01 Masutti (10):01 Masutti - Accademia Italiana di Scienze Forestali

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01 Masutti (10):01 Masutti - Accademia Italiana di Scienze Forestali
L’ITALIA
FORESTALE E MONTANA
RIVISTA DI POLITICA ECONOMIA E TECNICA
Italian Journal of Forest and Mountain Environments
published by the Italian Academy of Forest Sciences
ANNO LXIV - NUMERO 2 - MARZO - APRILE 2009
Con gli articoli di Luigi Masutti, Franco Perco, Umberto Zamboni, Giorgio
Carmignola, Sandro Flaim e Massimo Cocchi, completiamo la pubblicazione
degli Atti della Giornata di Studio Gestione della fauna e della foresta, tenutasi il 17 giugno 2008 presso la sede dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali.
LUIGI MASUTTI (*)
BASI NATURALI DI SOSTENTAMENTO PER LA FAUNA
OMEOTERMA NEI BOSCHI E NEGLI SPAZI APERTI MONTANI
Mammiferi e uccelli sulle terre emerse delle regioni temperate affrontano un incessante impegno di termoregolazione per mantenere un intenso ritmo di attività muscolare
e di processi metabolici a una temperatura corporea costante, secondo quanto richiesto ad
organismi omeotermi per la sopravvivenza, lo sviluppo e la riproduzione. Ciò è particolarmente avvertito nei boschi e negli spazi aperti montani italiani, ambienti quasi sempre
limitrofi o addirittura integrati, in cui le condizioni termiche variano alquanto nell’arco
delle stagioni e sono spesso critiche nel più o meno lungo inverno. L’energia richiesta per
la risposta a tali sollecitazioni, in quanto fornita in prevalenza dal cibo, dipende dallo
svolgersi delle catene alimentari, che negli ecosistemi di foresta (di conifere, di latifoglie,
mista, con o senza sottobosco) muovono dal consumo di materia lignea, strutture riproduttive, organi verdi e linfa e che nelle distese erbose o arbustive di alto versante decorrono prive di un’inerzia ecologica paragonabile a quella conferita dagli alberi. Nei boschi la
cospicua parte di produzione primaria negata all’utilizzazione alimentare diretta da parte
degli omeotermi (fogliame per gli uccelli e per molti mammiferi, legno s.l. per tutti) giunge come cibo ai vertebrati termoregolanti per la mediazione di disparati insetti, il che esalta la già di per sé importante funzione trofica assegnata a tali artropodi nel soddisfare
vitali esigenze degli animali qui considerati. Le invasioni di specie o popolazioni allogene
(*) Università di Padova, Dip. Agronomia ambientale e produzioni vegetali/Entomologia, Viale
dell’Università, 16, Agripolis, 35020 Legnaro (PD); [email protected]
– L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments
© 2009 Accademia Italiana di Scienze Forestali
64 (2): 61-71, 2009
doi: 10.4129/ifm.2009.2.01
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provocano scompensi in stabilizzati quadri di consumo, alterando perciò equilibri ecologici e ponendo inattesi problemi alla gestione ambientale. Vari omeotermi, soprattutto
uccelli, intervengono nella diffusione di specie legnose, spesso con effetti decisivi anche
per l’economia. La presenza di acque correnti o ferme nei boschi e nelle distese prative di
montagna accresce le disponibilità di risorse alimentari per diverse specie di mammiferi e
di volatili.
Parole chiave: omeotermi; foreste; alimenti.
Key words: homoeothermic organisms; forests; food.
IL COSTO BIOLOGICO DELL’OMEOTERMIA
L’attitudine a regolare la temperatura corporea in modo indipendente
dalle condizioni termiche dell’ambiente fisico è, notoriamente, una risorsa
concessa ad animali che debbono di norma sottoporsi a notevoli e spesso prolungati sforzi fisici, soprattutto necessari per la locomozione a ritmi sostenuti
o su grandi distanze. Ciò vale in particolare per organismi attivi sulle terre
emerse e tipicamente per gli uccelli, la cui esistenza si svolge in gran parte
nello spazio a tre dimensioni. Le esigenze di pronto, sensibile adattamento
endogeno al variare del grado del calore esterno si manifestano in modo
caratteristico nelle regioni temperate, per l’ampio spettro di condizioni climatiche cui dà origine il ritmo delle stagioni.
