Fiscal drag: chi l`ha visto?

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Fiscal drag: chi l`ha visto?
Fiscal drag: chi l'ha visto?
Fiscal drag: chi l'ha visto?
Leopoldo Nascia
C'è un grande assente nel dibattito sulle tasse: il drenaggio fiscale. Che dal '90 ha colpito i redditi
più bassi: chi guadagna solo 15mila euro oggi paga il 28% in più in termini reali, mentre chi sta
sopra 1 milione di euro paga quasi il 10% in meno
La riduzione delle imposte dirette è diventata, da diversi anni, il tema ricorrente nell’agenda
politica, dando vigore ad un dibattito che ha individuato un ventaglio assai assortito di soluzioni e
provvedimenti tra cui il taglio delle aliquote, i quozienti familiari e la deduzione di tutte le spese
effettuate dagli individui. Nella proliferazione di proposte l’elemento che desta maggiore
meraviglia è la scomparsa, sia dal dibattito più accademico sia dalla scena dei grandi mezzi di
comunicazione di un termine assai diffuso negli anni 70 e 80: il drenaggio fiscale o
fiscal drag. Il drenaggio fiscale è effetto dell'inflazione, che automaticamente comporta un
aumento della pressione fiscale per la progressività delle aliquote: il reddito nominale viene
spinto in scaglioni con aliquote maggiori pur mantenendo costante il suo valore reale.
L’effetto del solo drenaggio fiscale, con riferimento agli scaglioni d’imposta del 1990 aggiornati
all’inflazione e al lordo di detrazioni, deduzioni e addizionali varie, spiega perché, in termini di
valore reale, chi percepisce un reddito di 15mila euro oggi paga il 28% in più mentre il
contribuente che guadagna 1 milione di euro riesce a pagare quasi il 10% in meno di Irpef.
Nel modello di politica economica degli anni settanta e ottanta, basato sulla vecchia ‘scala
mobile’ il recupero del drenaggio fiscale era la pratica comune di ogni governo e avveniva quasi
automaticamente per tutelare il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti, lasciando
all’evasione il compito di favorire autonomi e similari.
Oggi nessuna forza politica o sociale chiede più con forza la restituzione del drenaggio fiscale
anche se, negli ultimi vent’anni, l’inflazione, seppure moderata, ha sempre avuto un segno
positivo e, anche, nei mezzi di comunicazione nessuno rispolvera il drenaggio fiscale, scomparso
dal lessico politico, preferendo soluzioni ‘più spettacolari’ come il taglio delle aliquote o
addirittura l’aliquota unica.
Le domande che sorgono spontanee sono: quanto è il peso di vent’anni di mancata restituzione
del drenaggio fiscale nel prelievo di ogni individuo? Il drenaggio fiscale è così secondario
rispetto al resto delle riforme fiscali? e anche, la variazione delle aliquote Irpef effettuata negli
anni dai governi di entrambi gli schieramenti ha compensato nei fatti l’effetto del drenaggio
fiscale? E ciò è avvenuto per tutti i contribuenti o solo per qualche classe di reddito?
Per rispondere a tali questioni sono stati messi a confronto tre sistemi di aliquote Irpef,
emblematici degli ultimi vent’anni: aliquote del governo Andreotti per redditi 1990, aliquote del
governo Berlusconi per i redditi 2005 e il sistema di aliquote in vigore, stabilito dal governo Prodi
e poi mantenuto dalla coalizione di centrodestra, per verificare l’ipotesi se con l’indicizzazione
degli scaglioni del 1990 i contribuenti avrebbero pagato di più rispetto al 2005 e al 2009.
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Gli scaglioni del 1990 sono stati deflazionati secondo il coefficiente annuale di rivalutazione
dell’Istat per i valori del 2005 e del 2009 e, in seguito, è stato calcolato il prelievo fiscale (al lordo
di deduzioni, detrazioni e addizionali territoriali perché di difficile stima individuale), per quattro
classi di reddito annuale: 15.000, 30000, 100.000 e 1.000.000 euro (Tabella 1).
Dalla lettura della Tabella 2 si nota come le classi di reddito più basse, in cui si trovano la
maggior parte dei lavoratori atipici, degli operai e degli impiegati, abbiano subito un prelievo
maggiore sia con il sistema attuale, sia con quello del 2005, rispetto al sistema del 1990 depurato
dal drenaggio fiscale.
