[sanazionale - 1] sanita/giornale/pag01 27/06/08
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10 DIBATTITI 1-7 luglio 2008 CHIRURGIA INNOVATIVA/ All’Ao di Alessandria il primo intervento con cellule autologhe Le staminali che rigenerano i Un team multidisciplinare ha scelto di associare il laser transmiocardico DI DANTE MEDICI * C ellule staminali autologhe per rigenerare cuori resi più fragili dalle malattie cardiovascolari. Una strada promettente che è stata battuta con successo presso la cardiochirurgia dell’azienda ospedaliera Santi Antonio e Biagio di Alessandria. Qui alcuni pazienti cardiopatici sono stati trattati con cellule staminali autologhe, cioè prelevate dallo stesso soggetto, insieme alla terapia laser e all’applicazione di lisato piastrinico, per migliorarne la vascolarizzazione e la funzione cardiaca compromesse. Questi interventi rappresentano una ulteriore variante della sperimentazione clinica sulle cellule staminali, dopo i sorprendenti risultati degli esperimenti animali effettuati da Koh e da Soonpaa e soprattutto da Piero Anversa, uno scienziato di Parma da tempo trapiantato negli Usa. Questi ricercatori avevano dimostrato in maniera inequivocabile la possibilità biologica di stimolare in animali da esperimento la ricostruzione di vasi e cellule cardiache funzionanti, mediante l’utilizzo di cellule staminali. Da allora numerosi centri cardiovascolari in tutto il mondo, e spo- radicamente anche in Italia, hanno accelerato i tempi della sperimentazione clinica e tentato di riprodurre gli stessi fenomeni sull’uomo. Il motivo di tanto interesse risiede nel fatto che le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte nel mondo industrializzato, e possono causare nei soggetti colpiti, al di là della morte, un’aspettativa di vita ridotta ed esiti talora invalidanti, con conseguenze sociali ed economiche rilevanti. In questa numerosissima popolazione di malati, l’uso delle cellule staminali potrebbe in teoria ripristinare l’integrità cardiaca, generando nuove cellule contrattili e vasi sanguigni. Il sogno di una pozione magica in grado di rigenerare tessuti, e quindi, di riconquistare la giovinezza perduta e di porre rimedio a danni che sembravano irreparabili si è dunque affacciata di nuovo nella fantasia collettiva dell’umanità. In campo clinico l’impiego delle cellule staminali presenta alcune varianti che riguardano essenzialmente la via di somministrazione (intracoronarica o intramiocardica) e la tipologia di staminali impiegate (embrionali o adulte). Le staminali embrionali hanno un alto potenziale riproduttivo, ma oltre a evidenti questioni etiche, presentano il problema che possono differenziarsi in tessuti diversi rispetto a quelli previsti, fino a quelli tumorali. Le staminali adulte, utilizzate ad Alessandria, sono già predestinate allo sviluppo di un determinato tessuto. In caso di lesioni cardiache gravi, come nell’infarto miocardico, o dopo stimoli meccanici o farmacologici specifici, le staminali midollari possono esaltare il loro potenziale rigenerativo, differenziandosi in nuovo tessuto vascolare e cardiaco. Questo fenomeno è stato ben dimostrato da un recente studio randomizzato e multicentrico condotto in Germania e Svizzera, che ha evidenziato come l’utilizzo di cellule staminali midolla- La disponibilità dell’apparecchiatura permette di ridurre i tempi operatori ri impiegate in soggetti colpiti da infarto miocardico fossero in grado di migliorarne la ripresa funzionale rispetto a quelli non trattati. La strada seguita ad Alessandria per la rigenerazione tissutale presso il Dipartimento cardiovascolare dell’Ao nella cura delle coronaropatie difficili inizia nell’ormai lontano 1998. Dapprima, infatti, si è cercato di stimolare la capacità intrinseca del cuore a produrre nuovi vasi sanguigni attraverso la terapia laser a olmio. Successivamente, con la collaborazione del laboratorio di medicina rigenerativa del centro trasfusionale, si è ulteriormente amplificato il fenomeno rigenerativo vascolare, con l’iniezione intramiocardica di lisato piastrinico, sostanza prodotta in