È specialmente l’inverno, a questo riguardo, che mette a prova l’omeotermia di mammiferi e uccelli con l’imporre periodi di critiche escursioni termiche diurne a specie o a individui non migranti, ma anche nelle altre parti
dell’anno astronomico possono insorgere situazioni difficili per la conservazione della temperatura compatibile con la sopravvivenza e con lo svolgersi
delle funzioni fisiologiche essenziali. Nei boschi e negli spazi aperti montani,
per cause risapute, l’impegno di termoregolazione per gli appartenenti alle
due classi di vertebrati in questione è più severo che in altri ambienti.
È ben vero che anche agli omeotermi è dato di sfruttare fonti esterne di
acquisizione di calore o di refrigerazione, ma si tratta di fenomeni accessori,
benché certo vantaggiosi; ed è pur vero che alcuni mammiferi delle regioni
temperate fruiscono di opportune fasi di programmata resistenza passiva, in
letargo o in torpore, all’eccessivo abbassarsi della temperatura esterna, ma nei
mesi in cui è loro richiesto di agire essi debbono poter disporre di tutta l’energia necessaria.
Si affaccia qui il vero problema di fondo dell’omeotermia: l’introduzione di energia nei circuiti metabolici, che è essenziale invero per i mammiferi e
per gli uccelli come per i rettili, gli anfibi, gli insetti ecc. Tuttavia per gli eterotermi tale acquisto serve a costituire strutture organiche (nello sviluppo, nella
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riproduzione, nella muta di parte del tegumento o degli annessi di questo,
ecc.), a muoversi e a svolgere funzioni metaboliche con una trascurabile liberazione di calore e quindi con minor dispendio di energia.
L’intensa attività muscolare, il normale ritmo del ricambio e quello che
nei mammiferi è incrementato per una termogenesi organica straordinaria
richiedono invece agli omeotermi un notevole ingresso di energia, che assume
ovviamente caratteri di critica importanza nella stagione fredda per la necessità di un costante approvvigionamento; infatti, salvo i pochi ibernanti, gli
animali autoregolanti la temperatura corporea sono quotidianamente attivi
durante l’intero inverno.
Il bisogno di disporre in tempo opportuno di fonti di energia non è, s’intende, acceso soltanto dai processi endotermostatici. Per i mammiferi e per
gli uccelli, a differenza da quanto concesso ai vertebrati eterotermi, è richiesto di provvedere, in periodi più o meno lunghi, a nutrire la prole temporaneamente incapace di alimentarsi in modo autonomo; da qui l’esigenza supplementare, per i riproduttori, di ottenere energia da trasferire ai giovani in
fasi non sempre brevi dello sviluppo, ché spesso a mammiferi e a volatili tocca
contribuire più o meno a lungo al mantenimento dei nuovi individui; nel caso
degli uccelli il problema presenta aspetti di particolare interesse sul piano
biologico generale (MARTIN, 1987).
L’energia per la regolazione endogena del livello termico e per il supplemento necessario a reggere fino all’emancipazione l’esistenza di cuccioli e
pulcini è, come noto, fornita dal cibo. Per mammiferi e uccelli dunque la
sopravvivenza, la riproduzione e lo sviluppo dipendono da adeguate possibilità di trovare risorse alimentari, eventi che di per sé esigono un dispendio di
energia – perciò un consumo di cibo – a volte critico; basti pensare alla frenetica ricerca di mantenimento svolta dai topiragno, minacciati di morte da
un’inedia protratta oltre 2-3 ore, e a quella ossessiva di una coppia di cinciallegre, costretta a recare insetti ogni 1-2 minuti ai numerosi nidiacei prossimi a
concludere lo sviluppo.
