democrazia composita
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L’Unione europea e la sineddoche democratica. Riflessioni sull’Unione europea quale «democrazia composita» Barbara Guastaferro SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Che cosa è una democrazia composita? – 3. Unione europea e Stati Uniti a confronto: verso una convergenza istituzionale? – 4. L’Unione europea quale democrazia composita? – 5. L’Unione europea di fronte ad una «propria scelta» attraverso «matura riflessione». – 6. Alla ricerca di un «republican remedy» senza alcun «republican disease» – 7. Conclusioni: l’Unione europea e la sineddoche democratica 1. Introduzione Il dibattito scientifico sulla costruzione europea è stato a lungo monopolizzato dagli approcci teorici ancorati alle Relazioni Internazionali1, volti a spiegare il processo di integrazione ed interazione fra unità distinte quali gli Stati nazione, e quindi fondamentalmente inclini a considerare l’Unione europea (Ue) un’organizzazione internazionale, per quanto sui generis. Più recentemente, specie dopo l’evoluzione istituzionale dell’Unione europea e la crescita esponenziale delle competenze comunitarie a partire dall’Atto Unico Europeo, gli studiosi di Politica Comparata hanno cominciato a considerare l’Ue quale sistema politico a sé stante, e pertanto comparabile con altri si1 Fra gli approcci teorici derivati dalle Relazioni Internazionali resta main-streamed la contrapposizione fra Neo-funzionalismo, come esemplificato dai lavori di E.B. HAAS (Turbulent Fields and the Theory of Regional Integration, «International Organization» 30, 1976) e P. SCHMITTER (Neo-neofunctionalism, in A. WIENER e T. DIEZ, European Integration Theory, Oxford University Press, 2004) e Intergovernamentalismo, esemplificato nella sua variante realista dal lavro di S. HOFFMANN (The European Sisyphus. Essays on Europe, 1964-1994. Boulder: Westview Press, 1995) e nella sua variante liberale dal lavoro di A. MORAVCSIK (The Choice for Europe: Social Purpose and State Power from Messina to Maastricht, Cornell University Press, 1998). Per una accurata analisi degli approcci teorici allo studio dell’integrazione europea si rimanda a ROSAMOND, Theories of European Integration, St. Martin’s Press, 2000 ed a A. WIENER e T. DIEZ, op.cit. stemi politici.2 Mentre gli approcci derivati dalle Relazioni Internazionali intendono spiegare l’integrazione fra sistemi, gli approcci derivati dalla Politica Comparata intendono analizzare la governance ed il funzionamento interno al sistema stesso.3 Pertanto, L’Ue, a lungo considerata un costrutto inedito capace di sfuggire ogni catalogazione o schematismo e di sfidare i paradigmi interpretativi della scienza politica classica, ha cominciato a svincolarsi dall’ipoteca dell’eccezionalismo e ad esser considerata una democrazia, seppur post-nazionale ed incompiuta, assimilabile ad altri sistemi democratici consolidati, e pertanto suscettibile di esser analizzata con gli strumenti dei comparativisti, «che offrono molti elementi per capire come funzionano le democrazie»4. La struttura comunque ambigua del sistema comunitario, non riconducibile né ad un’organizzazione intergovernativa né ad uno stato federale, ha stimolato inusitati, coraggiosi, e a volte ossimorici neologismi da parte di studiosi desiderosi di qualificare ed etichettare 2 Fra gli studi con una prospettiva di politica comparata si vedano S. HIX The Political system of the EU, Macmillan,1999; L. HOOGHE and G. MARKS, Multilevel Governance and European Integration, Rowman and Littlefield, 2001; M.P. EGAN, Constructing a European Market: Standards, Regulation and Governance, Oxford University Press, 2001; H. WALLACE and W. WALLACE, Policy Making in the European Union, Oxford University Press, 2000; G. MAJONE, Regulating Europe, Routledge, 1996; D. McKAY, Designing Europe: Comparative Lessons from the Federal Experience, Oxford University Press, 2001; A. SBRAGIA, Thinking about the European Future: The Uses of Comparison, in ID. (ed) Europolitics: Institutions and Policy-Making in the New European Community, Washington, DC: The Brooking Institution, 1992; S. BULMER, The Governance of the EUropean Union: A New Institutionalist Approach, «Journal of Public Policy» 13(4), 1994; S. FABBRINI, Madison in Brussels: The EU and the US as Compound Democracies, «European Political Science», 4, 2005; J. RICHARDSON, European Union: Power and Policy-Making, 2nd edition, Routledge, 2000. 3 Questo secondo la distinzione basilare data da A. WIENER e T. DIEZ, op.cit., pp. 3-7. In realtà è in corso un dibattito epistemologico che vedrebbe nell’UE il banco di prova per il progressivo dissolversi di una linea di demarcazione netta fra le due discipline. Si veda a tal proposito l’articolo di S. HIX, The Study of the European Community: The Challenge to Comparative Politics, «West European Politics», 17(1), 1994, e la risposta di A. HURRELL and A. MENON, Politics Like Any Other? Comparative Politics, International Relations and the Study of the EU, «West European Politics», 19 (2), 1996. Come osserva A. SBRAGIA (La Democrazia Postnazionale: una sfida per la Scienza Politica, «Rivista Italiana di Scienza Politica», 1, 2004, p. 44), «il nostro compito è di superare la dicotomia fra dimensione nazionale e dimensione internazionale, e dal momento che è in Europa che un sistema di governance sopranazionale si è sviluppato, l’Unione europea offre uno spunto ideale per superare tale dicotomia». 4 A. SBRAGIA, La Democrazia…cit., p. 44. 196 neologismi da parte di studiosi desiderosi di qualificare ed etichettare questo objet politique non idéntifié.5 L’Unione Europea è stata definita un «condominio»6, un sistema di «federalismo cooperativo»7 o di «federalismo intergovernativo»8, una «democrazia consociativa e consensuale»9. Il presente saggio intende soffermarsi sull’interessante contributo di Sergio Fabbrini all’esplorazione definitoria dell’Ue, che l’autore qualifica come democrazia composita adottando una prospettiva di politica comparata che sceglie come termine di paragone un genere democratico che «ha la sua identità teorica ed istituzionale, oltre che la sua evidenza empirica negli Stati Uniti d’America»10. La comparazione fra Stati Uniti e Unione Europea non intende decantare l’esperienza federale quale modello paradigmatico per il processo di integrazione europea11, ma semplicemente mettere a fuoco la crescente convergenza istituzionale fra i due sistemi che, 5 Per un’accurata disamina delle tesi che si interrogano sulla spinosa questione del modello applicabile all’Unione europea, si segnala M. FRAGOLA, Governance dell’Unione europea, sovranazionalità e modelli applicabili: un tentativo di riordino alla luce della Costituzione dell’Unione europea, in «Diritto comunitario e degli scambi internazionali», n. 3/2006. 6 P. SCHMITTER, Neo neofunctionalism cit. 7 Si vedano E.J. KIRCHNER, Decision-Making in the European Community: The Council Presidency and European Integration, Manchester University Press, 1992; W. WESSELS, Alternative Strategies for Institution Reforms, European University Institute Working Paper 85, 1984, e F. SHARPF, The Joint-Decision Trap: Lessons from German Federalism and European Integration, «Public Administration» 66, 1988. 8 J. L. QUERMONNE, L’Europe en quête e légitimité, Paris, Presses de Sciences Po, 2001. 9 Si veda P. TAYLOR, The European Union in the 1990s, Oxford University Press, 1996, D. CHRYSSOCHOOU, Democracy and Symbiosis in the European Union: Towards a Confederal Consociation, «West European Politics», 17, 1/1994 e O. COSTA and P. MAGNETTE, The European Union as a Consociation? A Methodological Assesment, «West European Politics», Vol.26, n. 3, 2003), nella variante di «interstate consociation». 10 S. FABBRINI, L’Unione europea come democrazia composita?, «Rivista Italiana di Scienza Politica», 1/2004, p. 14. 11 S. Fabbrini prende le distanze dagli approcci normativi che considerano sia l’esperienza confederale (L.C. BACKER, The Extra-national State: American Confederate Federalism and the European Union, «Columbia Journal of European Law», Vol.7, No.2, 2001) che quella federale (J. HABERMAS, So, Why Does Europe Need a Constitution?, Robert Schuman Centre, European University Institute, Policy Paper on Constitutional Reform of the EU, 2001) statunitensi quali modelli per l’UE, in S. FABBRINI e D. SICURELLI, The Federalization of the EU, the US and «Compound Republic» Theory: The Convention Debate, «Regional and Federal Studies», 2004, pp. 239-240. 197 fuoco la crescente convergenza istituzionale fra i due sistemi che, secondo l’Autore, sarebbe dovuta alla medesima esigenza strutturale di aggregare Stati e individui, e quindi di creare un sistema politico sulla base di una duplice e spesso contraddittoria fonte di legittimazione.12 La prima parte dell’analisi si snoda intorno ad una chiarificazione concettuale della democrazia composita alla luce della teoria politica che la sottende, riscontrabile nel pensiero dei Padri Fondatori della Costituzione americana. La seconda parte si sofferma brevemente sulla comparazione fra i due sistemi così come delineata da Sergio Fabbrini. La parte conclusiva discute in chiave critica l’applicabilità del modello di democrazia composita al contesto europeo. 2. Che cos’è una democrazia composita? «Una democrazia composita è tale quando la sovranità è frammentata e diffusa lungo linee istituzionali e territoriali»13. Una democrazia composita è pertanto caratterizzata da una separazione multipla dei poteri sia al livello orizzontale dell’architettura istituzionale del sistema, che al livello verticale delle unità territoriali che compongono il sistema stesso. In una democrazia composita «il processo decisionale non è monopolizzabile da una singola istituzione (il governo) ».14 Per questo Sergio Fabbrini distingue la democrazia europea dai modelli democratici consolidatisi negli Stati membri, classificabili, secondo la distinzione di Lijphart,15 in democrazie «maggioritarie e competitive» o «consociative e consensuali»16. In entrambe le varianti, seppur attraverso modalità distinte, si giunge alla formazione di un governo.17 Caratteristica peculiare della democrazia composita, invece, sarebbe quella di «governare senza governo»18. 12 S. FABBRINI e D. SICURELLI, op. cit., p. 232. S. FABBRINI, L’Unione europea..cit., p. 29. 14 Ibidem. 15 A. LIJPHART, Patterns of democracy : Government forms and performance in thirty-six countries, Yale University Press, 1999. 