Paper - SIET
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Gli effetti dell’internazionalizzazione produttiva sulla domanda di lavoratori delle imprese logistiche nelle regioni italiane Elena Maggi*, Stefano Elia^, Ilaria Mariotti° * Università del Molise, Facoltà di Economia, SEGeS, via De Sanctis, Campobasso, [email protected] ^ DIG-Politecnico di Milano, P.zza L. da Vinci, 32 – 20133 Milano, Tel. 02 2399 2756, Fax 02 2399 2710, [email protected] ° DIAP-Politecnico di Milano, P.zza L. da Vinci, 32 – 20133 Milano, Tel. 02 2399 3928, 02 2399 4105, [email protected] Abstract Il trasferimento delle attività produttive al di fuori dei confini nazionali e lo scambio commerciale su scala globale comportano, oltre che effetti diretti sull’impresa che internazionalizza, anche effetti indiretti sull’indotto ad essa collegato e quindi sui suoi fornitori di servizi. Il maggiore grado di apertura verso l’estero di un’impresa manifatturiera deve essere sostenuto da un adeguato sistema logistico. In caso di outsourcing dei servizi logistici, ci si attende dunque un impatto positivo sulle imprese che li producono, impatto che può essere misurato come crescita dimensionale di tali imprese o apertura di nuove unità. Il presente lavoro si inserisce in questo filone di ricerca, ponendosi l’obiettivo di verificare quale tipo di effetti indiretti siano provocati dall’internazionalizzazione del manifatturiero sull’occupazione del settore logistico nel periodo 1996-2001. Vengono considerate due forme di internazionalizzazione: gli investimenti diretti esteri (IDE) e il grado di apertura commerciale (importazioni ed esportazioni) oltre i confini nazionali. L’unità di osservazione considerata è la “regione-settore”, identificata come l’insieme di imprese operanti nella logistica e localizzate in una stessa regione geografica. L’analisi evidenzia che la domanda di lavoratori da parte delle imprese che forniscono servizi logistici in una regione è correlata positivamente agli IDE, alle esportazioni ed al valore aggiunto dell’industria manifatturiera e dei servizi localizzata nella regione stessa, mentre è inversamente correlata alle importazioni dai Paesi stranieri. 1. Introduzione Il trasferimento della produzione al di fuori dei confini nazionali, assieme all’estensione dei mercati di acquisto dei fattori produttivi e di vendita dei prodotti finiti, comportano importanti ripercussioni sulle attività logistiche delle imprese: maggiori flussi sia fisici, sia informativi da gestire e un’elevata performance del sistema logistico, in termini economici e di qualità dei servizi svolti, a supporto delle operazioni di internazionalizzazione. Gli effetti dell’internazionalizzazione della produzione riguardano sia l’impresa che effettua l’investimento (effetti diretti) che l’indotto ad essa collegato (effetti indiretti). Ad un maggiore grado di apertura verso l’estero di un’impresa manifatturiera corrisponde una maggiore richiesta di funzioni di supervisione, coordinamento e controllo delle attività disperse geograficamente, tra cui la logistica. Le imprese internazionalizzate possono, 1 tuttavia, scegliere di mantenere all’interno la gestione della logistica (insourcing) oppure affidarla a fornitori specializzati (outsourcing). Se prevale il primo tipo di scelta, l’internazionalizzazione comporta effetti diretti, ovvero ci si aspetta un aumento degli addetti alla logistica dell’impresa stessa. Nel caso in cui predomini la decisione di esternalizzare la logistica, invece, ci si attendono effetti indiretti, quali per esempio l’aumento dell’occupazione delle imprese logistiche esistenti o la nascita di nuove imprese. Il presente lavoro si inserisce in quest’ultimo filone di ricerca e si pone l’obiettivo di fornire evidenza circa gli effetti indiretti dell’internazionalizzazione sull’occupazione del settore logistico nel periodo 1996-2001. L’unità di osservazione considerata non è, quindi, la singola impresa, ma la “regione-settore” identificata come l’insieme di imprese operanti nella logistica e localizzate in una stessa regione geografica (20 regioni e 11 subsettori logistici). Sono considerate due forme di internazionalizzazione: il grado di apertura commerciale delle regioni oltre i confini nazionali e il livello di delocalizzazione produttiva delle stesse. La prima forma è misurata in termini di tasso di crescita delle esportazioni e delle importazioni, che si è verificato in ciascuna regione nel periodo 1996-2001. Come indicatore della seconda forma di internazionalizzazione si sono utilizzati, invece, gli investimenti diretti esteri (IDE) del settore manifatturiero italiano cumulati in un orizzonte temporale di sei anni (1994-1999), misurati in termini di numerosità degli addetti nelle affiliate straniere. I dati sulle esportazioni e importazioni, comunque, includendo al loro interno anche le esportazioni e importazioni temporanee, permettono di considerare, almeno in parte, anche una terza forma di internazionalizzazione: quella esplicata attraverso accordi di cooperazione non equity, soprattutto se svolti secondo la modalità del subappalto. Viene inoltre valutato l’effetto prodotto sull’occupazione del settore logistico da parte delle diverse forme di IDE, scorporando gli investimenti in tre tipologie, a seconda dell’area geografica di destinazione dell’investimento (Paesi più sviluppati – OECD; Paesi in via di sviluppo – PVS; Paesi dell’Europa centrale e orientale - PECO). Il lavoro è strutturato come segue. Nel secondo paragrafo vengono presentati sia le diverse forme di internazionalizzazione attuate dalle imprese, sia i principali risultati della rassegna della letteratura sull’impatto dell’internazionalizzazione rispetto alla domanda di occupati nella logistica. La terza sezione si concentra sulla descrizione dei dati e della metodologia utilizzati per l’analisi. Sono poi presentate le principali evidenze empiriche risultanti dalle elaborazioni statistico-descrittive e dall’analisi econometrica e, a chiusura, le conclusioni. 2. L’internazionalizzazione produttiva e l’impatto sui servizi logistici 2.1 Le diverse forme di internazionalizzazione produttiva Negli ultimi decenni il fenomeno dell’internazionalizzazione ha coinvolto in misura crescente tutti i sistemi produttivi dei Paesi industrializzati e in Italia, in particolare, ha interessato prima le grandi imprese e successivamente anche le PMI. Tale fenomeno può esplicarsi in diverse forme, importanti da comprendere, perché comportano impatti spesso differenti sulle imprese che internazionalizzano e sul relativo indotto. Esse possono essere classificate in tre grandi categorie: (i) investimenti diretti all’estero (IDE); (ii) accordi di cooperazione; (iii) commercio internazionale. 