Acqua e Democrazia

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Acqua e Democrazia
Acqua e Democrazia
Elena Falletti, Università Carlo Cattaneo ‐ LIUC
Daniela Bauduin, avvocata e giornalista pubblicista
Il referendum sull'acqua
Il tema dell' “acqua pubblica” è al centro dell’attenzione collettiva: il referendum
del 12 e 13 giugno 2011 delle norme che riducevano le possibilità di affidamenti
diretti dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, ha visto 27 milioni di votanti,
con il 57% degli aventi diritto e il 95% dei voti favorevoli all’esito abrogativo (D.P.R.
18.7.2011, n. 113).
Il metodo partecipativo
La partecipazione democratica all’organizzazione politica, attraverso associazioni e comitati di
tutela dell'ambiente, presuppone un’opinione pubblica libera ed informata. Soltanto attraverso
uguaglianza, informazione e partecipazione è possibile realizzare l'esercizio costituzionale
della sovranità popolare al fine di rimuovere gli ostacoli economici e sociali allo sviluppo della
persona umana. La campagna referendaria e il voto sull'acqua hanno rappresentato una felice
sintesi di tali presupposti.
Esiste un “vincolo referendario” sull’acqua pubblica?
A distanza di meno di un mese dalla pubblicazione del decreto dichiarativo dell’avvenuta abrogazione referendaria, il Governo interveniva in via d’urgenza con una disciplina riproduttiva
di quella già abrogata, nonostante l’esclusione dal suo ambito di applicazione del servizio idrico integrato. La Corte costituzionale ha così dichiarato illegittima tale disposizione per aver
violato l’articolo 75 della Costituzione da cui si desume il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare (sentenza n. 199 del 2012). La rilevanza dell’iniziativa
referendaria suggerisce di rimarcare il riconoscimento, da parte della Consulta, di un “vincolo referendario” nei confronti del legislatore, in virtù dell’integrazione degli strumenti di
democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa delineato dal dettato costituzionale, al fine di impedire la vanificazione dell’effetto utile del referendum. Nel dichiarare
ammissibile la domanda referendaria per l’abrogazione della disciplina sulla tariffa del servizio idrico integrato, la Corte Costituzionale (sentenza n. 26 del 2011) ha anche evidenziato
come sotteso al quesito fosse “chiaramente, la finalità di rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua”. Milioni di persone si espressero a favore
dell’abrogazione delle parole “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.
Quali forme di gestione del servizio idrico integrato sono consentite?
Il modello societario è soltanto “consentito” dall’articolo 149‐bis del Codice dell’ambiente, introdotto dal decreto‐legge 12 settembre 2014, n. 133 (c.d. decreto “Sblocca Italia”) nel
testo modificato in sede di conversione ad opera della legge 11 novembre 2014, n. 164, secondo cui l’affidamento diretto “può” avvenire a favore di società in possesso dei requisiti
prescritti dall’ordinamento europeo per la gestione in house. Anche la gestione diretta del servizio idrico integrato da parte dell’ente locale è ammessa dalle norme europee, per la
Costituzione italiana il Comune, tra i soggetti che costituiscono la Repubblica, è il livello territoriale di governo più vicino al cittadino e quindi maggiormente in grado di individuarne i
bisogni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (art. 118, primo comma, Cost.).
Quali sono i criteri di gestione dell'acqua “bene comune”?
Il referendum del 2011 ha diffuso in Italia l’idea dell’acqua‐bene comune legato ai diritti fondamentali
della persona. Tuttavia, il codice civile distingue solo tra la proprietà privata e quella pubblica, mentre il
“bene comune” è un bene a titolarità diffusa per il quale si auspica l’accesso da parte dell’intera
comunità. Come è possibile, attraverso il superamento della gestione pubblica, garantire a tutti il
godimento dell’acqua? Come evitare la privatizzazione di fatto del bene? Come evitare che lo Stato o l’ente
pubblico territoriale competente rinunci alle sue funzioni di protezione dei beni demandandole al privato?
Il passo successivo: gli enti di governo dell’ambito
Gli enti locali sono obbligati a partecipare agli enti di governo dell’ambito
individuati dalla regione competente, cui è trasferito l’esercizio delle
competenze in materia di gestione delle risorse idriche, ma gli enti di
governo dell’ambito non sono previsti dalla Costituzione. Come è garantita
la rappresentanza delle comunità, soprattutto quelle più piccole, ordinate
nell’ente locale?
Acknowledgments: (fotografia: Vittorio Bertola; grafica: Salvatore Bauduin)
D. Dolci, Il potere e l'acqua, Milano, 2010;
S. Rodotà, Beni Comuni e categorie giuridiche: una rivisitazione necessaria, Quest. Giust., 2011, 237‐ 247;
P. Adami, Beni comuni e servizi pubblici, il caso dell'acqua tra referendum e direttive europee, Quest. Giust., 2012, 76 – 100;
M. Rospi, Le lobbies, il referendum e la partecipazione democratica: due esperienze a confronto, Federalismi.it, 2013.