano a Rousseau: l’uomo nasce
naturale ed è la società che lo rovina. Per questo, apro lo spettacolo
con lo strepito degli uccelli. Nora e
Torvald sono rappresentati all’inizio come due persone allegre e
gioiose, piene di vita. È solo nel
procedere dell’azione che l’allegria
di Nora si scopre essere imposta
dall’esterno; mentre Torvald, all’inizio così seducente e sensuale, si
trasforma in modo del tutto innaturale in corrispondenza con la
sua scalata sociale. Come c’è un
certo rispecchiamento tra il tragitto esistenziale di Nora e quello di
Kristine, qualcosa di simile accade
anche tra Torvald e Krogstad, che
nello spettacolo non è affatto presentato come un imbroglione, ma
come un uomo che ha avuto un
trauma affettivo molto forte e che
trova in Kristine il suo angelo di
salvezza.
In questo contesto, quale ruolo
svolgono l’altra Nora e l’altra
Kristine?
Lungi dall’essere solo delle funzioni narrative, esse sono dei veri e
propri personaggi. Come testimoniano i loro abiti ottocenteschi (gli
unici dello spettacolo), questa
Nora e questa Kristine sono due
donne molto vicine alla vulgata
ottocentesca ibseniana e stabiliscono un rapporto dialettico con la
modernità della Nora-Kristine
interpretata da Mariangela.
E il dottor Rank?
Egli porta in scena un’esplicita
immagine di morte: un’immagine
nella quale Nora sembra all’inizio
infantilmente rispecchiarsi (il vagheggiamento del suicidio), trovando però poi la via per una scelta più matura.
Si torna così al doppio finale, di
cui lo spettacolo sembra privilegiare quello storicamente più
noto.
Un conto è che il finale liberatorio
sia posto come opzione tra due
possibilità e un altro è invece assumerlo come un fatto necessario o
come un’imposizione dell’autore.
La struttura della prova, lungi dall’essere un rifugio nell’indeterminatezza, dimostra qui di essere la
via per evidenziare la complessità
del reale. Come scegliere uno spazio vuoto non significa rinunciare
al senso, ma solo suggerire una
diversa chiave di lettura del testo,
così porre l’attore di fronte alla
ricerca del proprio personaggio
non vuol dire rendere il suo lavoro
indeterminato, ma caso mai spingerlo verso un altrove, che in questo caso significa anche tenersi
lontano dal melodramma, dal perdersi nella rappresentazione di
sentimenti pur nobili e sublimi.
Con l’espediente della prova, inoltre, possiamo permetterci di non
dare continuità ai personaggi, di
legare le diverse scene con passaggi esplicitamente narrativi; e in
questo modo, mi sembra, Casa di
bambola acquista una sua autentica modernità, senza bisogno di
stravolgimenti o di sterili provocazioni.
a cura di Aldo Viganò
DOPPIO FINALE PER “CASA DI BAMBOLA”
Nello spettacolo Nora alla prova sono messi in scena, uno dopo l’altro, i due finali del dramma, scritti da Ibsen in periodi successivi
FINALE RICONOSCIUTO
NORA Ascolta. Se una moglie
abbandona la casa, come io faccio
stanotte, le leggi, mi sembra,
sciolgono il marito da ogni impegno. Sia ben chiaro, in tutti i
modi, che tu, per me, sei libero.
Come sono libera io. Assoluta
libertà da una parte e dall’altra.
Ecco il tuo anello. Dammi il mio.
TORVALD Anche questo?
NORA Anche questo. Grazie. Le
chiavi sono là.
TORVALD Penserai a me, Nora?
NORA A te, alla casa, ai bambini...
Se ci penserò! Non ne dubitare.
TORVALD Potrò scriverti?
NORA No, mai. Non voglio.
TORVALD Potrò almeno mandarti...
NORA Non voglio.
TORVALD Aiutarti...
NORA No, io non accetto nulla dagli
sconosciuti.
TORVALD Resterò sempre uno sconosciuto, per te?
NORA Oh, Torvald, dovrebbe accadere un fatto più che meraviglioso...
TORVALD Quale?
NORA La nostra convivenza dovrebbe diventare un matrimonio.
(Esce dall’uscio in fondo)
TORVALD Nora! Nora! (Un silenzio.
La porta vien chiusa) È andata via.
È andata via.(Un gran silenzio)
FINALE AGGIUNTO
(Dopo l’ultima battuta di Nora)
TORVALD Bene, allora va’!
(La piglia per un braccio) Ma
prima devi vedere i tuoi figli per
l’ultima volta!
NORA Lasciami, lasciami! Non li
voglio vedere! Non li posso vedere!
TORVALD (La obbliga verso la porta
a sinistra) Devi vederli. (Apre la
porta e dice a bassa voce)Vedi: dormono quieti e pacifici. Domani,
quando si svegliano e chiamano la
mamma, domani - sono orfani.
NORA (Tremando) Orfani!
TORVALD Senza mamma, come sei
stata tu.
NORA Orfani! (Lotta internamente,
lascia cadere la valigia e dice)
Stabile in tournée
Commetto peccato contro di me,
ma non li posso abbandonare.
(Si accascia davanti la porta)
TORVALD (Pieno di gioia, ma
piano) Nora! (Cala il sipario)
Proseguono sino al 15 maggio le rappresentazioni in tournée di Aspettando Godot. Dopo gli esiti trionfali
ottenuti su tutti i palcoscenici delle
città italiane, nelle quali è stato messo
in programmazione, lo spettacolo
prodotto dallo Stabile per la regia di
Marco Sciaccaluga, con Ugo Pagliai ed
Eros Pagni protagonisti, affiancati da
Gianluca Gobbi, Roberto Serpi e Alice
Arcuri, sarà ancora a Merano (Teatro
Puccini, 29 e 30 marzo), Bolzano
(Teatro Comunale, dal 31 marzo al 3
aprile), Verona (Teatro Nuovo, dal 5 al
10 aprile), Venezia (Teatro Goldoni, dal
13 al 17 aprile), Modena (Teatro Storchi, dal 28 aprile all’1 maggio) e Torino
(Teatro Carignano, dal 3 al 15 maggio).
marzo | settembre 2011
TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm
28-03-2011
17:14
Pagina 4
4 l Nora alla prova
Mariangela Melato parla dei due personaggi che interpreta nella rilettura di Casa di bambola
“Nora o Kristine, dipende dalla serata”
Non femminista, ma femminile.
Donna a tutto tondo, libera di
essere e quindi di scegliere: i
rischi dell’autonomia assoluta o
quelli del compromesso di una
vita familiare non appagante e da
ricostruire. È la Nora alla prova
alla quale dà corpo, voce e pensieri Mariangela Melato, protagonista dello spettacolo tratto da
Casa di bambola di Henrik Ibsen
e diretto da Luca Ronconi. Una
prima volta assoluta per l’attrice
che non si era mai messa alla
prova con il drammaturgo norvegese e che lo fa in un teatro, lo
Stabile di Genova, nel quale dice
di sentirsi “a casa”, e con un maestro come Ronconi.
«Mi è molto difficile parlare di
questa esperienza mentre la sto
facendo – confessa la Melato –
Sto ancora cercando la parte e lo
dico senza falsa modestia. Sono
in prova, e mi piacerebbe che
questo durasse tutto il tempo delle repliche e anche della tournée.
