Collecta Gratia testo critico
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Collecta Gratia testo critico
Collecta Gratia. Marcello Scarano Marcello ha sognato Papà che gli ha detto: «ci sono di quelli che soffrono prima di raggiungere la felicità». Marcello gli ha chiesto di nuovo com’è l’altro mondo, ma lui si è fatto pensoso e gli ha risposto: «non te lo posso dire». Le Carte della Memoria 1901-1963. Marcello Scarano nei diari di famiglia Così “Collecta Grazia” investe tutti noi di responsabilità storica, sociale, pedagogica e “spirituale”. Marcello Scarano è all’unanimità il migliore artista molisano del ’900, rappresenta il refolo coraggioso degli uomini e delle donne che hanno scelto per vocazione la via delle arti. È l’emblema della forza dell’arte in sincronia con la qualità della sostanza spirituale; dote esclusiva degli eletti fatti della stessa sostanza di fede1 che cade nel segno della verità della bellezza. Nel sistema delle catalogazioni e delle misure di cui la razionalità umana si avvale per regolare principi e comportamenti, questa categoria di innominabili rientra per comparazioni contrarie alla definizione. Si definisce con l’incompletezza limitando la precisione con le proprietà che i sistemi formali non possono avere. Avviene così, come nel caso dell’arte vera, che il referente diventa ciò che non è: non è un angelo, non è un santo, non è un magus, un teurgo, uno sciamano2. Non è una guida spirituale. Non è un modello utile per una società canonica del xx secolo, ma è sicuramente la verità dell’arte che si è fatta opera tra le più belle che le percezioni comuni possano aver mai incontrato. Marcello Scarano non è solo un semplice contenuto della storia dell’arte3 o di un passo analitico della filosofia estetica. Marcello Scarano è una continuità morale occidentale che raccoglie nei segni della pittura tutta l’alta ricerca che la storia dell’arte dai tempi originari ha ricercato ossessivamente come un Ulisse dantesco la qualità oltrepassando confini dell’ottica e della retina4, (Gestaltpsychologie5) superando la staticità classica delle statue parlanti6 con l’intervento chirurgico sul proprio corpo (pioniera italiana è Gina Pane)7, raggiungendo risultati di evoluzione del pensiero e della stessa specie umana per poi, come raccomanda la saggezza GERD HEINZ-MOHR, Lessico di iconografia cristiana, Milano, Istituto propaganda libraria, 1984. Magia, miracoli, demonologia, a cura di GEORG LUCK, Milano, Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori, 1997. 3 ERNST HANS GOMBRICH, La storia dell’arte, Torino, Einaudi, 1966. 4 Duchamp, Man Ray, Louis Bunuel, Ready-Made. 5 Tomás Maldonado, Arte e artefatti, Milano, Feltrinelli, 2010. 6 GIULIO GUIDORIZZI, Ai confini dell’anima. I greci e la follia, Milano, Raffaello Cotina, 2010. 7 Vivere il proprio corpo vuol dire allo stesso modo scoprire sia la propria debolezza, sia la tragica ed impietosa schiavitù delle proprie manchevolezze, della propria usura e della propria precarietà. Inoltre, questo significa prendere coscienza dei propri fantasmi che non sono nient’altro che il riflesso dei miti creati dalla società… il corpo (la sua gestualità) è una scrittura a tutto tondo, un sistema di segni che rappresentano, che traducono la ricerca infinita dell’Altro. 1 2 5 avanzata, ritornare a considerare con consapevolezze diverse esattamente il punto di partenza. Questo punto riporta in mostra la collezione di grazia pittorica e i valori che nel proprio solipsismo Marcello Scarano aveva raggiunto superando tutti i linguaggi delle avanguardie storiche con la semplicità determinata di essere a ogni costo se stesso. Marcello Scarano come un “Invictus”8 del poeta inglese William Ernest Henley. Contro tutto e contro tutti quelli che non possedevano occhi per vedere e orecchie per ascoltare. Quelli innamorarti delle ombre nella caverna platonica e non avevano il coraggio di oltrepassare la soglia come in un bel film del 1972 di Luis Buñuel dal titolo emblematico, per noi, Le charme discret de la bourgeoisie. Per quanto potrebbe apparire una dilatazione di intenti, la mia specifica opinione considera l’uomo e l’artista Marcello Scarano degno di appartenere a pieno merito alle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, valutando i tempi nostri altro frammento da aggiungere alla valutazione definitoria del Vasari9. E se una società tipica del ’900 ha problemi a celebrare a rappresentanza di se stessa gli uomini d’arte che non hanno definizione, all’ingresso del terzo