La pagina di Avvenire con il testo integrale dell`articolo
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La pagina di Avvenire con il testo integrale dell`articolo
http://edicola.avvenire.it/eebrowser/frame/3_0f.ver.fin.enc.arch/php... NO AL MODELLO LUNA PARK di Ugo Volli Dopo aver ottenuto la designazione per l’Expo 2015, Milano si interroga su che cosa farne: sarà una «colata di cemento» (Celentano) o «il simbolo di una civiltà postmoderna e postindustriale» fatta di «reti e relazioni» (Formigoni)? Il fatto di porsi questa domanda dopo aver vinto è significativo: abbiamo un’occasione, che ce ne facciamo? Così sono stati vissuti tutti gli appuntamenti importanti per la città, da vent’anni a questa parte. È probabile che anche la risposta sia quella di sempre: cediamo l’occasione a un gruppo privato sufficientemente potente, in modo che «produca valore»: così è accaduto per le aree della Bicocca e di Santa Giulia, così sta accadendo per la zona della vecchia fiera. Enrichissez vous! E poi, naturalmente, l’intendance, cioè l’infrastruttura pubblica, suivra. Come a Malpensa (bretella con Torino inaugurata tre giorni fa), come a Bicocca (niente giardini, niente posteggi, niente mezzi pubblici), come alla Fiera di Rho (collegamenti pessimi), come a Santa Giulia (niente scuole). Milano da decenni non è governata, è abbandonata agli spiriti animali del mercato (immobiliare). L’anima l’ha persa da tempo, anzi ha perso qualcosa di molto più elementare dell’anima, la forma. Non esiste più la città di Milano, ma un’informe agglomerato urbano, una schiuma metropolitana che Aldo Bonomi ha chiamato «la città infinita»: indecifrabile, ingovernabile, intransitabile, inquinata. Da decenni non si fanno piani strategici, non si fanno precedere le infrastrutture (i trasporti, innanzitutto) alle occupazioni del territorio. Possiamo immaginare che lo stesso avverrà ora. Non sappiamo se l’Expo sarà un successo o un fallimento (spesso è un baratro anche economico, vedi Siviglia); ma possiamo essere sicuri che sarà un ingorgo. Un anno di ingorgo, di traffico paralizzato intorno a un immenso luna park che alla fine resterà vuoto. Non illudiamoci che l’Expo possa avere una qualche utilità culturale o scientifica: non è mai accaduto. Rischia di essere solo un baraccone espositivo, un’occasione di turismo di serie B, senza scopo conoscitivo e contenuto artistico. Qualcosa come la vecchia Fiera campionaria che è morta vent’anni fa. Qualche milione di persone arriverà, mangerà fast food, si aggirerà fra padiglioni 'spettacolari' e se ne ripartirà. Felici gli albergatori, i costruttori e i venditori ambulanti. La città non ne trae alcun utile. Salvo che forse si useranno dei finanziamenti pubblici eccezionali per finire qualche opera necessaria, magari anche lontana: la Bre-Be-Mi o la Tav, la linea 5 del metrò, per esempio. Ma c’è bisogno di un’Expo per questo? E quelli che indicano i grattacieli come «segno di modernità» magari con la richiesta che «lo famo strano», non prismoidale ma «con una forma strana… fatta con materiali speciali» (Mike Bongiorno, profeta del postmoderno), si rendono conto che l’Empire State e il Chrisler Building di New York vanno per i novanta? Dobbiamo davvero inseguire le mode americane degli anni Trenta, magari con i patetici risultati già in corso di realizzazione alla Fiera? E le cose utili, si possono realizzare solo a costo di Olimpiadi, Colombiadi, Mondiali di calcio, G8, Expo? L’ordinaria amministrazione si fa solo coi commissari straordinari. Non siamo probabilmente in tempo a rinunciare al 'trionfo' milanese su Smirne (Smirne!). Ma potremmo chiedere a commissari, sindaci e governatori, per ogni scelta che faranno, che cosa ne viene non all’anima, ma alla circolazione sanguigna della città. Così forse, dell’Expo resterà qualcosa, oltre alle cartacce. Powered by TECNAVIA / HIT-MP 1 di 1 Copyright (c) Avvenire