Origine e diffusione degli agrumi, tra il mito e la storia

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Origine e diffusione degli agrumi, tra il mito e la storia
Origine e diffusione, tra il mito e la storia
Gli agrumi hanno avuto origine in Cina ed in altre regioni orientali quali Malesia, India,
Thailandia.
Nel tempo si diffusero dai luoghi di origine ad altre regioni orientali e da qui seguirono il
cammino della civiltà, unendo idealmente l’Oriente e l’Occidente.
Le prime notizie riguardanti gli agrumi in Cina risalgono al tempo dell’imperatore Ta Yu
(intorno al 2205-2197 a.C.), alla sua corte gli agrumi venivano inviati come tributo da regioni
lontane. La civiltà cinese riservò agli agrumi ruolo fondamentale, al punto che alcuni
imperatori crearono delle figure istituzionali con l’incarico di controllare le attività colturali e
imposero di ricevere frutti e semi quali tributi. Gli agrumi ebbero nella civiltà cinese il ruolo
che la vite rivestì per l’antica civiltà di Roma.
I contatti economici e culturali fra le regioni meridionali della Cina e la penisola dell’Indocina
risalgono perlomeno al III sec a. C quando l’attuale Vietnam divenne territorio del regno di
Nam Viet, localizzato nel sud della Cina, inglobato dall’impero cinese nel 1100 a. C..
Nella penisola della Malesia, alla fine dell’era precristiana, comunità locali commerciavano
con Cinesi, Indiani ed altre popolazioni delle vicine isole. Questi avvenimenti permisero
certamente lo scambio di piante, semi e frutti di agrumi.
La più antica citazione riguardante un agrume si ha in India in un testo sacro risalente circa
all’800 a.C. e riguarda quasi certamente il cedro e/o il limone.
Probabilmente il cedro arrivò in Mesopotamia portato dalle carovane che commerciavano con
l’India, attraverso i territori degli attuali Pakistan e Afghanistan e, secondo una cronologia
non ben nota, venne conosciuto dai Persiani che si impadronirono della Regione nel 539.a. C..
E forse in Mesopotamia, ai tempi della loro prigionia babilonese (597 a.C. ed altri anni), gli
Ebrei conobbero il cedro.
Nel 327 a.C. Alessandro Il Grande nella sua opera di ellenizzazione del mondo allora
conosciuto portò al suo seguito non solo eserciti militari ma anche studiosi e scienziati tra i
quali botanici che chiamarono il cedro “pomo della Media” o anche “pomo della Persia”.
La mitologia greca raffigura le arance come le favolose “mele d’oro” del giardino delle
Esperidi. L’incantevole leggenda è narrata nella Teogonia di Esiodo. Al confine occidentale
della terra, dove il giorno e la notte s’incontravano, in un’isola al centro del mare fioriva un
giardino stupendo dove le Esperidi dall’amabile canto custodivano i pomi d’oro. A guardia
stava il drago Ladon. L’albero dei frutti d’oro era stato generato in occasione delle nozze tra
Zeus ed Era, per farne dono particolare e festoso. Gli agrumi diventarono così simbolo della
fecondità e dell’amore.
Roma al culmine della sua espansione territoriale (intorno al 117 a.C.) ebbe notizia del cedro
tramite la cultura ellenistica ma mosaici e sculture sparse nell’ Impero fanno pensare che i
Romani conoscessero anche il limone e la lima. L’etimologia del termine agrume deriva dal
tardo latino “acrumen”, agro. Il termine “arancia” deriva probabilmente dal sancrito
nagaranja, che significa frutto prediletto dagli elefanti, giunto in Europa attraverso la parola
arabo-persiana narang o dal latino aurum.
Gli Arabi conobbero presumibilmente l’arancio amaro in India e da lì lo trasportarono
dapprima nella penisola arabica e, parallelamente alla loro espansione militare e culturale,
nell’Africa settentrionale, in Spagna ed in Sicilia intorno al X secolo. Gli Arabi diedero agli
agrumi un importante ruolo decorativo grazie all’abilità dei giardinieri e ne valorizzarono
l’importanza agricola avvalendosi di nuove tecniche irrigue e di coltivazione intensiva. I
valenti studiosi, medici, botanici arabi descrissero le caratteristiche della pianta, del frutto e
ipotizzarono le proprietà terapeutiche degli agrumi.
I Normanni introdussero termini ancora oggi utilizzati nel dialetto siciliano quali lumìe
(limoni), arengie (arance) e jardinum (giardino, agrumeto).
Tra il 1096 ed il 1204 i Crociati che si recavano in Terra Santa probabilmente importarono
dall’Oriente l’uso del mazzetto di zagara diffuso in tutto il mondo.
Gli amalfitani, i genovesi ed i veneziani fecero da tramite agli agrumi dalla Palestina al mar
Tirreno e da lì in tutta Italia, nel sud della Francia e della Spagnal.
Tra la fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento l’arancio amaro, il cedro, il limone e la
lima erano oggetto di commercio in Europa.
L’arancio dolce venne portato in Europa probabilmente dal navigatore portoghese Vasco de
Gama ed il termine “Portogallo” è stato sinonimo di arancio in tutto il Mediterraneo fino a
tempi abbastanza recenti.