casa e di basso costo, sicura in quanto derivante dal paziente e in possesso di una elevatissima concentrazione di sostanze angiogenetiche naturali. L’associazione della terapia laser e del lisato piastrinico ha rappresentato un ulteriore sviluppo innovativo nella terapia con cellule staminali. La disponibilità recente di uno strumento tecnologico adeguato, in grado di produrre una elevata concentrazione di cellule staminali, prele- vate dal midollo osseo nel corso della seduta operatoria stessa, ha infine limitato al massimo uno dei limiti principali delle tecniche tradizionali di terapia cellulare: la loro complessità e la perdita di tempo necessario a prelevare il sangue midollare, selezionare le cellule staminali ed espanderle successivamente in laboratori particolarmente sofisticati prima di poterle utilizzare in sala operatoria o di emodinamica. L’uso del laser transmiocardico, del lisato piastrinico e delle cellule staminali midollari autologhe prodotte nello stesso intervento è stato il naturale risultato del lavoro svolto nel tempo da un team multidisciplinare di cardiochirurghi, trasfusionisti, ematologi e anestesisti. I pazienti sono stati selezionati in base alla presenza di ische- INCONTRO TRA GLI STUDENTI DI MEDICINA FIORENTINI E I PROFESSIONISTI CON MALATTIE GRAVI E INVALIDANTI «Gloria al medico che sa essere medicina di chi cura» «R e dell’intelletto e analfabeta del sentimento» (Luban-Plozza): questo il rischio della formazione medica ai giorni nostri, tra utopia del trionfalismo tecnologico e mancanza di umanità. Nel curriculum formativo dei futuri medici, nel gran proliferare di corsi integrati ed esami, non esiste la possibilità di verificare la disposizione d’animo, quella humanitas e quella amicitia, in cui gli Antichi riassumevano le doti del medicus gratiosus, il professionista preparato e, nello stesso tempo, devoto al suo prossimo, capace di ascoltare e di prendersi cura dell’altro. Un esame di Umanità. Questo è quello che manca nelle facoltà di Medicina. La scienza moderna ha regalato al medico di oggi ciò che i suoi predecessori potevano solo sognare, una terapia mirata per ogni patologia, l’illusione dell’onnipotenza. Una serie di scoperte straordinarie e lo sviluppo della tecnologia hanno aperto, infatti, orizzonti inaspettati alla cura delle malattie, dilatando in modo impensabile la cronicità. Eppure, alla scuola del malato, i giovani medici arrivano impreparati, dimentichi che, alla base concettuale della clinica, sta la convergenza di tre attività di pensiero, ognuna delle quali ha derivazione etimologica affine al termine medicina (meditari, metiri, mederi). In questa triade, si incontrano il bisogno di una riflessione filosofica sul significato dell’incontro tra esseri umani, l’esigenza di una giusta misura in ogni atto professionale, da realizzare attraverso la conoscenza e l’applicazione corretta delle conoscenze scientifiche, la necessità di “prendersi cura”, andando oltre la malattia, per farsi carico dell’individuo nella sua interezza. È questa la strada che hanno indicato gli Autori del libro (Edizioni Rizzoli, 2006) da cui ha avuto origine la Consulta dei DI DONATELLA LIPPI * Tacuinum sanitatis Casanatense (XIV secolo) medici malati, insediata dal ministro Livia Turco, durante la passata Legislatura. Un libro bianco, in cui registrare i punti critici della Sanità, per individuare i rimedi, scritto da chi ha vissuto la medicina attraverso i fasti degli “altari”, e che ora, apparentemente, è nella polvere. Durante l’incontro tenutosi con gli studenti della facoltà di Medicina di Firenze (19 giugno), questa esperienza ha preso vita attraverso le parole di Gianni Bonadonna, Francesco Sartori, Zaira Margiacchi Bartoccioni, Paolo Barnard, che hanno indica- to nel momento formativo la via di fuga da una medicina disumana e disumanizzante. Sapere, saper fare, saper far fare e saper continuare a formarsi rientrano tra gli obiettivi formativi del percorso di studi, facilmente suscettibili di una verifica tassonomica. Ma la qualità del medico, che sfugge a qualunque valutazione quantitativa, sta