16 S. FABBRINI, L’Unione europea..cit., p. 17. 17 Nei modelli di democrazia maggioritaria, il governo si forma tramite consultazione elettorale, mentre nei modelli di democrazia consociativa attraverso ampie coalizioni nel momento post-elettorale. 18 S. FABBRINI e D. SICURELLI, Op. cit., p. 252. 13 198 Per comprendere a fondo i meccanismi di funzionamento della democrazia composita è necessario scandagliare la «filosofia» che ha animato i Padri Fondatori della Costituzione americana elaborata dalla Convenzione di Filadelfia del 1787.19 Il Federalista, la collezione di saggi scritta da Hamilton, Madison e Jay a sostegno dell’approvazione della Costituzione da parte degli stati federati, ben esemplifica l’articolato disegno istituzionale concepito in quegli anni negli USA e definito da Madison quale compound republic, per l’appunto democrazia composita.20 Le influenze filosofiche che hanno accompagnato la configurazione della delicata architettura costituzionale americana sussumono sia l’ideale lockeiano del governo limitato, in grado di garantire l’autonomia della società civile, che l’ideale machiavelliano del governo virtuoso, in grado di promuovere con azioni positive il buon governo.21 Secondo Daniel Elazar22, anche la tradizione biblico-puritana sembra aver avuto un’influenza significativa, essendo la struttura federale ispirata al foedus, ovvero al patto originario fra Dio e il genere umano. Il principale obiettivo dei Padri Fondatori era capire «se le società umane siano o meno capaci di darsi, per propria scelta e attraverso matura riflessione , un buon governo».23 La risposta a tale quesito formulato da Hamilton nel Federalista n. 1 non poteva che scaturire da un’accurata riflessione sulla natura umana24 simile alla riflessione Hobbesiana, ma per un certo verso antipodica rispetto alle conclusioni Hobbesiane in merito all’organizzazione del potere pubblico. Per quanto entrambi basati sul «pessimismo antropolo19 Sulla teoria politica della democrazia composita si veda su tutti V. OSTROM, The Political Theory of a Compound Democracy. Designing the American Experiment, University of Nebraska Press, 2nd revised edition, 1987 e R. DAHL, A Preface to Democratic Theory, The University of Chicago Press, 1956. 20 Secondo R. DAHL, A preface….cit., il principio repubblicano contenuto ne Il Federalista è l’equivalente funzionale di ciò cui ci si riferisce con il termine di democrazia rappresentativa. 21 S. FABBRINI, L’America e i suoi critici, Il Mulino, p. 41. 22 D. ELAZAR, Prefazione a V. OSTROM , op. cit., p. xvii 23 HAMILTON, A. HAMILTON, J. JAY e J. MADISON, The Federalist (edizione originale, New York, Mac Lean, 1788), edizione italiana a cura di M. D’ADDIO e G. NEGRI, Il Mulino, 1997, Il Federalista n. 1, p. 141, corsivo aggiunto. 24 Come scrive Madison nel Federalista 51: «ma che cos’è il governo stesso se non la più poderosa analisi dell’umana natura? », p. 458. 199 gico»25, che mette in luce la sete di potere e le inclinazioni utilitaristiche insite nella natura umana, il modello «hobbesiano» e il modello «madisoniano» rappresentano, secondo Ostrom, «due modalità distinte di creazione dell’ordine pubblico».26 Se la riflessione Hobbesiana auspica la concentrazione del potere nella figura del sovrano quale unico modo per superare lo stato di natura del bellum omnium contra omnes27, e affermando che auctoritas non veritas facit legem staglia il potere sovrano nella sua assolutezza e nella sua indivisibilità, la riflessione Madisoniana riscontra una «grande difficoltà» «nell’organizzare un governo di uomini che dovranno reggere altri uomini…: prima si dovrà mettere il governo in grado di controllare i propri governati, e quindi obbligarlo ad auto-controllarsi»28. Risulta evidente che l’idea del sovrano assoluto, o legibus solu29 tus , è in netta distonia con l’idea di governo limitato avallata dai costituenti americani, secondo cui sia i governanti che i governati devono esser limitati dalla Costituzione e dal rule of law nell’esercizio del potere.30 In questo la teoria politica della democrazia composita si discosta anche dall’esperienza della Rivoluzione francese che, secondo alcuni critici, semplicemente rimpiazza la volontà del sovrano con la volontà generale del popolo, in taluni casi non meno dispotica e sovversiva della libertà.31 L’intuizione dei costituenti americani è che la brama di potere possa anche pervadere il popolo, e che pertanto la creazione di un ordine non tirannico prescinda dal numero dei titolari del potere e sia invece strettamente collegata alla concentrazione del potere stesso. Come recita il Federalista n. 47, «the accumulation of all powers, legislative, executive and judiciary, in the same hands, whether of one, a few, or many, may just be pronounced the very definition of tyranny».32 25 Se Hobbes definisce l’uomo «hominis lupus», e l’assunto da cui scaturisce la riflessione Madisoniana è che gli «uomini» non sono «angeli», nel Federalista n. 51, p. 458. 26 V. OSTROM,op. cit., p. xix. 27 T. HOBBES, Leviatano,Firenze, La Nuova Italia, 1976. 28 A. HAMILTON, J. JAY e J. MADISON, The Federalist n. 51, p. 458. 29 L’etimologia del termine assoluto, dal latino ab-solutus, sciolto da (ogni genere di vincolo) è esemplificativa di una sovranità illimitata che il disegno costituzionale americano esplicitamente rimuove a favore di un governo limitato. 30 V. OSTROM, op. cit., p. 51. 31 Si veda D. ELAZAR, op. cit. 32 Citato in R. DAHL, op. cit., p. 6, corsivo aggiunto. 200 L’imperativo sistemico dei costituenti è pertanto quello di creare un «ordine anti-egemonico»33, in grado di prevenire la «tirannia della maggioranza», di imbrigliare coalizioni maggioritarie potenzialmente lesive dei diritti della minoranza. Secondo Ostrom, in altri termini, i costituenti furono in grado di percepire ciò che potrebbe esser definito il «repubblican disease», ovvero la potenziale deriva tirannica di un dispotismo elettivo, e cercarono di contenerlo attraverso un «republican remedy», ideando dunque un rimedio democratico al disagio democratico della dittatura della maggioranza.34 Il pessimismo antropologico che pervade la teoria politica della democrazia composita, infatti, induce a pensare che le cause della creazione di fazioni particolaristiche e potenzialmente tiranniche siano insite nella natura stessa dell’uomo.35 L’obiettivo primario dei Padri Fondatori era pertanto quello controllarne gli effetti, evitando che ciascuna fazione potesse agire contrariamente agli interessi altrui o del bene collettivo.36 Questo attraverso la configurazione di una delicata architettura costituzionale, che rappresenterebbe appunto l’auspicato «republican remedy». Il principale architetto della democrazia americana, James Madison, delinea due espedienti volti a prevenire il prevaricare di fazioni maggioritarie. Il primo è relativo all’estensione della dimensione della democrazia stessa. Come recita Il Federalista n. 10, «allargate la zona d’azione ed introducete una maggiore varietà di partiti e di interessi, e rendete meno probabile l’esistenza di una maggioranza che, in nome di un comune interesse, possa agire scorrettamente nei riguardi dei diritti degli altri cittadini». Il secondo riguarda un accurato disegno istituzionale che garantisca una 33 Secondo l’etichetta proposta da S. FABBRINI in tutte le opere citate nel presente saggio. 34 V. OSTROM, op. cit., pp. 91 ss. Si veda R. DAHL, op. cit., p.33: «If unrestrained by external checks, any group of individuals will tyrannize over the others». Analogamente A. HAMILTON, ne The Federalist 15: «the passions of men will not conform to the dictates of reason and justice without constraint». 36 Il Federalista n. 10, citato in R. DAHL, op. cit., p. 11. Vedi anche: «Le «cause latenti della faziosità sono così intessute nella natura stessa dell’uomo e noi le vediamo ovunque più o meno operanti»…che l’unico rimedio per garantire il «governo della ragione» è quello di predisporre un sistema costituzionale, come quello federale, che non consenta alle fazioni o alla maggioranza faziosa di subordinare l’interesse pubblico ai propri fini particolari», in M. D’ADDIO e G. NEGRI, op. cit, p. 127. 35 201 guarda un accurato disegno istituzionale che garantisca una separazione multipla dei poteri, che ne eviti la concentrazione in un'unica istituzione ed un sistema di checks and balances fra le diverse istituzioni che concorrono all’esercizio del potere. Il progetto costituzionale della democrazia composita, fondato sulla teoria generale del governo separato37, prevede dunque «una repubblica organizzata intorno ad una panoplia di istituzioni multiple, tra di loro indipendenti e contemporaneamente necessitate a cooperare, connesse in modo eterogeneo alla volontà popolare e capaci di promuovere (ognuna di esse) maggioranze concorrenti, così da complicare la vita a qualsivoglia maggioranza che si possa costituire trasversalmente ad esse»38. Per prevenire l’abuso del potere, recita Il Federalista n. 51, «l’ambizione deve essere usata come antidoto all’ambizione»39. È evidente il richiamo alla teoria della separazione dei poteri di Montesquieu, secondo cui «puisqu’on ne puisse abuser du pouvoir il faut que le pouvoir arrete le pouvoir».40 Anche se, come nota Neustadt, più che una separazione dei poteri, in America si ha una situazione di «istituzioni separate che condividono lo stesso potere».41 In sintesi, dunque, l’architettura costituzionale americana prevede che diverse istituzioni concorrano nell’esercizio dell’autorità, in modo tale che, attraverso un sistema di checks and balances ogni istituzione abbia una voce, ovvero un potere di veto, nel funzionamento delle altre.42 La reciproca interferenza tra le istituzioni e la necessaria cooperazione per raggiungere un accordo43, richiedono che ciascuna istituzione sia indipendente dalle altre, per il principio esposto nel 37 Si vedano le pagine di V. OSTROM sulla «general theory of a limited constitution», op. cit., pp. 140 ss. 38 S. FABBRINI, L’Unione europea…cit., pp. 30-31) e V. OSTROM, op. cit., pp. 140-143. 39 A. HAMILTON, J. JAY e J. MADISON, Il Federalista n. 51, op. cit., p. 458. 40 C. MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi, Milano, Utet., 1987 (ed. originale1748), libro XI, cap. 4. 41 R. A. NEUSTADT, Presidential Powers and the Modern Presidents. The Politics of Leadership from Roosevelt to Reagan, New York, The Free Press, 3rd revised edition, 1990, p. 29. 