È uno spettacolo non finito,
com’è il teatro: un lavoro in
prova tutte le sere, e ogni sera è
diversa». E in questo spettacolo
“in divenire” Nora, donna e bambola che, nel testo di Ibsen, alla
fine osa rivendicare il suo diritto
alla libertà, nelle mani di Ronconi e Melato si concede anche il
diritto di una doppia scelta e di
giocare, con la libertà che solo il
teatro può mettere in mostra con
tanta forza, con una doppia identità. «Questo non è uno spettacolo femminista – dichiara Mariangela – e non c’è una sola chiave di
lettura». E, del resto, non potrebbe esserci visto che, sulla scena, per la protagonista diventano
possibili i due finali scritti da
Ibsen per Casa di bambola: quello, scandaloso per l’epoca, di
Nora che, non potendo più accettare il ruolo di semplice oggetto
amoroso di un uomo che per
giunta scopre essere più meschino di quanto pensasse, lascia
marzo | settembre 2011
Mariangela Melato e Giovanni Crippa
marito e figli e va incontro a un
futuro senza certezze, e quello di
Nora che, invece, è costretta a
restare per ricostruire, comunque, un rapporto di coppia e una
vita familiare.
Ma la libertà dell’essere donna e
del gioco del teatro non finisce
qui. Sotto la guida di Ronconi,
Mariangela interpreta, infatti,
anche il doppio ruolo di Nora e
dell’amica Kristine che, diversamente da lei, vuole provare a
costruire quel nucleo familiare
che non ha mai avuto. «Una
donna se ne va dalla famiglia,
l’altra va alla ricerca di una
famiglia, ha bisogno di essere
madre. Anche questo è un tratto
femminile, non femminista.
Kristine, però, vuole avere un
ruolo di guida familiare e non di
subalternità. Nella mia interpretazione – spiega la Melato – non
c’è quasi nessun cambiamento
fra una donna e l’altra. Io non so
quale preferisco, Nora o Kristine,
dipende dalla serata, da quella
che mi viene meglio. Sarebbe sbagliato avere preferenze.
Quando mi vengono bene mi
piacciono entrambe. Ci sono
delle differenze velate, che conosciamo bene io e il regista, negli
atteggiamenti, nel modo di stare
in scena. È una vera prova di
spettacolo e questo è anche il
nostro stato d’animo: non si
vuole dare un’idea di compiutezza. Io, comunque – aggiunge –
sono sicura che il pubblico
capirà quando sono l’una e
quando sono l’altra, ma non è
finita né l’una, né l’altra. Questo
è uno spettacolo che esige attenzione, come del resto dovrebbe
accadere sempre a teatro: anche
il pubblico deve lavorare con
noi. Quella passività totale a cui
ci ha abituato la televisione preferiremmo che non ci fosse, perché si chiede agli spettatori la
B a r b a r a M o s e l l i , O r i e t t a N o t a r i , Pa o l o P i e r o b o n , M a r i a n g e l a M e l a t o.
S o p ra a s i n i s t ra M a r i a n g e l a M e l a t o
capacità di assistere insieme a
qualcosa che si sta facendo».
Ma se l’essere donna è pieno di
sfaccettature e anche di ambiguità, lo spettacolo non tradisce,
tuttavia, un desiderio di libertà
assoluta espresso in particolare
in quel “non so che cosa sarà di
me” che Nora pronuncia nel finale in cui si prepara a lasciare
marito e figli. «Nora va via senza
sicurezze – sottolinea l’attrice –
Accetta un rischio e in questo sta
il suo massimo coraggio, perché
non sa che cosa sarà di lei. Ha
una voglia vera di libertà e dell’allegria che solo la libertà vera
ti può dare. Questa donna alla
fine sarà libera pagando di tasca
sua, senza avere dei piani per il
suo futuro». Libertà sempre
refrattaria, però, alle regole di un
“dover essere” comunque inteso
dalla società o da parte di essa e
che, quindi, nell’altro finale,
significa, per Nora, affrontare il
rischio di privilegiare le relazioni
affettive rispetto alla propria
autonomia, mentre per il personaggio di Kristine libertà vuol
dire seguire il desiderio di essere
compagna di un uomo e madre.
Tante facce dell’essere donna,
insomma, senza canoni precostituiti, e senza pudori nel mettere
in mostra la problematicità e la
complessità che comporta la volontà di non tradire se stesse.
«Ogni spettatore è libero di interpretare – osserva la Melato – Noi
sappiamo a che cosa aspiriamo,
che cosa vogliamo far emergere,
e siamo consapevoli di avere a
che fare con una cosa speciale.
Ogni volta che lavoro con Luca
c’è una spinta verso l’alto che
non è facile trovare di questi
tempi». Tempi nei quali, secondo
Mariangela Melato, è anche ardito e improprio parlare di una
ripresa del movimento femminista che, ai suoi albori, nel XIX
secolo, vide proprio nella Nora di
Ibsen un’eroina di quelle prime
battaglie. «Direi che oggi c’è stato
un tentativo di ripresa del movimento delle donne. Mai la figura
della donna è stata svilita come
in questo momento. Parlerei,
quindi, non di femminismo
adesso, ma semplicemente di difesa della dignità. Mi sembra più
che sufficiente, visto il punto a
cui si è arrivati. E la vergogna, se
mai, è tutta maschile».
a cura di Annamaria Coluccia
DALLA SCENA ALLO SCHERMO
Il dramma di Henrik Ibsen al cinema e in TV
Il cinema dapprima, e poi anche la televisione, si sono più volte confrontati con Casa di
bambola di Ibsen portandone sullo schermo
(grande e piccolo) diverse interpretazioni, affidate quasi sempre a grandi attrici che avevano
interpretato il personaggio di Nora anche sul
palcoscenico: dalla russa-americana Alla Nazimova (1) all’italiana Lilla Brignone (2), dalle
tedesche Maria Schell (3) e Margit Carstensen
(4), all’inglese Claire Bloom (5), sino alle statunitensi Julie Harris (6) e Jane Fonda (7).