millennio tra le nuove foreste fatte di linguaggi virtuali e codici meccanici sappiamo che in ogni luogo e in ogni tempo i santi e gli artisti veri non hanno mai avuto vita facile. Questi uomini e donne rientrano nelle tipologie universali con gli appellativi segreti di cui non si deve dire in pubblico per ripararsi dallo scongiuro dei fraintendimenti e dalla filiera delle diciture. Ma Marcello Scarano è fede cosmica dell’arte che naviga tra i contesti storici e li riformatta ogni volta che appare alla visione di chi lo incontra nella composizione “illuminata” delle sue opere. Così quest’arte può trasformarsi in un funzionale strumento di aiuto per il riconoscimento sensibile del segreto evocativo dello spirito di ricerca della bellezza che vibra tra cielo e terra e appaga lo spirito della collettività che ha, per varie ragioni, smarrito il senso stesso del vivere la felicità della bellezza. È chiaro che una manifestazione in “onore” di un artista di questa potenza non può essere considerata un’operazione tipicamente scientifica. Non ne avrebbe assolutamente le onorificenze canoniche per avvalersi di una funzione di questo tipo. Va invece considerata una forma di affetto collettivo, una semplice magnetica richiesta da parte della combinatoria astrale di ridare un senso di rispetto alla verità che il “simbolo silente”, in-definito nel nome di Marcello Scarano, gioca tra incantamento e dimenticanze. È una evocazione atta a rinvigorire in noi gente comune, tramite una spontanea “collezione della grazia”; una sorta di speranza mnemonica fatta di ampere e frequenze d’onda che oscillano tra il senso di custodia intima e il pericolo di deliquio da condividere tra le ragioni del pubblico e le intimità delle memorie familiari. Non esiste persona nel capoluogo del Molise che ignori l’artista Marcello Scarano. Ognuno porta nell’anima l’amore devoto per il personaggio. Ognuno a proprio modo stabilisce sistema tacito per una sorta di rispetto devozionale che nel racconto frammentario delle opere e della biografia spesso si traduce in senso di attesa per una giustizia dell’arte che riconfermi la vita eccellente dell’Artista; il più grande artista del ’900 molisano (avrei voglia di gridare il più grande artista italiano, ma non si può e lascio forzatamente il termine molisano). Marcello Scarano merita una collocazione elettiva di simbolo collettivo vettoriale alla bellezza, al vigore e alla sapienza10. Credo esistano tutti gli elementi, tra ricerca artistica e entità biografiche che possano confermare questa dovuta valutazione”11. Ecco cosa afferma questo testo: L’artista Marcello Scarano patteggia galleggiamenti magici con tutti noi, indistintamente, con tutti coloro che hanno in memoria il gusto della vita e la forza della Sua vita, che ha saputo trasformare in linguaggio dell’arte l’anima nostrana del ’900 come in un testo di […] Non importa quanto stretto sia il passaggio, / Quanto piena di castighi la vita, / Io sono il padrone del mio destino: / Io sono il capitano della mia anima. 9 GIORGIO VASARI, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri. Nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino Firenze 1550, a cura di Luciano Bellosi e Aldo Rossi, Torino, Einaudi, 1986. 10 Ernesto Saquella, […] esiste un’altra visione ed un’altra pratica dell’arte. Che anche nel piccolo Molise si può vivere unicamente della propria arte. Esistono artisti professionisti che possono essere considerati i degni continuatori di Marcello Scarano. Oratino, 6 marzo 2007, mostra d’arte dedicata a Marcello Scarano. 11 ANTONIO PICARIELLO (coautore), Arte o spettacolo? Fruitori, utenti, attori, Milano, Franco Angeli, 2006. 8 6 Hugo Ball12, fondatore del dadaismo di cui quest’anno cade il centenario, che racconta i santi del cristianesimo e del bizantinismo, tra Stiliti e Vescovi. Don Marcello nel racconto della bambina condominiale undicenne appare come un G. Battista che scende la mattina presto dall’ultimo piano del palazzo Di Penta in piazza della Vittoria con la sedia sdraio color verde, il cavalletto, i colori e si avvia con la sua 600 Fiat nel paesaggio molisano13. La bambina che allora aveva undici anni, oggi è una signora, ma traspare nella narrazione tutta l’emozione e l’affettività che inconsapevolmente l’artista En plein air, dell’aria aperta, sulla scia di un van Gogh riportava sulla tela il magnifico paesaggio molisano. E ancora i racconti intimi familiari di chi ha conosciuto la magia solitaria di Scarano. Erano due stanze. Il soffitto non