Anche le classi di reddito alte (100000 euro annui), in cui si collocano la maggior parte dei quadri
e dei dirigenti, hanno visto nel tempo peggiorare la loro posizione, rispetto agli scaglioni del 1990
depurati del drenaggio fiscale e solo i redditi milionari (1 milione di euro), ovvero le oligarchie
degli amministratori di grandi società e i grandi imprenditori, riescono a pagare minori imposte nel
2005 e nel 2009 rispetto al sistema del 1990 aggiornato con l’inflazione, grazie alla struttura
delle aliquote assai meno progressiva.
La tabella 2 mostra come sia evidente lo svantaggio per le classi di reddito più basse che man
mano si riduce fino a diventare, per i pochi contribuenti milionari, un minore prelievo.
Se poi si proiettano gli effetti dell’inflazione, ad esempio con un tasso del 2% annuo, per i
prossimi 10 anni, anche chi percepisce redditi lordi medio bassi, ad esempio 28mila euro del
2009, pari a 34160 euro del 2019, con gli scaglioni attuali, se non saranno indicizzati, avrà
un’aliquota marginale del 38% per una parte consistente del proprio reddito.
Quindi il drenaggio fiscale anche se scomparso dal dibattito, non è venuto meno al compito di
erodere i redditi della maggior parte dei contribuenti (in particolare i meno abbienti) e gli interventi
sulle aliquote, con l’eliminazione della prima (10%) e dell’ultima aliquota (50%), hanno favorito
solo i milionari, con evidenti effetti distributivi negativi.
Il drenaggio fiscale è stato un fattore molto rilevante nell’aggravio delle imposte dirette e, a
sfatare alcuni luoghi comuni, si nota come l’Irpef dei governi Andreotti (redditi 1990) se oggi
venisse riproposta nella versione depurata, sarebbe più favorevole per le classi medio basse e
più severa per quelle più agiate, come invece, il governo Berlusconi abbia in realtà aumentato la
pressione fiscale sulle classi medio basse e abbia favorito assai le persone con redditi più alti e
come poi, il governo Prodi non abbia invertito tale tendenza.
Si deve aggiungere anche l’effetto negativo sulla tutela dei redditi reali dei lavoratori, che oggi
contrattano
ex post al lordo delle imposte dirette il recupero dell’inflazione ma poi, proprio a causa del
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drenaggio fiscale, scontano i propri aumenti su aliquote marginali Irpef sempre più alte.
L’interesse dello Stato a ‘fare cassa’, tramite gli effetti dell’inflazione, colpendo il maggior
numero di contribuenti, anche se di reddito medio basso, unita alla scarsa propensione dei
soggetti della politica a richiedere del recupero del drenaggio fiscale, argomento poco
spettacolare e di difficile divulgazione, hanno contribuito ad un peggioramento della distribuzione
dei redditi, anzi le misure recenti di tassazione secca dei redditi da affitto quasi stigmatizzano lo
svantaggio che ha il contribuente che vive del proprio stipendio rispetto a chi appartiene a classi
privilegiate con ampi patrimoni immobiliari.
Una politica alternativa al tanto strombazzato taglio delle aliquote, per diminuire l’onere fiscale
per tutti e per essere ‘equa’, oltre, al provocatorio invito a tornare alle aliquote del 1990 con gli
scaglioni aggiornati con l’inflazione, dovrebbe concentrarsi su tre punti:
Restituzione almeno parziale del drenaggio fiscale
Ripristino delle aliquote del 10% per i meno abbienti e del 50% per i più benestanti
Predisposizione di meccanismi di contrattazione salariale che in sede di recupero
dell’inflazione considerino anche l’effetto fiscale sugli adeguamenti: tramite maggiori
incrementi salariali o tramite la loro defiscalizzazione.
Tali misure, unite a una maggiore incisività della lotta all’evasione, possono ridare all’Irpef lo
spirito di imposta equa come anche prevede la Costituzione Italiana, migliorare la distribuzione
dei redditi, peggiorata in maniera vistosa negli ultimi vent’anni, e aumentare la coesione sociale
del paese.
Sì
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