L’energia chimica ottenuta dall’alimento può essere in parte accumulata
nell’organismo sotto forma di grasso, scorta biologica di massimo rendimento
rispetto alla massa impegnata. Il fenomeno è vistoso in certi mammiferi, tipicamente in quelli destinati a una lunga ibernazione. Negli uccelli della nostra
fauna invece il sovraccarico di riserve adipose non è fisiologicamente compatibile con l’esercizio della locomozione aerea. Solo nei migranti a lunga
distanza si osserva una temporanea maggior dotazione di sostegno lipidico al
metabolismo generale per lo sforzo del trasferimento; non altrettanto cospicuo è il contributo delle scorte di grasso per il superamento delle difficoltà
opposte dalle basse temperature invernali. A quest’ultimo riguardo, è sorprendente l’attitudine del regolo a trascorrere una notte invernale di 16 ore
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senza poter contare su un pannicolo erogante tutta l’energia termica occorrente; sembra infatti che la produzione di calore sia dovuta per la maggior
parte al consumo di cibo (minuscoli insetti), la cui massa nel piccolo volatile
corrisponde quotidianamente a tre volte quella dell’organismo, ed è noto che
questa, 5-6 g, ogni notte diminuisce di 1,3-1,5 g (HEINRICH, 2004).
Vi sono infine numerosi esempi di accumulo di energia nell’ambiente fisico, da ricuperare nei momenti di bisogno. Le tesaurizzazioni extracorporee
sono ampiamente sfruttate dai roditori e non mancano negli insettivori (SMITH
e REICHMAN, 1984). Presso i primi il fenomeno assume un’importanza elevata,
tanto è vero che per un burunduk (Tamias sibiricus (Laxmann)) rifugiato sotterra l’asportazione della scorta invernale di qualche chilogrammo di semi eseguita da un orso con una zampata equivale a una condanna a morte senza scampo.
Quanto agli uccelli, l’abitudine di costituire riserve di cibo è diffusa soprattutto
tra i corvidi e tra i paridi (PERRINS, 1979): per i nostri ambienti forestali è ben
noto il caso della nocciolaia, ammucchiante semi di pino cembro o nocciole e
amministrante le riserve d’inverno per sopravvivere e per alimentare infine i
nidiacei; meno noti sono i grumi di afidi nascosti da piccole cince dietro le placche di ritidoma di conifere per utilizzarli nel periodo freddo.
GLI AMBIENTI
È sembrato utile esaminare le esigenze alimentari di animali omeotermi
inseriti in due tipi di cenosi che in Italia sono generalmente limitrofe o addirittura integrate, dato che la maggior parte dei boschi è oggi distribuita su versanti.
Le basi dell’approvvigionamento di cibo per gli omeotermi degli
ambienti di foresta conviene siano distinte, ai fini della presente discussione,
secondo la composizione dei soprassuoli, mentre per le specie di spazi aperti
montani non vi è motivo di istituire una tipologia ad hoc.
Per quanto riguarda i popolamenti arborei, è evidente, intanto, che
quelli formati da specie decidue costringono certi erbivori a cercare per un
lungo arco di mesi cibi vegetali alternativi: è il caso tipico degli ungulati, che
d’inverno in quei boschi debbono contare sulla brucatura di gemme e sullo
scortecciamento, tanto più se il terreno innevato vieta di sfruttare anche
magri residui di eventuale vegetazione erbacea o suffruticosa.
Un differenza sostanziale tuttavia vige tra i boschi di conifere e quelli di
latifoglie, tenuto conto della produzione primaria dei due tipi di soprassuolo,
intorno alla cui quota di maggior pregio alimentare, i semi s.l. e le gemme,
avviene una diretta selezione di elementi dell’avifauna, mentre il fogliame,
ospitando un’entomofauna fillofaga di diversa composizione, è all’origine di
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una distinzione negli interventi degli uccelli insettivori, molti dei quali inoltre
nidificano abitualmente o in conifereta o in bosco di angiosperme.
Nelle foreste miste si fondono naturalmente i vantaggi ricavabili dai due
tipi di popolamento e si offrono disponibilità di cibo più ricche per alcuni
mammiferi, quali lo scoiattolo e i gliridi.
