MACINE INTORNO AL MILLE: ASPETTI DEL COMMERCIO
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MACINE INTORNO AL MILLE: ASPETTI DEL COMMERCIO
MACINE INTORNO AL MILLE: ASPETTI DEL COMMERCIO DALLA GRECIA E DALLA SICILIA IN ETÀ MEDIEVALE di PAUL ARTHUR L’interesse archeologico per le macine medioevali da grano ha una lunga tradizione. Ma si è sviluppata, per lo più, nell’Europa settentrionale, dove sono ben conosciuti alcune cave e centri di produzione, in particolare quelli dell’area del Laacher See, presso Mayen, sul Reno, in Germania (KARS 1983). La conoscenza delle pietre impiegate per le macine nell’Europa settentrionale ha permesso, inoltre, il riconoscimento delle larghe distribuzioni dei vari prodotti attraverso i secoli, aggiungendo, così, ulteriori e significativi elementi per valutare i flussi commerciali durante il Medioevo (da ultimo, P ARKHOUSE 1998). Nell’area mediterranea, purtroppo, lo studio delle macine di età medioevale ha, finora, destato poco interesse, nonostante la ben consolidata tradizione di studio riguardante quelle preistoriche e di età classica, perlopiù romane, nonché degli studi etnografici riguardanti le macine nell’ambito delle tradizioni popolari più recenti (DE RACHEWILTZ 1996). Alcuni progetti di scavo e di ricognizione archeologica svoltisi in Puglia negli anni ’90 hanno restituito evidenze che indicano che, lungi da essere esclusivi dell’età romana, la produzione e la commercializzazione di macine a lunga distanza sono esistiti anche durante il Medioevo ed oltre. Al momento non sappiamo, invece, se c’è stata una continuità di interesse commerciale a lunga distanza dagli inizi del VI secolo sino al Mille, anche se è probabile che la macina rotatoria manuale è continuata ad essere comunemente in uso per tutto il periodo (cfr. HARVEY 1989, p. 132). È con la convinzione che le evidenze sinora raccolte rappresentino soltanto una minima parte di un’attività economica medievale assai significativa, e con la speranza che altri ricercatori si interesseranno alla questione, che viene presentato questo primo studio. La Puglia meridionale è un territorio prevalentemente carsico caratterizzato da rocce calcaree di varia natura, spesso tenere e, perlopiù, poco adatte alla produzione di macine da grano. La pietra più idonea reperibile localmente è un calcare, piuttosto granuloso, noto come carparo, che è stata utilizzato per la produzione di macine rotatorie almeno negli ultimi secoli. In una cava prospiciente il mare presso Porto Miggiano, Santa Cesarea (LE), sono stati rinvenuti dei tagli circolari nella pietra calcarea affiorante che sembrano rappresentare degli abbozzi di macine, forse databili prima della costruzione della torre costiera cinquecentesca. Vari scavi archeologici hanno dimostrato, invece, che, per via della mancanza di una pietra particolarmente adatta ai processi di triturazione necessari alla trasformazione del grano in farina, venivano importate pietre molto dure e ruvide, in primo luogo di origine vulcanica, sin dall’età del ferro. Gli scavi ad Otranto (cantiere 3; scavi F. D’Andria), per esempio, hanno restituito tre frammenti di macine manuali in pietra lavica biancastra databili alla prima metà dell’VIII secolo a.C., mentre l’insediamento di San Vito dei Normanni (BR) ha restituito la parte superiore di una macina manuale, in pietra apparentemente simile a quella impiegata per le macine idruntine, databile, probabilmente, al VI o agli inizi del V secolo a.C. (CHIONNA et alii 1998). Macine laviche di età romana sono conosciute da più siti archeologici nel Salento anche se, sinora, non esiste uno studio dettagliato dei vari esemplari. Cosicché, quando si