A Doll’s House
(1917) regia di
Joseph de Grasse,
con Dorothy Phillips, William Stowell, Lon Chaney;
A Doll’s House
(1918) regia di
Maurice Tourneur,
con Elsie Ferguson,
1
Holmes Herbert, Alex Shannon; A Doll’s House
(1922) regia di Charles Bryant, con Alla
Nazimova, Alan Hale, Florence Fisher; Casa de
muñecas (1943) regia di Ernesto Aracibia, con
Delia Garces, George Rigaud, Maria Arrieta; A
Doll’s House (1953) regia di Lawrence Menkin, con Jan Sherwood; Casa de muñecas
(Messico, 1953) regia di Alfredo B. Crevenna,
con Marga López, Ernesto Alonso, Miguel
Torruco; Maison de poupée (Francia, 1954
TV) regia di Claude Loursais, con Jeanne Cerval,
Danièle Delorme,
Patrick Dewaere;
Casa de bonecas
(Brasile, 1955) con
Jaime Barcellos, Lia
de Aguiar, Heitor de
Andrade; Nora
2 (Germania, 1955
TV) regia di Hanns Farenburg, con Ewald Balser,
Josef Dahmen, Käthe Gold; Ett dockhem
(Svezia, 1958 TV) regia di Åke Falck, con
Herman Ahlsell, Georg Årlin, Gun Arvidsson;
Casa di bambola (Italia, 1958 TV) regia di
Vittorio Cottafavi, con Lilla Brignone, Ivo
Garrani, Lia Angeleri; A Doll’s House (USA,
1959 TV) regia di George Schaefer con Julie
Harris, Christopher Plummer, Hume Cronyn,
Eileen Heckart, Jason Robards; Nora (Austria,
Aaltonen, Iris-Lilja Lassila, Jaakko
Nuotio; Casa di
bambola (Italia,
1968 TV) regia di
Gian Domenico
4
Giagni, con Giulia Lazzarini, Renato de Carmine, Anna Miserocchi; Ett dockhem (Svezia, 1970 TV) regia di
Per Sjöstrand, con Solveig Ternström, Olof
Bergström, Ann-Mari Adamsson; Et dukkehjem (Norvegia, 1973) regia di Arild Brinchmann, con Lise Fjeldstad, Knut Risan, Per
Theodor Haugen; A Doll’s House (Gran Bretagna, 1973) regia di Patrick Garland, con Claire Bloom, Anthony Hopkins,
Ralph Richardson;
A Doll’s House
(Portogallo, 1973)
regia di Joseph
Losey, con Jane
Fonda, Edward
5
Fox, Trevor Howard; Nora Helmer (Germania, 1974 TV) regia
di Rainer Werner Fassbinder, con Margit Carstensen, Joachim Hansen, Barbara Valentin; Et
dukkehjem (Danimarca, 1974) TV regia di
Palle Kjaerulff-Schmidt, con Hanne Borchsenius, Lily Broberg, Malene Krogh; Casa di
bambola (Italia, 1982 TV) regia di Leonardo
Cortese, con Micaela Esdra, Giulio Bosetti, Gisella Arden, Roberto Herlitzka;
Nóra (Ungheria,
1986 TV) regia di
Karoly Esztergalyos, con Lajos
Balazsovits, Laszlo Galffi, Istvan
Iglodi; Casa di
6 bambola (Italia,
1986 TV) regia di Gianni Serra, con Ottavia
Piccolo, Gianni Cavina, Sergio Rubini; A Doll’s
House (Gran Bretagna, 1992 TV) regia di David
7
3
1961 TV) regia di Michael Kehlmann, con
Elfriede Kuzmany, Paul Dahlke, Horst Tappert;
Nora oder Ein Puppenheim (Germania, 1965
TV) regia di Imo Moszkowicz, con Maria Schell,
Veit Relin, Hans Holt; Nukkekoti (Finlandia,
1968) regia di Tuija-Maija Niskanen, con Risto
Thacker, con Juliet Stevenson, Trevor Eve,
Geraldine James; Sara (Francia, 1993) regia di
Dariush Mehrjui, con Khosro Shakibai, Niki
Karimi, Yasman Malek-Nasr; Et dukkehjem
(Danimarca, 2002 TV) regia di Peter Reichhardt, con Trine Appel, Jesper Hyldegaard,
Morten Kirkskov; Mabou Mines Dollhouse
(Francia, 2009 TV) regia di Lee Breuers, con
Elisabeth Girardeau, Eamonn Farrel, Ricardo Gil.
TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm
28-03-2011
17:14
Pagina 5
Operetta in nero l 5
Conversazione con Andrea Liberovici, autore e regista dello spettacolo in scena al Duse sino al 3 aprile
Mephisto o dell’umanità al tramonto
Operetta in nero è un testo che
mescola reminescenze classiche
(dal Faust di Goethe al Tamerlano di Marlowe) con il “pop song”,
la dedica a Edoardo Sanguineti
con l’omaggio a Robert Wilson e a
Peter Greenaway. Qual è la necessità di fondo che ti ha spinto a
scrivere e a realizzare questo
spettacolo, che trascorre in modo
molto libero dalla prosa alla
musica, dal culto del palcoscenico vuoto all’uso più sofisticato del
suono, della luce e del video?
Credo che Operetta in nero sia
uno spettacolo che parla del presente e della opulenta arroganza
dell’Occidente. Solo facendo un
bel tuffo nel passato, però, io posso capire il presente e cercare di
immaginarlo in un grande futuro.
In questo modo, Operetta in nero
è diventata anche una riflessione
su ciò che accade quando la conoscenza è sostituita con la comunicazione. Bolla è il prototipo della
contemporaneità, colui che è vissuto immerso nella rete, senza
alcuna consapevolezza di sé: è un
essere umano privo sia di passato
che di futuro, perché vive in un
eterno presente.
Diversamente da Bolla, il Generale ha invece un grande passato,
essendo stato uno degli artefici di
quel sistema che ha portato l’umanità all’autodistruzione. Ma
ora, proprio per questo, anche il
Generale non sa più vedere il futuro e vive un presente infelice:
con Bolla condivide l’incapacità di
avere relazione con l’altro da sé.
Perché il Generale non è più in
grado di progettare il futuro?
Credo che l’abitudine a stare dentro un presente finto, non reale,
inevitabilmente precluda ogni possibilità di immaginare il futuro.
Il Generale è depositario di una
memoria solo ed esclusivamente
manipolatoria, che mitizza una
serie di valori astratti, ma è poi
incapace di tradursi concretamente nella realtà. Questo fa del
Generale la prima vittima del
mondo che ha concorso a imporre, trasformandolo nel cadavere
di questo stesso modello nel
quale volente o nolente tutto
l’Occidente si è rispecchiato.
Il Generale e Bolla s’imbattono
casualmente l’uno nell’altro. Non
si sono cercati. Appartengono a
due generazioni diverse. Hanno
un diverso rapporto con il mondo. Cosa nasce dal loro incontro?
Di fatto, sono due personaggi speculari. Il Generale diventa per
Bolla il padre che non ha mai avuto, rappresentando per lui l’immagine della autorità. Il Generale
ama avere un pubblico che gratifichi il suo narcisismo e lo trova
in Bolla, ma poi anche lui è trasformato dalla presenza di questo
“fool”. Ed è significativo che il loro incontro avvenga su un palcoscenico popolato di voci, che loro
sentono insieme agli spettatori, attribuendole alla loro testa: un palcoscenico che diventa così luogo
di raffronto, d’incontro e di scontro, pur restando sempre un posto
misterioso e magico, quale potevano intenderlo gli antichi greci.
H e l g a D a v i s i n t re m o m e nt i d e l l o s p e t t a co l o
«UNA STORIA ALLEGRA
TRISTE E SCANZONATA»
(...) Dopo essere entrati nel teatro, superata la biglietteria e il
guardaroba, quando entrerete
nella sala non vi troverete di
fronte un palcoscenico chiuso
dal suo bravo sipario, ma qualcosa di inaspettato che non vi
sto a dire per non sciuparvi la
sorpresa.
E non sarà che l’inizio di quello
a cui state per andare incontro.
Se proprio volete saperne di più,
se l’impazienza vi rode, posso
darvi un piccolo assaggio.
Immaginatevi immersi nell’incubo di un sogno interminabile,
proiettati in un futuro catastrofico, sopravvissuti a disastri
ecologici, guerre di sterminio,
pestilenze devastanti. Immaginatevi vagare tra metropoli in
rovina, incontrare bizzarri personaggi che rievocano il vostro
passato, la vostra storia, le
vostre colpe che hanno condotto il mondo alla rovina, i vostri
egoismi e i vostri cinismi che
hanno permesso la distruzione
del pianeta, la vostra indifferenza irresponsabile che ha portato alla fine la nostra umanità.
Se tante accuse vi sembrano
esagerate, improbabili e ingiuste, se vi sentite piuttosto vittime inconsapevoli di un destino
malvagio, se non volete saperne
niente perché non potete proprio farci niente, l’unica soluzione sarebbe che vi alziate e ve
ne andiate, sopportando le
maledizioni degli spettatori
della vostra fila ineducatamente disturbati. Sarete usciti così
da un incubo penoso, che non
vi appartiene e con cui vigliaccamente non volete avere niente da spartire.
