Mussolini e il fascismo

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Mussolini e il fascismo
IL GIORNALE • BIBLIOTECA STORICA
Renzo De Felice
MUSSOLINI L’ALLEATO
II. La guerra civile 1943-1945
© 1997 e 1998 Giulio Einaudi editore S.p.A., Torino
© 2015, edizione speciale per Il Giornale
Pubblicato su licenza di Giulio Einaudi editore S.p.A., Torino
Supplemento al numero odierno de Il Giornale
Direttore Responsabile: Alessandro Sallusti
Reg. Trib. Milano n.215 del 29.05.1982
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Presentazione di Francesco Perfetti
IL GIORNALE • BIBLIOTECA STORICA
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Presentazione
L’ultimo tomo dell’opera di Renzo De Felice su Mussolini e il fascismo
fu pubblicato postumo nel 1997 con il titolo La guerra civile 1943-1945
come secondo volume di Mussolini l’alleato1943-1945. Esso è rimasto incompleto per la morte dell’autore, ma alcune delle tesi in esso contenute o
che, pure, avrebbero dovuto essere dimostrate o sviluppate nelle parti non
ancora scritte dell’opera furono in realtà anticipate in un piccolo libro-intervista dal titolo Rosso e Nero (1995), importante sia per le suggestioni
interpretative proposte sia per certe indicazioni metodologiche di ricerca
storiografica sia, ancora, per i chiarimenti sulla posizione «revisionista»
dell’autore stesso. Eppure, malgrado la sua incompiutezza, il volume su La
guerra civile 1943-1945 è certamente da considerarsi uno dei più importanti della serie, se non addirittura dei più belli, almeno dal punto di vista
dell’importanza dei risultati della ricerca sia della corposità del discorso
interpretativo che stabilisce un nesso fra passato e presente.
Da un punto di vista contenutistico esso tratta del periodo che va dalla
caduta del regime ai primi travagliati mesi di esistenza della Rsi e affronta
temi scottanti: la prigionia di Mussolini, la sua liberazione da parte dei
tedeschi, la catastrofe nazionale dell’8 settembre 1943, la contrapposizione
tra fascisti repubblicani e partigiani, il dramma vissuto dagli italiani durante la guerra civile, le vicende della Rsi dall’autunno 1943 alla primavera 1944. Particolarmente intense sono le pagine nelle quali De Felice
analizza il significato e gli effetti dell’armistizio dell’8 settembre sullo stato
d’animo e sui comportamenti delle masse e dell’esercito. Quella data, l’8
settembre 1943, assume per lui un forte valore simbolico – quello della
«morte della patria» e dello «svuotamento del senso nazionale» – e diventa
una cartina di tornasole rivelatrice della debolezza etico-politica del popolo
italiano. La dissoluzione dell’esercito «come neve al sole» dopo la diffusione
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Francesco Perfetti
della notizia dell’armistizio ha il suo riscontro nello stato d’animo complessivo del paese e in particolare della borghesia, un ceto che in gran parte
aveva creduto in larga misura nel fascismo e nell’immagine dell’Italia da
esso proposta e che era stata provata dagli effetti devastanti di tre anni di
guerra. Proprio il desiderio di uscire finalmente dall’incubo della guerra –
un desiderio «ingenuo e irrazionale quanto si vuole» ma «non per questo
meno potente» – è la chiave per comprendere le reazioni della grande maggioranza degli italiani alla notizia dell’armistizio. Ma il desiderio di veder
finire l’incubo della guerra si accompagnava a «un sentimento diffuso di
paura e di incertezza» che, per molti, si traduceva non già nell’idea di una
«scelta di campo» quanto piuttosto «nella preoccupazione della propria sopravvivenza» e nel desiderio di «defilarsi rispetto a tutti» nell’attesa che
giungessero la fine dei sacrifici e la pace. Sono intense e drammatiche le
pagine nelle quali De Felice dimostra come, dopo la nascita della Rsi, la
maggioranza del paese, ancora una volta, cercasse di non rimanere coinvolta dagli avvenimenti e cercasse di assestarsi in una sorta di «zona grigia»
nella quale si ritrovavano individui appartenenti a tutti i ceti sociali, dalla
borghesia alla classe operaia, preoccupati solo di sopravvivere.
Sui motivi della ricomparsa di Mussolini sulla scena politica, De Felice
sposa la tesi secondo la quale questi, pur riluttante, avrebbe accettato di
riassumere il potere nella convinzione, in primo luogo, che solo così sarebbe
stato possibile evitare che Hitler facesse dell’Italia occupata una sorta di
Polonia e, in secondo luogo, che la sua presenza avrebbe potuto rendere
meno pesante il regime di occupazione e impedire l’annessione di territori
italiani al Reich. Con la nascita della Rsi tali obiettivi vennero, almeno
in parte, raggiunti, ma i costi furono elevati: la «guerra civile», per esempio,
insanguinò le regioni occupate dai tedeschi, dividendo profondamente gli
italiani e scavando solchi di odio che avrebbero condizionato la vita italiana nei decenni successivi. Inoltre, la Resistenza – che, senza la Rsi,
avrebbe avuto «un carattere essenzialmente nazional-patriottico, di lotta
di liberazione contro l’occupante tedesco» – finì per essere egemonizzata
dai comunisti che la caratterizzarono come una «guerra di classe».
Detto questo sui «costi» politici della creazione della Rsi, De Felice contesta duramente la qualifica di «secondo Risorgimento» per la lotta di liberazione degli anni 1943-1945: questa gli appare storicamente
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inconsistente perché gli «ideali civili» (sintesi di «nazione», «patria», «libertà») del Risorgimento e le forze politiche che ne erano state protagoniste
erano, in gran parte, diversi da quelli che caratterizzarono il cosiddetto
«secondo Risorgimento». La Resistenza, per De Felice, contrariamente all’immagine veicolata dai custodi della vulgata antifascista, non fu affatto
un «movimento popolare di massa» se non in alcune limitate zone e le sue
file si ingrossarono soltanto nelle settimane immediatamente precedenti la
capitolazione dei tedeschi, quando cioè la vittoria degli Alleati era considerata ormai certa. Della Resistenza (e della sua memoria) si impadronirono comunisti e azionisti – i quali mal sopportavano le formazioni
autonome – per i quali essa era un fatto rivoluzionario, anzi il vero fatto
rivoluzionario della storia dell’Italia unitaria, Il che spiega, secondo De
Felice, l’importanza attribuita, anche nel dopoguerra, dal Partito comunista alla «unità della Resistenza» e, soprattutto, alla «unità delle sinistre»
nel quadro di un disegno rivoluzionario che nel concetto di «democrazia
progressiva» elaborato da Togliatti aveva il suo cavallo di Troia.
Per quanto incompiuto, l’ultimo volume dell’opera di Renzo De Felice
è, dal punto di vista della interpretazione storiografica della storia nazionale più recente, fondamentale per comprendere anche talune caratteristiche dell’Italia postfascista, costruita sul mito della Resistenza unitaria e a
guida comunista e per spiegare, altresì, come e perché la vulgata storiografica non sia più sostenibile.
Francesco Perfetti