La presenza e la qualità del sottobosco al riparo dell’una o dell’altra
copertura arborea è infine determinante per la colonizzazione da parte di
roditori terragni e si dimostra importante per la frequentazione di erbivori e
per l’alimentazione autunnale di uccelli stagionalmente baccivori, quali i turdidi e i giovani tetraonidi.
Gli spazi aperti montani sono teatri di facile accesso in ogni stagione per
gli assalti dei predatori e sedi di vita ben poco ospitali d’inverno per la problematica reperibilità di alimenti oltre che per la mancanza di ripari dalle intemperie.
IL SOSTENTAMENTO RICHIESTO DAGLI OMEOTERMI
Più volte si è finora chiamato in causa l’inverno per la severità di generali condizioni di esistenza da esso imposta agli omeotermi. Restano da sottolineare alcuni aspetti di particolare asprezza che incidono sulla sopravvivenza
degli individui destinati a subire la prova della stagione inclemente.
Vi è innanzi tutto l’importanza della durata. Negli spazi aperti montani i
mesi freddi spesso occupano o superano la metà dell’arco annuale. Contrariamente a un’impressione diffusa, la realtà rivela che per gli svernanti attivi,
mammiferi e uccelli, il momento critico è la fine del periodo difficile, quando
ormai le risorse di cibo sono state esaurite dalle reiterate esplorazioni di troppi concorrenti.
L’altitudine a sua volta appesantisce la situazione: un abbondante innevamento può far sì che il risveglio delle marmotte su certi versanti (come talvolta constatato sulle Dolomiti orientali) si manifesti addirittura in luglio e in
ogni caso la copertura eccezionale ritarda la riproduzione dei nidificanti a
terra, quale lo spioncello rientrato dai luoghi di svernamento.
Vi sono infine esigenze particolari degli omeotermi che debbono essere
comunque soddisfatte in termini di quantità e qualità dell’alimento. È certo
importante, in primo luogo, la gravidanza: le femmine del ghiro, per esempio,
vanno incontro a un riassorbimento dei feti se, ospiti di una faggeta, in luglio
non trovano bastanti faggiole verdi da mangiare; la cincia bigia alpestre, giunta in primavera in un lariceto subalpino ancora spoglio e, dunque, privo pure
di larve fillofaghe, discende provvisoriamente in orizzonti di medio versante
subendo un temporaneo arresto del processo ormonale che guida la riprodu-
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zione. L’allattamento, impegno metabolico ancor più pesante della gestazione, abbisogna di una nutrizione abbondante e qualitativamente scelta; sullo
stesso piano di esigenze, anche se in termini biologici ben diversi, si colloca
per gli uccelli l’alimentazione delle nidiate: non a caso la generalità dei passeriformi reca insetti come cibo esclusivo o prevalente ai nidiacei e i grossi
tetraonidi conducono i pulcini a razzolare sugli acervi di formiche forestali,
colmi di grossi, ghiotti e nutrienti bozzoli di individui anfigonici in attesa di
sfarfallare. La migrazione impone ai volatili in partenza o in transito di sostenere adeguatamente gli oneri metabolici del viaggio, richiedendo ai primi
un’equilibrata dotazione iniziale di grasso, a tutti l’abilità di trovare quotidianamente il pascolo mattutino, compito rischioso sotto vari aspetti, data la
novità degli ambienti incontrati e, nel caso di stormi numerosi, l’incerta sufficienza del rifornimento.