2 Gli IDE (i) sono la forma più diretta di internazionalizzazione, in quanto portano l’impresa investitrice a partecipare al capitale di un’impresa estera, eventualmente con uno o più soci (fusioni o acquisizioni di pacchetti azionari e joints ventures). Essi rappresentano, quindi, la modalità più impegnativa ed articolata di ingresso nei mercati esteri, poiché richiedono un forte investimento di risorse e un impegno di medio-lungo termine. Gli IDE vengono distinti in letteratura in due categorie: investimenti greenfield, quando consistono nell’apertura di una nuova unità economica e investimenti brownfield, nel caso in cui comportino l’aggiunta di capacità produttiva ove è già presente una certa quantità di capitale fisso. Gli IDE vengono anche definiti accordi equity, in quanto implicano il coinvolgimento di quote azionarie nell’investimento. Gli accordi di cooperazione o partnership (ii), invece, vengono definiti non equity in quanto non comportano investimenti in quote azionarie di imprese e possono esplicarsi secondo differenti modalità (Ietto-Gillies, 2005): a) licensing; b) franchising; c) alleanze strategiche; d) subappalto. La prima modalità (a) consiste in un accordo contrattuale che comporta la cessione all’impresa del Paese straniero di licenze relative all’uso del nome della marca, dei marchi, dei brevetti, del design, di tecnologie o di interi prodotti. Nel secondo caso (b) l’azienda straniera (franchisee) svolge un’attività economica, beneficiando del marchio commerciale, del design o della formula commerciale dell’impresa che internazionalizza (franchisor). La terza modalità (c), invece, comporta lo sviluppo di forme di collaborazione tra imprese indipendenti relative alla conduzione di specifiche attività. Le alleanze possono trasformarsi in joint-ventures, quando avviene uno scambio di pacchetti azionari; in tal caso rientrano nella categoria degli IDE, come detto sopra. Infine, il sub-appalto (d) si verifica quando l’impresa che internazionalizza (appaltatore) piazza degli ordini all’impresa straniera (appaltante) relativi alla produzione di parti o componenti o all’assemblaggio di un prodotto, che sarà poi venduto dall’appaltatore. Il commercio internazionale (iii), infine, consiste nello scambio di beni e servizi attraverso le frontiere nazionali, ed è solitamente la prima modalità adottata dalle imprese che si affacciano sul mercato globale, in quanto implica un basso grado di coinvolgimento e di rischio da parte dell’impresa che la attua. Nell’ambito del commercio internazionale sono incluse: a) esportazioni e importazioni tra industrie diverse (commercio inter-industriale); b) scambi di beni e servizi tra unità della stessa impresa multinazionale operanti in Paesi diversi (commercio intra-aziendale); c) esportazioni e importazioni di prodotti appartenenti alla stessa categoria industriale (commercio intra-industriale). Si stima che oltre i tre quarti del commercio internazionale facciano capo alle imprese multinazionali e oltre un terzo sia su base intra-aziendale (IettoGillies, 2005). I flussi di commercio internazionale comprendono, inoltre, le esportazioni e importazioni temporanee, tipicamente utilizzate dalle PMI che appartengono alla stessa filiera produttiva (commercio intra-industriale). All’interno dei flussi bilaterali tra due aree produttive si possono, infatti, identificare flussi relativi al medesimo processo produttivo, in base alla loro appartenenza a determinate categorie merceologiche e filiere (Corò e Volpe, 2004). Se si osserva, per esempio, una sistematica esportazione di beni da parte di un sistema locale specializzato (i.e. distretto industriale) verso una determinato Paese estero, relativi ad una fase 3 a monte della filiera produttiva e una correlata importazione di beni relativi ad una fase a valle secondo la stessa direttrice geografica, se ne può dedurre che il Paese estero svolge un’attività produttiva sistematica e funzionale all’interno della filiera governata dal sistema locale analizzato. Le importazioni ed esportazioni temporanee vengono prevalentemente generate dagli accordi di collaborazione del tipo non equity, soprattutto nella forma del subappalto. Nell’ambito delle esportazioni e importazioni temporanee rientra anche il traffico di perfezionamento (Tp), che può essere attivo (Tpa) o passivo (Tpp). Si tratta di uno strumento, caratterizzato da un regime doganale speciale, utilizzato negli scambi tra imprese del territorio UE e quelle localizzate nelle aree esterne all’Unione Europea. In particolare, il traffico di perfezionamento passivo (Tpp) è costituito da esportazioni temporanee dall'UE di merci destinate ad essere perfezionate al di fuori del territorio economico dell'UE, per essere successivamente re-importate, “a scarico delle stesse esportazioni temporanee”. Viceversa, il traffico di perfezionamento attivo (Tpa) rileva i movimenti in entrata di merci destinate a subire perfezionamento nel territorio economico dell'UE (importazioni temporanee) e quelli di esportazione a scarico di precedente importazione temporanea (riesportazioni)1. La fonte informativa del TP consente, tuttavia, di cogliere soltanto una parte dei processi di decentramento internazionale della produzione. Questo per almeno quattro motivi: (i) la volontarietà nel dichiarare il traffico di perfezionamento come tale; (ii) il Tp viene considerato solo all’interno di processi di integrazione verticale e orizzontale della stessa industria, ma non riesce a cogliere forme più complesse di relazione produttiva inter-industriale; (iii) le condizioni doganali stanno rapidamente cambiando, si pensi all’allargamento dell’UE; (iv) infine, il Tp consente di rilevare soltanto i movimenti bilaterali che hanno come origine e destinazione finale la stessa impresa, mentre non può cogliere le esportazioni di beni che, dopo la fase di lavorazione all’estero, vengono re-importati da altre imprese, o comunque destinati al mercato di beni intermedi, sia sulla stessa relazione commerciale, sia estero su estero (per un approfondimento si rimanda a Baldone et al., 1997; 2002; Corò e Volpe, 2004). Le esportazioni e importazioni temporanee sono connesse al processo sempre più diffuso di frammentazione internazionale della produzione, che consiste nella “scomposizione tecnica ed organizzativa dei cicli produttivi e nella conseguente differenziazione spaziale (internazionale) nella localizzazione delle distinte fasi del processo industriale” (Corò e Volpe, 2006; Arndt e Kierzhowsky, 2001; Zysman e Schwartz, 1998). In altri termini, si tratta del processo tramite il quale attività produttive, precedentemente integrate, sono segmentate e distribuite in un network internazionale di siti produttivi. Il termine frammentazione si riferisce alla suddivisione di un processo di produzione verticalmente integrato, in due o più componenti, o “frammenti”. Tale frammentazione è effettuata in base a differenti disponibilità, costo e qualità dei fattori produttivi o ai fini della penetrazione strategica in nuovi mercati. Da ciò deriva la necessità di spostare semilavorati e componenti da un Paese ad un altro per sottoporli a ulteriori lavorazioni, con implicazioni dirette sulla struttura e sul volume del commercio internazionale (Ietto-Gillies, 2005). In particolare, la frammentazione internazionale della produzione dà luogo a flussi di esportazioni di beni intermedi che devono 1 La rilevazione separata del Tp avviene perché il regime è soggetto ad una serie di agevolazioni doganali e tariffarie, e dunque le imprese sono incentivate (ma non obbligate) a registrare i flussi di esportazione o importazione temporanea come tali per poter beneficiare di queste agevolazioni. 