[sanazionale - 1] sanita/giornale/pag01 27/06/08

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[sanazionale - 1] sanita/giornale/pag01 27/06/08
10 DIBATTITI
1-7 luglio 2008
CHIRURGIA INNOVATIVA/ All’Ao di Alessandria il primo intervento con cellule autologhe
Le staminali che rigenerano i
Un team multidisciplinare ha scelto di associare il laser transmiocardico
DI
DANTE MEDICI *
C
ellule staminali autologhe per rigenerare cuori
resi più fragili dalle malattie cardiovascolari. Una strada
promettente che è stata battuta
con successo presso la cardiochirurgia dell’azienda ospedaliera
Santi Antonio e Biagio di Alessandria. Qui alcuni pazienti cardiopatici sono stati trattati con
cellule staminali autologhe, cioè
prelevate dallo stesso soggetto,
insieme alla terapia laser e all’applicazione di lisato piastrinico,
per migliorarne la vascolarizzazione e la funzione cardiaca compromesse. Questi interventi rappresentano una ulteriore variante
della sperimentazione clinica sulle cellule staminali, dopo i sorprendenti risultati degli esperimenti animali effettuati da Koh
e da Soonpaa e soprattutto da
Piero Anversa, uno scienziato di
Parma da tempo trapiantato negli Usa.
Questi ricercatori avevano dimostrato in maniera inequivocabile la possibilità biologica di stimolare in animali da esperimento la ricostruzione di vasi e cellule cardiache funzionanti, mediante l’utilizzo di cellule staminali.
Da allora numerosi centri cardiovascolari in tutto il mondo, e spo-
radicamente anche in Italia, hanno accelerato i tempi della sperimentazione clinica e tentato di
riprodurre gli stessi fenomeni sull’uomo.
Il motivo di tanto interesse
risiede nel fatto che le malattie
cardiovascolari sono la prima
causa di morte nel mondo industrializzato, e possono causare
nei soggetti colpiti, al di là della
morte, un’aspettativa di vita ridotta ed esiti talora invalidanti,
con conseguenze sociali ed
economiche rilevanti.
In questa numerosissima popolazione di malati, l’uso delle
cellule staminali potrebbe in teoria ripristinare
l’integrità cardiaca, generando nuove cellule
contrattili e vasi sanguigni. Il sogno di una pozione magica in
grado di rigenerare tessuti, e
quindi, di riconquistare la giovinezza perduta e di porre rimedio
a danni che sembravano irreparabili si è dunque affacciata di nuovo nella fantasia collettiva dell’umanità.
In campo clinico l’impiego
delle cellule staminali presenta
alcune varianti che riguardano
essenzialmente la via di somministrazione (intracoronarica o intramiocardica) e la tipologia di
staminali impiegate (embrionali
o adulte).
Le staminali embrionali hanno un alto potenziale riproduttivo, ma oltre a evidenti questioni
etiche, presentano il problema
che possono differenziarsi in tessuti diversi rispetto a quelli previsti, fino a quelli tumorali.
Le staminali
adulte, utilizzate ad Alessandria, sono già
predestinate allo sviluppo di
un determinato
tessuto. In caso
di lesioni cardiache gravi, come
nell’infarto miocardico, o dopo
stimoli meccanici o farmacologici specifici, le staminali midollari possono esaltare il loro potenziale rigenerativo, differenziandosi in nuovo tessuto vascolare e
cardiaco.
Questo fenomeno è stato ben
dimostrato da un recente studio
randomizzato e multicentrico
condotto in Germania e Svizzera, che ha evidenziato come l’utilizzo di cellule staminali midolla-
La disponibilità
dell’apparecchiatura
permette di ridurre
i tempi operatori
ri impiegate in soggetti colpiti da
infarto miocardico fossero in grado di migliorarne la ripresa funzionale rispetto a quelli non trattati.
La strada seguita ad Alessandria per la rigenerazione tissutale
presso il Dipartimento cardiovascolare dell’Ao nella cura delle
coronaropatie difficili inizia nell’ormai lontano 1998. Dapprima, infatti, si è cercato di stimolare la capacità intrinseca del
cuore a produrre nuovi vasi sanguigni attraverso la terapia laser
a olmio. Successivamente, con
la collaborazione del laboratorio
di medicina rigenerativa del centro trasfusionale, si è ulteriormente amplificato il fenomeno rigenerativo vascolare, con l’iniezione intramiocardica di lisato piastrinico, sostanza prodotta in casa e di basso costo, sicura in
quanto derivante dal paziente e
in possesso di una elevatissima
concentrazione di sostanze angiogenetiche naturali.