Alle difficoltà di sopravvivenza invernale sopra esposte si aggiunge, per
gli zoofagi obbligati, l’insorgere di stagionali condizioni di inferiorità nel
dominio dell’ambiente fisico rispetto alle vittime, come accade alla volpe
nell’inseguire su neve la lepre variabile, ai rapaci nell’impadronirsi di piccoli
roditori protetti dalla neve stessa; ai topiragno di taigà impossibilitati a trovare un congruo rifornimento di piccole prede tocca talora di accontentarsi perfino di semi di conifere caduti sul manto gelato. Rimane in alternativa qualche
estrema risorsa per gli onnivori, secondo quanto consentito dalle circostanze:
i gracchi possono aggredire in massa e sopraffare una lepre variabile impegnata nell’attraversare un canalone spazzato dalle valanghe. Agli omeotermi
non migranti incapaci di superare gli eventi critici nell’approvvigionamento
di energia e di sfruttare il letargo o il torpore, ma atti a spostarsi quanto basta,
si prospetta l’evasione dai biotopi natali e la conseguente straordinaria invasione di territori altrui, con i rischi connessi a tale avventura.
LA PRODUZIONE PRIMARIA DEGLI ECOSISTEMI
Nel quadro delle esigenze alimentari degli omeotermi, l’offerta di energia da parte da parte degli ecosistemi di foresta e di spazi aperti montani della
zona temperata si configura in primo luogo come una disponibilità variamente distribuita nel corso delle stagioni, il che richiede ai mammiferi e agli uccelli una più o meno elastica adattabilità a situazioni non sempre ottimali e spesso decisamente sfavorevoli, tenuto pur conto, per i volatili, della salutare
risorsa della mobilità.
Un limite non trascurabile opposto alle necessità nutrizionali dei vertebrati termoregolanti è la quantità di azoto che circola negli ecosistemi in argo-
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mento, limitata e fugace nelle praterie di altitudine, scarsissima, e in notevole
parte posseduta dall’ambiente edafico, nei boschi.
Per non pochi omeotermi, inoltre, considerevoli quote di possibili alimenti, anche pregiati, sono inaccessibili, come il fogliame migliore di diverse
specie arboree negato ai mammiferi erbivori non arrampicatori.
Nella varietà dei cibi direttamente utilizzabili la cospicua entità della
produzione primaria del bosco comprende un’elevata percentuale di materia
lignea, priva di valore alimentare per molti omeotermi, una ridotta e aleatoria
offerta di nutrienti strutture riproduttive da più specie contese, una sicura
riapparizione annuale di organi verdi (per altro, di incostante qualità) e un
più o meno ricco flusso di linfa, specialmente elaborata. Nelle praterie è incerta la sorte delle singole piante al ripetersi di ogni ciclo stagionale, svantaggio
cui però si contrappone una migliore disponibilità di durevoli, appetibili
organi vegetali sotterranei rispetto a quanto in generale reperibile nel bosco.
La materia lignea è direttamente sfruttata solo da lagomorfi, roditori e
ungulati e solo per la quota dei tessuti liberiani contenuti nelle cortecce più
tenere. La restante, prevalente, poverissima massa di strutture xilematiche
viene utilizzata dagli omeotermi solo per il tramite di insetti xilofagi e di funghi lignivori.
Gli organi vegetali riproduttivi, ambita mira di tanti mammiferi e uccelli, oltre a non essere immediatamente concessi a tutti i possibili consumatori,
si distribuiscono quantitativamente in una successione irregolare, tale da mettere a rischio la densità minima sopportabile delle popolazioni: ne soffrono
gli scoiattoli decimati dalla fame dopo fortunate sopravvivenze dovute a saltuarie «pascione», vi trovano rimedio i crocieri disertando le coniferete rivelatesi avare di seme.
Le strutture verdi, la cui produzione nei boschi assume un’importanza
non sottovalutabile per gli erbivori non arrampicatori se affidata in adeguata
quantità e qualità al sottobosco, non hanno valore per l’avifauna, salvo il caso
eccezionale dei tetraonidi. Nelle praterie montane la coturnice sfrutta piante
erbacee; nei mirtilleti, nei rododendreti e nei loiseleurieti la vegetazione più
tenera è cibo per la pernice bianca (DE FRANCESCHI, 1992).
Gli umori vegetali costituiscono un cibo difficilmente utilizzabile dai
vertebrati omeotermi e in ogni caso il loro prelievo è ammesso in misura
molto variabile nell’arco delle stagioni. Si conoscono i danni causati dallo
scoiattolo al floema dei cimali di varie piante durante gli alidori estivi e le
caratteristiche corone di cicatrici corticali conseguenti all’assunzione primaverili di linfa elaborata (e di frammenti di ricco tessuto a cavallo del cambio)
da parte di picidi.