4 essere soggetti ad una trasformazione, per poi essere re-importati nello stesso luogo da cui provengono o esportati direttamente dal luogo di ultima lavorazione (Corò e Volpe, 2006). Nel presente lavoro sono considerate tutte le suddette forme di internazionalizzazione (IDE, accordi di cooperazione, commercio internazionale), con l’esclusione degli accordi non equity che non danno luogo a esportazioni e importazioni temporanee. 2.2 Effetti indiretti dell’internazionalizzazione sui servizi logistici L’internazionalizzazione produttiva, a seconda delle forme con cui è intrapresa, può avere effetti diretti o indiretti sul contesto di origine: i primi si manifestano sull’impresa multinazionale (variazione quantitativa e qualitativa della forza lavoro, variazione di produttività, ecc.); i secondi si propagano lungo la catena del valore e risentono quindi dell’intensità delle relazioni tra l’impresa madre e le aziende con cui interagisce, siano esse manifatturiere o di servizi. Di per sé, in entrambi i casi, si possono verificare ricadute sia positive che negative sull’impresa e sul contesto in cui opera (per una rassegna si rimanda a Agarwal, 1997; Lipsey, 2002; Barba Navaretti, Venables, 2004; Piscitello e Santangelo, 2007). Nello specifico, i possibili effetti positivi possono riguardare, in primo luogo, un aumento della produttività dell’impresa che internazionalizza e del sistema locale in cui opera, indotto dall’incremento della pressione competitiva, che da locale diviene globale, e reso possibile anche dall’accesso a input più economici. In secondo luogo, condurre attività all’estero può richiedere uno skill upgrading delle mansioni a livello dell’impresa madre, cioè un aumento della qualificazione della forza lavoro, necessario per poter gestire la complessità delle relazioni produttive internazionali (Slaughter, 2000; Head e Ries, 2002; Lipsey, 2002). Relativamente invece agli impatti negativi, il trasferimento all’estero di attività produttive, soprattutto nel caso di esportazione diretta dell’output dal luogo di delocalizzazione, può portare ad una riduzione degli occupati in determinati profili mansionistici (a bassa qualifica) su base domestica, soprattutto quando l’internazionalizzazione è rivolta verso Paesi con manodopera a basso costo. Inoltre, la riduzione degli ordinativi verso i fornitori implica un rischio meno evidente ma non meno significativo e cioè la perdita di occasioni di apprendimento e di crescita legate alla relazione in sé tra cliente e fornitore, oltre che provocare un ridimensionamento e/o la chiusura di alcune imprese fornitrici manifatturiere e di servizi (Mariotti e Piscitello, 2007). La graduale sostituzione di piccole e medie imprese italiane con fornitori esteri è uno degli elementi su cui si concentra il recente dibattito economico sulla sopravvivenza dei distretti industriali e sulla riorganizzazione delle filiere produttive. La letteratura nazionale e internazionale si è focalizzata sull’analisi degli effetti diretti dell’internazionalizzazione sull’impresa manifatturiera, mentre sono ancora limitate le indagini volte ad approfondire l’impatto sul contesto in cui l’impresa opera2 ed in particolare 2 Per citarne alcuni: Slaughter (2000) analizza l’impatto degli investimenti diretti esteri sull’occupazione e lo skill upgrading delle multinazionali (IMN) statunitensi e conduce l’analisi sia a livello di impresa che di settore produttivo; Head e Ries (2002) effettuano un’analisi simile a quella di Slaughter (2000) con riferimento alle IMN giapponesi; Elia et al. (2007) studiano l’impatto degli IDE sulla domanda di lavoro degli occupati a livello di “regione-filiera produttiva” in Italia. 5 sui servizi. Come detto nell’introduzione, l’espansione sui grandi mercati internazionali implica un aumento dei compiti di supervisione, coordinamento e controllo delle attività disperse geograficamente, un’estensione qualitativa e quantitativa delle funzioni di R&S, di marketing, di logistica ed in genere di attività che sono inizialmente centralizzate presso la casa-madre. Ne consegue un aumento del fabbisogno dei lavoratori high-skilled presso gli insediamenti di origine dell’impresa investitrice e un incremento della domanda di servizi delle imprese internazionali (Blomström et al., 1997; Fors e Kokko, 1999). Si tratta di servizi che consentono di controllare e gestire le attività estere e i flussi di informazioni e di merci tra le diverse sedi e rispetto ai mercati di approvvigionamento e distribuzione. In questo contesto, assume particolare interesse la relazione che lega l’internazionalizzazione produttiva alle attività logistiche. I processi di internazionalizzazione delle imprese, soprattutto quelli che riguardano la sopra definita frammentazione internazionale della produzione, hanno un impatto rilevante su tutte le attività logistiche, perché da un lato aumentano i flussi da movimentare e i punti di stoccaggio e lavorazione della merce; dall’altro sono sostenuti e facilitati da un efficiente ed efficace sistema logistico (per un approfondimento si rimanda a Maggi et al., 2007). Nei casi di frammentazione produttiva, la logistica assume il difficile compito di coordinamento delle diverse sedi e di controllo affinché i diversi “frammenti” di produzione interagiscano nel modo giusto. Gli effetti del trasferimento di attività produttive e degli scambi commerciali internazionali sulla logistica sono diversi. In primo luogo (a), si verifica un aumento dei flussi di merci da movimentare e di persone, causato, per quanto concerne gli IDE, dagli spostamenti tra le diverse unità produttive e distributive e, relativamente alle esportazioni ed alle importazioni, dalle movimentazioni da e verso i mercati di approvvigionamento e distribuzione, nonché dai flussi di esportazioni di beni di investimento verso le aree di localizzazione. In secondo luogo (b), la necessità di collegare luoghi anche molto distanti tra loro, l’aumento del numero di mercati locali dell’output e lo sviluppo di operazioni estero-su-estero inducono sia le imprese manifatturiere, sia gli operatori logistici ad effettuare una ristrutturazione delle reti di approvvigionamento, produzione e distribuzione, che diventano sempre più estese, con conseguente razionalizzazione dei nodi logistici (ECMT, 1996; Maggi, 1998; Brewer et al., 2001; Corò e Volpe, 2006). L’aumento dei flussi e della complessità del sistema logistico e l’estensione delle reti logistiche comportano anche un terzo effetto (c): l’aumento dei lavoratori dedicati alla pianificazione, gestione e controllo delle attività logistiche. Ciò si traduce in: (i) un incremento degli addetti alla logistica all’interno dell’impresa manifatturiera che ha internazionalizzato quando le attività logistiche sono gestite dall’impresa stessa (insourcing); (ii) un aumento degli occupati delle imprese di servizi logistici quando l’impresa affida all’esterno la gestione della logistica (outsourcing); (iii) un incremento dei lavoratori sia nell’azienda manifatturiera sia in quella logistica nel caso, sempre più diffuso soprattutto presso le organizzazioni di medio-grande dimenzione, di co-sourcing, ovvero di gestione congiunta dei servizi logistici, con forte integrazione strategica tra cliente e fornitore (Maggi, 2007). 