42 Nel sistema politico americano, ad esempio, il Presidente è dotato di un potere di veto sulla legislazione approvata dal Congresso ed il Senato di un potere di «consiglio e consenso» sulle nomine presidenziali. Si veda più approfonditamente S. FABBRINI, L’America…cit., p. 47. 43 N. W. POLSBY, Congress and the presidency (4yh ed.), Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall, 1986. 202 Federalista n. 10 per cui «no man is allowed to be a judge in his own cause».44 E’ per questo che nel sistema americano ciascuna istituzione, rispondendo ciascuna ad una propria constituency, rappresenta distinte comunità di interesse45, si basa su una propria modalità elettiva, e opera all’interno di una scadenza temporale distinta.46 Come sintetizza Sergio Fabbrini, «in America, per poteri separati occorre intendere poteri reciprocamente indipendenti, sia sul piano elettorale che sul piano istituzionale. Poteri messi nelle condizioni, quindi, di controllarsi reciprocamente»47. La cooperazione infraistituzionale e la reciproca indipendenza delle istituzioni è anche facilitata da un’altra caratteristica peculiare della democrazia composita: l’ordine anti-gerarchico fra le diverse istituzioni, considerate equiordinate, a differenza dell’esperienza democratica continentale, dove il Parlamento sembra detenere una supremazia istituzionale.48 Come nota Sergio Fabbrini, tutte le istituzioni hanno lo stesso potere, indipendentemente dalla loro relazione diretta o indiretta con la volontà popolare.49 Questo è possibile, secondo quanto acutamente messo in luce da Carrè de Malberg, perché, mentre 44 Anche tale assioma scaturisce da un presupposto Hobbesiano, nemo judex in re sua. 45 Ogni elettore «è incentivato a prendere in considerazione criteri diversi nelle sue scelte elettorali: di carattere nazionale nella scelta dei membri del Collegio elettorale (che elegge il Presidente); di carattere statale nella scelta dei senatori; di carattere locale, nella scelta dei rappresentanti della Camera», in S. FABBRINI, L’Unione europea…cit., p. 31, Corsivo aggiunto. 46 Si veda V. OSTROM, op. cit. pp. 146-147, che nota che la Camera dei rappresentanti è direttamente eletta ogni due anni in base alla popolazione di ciascuno stato, il Senato ogni 6 anni con due senatori per ciascuno stato indipendentemente dalla grandezza dello stato stesso, e il Presidente è eletto ogni 4 anni dai Grandi Elettori, che sono in numero equivalente al numero dei rappresentanti e dei senatori del singolo Stato nel Congresso. Analogamente J. BEDNAR, The Madisonian scheme to control the national government, in S. KERNELL (ed.), James Madison: The Theory and Practice of Republican Government, Stanford University Press, 2003. 47 S. FABBRINI, L’America…cit., p. 45. 48 Per una comparazione fra l’equilibrio istituzionale delle democrazie statal-nazionali europei e la democrazia americana vedi S. Fabbrini, che parla di fusione dei poteri nel primo caso, dato il rapporto fiduciario fra legislativo ed esecutivo e di separazione dei poteri nel caso statunitense, in S. FABBRINI, A Single Western European Model? Differential Development and Constrained Convergence of Public Authority Organization in America and Europe, «Comparative Political Studies», Vol.36 No. 6, 2003, e ID., L’America…cit., p. 45. 49 S. FABBRINI e D. SICURELLI, op. cit., p. 233. 203 quanto acutamente messo in luce da Carrè de Malberg, perché, mentre nel sistema americano la sovranità popolare è a fondamento della Costituzione nel suo insieme, nell’esperienza statal-nazionale europea essa è a fondamento dell’organo legislativo, unica istituzione che si fa espressione massima della volonté générale.50 In conclusione, la teoria politica della democrazia composita è concepita per imbrigliare le derive dispotiche della maggioranza e mettere freni e limiti al potere. Sia la struttura federale a livello verticale, ovvero infra-territoriale, che il sistema di checks and balances a livello orizzontale, ovvero infra-istituzionale, sono volte a realizzare ciò che Jean Jacques Rousseau avrebbe ritenuto essere «absurde», «que la voloné générale se donne des chaines pour l’avenir»51. 3. Unione Europea e Stati Uniti a confronto: verso una convergenza istituzionale? Nonostante le divergenze istituzionali fra le democrazie costituzionali europee e la democrazia americana, secondo Sergio Fabbrini, l’infittirsi del processo di integrazione europea getterebbe alle ortiche le pretese di eccezionalismo provenienti da entrambe le sponde dell’Atlantico. Analizzando il sistema europeo e quello americano da una prospettiva di politica comparata, l’autore constata che «l’Ue è venuta funzionando secondo un modello democratico già sperimentato»52, ovvero quello della democrazia composita, o madisoniana. L’Unione Europea, analogamente alla democrazia composita, rappresenta un sistema politico in cui si «governa senza un governo», 50 C. DE MALBERG, La loi, expression de la volonté générale. Etude sur le concept de loi dans la constitution du 1875, Paris, 1931 (ristampa 1984) e R. ACKERMAN, We The People. Foundations, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1991. 51 J.-J. ROUSSEAU, Du contrat social (1762), cit. in S. HOLMES, Vincoli costituzionali e paradosso della democrazia, in G. ZAGREBELSKY, P.P. PORTINARO, J. LUTHER (a cura di) Il futuro della costituzione, Einaudi, 1996, p. 167. E’ interessante notare che il «monismo istituzionale» della tradizione europea, ha talvolta considerato il federalismo quale sovversivo della «volontà generale» e pertanto incompatibile con il principio democratico, come messo in luce nel dialogo immaginario fra James and Jean Jaques in R. DAHL, La Democrazia e I suoi critici,Editori Riuniti, 1990, pp. 276-281. Altri autori, invece, fra cui Alexis de Tocqueville, hanno ritenuto la struttura federale particolarmente consona alla forma di governo democratica, in A. DE TOCQUEVILLE, De la démocratie en Amerique, Paris, A. Grain, 1951 (ed. originale1835). 52 S. FABBRINI, L’Unione europea…cit., p. 14. 204 in cui il «potere decisionale è disperso fra una panoplia di istituzioni reciprocamente indipendenti ma funzionalmente interconnesse».53 La comparazione di Sergio Fabbrini si snoda principalmente attraverso due livelli d’analisi, che comprendono il livello verticale della ripartizione di poteri fra il tutto e le sue parti costitutive, ed il livello orizzontale dei rapporti infra-istituzionali.54 Quanto al primo punto, sebbene anche nell’Ue esista una ripartizione territoriale del potere,55 vi sono differenze sostanziali, messe in luce dallo stesso autore,56 che non permettono di assimilare l’Ue al sistema federale statunitense. Mentre negli USA c’è un sistema di «federalismo competitivo o duale»57, dal momento in cui, data la rigida attribuzione di competenze fra stato federale e stati federati, ciascuna entità opera autonomamente nel rispettivo settore di competenze, l’Ue è stata assimilata ad un sistema di «federalismo cooperativo» più simile al modello tedesco.58 Alberta Sbragia, inoltre, sostiene che l’Ue sia un sistema di «federalismo inverso» rispetto agli USA dal momento in cui settori particolarmente delicati, quali la politica estera e di difesa continuano ad esser custoditi gelosamente dagli Stati, mentre negli Stati Uniti sono prerogative dell’autorità centrale.59 Per quanto riguarda il livello orizzontale degli equilibri istituzionali è importante evidenziare che il potere è disperso e diffuso fra le diverse istituzioni, e che tali istituzioni sono reciprocamente indipendenti. Quanto al primo punto, Fabbrini si sofferma essenzialmente sulla dispersione del processo di produzione normativa. In primo 53 S. FABBRINI, Madison in Brussels… cit., p. 189 (traduzione dell’originale: «the decision-making process takes place within a panoply of institutions reciprocally separated although functionally connected»). 54 In realtà la riflessione dell’Autore si sofferma anche su altre analogie del sistema europeo con quello americano, tra cui ad esempio il ruolo di policy making della Corte di Giustizia delle Comunità. Ma il saggio è principalmente incentrato sulla comparazione riguardo agli equilibri istituzionali. 55 S. FABBRINI, A Single Western…cit., p. 669. 56 Ibidem. 57 R. T. DYE, American Federalism. Competition among Governments, Mass, Lexington Books, 1990. 58 F. SHARPF, The Joint-decision… cit. 59 A. SBRAGIA, Federalism Reversed : Comparing the EU and the US , paper presented at the Annual Meeting of the APSA (American Political Science Association), Boston, August, 2002. 205 luogo, nell’Ue, il processo legislativo è esercitato in modo congiunto dalla Commissione europea, che detiene il monopolio dell’iniziativa legislativa, dal Parlamento europeo e dal Consiglio dei ministri. Negli USA, dove sembrerebbe esserci una più rigida separazione dei poteri fra legislativo, esecutivo e giudiziario,60 gli atti legislativi formulati dal Congresso richiedono necessariamente l’approvazione del Presidente. In secondo luogo, sia negli USA che nell’Ue, siamo di fronte ad una rappresentazione bicamerale del Congresso61: Il Pe, come la Camera dei rappresentanti, ha la funzione di dare voce ai singoli elettori, mentre il Consiglio dei ministri, come il Senato, rappresenta gli interessi degli Stati membri.62 In terzo luogo, in entrambi i casi il processo legislativo è aperto alla società civile, coinvolgendo sia attori privati che pubblici, comunità epistemiche, lobbies transnazionali e movimenti sociali.63 Quanto al secondo punto, anche nell’Ue la reciproca indipendenza delle istituzioni è promossa dal fatto di essere elette in periodi differenziati64 e di rappresentare diverse comunità di interesse.65 Infatti la Commissione rappresenta l’interesse sopranazionale, il Consiglio dei ministri l’interesse dei governi degli Stati nazionali, e il Pe gli interessi degli elettorati nazionali. Nella lettura di Sergio Fabbrini è particolarmente significativa l’indipendenza dell’esecutivo dal legislativo66, che è in totale distonia con le tradizioni costituzionali degli stati membri.67 Tale indipendenza nel caso americano è costituzio60 Così come stabilito dalla Costituzione Americana, il Congresso, il Presidente, e la Corte di giustizia rappresentano rispettivamente il potere legislativo, esecutivo e giudiziario (si vedano art. 1, 2 e 3 della Costituzione americana). 