soprattutto nel saper essere, nel riuscire a essere - egli stesso - una medicina. Ippocrate, nel V secolo a.C., ha disegnato per primo questo concetto di allean- za terapeutica e nel primo libro delle Epidemie ha tracciato i confini di questo patto: «Il malato aiuta il medico a combattere la malattia». Se è vero, infatti, che in ogni malato è viva la scintilla della autoguarigione, il medico, che fa tesoro della propria condizione di virtuale paziente, è quella figura notturna che all’aspetto demiurgico del sapere unisce la dolorosa consapevolezza della comune matrice umana, corporea e mortale. «Spensi all’uomo la vista della morte…poi lo feci partecipe del fuoco»: il “uaritore ferito” è il centauro Chirone, che si sostituisce a Prometeo, punito per aver donato agli uomini il fuoco del sapere tecnico e la “speranza che non vede”, l’oblio della morte, rendendoli così simili agli stessi dèi. Il guaritore ferito è colui che, superando l’atarassia e il distacco, classicamente considerati garanzia di oggettività, esercita l’arte della comprensione. Nella distinzione di Gadamer tra il verstehen - che evoca l’empatia e la solidarietà - e l’erklären - che richiama, invece, la mera conoscenza teorica - c’è la richiesta di una ragione eteroreferenziale, di un diàlogos, tanto autorevole quanto aperto e franco, pronto a tradursi in costante e attenta capacità di ascolto e, quindi, di cura dell’anima. Ascolto e onestà: osservare con attenzione i pazienti, ascoltarli, riuscire a leggere con intelligenza tra le righe, sviscerare i vissuti, la quotidianità, i rapporti, approfondire il loro mondo di valori è ciò che unisce, al di là dei ruoli, medico e malato. Un “medico senza ferita” non può accendere il fattore di guarigione nel paziente. Forse, è questo uno dei motivi per cui ci piace tanto il Dr. House? * Storia della Medicina Facoltà di Medicna, Firenze I l modello ideale di Sanità è quello che spende poco e bene. Il modello inglese, a suo dire, sarebbe ottimo: spende poco, ma sarebbe più giusto dire che risparmia molto e si autodefinisce tra i migliori del mondo. Chi però ne ha esperienza comprende il perché quel sistema, anche se radicato in una cultura fortemente orgogliosa e nazionalistica, sia comunque continuamente colpito da scandali per prestazioni e servizi limitati, antiquati e per un’assistenza professionale inadeguata. In Italia, dove siamo certamente meno sciovinisti, ci lamentiamo che si spende molto e che il nostro Ssn va a rotoli. Ma così non è. Leggendo i dati statistici dell’Oms, in realtà spendiamo meno di tanti altri Paesi e, con buona pace di alcuni nostri concittadini, irriducibili detrattori, l’Italia è al secondo posto al mondo per la qualità del sistema sanitario. Certamente soffriamo di grandi difformità territoriali ma, anche qui, non vi sono certezze assolute. Abbiamo alcune Regioni che si dicono eccellenti, smentite poi dai fatti e dalle cronache, altre che si sottostimano ma che, nella sostanza, trovano il cittadino soddisfatto. Disagi organizzativi non significano inferiore qualità professionale, e viceversa. È però oggettivo che i costi siano diversi. Facciamo allora una semplice osservazione. Come in Inghilterra si risparmia giacché ci sono pochi medici e poca medicina, in Italia si spende in relazione alla presenza dei professionisti sul territorio. È una sorta di “effetto Dr. Knock”. Salvo poche eccezioni, delle quali si potrà dire nel particolare, l’Italia sembra preda di questo “trionfo della medicina” così come tratteggiato nella commedia di Jules Romains, dove un medico generico, il dottor Knock, giunto in un piccolo DIBATTITI 1-7 luglio 2008 per migliorare la funzione cardiaca 11 TECNOLOGIE DI ULTIMA GENERAZIONE Una protesi “speciale” per migliorare cuori malati il recupero di chi è colpito da artrosi all’uso del lisato piastrinico mia cardiaca non trattabile unicamente con mezzi convenzionali, quali il bypass aorto-coronarico o l’angioplastica coronarica, attraverso esami agiografici, ecocardiografici e scintigrafici, e con il consenso informato degli stessi sulla metodica proposta. Il