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LA PRODUZIONE SECONDARIA DEGLI ECOSISTEMI
La produzione secondaria delle foreste e degli ecosistemi di praterie e
arbusteti montani, considerata ai fini dell’alimentazione di vertebrati omeotermi, si configura come un insieme complicato e, soprattutto, mutevole.
Un suo aspetto di rilevante importanza è rappresentato dall’azione multiforme, determinante sul piano ecologico generale, svolta all’entomofauna.
Gli insetti di foresta e di fitocenosi erbacee o fruticose di altitudine fungono da validi mediatori nel consumo di materie vegetali difficilmente utilizzabili in modo diretto dai vertebrati auto-termoregolanti. Tale interporsi
giova molto a diversi mammiferi, compreso il corpulento orso bruno, goloso devastatore di formicai e alveari (OSTI, 1999), e ancor di più conta per
tanti uccelli piccoli, nonché per alcuni dei grossi. Non si può certo ignorare
che non solo gli insettivori puri, ma anche numerosi granivori allevano i
nidiacei esclusivamente o in misura prevalente con cibo ricavato da biomassa dell’entomofauna. Nei boschi, afidi, cocciniglie, adulti e stadi preimmaginali di insetti olometaboli ecc. sono i termini di passaggio da una grande
quantità di produzione primaria, compresa quella legnosa, alla fame dei
volatili e di vari mammiferi, tra i quali gli spesso dimenticati chirotteri.
Negli spazi aperti montani il complesso degli insetti è certamente meno
vario, ma non meno importante per la colonizzazione degli omeotermi, dai
topiragno alla volpe (BURROWS e MATZEN, 1972), dai motacillidi di prateria
ai gracchi.
Date le esigenze alimentari degli insettivori esclusivi e soprattutto
quelle manifestate nell’allevamento dei nidiacei, un’adeguata disponibilità
del rifornimento di insetti deve essere sempre assicurata, sia pure in misura
varia.
Lo stesso si può affermare per il contingente di piccoli vertebrati ordinariamente cacciati da disparati predatori. Qui però la discussione si complica alquanto, dovendosi affrontare temi inerenti più alla demoecologia e
alla sinecologia che all’autoecologia.
Resta infine da considerare la funzione svolta dalla pedofauna in quanto possibile base dell’alimentazione di vertebrati omeotermi. In quest’ambito è preponderante l’importanza dei lombrichi, ragguardevoli accumulatori
di azoto e perciò prede ricercate da disparati aggressori. La loro biomassa,
che negli ambienti più favorevoli di bosco e di prateria alpestre può raggiungere valori di qualche centinaio di chilogrammi/ettaro, sfama vari uccelli e
mammiferi: tra gli sfruttatori più comuni sono importanti i grossi turdidi, la
beccaccia, i topiragno, le talpe, il tasso, la volpe e il cinghiale.
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LA FAME DEGLI INVASORI E DEI TRAPIANTATI
Lo straordinario, recente incremento delle popolazioni di ungulati e
l’ampio distribuirsi di specie di omeotermi di nuova introduzione complicano il mosaico dei rapporti tra i vertebrati in questione e le risorse alimentari
preesistenti. In certi ambienti alpini ci si è da decenni rassegnati alla mancata
rinnovazione dell’abete bianco, brucato dal capriolo durante l’inverno; altrove il cervo, spesso formante branchi naturali, insidia la sopravvivenza o lo sviluppo di giovani esemplari di varie conifere; il daino, troppo favorito in passato, si rivela addirittura devastante anche in comprensori protetti; l’espandersi
della colonizzazione del cinghiale suscita non poche preoccupazioni di carattere ecologico e pratico-applicativo; lo scoiattolo grigio, in base all’esperienza
maturata nelle Isole Britanniche, rischia di usurpare la nicchia dell’indigeno
scoiattolo rosso. Altri esempi potrebbero essere citati.