6 Questa nuova domanda di logistica conseguente all’internazionalizzazione sta inoltre provocando un quarto impatto (d) sull’offerta di servizi logistici: gli operatori stanno evolvendo verso la figura di “integratori”, capaci di gestire tutta la supply chain o buona parte di essa, svolgendo servizi anche ad alto valore aggiunto, incluse lavorazioni finali manifatturiere sulle merci (taglio, cucitura, assemblaggio di componenti, preparazione di kit, ecc.) (Boscacci, 2003; Confindustria, 2006). Per quanto concerne in particolare il terzo impatto (c), su cui si concentra il presente lavoro, va innanzitutto detto che gli IDE, le forme di investimento non-equity e, soprattutto, la frammentazione internazionale della produzione, influiscono sul volume del commercio internazionale (Ietto-Gillies, 2005), potenziando, quindi, gli effetti sull’occupazione del manifatturiero e della logistica. In particolare, nel caso in cui vengano trasferiti segmenti della produzione in Paesi a basso costo dei fattori, fra cui il lavoro, si può ipotizzare un aumento dei flussi di merci da e per le aree in cui sono localizzate le attività (i.e. importazione di materie prime ed esportazione di semilavorati e prodotti finiti). Nel caso in cui, invece, si replichi il ciclo produttivo della casa madre in un Paese straniero attraverso l’apertura di una nuova impresa o l’acquisizione-fusione con un’impresa esistente, l’investimento va a sostituire l’esportazione3 (per un approfondimento si rimanda a Jordan e Vahlne, 1981; Aitken et al., 1994; Mori e Rolli, 1998; Ietto-Gillies, 2005). In altre parole, se prima l’impresa esportava i prodotti per servire il mercato del Paese X, dopo l’investimento non ne ha più bisogno, perché produce direttamente su tale mercato grazie alla nuova unità produttiva. Nel primo caso, la complementarietà delle diverse forme di internazionalizzazione aumenta i flussi di merci e, quindi, esercita un impatto positivo sull’occupazione dell’industria logistica a cui viene demandata la gestione di tali flussi; nel secondo caso, invece, la sostituibilità tra IDE ed esportazioni si traduce in un effetto negativo. La scarna letteratura dedicata agli effetti indiretti dell’internazionalizzazione si è concentrata su tutto il terziario considerato in modo aggregato, mettendo in luce un impatto di tipo positivo, che si traduce in una crescita degli occupati nei servizi localizzati nella medesima unità geografica di indagine. In particolare, Mariotti, Piscitello (2007) hanno indagato l’impatto indiretto degli IDE sui distretti veneti; Rossetti, Schiattarella (2003) sui sistemi produttivi locali e Savona, Schiattarella (2004) sulle province italiane in cui sono localizzati i distretti industriali operanti nei settori del made in Italy. Soltanto questo ultimo contributo disaggrega i servizi su cui calcola l’impatto, in tradizionali e avanzati e fornisce quindi evidenza anche sulle attività di trasporto. Perviene al risultato che la delocalizzazione internazionale diretta verso Paesi a basso costo del lavoro ha un impatto significativo sulla crescita dell’occupazione nel settore dei servizi più tradizionali (commercio, trasporti e servizi finanziari). Una relazione inversa emerge, invece, nel caso dei servizi avanzati alle imprese (ingegneria, R&S, servizi informatici), che tendono ad essere internalizzati dalle imprese delocalizzatrici. Questa analisi è riferita al quinquennio 1996-2001. 3 Va tuttavia precisato che una parte della letteratura mette in luce che, anche se in tal caso la produzione internazionale rimpiazza le esportazioni, nello stesso tempo essa contribuisce ad aumentare le opportunità di esportazione di prodotti connessi dal Paese di origine o degli stessi prodotti dai Paesi in cui si è delocalizzato verso Paesi terzi (Ietto-Gillies, 2005; Cantwell, 1994). 7 L’unico studio condotto in Italia specificatamente dedicato agli effetti indiretti dell’internazionalizzazione produttiva sull’occupazione delle imprese logistiche è quello di recente svolto da Maggi et al. (2007). Tale studio analizza la relazione tra gli investimenti diretti esteri delle imprese distrettuali venete e la variazione occupazionale delle aziende fornitrici di servizi logistici localizzate nei medesimi distretti industriali, nel periodo 19962003. Le risultanze dell’analisi empirica mostrano che, sebbene tutti i distretti che hanno internazionalizzato mostrino una crescita del settore della logistica, in pochi casi ad un grado di internazionalizzazione più elevato della media corrisponde una maggiore crescita degli addetti nella logistica. Il presente lavoro si inserisce in questo filone di ricerca e si propone di offrire ulteriore evidenza empirica relativamente agli effetti indiretti dell’internazionalizzazione sull’occupazione della logistica a livello di “regione-settore” nel periodo 1996-2001. Viene scelta una unità di indagine più ampia rispetto al distretto industriale (Maggi et al., 2007), perché si ipotizza che l’offerta di servizi logistici vada oltre i confini locali del distretto. 3. L’impostazione metodologica L’unità di analisi utilizzata nel presente studio è la “regione-settore”, ovvero l’insieme di imprese operanti nella logistica e localizzate in una stessa regione geografica (20 regioni e 11 sub-settori logistici). Da momento che l’obiettivo è quello di investigare l’effetto dell’internazionalizzazione, in termini sia di importazioni ed esportazioni che di IDE, sulle imprese fornitrici di servizi logistici a livello regionale, la variabile dipendente è il tasso di crescita dei lavoratori nel settore della logistica tra il 1996 e il 2001 nelle 20 regioni. Tale variabile è stata costruita utilizzando i dati dell’ISTAT sugli occupati della classe ATECO “I - Trasporti, Magazzinaggio, Comunicazioni”, al secondo livello di disaggregazione, ovvero degli undici subsettori logistici rappresentati nella tabella 14. Tali dati comprendono gli addetti di tutte le imprese logistiche localizzate sul suolo nazionale, a prescindere dalla proprietà del capitale, nazionale o straniero. Tabella 1: Regioni italiane e settori della logistica analizzati REGIONI Abruzzo Basilicata Calabria Campania Emilia Romagna Friuli Venezia Giulia Lazio Liguria Lombardia Marche Molise Piemonte Puglia SETTORI Trasporti terrestri e trasporti mediante condotte Trasporti ferroviari Altri trasporti terrestri Trasporti mediante condotte Trasporti marittimi e per vie d'acqua Trasporti marittimi e costieri Trasporti per vie d’acqua interne Trasporti aerei Trasporti aerei di linea Trasporti aerei non di linea Attività di supporto e ausiliarie dei trasporti e attività delle agenzie di viaggio Movimentazione merci e magazzinaggio Altre attività connesse ai trasporti ATECO 2002 60 60.1 60.2 60.3 61 61.1 61.2 62 62.1 62.2 63 63.1 63.2 4 Sono stati esclusi dall’analisi i settori I 62.3 (Trasporti spaziali) e I 64.2 (Telecomunicazioni), perché non di pertinenza di questo lavoro, rispetto all’obiettivo prefissato. E’ stato escluso, inoltre, il comparto I 64.1 (Attività postali e di corriere), a causa dell’indisponibilità del salario per questo settore. 