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COMMENTI&OPINIONI
❚❘❙ DALLA PRIMA PAGINA
GIOVANNI GALLI
Per l’asilo
si fa presto
a dire caos
evase e crescere in giudicato al massimo in 140 giorni) e prepara il sistema a
gestire più facilmente le emergenze.
Per di più queste misure non sono state
calate dall’alto, ma concordate fra Confederazione, Cantoni, Comuni e Città.
Paradossalmente, l’UDC sta tentando
di buttare all’aria una legge che va nella
direzione da lei stessa auspicata.
Intendiamoci, anche se meno drammatico rispetto a quindici anni fa, il quadro
è poco idilliaco e anche la revisione della legge non potrà fare miracoli. Ma da
qui a parlare di caos ce ne corre. Rispetto ad altri Paesi confrontati con l’emergenza migranti, la situazione in Svizzera
è oggettivamente meno grave. La Grecia, già alle prese con enormi problemi
economici e finanziari, è messa malissimo. Sulle sue coste ci sono già stati
quest’anno 124 mila sbarchi, sette volte
e mezzo più dell’anno scorso. Lo stesso
vale per l’Italia, che è un avamposto
continentale dell’immigrazione. In
Francia, a Calais, la situazione è tesissima, mentre l’Inghilterra per frenare l’afflusso di migranti irregolari pensa anche di sanzionare datori di lavoro e proprietari di immobili. Per non parlare
dell’Ungheria, che sta erigendo una barriera anti-immigrati lungo il confine
serbo. Quanto alla Germania, nel primo
semestre ha registrato 160 mila domande d’asilo, più del doppio del 2014.
L’UDC calca la mano e punta a risolvere
il problema rimuovendolo, con soluzioni drastiche e semplicistiche. Ma non
per questo bisogna cadere nella trappola opposta del «tout va très bien Madame la Marquise». Sminuire è altrettanto
pericoloso che drammatizzare. Non è
vero, come ha detto il presidente socialista Christian Lévrat, che tutto sta filando liscio. Discutibile nei modi, il grido d’allarme lanciato negli scorsi giorni
dall’Esecutivo lucernese a proposito
delle difficoltà ad ospitare la crescente
quota di eritrei solleva problemi concreti (malcontento fra la popolazione,
difficoltà a trovare gli spazi necessari)
che andrebbero considerati con maggiore attenzione. La politica d’asilo non
può consistere in decisioni unilaterali
ma nemmeno in risposte tranquillizzanti basate su statistiche. È un’impresa
continua volta a trovare soluzioni praticabili, a mediare, a dialogare e a prepararsi al peggio. Berna dovrebbe prendere sul serio il monito dell’ex presidente
del Partito socialista Helmut Hubacher:
«C’è qualcosa che non quadra quando
leggo che alcuni richiedenti l’asilo possono tornare temporaneamente nel loro Paese d’origine dove sarebbero perseguitati. Questo fa arrabbiare la gente.
Se il Consiglio federale non fa nulla, rischia situazioni come in Germania, dove i centri d’asilo bruciano. Soprattutto
quando un partito come l’UDC soffia
sul fuoco».
CENT’ANNI FA
13 agosto 1915
Simpatie e chauvinismo –
Elio Pometta, il chiarissimo
illustratore ed il dotto commentatore della storia del
Cantone Ticino, recensendo
uno studio pubblicato sulla
Wissen un Leben da Bruno
Zschokke esamina la questione del pangermanismo
in rapporto allo spirito svizzero. «Certi nostro concittadini, così esordisce il Pometta, il quali trovano a ridire sull’atteggiamento nostro
di pacata, ma costante reazione contro le idee e l’azione germanofila nella Svizzera, il Ticino non escluso, e
che negarono e negano l’esistenza del periodo, tacciando noi di esaltazione,e
peggio, di poco patriottismo, vorranno, lo speriamo,
prestare fede a quanto pubblica sullo stesso argomento
nella rivista Wissen und Leben di Zurigo, un valoroso
scrittore di lingua tedesca,
Bruno Zschokke (...) «Se la
guerra attuale finisse con
una vittoria definitiva della
politica di espansione germano-austriaca, non vi può
essere dubbio, che la nuova
coltura tedesca, la quale ha
già ottenuti così palmari
successi nella Svizzera tedesca nel mezzo secolo trascorso, si porrà all’opera,
dopo la guerra, con forze
raddoppiate, e le conseguenze non mancheranno
di farsi sentire, prima sul
terreno economico e poscia
sul terreno politico» (...)