è iniziato a scavare il casale medievale abbandonato di Quattro Macine, Giuggianello (LE), e si sono rinvenuti i primi frammenti di macine in pietra lavica, la prima ipotesi for- mulata è stata che essi potevano essere oggetti residuali, insieme a qualche frammento ceramico, appartenenti ad una frequentazione tardo antica del luogo. La successiva scoperta di frammenti di macine laviche anche negli scavi della chiesa detta Le Centoporte, Giurdignano (LE), durante gli scavi del casale medievale abbandonato di Apigliano, Martano (LE) (ARTHUR 1999a ), nonché in alcuni siti di età medievale esaminati durante le ricognizioni, dove, peraltro non vi era presenza di materiale di età romana, ci hanno, invece, convinto che l’uso di macine in pietra lavica era un fenomeno usuale nel Salento anche per gran parte dell’età medievale (Fig. 1). Constatata la presenza di macine laviche medievali, il passo successivo è stato quello di tentare di identificare i luoghi di provenienza della materia prima tramite analisi che permettessero di caratterizzare le rocce adoperate. In questa luce, particolarmente utili sono i lavori di natura geochimica condotti da Williams Thorpe e Thorpe (1993) su varie macine prodotte nel Mediterraneo orientale, sempre dall’età neolitica all’età romana, e da Daniele (1997) su esemplari provenienti dagli scavi di Entella in Sicilia. Al momento, siamo riusciti ad avviare una prima indagine, in collaborazione con il Dr. David Williams dell’Università di Southampton, che ha comportato l’esame a sezione sottile, sotto il microscopio petrografico, di quattordici campioni, rinvenuti soprattutto a Quattro Macine, che ha portato all’individuazione di tre tipi di rocce laviche ben distinti (cfr. appendice I). Per le caratteristiche riscontrate, una delle rocce laviche sembra potersi identificare con una pietra proveniente dall’isola di Melos nell’Egeo (4 campioni). Una seconda pietra (9 campioni) presenta grosse rassomiglianze con le lave del vulcano Etna, nella Sicilia nordorientale, mentre la terza, rappresentata da un solo campione, non è stata, al momento, accomunata ad un particolare giacimento di efflusso lavico. Fig. 1 – Luoghi di rinvenimento di macine in pietra lavica di probabile datazione medioevale nel Salento. Per i siti cfr. Appendice II. ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 1 MELOS Nel 1982, Malcolm Wagstaff ha pubblicato un breve studio sulle macine da grano prodotte sull’isola greca di Melos tra l’età neolitica e l’età romana, facendo presente che l’isola, anche in tempi moderni, ha prodotto macine, conosciute col termine mylopetra. Lui ha prospettato che la stessa pietra, proveniente principalmente dalla cava di Rema, fosse usata anche in età medievale (WAGSTAFF 1982). Melos non è citata in connessione con macine durante l’antichità, essendo Etna e Nisyros le uniche fonti specificamente menzionate (Strabone, VI.2.3 e X.5.16), e non sono ancora conosciuti dei rinvenimenti di macine di pietra vulcanica di Melos per l’età romana. Più recentemente, anche altri studiosi si sono interessati al problema di questa pietra e della sua possibile utilizzazione attraverso i secoli, in particolare Curtis Runnels (RUNNELS 1981; 1990; KARDULIAS-RUNNELS 1995). La pietra utilizzata viene descritta come un tufo riolitico, silicificato e resistente, di colore bianco-grigiastro. Questo tufo, principalmente un vetro vulcanico, è abbastanza duro e relativamente leggero, e la sua tessitura vescicolare lo rende ideale per macinare. Giacimenti in superficie di pietre simili sono probabilmente diffusi attraverso la Turchia occidentale e il Levante, nelle aree di attività vulcanica, per cui sembra