Se invece scegliete di non chiudere gli occhi, le orecchie e la
mente agli squarci sul futuro
che vi si aprono davanti, ma
volete mettervi in gioco, poter
dire la vostra, contare qualcosa,
allora stringete i denti, aggrottate la fronte e meditate sul
vostro squallido presente, sulle
vostre inutili giornate aggrappate a schermi, antenne, parabole,
telefonini, a voci, suoni e immagini che vi attraversano e vi
appassiscono, culi e massacri,
merci e canzonette, stupri e tiri
in porta. (...) Se sentite che
intorno a voi si mormora, si
ride, si commenta non vi allarmate. Questa Operetta in nero
non è funerea, mortifera, penitenziale. È una storia allegra,
triste e scanzonata, con canzoni
dolci e crudeli che vi prende
per mano e vi insegna a non
fidarvi di tutte le menzogne che
vi assediano, che vi mostra
dove potete cadere e come
dovete rialzarvi. Che vi spaventa e vi diverte, che tornerà nei
vostri sogni, perché il teatro è la
vita più profonda.
Se quando uscirete da teatro
ancora un po’ pensosi vedrete
in fondo alla piazza un uomo
corpulento senza scarpe correre dietro a un ragazzo magro
in calzoncini corti, non spaventatevi. Non siete ripiombati nella storia cui avete appena
assistito, adesso quella storia
è in voi, ve la porterete dentro
anche quando sarete tornati ai
vostri stupidi schermi, antenne, parabole, telefonini, per
ricordarvi che il pericolo è
sempre in agguato, ma che voi
ormai potete conoscerlo e
non esserne travolti.
Nanni Balestrini
In che modo il Generale è trasformato dall’incontro con Bolla?
Costretto a prendere coscienza
della propria solitudine, il Generale inizia a riflettere sul senso
della sua vita e, per la prima volta, si confronta con l’altro da sé,
acquista consapevolezza di non
avere vie d’uscita. Questo accade
soprattutto dopo che il fallimento
del suicidio di Bolla lo costringe a
entrare in ascolto, a rendersi conto che Bolla è l’ultimo appiglio al
di là del quale c’è solo la solitudine assoluta. Da questo momento i
due iniziano a trattarsi reciprocamente come persona.
E il ruolo di Mephisto in abito
talare?
Con Shadow/Mephisto siamo in
un tempo indeterminato. Formalmente il personaggio canta delle
canzoni pop, ma attraverso queste
io intendo anche rendere omaggio
(più o meno evidente) alla mia
“sacra triade”, ovvero (nell’ordine
gerarchico che attribuisco loro
per la mia formazione) a Kurt
Weill, Erwin Piscator e Bertolt
Brecht. Mephisto è l’ombra (“shadow”) dei due altri personaggi, li
commenta, li racconta, li sintetizza in canzoni, dove in tre parole si
deve saper dare il senso del tutto.
Mephisto è destinato a sparire solo nel momento in cui il Generale
e Bolla trovano finalmente una
relazione; come a dire che quando c’è il dialogo, qualunque esso
sia, non ci può essere l’ombra, il
lato oscuro dell’esistenza. Mephisto è la cultura odierna. Con ironia e perfidia racconta il presente
che sarà e ne canta la tragedia
con leggerezza e comicità. Come
nella variazioni musicali, ogni scena ha un tema (il denaro, l’amore,
la guerra, la tecnologia, ecc.) e
Mephisto riassume con una canzone dei nostri tempi la causa che
ha fatto arrivare gli uomini e il
mondo a quei tempi.
Perché Mephisto canta in inglese?
Mephisto parla la lingua dell’impero e usa una forma musicale, il
“pop song”, che è la colonna sonora della nostra vita attuale. Lo fa
indossando l’abito talare, perché
rappresenta la religione del nostro tempo.
Qual è stato il ruolo di Luca
Ragagnin nella stesura del testo?
Luca si è inserito dentro a un’idea
già molta costruita, ma è stato importantissimo nel dare forma definitiva alla scrittura. Io sono un
teatrante, non sono uno scrittore.
Quindi lui è stato un’ottima levatrice. Mi ha aiutato a togliere e a
sintetizzare, a mettere a fuoco la
produzione del senso.
In Operetta in nero, qual è sinteticamente questo senso ?
Credo che stia già tutto nel verso
che Goethe mette in bocca a Mephisto: «Sono una parte della forza che vuole sempre il Male e produce sempre il Bene». Malgrado
la stupidità degli esseri umani,
infatti, la natura vince sempre e
rigenera i disastri che questi
fanno. Noi cerchiamo di dominare la natura, ma alla fine è sempre lei che ci domina.
a cura di Aldo Viganò
Hanno detto di “Operetta”
Non inganni il titolo, Operetta, come nell’”Allegretto” della
Settima Sinfonia di Beethoven, la laggerezza c’è ma è in apparenza, il tema è estremamente profondo. Come è nel suo stile,
Liberovici costruisce l’architettura musicale mettendo insieme
elementi sonori di varia natura: registrazioni acustiche (il solido
violoncello di Jeffrey Ziegler), suoni elettronici e, dal vivo, la
splendida voce di Helga Davis che interpreta le canzoni offrendo
un magnifico saggio di bravura. (...) La Davis canta in inglese (con
i sovratitoli) e in inglese la voce recitante (Robert Wilson) introduce le singole scene. I due attori, Federico Vanni e Vito Saccinto,
dialogano in italiano e colgono con bravura il senso di un testo
non facile, sospeso, disseminato in scene senza tempo, squarci di
dialoghi fra passato e presente, con un finale atto di fiducia nell’uomo: “L’unica ideologia possibile era l’essere umano”.
Roberto Iovino, LA REPUBBLICA, 19 MARZO 2011
Su una scena dominata dai relitti simbolici dell’apparire, due
riflettori reliquie disastrate del consumismo e due uomini: un
generale che ricorda il Tamerlano di Christopher Marlowe o il
Goebbels, ministro della propaganda del terzo Reich, e un ragazzino che ha creduto troppo nelle magnifiche sorti e progressive
dalla tecnologia. Sono gli unici sopravvissuti a un disastro che ha
cancellato dal mondo ogni traccia di civiltà. Si confrontano con la
loro cattiva coscienza, con il diavolo in abito talare che portano
dentro di sé, una Helga Davis che non a caso si è formata con Bob
Wilson e Peter Greenaway, una voce che sa di miele avvelenato
con note maschili da basso e limpidezze da soprano. I suoi otto
song non sono la colonna sonora di effetti speciali, per i quali a
Liberovici non è mai mancato il talento, ma affluenti che zampillano con un ritmo proprio in un fiume di parole.
Silvana Zanovello, IL SECOLO XIX, 18 MARZO 2011
Un’operetta macabra e grottesca, iconoclasta e poetica, che
richiama una simbologia mitica e pesca da Marlowe e da Goethe
(visivamente riportandoci a The Black Rider di Tom Waits), fruga
dentro e intorno al doppio Faust/Mephisto, sviscera i contorni del
Bene e del Male, rimesta nell’intimo dell’umano. (Ma va in scena
anche) la storia di due superstiti, esponenti diversissimi dell’exgenere umano, beni di consumo accatastati insieme ad altre
macerie in un mondo distopico molto vicino a quello orwelliano,
ma non distante neanche da quello di Huxley.