L’arresto di un locarnese
per contrabbando – La Provincia di Como ha da Varese: «Il delegato di publica
sicurezza Fusari, venuto a
conoscenza che un industriale svizzero, certo D.P. di
anni 58, da Locarno, era venuto nella nostra città per
fare incetto di operai da
condurre in Isvizzera attraverso i sentieri dei monti, lo
fece pedinare, riuscendo a
farlo arrestare a Luino, mentre si disponeva a varcare il
confine con un operaio addetto alla lavorazione del
legno. Il D., che già era riuscito a far entrare in Isvizzera altri operai del Gallaratese, venne tradotto alla carcerti di Varese (...) Durante
gli interrogatori (...)
Corriere del Ticino
GIOVEDÌ 13 AGOSTO 2015
L’OPINIONE ❚❘❙ ROBERTA PANTANI*
Il Festival di locarno
e la nostra cultura
❚❘❙ In questi giorni
Locarno e il suo
Festival fanno del
canton Ticino la
vetrina cinematografica mondiale. Tra sostenitori e detrattori, il
Festival divide e
fa discutere. Fa
discutere i politici, che però ne utilizzano la ribalta
per presentarsi. Fa discutere gli albergatori, che vorrebbero stanze più piene, i ristoratori, gli addetti al turismo
e molti altri ancora. Chi invece non
discute, credo siano i turisti, che hanno la possibilità di vedere un Ticino
diverso, internazionale, per una volta
al centro del mondo. Si può amarlo o
odiarlo, ma il Festival è così.
Il nuovo messaggio sulla cultura, che è
stato recentemente approvato dalle
Camere federali, prevede anche un finanziamento alla cinematografia:
non illudiamoci però che parte di questo finanziamento possa arrivare a
Locarno e neppure in Ticino. I costi
complessivi (Confederazioni, Cantone
e Comuni) per la cultura in Svizzera
sono passati da poco più di 2 miliardi
nel 2000 agli attuali quasi 3 miliardi
di franchi. Una cifra enorme, di cui ci
si chiede spesso quale possa essere il
riscontro effettivo all’interno del Paese.
Con l’approvazione del messaggio, il
Parlamento ha definito quali saranno le linee guida della politica culturale nei prossimi anni: il mantenimento delle pluralità culturali con il
sostegno a manifestazioni di livello
internazionale ed anche ad iniziative
più locali, che hanno queste ultime
quale obiettivo, quello di promuovere
tradizioni folcloristiche.
Ciò che non va è l’idea di sostegno e
di coordinamento di una politica culturale nazionale, che uniformi tutto
ciò su di un unico livello. La politica
culturale, invece non può puntare ad
una standardizzazione: al contrario
deve lasciare spazio alle differenze regionali e culturali. Molteplicità, concorrenza, iniziativa personale e passione sono valori sui quali si basa la
cultura, che è patrimonio di tutti noi.
Il finanziamento della cultura è importante ma ciò su cui si vorrebbe
chiarezza sono i finanziamenti e i sostegni che supportano iniziative culturali che purtroppo finiscono all’estero. Pro Helvetia su questo fronte è silente.
Il consigliere di Stato Manuele Bertoli,
durante un dibattito organizzato dalla Biblioteca cantonale di Lugano
qualche settimana fa, alla domanda
posta da una giornalista sulla controversa questione dei soldi pubblici investiti all’estero da musei cantonali e
comunali, comunque sostenuti dallo
Stato, ha candidamente ammesso che
«è praticamente impossibile verificare
la destinazione di tutti gli appalti
pubblici». Spesso vengono finanziate
iniziative culturali che di svizzero
hanno ben poco o che in nome di un
«promovimento culturale nazionale»
costruiscono un’immagine della Svizzera che non le appartiene.
La politica culturale è importante, il
Comune di Chiasso ne ha fatto un
cavallo di battaglia negli ultimi anni,
dando l’esempio chiaro di come con
pochi soldi e poche risorse si possa
invece allestire un programma di
qualità.