61 Anche altri autori, in seguito ad un rafforzamento del ruolo del Pe nella fase legislativa, hanno comparato la collaborazione fra Pe e Consiglio ad una rappresentanza simile a quella bicamerale. Si vedano R. DEHOUSSE, European Institutional Architecture after Amsterdam: Parliamentary System or Regulatory Structure?, «Common Market Law Review», 1998, p. 606. 62 S. FABBRINI, A Single Western…cit., p. 669. 63 Ivi, p. 668. 64 Come nota S. FABBRINI, «…if the nomination of the Commission and the election of the EP necessarily coincide, this is not true for the Council of Ministers whose composition is dependent on the outcome of national elections, which are held on the basis of national schedules», in Madison in Brussels…cit, p. 193. 65 Ibidem. 66 S.FABBRINI, A Single Western…cit., p. 667. 66 Ivi, p. 668. 67 Analoghe considerazioni in V. LIPPOLIS, I partiti politici europei, «Rassegna Parlamentare», n.4/2002, p. 948: «… il “governo europeo” non nasceva o non veniva 206 nalmente garantita, in quanto il Presidente è eletto dal Collegio elettorale organizzato lungo linee statali e, godendo della stessa legittimazione democratica del Congresso, non ha alcun rapporto di dipendenza da esso. Nel caso dell’Ue, invece, l’indipendenza fra esecutivo e legislativo è dovuta ad un delicato intreccio infra-istituzionale. Il fatto che i commissari siano nominati dal Consiglio dei ministri è un fattore decisivo «per evitare che la procedura di approvazione della Commissione da parte del Parlamento europeo sia in qualche modo assimilata al rapporto fiduciario fra esecutivo e legislativo».68 Secondo Sergio Fabbrini, la crescente convergenza istituzionale è dovuta al medesimo imperativo sistemico che attanaglia i due sistemi politici: l’idea di creare un ordine anti-egemonico ed anti-maggioritario. Secondo l’autore, sarebbe «l’asimmetria di potere che richiede approcci anti-maggioritari di costruzione della democrazia».69 L’Ue potrebbe dunque guardare agli USA nel suo tentativo storico di integrare e comporre distinte unità nazionali caratterizzate da forti dissimmetrie di potere sia a livello politico che economico.70 Una democrazia composita è un «sistema politico in cui bisogna accomodare interessi multipli e alternativi sistemi di lealtà primaria»71 e dove nessun interesse particolare prevalga sugli altri. Tuttavia la natura composita dell’ordinamento viene preservata a discapito di due elementi essenziali per il buon funzionamento di legittimato in sede parlamentare. Non vi è stato cioè un sia pur embrionale rapporto fiduciario o quanto meno di responsabilità politica nei confronti del Parlamento. Si veda al riguardo anche C. STORINI, La difficile parlamentarizzazione dell’Unione europea, «Diritto Pubblico Comparato ed Europeo», 1/2004, P. 257, secondo cui dalle elezioni europee «non nasce un Governo e nemmeno un programma legislativo, né esiste una connessione diretta tra elezioni al Parlamento europeo e Governo dell’Unione», citato in S. NINATTI, The Influence of National Constitutional Law on EU Law: The Emergence of a European Parliamentary Model, paper presentato alla Conferenza Internazionale The National Constitutional Reflection of EU Constitutional Reform, Madrid (Universidad Carlos III), 5-7 September 2004. 68 S. FABBRINI, A Single Western…cit., p. 669. 69 Secondo la versione originale, «it is this asimmetry of powers that solicits an anti-hegemonic approach to democracy building», in S. FABBRINI, Madison in Brussels…cit., p. 197. 70 Ibidem. 71 S. FABBRINI e D. SICURELLI, p. 233. Taduzione della versione originale: «a compound democracy is a polity wherein multiple interests, alternative loyalties and overlapping identities must be accommodated». 207 un sistema politico: lo scarso livello di accountability, data la dispersione del potere che non permette un chiara identificazione dei sistemi di «responsabilità e imputabilità»72, ed una scarsa efficienza nelle capacità decisionali, data la sovranità condivisa e i poteri di veto che ciascuna istituzione detiene nel mutuo concorrere all’esercizio dell’autorità.73 4. L’Unione europea quale democrazia composita? Secondo la tesi di Sergio Fabbrini, la crescente convergenza istituzionale fra il sistema politico statunitense ed il sistema politico europeo permette di definire quest’ultimo una democrazia composita. Secondo la mia lettura di questa tesi, in un ordinamento composito che aggrega unità costitutive distinte e caratterizzate da forti asimmetrie di potere, un disegno istituzionale anti-gerarchico e anti-egemonico, per l’appunto tipico della democrazia composita, si fa esso stesso connotato di democrazia in quanto in grado di garantire un’eguale partecipazione di tutte le posizioni e gli interessi coinvolti, prevenendo la formazione di maggioranze potenzialmente tiranniche nei confronti delle minoranze. Secondo tale lettura, dunque, la riflessione sulla democratizzazione del sistema comunitario deve necessariamente affrancarsi dal «principio maggioritario», che, seppur definito da Norberto Bobbio uno degli «universali procedurali» della democrazia, sembra essere in grado di funzionare soltanto all’interno di comunità sufficientemente coese. La necessarietà di equilibri istituzionali anti-maggioritari ed inclusivi nei confronti delle diversità, specie nei regimi pluralistici74, messa in luce da Fabbrini, è cruciale. Non a caso questo è l’imperativo sistemico che ha animato la riflessione teorica sulle 72 Non essendoci una traduzione propria del termine accountability, accolgo la proposta di J.L. QUERMONNE, op. cit., di considerarla quale insieme di «imputabilità» e «responsabilità». 73 S. FABBRINI e D. SICURELLI, p. 252. Come nota R. DAHL, «in case of severely divided political majorities emerging from temporarily differentiated presidential and congressional elections, institutional competition has frequently become institutional combat, with negative implications in terms of law-making capacity». 74 Sull’Ue quale regime pluralistico vedi J. COULTRAP, From Parliamentarism to pluralism: models of democracy and the European Union’s «Democratic Deficit, «Journal of Theoretical Politics» 11 (1), 1999. 208 l’imperativo sistemico che ha animato la riflessione teorica sulle democrazie consociative, caratterizzate da società fortemente frammentate dal punto di vista culturale, religioso, politico, sia a livello ordinamentale nazionale75 che comunitario76. Il dibattito sull’Ue è costernato da analoghe riflessioni. Attenti osservatori hanno messo in luce quanto il principio maggioritario possa esasperare anziché rimuovere, il deficit democratico dell’Ue,77 in quanto sistema non basato su di un unico demos, su un sistema di ancoraggio identitario comune. Un ethos comune, una cultura politica condivisa, si fanno condizioni indispensabili per accettare, interiorizzare le decisioni della maggioranza. La vera sfida dell’Europa odierna è, scrive Joseph Weiler, «ridefinire quei confini politici della Comunità al cui interno si applica il criterio del voto a maggioranza… e verificare il necessario spostamento di lealtà e attaccamento da parte dell’opinione pubblica a favore dei nuovi confini»78. Tuttavia, il dibattito sulla democratizzazione del sistema politico europeo ha spesso faticato ad affrancarsi dalle griglie deduttive della scienza politica classica e da paradigmi interpretativi coniati per un contesto ordinamentale rigorosamente statuale. Come nota acutamente Vittorio Emauele Parsi, il campo delle architetture costituzionali sembra essere quello in cui «la fucina della Rivoluzione francese ha consumato pressoché ogni materiale, disegno e idea più o meno ardita, concedendo un residuo spazio soltanto per aggiustamenti mai troppo innovativi o per revisioni sempre parziali»79. Assumere quali 75 Fra i principali teorici della democrazia consociativa o consensuale, si vedano A. LIJPART, op. cit. e H. DAALDER, The Consociational Democracy Theme, «World Politics» 26(4), 1974. 76 Per un’applicazione dei modelli di democrazia consociativa all’UE vedi P. TAYLOR, op. cit. e O. COSTA e P. MAGNETTE, anche se nella variante dell’ «interstate consociation». Per un contro-argomento sull’Ue quale democrazia consociativa vedi M. BOGAARDS, The Consociational Analogy of the European Union: A Rejoinder to Crepaz with a Comment on Kraiser, «European Union Politics», 3, 2002. 77 Secondo G. RESS, Parlamentariso e democrazia in Europa, Napoli, Guida, 1999, il voto a maggioranza in seno al Consiglio dei ministri, rompe formalmente la catena di legittimazione indiretta, che collega gli esecutivi ai rispettivi parlamenti nazionali, nei confronti dello stato messo in minoranza. Considerazioni analoghe in J.H.H. WEILER, La Costituzione dell’Europa, Bologna, Il Mulino, 2003. 78 ivi, p. 149. 79 V.E. PARSI, Premessa a ID. (a cura di) Premessa a Cittadinanza e identità costituzionale europea, Il Mulino, 2001, p. 9. 209 paradigmatici i modelli di democrazia rappresentativa presenti negli stati nazionali ha spesso avallato semplicistici accostamenti concettuali fra democrazia e parlamentarismo fomentando critiche sul presunto «deficit democratico» dell’Ue, dovuto alla scarsa preponderanza del Pe, in qualità di unica istituzione dotata di investitura popolare, nel decision making comunitario.80 Uno dei meriti della tesi di Fabbrini è dunque quello di superare quello che Paul Magnette definisce «mimetismo istituzionale», svincolando la riflessione sulla democratizzazione del sistema comunitario dagli standards democratici derivati dalle esperienze democratiche degli stati nazionali81, e di cercare «alternatives to the majoritarian avenue»82. In tal senso la sua teoria sarebbe assimilabile a quella di altri studiosi, che, pur con le dovute differenze, in qualche modo cercano di liberare l’Ue dall’ipoteca del «deficit democratico» considerando quali tratti peculiari della democrazia fattori non necessariamente ancorati alla legittimazione per input, ovvero ai meccanismi elettivi che garantiscono la partecipazione dei cittadini al 80 Senza entrare nel merito della sterminata letteratura sul «deficit democratico» dell’Unione, è evidente che il deficit democratico è quasi sempre stato interpretato quale deficit parlamentare, evidenziando solo una delle sfaccettature che il problema rivela, quella che P. Craig denomina «the executive dominance issue» (In P. CRAIG and G. DE BURCA (eds.), The Evolution of EU Law, Oxford, 1999, pp. 23-27). L’autore menziona altre dimensioni del deficit democratico, fra cui richiamo brevemente (1) the «distance issue», relativo al distacco delle istituizioni comunitarie dalla rispettiva base sociale; (2) the «by-passying of democracy argument», riferito alla tecnocrazia comunitaria che sfugge il controllo elettorale (3) the «transparency and complexity issue». L’analisi si ispira al lavoro comunque pioniere di J. WEILER, U. HALTERN and F. MAYER, European Democracy and its Critique, in J. Hayward (ed), The Crisis of Representation in Europe, Frank Cass, 1995. Segnalerei anche un altro filone di letteratura che cerca di guardare al «deficit democratico» dell’Ue non soltanto in connessione agli ingranaggi istituzionali del sistema, ma in connessione al «deficit politico» dell’Unione. Si vedano J. L. QUERMONNE, op. cit. e B. DE GIOVANNI, L’ambigua potenza dell’Europa, Guida, 2002. 