prolusione - prof. marco borghetti

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prolusione - prof. marco borghetti
Università degli Studi della Basilicata
Inaugurazione dell’anno accademico 2008-2009
Prolusione di
Marco Borghetti
Ordinario di ecologia forestale e selvicoltura
L’AMBIENTE GLOBALE E LE FORESTE
Potenza, 2 marzo 2009
Marco Borghetti – Prolusione A.A. 2008-2009
Quando, freschi reduci da una leale quanto vivace querelle circa l’effetto delle
deposizioni azotate sulle foreste1, tra le pagine di PNAS abbiamo incrociato il lavoro di
Ollinger e coll.2 un qual moto di soprassalto ha preso me e Federico3: ancora un altro
effetto dell’azoto! Che sia davvero uno degli snodi dell’ecologia globale?
Ma adesso questa storia, che riguarda le foreste e l’ambiente globale, cerco di
raccontarvela con un po’ d’ordine4.
Vago già di cercar dentro e dintorno
la divina foresta spessa e viva,
ch'a li occhi temperava il novo giorno...
Se non proprio divina - così la vuole il Poeta, noi nei giorni di festa per Darwin ci
teniamo lontani da quisquilie metafisiche - spessa, viva e “temperante” appaiono aggettivi
ancor oggi adatti alle foreste e alla loro funzione.
Le foreste in cifre: oltre quaranta milioni di chilometri quadrati, il trenta per cento
delle terre emerse, il quarantacinque per cento del carbonio della biosfera terrestre; in
termini di assorbimento di anidride carbonica, una parte consistente della rimozione
attribuita agli ecosistemi terrestri, che è valutata un buon trenta per cento delle immissioni
in atmosfera per l’uso dei combustibili fossili e per i cambiamenti di uso del suolo,
deforestazione tropicale in primis.
Per la Terra e i viventi che la popolano, le foreste rappresentano ricchezza biologica,
variabilità genetica ed evoluzione, regolazione del clima, materie prime, protezione del
suolo e conservazione dell’acqua, ma anche spazi per l’avventura e il divertimento, valori
etici, simboli religiosi, memoria e tradizioni culturali, mito5, paesaggio, occasioni per la
creatività artistica, e così via. L’uomo nella foresta è nato, e con la foresta ha intessuto un
rapporto ininterrotto e necessario attraverso i millenni6.
Ma veniamo all’oggi, all’uomo contemporaneo e alle foreste come argomento di
scienza. Da alcuni anni si è di fatto costituita una disciplina, l’ecologia globale delle
foreste, che ha sviluppato idee, metodi e strumenti per capire come le foreste funzionano
e quale ruolo svolgono nell’ambito delle dinamiche ambientali generali. Sono stati messi
in discussione vecchi paradigmi e sono state formulate ipotesi nuove; si sono fatte
scoperte e sono stati delineati indirizzi per le scelte di politica ambientale. Vediamo da
vicino cosa sta succedendo.
1
Magnani F., Mencuccini M., Borghetti M., et al. (2007) The human footprint in the carbon cycle of
temperate and boreal forests. Nature 447, 849-851.
- de Vries W., Solberg S., Dobbertin M. et al. (2008) Ecologically implausible carbon response? Nature
451, E3-E4 | doi:10.1038/nature06580.
- Magnani F., Mencuccini M., Borghetti M. et al. (2008). Magnani et al. Reply. Nature 451, E3-E4 |
doi:10.1038/nature0658.
2
Ollinger S.V., Richardson A.D., Martin M.E., et al. (2008) Canopy nitrogen, carbon assimilation, and
albedo in temperate and boreal forests: Functional relations and potential climate feedbacks. PNAS 105,
19335–19340.
3
Federico Magnani, mio primo e assai brillante allievo, e amico; ora docente all’Università di Bologna.
4
Mi corre l’obbligo di ringraziare il Preside di Facoltà, Prof.ssa Ivana Greco che, proponendomi per la
prolusione, questa storia mi dà l’occasione per raccontarla; così come ringrazio coloro che, qui
all’Università della Basilicata, collaborano con me nelle ricerche sull’ecologia delle foreste: i “miei” postdoc Francesco Ripullone, Angelo Nolè e Rossella Guerrieri, e il collega e caro amico Agostino Ferrara.
5
Brosse J. (1985) Mythologies des arbres. Plon, Paris.
6
Paci M. (2002) L’uomo e la foresta. Meltemi, Roma.