8 Sardegna Sicilia Toscana Trentino Umbria Valle d’Aosta Veneto Attività delle agenzie di viaggio e degli operatori turistici; attività di assistenza turistica Attività delle altre agenzie di trasporto 63.3 63.4 I dati sulle esportazioni e importazioni sono stati tratti dalla banca dati Coeweb dell’ISTAT. Essi comprendono anche le esportazioni e importazioni temporanee; quindi, permettono di rilevare almeno in parte anche fenomeni di internazionalizzazione basati su accordi non equity. Il dato relativo al commercio internazionale si riferisce ai flussi di esportazioni e importazioni avvenuti negli anni 1996 e 2001 ed è costruito in termini di tasso di crescita tra i due anni. La delocalizzazione internazionale è misurata in termini di addetti nelle affiliate estere delle multinazionali manifatturiere italiane, che hanno effettuato investimenti diretti esteri dal 1994 al 1999. La fonte utilizzata è la banca dati Reprint, sviluppata dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano e supportata dall’ICE (per un approfondimento si rimanda a Mariotti e Mutinelli, 2007). Gli IDE rappresentano sempre una variabile flusso ma, anziché considerare solo gli investimenti avvenuti nei due anni che fungono da estremi, è stata presa in considerazione la sommatoria cumulata degli IDE avvenuti tra il 1994 e il 1999, in quanto gli stabilimenti aperti all’estero proseguono la loro attività negli anni successivi e perciò continuano ad espletare nel tempo i loro effetti sull’occupazione del settore logistico. E’ importante, inoltre, sottolineare che gli occupati delle affiliate straniere delle multinazionali (IMN) localizzate nelle regioni italiane non sono stati attribuiti alla sola regione in cui è localizzata la casa madre della IMN, ma anche alle regioni che ospitano unità produttive della stessa impresa, proporzionalmente alla dimensione delle unità. Questo consente di catturare con migliore approssimazione gli effetti dell’internazionalizzazione sulle regioni italiane5. Infine, lo sfasamento temporale di due anni degli IDE rispetto alla variazione dell’occupazione logistica si fonda sull’ipotesi che gli stabilimenti all’estero necessitino di un periodo di tempo di uno-due anni prima di raggiungere la piena operatività, e che tale ritardo temporale sia necessario alle imprese logistiche per riorganizzare la propria attività, al fine di rispondere alla nuova domanda di servizi. L’entità dell’impatto sull’occupazione delle imprese logistiche in Italia derivante dall’internazionalizzazione dipende sia dal grado di outsourcing o co-sourcing della logistica stessa sia dal tipo di contratti di vendita o di acquisto utilizzati dalle imprese manifatturiere nei confronti dei clienti e fornitori stranieri in termini di clausole sul trasporto. In particolare, ci si attende che tale impatto sia tanto più elevato quanto più sono diffusi l’esternalizzazione, da un lato, e le clausole contrattuali di vendita “franco destino” (cost, insurance and freight – CIF) e di acquisto “franco fabbrica” (free on board – FOB), dall’altro. La vendita “franco destino” infatti implica la necessità di trasportare l’output fino all’unità produttiva o 5 A titolo di esempio, gli addetti presso le affiliate estere della FIAT non sono stati attribuiti esclusivamente a Torino, sede principale della FIAT e, quindi alla regione Piemonte, ma anche alla Basilicata (Melfi), alla Sicilia (Termini Imerese) e ad altre regioni che ospitano unità produttive dell’azienda. 9 distributiva del cliente; l’acquisto di materie prime o semilavorati o componenti in “franco fabbrica” obbliga, invece, l’impresa ad andarsi a prendere la merce presso “i cancelli” dei fornitori. In entrambi i casi, quindi, l’impresa manifatturiera, e non il suo cliente o fornitore, deve prendere le decisioni logistiche e svolgere le attività in conto proprio (insourcing) o in conto terzi (outsourcing), con un conseguente aumento della domanda di servizi logistici. A risultati diversi si giunge nel caso in cui vengano predilette le altre due modalità, ovvero la vendita “franco fabbrica” e l’acquisto “franco destino”. Purtroppo, nel presente studio non è stato possibile considerare queste due variabili, a causa della mancanza di informazioni puntuali su tali fenomeni a livello regionale. Le stime disponibili su base nazionale, comunque, indicano una bassa diffusione dell’outsourcing e ancora un alto utilizzo dei sistemi di vendita franco fabbrica e di acquisto franco destino. Per quanto concerne il primo aspetto, in particolare, va sottolineato che le rilevazioni di questo fenomeno ad oggi disponibili sono spesso discordanti, anche perché basate su metodologie di misurazione e di analisi differenti. Secondo stime del CSST (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, 2001), in Italia è terziarizzato il 74% del trasporto in entrata (dal fornitore alla fabbrica) e l’82% del trasporto in uscita (dalla fabbrica al distributore). Di diverso avviso è il Centro Studi Confetra, che dalle misurazioni del fatturato dei servizi logistici italiani, stima essere esternalizzato solo il 51% dei trasporti (41,5% del solo autotrasporto) e il 15,5% delle altre attività logistiche (Confetra, 2002; Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, 2006). Comunque, il trasporto internazionale è senz’altro maggiormente terziarizzato del trasporto all’interno dei confini nazionali. Infine, per quanto concerne la logistica gestita in modo integrato, secondo stime dell’AT Kearney-ELA, l’Italia presenta uno dei più bassi tassi di outsourcing in Europa, pari al 13% nel 1997 e 16% nel 2004. Relativamente al secondo fenomeno, l’Ufficio Italiano Cambi ha stimato che il 61% delle esportazioni avviene con la clausola contrattuale FOB e il 67% delle importazioni con quella CIF (Confetra, 2002). Ciò nonostante, ci si aspetta che le aziende manifatturiere localizzate nelle regioni con un maggior grado di internazionalizzazione adottino un comportamento diverso dalla media nazionale, ovvero affidino maggiormente all’esterno il trasporto e gli altri servizi di movimentazione delle merci e preferiscano, soprattutto per i flussi distributivi, avere un contatto diretto con i propri clienti stranieri, consegnando a destinazione la merce (clausola di vendita CIF). I maggiori flussi da gestire e la maggiore complessità del sistema logistico frazionato in luoghi diversi, infatti, dovrebbero indurre a ricercare una logistica di eccellenza da fornitori fortemente specializzati. Inoltre, le imprese che effettuano IDE ed esportano sono generalmente di dimensioni maggiori rispetto alle imprese uninazionali (Barba Navaretti e Venables, 2004; Castellani e Zanfei, 2006; Castellani et al., 2008; Ietto-Gillies, 2005) e le analisi empiriche hanno dimostrato che