81 Sulla questione degli standards democratici alla luce dei quali valutare il «gradiente» di democrazia dell’Ue, si vedano G. MAJONE, Europe’s «Democratic Deficit»: The Question of Standards, «European Law Journal», Vol. 4, No. 1, 1998 e A. MORAVCSIK, op. cit. 82 R. DEHOUSSE, Constitutional Reform in the European Community: Are There Alternatives to the Majoritarian Avenue?, «West European Politics», 1995 e ID., Beyond representative democracy : constitutionalism in a policentric polity, in J. WEILER and M. WIND (ed), European Constitutionalism Beyond the State, Cambridge University Press, 2003, pp. 135-156. 210 canismi elettivi che garantiscono la partecipazione dei cittadini al processo legislativo. Dehousse, ad esempio, invita a non assumere quale esperienza paradigmatica per il processo europeo quella delle democrazie rappresentative presenti negli Stati membri ed auspica una maggiore apertura dei processi decisionali comunitari alla società civile o alle comunità di interesse in quanto potenziali destinatari delle norme di volta in volta in questione.83 Andrew Moravcsik, analogamente, invita a giudicare la qualità democratica dell’Ue alla luce delle democrazie contemporanee presenti nelle società industrialmente avanzate piuttosto che alla luce dell’ideale democratico della democrazia parlamentare o plebiscitaria84, e, in modo non distante dalla teoria di Fabbrini, considera il modello di governo separato e limitato da checks and balances infra-istituzionali quale connotato di democrazia.85 Paul Craig, reputa che la democratizzazione del sistema comunitario debba ispirarsi al principio repubblicano, e ad uno dei suoi principali assunti, l’equilibrio istituzionale. Ancorato non alla tradizione madisoniana ma a quella di Machiavelli e di Blackstone, l’autore invoca la necessarietà di un gioco a somma positiva fra diverse istituzioni espressione di diverse comunità di interesse, per creare un buon governo in grado sia di escludere le derive tiranniche della maggioranza che di promuovere il bene comune86. 83 R. Dehousse (in Beyond representative…cit., pp. 135-156) invita ad abbandonare un approccio input-oriented, focalizzato sulla partecipazione dei cittadini agli organi preposti all’attività legislativa, a favore di un approccio process oriented, in cui i destinatari delle decisioni, in particolare i rappresentatnti della società civile, possano essere coinvolti nelle fasi di attuazione delle decisioni stesse attraverso una maggiore apertura e trasparenza della fase post-legislativa. 84 A. MORAVCSIK, In Defence of the «Democratic Deficit»: Reassessing Legitimacy in the European Union, «Journal of Common Market Studies», Vol. 40, No. 4, 2002, p. 603 85 Così A. MORAVCSIK (In defense of…cit, p. 609): «the Eu’s ability to act, even in those areas where it enjoys clear competence, is constrained by institutional checks and balances, notably the separation of powers, a multi-level structure of decision-making and a plural executive. This makes arbitrary action (indeed, any action) difficult and tends to empower veto groups that can capture a subset of national governments. Such institutional procedures are the conventional tool for protecting the interests of vital minoroities – a design feature generally thought to be the most appropriate to polities, like the EU, that must accommodate heterogeneous cultural and substantive interests (Lijphart 1990) » 86 P. CRAIG, Democracy and Rule-making Within the EC: An Empirical and Normative Assessment, «European Law Journal», Vol.3, N. 2, 1997, p. 124. In particolare 211 A mio avviso, comunque, uno dei meriti di Fabbrini è di mettere in luce la natura composita dell’ordinamento comunitario. Convengo che tale caratteristica faccia in modo che il sistema europeo condivida con quello americano un imperativo sistemico ben preciso: creare un sistema politico che scaturisca da una duplice fonte di legittimazione, quella degli Stati e quella dei cittadini, e sia in grado di accomodare i diversi interessi delle parti costitutive del sistema. Tuttavia, nonostante l’ordinamento comunitario condivida la stessa esigenza strutturale della democrazia composita americana, essendo la democratizzazione del sistema europeo un processo ancora incompiuto definirei l’Ue una compound polity, ma non ancora una compound democracy. Mentre Sergio Fabbrini sostiene che «l’isolamento internazionale e lo sviluppo economico hanno contribuito all’abilità di USA e Ue di consolidarsi e legittimarsi quali democrazie composite»87, la questione della legittimazione dell’ordinamento comunitario resta ancora irrisolta. Lo stesso Fabbrini nota che, mentre gli Usa sono stati esplicitamente concepiti quali democrazia composita sin dal progetto costituzionale della Convenzione di Filadelfia, l’Ue è diventata una democrazia composita attraverso un lungo processo di istituzionalizzazione e costituzionalizzazione.88 Volendo parafrasare Hamilton, potrei sostenere che, a differenza degli Usa, l’Ue non è diventata una democrazia composita né per «propria scelta» né attraverso una «matura riflessione» 89. Tale elemento non è irrilevante ai fini di una valutazione sulla legittimità del sistema politico dell’Ue. Concluderei pertanto che, seppure la configurazione istituzionale dei sistemi dal punto di vista descrittivo sembra avviarsi verso una convergenza, legittimando l’introspezione comparativista dell’Autore, l’effettiva esistenza di caratteristiche tipiche della democrazia composita all’interno si veda p. 116, «The rationale for the centrality accorded to this idea (institutional balance) strikes a direct chord with the historical application of republicanism: the necessity to create a stable form of political ordering for a society within which there are different interests or constituencies». 87 Nella versione originale, »international isolation and economic development thus contributed to the ability of both the US and the EU to take root and gain legitimacy as compound democracies», in S. FABBRINI, Madison in Brussels…cit., p. 197. 88 Ivi, p. 196. 89 Il quesito posto nel Federalist n. 1 riguarda infatti la possibilità di creare una repubblica «by reflection and choice». 212 dell’ordinamento comunitario (quali la separazione multipla dei poteri), non implicano un’accettazione automatica da parte delle unità costitutive del sistema stesso (stati e individui) della natura composita dell’ordinamento. Ragion per cui, a meno che non si postuli l’esistenza di una democrazia senza legittimità, non definirei l’Ue una democrazia composita. 5. L’Unione Europea di fronte ad una «propria scelta» attraverso «matura riflessione». Il presente paragrafo intende enucleare alcune delle caratteristiche distintive della democrazia composita, nell’intento di dimostrare che, seppur presenti nell’ordinamento comunitario, sono in realtà messe in discussione dalle sue parti costitutive e dunque non socialmente accettate all’interno del sistema stesso. Ciò può esser dimostrato sia attraverso il dibattito scientifico che attraverso l’analisi di diversi documenti comunitari focalizzati sulle riforme istituzionali, che potremmo considerare quali indicativi della libera «scelta» e della «matura riflessione» dell’Unione europea alla ricerca di una configurazione istituzionale congrua alla sua natura complessa e composita. Mi concentro innanzitutto sulla prima delle caratteristiche peculiari della democrazia composita: l’ordine anti-gerarchico fra le diverse istituzioni, dovuto, nel sistema americano, al fatto che ciascuna agisce all’interno delle specifiche competenze attribuitele dalla Costituizione sovrana90, legittimamente riconosciuta quale atto fondamentale e costitutivo dell’ordinamento dal «We the People» posto in epigrafe al documento stesso. A mio avviso, invece, nel sistema europeo, la «legalità» 91 attraverso la quale si espleta il funzionamento delle 90 S. FABBRINI and D. SICURELLI, p. 233. Ritengo doveroso precisare che il „principio di legalità « assume nel sistema comunitario una specificità dovuta alla condizione ordinamentale di riferimento che non è possibile esaminare in questa sede, rinviando comunque al lavoro di A. ALI, Il principio di legalità nell’ordinamento comunitario, Giappichelli, 2005. R. Toniatti nota come la stessa Corte di giustizia «sembra essersi ispirata più al principio di rule of law che al principio di legalità», in R. TONIATTI, Verso la definizione dei «valori superiori» dell’ordinamento comunitario: il contributo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in ID. (a cura di), Diritto, diritti, giurisdizione: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Padova, Cedam, 2002, p. 28). In realtà, in tale contesto, utilizzo l’espressione «legalità» nella sua accezione più lata di conformità dell’operato delle 91 213 istituzioni comunitarie, operanti in modo formalmente corretto secondo quanto debitamente previsto dai trattati istitutivi della Comunità, non è mai stato requisito sufficiente per ritenere automaticamente ed egualmente legittime le istituzioni stesse. Questo perché, per dirla con Francis Snyder, i trattati consolidati rappresenterebbero una costituzione nell’accezione «empirica» e non «soggettiva» del termine, non essendo riconosciuti dai popoli europei quale atto fondamentale fonte sia dell’ordinamento che di un ancoraggio identitario nei confronti di questo.92 Infatti, non solo in virtù del suo legame preferenziale con la «sovranità popolare», in quanto direttamente eletto dal 1979, il Pe è sempre stato considerato l’istituzione più «legittima» monopolizzando a lungo i tentativi di riforma istituzionale dell’Ue, ma il dibattito scientifico ha sempre cercato giustificazioni normative alternative per legittimare l’esistenza di istituzioni «non-maggioritarie» e quindi non direttamente collegate alla volontà popolare quali la Commissione europea ed il Consiglio dei ministri dell’Ue. La composizione della Commissione, retta da funzionari ed esperti tecnici, è stata giustificata dalle domande di una società complessa e industrialmente avanzata, in cui il pouvoir d’expertise93 è necessario per garantire l’efficienza dei risultati nel raggiungimento di politiche concrete.94 Quanto alla composizione del Consiglio dei mi- istituzioni ai Trattati istitutivi, accezione abbondantemente suffragata dalla celebre sentenza Parti ecologiste Les Verts, secondo cui «La Comunità economica europea è una comunità di diritto nel senso che né gli stati che ne fanno parte né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla carta costituzionale di base costituita dal trattato», citato nel saggio di F. PALERMO, La Carta tra diritto positivo e positività del diritto, p. 209, in R. TONIATTI (Diritto…cit. a cura di). Vige su tale controllo della conformità degli atti comunitari ai trattati istitutivi la Corte di giustizia, che, a norma dell’art. 220 TCE, «assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del presente trattato». Per un’accurata ricostruzione del principio di rule of law nell’ordinamento comunitario si veda M. L. FERNANDEZ ESTEBAN, The Rule of Law in the European Constitution, Dordrecht, 1999. 