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Reti globali per un problema globale. Così possiamo esprimerci a proposito delle reti
di misura del bilancio del carbonio7 delle foreste che sono state istituite a partire dalla fine
degli anni ottanta. Dapprima il network Euroflux, che ha visto in prima linea la ricerca
italiana, poi il cluster di progetti CarboEurope (http://www.bgcjena.mpg.de/public/carboeur/), con oltre trenta stazioni di misura nei principali biomi,
dalle foreste boreali a quelle mediterranee, con appendici importanti nella foresta
amazzonica e nella taiga siberiana. E, oggi, un coordinamento generale delle reti regionali
di misura nell’ambito del progetto Fluxnet, con oltre trecento stazioni di misura in tutto il
mondo (http://daac.ornl.gov/fluxnet/).
Queste reti di misura rappresentano l’ossatura di quella che è stata anche definita
“ecologia globale del carbonio”, che si prefigge l’obbiettivo di interpretare i meccanismi
di fissazione del carbonio nei principali ecosistemi terrestri e comprendere come questi
processi siano modulati dalle condizioni climatiche, dalla fertilità stazionale e dai modi
con cui la foresta è gestita dall’uomo. Con un compito applicativo di rilievo: quantificare
l’entita dei sink forestali a scala regionale e globale costituisce infatti un presupposto
importante per i processi collegati al protocollo di Kyoto.
Il bilancio del carbonio della foresta viene oggi misurato con una metodica
micrometeorologica nota come eddy covariance, che sta per correlazione di turbolenza.
La definitiva sistemazione della teoria eddy covariance si deve all’opera di un fisico
inglese, William Christopher (Bill) Swinbank (1913-1973). Dopo il servizio nella Royal
Air Force, durante la seconda guerra mondiale, Swinbank proseguì la carriera in Australia
e qui si dedicò agli studi sui meccanismi di trasporto turbolento negli strati atmosferici di
confine con la vegetazione. Agli inizi degli anni cinquanta pubblicò il suo lavoro
fondamentale8, in cui vengono enunciati i principî teorici della misura. La teoria era stata
sistemata e il metodo delineato, ma Swinbank non fu in grado di fare che un numero
limitato di misure, in quanto la tecnologia e la strumentazione dell’epoca ponevano serie
limitazioni.
Non erano infatti disponibili gli strumenti in grado di misurare, con elevata frequenza,
gli scalari atmosferici - concentrazione dei gas e componente verticale della velocità del
vento - che sono richiesti dalla teoria per il calcolo dei flussi fra vegetazione e atmosfera.
La strumentazione idonea - analizzatori di gas a risposta veloce e anemometri sonici,
unitamente a efficaci sistemi di archiviazione ed elaborazione della gran quantità di dati
che viene prodotta - incominciò a rendersi pienamente disponibile negli anni ottanta e fu
solo allora che incominciò l’applicazione su vasta scala del metodo che l’ingegnoso Bill
aveva definito oltre trent’anni prima.
Una storia in qualche modo istruttiva: ciò che “semina” la ricerca scientifica richiede
talvolta tempi lunghi per dare pieni frutti, ma se la scienza è valida alla fine il raccolto
arriva.
7
Il bilancio del carbonio della foresta è la differenza fra la quantità di carbonio che viene assorbita con i
processi di assimilazione fotosintetica e quella che viene rilasciata con i processi respiratori (respirazione
autotrofica, da parte delle piante, e respirazione eterotrofica, da parte dei microrganismi che decompono la
sostanza organica presente nel suolo). Integrando questa differenza nel tempo si ottiene una variabile
definita come produzione netta ecosistemica, NEP; NEP > 0 sta per una foresta che assorbe attivamente
carbonio (si dice che è una sink di carbonio); NEP < 0 sta per una foresta che rilascia carbonio verso
l’atmosfera (si dice che è una source di carbonio); NEP = 0 sta per una foresta con bilancio del carbonio
neutro, tanto ne viene assorbito con la fotosintesi tanto ne viene rilasciato con la respirazione.
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Swinbank WC. (1951) The measurement of vertical transfer of heat and water vapor by eddies in the
lower atmosphere. Journal of Meteorology 8, 135-145.
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Da oltre quindici anni le misure si fanno invece a pieno ritmo e i risultati non hanno
tardato a venire. Vediamone alcuni, in rapidi flash.
Foreste primarie: vecchi paradigmi, nuove evidenze. Per diverso tempo gli ecologi
hanno accettato l’ipotesi che la foresta, evolvendosi verso stadi maturi, pervenisse a una
condizione in cui le sue proprietà funzionali restano invariate, comprese quelle che
riguardano il bilancio del carbonio. In questo ha avuto sicuramente influenza un articolo
di Eugene Odum9, in cui si ipotizzava che l’ecosistema arrivasse a uno stadio in cui i
processi di assimilazione erano controbilanciati da quelli respiratori. Seguendo l’idea che
sono ecosistemi maturi con bilancio del carbonio neutro (NEP=0), le foreste primarie,
dette spesso anche foreste “vergini”, non sono state finora protette da specifici accordi
internazionali.