necessario al momento ricorrere ad analisi petrografiche e geochimiche per essere sicuri sulle provenienze di singole macine. La più antica testimonianza finora segnalata per l’esportazione di macine di Rema in età medievale riguarda il contenuto del relitto di Serçe Liman, rinvenuto presso la costa sud-occidentale della Turchia. Il relitto di una nave, affondata durante il primo quarto dell’XI secolo, ha restituito due macine rotatorie, forse di dotazione, insieme ad un carico di vetro, soprattutto di provenienza islamica, ed anfore di un tipo prodotto intorno al Mar di Marmara ( VAN DOORNINCK 1986; macine: RUNNELS 1988; anfore: GÜNSENINHATCHER 1997). Macine prodotte in pietra di Rema sono state rinvenute anche in siti nell’Argolide, databile al XIII e XIV secolo. In base a questo, Kardulias e Runnels suggeriscono che il monopolio per l’uso delle macine di Melos deve essere attribuito ai Franchi (KARDULIAS-RUNNELS 1995, p. 127). Sebbene ciò sia possibile dal XIII secolo, prima, sia i Bizantini che i Veneziani, probabilmente, si saranno giovati dalla loro esportazione. Melos, infatti, è menzionata in un crisobolo bizantino del 1198 come luogo ove Venezia poteva condurre il commercio (MALAMUT 1988, p. 331). Non sono ancora state riscontrate delle evidenze direttamente attestanti la lavorazione della pietra di Rema in età bizantina. Potrebbe, comunque, essere significativo che cospicui resti archeologici di età bizantina sono preservati presso Kato Komia (villaggio basso), in due luoghi ben distinti, presso le cave moderne di bentonite. Uno è sito un po’ dietro la scogliera, in una delle poche aree agricole buone su un’isola altrimenti nota per la cattiva qualità dei suoli vulcanici (cfr. MALAMUT 1988, p. 54). Il campo è disseminato di spolia paleocristiani, in mezzo a ceramica che comprende anche della Glazed White Ware. L’altro luogo, posto direttamente sulla spiaggia, evidenzia strutture fino a due piani di altezza, in corso di erosione marina. Anche qui sono testimonianti frammenti della Glazed White Ware, apparentemente databili al IX-X secolo. ETNA Il Monte Etna, nella Sicilia nord-orientale, è specificamente menzionato da Strabone, insieme a Nisyros, come fonte di macine in antichità (Strabone, VI.2.3: Etna; X.5.16: Nisyros). Nonostante ciò, non conosco studi sulle aree estrattive dall’Etna, sebbene siano state eseguite analisi compa- rative con rocce provenienti dal vulcano, sostanziando l’annotazione straboniana per l’esportazione nell’antichità entro la Sicilia ed oltre (CANZANELLA 1997 e DANIELE 1997, per le evidenze da Entella). Roger Wilson (1990, p. 240 e p. 396, n. 24), nel sottolineare l’importanza economica delle macine dall’Etna in età romana, elenca una serie di reperti rinvenuti al di fuori della Sicilia, in Calabria, Puglia (Egnazia), Molise, nonché nel Africa del Nord, a Cartagine, El Maklouba, Thuburbo Maius e, forse, perfino, a Cirene. D’altro canto, non ho ancora trovato delle testimonianze scritte per lo sfruttamento della pietra lavica in età medievale, sebbene l’area etnea era conosciuta per l’estrazione del ferro ed allume (EPSTEIN 1992, p. 230 segg.). In Sicilia sono, tuttavia, attestate delle piccole macine per tritare il mais e mortai troncoconici con pestelli, tutti realizzati nella pietra etnea negli ultimi secoli (ex inf. N. Ollà). DISCUSSIONE È chiaro che le ricerche sulle macine medievali nel Mediterraneo sono soltanto agli inizi, ma promettano già informazioni di grande importanza per individuare alcuni fenomeni relativi all’economia e al commercio dell’alto e del basso medioevo. Comunque, per poter utilizzare le macine in analisi di questo genere è necessario che