Laura Santini, MENTELOCALE, 16 MARZO 2011
Infine, il discorso si sposta dal piano politico a quello esistenziale: non conta più il passato, né esiste un futuro, ma solo il presente. Unico rifugio resta il palcoscenico, antica culla del sapere,
unico maestro per gli incolti.
Clara Rubbi, IL CORRIERE MERCANTILE, 17 MARZO 2011
Ho visto una’opera allegra questa sera, perché mi ha insegnato
a sentire le voci delle ombre e mi ha portato una nuova candela da accendere per quel futuro. Operetta in nero è un antidoto alle ombre.
Luciana Lanzarotti, TEATRO.ORG, 16 marzo 2011
Queste otto canzoni sono un vero capolavoro, in cui esce fuori
tutta la preparazione musicale del regista che ancora una volta
porta in scena il suo particolare modo di intendere il teatro. Un
ensemble di musica, prosa e videoproiezioni, in cui non c’è predominanza di una forma d’arte sull’altra e in cui tutto s’amalgama nel migliore dei modi per donare al pubblico un risultato di
gusto che indubbiamente affascina.
Francesca Camponero, IL GIORNALE, 22 marzo 2011
marzo | settembre 2011
TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm
28-03-2011
17:15
Pagina 6
6l
Rassegna di drammaturgia contemporanea In scena alla Piccola Corte tre testi inediti di autori europei
Storie inquiete dalle nuove generazioni
P r o d o t t a d a l Te a t r o S t a b i l e d i G e n o v a , l a R a s s e g n a d i D r a m m a t u r g i a C o n t e m p o r a n e a g i u n g e q u e s t ’a n n o a l l a X V I e d i z i o n e e r i b a d i s c e i l t r a d i z i o n a l e i n t e resse dello Stabile per i nuovi autori della scena internazionale. Ideata nel 1996 da Carlo Repetti, la Rassegna ha già sperimentato cinquanta nuovi testi,
numerosi dei quali sono poi diventati dei veri e propri spettacoli di produzione. Realizzata con la collaborazione degli istituti di cultura stranieri oper a n t i i n L i g u r i a , l a R a s s e g n a p r o p o n e q u e s t ’a n n o s u l p a l c o s c e n i c o d e l l a P i c c o l a C o r t e t r e n u ov i t e s t i ( p r ove n i e n t i d a R o m a n i a , S v i z ze r a e G r a n B r e t a g n a ) .
C i a s c u n o s p e t t a c o l o s a r à r a p p r e s e n t a t o a G e n o v a p e r c i n q u e r e p l i c h e c o n s e c u t i v e , d a m a r t e d ì a s a b a t o ( o r e 2 0 . 3 0 ) . I n g r e s s o l i b e r o s i n o a l l ’e s a u r i m e n t o d e i p o s t i .
SVIZZERA
ROMANIA / FRANCIA
GRAN BRETAGNA
PICCOLA CORTE
PICCOLA CORTE
PICCOLA CORTE
da martedì 24 a sabato 28 maggio (ore 20.30)
da martedì 31 maggio a sabato 4 giugno (ore 20.30)
da martedì 7 a sabato 11 giugno (ore 20.30)
Sempre insieme
Persone predilette Motor Town
(Toujours ensemble)
(Lieblingsmenschen)
(Motortown)
di Anca Visdei
di Laura de Weck
di Simon Stephens
versione italiana di Mariella Fenoglio e Roberto Della Casa
versione italiana di Luca Viganò
versione italiana di Giuliana Manganelli
regia di Matteo Alfonso
regia di Mario Jorio
regia di Antonio Zavatteri
con Barbara Alesse e Irene Villa
con Antonietta Bello, Alessandra Caviglia, Lucio De Francesco
con Pierluigi Pasino, Alex Sassatelli, Antonio Zavatteri, Agnese Ascioti
Fausto Morciano, Sarah Pesca
Caterina Fornaciai, Flavio Furno, Melania Genna, Luca Terracciano
Due sorelle nella Romania di Ceausescu.
Una aspira a diventare
scrittrice e l’altra attrice. La maggiore, Alexandra, si compromette con l’opposizione al
regime e le due sorelle
decidono insieme che
le conviene andare
all’estero. Da questo
momento il racconto
procede in forma epistolare, con le due ragazze che si raccontano (qualche volta con
reticenza) le reciproche esperienze. La solitudine, la fame, la ricerca di un lavoro. In Svizzera, Alexandra riesce infine a realizzarsi come scrittrice, mentre a Bucarest, Ioanna ottiene
qualche successo sul palcoscenico solo grazie alla protezione
di un funzionario di partito, che già corteggiava Alexandra.
Alexandra ringiovanisce mentre Ioanna invecchia. Così si
ritrovano nel dicembre 1989, quando (caduto Ceausescu),
Alexandra torna a Bucarest con il figlio.
Rapporti di coppia e di
amicizia tra studenti universitari. L’autrice racconta la propria generazione, mescolando in
modo personale scene
dialogate, monologhi e
mar tellanti scambi di
sms e individuando così nel linguaggio la via
principale per raccontare la confusione esistenziale dei giovani di
oggi. Lieblingsmenschen
(letteralmente Persone
predilette) porta in primo piano il personaggio di Lili, studentessa
di psicologia che vorrebbe essere sedotta dal riluttante Darius, ex della sua migliore
amica Jule; ma nell’intrecciarsi delle relazioni umane entrano in
gioco anche lo “sfigato” Sven e la speranzosa Anna, fidanzata
con il sempre assente Philips. Quest’ultimo è uno studente di
medicina, di cui tutti parlano, ma che non si vede mai. Forse
rappresenta la stabilità e la saggezza di cui tutti sono invano
alla ricerca, ma...
«Questa è una commedia sull’Inghilterra in
guerra» ha detto l’inglese Simon Stephens, specificando poi di aver
scritto Motor Town («una
commedia sulle conseguenze della guerra
al terrorismo e quindi
anche sulla guerra in
Iraq») di getto nel 2005,
a Londra, nelle ore che
vanno dall’euforia per
l’assegnazione delle Olimpiadi all’Inghilterra
alla tragedia collettiva
per le bombe terroriste
nella metropolitana. Reduce da Bassora, il protagonista Denny non si riconosce più nell’Inghilterra in cui fa ritorno. E a nulla servono gli incontri con le donne della sua vita,
con il fratello e con gli amici di una volta. Ormai non gli resta
che la strada, dove combatterà un’altra, più personale battaglia. Motor Town è un testo costruito per “stazioni”, in cui domina un crescente disagio esistenziale destinato a esplodere in
scena con sempre più violenza, spinta sino al limite dell’omicidio.
Nata a Bucarest, Anca Visdei ha
scritto la sua prima commedia a
quattordici anni e a diciannove ha
pubblicato il suo primo libro e ha vista messa in scena una sua pièce.
Dopo aver studiato regia all’Istituto
di Teatro e Cinema di Bucarest, si trasferisce come rifugiata politica in
Svizzera, dove diventa assistente alla
cattedra di diritto internazionale
presso l’Università di Losanna. Oggi
vive a Parigi, dove si occupa soprattutto di teatro. Ha scritto e messo in scena una trentina di
commedie. Ha inoltre pubblicato alcuni racconti per ragazzi e ha
lavorato per il cinema e per la televisione. Giornalista, insegna
arte drammatica e dirige due festival di cinema documentario.