L’associazione della terapia
laser e del lisato piastrinico ha
rappresentato un ulteriore sviluppo innovativo nella terapia con
cellule staminali. La disponibilità recente di uno strumento tecnologico adeguato, in grado di
produrre una elevata concentrazione di cellule staminali, prele-
vate dal midollo osseo nel corso
della seduta operatoria stessa, ha
infine limitato al massimo uno
dei limiti principali delle tecniche tradizionali di terapia cellulare: la loro complessità e la perdita di tempo necessario a prelevare il sangue midollare, selezionare le cellule staminali ed espanderle successivamente in laboratori particolarmente sofisticati
prima di poterle utilizzare in sala
operatoria o di emodinamica.
L’uso del laser transmiocardico, del lisato piastrinico e delle
cellule staminali midollari autologhe prodotte nello stesso intervento è stato il naturale risultato
del lavoro svolto nel tempo da
un team multidisciplinare di cardiochirurghi, trasfusionisti, ematologi e anestesisti.
I pazienti sono stati selezionati in base alla presenza di ische-
INCONTRO TRA GLI STUDENTI DI MEDICINA FIORENTINI E I PROFESSIONISTI CON MALATTIE GRAVI E INVALIDANTI
«Gloria al medico che sa essere medicina di chi cura»
«R
e dell’intelletto e analfabeta
del sentimento» (Luban-Plozza): questo il rischio della formazione medica ai giorni nostri, tra utopia
del trionfalismo tecnologico e mancanza
di umanità. Nel curriculum formativo dei
futuri medici, nel gran proliferare di corsi
integrati ed esami, non esiste la possibilità
di verificare la disposizione d’animo, quella humanitas e quella amicitia, in cui gli
Antichi riassumevano le doti del medicus
gratiosus, il professionista preparato e, nello stesso tempo, devoto al suo prossimo,
capace di ascoltare e di prendersi cura
dell’altro. Un esame di Umanità. Questo è
quello che manca nelle facoltà di Medicina. La scienza moderna ha regalato al
medico di oggi ciò che i suoi predecessori
potevano solo sognare, una terapia mirata
per ogni patologia, l’illusione dell’onnipotenza. Una serie di scoperte straordinarie
e lo sviluppo della tecnologia hanno aperto, infatti, orizzonti inaspettati alla cura
delle malattie, dilatando in modo impensabile la cronicità. Eppure, alla scuola del
malato, i giovani medici arrivano impreparati, dimentichi che, alla base concettuale
della clinica, sta la convergenza di tre
attività di pensiero, ognuna delle quali ha
derivazione etimologica affine al termine
medicina (meditari, metiri, mederi). In
questa triade, si incontrano il bisogno di
una riflessione filosofica sul significato
dell’incontro tra esseri umani, l’esigenza
di una giusta misura in ogni atto professionale, da realizzare attraverso la conoscenza e l’applicazione corretta delle conoscenze scientifiche, la necessità di “prendersi
cura”, andando oltre la malattia, per farsi
carico dell’individuo nella sua interezza.
È questa la strada che hanno indicato gli
Autori del libro (Edizioni Rizzoli, 2006)
da cui ha avuto origine la Consulta dei
DI
DONATELLA LIPPI *
Tacuinum sanitatis Casanatense (XIV secolo)
medici malati, insediata dal ministro Livia
Turco, durante la passata Legislatura.
Un libro bianco, in cui registrare i punti critici della Sanità, per individuare i
rimedi, scritto da chi ha vissuto la medicina attraverso i fasti degli “altari”, e che
ora, apparentemente, è nella polvere. Durante l’incontro tenutosi con gli studenti
della facoltà di Medicina di Firenze (19
giugno), questa esperienza ha preso vita
attraverso le parole di Gianni Bonadonna,
Francesco Sartori, Zaira Margiacchi Bartoccioni, Paolo Barnard, che hanno indica-
to nel momento formativo la via di fuga
da una medicina disumana e disumanizzante. Sapere, saper fare, saper far fare e
saper continuare a formarsi rientrano tra
gli obiettivi formativi del percorso di studi, facilmente suscettibili di una verifica
tassonomica. Ma la qualità del medico,
che sfugge a qualunque valutazione quantitativa, sta soprattutto nel saper essere,
nel riuscire a essere - egli stesso - una
medicina.