Altra ipotesi attribuisce l’introduzione dell’arancio dolce, prima nei giardini della Liguria e
successivamente in tutto il Mediterraneo, ai Genovesi, i quali, alla fine del XIII secolo, da
navigatori e commercianti insuperabili, attendevano le carovane provenienti dalla Cina e
dall’India lungo le coste del Mar Nero per acquistare le pregiate mercanzie.
Durante il Rinascimento gli agrumi assunsero un posto preminente nell’arredo a verde di ville
e giardini: essi si estendevano dalla Sicilia a Napoli, in Liguria, lungo le rive del lago di Garda,
in Toscana, a Roma. Nei luoghi con clima sfavorevole cominciò a diffondersi l’uso di
proteggere le piante nella stagione fredda o di riparararle in strutture coperte chiamate
aranciere (in Francia “orangeries”), antesignane delle moderne serre. Gli agrumi fra i nobili
ed i benestanti assunsero un significato di status symbol, al punto che nacquero collezionisti di
specie e varietà. Tra la fine del XVI secolo e la metà del XVIII in Europa ed in Italia molti
maestri pittori scelsero come soggetti gli agrumi nella raffigurazione di opere morte. Nel
Medioevo e nel Rinascimento I frutti venivano utilizzati per insaporire carni arrosto e nella
preparazione dei dolci, in Italia ed in altre regioni d’Europa. Gli speziali manipolavano gli
agrumi per la preparazione delle confetture, dei medicinali e degli oli essenziali, pregiatissimi
per l’industria dei profumi.
La tecnica di estrazione degli oli essenziali era conosciuta dagli Arabi ma furono gli Italiani a
valorizzarne la produzione in profumeria. La moda dei profumi nacque in Sicilia ed a Napoli,
dilagando presto in tutta Italia ed Europa
La riviera ligure e provenzale si affermarono a partire dal XVII secolo quale area di
produzione e commercio di agrumi, sia di frutti che di piante, Nel tardo seicento, si
preparavano salse utilizzando i fiori canditi o succo fresco e cannella, ed il frutto bello a
vedersi, era esibito sulla tavola in forme artistiche. Nel ‘700 l’acqua di fiori d’arancia veniva
utilizzata nel Regno delle Due Sicilie per la preparazione di dolci quali pastiera napoletana,
cassata siciliana, sfogliatine di ricotta, mentre in Liguria si confezionavano i canditi e si
sperimentavano tecniche di conservazione.
Gli agrumi in Sicilia
Nel XVIII e XIX secolo grazie ai progressi dei trasporti l’area di produzione e commercio
degli agrumi si spostò dalla Liguria alla Sicilia, grazie alla sua strategica posizione territoriale
ed al clima ideale. In quel tempo in Sicilia apparvero le “acque ghiacce; anticipatrici delle
granite, profumate di limone e d’arancia.
Ciò influenzò profondamente la cultura siciliana, Quando nel panorama della Sicilia si
inserisce una visione dell’arancio gli scrittori ne subiscono il fascino come un incanto. Goethe
interroga: ”Conosci tu la terra ove fioriscono i limoni e tra nere fronde, s’infuocano gli
aranci”. E nel suo diario di viaggio in Italia descrive le meraviglia di: “Spalliere di agrumi che
s’incurvano in graziose capanne”.
Intanto in Sicilia gli elevati redditi forniti dagli agrumeti determinavano l’espansione
territoriale delle coste e dei centri urbani. Il commercio era affidato ai velieri che portavano i
limoni perfino negli Stati Uniti in tutti i mesi dell’anno. Grande impulso venne dato
all’esportazione con l’avvento dei motori a vapore. Gli agrumi erano diretti inegli Stati Uniti,
in Russia, in Germania, nell’impero austriaco e venivano commercializzati quale prodotto
fresco ma anche in succo, chiamato “agro-cotto”, scorze ed essenze. La via del commercio
partiva dal porto di Messina per dirigersi a Roma, Venezia, Trieste, in Inghilterra, in Olanda,
in Danimarca, in Svezia. Anche il poeta Guido Piovene rappresenta l’agrumeto con vigore ed
intensa emozione: “Un giardino d’aranci siciliano è una delle visioni più belle che esistano.
Qui ci si accorge come un giardino di aranci sia una persona viva, esiga cure assidue ed un
amore quotidiano....il giardino d’aranci s’attacca, s’incarna nell’uomo e diviene una specie di
assillo indispensabile.... la pianta d’arancio è oro e sangue che secondo il linguaggio di Mastro
don Gesualdo del Verga sono la stessa cosa...”. Il tedesco Engelmajer: “E il sole che ha
lasciato sui fiori e sulla arancia e nei nostri cuori l’oro malleabile e tenero dell’amore e il suo
colore, il profumo, il candore”, Garcia Lorca: “ e la luna piangendo disse: vorrei essere
un’arancia!”. La preminenza nel Mediterraneo della produzione e commercio di agrumi
rimase appannaggio della Sicilia fino alla seconda guerra mondiale.