gli esemplari rinvenuti vengano editi con accurate descrizioni e, ove possibile, corredate da analisi mineralogiche delle pietre impiegate. Questo potrebbe sembrare ovvio, ma nella ricerca bibliografica effettuata in occasione di studio mi sono più volte imbattuto in pubblicazioni, anche recenti, che riferiscono al rinvenimento di macine, senza specificarne il tipo di pietra impiegata. È anche chiaro che le possibili fonti di approvvigionamento di pietra da macina erano abbondanti intorno al mondo Mediterraneo, ma una ricognizione sistematica dev’essere ancora effettuata. Esisteva una scala di idoneità delle rocce. A volte, in mancanza di altro, e presumibilmente per un fattore di costi, che venivano adoperate pietre poco idonee, anche calcari ed arenarie. Quando, invece, venivano scoperte delle rocce con ottime qualità, potevano anche diventare oggetti di commercio a lunga distanza. Ciò è testimoniato dal rinvenimento di relitti carichi di macine, non solo manuali, come una a Kizilburun, Turchia sud-occidentale, ed un altro ad Alonissos nelle Sporadi settentrionali (PULAK-ROGERS 1994, p. 18). D’altronde, nei pochi siti di consumo possono essere riscontrate macine da più aree estrattive, come ad Entella, in Sicilia, dove sono state individuati esemplari provenienti dall’Etna, dalla Sardegna, da Pantelleria e le isole Eolie, e da Bolsena, Vico, Bracciano e Roccamonfina, nell’Italia centrale (CANZANELLA 1997). La lavorazione a Roccamonfina è, tra l’altro, testimoniata dal toponimo del Comune di Pietramelara (CE). Purtroppo quasi tutti gli esempi di macine provenienti da Entella non sono databili, e non possiamo neanche affermare che tutte queste aree estrattive fossero sfruttate nel Medioevo, il che è probabile, e sapere se fossero impiegate in produzioni per commercio a distanza. Delle aree estrattive nell’Italia meridionale, si ha evidenza solo per il Monte Vulture in Basilicata. In età tardo romana quell’area sembra abbia fornito Canne, Egnazia (BR) e la villa romana a San Giovanni di Ruoti (PZ) (VOLTERRA 1997). Continuità di produzione di macine dal Vulture in età medievale potrebbe essere suggerita dal rinvenimento di una macina apparentemente di quella roccia dall’insediamento a Vetrana, presso Guglionesi, Molise, databile tra X e XII secolo (HODGES-WICKHAM 1981, p. 497). A questo quadro, possiamo ora aggiungere i nuovi dati provenienti dal Salento che indicano un commercio su larga scala di macine sia dal Monte Etna in Sicilia, sia dall’isola di Melos (Fig. 2). Pietra lavica, molto simile al riolite da Melos, secondo ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 2 Fig. 2 – Etna, Melos e rotte verso il Salento. un’analisi autoptica, fu utilizzata per macine manuali rinvenute in contesti dell’età del ferro nel Salento. Da Otranto cantiere 3 provengono due esemplari, dalle US 1016 e 1482 datati entrambi alla I° metà dell’VIII secolo a.C. A San Vito dei Normanni, invece, proviene la parte superiore di una macina manuale, databile probabilmente al VI-inizi V secolo a.C. Non sembrano esistere, invece, nel Salento, macine in questa pietra durante il periodo romano quando, forse, sono state potenziate delle cave italiane. Curtis Runnels ipotizza la possibilità che la pietra di Rema fosse sfruttata a partire dall’XI secolo, dato apparentemente confermato dagli esemplari di macine presenti sul relitto di Serçe Liman (KARDULIAS-RUNNELS 1995, p. 124). Negli scavi del villaggio medievale di Quattro Macine è stato rinvenuto un frammento di macina apparentemente di riolite di Melos nell’unità stratigrafica 248/1106, che rappresenta uno degli strati di riempimento di un fossato o avvallamento. Lo stesso