proprio le imprese più grandi sono quelle più propense ad esternalizzare i servizi logistici, eventualmente anche in forma di co-sourcing, e ad utilizzare le forme contrattuali di vendita franco destino (Confetra, 1997; Isfort, 2003). Nel presente lavoro, si ipotizza anche che l’outsourcing, quando si verifica, sia effettuato nei confronti di fornitori nazionali o stranieri localizzati in prossimità del manifatturiero, ovvero nella medesima regione, poiché è noto che la vicinanza geografica è spesso uno dei fattori che più influisce sulla scelta da parte delle imprese italiane dei fornitori dei servizi di 10 cui necessitano. E’ ovvio che nel caso in cui la catena di fornitura dei servizi logistici si estenda anche all’estero, gli effetti indiretti dell’internazionalizzazione sull’occupazione del Paese di origine degli investimenti e dei flussi potrebbero essere negativi. Ci si aspetta che ciò avvenga soprattutto nel caso in cui i luoghi stranieri di lavorazione della merce diventano anche luoghi di esportazione diretta dell’output. Dal punto di vista metodologico, ad un’analisi statistico-descrittiva segue una stima econometrica, i cui risultati sono presentati nel paragrafo che segue. La stima è stata condotta utilizzando un modello econometrico OLS che assume la seguente forma: 00 Δ0196 logOccs, r = αs,r + β1Δ0196 logSs ,r + β2 Δ0196 logYm,r + β3 log∑IDEt,m, p +β4 logExportm,r + β5 logImportm,r +εi, p t =94 dove s rappresenta gli undici settori della logistica, r le 20 regioni, m il comparto manifatturiero e dei servizi6. Δ0196 log Occs , r : è la differenza logaritmica tra gli anni 2001 e 1996 dell’occupazione nel settore dei servizi logistici s, in ciascuna regione r ; Δ log S s , r : è la differenza logaritmica tra gli anni 2001 e 1996 del salario nel settore dei 01 96 servizi logistici s, in ciascuna regione r; Δ log Ym , r : è la differenza logaritmica tra gli anni 2001 e 1996 della produzione del 01 96 comparto industriale, misurata in termini di valore aggiunto, in ciascuna regione r; 00 log∑IDEtott,m,r : è la somma cumulata, totale (t) degli investimenti diretti esteri nel settore t =94 manifatturiero m effettuati nelle regioni r dal 1994 al 1999; Δ log Exp m , r : è la differenza logaritmica tra gli anni 2001 e 1996 dei flussi di esportazioni di 01 96 beni e servizi m effettuati nelle regioni r; Δ log imp m , r : è la differenza logaritmica tra gli anni 2001 e 1996 dei flussi di importazioni di 01 96 beni e servizi m effettuati nelle regioni r. Il modello usato suggerisce che la domanda di occupati nel settore della logistica nel periodo 1996-2001 di una regione dipende da diverse variabili: (i) l’andamento del mercato nel settore stesso, (ii) l’andamento economico delle attività manifatturiere e dei servizi, (iii) il tasso di crescita delle esportazioni, (iv) il tasso di crescita delle importazioni e (v) la somma cumulata degli IDE effettuati dalle imprese manifatturiere localizzate nella regione nel periodo 1994-1999. Al fine di identificare l’andamento del mercato è stato usato il tasso di crescita del salario degli occupati nella logistica, tratto dall’Istituto Nazionale Previdenza Sociale (INPS); mentre l’andamento economico delle regioni, determinato dal tasso di crescita della produzione, è stato misurato in termini di valore aggiunto dei comparti 6 Per comparto manifatturiero e dei servizi si intendono tutti settori identificati dai codici Ateco che vanno dal 15 al 74. 11 manifatturiero e dei servizi7, di fonte ISTAT. Come detto sopra, invece, il tasso di esportazione ed importazione delle regioni nel periodo di analisi è sempre di fonte ISTAT, banca dati Coeweb, mentre la somma cumulata degli IDE proviene dalla banca dati Reprint. Gli IDE sono stati, inoltre, scorporati in tre aree di destinazione (OECD, PECO e PVS), al fine di cogliere gli effetti delle diverse tipologie di investimenti (verticali vs. orizzontali). Infatti, come suggerito dalla letteratura (Markusen et al., 1996), gli investimenti nei paesi più sviluppati (OECD) sono di tipo orizzontale, ovvero riguardano la duplicazione del ciclo produttivo in Paesi stranieri per assicurare ivi un presidio diretto dei mercati (market seeking), mentre quelli diretti verso i Paesi dell’Europa Centro-Orientale (PECO) sono di tipo verticale, mossi da logiche di risparmio nei costi e, quindi, comportano una frammentazione del processo produttivo in più siti. Gli IDE nei PVS possono, invece, essere sia verticali che orizzontali; si pensi, per esempio, a Paesi quali Cina e Brasile che rappresentano anche un mercato di sbocco per le imprese italiane. La tipologia di investimenti può, quindi, avere un impatto diverso anche sull’organizzazione della logistica. Sono state, inoltre, introdotte nel modello due variabili dummy per controllare l’eterogeneità dei sub-settori logistici (DummySettore) e le macroaree geografiche di localizzazione dei settori (DummyMacroarea). Una terza e una quarta variabile dummy sono state, infine, inserite per tener conto dei cambiamenti significativi del numero degli occupati logistici nel periodo considerato, in particolare dei casi di “nascita” (DummyNascita: settore presente nel 2001 ma non nel 1996) e “morte” (DummyMorte: settore presente nel 1996 ma non nel 2001) dei subsettori logistici. 4. Risultati dell’analisi empirica 4.1 Analisi statistico-descrittiva L’analisi statistico-descrittiva mostra che nel periodo 1996-2001 in tutte le regioni, eccetto la Sicilia, il numero di occupati del settore della logistica cresce. Tale crescita è da attribuire in primo luogo al settore Ateco 63 “Attività di supporto e ausiliarie dei trasporti e attività delle agenzia di viaggio” (+61%), ove è iscritta la maggior parte delle imprese logistiche che offrono più servizi integrati (cosiddetti “integratori logistici”) e in secondo luogo al settore 62 “Trasporti aerei” (+16%) (Figura 1, Tabella 2). Nell’ambito del primo settore, sono cresciuti soprattutto gli addetti alla movimentazione merci e magazzinaggio (63.1) ed alle altre attività connesse ai trasporti (63.2). Nell’ambito del secondo settore sono aumentati gli occupati ai trasporti aerei di linea, anche grazie allo sviluppo delle compagnie low cost. Diminuiscono soltanto gli addetti dei subsettori trasporto ferroviario (60.1; -45%), a causa della ristrutturazione a cui è stata soggetta la compagnia nazionale, e del trasporto idroviario (61.2; - 63%). In particolare, a questo ultimo subcomparto è dovuta la perdita occupazionale pari al 16,6% del settore 61, mentre il trasporto marittimo registra una leggera crescita (+ 8%). 7 In prima analisi, si è pensato di inserire nel modello anche il capitale (K) dei comparti manifatturiero e dei servizi, misurato con il metodo dell’inventario permanente (per un approfondimento di rimanda a Paci e Saddi, 2002), ma ciò non è stato possibile a causa dell’alta correlazione tra K e Y (si veda Tabella 6 in Appendice). 