Ippocrate, nel V secolo a.C., ha disegnato per primo questo concetto di allean-
za terapeutica e nel primo libro delle Epidemie ha tracciato i confini di questo patto: «Il malato aiuta il medico a combattere
la malattia». Se è vero, infatti, che in ogni
malato è viva la scintilla della autoguarigione, il medico, che fa tesoro della propria condizione di virtuale paziente, è
quella figura notturna che all’aspetto demiurgico del sapere unisce la dolorosa
consapevolezza della comune matrice
umana, corporea e mortale. «Spensi all’uomo la vista della morte…poi lo feci
partecipe del fuoco»: il “uaritore ferito” è
il centauro Chirone, che si sostituisce a
Prometeo, punito per aver donato agli uomini il fuoco del sapere tecnico e la
“speranza che non vede”, l’oblio della
morte, rendendoli così simili agli stessi
dèi. Il guaritore ferito è colui che, superando l’atarassia e il distacco, classicamente
considerati garanzia di oggettività, esercita l’arte della comprensione. Nella distinzione di Gadamer tra il verstehen - che
evoca l’empatia e la solidarietà - e
l’erklären - che richiama, invece, la mera
conoscenza teorica - c’è la richiesta di una
ragione eteroreferenziale, di un diàlogos,
tanto autorevole quanto aperto e franco,
pronto a tradursi in costante e attenta capacità di ascolto e, quindi, di cura dell’anima. Ascolto e onestà: osservare con attenzione i pazienti, ascoltarli, riuscire a leggere con intelligenza tra le righe, sviscerare i
vissuti, la quotidianità, i rapporti, approfondire il loro mondo di valori è ciò che
unisce, al di là dei ruoli, medico e malato.
Un “medico senza ferita” non può accendere il fattore di guarigione nel paziente.
Forse, è questo uno dei motivi per cui ci
piace tanto il Dr. House?
* Storia della Medicina
Facoltà di Medicna, Firenze
I
l modello ideale di Sanità è quello
che spende poco e bene. Il modello
inglese, a suo dire, sarebbe ottimo:
spende poco, ma sarebbe più giusto dire
che risparmia molto e si autodefinisce
tra i migliori del mondo. Chi però ne ha
esperienza comprende il perché quel sistema, anche se radicato in una cultura
fortemente orgogliosa e nazionalistica,
sia comunque continuamente colpito da
scandali per prestazioni e servizi limitati,
antiquati e per un’assistenza professionale inadeguata.
In Italia, dove siamo certamente meno sciovinisti, ci lamentiamo che si spende molto e che il nostro Ssn va a rotoli.
Ma così non è. Leggendo i dati statistici
dell’Oms, in realtà spendiamo meno di
tanti altri Paesi e, con buona pace di
alcuni nostri concittadini, irriducibili detrattori, l’Italia è al secondo posto al
mondo per la qualità del sistema sanitario.
Certamente soffriamo di grandi difformità territoriali ma, anche qui, non vi
sono certezze assolute. Abbiamo alcune
Regioni che si dicono eccellenti, smentite poi dai fatti e dalle cronache, altre che
si sottostimano ma che, nella sostanza,
trovano il cittadino soddisfatto. Disagi
organizzativi non significano inferiore
qualità professionale, e viceversa. È però
oggettivo che i costi siano diversi. Facciamo allora una semplice osservazione.
Come in Inghilterra si risparmia giacché ci sono pochi medici e poca medicina, in Italia si spende in relazione alla
presenza dei professionisti sul territorio.
È una sorta di “effetto Dr. Knock”. Salvo poche eccezioni, delle quali si potrà
dire nel particolare, l’Italia sembra preda
di questo “trionfo della medicina” così
come tratteggiato nella commedia di Jules Romains, dove un medico generico,
il dottor Knock, giunto in un piccolo
DIBATTITI
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per migliorare la funzione cardiaca
11
TECNOLOGIE DI ULTIMA GENERAZIONE
Una protesi “speciale” per migliorare
cuori malati il recupero di chi è colpito da artrosi
all’uso del lisato piastrinico
mia cardiaca non trattabile unicamente con mezzi convenzionali,
quali il bypass aorto-coronarico
o l’angioplastica coronarica, attraverso esami agiografici, ecocardiografici e scintigrafici, e
con il consenso informato degli
stessi sulla metodica proposta. Il
giorno prima dell’intervento, insieme agli esami ematochimici
standard, si prelevano 20 ml di
sangue per la preparazione del
lisato piastrinico. Altri 60 ml di
sangue midollare vengono poi
estratti direttamente in sala operatoria, dall’osso iliaco del paziente durante l’intervento cardiochirurgico, e processati con l’utilizzo di uno speciale apparato in
grado di concentrare il sangue
midollare ed estrarne le cellule
staminali. Che vengono mescolate, altro elemento di novità della
metodica, al lisato piastrinico, e
iniettate nel muscolo cardiaco
contemporaneamente o dopo la
terapia laser. A questo punto l’intervento viene eseguito come di
norma, con l’uso o meno della
circolazione extracorporea e
l’esecuzione, quando possibile,
di bypass aorto-coronarico nelle
sedi previste.