L’AZIONE DEI TESAURIZZATORI A FAVORE DEL BOSCO
Nel prelievo, nel trasporto e nell’accumulo di scorte di semi e frutti da
parte di vertebrati omeotermi risiede per molti popolamenti forestali la possibilità di naturale diffusione di vari alberi e arbusti. Per le connessioni nocciolaia/pino cembro, ghiandaia/querce, scoiattolo/disparate specie legnose in
letteratura ricorrono da tempo le citazioni. Meno noti sono altri esempi e
poco indagata è l’azione dei piccoli trafugatori di riserve altrui, quali i topi selvatici e l’arvicola rossastra, che, dopo aver rovistato nei nascondigli allestiti da
corvidi e roditori, disseminano incidentalmente il maltolto in vasti spazi del
bosco, così contribuendo a diffondere specie arboree o arbustive dal seme s.l.
pesante.
LE ACQUE INTERNE
Gli ambienti di bosco e le distese montane di vegetazione erbacea o
arbustiva sono spesso interessati dall’attraversamento di torrenti o dalla presenza di ristagni più o meno estesi. Negli uni la produzione primaria è notoriamente trascurabile, negli altri essa dipende dalla costanza del rifornimento
idrico, oltre che dalla temperatura (i laghi alto-montani sono di per sé poco
adatti a sostenere cospicue catene alimentari).
Dalle sponde, in entrambi i casi, può verificarsi un afflusso di sostanze
organiche, alla cui entità e composizione si deve l’avvio di interessanti colonizzazioni animali coinvolgenti anche vertebrati omeotermi di biocenosi ripa-
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rie. Vi partecipano, oltre agli ordinari frequentatori del mezzo liquido (quali i
topiragno d’acqua, il merlo acquaiolo e la rara lontra), l’erbivora arvicola terrestre nella forma «acquaiola» (LOCATELLI e PAOLUCCI, 1998), il vespertilio di
Daubenton, cacciatore a pelo d’acqua (VERNIER, 1996), la cutrettola e la ballerina gialla, frequentatrici di greti, ecc.
CONCLUSIONI
Nel complesso, tenuto pur conto dei rischi connessi al modificarsi delle
cenosi per azione dell’uomo e, di recente, per il variare delle condizioni termiche, i popolamenti di mammiferi e uccelli nei boschi, nei prati e negli arbusteti montani possono conservarsi a patto che sia salvaguardata la ricchezza originaria delle comunità di vita e ricordata l’importanza degli intermediari ecologici attivi sopra e sotto terra, affinché si svolgano senza interruzioni le naturali catene alimentari. Negli habitat di foresta l’inerzia funzionale assicurata
normalmente dagli alberi garantisce un lungo riproporsi di risorse alimentari
a vantaggio della vicenda delle popolazioni. Negli spazi aperti montani la
regolarità dei processi produzione-consumo dipende dalle severe imposizioni climatiche stagionali, per altro modificate alquanto nei loro effetti col reiterarsi di inverni meno rigidi e di scarso innevamento negli anni passati.
SUMMARY
Natural bases for the maintenance of homeothermic fauna
in forests and mountain open spaces
Terrestrial mammals and birds of temperate regions make a continuous effort to
maintain muscular activity and metabolic rate at a constant body temperature, that
being requested for their survival, growth and reproduction.
Homeothermic regulation is particularly important in Italian forests and mountain open spaces, where temperature conditions vary considerably among seasons and
are often critical during winter.
The energy requirements, satisfied mainly by food, depend on food chains in the
ecosystems. Most of the primary forest products (leaves and wood) are fundamental to
the food chains for thermo-regulating species, provided defoliating and xylophagous
insects act as intermediate consumers.
The invasion of foreign species or populations can alter consumption rates and
change ecological balances, thus creating problems in environmental management.
Many homeothermic organisms, especially birds, favour the dispersal of tree
seeds, often with essential effects on the economy. The presence of streams and lakes in
forests and mountain open spaces increases the availability of food resources for mammals and birds.
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BIBLIOGRAFIA
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