12 Figura 1: Occupati nei sub-settori della logistica in Italia (1996-2001) – valori assoluti 500000 400000 300000 200000 100000 0 60.1 60.2 60.3 61.1 61.2 62.1 Addetti 1996 62.2 63.1 63.2 63.3 63.4 Addetti 2001 Tabella 2: Tasso di crescita degli occupati nel settore della logistica (1996-2001) – valori percentuali Sub-settori della logistica ATECO 2002 Tasso di crescita Trasporti terrestri e trasporti mediante condotte 60 -2,90 Trasporti marittimi e per vie d'acqua 61 -16,61 Trasporti aerei 62 15,79 Attività di supporto e ausiliarie dei trasporti e attività delle agenzie di viaggio 63 60,72 60,61,62,63 13,24 Totale E’ opportuno evidenziare che i due settori che più crescono sono anche quelli maggiormente coinvolti nei processi di internazionalizzazione; infatti, la frammentazione internazionale della produzione e la crescita dei flussi di importazioni ed esportazioni di beni di investimento verso le aree di delocalizzazione inducono le imprese manifatturiere a richiedere servizi logistici diversi dal puro trasporto del bene (Corò e Volpe, 2006), in particolare, movimentazione e stoccaggio di ricambi, personalizzazioni del prodotto (imballaggio, etichettatura, ecc.) e spesso lavorazioni manifatturiere finali. Uno sguardo alle macroaree rivela che le aree che maggiormente vedono crescere gli occupati nella logistica sono il Nord-Ovest (19%) e il Nord-Est (14%), ovvero quelle in cui l’internazionalizzazione in termini di scambi commerciali e IDE ha preso più piede. Il calo del settore 61 riguarda soprattutto le regioni nord orientali e centrali, mentre la diminuzione del trasporto terrestre concerne in misura più sensibile le regioni centro-meridionali (Tabella 3). 13 Tabella 3: Tasso di crescita dell’occupazione nelle macro-aree italiane (1996-2001)per subsettore – valori percentuali Macro aree Centro Nord-Est Nord-Ovest Sud e Isole Italia Trasporti terrestri -5,22 1,56 -2,74 -4,93 -2,90 Sub-settori della logistica Trasporti Trasporti aerei marittimi e per vie d’acqua interne -32,45 2,55 -36,36 172,10 -4,05 57,95 -2,70 12,95 -16,61 15,79 Attività di supporto e ausiliarie Totale complessivo 58,46 51,68 64,09 68,90 60,72 10,99 13,64 18,99 7,77 13,24 Le statistiche descrittive delle variabili impiegate nella stima econometrica mostrano che, nel periodo considerato, oltre alla variabile dipendente (tasso di crescita degli occupati nella logistica), sono cresciute anche le variabili esplicative (Tabella 4). In particolare, gli IDE, le importazioni, il valore aggiunto e le esportazioni crescono in misura maggiore del salario dell’industria logistica. Inoltre, nel periodo 1994-1999 gli investimenti diretti esteri sono aumentati verso tutte le tre macro aree con una maggiore concentrazione nei Paesi OECD, soprattutto dell’Europa a 15. Nei Paesi OECD si concentra, infatti, il 50,4% degli addetti nelle affiliate straniere delle imprese multinazionali italiane; seguono i PVS con il 26% ed i PECO con il 23,6%. Tabella 4: Statistiche descrittive delle variabili utilizzate nella stima Osservazioni 220 193 209 220 220 220 Media 0,2386261 0,0461504 0,3725974 0,3692443 0,4925622 8,379364 Deviazione standard 1,285315 3,363857 0,1070079 0,233014 0,1276327 2,102443 Min -4,999462 -11,85825 0,222126 0,1082134 0,1813622 1,665818 Max 5,438079 12,13225 0,5812054 1,258528 0,7689648 11,6931 log ∑ IDEoecd t ,s ,r 220 7,577596 2,114383 1,472472 11,02135 log ∑ IDEpecot ,s ,r 220 6,684566 2,263201 -0,2484614 10,40282 log ∑ IDEpvst ,s ,r 220 7,082232 2,434536 -1,89712 10,15128 Variabile Δ0196 log Occs ,r Δ0196 log S s ,r Δ0196 log Ys ,r Δ0196 log Exp m , r Δ0196 log Im port m , r 00 log ∑ IDEtot t ,s ,r t =94 00 t =94 00 t =94 00 t =94 4.2 Analisi econometrica La presente sezione si pone l’obiettivo di verificare se la crescita di occupati nella logistica, evidenziata dall’analisi statistico-descrittiva, sia da attribuire all’aumento dell’internazionalizzazione (IDE e commercio internazionale) da parte delle regioni e/o sia dipendente da altre variabili, che descrivono l’andamento economico delle regioni stesse, 14 quali per esempio il valore aggiunto dell’industria e dei servizi. Viene, quindi, condotta un’analisi econometrica, da cui si evince che tutte le variabili esplicative, ad eccezione del tasso di crescita dei salari, hanno un impatto sulla variazione degli occupati nella logistica (Tabella 5)8. La non significatività del tasso di crescita dei salari è probabilmente da imputare al fatto che in un orizzonte temporale quale quello considerato, ovvero di sei anni, le variazioni salariali non sono molto sensibili e, quindi, non vanno ad influire significativamente sulla domanda di lavoratori. Per quanto concerne, invece, le altre variabili, in primo luogo, l’aumento del valore aggiunto a livello regionale dei settori manifatturiero e dei servizi contribuisce alla crescita dell’occupazione dell’industria logistica. E’ noto infatti in letteratura che, essendo il trasporto e gli altri servizi logistici un fattore produttivo necessario per ogni bene manifatturiero, l’andamento del settore è fortemente dipendente da quello dell’industria a cui fornisce i servizi (Danielis, 2002; Maggi, 2007). In seconda istanza, si confermano le aspettative di un impatto positivo dell’internazionalizzazione della produzione, sia nella forma di esportazioni che di IDE, sull’occupazione del settore logistico per i motivi enunciati nella sezione 2, ovvero principalmente per l’aumento dei flussi e della complessità del sistema logistico e per l’estensione delle reti logistiche. Si nota che, nonostante le fonti ufficiali nazionali affermino che nel nostro Paese i tassi di outsourcing sono bassi e il 61% delle esportazioni avviene secondo la modalità “franco fabbrica”, nel periodo considerato si verifica un aumento degli addetti alla logistica. Ciò può dipendere dal fatto che le imprese che internazionalizzano, come sopra detto, essendo generalmente di dimensioni maggiori di quelle uninazionali, tendono ad essere più propense all’utilizzo dell’outsourcing logistico e all’adozione di formule contrattuali di vendita franco destino. Inoltre, anche quando è il cliente straniero ad organizzare il trasporto dalla fabbrica italiana verso il proprio Paese, è possibile che il suo operatore logistico abbia filiali in Italia oppure, se non le possiede, è probabile che nella catena logistica intervengano comunque operatori italiani, ad esempio coloro che svolgono il trasporto stradale fino al porto o all’aeroporto. In Italia, infatti, il tasso di outsourcing della pura vezione stradale a padroncini o cooperative di padroncini, da parte di fornitori di servizi logistici, sia italiani che stranieri localizzati nel nostro territorio, è molto elevato. Ciò è confermato dalle stime di Confetra (2002), secondo cui l’85% dei mezzi delle imprese individuali di autotrasporto (“padroncini”) esegue trasporto in subvezione. La relazione positiva e significativa tra gli investimenti diretti esteri e la variabile dipendente permane quando si procede alla disaggregazione degli IDE nelle tre macro aree di destinazione: OECD, PECO, PVS9. Viceversa, sussiste una relazione negativa tra importazione e occupazione logistica, facendo presupporre che il trasporto e la logistica, connessi all’importazione di beni esteri, siano sovente affidati agli operatori localizzati nei Paesi da cui dipartono i flussi di merci. 