era spiovente. Si entrava direttamente in una grande stanza. Il suo studio. C’era una grossa stufa di terracotta, a legna, era tondeggiante, color mattone, lavorata a sbalzo. La stanza prendeva luce da una grande finestra che si affacciava sul terrazzo. Era ordinato. Mostrava i suoi capolavori che non voleva vendere (vendeva solo in caso di estrema necessità). C’era il cavalletto e la tavolozza dove mescolava i colori. Suonava il violino. Lo suonava bene. I quadri li teneva in ordine appoggiati al muro. C’erano solo sedie, non c’erano poltrone. C’era una piccola cucina ben attrezzata (gli piaceva mangiare bene e anche bere, ma era snello). C’era la camera da letto, con due lettini. Quando si arrivava all’ultimo piano bisognava salire per una scala esterna per accedere al 12 13 HUGO BALL, Cristianesimo bizantino. Vite di tre santi, traduzione Piergiulio Taino, Milano, Adelphi, 2015. Racconto personale Luigia B. 7 terrazzo e alla mansarda. Aveva una ’600, nel 1956. Lo incontrai quando sostenne l’esame per la patente, era tutto rosso e mi disse che lo avevano bocciato. Si ammalò di scompenso cardiaco nel ’61. Rifiutò di curarsi e condusse la sua vita normale. Quando si aggravò sistemarono il suo letto nello studio. Sono passati sessanta anni. Non si osservano le cose pensando che un giorno le devi raccontare. Non me lo ricordo mai in giacca e cravatta...14 Ecco la bellezza vissuta rimessa nelle opere e che in parte si raccontano sulle pareti di questa mostra come fosse un atto di un’antica leggenda in cui il pellicano curva sul petto il becco e inonda del suo sangue i propri figli riportandoli alla vita. E la sensazione nell’ascoltare le parole testimoniali dei tanti che raccontano la rete di memoria personale è sincera quella di chi ha in animo la propria crescita verso la forza della bellezza generata dal magnetismo magico dell’artista. Ma poi una sorta di rabbia e di amore si configura nelle memorie come a difendersi da un possibile svelamento della visione collettiva e l’innesco pericoloso di una sottile competizione tra lo strappo del silenzio dormiente e le immagini del ricordo. È la preoccupazione inconscia di natura junghiana15 di poter perdere l’equilibrio gravitazionale tra i satelliti umani che a proprio modo, con il senso del racconto interagisce sulla rete magica di appartenenza alla comunità. Ed è nel rispetto umile, possibilmente, di questa velatura galleggiante intimamente custodita nello spirito collettivo che coraggiosamente, quasi guidata dal senso del dovere, questa mostra riporta a testimonianza di una pratica nobile del collezionismo che raccoglie il riconoscimento alla grazia. Ma il racconto soggettivo della gente che ha conosciuto Marcello Scarano che lo stesso Gino Marotta riconosceva un grande artista non solo molisano, contempla con amore la biografia ufficiale che lo annovera tra gli imponenti nomi degli artisti che hanno costruito, cresciuto e allevato il ’900 italiano rendendolo il più potente dominio planetario della forza storica delle arti: pittoriche, plastiche, architettoniche ed estetiche. In questa costellazione il nome dell’artista Marcello Scarano luccica tra i nomi illustri del firmamento Occidentale. La stessa Biografia che gli notifica il riconoscimento di partecipazione (21 giugno - 20 settembre 1942) alla XIII Biennale di Venezia (da questa data, a seguito dello scoppio della seconda guerra mondiale, l’attività della Biennale si interrompe fino 1948) al II-III Premio Cremona (in questa occasione riceve il Premio Speciale Triennale di Milano e lire 5000, quale più giovane pittore presente alla manifestazione), alla XXV Mostra della galleria di Roma, alla Mostra nazionale di Milano, al Premio Michetti con continuità fino al 1959. Partecipa alla Mostra Nazionale d’Arte Sacra contemporanea di Napoli e alla IV e V Sindacale d’Abruzzo e Molise. E questa sintesi biografico/artistica, giustifica parte del senso della responsabilità della mostra. L’altra percentuale di coscienza organizzativa deriva da una sorta di vivificazione identitaria collettiva che attraverso la figura di Marcello Scarano riconosce le sue caratteristiche espressive, culturali, di culto, di comportamento sociale e di linguaggi avvalorati anche dalla condizione “sinceramente magica” delle opere che sono patrimonio privato di famiglie “storiche” molisane, aggiunte alle famiglie umili, tutte dotate di sensibilità verso il riconoscimento d’amore per l’Arte vera. E con questa mostra si tenta alla qualità dell’universo delle arti considerando