92 F. SYNDER, The Unfinished Constitution of the European Union: Principles, Processes and Culture, in J. WEILER and M. WIND, op. cit, pp. 55-77. 93 L’espressione è di J.L. QUERMONNE, op. cit. 94 Si veda il Green Paper for the Council of Europe, secondo cui la legittimità delle commissioni di esperti si basa «on the demands—complexity and specialized knowledge—faced by, and the standards— effectiveness and efficiency—required for public policy making in developed society», in The Furure of Democracy in Europe: 214 nistri viene comunque enfatizzata la legittimazione democratica, seppur indiretta, che collega i ministri di volta in colta competenti ai rispettivi parlamenti nazionali. Eppure, così come, in merito alla preponderanza di quest’ultimo nel law-making process comunitario, si è parlato di un’anomala «legislazione dell’esecutivo»95, la Commissione europea, per quanto garante dell’efficienza del sistema, è stata a lungo considerata un «aérèopage technocratique». Tali critiche consentono di mettere in luce che a livello europeo non regge nemmeno l’altro fattore che secondo la prospettiva di Sergio Fabbrini dovrebbe legittimare un rapporto anti-gerarchico fra le diverse istituzioni, ovvero il loro farsi rappresentative degli interessi eterogenei delle unità costitutive del sistema. Ad esempio, l’intensa attività legislativa del Consiglio dei ministri, composto dagli esecutivi degli stati membri, lungi dall’essere pacificamente accettata alla luce del fatto che permette che gli interessi dei singoli stati siano rappresentati nel decision-making comunitario, è stata criticata in quanto foriera di una «perversione» della democrazia96 a livello dei singoli Stati membri, intesa sia come supremazia dell’ esecutivo sul legislativo nel delicato momento della produzione normativa che come possibilità per gli esecutivi nazionali di prendere decisioni poco trasparenti sfuggendo così al controllo degli elettorati nazionali.97 Tale esautoramento Trends, Analysis, Reforms. A Green Paper for the Council of Europe. Co-ordinted by PH. SCHMITTER and A.H. TRECHSELT, Council of Europe Publishing, p. 55 95 G. RESS, op. cit. 96 La nozione di «perversion of democracy» è enucleata in J. WEILER et. al., op. cit, ma è stata analizzata, attraverso modalità differenti, in F. SHARPF, The joint... cit., A. MORAVCSIK, Why the European Community Strengthens the State: Domestic Politics and International Cooperation, Paper Presented at the Conference of Europeanists, Chicago, IL, USA (April 1994), e D. WINCOTT, Does the European Union Perverts Democracy? Questions of Democracy in New Constitutional Thought on The Future of Europe, «European Law Journal», 4(4), 1998. P. CRAIG (The evolutoion..cit, p. 23) parla di «executive dominace issue». 97 A. MORAVCSIK, Why the European cit. Si veda anche F. SORRENTINO, Profili costituzionali dell’integrazione comunitaria, Torino, 1996, p.55, che osserva: «i poteri, che vengono perduti in sede nazionale dalle istituzioni rappresentative vengono poi acquisiti in sede comunitaria da istituzioni non rappresentative o…da efficienti tecnostrutture. Se, il centro politico del sistema si individua nell’organo intergovernativo…l’integrazione europea rischia di passare attraverso scelte intergovernative che, per il solo fatto di essere compiute in sede comunitaria, sono prive dei controlli politici e costituzionali cui nell’ordinamento nazionale sono sottoposte», citato in D. STRAZZARI, Il processo di costituzionalizzazione come dato costitutivo e originario dell’ordinamento comunitario, 215 dei parlamenti nazionali ha indotto parte della dottrina a parlare di «deparlamentarizzazione dell’Europa occidentale».98 Analogamente, la Commissione non è mai stata considerata intrinsecamente legittima perché custode dell’interesse sovranazionale e composta da esperti che, svincolati dalle dinamiche politico-elettorali, si fanno garanti e guardiani platonici dell’imparzialità del decision-making comunitario. Nonostante il ruolo dei guardians, ovvero degli esperti, sia stato reputato cruciale nel consolidamento di forme di democrazia postnazionale99, i paradigmi interpretativi della scienza politica classica ancorati ai modelli di democrazia rappresentativa sono emersi in occasione delle riforme istituzionali sollecitando un interrogativo («who guard the guardians? », quis custodiet ipsos custodies?)100, a mio avviso esemplificativo del desiderio di ancorare in qualche modo le decisioni comunitarie al controllo dei cittadini e ad una qualche forma di responsabilità politica. Anche la stessa efficienza del sistema, ovvero la garanzia di una legittimazione per output, tramite il concreto realizzarsi delle politiche, è stata ritenuta una forma di legittimazione complementare ma non certo sostitutiva a quella per input. 101 Come messo in luce da Viviane Shmidt, la natura composita dell’ordinamento comunitario potrebbe innestare una crisi di legittimità all’interno degli stati nazionali, specie in quelli «unitari» con un disegno istituzionale più coerente e meno frammentato di quello europeo. Qui, essendo ancora viva la catena di legittimazione della democrazia rappresentativa102, le élites politiche dovrebbero impein R. TONIATTI e F. PALERMO (cur.), Il processo di costituzionalizzazione dell’Unione Europea, Università degli Studi di Trento, 2004, p. 100, in nota 53). 98 G. RESS, op. cit., p. 64. 99 A. SBRAGIA, La Democrazia Postnazionale: una sfida per la Scienza Politica, «Rivista Italiana di Scienza Politica», 1/2004. Per un analisi sui delicate equilibri fra democrazia e «guardianship» si veda R. DAHL, Controlling Nuclear Weapons. Democracy versus Guardianship, Syracuse University Press, 1985. 100 Alcune soluzioni al presente quesito sono presenti nel «Green Paper for the Council of Europe» citato in nota 94, pp.51-63. 101 La distinzione fra input and output legitimacy è delineata da F. SHARPF, Governing Europe, Oxford University Press, 1999. Secondo l’autore, il deficit democratico potrebbe evitare di tramutarsi in deficit di legittimità se l’Ue è in grado di risanare e modernizzare le politiche di welfare della stato nazionale. 102 Si veda B. DE GIOVANNI (op. cit. pp. 191ss.) su un ripensamento della categoria «legittimità» nell’ordinamento comunitario, dove la catena di legittimazione densa, 216 gnarsi in un nuovo «public discourse» a sostegno della mutazione morfologica della democrazia stessa.103 Questo può essere indicativo del fatto che, nonostante l’Ue condivida lo stesso imperativo sistemico di una democrazia composita, e per certi aspetti presenti un disegno istituzionale che cerca di assecondare tale imperativo, vi sono molte altre esigenze strutturali necessarie ad una compiuta democratizzazione del sistema europeo che la natura composita dell’ordinamento non riesce a soddisfare. Ad esempio, lo scarso livello di accountability e di efficienza del sistema decisionale, che Sergio Fabbrini annovera quali esternalità negative della natura composita dell’ordinamento, non sono che un altro esempio di caratteristiche tipiche della democrazia composita che non godono di una legittimazione sociale consolidata nel sistema europeo. Al contrario, si tratta di caratteristiche che la scelta e la riflessione europee hanno cercato di rimuovere. Il bisogno di accrescere l’accountability del sistema europeo, attraverso una maggiore chiarificazione sulla responsabilità politica dei decision-makers comunitari, è elemento presente ed egemone di tutte le riforme istituzionali.104 Come recita il Libro Bianco sulla governance, «in a multi-level system the real challenge is establishing clear rules for how competence is shared - not separated; only that nonexclusive vision can secure the best interests of all the member states and all the Union’s citizens».105 Nonostante l’attenzione sempre presente verso un equilibrio istituzionale in grado di rappresentare tutti gli interessi coinvolti, il Libro Bianco sente la necessità di invocare una più chiara ripartizione delle competenze «al fine di rispondere alla domanda frequente nell’opinione pubblica su «chi fa cosa in Europa».106 «Quest’esigenza, ha anche influenzato il desiderio di una lineare e coerente dello Stato nazione, che seguiva il percorso popolo-stato-sovranità, si è invece «indebolita e allungata» nell’ordinamento comunitario. 103 V. SHMIDT, Federalism and State Governance in the EU and the US: An Institutional Perspective, in K. NICOLAIDIS, R. HOWSE, The Federal Vision, Legitimacy and Level of Governance in the United States and the European Union, Oxford University Press, 2001. 104 La letteratura sull’accountability nel sistema comunitario è piuttosto vasta. Ma si veda in particolare A. ARNULL and D. WINCOTT, Accountability and Legitimacy in the European Union, Oxford University Press, 2002. 105 EC Commission, European Governance. A White Paper, (Brussels, 25.7.2001), COM (2001) 428, p. 35. 106 Ivi, 34. 