giorno prima dell’intervento, insieme agli esami ematochimici standard, si prelevano 20 ml di sangue per la preparazione del lisato piastrinico. Altri 60 ml di sangue midollare vengono poi estratti direttamente in sala operatoria, dall’osso iliaco del paziente durante l’intervento cardiochirurgico, e processati con l’utilizzo di uno speciale apparato in grado di concentrare il sangue midollare ed estrarne le cellule staminali. Che vengono mescolate, altro elemento di novità della metodica, al lisato piastrinico, e iniettate nel muscolo cardiaco contemporaneamente o dopo la terapia laser. A questo punto l’intervento viene eseguito come di norma, con l’uso o meno della circolazione extracorporea e l’esecuzione, quando possibile, di bypass aorto-coronarico nelle sedi previste. C’è speranza ed entusiasmo, ma non fatue illusioni sui risultati conseguibili. Possedendo le tecnologie idonee e limitando al minimo eventuali rischi aggiuntivi, se mai ve ne fossero, non bisogna delegare sempre ad altri i sogni nostri e delle persone che credono nella onestà intellettuale e nelle buone intenzioni di chi si addentra in strade ancora non completamente esplorate. DI MARCO SCHIRALDI * L’ artrosi è una malattia prevalentemente degenerativa della cartilagine di rivestimento delle superfici articolari, nella stragrande maggioranza dei casi secondaria ad alterazioni della morfologia dei capi articolari stessi. L’artrosi va differenziata dai fenomeni infiammatori cronici delle articolazioni (artriti) e la cui cura chirurgica prevede, in caso di sostituzione dell’articolazione, il ricorso a una protesi totale. La malattia artritica tende sempre a coinvolgere prima o poi tutta l’articolazione e una sostituzione parziale è quindi gravata da un alto rischio di insuccesso. Nel ginocchio, l’artrosi è soprattutto secondaria ad alterazioni costituzionali dell’allineamento dell’arto (ginocchio varo o valgo, ginocchia arcuate o ad X), precedenti meniscectomie o per malallineamento secondario a una precedente frattura guarita in modo non ottimale. L’artrosi del ginocchio è un processo degenerativo della cartilagine articolare che coinvolge in Italia milioni di persone e causa dolore e disturbi funzionali dell’articolazione che dipendono dal grado di coinvolgimento delle diverse aree. La cura chirurgica prevede in alcuni casi la sostituzione protesica totale o parziale dell’articolazione. La gran parte delle operazioni di protesizzazione prevede la sostituzione protesica totale dell’articolazione con la rimozione anche dei legamenti crociati (60%) o per lo meno del legamento crociato anteriore (40%). La protesizzazione totale è indubbiamente un’operazione che permette il recupero di una deambulazione sufficiente e di un’articolazione sufficientemente mobile e indolore in molti casi (non in tutti) sempre che il paziente si impegni in un lungo programma di rinforzo muscolare e di riabilitazione. Ecco quindi che laddove possibile, negli ultimi anni, non si esegue più solo la sostituzione protesica di tutta l’articolazione, ma si preferisce la sostituzione protesica parziale per rimpiazzare solo il compartimento malato. Parliamo così di protesizzazione monocompartimentale femoro-tibiale interna, esterna o solo femoro-rotulea. La protesizzazione * Direttore Dip.to cardiovascolare monocompartimenale permette un intervento senza il sacrificio dei Ao Santi Antonio e Biagio legamenti crociati mantenendo intatti i restanti compartimenti osteolegae Cesare Arrigo - Alessandria mentosi. Ciò ha indubbi vantaggi in termini di minore invasività chirur- gica, recupero funzionale più fisiologico e rapido, minori perdite ematiche e soprattutto una più semplice possibilità di sostituzione protesica in caso di scollamento dell’impianto rispetto alla protesizzazione totale. Tra il 2004 e il 2005, presso l’Ao “Santi Antonio e Biagio” di Alessandria valutammo quindi l’estensione della malattia artrosica attraverso l’attenta osservazione intraoperatoria di tutti gli operati di protesizzazione totale. Ciò ha portato a riscontrare che, nel 35% circa dei casi in cui si inserisce una