C’è speranza ed entusiasmo,
ma non fatue illusioni sui risultati conseguibili. Possedendo le
tecnologie idonee e limitando al
minimo eventuali rischi aggiuntivi, se mai ve ne fossero, non
bisogna delegare sempre ad altri
i sogni nostri e delle persone che
credono nella onestà intellettuale
e nelle buone intenzioni di chi si
addentra in strade ancora non
completamente esplorate.
DI
MARCO SCHIRALDI *
L’
artrosi è una malattia prevalentemente degenerativa della cartilagine di rivestimento delle superfici articolari, nella stragrande
maggioranza dei casi secondaria ad alterazioni della morfologia dei
capi articolari stessi. L’artrosi va differenziata dai fenomeni infiammatori cronici delle articolazioni (artriti) e la cui cura chirurgica prevede, in
caso di sostituzione dell’articolazione, il ricorso a una protesi totale. La
malattia artritica tende sempre a coinvolgere prima o poi tutta l’articolazione e una sostituzione parziale è quindi gravata da un alto rischio di
insuccesso. Nel ginocchio, l’artrosi è soprattutto secondaria ad alterazioni costituzionali dell’allineamento dell’arto (ginocchio varo o valgo,
ginocchia arcuate o ad X), precedenti meniscectomie o per malallineamento secondario a una precedente frattura guarita in modo non ottimale.
L’artrosi del ginocchio è un processo degenerativo
della cartilagine articolare che coinvolge in Italia milioni di persone e causa dolore e disturbi funzionali
dell’articolazione che dipendono dal grado di coinvolgimento delle diverse aree. La cura chirurgica prevede in alcuni casi la sostituzione protesica totale o
parziale dell’articolazione.
La gran parte delle operazioni di protesizzazione
prevede la sostituzione protesica totale dell’articolazione con la rimozione anche dei legamenti crociati
(60%) o per lo meno del legamento crociato anteriore
(40%). La protesizzazione totale è indubbiamente
un’operazione che permette il recupero di una deambulazione sufficiente e di un’articolazione sufficientemente mobile e indolore in molti casi
(non in tutti) sempre che il paziente si impegni in un lungo programma
di rinforzo muscolare e di riabilitazione.
Ecco quindi che laddove possibile, negli ultimi anni, non si esegue
più solo la sostituzione protesica di tutta l’articolazione, ma si preferisce
la sostituzione protesica parziale per rimpiazzare solo il compartimento
malato. Parliamo così di protesizzazione monocompartimentale femoro-tibiale interna, esterna o solo femoro-rotulea. La protesizzazione
* Direttore Dip.to cardiovascolare monocompartimenale permette un intervento senza il sacrificio dei
Ao Santi Antonio e Biagio legamenti crociati mantenendo intatti i restanti compartimenti osteolegae Cesare Arrigo - Alessandria mentosi. Ciò ha indubbi vantaggi in termini di minore invasività chirur-
gica, recupero funzionale più fisiologico e rapido, minori perdite ematiche e soprattutto una più semplice possibilità di sostituzione protesica in
caso di scollamento dell’impianto rispetto alla protesizzazione totale.