Il lavoro di tutti, il lavoro dell’individuo è importante ed è altrettanto importante che la cultura locale sia pri-
vilegiata rispetto a progetti culturali
internazionali, cosiddetti di prestigio,
ma che spesso sono lontani dai cittadini. Non costruiamo cattedrali nel
deserto, non facciamoci prendere da
foghe internazionaliste e cosmopolite:
siamo in Ticino, una realtà di 350’000
persone.
Facciamo cultura con ciò che ci offre
il territorio e con ciò che siamo in
grado di fare. Il Festival del cinema di
Locarno è una di queste cose: non
scimmiottiamo Cannes o Venezia.
Non ne abbiamo le possibilità. Spesso, la migliore delle cose è accontentarsi di quello che si ha: ed in questi
giorni sarà come avere una vetrina
tutta ticinese sulla Quinta Strada a
New York. Approfittiamone.
*consigliera nazionale della Lega dei Ticinesi
INFORMATICA
Svista di Google, Alphabet c’è già
❚❘❙ Clamorosa svista o convinzione di poter comprare comunque il marchio?
Sta di fatto che Google, dopo l’annuncio dell’altro ieri, è confrontata con una
bella grana: il marchio Alphabet - il nuovo nome scelto dalla società fondata
da Larry Page e Sergey Brin per la ristrutturazione in una holding - esiste già
e appartiene al gruppo automobilistico BMW, che ora sta valutando se adire
le vie legali. Alphabet è in effetti il fornitore di servizi di mobilità aziendale
del Gruppo BMW per veicoli di tutte le marche. C’è anche il sito www.alphabet.com. Un portavoce della BMW, secondo quanto ha pubblicato ieri il periodico «WirtschaftsWoche», si è detto sorpreso di non essere stato informato anticipatamente dal colosso informatico.
(Foto AP)
DALLA PRIMA PAGINA ❚❘❙ ALFONSO TUOR
La mossa di Pechino sullo yuan
come una riforma del sistema di
fissazione del tasso di cambio dello yuan che d’ora in poi sarà maggiormente influenzato dalle forze
di mercato.
Infatti, la mancanza di flessibilità
del tasso di cambio dello yuan era
stata usata dagli Stati Uniti per
opporsi all’ingresso della valuta
cinese nella composizione del paniere dei diritti speciali di prelievo
del Fondo monetario internazionale, il quale, non a caso, ha immediatamente «benedetto» la decisione di Pechino. Insomma, una
richiesta americana è stata con la
classica arguzia cinese usata per
legittimare una svalutazione che
sicuramente non piace a Washington.
Ma basterà il deprezzamento dello
yuan a rilanciare l’economia cinese? Non è certo, ma è sicuro che
per raggiungere questo obiettivo
Pechino non lesinerà sforzi e uti-
lizzerà tutti gli strumenti convenzionali e non convenzionali (come
è accaduto e continua ad avvenire
con gli interventi per arrestare la
caduta della Borsa di Shanghai,
che finora hanno avuto successo).
Dall’esito di questo tentativo dipenderanno le prospettive di medio e lungo termine dell’economia
mondiale.
La Cina non è infatti solo la seconda economia del mondo, ma è il
Paese che maggiormente influenza
i prezzi delle materie prime e dei
beni industriali. Ed infatti a breve
scadenza la frenata dell’economia
cinese e la svalutazione dello yuan
hanno un effetto deflazionistico:
deprimeranno ulteriormente i
prezzi delle materie prime, accentueranno la pressione al ribasso
dei prezzi dei manufatti, ridurranno la redditività delle imprese con
una grande presenza sul mercato
cinese (come i settori del lusso e
dell’auto) e probabilmente faranno calare anche il numero dei turisti. Le ripercussioni maggiori le
subiranno i Paesi produttori di
materie prime. Non si può escludere che vi siano vere e proprie crisi
di alcuni Paesi con gravi ripercussioni sui mercati finanziari.
Gli effetti li sentiranno anche le
economie occidentali. Infatti la
mossa di Pechino è destinata a
rendere ancora più fragile la già
stentata ripresa europea, che si
basava essenzialmente sull’indebolimento dell’euro, e ad allontanare nel tempo l’aumento dei tassi
di interesse americani. Ma c’è di
più, se i Paesi occidentali reagiranno in modo scomposto potrebbero provocare effetti a catena imprevedibili. C’è da augurarsi che
non si metta in moto una dinamica di azioni e reazioni che potrebbero portare non solo a forti tensioni commerciali.
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