Già a metà degli anni novanta, sulla base dei primi risultati delle misure eddy
covariance effettuate nella foresta amazzonica10 il paradigma incominciò a cedere. Una
sua confutazione più articolata è arrivata l’anno scorso, da un lavoro11 in cui si dimostra
che anche le foreste primarie molto vecchie - fino a ottocento anni di età - sono in grado
di rimuovere attivamente anidride carbonica dall’atmosfera, a tassi variabili secondo le
condizioni climatiche, e quindi continuano a “servire” come sink di carbonio a scala
globale.
Ed è di dieci giorni fa un altro lavoro12, pure pubblicato su Nature, in cui si riporta che
nel loro insieme le foreste tropicali rappresentano una sink pari a 1.3 miliardi di tonnellate
di carbonio all’anno, pari a ben un quinto delle immissioni in atmosfera determinate
dall’uso dei combustibili fossili.
Si tratta di risultati che aprono fronti importanti sul piano della politica ambientale in
rapporto alla necessità di proteggere questi ecosistemi. Nel caso specifico delle foreste
primarie tropicali l’indirizzo è tanto difficile da attuare quanto obbligatorio e urgente data
la drammaticità dell’erosione che stanno subendo: politiche di tutela rese possibili da una
efficace cooperazione economica. Il timore è che la crisi internazionale attuale possa
rendere più difficili queste misure di protezione.
Stat silva pristina, nomina nuda tenebimus?
Il contributo della respirazione. Uno dei primi rilevanti risultati scaturiti dalle misure
di flussi gassosi nelle foreste europee riguarda l’individuazione della respirazione
ecosistemica come elemento chiave del bilancio del carbonio degli ecosistemi forestali13.
9
Odum E. P. (1969) The strategy of ecosystem development. Science 164, 262–270.
Grace J., Lloyd J., McIntyre J. et al. (1995). Carbon dioxide uptake by an undisturbed tropical rain forest
in Southwest Amazonia, 1992 to 1993. Science 270 (5237), 778-780.
11
Luyssaert S., Schulze E.-D., Borner A., et al. (2008) Old-growth forests as global carbon sinks. Nature
455, 213-215.
12
Lewis S. L., Lopez-Gonzalez G., Sonké B. et al. (2009) Increasing carbon storage in intact African
tropical forests Nature 457, 1003-1006.
13
Valentini R., Matteucci G., Dolman A.J., et al. (2000) Respiration as the main determinant of carbon
balance in European forests. Nature 404, 861-865.
10
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La respirazione del suolo, in cui confluiscono sia la respirazione delle radici e delle
micorrize (autotrofica) sia la decomposizione della sostanza organica del suolo e della
lettiera (eterotrofica), contribuisce fino al sessanta-ottanta per cento del bilancio del
carbonio e determina in modo rilevante la sua variabilità interannuale, soprattutto in
ambiente mediterraneo.
Una stima attendibile della respirazione del suolo è pertanto necessaria per poter
prevedere la risposta degli ecosistemi forestali alla variabilità climatica e per poter
rappresentare in modo corretto le interazioni fra foreste e atmosfera.
Anche le modalità di gestione del bosco possono influenzare questa componente
chiave del bilancio di carbonio; per boschi dell’ambiente mediterraneo, abbiamo appurato
che la respirazione del suolo - e anche la sua dipendenza dalla temperatura - diminuisce
con l’età del bosco14 per cui, variando la distribuzione per classi di età delle particelle di
cui la foresta è composta, attraverso opportune scelte di pianificazione forestale, si può
modificare il bilancio del carbonio della foresta nel suo insieme.
Stress climatici, da sink a source? Misure di flusso, e successive elaborazioni
attraverso modelli15, eseguite nel corso dell’anomala ondata di calore che nell’estate del
2003 ha colpito l’Europa centrale e occidentale, hanno dimostrato che le foreste possono
passare da sink a source. Le foreste possono mitigare l’aumento dell’effetto serra ma forti
anomalie climatiche, che dall’aumento dell’effetto serra sembrano trarre origine,
potrebbero limitare il contributo positivo delle foreste, con un effetto di rinforzo del
riscaldamento climatico. Speriamo che l’estate “di fuoco” del 2003 resti un evento
isolato.