le biografie e i linguaggi degli artisti il corpo divino delle arti collocato al grado zero della magia che muove i corsi e i ricorsi della storia dell’arte e delle società e riunendo l’immaginario soggettivo e la carriera ufficiale di Marcello Scarano in un unico verdetto offerto dalla grazia raccolta dai collezionisti. Perché l’uomo Marcello Scarano eleva la dignità dello spirito molisano a condizioni di amore per la bellezza con i suoi molteplici linguaggi che diramano tra paesaggismo, ritrattistica, rituali sacri, etnici, figure, denotazioni gestuali che solo chi ha incorporato il racconto della propria comunità riesce a decodificare oltre l’interpretazione scientifica. Sono contenuti archetipi16 che muovono la comunità tra saperi silenziosi che non dello spirito dell’arte e della comunità per mezzo del gesto Racconti personali documentazione raccolta da Dolores Miceli. CARL GUSTAV JUNG, La saggezza orientale, Torino, Bollati Boringhieri, 2012. 16 RENATO LALLI R., NORBERTO LOMBARDI, GIORGIO PALMIERI, Campobasso. Capoluogo del Molise, vol. II, Campobasso, Palladino Editore, 2008. 14 15 8 stesso del possesso o della cura familiare delle opere nel ricamo semplificato di presentazione di un artista non estraneo alla vita della comunità. Tutti questi valori inneggiano alla visione conservativa di una certa Tradizione sincretica alla forza espressiva e di ricerca di un periodo storico votato alle Avanguardie artistiche17. E su questo punto ritrovo corrispondenza nell’analisi di Alessandro Masi18 che considera Marcello Scarano il punto di svolta generativo del processo di emancipazione regionale, diretto all’autonomia e alla distinzione delle arti molisane nel complesso quadro dell’arte italiana del ’900 e la conclusione egemonica del modello artistico partenopeo. Parole importanti, parole rivoluzionarie che rimandano a evocazioni storiche sostanziali verso la visione semantica dell’arte. Ai passaggi sofferti e combattuti tra incorporamenti dello sguardo sulla o nella realtà. Impressionismo, Espressionismo, qualcosa da guardare dall’esterno o qualcosa in cui calarsi e vivere dall’interno. Ma è chiaro anche che questi sono termini comodi per una storia dell’arte da raccontare per strati lineari. Qui invece nella coscienza artistica di Marcello Scarano si condensano le più alte espressività dei movimenti avanguardistici rielaborati con la semplicità di un segno che inneggia a qualcosa che lo Zen e le alte teologie universali riescono a cogliere. Segno e posa cromatica diventano forza divina attraversando con il sangue e l’anima la sostanza segreta che ha mosso tutta la ricerca artistica europea del ’900. Qui si concretizza quello che l’etnologo E. De Martino19 attribuisce alle funzioni magiche della natura e che nomina “Olonismo”, in cui il soggetto diventa oggetto e l’artista diventa paesaggio, vegetazione, luce, fremiti del fogliame, vento e a volte diventa umanità e spirito della terra, contadino, case, fiume, natura vivificata nella tela. È quest’anima di verità sentita, raccolta dal mondo magico della natura dall’artista, che si riconosce nelle MARIO DE MICHELI, Le avanguardie artistiche del Novecento, Milano, Feltrinelli, 2005. ALESSANDRO MASI (a cura di), Marcello Scarano il canto della luce, Catalogo della mostra realizzata dal centro di Cultura del Molise dell’Università degli Studi del Molise, Campobasso, Arti Grafiche “La Regione”, 1995. 19 ERNESTO DE MARTINO, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Torino, Bollati Boringhieri, 1973. 17 18 9 opere di collezione lo stesso manufatto che vive nell’ambiente familiare molisano, una sorta di forza duchampiana del “ready-made” parcellizzato tra la vita intima e ambientale delle famiglie molisane. Il vissuto storico del territorio, la genuinità dei luoghi, la luce, la sonorità dello spazio suonato con devozione dalla posa cromatica perfetta, la ritrattistica20 che parte dai maestri accademici come Nicola Biondi e sperimenta, andando oltre, Mafai, Scipione, De Chirico, Carrà, Sironi, Martini, ma anche rubando gli angeli di Giotto, i nudi a Raffaello, i ritratti a Luca Signorelli, a Sofonisba Anguissola, Annibale Caracci, a Giacomo Ceruti, a Mengs, e perché no, Giorgione gli urbinati e i toscani con cui condivideva i luoghi di nascita e di formazione. Piero della Francesca diventa molisano. Viaggia in 600 Fiat e abita all’ultimo piano del Palazzo Di Penta in piazza delle Vittoria a Campobasso. 20 10 ENRICO CASTELNUOVO, Ritratto e società in Italia, Torino, Einaudi, 2015.