Tra il 2004 e il 2005, presso l’Ao “Santi Antonio e Biagio” di
Alessandria valutammo quindi l’estensione della malattia artrosica attraverso l’attenta osservazione intraoperatoria di tutti gli operati di protesizzazione totale. Ciò ha portato a riscontrare che, nel 35% circa dei casi in
cui si inserisce una protesi totale, l’artrosi coinvolge in realtà solo il
compartimento femoro-tibiale interno e quello femoro-rotuleo. Presso
la nostra Ao, come in pochi altri centri italiani ed esteri, negli ultimi
anni abbiamo deciso quindi di associare in casi selezionati (19 pazienti)
l’uso di due protesi monocompartimentali per risolvere il danno femoro-tibiale e femoro-rotuleo evitando l’impianto di una protesi totale e
minimizzando per questo l’invasività chirurgica. L’esigenza di una minore invasività e di risultati clinici
sempre migliori è stata captata dai ricercatori e dall’industria protesica con un progresso nel design e con il
mantenimento della biomeccanica protesica più vicina al ginocchio naturale: un impianto bicompartimentale, ma in un solo pezzo (monoblocco), già inserito
negli Usa e in Europa occidentale.
Ad Alessandria, la protesi bicompartimentale monoblocco impiantata per la prima volta in Italia lo
scorso febbraio, è stata nuovamente applicata in altri
pazienti. Permette di mantenere i vantaggi della protesizzazione monocompartimentale anche in presenza di un’estensione
della malattia artrosica ai due compartimenti più comunemente interessati (femoro-tibiale interno e femoro-rotuleo), risparmiando tessuto
osseo e legamentoso, mantenendo il più possibile la biomeccanica
articolare, velocizzando il recupero e migliorando la funzionalità dell’articolazione rispetto a quella raggiungibile con una protesi totale. L’uso
del nuovo impianto permette inoltre una migliore riproducibilità del
gesto chirurgico rispetto a quanto è possibile effettuare associando due
impianti monocompartimentali.
Minore invasività
grazie a un impianto
bicompartimentale
monoblocco
* Direttore Ortopedia e traumatologia
Azienda ospedaliera Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo - Alessandria
COSÌ IL NUMERO DI CAMICI BIANCHI FA LIEVITARE I COSTI
Più medici più spesa: l’effetto “dr. Knock” colpisce l’Italia
DI
CLAUDIO GIORLANDINO *
Le risposte: linee guida e ambulatorietà
La situazione Regione per Regione
N
essuno può avere una soluzione immediata per una problematica così strutturale sul territorio. Cionondimeno è necessario agire con lucidità e, in primo luogo,
emanare linee guida al fine di ridurre gli sprechi e le prestazioni inutili. Tutelare i
pazienti preda di medici che prescrivono terapie eccessive o indagini ripetitive,
superflue, pleonastiche. Il sistema linee guida limita le spese, razionalizza gli interventi
e viene adottato automaticamente in considerazione della sua valenza medico-legale.
Tale sistema, a causa dell’inerzia degli organi istituzionalmente incaricati, non prende
piede e un cittadino, per un semplice mal di testa, può trovare indifferentemente sia
un medico che gli prescrive un’aspirina che un altro che lo invia a eseguire una
risonanza magnetica. Vanno poi identificati con chiarezza i poli assistenziali. Agli
ospedali si devono erogare risorse per la degenza, l’urgenza e l’eccellenza. Questi
sono i loro fini e la loro specifica competenza. L’ambulatorietà trova invece il più alto
livello ergonomico nelle strutture a essa naturalmente dedicate.
Qui i costi sono molto minori, noti e previsti, non si devono “ripianare” senza
limiti, come avviene regolarmente negli ospedali. Le strutture ambulatoriali presentano qualità certificata, sono operative senza interruzione, forniscono prestazioni
urgenti, duttili con l’utenza e possono arrivare fino al domicilio del paziente. Queste
sono una sorta di triage a basso costo che assiste capillarmente il cittadino e ne
individua il trattamento in base alla diagnosi. Eseguire un controllo rigido e reprimere
immediatamente ogni abuso o frode da parte di tutte le strutture sanitarie e
particolarmente di quelle strutture private lì dove queste colludono o ingaggiano
relazioni “privilegiate” con le amministrazioni locali e lì dove, in complicità con
l’amministratore poco accorto o disonesto, lucrano poiché creano servizi o percorsi
assistenziali funzionali ai loro conti economici, non alle reali esigenze del cittadino. È in
tali aspetti che va ricercato il male della Sanità privata. Negli altri casi, dove questa
lavora nel libero e sano mercato del “concreto e reale” servizio al paziente, è una
risorsa straordinaria.
paese di montagna chiamato Saint Maurice, dove nessun medico prosperava a
causa della buona salute degli abitanti,
con la scusa di sottoporre tutti i residenti
a una visita gratuita di controllo, trasforma ben presto l’ameno paesello in un
gigantesco ospedale, arricchendosi.