protesi totale, l’artrosi coinvolge in realtà solo il compartimento femoro-tibiale interno e quello femoro-rotuleo. Presso la nostra Ao, come in pochi altri centri italiani ed esteri, negli ultimi anni abbiamo deciso quindi di associare in casi selezionati (19 pazienti) l’uso di due protesi monocompartimentali per risolvere il danno femoro-tibiale e femoro-rotuleo evitando l’impianto di una protesi totale e minimizzando per questo l’invasività chirurgica. L’esigenza di una minore invasività e di risultati clinici sempre migliori è stata captata dai ricercatori e dall’industria protesica con un progresso nel design e con il mantenimento della biomeccanica protesica più vicina al ginocchio naturale: un impianto bicompartimentale, ma in un solo pezzo (monoblocco), già inserito negli Usa e in Europa occidentale. Ad Alessandria, la protesi bicompartimentale monoblocco impiantata per la prima volta in Italia lo scorso febbraio, è stata nuovamente applicata in altri pazienti. Permette di mantenere i vantaggi della protesizzazione monocompartimentale anche in presenza di un’estensione della malattia artrosica ai due compartimenti più comunemente interessati (femoro-tibiale interno e femoro-rotuleo), risparmiando tessuto osseo e legamentoso, mantenendo il più possibile la biomeccanica articolare, velocizzando il recupero e migliorando la funzionalità dell’articolazione rispetto a quella raggiungibile con una protesi totale. L’uso del nuovo impianto permette inoltre una migliore riproducibilità del gesto chirurgico rispetto a quanto è possibile effettuare associando due impianti monocompartimentali. Minore invasività grazie a un impianto bicompartimentale monoblocco * Direttore Ortopedia e traumatologia Azienda ospedaliera Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo - Alessandria COSÌ IL NUMERO DI CAMICI BIANCHI FA LIEVITARE I COSTI Più medici più spesa: l’effetto “dr. Knock” colpisce l’Italia DI CLAUDIO GIORLANDINO * Le risposte: linee guida e ambulatorietà La situazione Regione per Regione N essuno può avere una soluzione immediata per una problematica così strutturale sul territorio. Cionondimeno è necessario agire con lucidità e, in primo luogo, emanare linee guida al fine di ridurre gli sprechi e le prestazioni inutili. Tutelare i pazienti preda di medici che prescrivono terapie eccessive o indagini ripetitive, superflue, pleonastiche. Il sistema linee guida limita le spese, razionalizza gli interventi e viene adottato automaticamente in considerazione della sua valenza medico-legale. Tale sistema, a causa dell’inerzia degli organi istituzionalmente incaricati, non prende piede e un cittadino, per un semplice mal di testa, può trovare indifferentemente sia un medico che gli prescrive un’aspirina che un altro che lo invia a eseguire una risonanza magnetica. Vanno poi identificati con chiarezza i poli assistenziali. Agli ospedali si devono erogare risorse per la degenza, l’urgenza e l’eccellenza. Questi sono i loro fini e la loro specifica competenza. L’ambulatorietà trova invece il più alto livello ergonomico nelle strutture a essa naturalmente dedicate. Qui i costi sono molto minori, noti e previsti, non si devono “ripianare” senza limiti, come avviene regolarmente negli ospedali. Le strutture ambulatoriali presentano qualità certificata, sono operative senza interruzione, forniscono prestazioni urgenti, duttili con l’utenza e possono arrivare fino al domicilio del paziente. Queste sono una sorta di triage a basso costo che assiste capillarmente il cittadino e ne individua il trattamento in base alla diagnosi. Eseguire un controllo rigido e reprimere immediatamente ogni abuso o frode da parte di tutte le strutture sanitarie e particolarmente di quelle strutture private lì dove queste colludono o ingaggiano relazioni “privilegiate” con le amministrazioni locali e lì dove, in complicità con l’amministratore poco accorto o disonesto, lucrano poiché creano servizi o percorsi assistenziali funzionali ai loro conti economici, non alle reali esigenze del cittadino. È in tali aspetti che va ricercato il male della Sanità