Laura de Weck è nata a Zurigo nel
1981 e ha lavorato anche ad Amburgo e a Parigi, dove le sue opere
sono state già rappresentate. Ha studiato teatro allo Zurich College di
Musica e Drammaturgia, dove ha
scritto le sue prime commedie. Nel
2005, prende parte al Frankfurt
Playwrights Forum e partecipa a
workshops di drammaturgia a
Wolfenbüttel, Mannheim e Vienna
con la commedia Lieblingsmenschen, che è stata messa in scena per la prima volta a Basilea nel
marzo 2007. In seguito, ha scritto SumSum, presentata al Munich
Kammerspiele. Dalla stagione 2007/08, Laura de Weck è stata
scritturata come attrice al Junges Schauspielhaus d’Amburgo.
Nato nel 1971, Simon Stephens si è
laureato all’università di York e dal
2005 lavora nel dipartimento di letteratura teatrale del Royal Court
Theatre di Londra. Nel corso degli
anni ha scritto numerose commedie,
quasi tutte rappresentate sui palcoscenici inglesi e alcune premiate al
Festival di Edimburgo (Pornography,
2007) o segnalate come migliore
commedia dell’anno (Punk Rock,
2009). Tra le sue numerose opere
teatrali si possono ricordare anche Bluebird (1998), On the Shore
of the Wide World (2005), Harper Regan (2007) e Marine Parade,
The Trial of Ubu, T5 (tutte del 2010). Per la radio ha scritto Five
Letters Home to Elisabeth e Digging.
...e allora cambia!
www.amorchio.it
Stufo dei vecchi sistemi?
Il nuovo modo
di fare informazione
Quotidiano
ON-LINE
di cultura
e tempo libero
in Liguria
marzo | settembre 2011
TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm
28-03-2011
17:15
Pagina 7
l 7
Quando Berlino sognava la Provenza
Una stagione di “Hellzapoppin”
nel Foyer del Teatro della Corte
Margarete in Aix, commedia sui risvolti grotteschi della politica, è il testo scelto
per il saggio di fine anno della Scuola di Recitazione dello Stabile, in scena al Duse
a settembre. L’autore Peter Hacks era amico e collaboratore di Bertolt Brecht
Il saggio scelto quest’anno dalla Scuola di
Recitazione sarà Margarete in Aix di Peter
Hacks. Andata in scena per la prima volta
nel 1969 in Svizzera (a Basilea), quest’opera era stata scritta nel 1966 da un drammaturgo, poeta e saggista di primo piano
apparso sulla scena tedesca nella seconda
metà del Novecento e che pure, quando morì a Berlino nel 2003, era quasi dimenticato. E siccome era stato vittima di un ostracismo dovuto a prese di posizione ideologiche, vale la pena ripercorrere – se non altro
succintamente – la sua vita.
Nato nel 1928 in terra polacca, ma allora
tedesca, a Breslavia (oggi Wroclaw), Peter
Hacks studiò a Monaco dove nel 1951 si
laureò con una tesi dal titolo Il teatro
Biedermeier. Nel 1955, la grande svolta: lasciò la Germania Ovest per trasferirsi a Berlino Est dove al Berliner Ensemble, c’era
Brecht. In quel mitico teatro Hacks venne
presto scritturato come collaboratore nella
sezione di drammaturgia. Ma dopo qualche anno perse l’incarico.
Appartenente “all’esiguo partito degli
incorruttibili” (secondo un’azzeccata definizione), lui marxista pagò con l’isolamento
le proprie tenaci convinzioni politiche
refrattarie a cedimenti o compromessi.
Così, in una Germania ancora divisa, Hacks
si trovò a essere guardato con diffidenza sia
a Est che a Ovest e questa pregiudiziale si
prolungò nel tempo.
Eppure questo scrittore scomodo ha dato
molto al teatro. In tutta la sua ricca produzione (una cinquantina di opere), la concretezza dello sguardo, la musicalità dello
stile, la vena umoristica, la sperimentazione dell’assurdo si espandono con la libertà
dell’artista senza restare in nulla atrofizzate
da una qualsiasi partigianeria. È una dote
che gli viene riconosciuta sempre e ovunque, se solo si lascia che siano semplicemente le sue commedie a parlare. Legato a
Brecht da una forte consonanza d’idee e di
poetica, ma tutt’altro che suo pedissequo
seguace, Hacks ne echeggia il gusto per la
favola popolare intesa come parabola
didattica, tanto da scrivere racconti e commedie destinate a un pubblico infantile.
Ma anche la grande storia è una favola ed
ecco l’interesse di Hacks per episodi del
passato (le Indie di Cristoforo Colombo, il
Sacro Romano Impero di Ottone I, la Prussia di Federico II); finché a un certo punto
gli viene innanzi Shakespeare con le sue
Histories. Nasce Margarete in Aix. Questa
Margherita è storicamente lo stesso personaggio che domina la trilogia dell’Enrico VI
e riappare poi, indimenticabile accusatrice,
nel Riccardo III; in questa pièce la vediamo,
regina spodestata d’Inghilterra, esule in
Provenza - ad Aix, appunto - e in un anno
preciso, cioè il 1477, quando la Borgogna è
oggetto di due opposti interessi: da un
lato, la richiesta di alleanza da parte di
Margherita che in quanto vedova Lancaster
vorrebbe tornare sul trono inglese e battere l’odiato York, dall’altro, le mire di conquista territoriale da parte del re di Francia
Luigi XI. Si tratta di un momento cruciale in
cui la guerra inglese delle Due Rose s’intreccia con la formazione di un grande stato unitario francese. A Aix, Margherita si è
rifugiata presso la reggia del padre. Qui essa passa come un fantasma ossessionato
dalla vendetta fra gli svaghi di una corte
allietata dai trovatori. In una terra, la Provenza, “dove le canzoni fioriscono come
giardini e i giardini come canzoni”, il padre,
conosciuto come il “buon re Renato” protegge il teatro e la poesia. Su questo spunto offertogli dai documenti storici, il drammaturgo costruisce lo scontro fra due temperamenti e due modi di guardare alla vita,
tocca la dialettica fra arte e vita e nello
stesso tempo crea un mondo variegato
dove il dramma politico si mescola alla pochade, l’amor cortese alla buffoneria. Questo che si presenta come un dramma storico, l’autore può dunque ben definirlo “commedia”, anzi – nelle parole del Prologo
pronunciate significativamente dal Re di
Francia, sotterraneo motore di tutta la
trama – “una farsa”. Su tutto aleggia uno
spirito divertito e dissacrante perché l’imbecillità umana – sembra voglia dirci
Hacks – ha risvolti grotteschi e le manovre
della politica assomigliano a una tragica
farsa. C’è molta amarezza in questa considerazione, ma chi può dargli torto?
Questa Margarete in Aix non risulta abbia
avuto molte rappresentazioni in patria; nel
1973 Benno Besson la mise in scena al
Volksbühne di Berlino e nel 1976 ne è stata fatta in Germania un’edizione televisiva.
È praticamente sconosciuta nel resto del
mondo. Questa è la prima traduzione italiana. Si cimentano nella recita tutti gli allievi del 1° Corso di Qualificazione Professionale alla loro prima prova di palcoscenico; come è ormai simpatica consuetudine, è prevista la partecipazione di exallievi già diplomati.
Messo in prova al termine dell’anno scolastico, che ha potuto avere inizio solo a
gennaio, il saggio dedicato a Margarete in
Aix andrà in scena al Duse a settembre, in
data ancora da definire.