Se facciamo un semplice raffronto tra
la Regione con maggiore spesa sanitaria,
il Lazio, e due delle più morigerate, come la Lombardia o il Veneto, ci accorgeremo che le percentuali di maggiore o
minore spesa annua pro-capite per cittadino seguono appieno le percentuali dei
medici sulla popolazione. Infatti il Lazio, con un medico su 115 abitanti, ha
una percentuale di dottori superiore di
circa il 30% rispetto alla Lombardia
Abitanti
per
Regione
Num.
medici
iscritti
agli albi
della
Regione
Num.
abitanti
per
medico
Spesa
totale
reg.le
(mln €)
Spesa
reg.le
divisa
per ogni
medico
Spesa
annua
per
abitante
della
Regione
Lazio
5.146.000
44.590
115
10.387
233.000
1.964
Calabria
2.011.466
14.869
134
2.972
199000
1.481
Sardegna
1.631.880
12.061
136
2.662
220000
1.611
Emilia R.
3.983.346
28.090
142
6.790
241000
1.629
Campania
5.701.931
37.402
150
9.603
256.000
1.659
Regioni
Molise
320.601
2.120
150
650
309.000
2.022
Friuli
1.183.764
7.277
163
1.927
264.800
1.597
Lombardia
9.122.000
55.301
164
14.269
258.000
1.512
Toscana
3.500.000
21.540
165
5.743
266.600
1.591
Puglia
4.020.707
23.157
173
6.103
263.000
1.517
Piemonte
4.214.677
24302
175
7.105
292.000
1.639
Sicilia
4.968.991
26.737
185
7.924
296.000
1.580
980.000
4.900
192
1.798
366.000
1.835
4.527.694
21.907
206
7.265
331.000
1.539
Trentino
Veneto
Fonte: Istat indicatori sanitari regionali 2005
(1/164) e, di conseguenza, ha una spesa
sanitaria per cittadino maggiore esattamente del 30% di quella lombarda. Il
Veneto, tra le più parsimoniose, ha un
medico su 200 abitanti: ne consegue che
la sua spesa sanitaria sia di gran lunga
inferiore a quella del Lazio.
Il principio sembra maggiormente dimostrato quando osserviamo che anche
le Regioni a maggiore vocazione spendereccia, come la Campania, la Calabria o la Sicilia in realtà hanno poi una
spesa sanitaria pro-capite abbastanza
contenuta e in genere lineare rispetto al
numero dei medici iscritti nei loro albi
professionali.
Ebbene, se accettiamo, pur con i suoi
“distinguo”, il principio generale Knock,
cioè che sono essenzialmente i medici a
creare medicina, e calcoliamo ipoteticamente, in media, quanto un medico spenda nella sua Regione, ecco che ci accorgiamo di una realtà inaspettata: le Regioni più morigerate hanno i medici che
richiedono maggiori risorse. Un medico
veneto spende oltre 331mila euro l’anno, uno lombardo 258mila, mentre nel
Lazio, solo 233mila euro. A questa regola si sfugge poco.
Anche il Molise, che sembra eccepirvi, giacché con il 24% di medici in
meno del Lazio spende circa il 10% in
più, in realtà ha una popolazione sanitaria maggiore di quella che appare dalla
mera iscrizione agli albi. Questa piccola
Regione è infatti “colonizzata” dalla megastruttura dell’Università Cattolica. Tale polo clinico di eccellenza, con i suoi
medici e protocolli in “trasferta”, richiede tali pareggi di bilancio da
“sconvolgere” tutti gli equilibri. Appare
così che i 2mila medici molisani risultino tra i più “spendaccioni” d’Italia con
una quota di 309mila euro. Infatti si
deve sottolineare che l’effetto Knock
consegue alla spinta sanitaria di tutti i
medici. Questi, indipendentemente dai
rapporti con il Ssn, prescrivono esami,
farmaci e richiedono prestazioni che, alla fine, ricadono sulla spesa regionale.
Allora come imputare esclusivamente alla Regione Lazio l’accusa di spendere molto quando ha così tanti medici da
“accontentare”? E, d’altra parte, come
imputare ai medici laziali di spendere
molto quando essi, pro-capite, spendono
circa 100mila euro in meno di un medico veneto? I medici, nel Lazio non spendono tanto: sono tanti.
* Membro esperto
Consiglio superiore di Sanità
Delegato ambulatorietà settore Sanità Uir