privata. Negli altri casi, dove questa lavora nel libero e sano mercato del “concreto e reale” servizio al paziente, è una risorsa straordinaria. paese di montagna chiamato Saint Maurice, dove nessun medico prosperava a causa della buona salute degli abitanti, con la scusa di sottoporre tutti i residenti a una visita gratuita di controllo, trasforma ben presto l’ameno paesello in un gigantesco ospedale, arricchendosi. Se facciamo un semplice raffronto tra la Regione con maggiore spesa sanitaria, il Lazio, e due delle più morigerate, come la Lombardia o il Veneto, ci accorgeremo che le percentuali di maggiore o minore spesa annua pro-capite per cittadino seguono appieno le percentuali dei medici sulla popolazione. Infatti il Lazio, con un medico su 115 abitanti, ha una percentuale di dottori superiore di circa il 30% rispetto alla Lombardia Abitanti per Regione Num. medici iscritti agli albi della Regione Num. abitanti per medico Spesa totale reg.le (mln €) Spesa reg.le divisa per ogni medico Spesa annua per abitante della Regione Lazio 5.146.000 44.590 115 10.387 233.000 1.964 Calabria 2.011.466 14.869 134 2.972 199000 1.481 Sardegna 1.631.880 12.061 136 2.662 220000 1.611 Emilia R. 3.983.346 28.090 142 6.790 241000 1.629 Campania 5.701.931 37.402 150 9.603 256.000 1.659 Regioni Molise 320.601 2.120 150 650 309.000 2.022 Friuli 1.183.764 7.277 163 1.927 264.800 1.597 Lombardia 9.122.000 55.301 164 14.269 258.000 1.512 Toscana 3.500.000 21.540 165 5.743 266.600 1.591 Puglia 4.020.707 23.157 173 6.103 263.000 1.517 Piemonte 4.214.677 24302 175 7.105 292.000 1.639 Sicilia 4.968.991 26.737 185 7.924 296.000 1.580 980.000 4.900 192 1.798 366.000 1.835 4.527.694 21.907 206 7.265 331.000 1.539 Trentino Veneto Fonte: Istat indicatori sanitari regionali 2005 (1/164) e, di conseguenza, ha una spesa sanitaria per cittadino maggiore esattamente del 30% di quella lombarda. Il Veneto, tra le più parsimoniose, ha un medico su 200 abitanti: ne consegue che la sua spesa sanitaria sia di gran lunga inferiore a quella del Lazio. Il principio sembra maggiormente dimostrato quando osserviamo che anche le Regioni a maggiore vocazione spendereccia, come la Campania, la Calabria o la Sicilia in realtà hanno poi una spesa sanitaria pro-capite abbastanza contenuta e in genere lineare rispetto al numero dei medici iscritti nei loro albi professionali. Ebbene, se accettiamo, pur con i suoi “distinguo”, il principio generale Knock, cioè che sono essenzialmente i medici a creare medicina, e calcoliamo ipoteticamente, in media, quanto un medico spenda nella sua Regione, ecco che ci accorgiamo di una realtà inaspettata: le Regioni più morigerate hanno i medici che richiedono maggiori risorse. Un medico veneto spende oltre 331mila euro l’anno, uno lombardo 258mila, mentre nel Lazio, solo 233mila euro. A questa regola si sfugge poco. Anche il Molise, che sembra eccepirvi, giacché con il 24% di medici in meno del Lazio spende circa il 10% in più, in realtà ha una popolazione sanitaria maggiore di quella che appare dalla mera iscrizione agli albi. Questa piccola Regione è infatti “colonizzata” dalla megastruttura dell’Università Cattolica. Tale polo clinico di eccellenza, con i suoi medici e protocolli in “trasferta”, richiede tali pareggi di bilancio da “sconvolgere” tutti gli equilibri. Appare così che i 2mila medici molisani risultino tra i più “spendaccioni” d’Italia con una quota di 309mila euro. Infatti si deve sottolineare che l’effetto Knock consegue alla spinta sanitaria di tutti i medici. Questi, indipendentemente dai rapporti con il Ssn, prescrivono esami, farmaci e richiedono prestazioni che, alla fine, ricadono sulla spesa regionale. Allora come imputare esclusivamente alla Regione Lazio l’accusa di spendere molto quando ha così tanti medici da “accontentare”? E, d’altra parte, come imputare ai medici laziali di spendere molto quando essi, pro-capite, spendono circa 100mila euro in meno di un medico veneto? I medici, nel Lazio non spendono tanto: sono tanti. * Membro esperto Consiglio superiore di Sanità Delegato ambulatorietà settore Sanità Uir