Anna Laura Messeri
L’incontro con Vittorio Franceschi (mercoledì 13 aprile, ore 17,30) e le letture dedicate a Nelly Bly e al suo giro del mondo in 72 giorni (venerdì 15 aprile, ore 17) concludono gli appuntamenti stagionali con Hellzapoppin - Arte
e artisti nel foyer della Corte.
Nel corso dell’anno un pubblico sempre molto numeroso ha potuto assistere a 12 conversazioni con i protagonisti, organizzate in collaborazione con
l’Associazione per il Teatro Stabile di Genova e condotte da Umberto Basevi,
il quale ha fatto parlare dei loro spettacoli e della loro carriera Eros Pagni,
Gian Piero Alloisio e Giuseppe Cederna, Franco Branciaroli, Paolo Bonacelli
con Patrizia Milani e Carlo Simoni, Andrea Jonasson e le altre interpreti di
Donna rosita nubile, Massimo Popolizio, Carlo Giuffré, Marco Sciaccaluga e
gli attori di Il ritorno a casa, Luca De Filippo, Marco Paolini, Andrea Liberovici e gli attori di Operetta in nero.
Gli spettatori dello Stabile hanno poi potuto seguire le letture dedicate ai
Racconti di donne audaci (Dora d’Istria, Henriette D’Angeville, Sophie
Blanchard e Nelly Bly) dall’Associazione culturale “L’incantevole aprile” e
apprezzare le cinque conferenze corredate d’immagini che la Fondazione
Mario Novaro ha dedicato quest’anno alla Riviste letterarie liguri con interventi di Andrea Aveto, Simona Morando, Stefano Giordanelli, Massimo
Bacigalupo e Diego Divano.
Sempre nel foyer della Corte ci sono stati anche la lettura di Passi affrettati
di Dacia Maraini e il Recital di Laura Curino, organizzati in collaborazione
con il Festival dell’Eccellenza al Femminile 2010; la Fondazione Paolo Grassi
ha proposto la rievocazione storica di una parte della corrispondenza tra i
direttori del Piccolo di Milano e dello Stabile di Genova; mentre la Coop
Liguria ha dedicato a Pino Caruso (protagonista di Il berretto a sonagli) il
suo incontro annuale con un attore di primo piano del cartellone di ospitalità dello Stabile genovese.
Datasiel al servizio del
Sistema Liguria
Soluzioni informatiche
innovative per il cittadino.
collegati al territorio
[Datasiel e Regione Liguria]
collegati al futuro
www.datasiel.net
marzo | settembre 2011
TGE06811_Giornale33.qxp:300x420mm
28-03-2011
17:15
Pagina 8
8l
spettacoli ospiti
Quanto Costa
di Enzo Costa
Duse, 4 aprile
con Carla Peirolero, Enrico Campanati,
Roberta e Gian Piero Alloisio
Fuori programma - ingresso libero
“Pensieri, parole, sogni e incubi di un umorista umorale” è il sottotitolo della serata a
ingresso libero dedicata ad Enzo Costa, autore (non solo) satirico, già firma di Tango e
Cuore, oggi collaboratore di la Repubblica e
L’Unità. Una sorta di diario pubblico con licenza di far ridere che riflette e (s)ragiona su
fatti e misfatti italici e mondiali, senza fare
sconti a nessuno (o quasi). Aforismi, invettive, rime recitate, monologhi, deliri, descrizioni surreali e racconti realistici, fiabe per
adulti e filosofie infantili, articoli editi, inediti e “lanternini” (la rubrica quotidiana firmata ogni giorno da Costa sulla prima pagina di
la Repubblica - Il Lavoro). Previste incursioni
e omaggi all’autore da parte di alcuni ospiti.
Forse l’opera che meglio sa raccontare l’Europa della seconda metà del Novecento. Un
classico contemporaneo, che con un dialogo
brillante, arguto, a tratti persino comico rappresenta il mondo dopo la catastrofe. Ritratto
di famiglia in un interno. C’è Hamm, patriarca
pressoché inerme e cieco; e c’è Clov, che, un
po’ servitore e un po’ figlio adottivo, si occupa
di lui da quando è bambino. Ma da due bidoni della spazzatura emergono ogni tanto
anche i genitori di Hamm, per i quali non c’è
nulla di più comico dell’infelicità umana. Tutti
attendono il “finale di partita”, vivendo esistenze dominate da rituali che evocano il
simulacro della vita. Con Vittorio Franceschi.
Mauro garibaldino
per caso
di Gian Carlo Ragni
Duse, 18 – 19 – 20 aprile
regia di Gian Carlo Ragni
Fuori abbonamento
dal 4 aprile al 22 maggio 2011
sformazione. Tra gli interpreti, Eugenio
Allegri, Natalino Balasso e Jurij Ferrini.
si sono diffuse, garantendo la sopravvivenza
stessa della musica indipendente degli Stati
Uniti. Una storia avventurosa e per molti
versi sorprendente: un divertente viaggio al
ritmo della chitarra acustica e degli strumenti che meglio l’accompagnano.
Madri clandestine
di Emilia Marasco
Duse, 11 – 15 maggio
regia di Antonio Zavatteri
Honour
di Joanna Murray-Smith
Duse, 27 aprile – 1 maggio
regia di Franco Però
Cosa succede quando un confortevole matrimonio borghese all’improvviso si frantuma?
Quando valori e responsabilità individuali
non possono più convivere? Quando si presenta la possibilità di rinnovare la propria
vita, ma a spese della felicità e della sicurezza di qualcun altro? E qual è l’impatto di
tutto ciò sulla famiglia?
Uno spettacolo di narrazione e musica
costruito dalla Compagnia del Suq intorno al
tema della maternità. Maternità clandestina o
negata. Maternità offesa. Maternità come
speranza di un futuro diverso. Basta un gesto,
perché la protagonista Nunzia (Carla Peirolero) diventi il personaggio di cui volta a
volta racconta: Danya, la donna che nonostante il regolare permesso di soggiorno non
Nemico di classe
di Nigel Williams
Duse, 5 – 10 aprile
regia di Massimo Chiesa
Un celebre testo generazionale che, riproposto a distanza di quasi trent’anni, rivela sul
palcoscenico tutta la sua contemporaneità.
Sei ragazzi chiusi nell’aula di una scuola di
periferia. Non sono eroi, ma i rappresentanti
di una generazione senza futuro. Sono abbandonati, sono isolati dal mondo, sono soli,
in attesa dell’arrivo di qualcuno che li possa
salvare e introdurre nella vita. In questo senso, quei ragazzi hanno qualcosa in comune
con i protagonisti di Aspettando Godot. Ma la
loro emarginazione è anche il risultato di una
scelta esistenziale. Uno spettacolo giovanile,
coinvolgente, emozionante, poetico e violento.
Finale di partita
di Samuel Beckett
Duse, 12 – 17 aprile
regia di Massimo Castri
In attesa di imbarcarsi per l’America, dove
spera di trovare quella fortuna che non ha
mai avuto nell’Italia da poco diventata
nazione, Mauro attacca discorso con un
gruppo di musicisti, ai quali inizia a raccontare le sue avventure (vere o inventate) di
garibaldino reclutato per caso da Nino Bixio.
Tra fandonie da osteria, racconti fantasiosi e
tanta musica, un modo divertito e divertente per ripercorrere alcuni momenti della storia di un’Italia che festeggia il centocinquantesimo anniversario della sua unità. Un concerto di parole e di musica che parla di
Garibaldi (tra le donne e gli ozi di Caprera) ed
evoca la spedizione dei Mille. Con Mauro
Pirovano protagonista.
