300 Il lifting della Fornarina - Fondazione Internazionale Menarini

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300 Il lifting della Fornarina - Fondazione Internazionale Menarini
n° 300 - giugno 2001
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
Il lifting della Fornarina
Angelo di bellezza,
cosa sai delle rughe,
della paura di invecchiare,
del tormento segreto
di leggere l’oscena compassione
in occhi dove a lungo,
avidi,
i nostri occhi hanno bevuto.
Angelo di bellezza,
cosa sai delle rughe?
Baudelaire, I fiori del Male,
XLIV
Considerata come arte
della vanità e della frivolezza, intenzione perversa di alterare, camuffare la realtà naturale esibendo agli occhi altrui
una parvenza illusoria,
la cosmesi non ha mai
avuto troppi fautori.
«Giaci in cento vasetti,
e la tua faccia non dorme
con te», scriveva il poeta
latino Marziale nei suoi
Epigrammi, sulla scia degli anatemi dei moralisti e della riprovazione
del pensiero comune,
espressioni che hanno
accompagnato la storia
della bellezza esteriore
fino quasi ai giorni nostri.
Sono pochi infatti, nei
secoli, i dotti fautori dell’arte della cosmesi. Tra
questi Baudelaire che,
nell’XI capitolo del Pittore della vita moderna diviene un vero avvocato
del trucco femminile:
«La donna è nel suo diritto, e adempie anzi,
quasi a una specie di dovere, adoperandosi per
apparire magica e soprannaturale; bisogna
che stupisca e affascini;
idolo, deve dorarsi per
essere adorata. Deve
quindi chiedere a tutte
le arti i mezzi per elevarsi sopra la natura per
meglio soggiogare i cuori
e colpire gli spiriti».
Oggi l’essere belle, e
belli, coincide sempre
più con la cura del proprio corpo allo scopo di
mantenere il più a lungo
possibile le caratteristiche della gioventù. Così,
i prodotti cosmetici, non
più simboli di lusso o
di peccato, hanno trasportato tutti, donne
e uomini, nel luccicante
mondo della bellezza.
Bellezza restituita da un
attento restauro, sponsorizzato da una nota
casa cosmetica e da una
catena di profumerie che,
“rifacendole il trucco”,
ha fatto tornare più che
mai a risplendere la Fornarina, - così chiamata
perché, pare, figlia di un
fornaio - di Raffaello,
olio conservato alla Galleria Nazionale di Palazzo Barberini, a Roma.
È uno dei quadri più affascinanti del maestro
urbinate, suggestivo soprattutto per il misterioso fascino che avvolge
la giovane donna, secondo la tradizione,
l’amata di Raffaello, più
volte raffigurata nei suoi
dipinti. Una donna che
esprime tutto il suo mistero nella profondità
dello sguardo, nella luminosità dell’incarnato
e nella morbidezza delle
forme appena celate.
Erano trascorsi circa duecento anni dall’ultimo
restauro curato dal Palmaroli e oggi, dopo un
Raffaello: Ritratto di donna detta “la Fornarina”
Roma, Galleria Nazionale di Arte Antica
intervento durato un
anno, sono state acquisite nuove e interessanti
informazioni sulla storia del dipinto e la tecnica pittorica di Raffaello.
La riflettografia, ad esempio, ha evidenziato il
disegno preparatorio e
i “pentimenti” dell’artista, che mostrano l’esecuzione dell’opera immediata e diretta. Attraverso la fluorescenza
e le riprese in falso co-
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lore sono anche stati invece individuati i pigmenti utilizzati nella
stesura dei colori, come
i lapislazzuli per il cielo
e la lacca rossa per il panneggio; per la trasparenza dell’incarnato invece è stato evidenziato
l’uso di terre mescolate
a biacca.
Forse, chissà, invece la
Fornarina nella vita di
tutti i giorni, per “sbiancarsi” deve aver usato,
come le altre donne dell’epoca fiduciose e forzatamente ignare di chimica, la cerussa, una
crema pastosa a base di
carbonato basico di
piombo: un vero e proprio avvelenamento graduale e progressivo i cui
effetti collaterali erano
quelli “deliziosamente
femminili” come gli svenimenti o la smemorataggine, ma che in realtà molto spesso conducevano a morte precoce. La stessa che forse,
nonostante il dignitoso
certificato di morte per
peste, deve aver colpito
la Laura che Petrarca descriveva con “morte bella
parea nel suo bel viso”,
inconsapevole dei sacrifici che la sua amata
aveva fatto per ottenere
quella bella fronte color perla.
Infine la radiografia ha
rivelato l’esistenza di un
paesaggio alle spalle della
giovane donna, successivamente coperto dalle
fronde di mirto e melo
cotogno, piante sacre a
Venere, simboli quindi
di amore e desiderio, a
conferma di un’opera a
cui Raffaello ha dato un
tono terreno e sensuale,
anche rispetto, ad esempio, alla Velata conservata a Palazzo Pitti di
Firenze.
È emersa anche una qualità pittorica altissima
che ha confermato, scientificamente, la paternità
dell’opera a Raffaello,
già nota dal nome scritto
sul bracciale che adorna
la modella restituendo
ancor più bello, se possibile, uno dei capolavori del Rinascimento
italiano.
maria siponta de salvia
Raffaello: Ritratto di donna detta “la Fornarina” (part.) - Roma, Galleria Nazionale di Arte Antica