L’effetto carbon leakage e le buone intenzioni... tutti concordano sul fatto che le
foreste vadano protette dallo sfruttamento indiscriminato e che la gestione forestale debba
rendere compatibile l’uso della foresta con il mantenimento della sua funzionalità; in
accordo con i principi di quella gestione forestale sostenibile che ha consentito alle
foreste europee di raggiungere una consistenza e una capacità d’accumulo del carbonio
inimmaginabile solo mezzo secolo fa16.
I livelli di protezione della foresta devono però essere valutati non solo in rapporto alle
foreste che si gestiscono direttamente ma anche ai possibili effetti che si verificano
lontano. Con attenzione al fenomeno detto carbon leakage che è la conseguenza,
involontaria ma negativa, della gestione del carbonio in una zona sul carbonio accumulato
in un’altra zona. Per intendersi, il beneficio sull’accumulo di carbonio di una certa
regione forestale, derivante da una gestione che riduce il prelievo di legname, può
tradursi, se resta costante o cresce, come di fatto è, la richiesta di legno a scala globale, in
un maggior prelievo in un’altra regione; se in questa seconda regione le foreste
14
Tedeschi V., Rey A., Manca G., Valentini R., Jarvis P.G., Borghetti M. (2006) Soil respiration in a
Mediterranean oak forest at different developmental stages after coppicing. Global Change Biology 12,
110-121.
15
Ciais P., Reichstein M., Viovy N., et al. (2005) Europe-wide reduction in primary productivity caused by
the heat and drought in 2003. Nature 437, 529-533.
16
Ciais P., Schelhaas M.J., Zaehle S. et al. (2008) Carbon accumulation in European forests. Nature
Geoscience 1, 425-429.
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presentano dinamiche di crescita diverse, l’effetto netto sul carbonio globalmente
accumulato può essere negativo.
Giusto pochi giorni fa è uscito un nostro lavoro17, che costituisce il primo tentativo di
affrontare il problema in termini matematico-formali, in cui dimostriamo che la relazione
fra livello di protezione - opposto dell’intensità di utilizzazione - delle foreste delle zone
temperate e accumulo di carbonio a scala globale assomiglia a una parabola lungo la
quale, superato un certo livello di protezione della foresta, l’accumulo di carbonio
complessivo bruscamente crolla.
In altre parole, se conserviamo i nostri boschi ma per procurarci il legname di cui
abbiamo bisogno andiamo a tagliare i boschi siberiani o la foresta tropicale, a scala
globale l’effetto sul carbonio può essere fortemente negativo. Dove sta il busillis? Sta nel
fatto che i benefici delle scelte di protezione, soprattutto in termini d’immagine presso
l’opinione pubblica, sono vicini e visibili, e quindi graditi ai politici, mentre gli effetti
negativi sono remoti o, comunque, si diluiscono a scala globale, e quindi tanta
preoccupazione non destano.
L’impronta dell’uomo sulle foreste. Ci avviciniamo a quell’azoto da cui eravamo
partiti. Le deposizioni azotate, legate all’immissione in atmosfera, da parte dell’uomo, di
grandi quantità di azoto reattivo - centocinquanta milioni di tonnellate all’anno, di cui
diciotto milioni “piovono” sulle foreste18 - sono una componente rilevante del
cambiamento globale.
Fino a un paio di anni fa non c’era dimostrazione che le deposizioni azotate potessero
avere un impatto significativo sul bilancio del carbonio delle foreste; si riteneva anzi che,
per vari effetti di compensazione, l’effetto fosse trascurabile19.
Il quadro tematico ha subito una svolta improvvisa circa un anno e mezzo fa quando,
elaborando in modo originale i dati di flusso della rete CarboEurope e altri dati estratti
dalla letteratura, e incrociando i risultati di queste analisi con i valori di deposizione
azotata resi disponibili da interpolazioni spaziali a scala continentale20, il nostro gruppo di
ricerca europeo ha reso noto una chiara relazione positiva fra produttività netta
ecosistemica (NEP) e deposizione azotata21.
17
Magnani F., Dewar R.C., Borghetti M. (2009) Leakage and spillover effects of forest management on
carbon storage: theoretical insights from a simple model. Tellus Series B: Chemical and Physical
Meteorology. DOI: 10.1111/j.1600-0889.2008.00386.x.
18
Schlesinger W.H. (2009) On the fate of anthropogenic nitrogen. Proceedings of the National Academy of
Sciences 106, 203-208
19
Nadelhoffer K.J., Emmett B.A., Gundersen P. et al. (1999) Nitrogen deposition makes a minor
contribution to carbon sequestration in temperate forests. Nature 398, 145-148.