Lui, George, è un famoso giornalista e un
influente critico letterario; sua moglie,
Honour, è stata una scrittrice di successo, ma
ha scelto di vivere all’ombra del marito. La
coppia ha una figlia, Sophie, studentessa
universitaria. L’intrusa è una giovane rampante, Claudia, incaricata d’intervistare l’intellettuale famoso. Il tema classico del triangolo amoroso rivisitato con fresca improntitudine. Con Paola Pitagora e Roberto Alpi.
può ricongiungersi con la figlia; Lin, orgogliosa della sua pancia e fragile come un albero di
pesco; Anna, alla ricerca di una figlia adottiva;
la mamma di Fatma, Zora, che ha i piedi più
belli di tutto il Magreb. E, intorno a loro, un
trionfo di musica, danze, canti e colori.
Tutto è bene
quel che finisce bene
di William Shakespeare
Duse, 17 – 22 maggio
regia di Daniela Ardini
Acoustic Night 11
di Beppe Gambetta
Corte, 5 – 6 – 7 maggio
regia di Beppe Gambetta
e Federica Calvino Prina
(segue da pagina 1)
«(...) Non dimentichiamo che “il
teatro in tutte le sue forme e con
la sua lunga e ricchissima storia”
è parte integrante della cultura
europea, e “già alla sua origine,
in Attica” esso era “la manifestazione pubblica più convincente e
splendida del nostro modello di
società democratica”. (...)
Il discorso sullo spettacolo come mondo espressivo e come
attività economica, come industria - richiede un’attenzione
specifica, per le gravi difficoltà
che sta attraversando, per l’incertezza che pesa sul suo futuro.
(...) Non c’è dubbio che al di là
di ciò si imponga una riflessione
di fondo e di prospettiva. Ed essa
deve comprendere l’insieme del
capitolo cultura e quindi delle
risorse pubbliche e private da
destinarvi: spettacolo, comprese
le istituzioni, anch’esse sofferenti, dell’opera lirica e della musica sinfonica, e musei, siti archeologici, palazzi storici, centri
urbani e luoghi paesaggistici da
preservare nella loro unicità, il
patrimonio straordinario, insomma, che abbiamo ereditato e che
abbiamo il dovere di preservare
e valorizzare.
Quale spazio, quale grado di
priorità merita tutto questo, la
risorsa cultura, nella legislazione e nel bilancio dello Stato e
delle Regioni, nelle cure delle
istituzioni nazionali e locali,
nelle scelte di investimento e
nelle donazioni dei privati? (...)
Abbiamo da fare i conti con una
riduzione, cui non possiamo
sfuggire, del nostro debito pubblico, nell’interesse, soprattutto, delle nuove generazioni,
sulle cui spalle non abbiamo il
diritto di scaricare un simile
peso. Ciò ci impone di ripensare
molte cose, in Italia e in
Europa, anche per come siamo
cresciuti finora, spesso al di
sopra delle nostre possibilità
nei paesi ricchi - ricchi nel contesto mondiale, per quanto
segnati al loro interno da squilibri e iniquità. (...)
Queste sono le prove, queste
sono le sfide attraverso cui passerà il futuro dell’Italia, e che
richiedono revisioni rigorose
nella spesa pubblica. Dobbiamo
discuterne seriamente e trovare
nuove vie per il nostro sviluppo
economico e sociale. Ma è con
serietà e convinzione che mi
sento di dire: queste vie non le
troveremo attraverso una mortificazione della risorsa di cui
l’Italia è più ricca: la risorsa
cultura, nella sua accezione
unitaria. Adoperiamoci perché
di ciò si convincano tutti e perché se ne traggano le conseguenze. Questo deve essere il nostro
solidale impegno».
E questo deve essere il nostro
costante lavoro, la nostra lotta
quotidiana.
Rusteghi
da Carlo Goldoni
Corte, 26 aprile – 1 maggio
regia di Gabriele Vacis
«Una commedia che parla ancora al nostro
tempo, all’intolleranza travestita da moralismo, alla difficoltà di mettersi in relazione,
alla mancanza di comunicazione di un’epoca
che proprio della comunicazione fa il proprio
vessillo». Così il regista Gabriele Vacis sintetizza il senso del suo spettacolo tratto da
I rusteghi di Goldoni. Una libera, ma rispettosa, rilettura tutta al maschile di un classico
della maturità del commediografo veneziano, sempre più tormentato dal disinganno di
una realtà storica in profonda e radicale tra-
Girata la boa del “Decennale”, Beppe Gambetta porta sul palcoscenico della Corte una
nuova Acoustic Night n° 11, circondandosi di
numerosi artisti ospiti per raccontare la
Radio (più precisamente la Radio d’America,
come puntualizza il sottotitolo) come mezzo
di comunicazione profondamente radicato
nella storia della musica americana: motore
attraverso cui le grandi musiche sono nate e
Una commedia ricca di brio e di eventi fantasiosi. Una “dark comedy” che si colora con
impronta picaresca, trovando la sua più
autentica vena comica nel personaggio del
ribaldo Parolles (nel quale è certo presente il
ricordo di Falstaff) e attingendo alla freschezza del gioco giovanile attraverso l’abile
stratagemma con cui Elena riesce a risolvere
il paradosso impostole dal riottoso marito
(aspettare un figlio da chi non la vuole e portare al dito l’anello dal quale l’amato mai si
separa), grazie soprattutto alla complicità
della bella Diana, figlia di una locandiera fiorentina. Quando Shakespeare rilegge a modo suo Boccaccio.
Ministero Beni e Attività Culturali
soci fondatori
COMUNE DI GENOVA
PROVINCIA DI GENOVA
REGIONE LIGURIA
sostenitore
partner della stagione
sostenitore
numero 33 • marzo | settembre 2011
Edizioni Teatro Stabile di Genova
piazza Borgo Pila, 42 | 16129 Genova
www. teatrostabilegenova.it
Presidente Prof. Eugenio Pallestrini
Direttore Carlo Repetti, condirettore Marco Sciaccaluga
Direttore responsabile Aldo Viganò
Collaborazione Annamaria Coluccia
Segretaria di redazione Monica Speziotto
Autorizzazione del Tribunale di Genova
n° 34 del 17/11/2000
Progetto grafico:
art: Bruna Arena, Genova (06811)
Stampa: Microart’s Genova
a Palazzo Ducale
L’invenzione della guerra
Quattro giorni di dialoghi con la storia a Palazzo Ducale dal 14 al 17 aprile 2011.
...Cosa cambia con la guerra? Quali cambiamenti sociali essa provoca? Può portare al progresso? Quali le motivazioni? Cambia la geografia,
alcuni popoli scompaiono, quali trasformazioni hanno luogo a causa di una guerra? E il progresso tecnologico? I bambini soldato?
Tra i partecipanti: Marco Aime, Alessandro Barbero, David Bidussa, Joanna Bourke, Anna Bravo, Lucio Caracciolo, Vincenzo Cerami,
Annping Chin, Angelo Del Boca, Giovanni De Luna, Marco Deriu, Richard J. Evans, Marcello Flores, Antonio Gibelli, Mario Giro, Paul Jankowski,
Nicola Labanca, Lauro Martines, David Meghnagi, Gabriele Ranzato, Ennio Remondino, Francesco Remotti, David Riondino,
Donald Sassoon, Barbara Schiavulli, Jonathan Spence, Gian Antonio Stella, Françoise Thébaut, Tzvetan Todorov.
marzo | settembre 2011