8 Le stime rispondono in maniera solida ai test di robustezza, ad eccezione della normalità che è rifiutata per problemi di kurtosis della funzione di densità; è comunque presumibile ipotizzare che, con un campione più elevato tendente all’infinito, la funzione assuma un andamento normale. 9 A causa dell’alta correlazione tra gli investimenti diretti verso le tre macro aree, sono state effettuate tre regressioni distinte (2, 3, 4). 15 Questo risultato è confermato dall’indagine di Confetra (2002), secondo cui il 67% delle importazioni avviene con la formula contrattuale franco destino, il che significa che è il fornitore straniero ad occuparsi della consegna della merce, utilizzando il proprio operatore logistico, localizzato presumibilmente nello suo stesso Paese. Tabella 5: Risultati delle stime OLS Variabile dipendente Δ0196 log S s ,r Δ0196 log Ys ,r Δ0196 log Expm , r Δ0196 log Im port m , r 00 log ∑ IDEtot t ,s ,r Δ0196 log Occs ,r Δ0196 log Occs ,r Δ0196 log Occs ,r Δ0196 log Occs ,r (1) (2) (3) (4) 0,0240 1,1748* 0,6151** -1,1482** 0,0568** t =94 00 0,0248 1,1867* 0,6069** -1,1761** 0,0256 1,2169* 0,6413** -1,1234** 0,0243 1,1022*** 0,6235** -1,1423** 0, 05772** log ∑ IDEoecd t ,s ,r t =94 00 0,0525* log ∑ IDEpecot ,s ,r t =94 00 0,0446* log ∑ IDEpvst ,s ,r t =94 _cons DummyNascita DummyMorte DummySettore DummyMacroarea n. di osservazioni Chi-2 P-value R-2 – adj -1,2914** 2,5916*** -1,3749** Sì Sì -1,2469*** 2,5946*** -1,3676*** Sì Sì -1,2055** 2,5657*** -1,3601*** Sì Sì -1,0823** 2,5870*** -1,3690*** Sì Sì 184 184 184 184 0,0000 0,6708 0,0000 0,6712 0,0000 0,6703 0,0000 0,6697 Note: *** Significativo all’ 1%, ** Significativo al 5%, * Significativo al 10% Note: l’R quadro aggiustato ed il P-value delle regressioni confermano la signifIcatività del nostro modello. Esistono, inoltre, nelle quattro regressioni, forti effetti settoriali, controllati dalle DummySettore. L’impatto su quasi tutti i settori è positivo e significativo, con due eccezioni: (i) i trasporti aerei non di linea, che comunque presentano un tasso di crescita vicino allo zero (0,47%), per i quali l’impatto non è significativo e (ii) i trasporti per vie d’acqua interne, che, come visto nelle statistiche descrittive, presentano una riduzione degli addetti. 5. Conclusioni In un’epoca quale quella attuale in cui l’internazionalizzazione è divenuta una sfida strategica che le imprese devono affrontare per continuare ad essere competitive, il tema dell’impatto che ciò produce, non soltanto sulle imprese stesse ma su tutto il sistema economico ad esse collegato, ha assunto un’importanza notevole. Si può ragionevolmente supporre che gli impatti indiretti si esplichino in modo differente a seconda del settore di servizi – o anche manifatturiero – considerato e del contesto geografico analizzato e tendano ad essere positivi soprattutto quando le imprese fornitrici sono a loro volta fortemente competitive e capaci di rispondere alle mutate esigenze dei propri clienti manifatturieri. Tali 16 differenti impatti vanno dunque studiati in modo approfondito, così come i fattori che li causano, al fine di trasformare potenziali effetti negativi in positivi. Sulla base di tale convinzione ha preso avvio il presente lavoro, che si è posto l’obiettivo di analizzare l’impatto specifico dell’internazionalizzazione, misurata in termini di commercio internazionale (incluse esportazioni e importazioni temporanee) e di investimenti diretti esteri, su una tipologia di servizi, quelli logistici, che più dovrebbero supportare i processi stessi di internazionalizzazione. L’efficacia e l’efficienza dei servizi logistici è importante soprattutto quando si verifica una frammentazione internazionale della produzione: la necessità di spostare semilavorati e componenti da un Paese ad un altro per sottoporli a ulteriori lavorazioni ha, infatti, forti implicazioni sulla domanda di logistica. I risultati ottenuti mettono in luce che sia le esportazioni, sia gli IDE, provocano un incremento degli occupati nelle imprese che offrono servizi logistici in Italia (nazionali e straniere), ovvero una crescita dimensionale del settore. L’impatto indiretto dell’internazionalizzazione è, dunque, positivo, a conferma di quanto rilevato dai pochi studi empirici disponibili in letteratura, che hanno analizzato la relazione tra la delocalizzazione produttiva e gli addetti di tutti i settori del terziario. Nel precedente lavoro, svolto dagli stessi autori (Maggi et al., 2007), tuttavia, non era stata evidenziata una forte relazione tra il grado di internazionalizzazione e la crescita degli addetti degli operatori logistici. La diversità di risultati può essere, però, ricondotta sia alle diverse unità di rilevazione, sia alla differente metodologia. Tale studio, infatti, aveva esplorato l’impatto provocato soltanto dagli IDE e si era concentrato sui distretti veneti, invece che sulle regioni italiane. Inoltre, l’analisi era stata condotta con una metodologia statistico-descrittiva, per insufficienza di dati rispetto alle esigenze econometriche. L’analisi empirica ha, inoltre, avvalorato quanto affermato nella letteratura specifica dell’economia dei trasporti, ovvero che l’andamento del settore logistico sia fortemente dipendente dall’andamento dell’industria a cui fornisce i servizi. Si è anche dimostrata corretta l’ipotesi relativa al maggior grado di utilizzo dell’outsourcing e delle clausole di vendita CIF da parte delle imprese internazionalizzate rispetto a quelle uninazionali. Quando, dunque, la logistica diventa più complessa e strategica, come accade nei processi di internazionalizzazione, le imprese manifatturiere tendono a cogliere l’opportunità di rivolgersi a fornitori specializzati, con elevate competenze e maggiormente in grado di accedere ad economie di scala e di scopo. Il presente lavoro si è concentrato sull’impatto indiretto dell’internazionalizzazione, rinviando ad uno studio futuro l’analisi di quello diretto, che concerne soprattutto le imprese che hanno, invece, optato per una gestione interna della logistica, con proprie risorse umane o per una gestione in co-sourcing con il proprio fornitore. Si tratta, dunque, di verificare se le imprese manifatturiere delle regioni più internazionalizzate hanno assunto al loro interno un maggior numero di addetti alla logistica nel periodo successivo all’internazionalizzazione. Bibliografia Agarwal J.P. (1997), “Effect of foreign direct investment on employment in home countries?”, Transnational Corporation, 6(2), pp. 1-28. 17 Aitken B., Hanson G.H., Harrison A.E. (1994), “Spillovers, foreign direct investment, and export behavior”, NBER working paper, n. 4927. Arndt S.W., Kierzhowsky, H. (2001), Fragmentation. New Production Patterns in the World Economy, Oxford University Press, Oxford. Baldone S., Lasagni A., Sdogati F. (1997), “Emerging patterns of trade specialization EUCEECs”, in Baldone S., Sdogati F. (eds), EU-CEECs integration: Policies and Markets at work, FrancoAngeli, Milano, 1997. Baldone S., Sdogati F., Tajoli L. 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