82 KB - Casa del Giovane

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Ultima Lectio di p. Giuliano Bettati
18 aprile 2010 - III domenica dopo Pasqua
Dal Vangelo di Giovanni
(Gv 21, 1-19)
(...) Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di
costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei
agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli
rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse
per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la
terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti
voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più
giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un
altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli
avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
Mi ami più di loro?! … ma che cosa significa veramente “amare di più”? Difficile da dire, ancor
più difficile, come ogni paradosso esistenziale, collocarlo con equilibrio nella complessità delle
relazioni. Ma ogni innamorato l’ha provato! Forse siamo al mondo (come un po’ troppo
schematicamente diceva l’antico catechismo) per imparare proprio questo - e ci vuole una vita!
Ognuno con la sua storia, le sue ferite, i suoi fallimenti e le sue illusioni… E i suoi ricominciamenti,
che - secondo Gesù -, la vita sempre riconcede. Perché, appunto, è inesauribile la fame che ci
muove di essere “amati di più”. E quando questa fame fosse finita siamo finiti anche noi, svuotati
come viaggiatori senza meta. Il Vangelo è lo smascheramento delle illusioni o ambiguità o falsità
del cammino, con un rigore ed una tenerezza sconcertanti – che inchiodano alla propria debolezza
impotente chiunque lo ascolti con sincerità e non cerchi di mascherare dietro le insufficienze altrui
le proprie paure e delusioni. E la voglia di tornare indietro. Di “amare di meno”, per soffrire di
meno! Il Vangelo non ci insegna una tecnica psicologica o psicanalitica, ma ci presenta un
personaggio - il protagonista di questa “buona notizia” del possibile ricominciamento - che ci
chiama ad un percorso dietro lui: va a dire ai miei fratelli che li aspetto in Galilea. La Galilea è il
posto da cui era partito per il suo viaggio finale. Fino alla sua passione, morte e risurrezione. Quante
attese, quanti entusiasmi, quanti passi di gioia e condivisione e quanti momenti duri e amari… per
arrivare fino a lì - per imparare ad “amare di più”. Con la sua famiglia e le inevitabili
incomprensioni, con i compaesani delusi e aggressivi, con i capi e i maestri del popolo, ma
soprattutto con gli amici, i discepoli e le donne, a cui ha aperto il cuore e la mente … senza risultati
immediati, ma senza pentimenti! Fino a patire all’estremo, nella pelle e nell’anima, cosa vuol dire
“amare di più”. Gesù ha mantenuto vivo questo fuoco (e la passione perché divampasse nel
mondo), nella fatica, nell’abbandono e nella solitudine - senza mai prendere occasione dalla
debolezza e nemmeno dal tradimento per diminuire l’amore! È il segreto misterioso di questa
qualità divino/umana dell’amore che vuole illuminare quest’ultima pagina pagine aggiunta al
vangelo di Giovanni, dopo che già era stato raccontato tutto.
“Rivolgendosi a Simone Gesù gli chiede: “Mi ami tu più di costoro?”. Richiesta esorbitante, non
solo perché rivolta a chi aveva rinnegato il suo Signore, non solo per quel curioso “più di costoro”,
ma anche e specialmente perché Gesù usa il verbo amare / agapào che indica l’amore totale,
esclusivo, incondizionato cioè perfetto, “santo”. Pietro non osa rispondere con lo stesso verbo
(forse lo avrebbe fatto prima di conoscere l’amara esperienza del tradimento): risponde
semplicemente e poveramente “Ti voglio bene”, usando il verbo dell’amore amicale philéo. Nella
seconda domanda Gesù insiste con la richiesta dell’amore totale e Pietro insiste nella seconda
risposta con l’offerta del suo povero, umile, amore. Alla terza domanda e risposta non è Pietro che
cambia il verbo: è Gesù! “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?” e Pietro - sebbene “addolorato che
la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?” (che fosse cioè Gesù ad avere dovuto cambiare il verbo
dell’amore) - gli risponde: “Signore, tu sai tutto, sai che ti voglio bene”. Si potrebbe quasi dire che
non è Pietro a convertirsi a Gesù, ma è Gesù che “si converte” a Pietro, si adatta al suo linguaggio
e alle sue possibilità. È questa “conversione di Dio” che mi colpisce profondamente: anche perché
è a partire da essa che Gesù pronuncia l’imperativo nel quale sbocca tutto l’itinerario educativo
con cui aveva formato il suo apostolo: “SEGUIMI!” (Gv 21, 19). Così dal fallimento è cominciata
la storia nuova della santità personale di Pietro, spinta fino al martirio, quando egli dirà, non più
con le parole, ma con il gesto della vita donata e con il silenzio eloquente della morte, la parola
dell’amore esclusivo e totale per il suo Signore!” (card Martini).