217 più chiara separazione dei poteri all’ interno del sistema che potesse, specie nei rapporti fra esecutivo e legislativo «seguire il modello delle democrazie rappresentative nazionali»107. Mentre Sergio Fabbrini sostiene che l’Ue «finirà per selezionare tutti quegli ingranaggi istituzionali che preservano e proteggono la natura composita dell’ordinamento»108, risulta evidente che un sistema in cui la sovranità è condivisa ed il potere diffuso e frammentato sia lungo linee territoriali che infra-istituzionali non è facilmente accettabile nell’Ue. La Convenzione di Brussels che ha lavorato alla Costituzione europea, ha in qualche modo seguito le indicazioni del Libro bianco in merito ad una più chiara separazione dei poteri, distinguendo fra organi legislativi (Pe e Consiglio dei ministri) in grado di fornire le linee guida essenziali per la produzione normativa, e organo esecutivo (la Commissione) incaricato dell’implementazione di misure esecutive non essenziali.109 La separazione dei poteri è anche rafforzata da una embrionale gerarchia delle norme110, che distingue fra «atti legislativi», cui concorrono Consiglio e Pe e «atti non legislativi», cui concorre la Commissione, che, abolito l’art. 202 TCE con cui era il Consiglio a conferire «alla Commissione le competenze di esecuzione delle norme che stabilisce», viene considerata propriamente l’organo esecutivo della Comunità.111 Come acutamente messo in luce da Laenerts, l’Ue ha sempre sposato un’accezione meramente «funzionale» della dottrina della separazione dei poteri, considerando in via generica il potere legislativo come la capacità di produrre norme generali ed astratte ed il potere esecutivo come la capacità di applicare tali norme al caso con107 ivi, 34. Analogamente, seppur l’innovazione non è assolutamente riconducibile al rapporto fiduciario fra esecutivo e legislativo, il Trattato che adotta un Costituzione per l’Europa invita il Consiglio europeo a tener conto dell’esito delle elezioni parlamentari prima di selezionare il presidente della commissione (art. I-27), che viene «eletto» dal Pe (art. I-20). 108 S. FABBRINI and D. SICURELLI, op. cit., p. 251, «the EU will end up selecting those institutional mechanisms which preserve and protect its compound nature». 109 EC Commission, European Governance. A White Paper, (Brussels, 25.7.2001), COM (2001) 428, 20-31. 110 Si veda l’interessante articolo di R. Shutze, Sharpening the Separation of Power through a Hierarchy of Norms?, EIPA Working Paper, 2005/W/01, disponibile sul sito: http://www.eipa.nl 111 SI veda Final report of working group IX («Simplification»), CONV 424/02, 218 creto.112 Le riforme sovra-menzionate manifestano invece la volontà di passare da una concezione «funzionale» ad una concezione «organica» della separazione dei poteri, in cui determinate competenze vengono attribuite a specifiche istituzioni. Come stabilito dal Libro Bianco, «ogni istituzione deve assumersi la responsabilità per ciò che fa in Europa». In conclusione, un rapido sguardo ai nostri imperativi sistemici, dimostra, dunque, che il bisogno di accountability è senza dubbio un’esigenza primaria delle riforme istituzionali comunitarie, e che non debba sorprendere che le esigenze strutturali sottese all’architettura istituzionale dell’Europa odierna siano distinte da quelle che hanno animato il progetto costituzionale ideato dai Padri Fondatori nel 1787. 6. Alla ricerca di un «republican remedy» senza alcun «republican disease». Come messo in luce da Jurgen Habermas, «stato nazionale e democrazia sono due gemelli nati dalla rivoluzione francese…a livello culturale stanno all’ombra del nazionalismo»113. Tale quadro politico familiare, costitutivo della «modernità organizzata», fa apparire spesso utopica la costruzione di una democrazia post-nazionale. La tesi di Sergio Fabbrini merita attenzione in quanto muove da un interrogativo ormai cruciale nella scienza politica che riguarda appunto la possibilità del consolidarsi di una forma di governo democratica a livello post-nazionale. Nel definire l’Ue un democrazia composita, l’autore implicitamente risponde in modo affermativo a tale interrogativo, rimuovendo sia le conclusioni univoche della «No Demos Thesis» – secondo cui non esisterebbe una democrazia a livello sopranazionale in assenza di un demos114 – sia l’identificazione fra 112 K. LENAERTS, Some Reflection on the Separation of Power in the European Community, 28, «Common Market Law Review», 1991, p. 13. 113 J. HABERMAS, La costellazione post-nazionale. Mercato globale, nazioni e democrazia, Milano, Feltrinelli, 1999. 114 Il termine No Demos Thesis è stato coniato da J. WEILER et al. (op. cit), per esemplificare la posizione della Corte Costituzionale Tedesca nel caso Brunner v. European Union Treaty (1994) che denunciave l’inesistenza di un Volk a livello europeo. Si veda più accuratamente P. CRAIG and G. DE BURCA (op. cit, p. 28) e, per un accurato sunto 219 democrazia e parlamentarismo che ha a lungo fomentato le critiche in merito al «deficit democratico» dell’Ue. L’autore si affranca dunque dalle griglie deduttive di un «mimetismo istituzionale» che vede nel modello della democrazia rappresentativa presente negli Stati membri, basato fondamentalmente su un’investitura diretta del Parlamento e su di un vincolo fiduciario fra esecutivo e legislativo, un parametro di riferimento per giudicare il processo di democratizzazione europeo. Come messo in luce da Daniel Wincott, «a good deal of the new «normative» literature suggests or implies that statist notions have created misleading, and arguably impossible, standards against which to judge the character of the Eu’s «democratic deficit”»115 . Nell’intento di andare «oltre la democrazia rappresentativa»116, Fabbrini colloca la natura democratica dell’Ue in una configurazione istituzionale in grado di «comporre» l’eterogeneità delle unità costitutive del sistema e di rispondere ad una duplice e contraddittoria fonte di legittimazione. In realtà, la necessarietà di preservare un delicato equilibrio istituzionale in grado di dar voce a tutti gli interessi coinvolti nel decision-making comunitario è stato l’imperativo sistemico che agli albori della comunità ha animato la creazione del cosiddetto «triangolo istituzionale» e del metodo comunitario, e verrebbe suffragata da qualunque analisi dei documenti comunitari in merito alle riforme istituzionali. «Democratic legitimacy must be the expression of the Union’s institutional system as a whole, and not merely a concept which is thought of only in relation to the European Parliament»117. Analogamente, la Corte europea di giustizia, osserva Roberto Toniatti, non sembra «ergersi a paladino di un generale e generico principio democratico in favore del Parlamento, quasi volesse o dovesse riprodurre nell’ordinamento comunitario lo schesulle posizioni legate alla No Demos Thesis si veda l’interessante ricerca di S. DELLA VALLE, Una Costituzione senza popolo?, Giuffré, 2002. 115 D. WINCOTT, op. cit., p. 213. 116 Si veda l’appello di R. DEHOUSSE (Beyond representative…cit) ad andare «beyond representative democracy». Per modelli alternative di legittimazione si veda ad esempio G. MAJONE (op. cit), che mette l’enfasi sulle tecniche non-maggioritarie di legittimazione per quanto riguarda le agenzie indipendenti e F. SHARPF (Governing…cit), che si concentra sull’ output legitimacy. 117 Report of the Council on the Functioning of the Treaty of European Union, Brussels 1995, para 16, citato in P. CRAIG (Democracy…cit, p. 108). 220 ma classico di distribuzione dei poteri tipico degli Stati membri, ma si orienta ad una (rigorosa) applicazione della ratio originaria e autoreferenziale dell’equilibrio istituzionale delineato dal sistema di ripartizione delle competenze predisposto dai Trattati».118 Tuttavia, l’approccio che potrei definire «olistico» di Sergio Fabbrini, tralascia a mio avviso alcune questioni fondamentali. In primo luogo, non si preoccupa di verificare le esternalità dell’equilibrio istituzionale del sistema nel suo complesso sulle unità costitutive del sistema stesso. Per quanto riguarda i sistemi politici nazionali, ho già analizzato quanto l’attività legislativa del Consiglio, composto dagli esecutivi degli stati membri, possa alterare l’equilibrio fra esecutivo e legislativo a favore del primo generando così, a livello statal-nazionale, una «perversione»» della democrazia.119 Quanto a cittadini, le rivendicazioni di una maggiore partecipazione e coinvolgimento nelle decisioni politiche comunitarie, le denuncie riguardo al «deficit democratico» dell’Ue a partire dagli anni settanta120, dimostrano che la configurazione istituzionale europea non è stata accettata quale legittima, e quanto tali contestazioni siano filtrate da concezioni di democrazia esistenti negli stati membri.121 Come messo in luce da Stefania Ninatti, «il modello parlamentare si insinua nel discorso europeo per il tramite dell’ancoraggio dei trattati alle tradizioni costituzionali comuni…nonostante le tradizioni costituzionali comuni sull’organizzazione pubblica abbiano influenzato l’evoluzione comunitaria in misura assai inferiore rispetto ad altri settori, quale esemplarmente… quello dei diritti fondamentali»122. La mancata accettazione sociale del sistema mi porta a concludere 118 R. TONIATTI, Conflitti di competenza e forma di governo comunitaria: un contributo della Corte europea di giustizia, in «Diritto Pubblico Comparato ed Europeo», 1999, III, p. 1157. Per un’interpretazione diversa, si veda tuttavia S. NINATTI (op. cit., p. 6), secondo cui i giudici «costituzionali» sia a livello comunitario che a livello interno si sono esposti in difesa di un modello parlamentare di democrazia. 119 La nozione di «perversion of democracy» è mutuata da J. WEILER et al., op. cit. 120 Si veda in particolare il Rapporto Tindemans del 1975. 