20
Holland E.A., Braswell B.H., Sulzman J., Lamarque J.F. (2005) Nitrogen deposition onto the United
States and western Europe: Synthesis of observations and models. Ecological Applications 15, 38-57.
21
Magnani F., Mencuccini M., Borghetti M., et al. (2007) The human footprint in the carbon cycle of
temperate and boreal forests. Nature 447, 849-851.
22
Högberg P. (2007) Environmental science: Nitrogen impacts on forest carbon. Nature 447, 781-782.
23
Magnani F., Mencuccini M., Grace J., Raddi S., Borghetti M. (2009). Forcing of the forest carbon
balance. The role of nitrogen deposition and forest management. Submitted.
24
Ollinger S.V., Richardson A.D., Martin M.E., et al. (2008) Canopy nitrogen, carbon assimilation, and
albedo in temperate and boreal forests: Functional relations and potential climate feedbacks. PNAS 105,
19335–19340.
25
Bonan G.B. (2008) Forests and Climate Change: Forcings, Feedbacks and the Climate Benefits of
Forests. Science 320, 1440-1449.
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Il risultato, come accennavo, ha suscitato da subito discussione22, anche per la
rilevanza che potrebbe avere in termini di politiche ambientali; ed è certo motivo di nostra
soddisfazione, nella cornice di questo dibattito, il fatto che un’estensione dei dati
analizzati e successive elaborazioni abbiano confermato il pattern pubblicato, con una
buona ipotesi anche per la sua spiegazione funzionale23.
Arriviamo infine all’articolo24 che ci ha procurato il moto di soprassalto di cui parlavo
all’inizio: un lavoro in cui si dimostra che la concentrazione di azoto nelle chiome degli
alberi è positivamente correlata all’albedo della copertura forestale. L’albedo è la frazione
di luce che viene riflessa da una superficie. Quella della superficie terrestre è quindi la
frazione di luce solare che viene rimandata nello spazio; come tale, costituisce una
componente importante del bilancio radiativo e termico del nostro pianeta e, in sostanza,
un fattore di raffreddamento25. Le foreste, che ricoprono buona parte delle terre emerse,
hanno ovviamente un peso notevole nel determinare l’albedo d’insieme della terra. Va da
sé che il lavoro di Ollinger e coll. suggerisce l’idea che l’azoto possa rappresentare una
componente non trascurabile del sistema climatico planetario, attraverso la sua influenza
sull’albedo delle foreste e sul bilancio energetico superficiale.
Sorgono quindi spontanee alcune ipotesi. La concentrazione di azoto nella copertura
forestale è in relazione con le deposizioni azotate? E queste ultime sono in relazione con
l’albedo delle foreste? Più in generale, come va considerata questa componente del
cambiamento globale, la deposizione di azoto, nel quadro delle rappresentazioni
climatiche e nell’ambito delle scelte di politica ambientale? Alcune risposte potrebbero
arrivare da elaborazioni che abbiamo già iniziato, ma è ancora presto per potersi
sbilanciare.
Il flash potrebbe lampeggiare ancora, ma l’orologio suggerisce di fermarsi. The
clearest way into the universe is through a forest wilderness. Queste parole di John Muir,
antesignano dei moderni conservazionisti, si prestano a una libera e personale parafrasi: è
attraverso la foresta che passa parte della strada che dobbiamo fare verso la conservazione
dell’ambiente globale. Oggi questa strada possiamo percorrerla ricchi di notevoli
conoscenze. Lungo la via stiamo però incontrando anche fenomeni inattesi, che ci
impongono di rivisitare le ipotesi di lavoro e di perfezionare i modelli di
rappresentazione. Il bello della ricerca. D’altro canto, non ci si evolve attraverso una
lunga serie di tentativi e insuccessi?
Marco Borghettia
a
Nel 1976 ha conseguito la maturità classica presso il liceo Gian Domenico Romagnosi di Parma e nel
1980 si è laureato in Scienze Forestali presso l’Università di Firenze; è stato ricercatore al CNR, ha
trascorso periodi di studio a Uppsala (Svezia) e a Edimburgo (UK); dal 1992 è docente nell’Università della
Basilicata. Già presidente della Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia forestale (SISEF), è socio
dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali e dell’Accademia Nazionale di Agricoltura; è direttore delle
riviste scientifiche della SISEF: Forest@ (http://www.sisef.it/forest@) e iForest-Biogeosciences and
Forestry (http://www.sisef.it/iforest). Per maggiori informazioni sull’attività scientifica, didattica e
organizzativa: http://marco.borghetti1958.googlepages.com/marcoborghetti.
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