Gesù vive questa qualità dell’amore che è entrare nell’amore dell’altro, e lasciarsene mangiare …
Ci vuole una libertà interiore totale, di fronte alla quale la “diversità” (fosse anche l’immaturità!)
dell’amore dell’altro non è un limite, ma una sfida. Che esige un “di più” di amore e niente da
perdere, come dice Giovanni di Gesù : avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla
fine! Il giovane ricco era ricco di doti morali e di beni materiali, ma aveva paura di perderli. Gesù,
comunque, lo guardò e lo amò! E di certo il suo amore è rimasto dentro il giovane … ad attendere
la maturazione delle possibilità di germogliare. Pietro ha percorso tutte le tappe dell’immaturità
dell’amore: la presunzione (anche se tutti ti abbandonassero, io darò la vita per te!), il
rinnegamento, ribadito e drammatico (non conosco quell’uomo!). Ma l’amore di Gesù lo riaccoglie
e lo ama così com’è: Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro … (Lc 22,61). Ed ecco
nell’ultima pagina del vangelo, il perdono come rifondazione tenera e appassionata dell’amore,
instancabile e rigeneratore, sempre a partire dalle umane fragili possibilità soggettive. Chi “ama di
più” entra nell’amore dell’altro, accogliendolo e soffrendolo così come è – perché si fida più della
potenza mite ma inarrestabile (divina!) dell’Amore che della impazienza prepotente fremente della
propria fame!
Nel gioco sottile delle sfumature delle diverse parole sta forse nascosto il segreto della proposta
“cristiana” dell’amore, inaugurata da Gesù con l’esempio della sua vita. Lui ha amato ognuno di noi
“più di loro - nessuno ci ha amati così!”. Ha dato la vita per me, mentre io non ero ancora capace di
amare. E accoglie ognuno come è, più o meno capace di ricevere il suo invito, affidandosi alla forza
stessa interna all’Amore - come si accudisce un germoglio senza poterlo forzare, dandogli il suo
tempo. Questo vuol dire, nel limite storico della nostra quotidiana debolezza, il dono pasquale:
Ricevete lo Spirito santo! Gesù ha chiamato, accolto, lodato, rimproverato, perdonato… Pietro sempre nel segno dell’amore, sostenuto da una pazienza “materna” inesauribile, che solo la piena
gratuità della dedizione può sostenere. Forse ogni amore deve essere così: bisogna che l’altro cresca
e che io lo attenda, a costo di diminuire, a rischio di morire, prima che mi ami di ritorno. Amami più
di tutti, vorrà dire questo? Rendere Pietro (e tutti noi!) consapevole che l’amore che Gesù ha per lui
è così! Il “di più dell’amore”… vuol dire questo, dunque! E quando l’altro s’accorge e si strugge
[… addolorato, che per la terza volta gli domandasse : mi ami tu …?], forse gli matura dentro la
dinamica vera dell’Amore e scoppia la possibilità di un salto di qualità. Che non è prodotto della
nostra umanità di carne, ma dallo lo Spirito che lui ci ha mandato… e geme dentro di noi …
«Se si potesse possedere, afferrare e conoscere l’altro, esso non sarebbe l’altro. Possedere,
conoscere, afferrare sono sinonimi di potere. La relazione con altri è l’assenza dell’altro; non
assenza pura e semplice, non l’assenza del puro nulla, ma assenza in un orizzonte di avvenire,
un’assenza che è il tempo» (Emmanuel Lévinas).
Il tempo per maturare! Amare di più è accettare la sfida del tempo, dell’amore che non c’è ancora dunque la sfida della precarietà, ma anche della fecondità creativa! È affidarsi davvero all’altro, alla
sua libertà trepida e fragile, alle sue paure e al suo desiderio di ricomporre l’armonia della sua
dedizione, di reimparare ad amare … E per resistere, nel nostro piccolo struggente dramma
quotidiano, all’assenza dell’amore, alla solitudine che dà spazio all’altro di essere se stesso …
occorre l’aiuto di Chi nella concezione dinamica cristiana di Dio è l’Amore… che si vogliono gli
altri Due! Neanche nel nostro piccolo, infatti, ci può essere pasqua (l’incontro con il crocifisso
risorto!) senza pentecoste: senza che il suo Spirito ci entri nel cuore e lo coinvolga nella dinamica
del suo amore, lavandolo progressivamente da ogni ambiguità!