121 Come nota N. Bernard «given the centrality of parliamentary representation model in liberal conception of democracy, it is pheraps not surprisingly that it should have strongly influenced the perceoption of what the process of democratization in the EU entails», N. BERNARD, Multilevel governance in the EU, Kluwer Law Int.l, The Hague, 2002, p. 226, citato in S. Ninatti (op. cit. in nota 15) 122 S. NINATTI (op. cit, p. 2) 221 che l’Ue potrebbe essere definita un ordinamento di natura composita, ma non ancora una democrazia composita. In secondo luogo, l’eccessiva attenzione sull’equilibrio istituzionale nel suo complesso porta a sottovalutare la qualità democratica delle singole istituzioni. La comparazione delineata da Fabbrini non si sofferma sul fatto che la legittimazione democratica delle istituzioni europee non è assolutamente comparabile con quella dei loro «equivalenti funzionali» nel sistema americano.123 E che pertanto applicare a sistema europeo il modello di democrazia composita significherebbe cercare un «republican remedy», ovvero un disegno costituzionale in grado di imbrigliare la maggioranza attraverso una separazione multipla dei poteri, senza alcun «republican disease», ovvero senza un potenziale dispotismo elettivo, essendo il sistema europeo caratterizzato da una scarsa partecipazione elettorale. Richiamando il Federalista no. 51, «L’autorità del popolo rappresenta, indubbiamente, il primo e più importante sistema di controllo di un governo, ma l’esperienza ha insegnato all’umanità che altre garanzie sono necessarie»124. Non va dunque dimenticato che la «general theory of a limited constitution» rappresenta appunto un freno ed un limite istituzionale a possibile abuso del potere da parte della maggioranza, e quindi di una rappresentanza popolare eventualmente faziosa. La mia percezione a margine di un’analisi non esaustiva del dibattito intorno alla democratizzazione dell’Unione è invece che il rischio di ciò che Jurgen Habermas definirebbe «rule of law without democracy» sia sempre più incombente. Per dirla con Yves Mény, l’auspicabile creazione di una democrazia post-nazionale, pur seguendo un percorso differenziato rispetto a quello delle democrazie statali, non può che fondarsi sul delicato equilibrio fra i due elementi costitutivi della democrazia stessa: la sovranità popolare ed il costituzionalismo.125 L’eccessiva enfasi sul costituzionalismo, nella sua ac123 Se il Presidente degli USA è eletto dal Collegio elettorale, i Commissari europei sono selezionati da accordi e negoziati intergovernativi all’interno del Consiglio. Analogamente, se il Senato americano è direttamente eletto in seguito al XVII emendamento del 1913, il Consiglio dei ministri rappresenta gli esecutivi degli Stati membri. 124 Il Federalista no. 51, op. cit., p. 458. 125 Y. MENY, The EU and the Challenge of a Post-national Constitution, in S. FABBRINI (eds.) Democracy and Federalism in the European Union and the United States. Exoploring Post-National Governance, Routledge, 2004. 222 cezione storica di limite all’arbitrarietà del potere e freno alle derive tiranniche della sovranità popolare, finisce invece per diventare, nel contesto europeo, un surrogato piuttosto che un complemento della democrazia.126 L’auspicio è che qualunque riforma di natura costituzionale possa essere analizzata attraverso un paradigma squisitamente «costituente» piuttosto che meramente «garantista»127. L’eccessivo focalizzarsi sugli ingranaggi istituzionali, senza tener conto dell’effettiva partecipazione popolare al sistema europeo, rischia di ingabbiare il processo di integrazione nelle logiche della forma, e di porre limiti ad un pouvoir constituant in realtà non assolutamente minaccioso perché o scarsamente partecipe o inestricabilmente già dissolto e dissoluto nei poteri costituiti. 7. Conclusioni: l’Unione europea e la sineddoche democratica La riflessione sulla democratizzazione dell’ordinamento comunitario sembra caratterizzarsi quale «sineddoche». Attraverso angolature visuali sempre parziali, talvolta il tutto, talvolta le sue parti, e mai il sistema nel suo insieme, assurgono a rango di elemento privilegiato d’analisi. Abbiamo visto che il filone che accomuna molti scienziati della politica che considerano l’Unione europea quale sistema politico unitario e pertanto comparabile ed assimilabile a modelli di democrazia consolidati in altre esperienze statal-nazionali, spesso incorre in un eccesso di olismo. La teoria di Segio Fabbrini, analizzando il sistema in quanto democratico nel suo complesso non prende accuratamente in considerazione gli effetti che il processo di integrazione europea produce a livello nazionale, effetti non sempre benefici dal punto di vista della democratizzazione degli ordinamenti statuali. Il focus sulla democrazia come «limite», inoltre, trascura che l’elemento 126 Si veda a tal proposito E. PETERSMANN, Proposals for a New Constitution for the European Union Building Blocks for a Constitutional Theory and Constitutional Law of the EU, Common Market Law Review, 1995, p. 1144: «the individual right to participate, through a directly elected representative parliament in democratic law-making in no less fundamental than other basic individual rights», citato in Ninatti (2004, nota 32). 127 Si noti la felice espressione di R. TONIATTI (Diritto…cit., p. 7), che in merito alla stesura della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, scrive: «ad un paradigma ricostruttivo di tipo (esclusivamente) garantista contrapponiamo e privilegiamo un paradigma di natura (materialmente) costituente». 223 essenziale e costitutivo della democrazia è comunque da riscontrarsi in qualche forma più o meno strutturata di partecipazione popolare. Non andrebbe dimenticato che, la stessa enfasi che sia il diritto positivo che il diritto di natura giurisprudenziale pongono sull’equilibrio istituzionale tenta comunque di tutelare all’interno di esso le prerogative del Parlamento europeo in qualità di organo direttamente eletto.128 D’altro canto, i fautori della «no demos thesis»129, considerando gli Stati nazionali, in quanto fondati su un demos omogeneo, i custodi della democrazia, prevedono per l’Europa forme di legittimazione democratica sempre derivate, e mai autonome o autoreferenziali. Ferma restando la loro preferenza per esiti meramente intergovernativi dell’Unione europea, la legittimazione di stampo meramente internazionalistico, ovvero promanante dagli stati quali elementi costitutivi del sistema, sembrerebbe sufficiente per legittimare il sistema stesso. La sentenza della Corte costituzionale tedesca in occasione della ratifica del trattato di Maastricht, per dirla con Federico Mancini, rappresenta «l’espressione più nota… di quella scuola di pensiero secondo la quale ogni tentativo di rafforzare la dimensione democratica dell’Unione Europea, o è illusorio, o mina con ogni probabilità le radici della democrazia nel punto in cui sono più profonde e più salde, lo stato nazionale»130. Pertanto, «l’unica legittimazione dei poteri comunitari, mancando un «popolo europeo», può provenire dai parlamenti nazionali».131 Sfugge all’analisi che, come acutamente osservato da Dimitris Chryssochou, l’Ue «non è riuscita a trasformarsi da un insieme di democrazie in una 128 Si veda la sent. Roquette in causa 138/79, in cui la Corte aveva afferma (p.to 33) che «la consultazione prevista dall’art. 43, n. 2 e 3…è lo strumento che consente al Parlamento l’effettiva partecipazione al processo legislativo della Comunità. Questo potere costituisce un elemento essenziale dell’equilibrio essenziale voluto dal trattato. Esso riflette… un fondamentale principio della democrazia, secondo cui i popoli partecipano all’esercizio del potere per il tramite di un’assemblea rappresentativa. La regolare consultazione del Parlamento nei casi previsti dal trattato è quindi una formalità sostanziale, la cui inosservanza implica la nullità dell’atto considerato», citato in R. TONIATTI (Conflitti … cit., p. 1153) con corsivo dell’Autore. 129 L’espressione è attribuibile a J. WEILER, U. HALTERN and F. MAYER, European Democracy and Its Critique, «West European Politics», 4, 1995. 130 F. MANCINI, Europe: The Case for Statehood, in «European Law Journal», vol. 4, No.1, 1998, p. 33. 131 S. DELLAVALLE, op. cit. 224 riuscita a trasformarsi da un insieme di democrazie in una democrazia»132, e che pertanto la democraticità delle parti non si fa in automatico garante della democraticità del tutto. In conclusione, ritengo che, partendo dal presupposto che il sistema europeo sia un «ordinamento composito»133, un «ordinamento di ordinamenti»134, la riflessione sulla democratizzazione e sulla legittimazione del sistema stesso debba necessariamente considerare in chiave dialettica piuttosto che antinomica la relazione fra il tutto e le sue parti costitutive. Credo che uno sforzo in tal senso sia ravvisabile nella letteratura di matrice costituzionalistica, più che politologica, che guarda all’Unione europea come un «ordinamento giuridico integrato»135, riuscendo così ad enucleare, più che i punti di rottura fra Unione e Stati membri, le giunture ornamentali attraverso cui si snoda e si consolida il processo di legittimazione e costitutuzionalizzazione dell’ordinamento comunitario nel suo insieme.136 132 D. N. CHRYSSOCHOOU, Democracy in the European Union, London, I. B. Tauris & Co., 2000, p. 4. 133 Come nota G. DELLA CANANEA, L’Unione europea. Un ordinamento composito, Laterza, 2003, p. 6, «la nozione di “ordinamenti compositi” viene utilizzata, intorno alla metà del Seicento, dal giurista tedesco Samuel von Pufendorf… Essa designava lo Stato costituito da molteplici persone giuridiche» 134 È la definizione data da B. de Giovanni (op. cit.), che più volte traspone in modo innovativo la dottrina istituzionalistica di Santi Romano all’ordinamento comunitario. Si veda S. ROMANO, L’ordinamento giuridico, Firenze, Sansoni, 1951, in particolare il secondo capitolo concernente la pluralità degli ordinamenti giuridici. 135 L’espressione è di E. SCODITTI, Articolare le Costituzioni. L’Europa come ordinamento giuridico integrato, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», n.1, 2004, ma si veda anche F. PALERMO, La forma di stato dell’Unione europea, Padova, Cedam, 2005, che parla di «forma di stato integrata dell’Unione europea». 136 Non è questa la sede per entrare nel merito di tale affascinante filone di letteratura né di scandagliare le modalità attraverso cui il sistema europeo si caratterizzi quale «insieme sovrano» in grado di cogliere la compenetrazione piuttosto che l’antitesi fra gli ordinamenti nazionali e l’ordinamento comunitario (mi riferisco al fatto che mentre alcuni autori privilegiano la prescrittività circolare dell’assetto valoriale fra unione e stati membri nella costruzione di una legittimazione costruita intorno al «patrimonio costituzionale comune», altri hanno ad esempio enfatizzato il dato teleologico e l’unificazione intorno ai fini quale collante ordinamentale). Si veda comunque l’eccellente saggio di A. MANZELLA, Costituzione e Unificazione, in G. VACCA (a cura di) Dalla Convenzione alla Costituzione, Dedalo. Bari, 2005. All’interno dello stesso volume, si vedano anche i contributi di M. FIORAVANTI, Il Trattato costituzionale europeo: una nuova tappa del processo costituente in Europa e P. MAGNETTE, La Costituzione e i valori dell’Europa. 225