contesto ha restituito 119 frammenti di ceramica (2.130 kg), con una totale assenza di ceramiche invetriate, ed una presenza di anfore di tipo Otranto 1-2, boccali con decorazione verticale excisa ed altro materiale simile alla ceramica della fase IV degli scavi di Otranto (PATTERSON-WHITEHOUSE 1992, pp. 182-184). L’insieme delle evidenze suggerisce una datazione per il contesto alla seconda metà del X o prima metà dell’XI secolo, apparentemente confermando l’ipotesi di Runnels, se non sollevando la possibilità di una datazione leggermente anticipata per la circolazione della pietra di Rema in età medievale. Dagli scavi ad Apigliano, invece, provengono più frammenti di una macina, apparentemente sempre in pietra da Rema, in un contesto con ceramica sostanzialmente databile al XV secolo. Dai dati archeologici salentini si può ipotizzare che l’isola di Melos avesse un’attività estrattiva che si svolgeva attraverso i secoli X-XV. Comunque, ribadisco la necessità di sostanziare questa visione attraverso analisi petrografiche delle singole macine, specialmente in quanto, secondo i dati raccolti da Sanders, l’isola fu «nearly or totally abandoned from the early ninth until the early thirteenth century» (SANDERS 1996, p. 159). Macine dalle cave della Sicilia e da Melos erano esportate già finite, o erano esportate solo abbozzate? Dalla zona dell’Eifel in Germania, sembra che in età alto medievale la pietra venisse esportata solo abbozzata, dal momento che i centri di rifinitura sono stati individuati presso i grossi mercati o “ports of trade” a York, Ipswich, Londra, Dorestad, Medemblik e Haithabu (PARKHOUSE 1998). Dobbiamo allora ipotizzare anche centri di produzione presso emporia, quali Otranto, nel Mediterraneo in età medievale? Certo alcuni relitti sembrano contenere macine già lavorate come parte del carico, magari anche con la funzione di zavorra, come a Serçe Liman, ma non possiamo sapere se queste provenivano dalle cave o da un centro intermediario quale poteva essere anche il Cairo, secondo i documenti di mercanti ebrei medievali riguardanti macine dalla Siria/Pale- stina (GOITIEN 1967, pp. 60 e 153). È da osservare che anche il commercio di macine da quest’ultima area ha bisogno di essere meglio definito (WILLIAMS THORPE-THORPE 1993). Forse erano proprio queste quelle ordinate dai cavalieri di Malta ai commercianti inglesi nel 1582 (BRAUDEL 1972, p. 623). Ritornando di nuovo alle evidenze archeologiche dalla Terra d’Otranto, possiamo fare qualche considerazione di ordine generale. Prima, vorrei sottolineare che le scarse evidenze probabilmente rappresentano soltanto la punta dell’iceberg, considerando che questi oggetti sono stati rinvenuti sui pochi siti archeologici indagati sistematicamente, e che questi siti sono essenzialmente rurali e situati spesso all’interno, ad una certa distanza dalle coste e dai porti di transito commerciale. Nel caso delle macine provenienti da Melos, la distanza sino al Salento e di ca. 640 km in linea d’aria, mentre quelle provenienti dall’Etna hanno viaggiato intorno a 320 km, ovvero la metà della distanza. In entrambi i casi, presumibilmente, sono transitati attraverso porti quali Otranto, Brindisi, Gallipoli e Taranto. Una seconda considerazione riguarda il fatto che in Terra d’Otranto sono rappresentate macine importate da almeno tre diverse provenienze, anche se quelle sicule sembra siano più rappresentate, seguite da quelle di probabile origine egea. Significa, forse, che questo territorio rappresenta l’interfaccia delle due distribuzioni di macine, quelle da Melos e quelle dall’Etna? Uno degli obbiettivi futuri sarà quello di esaminare in che misura le aree di mercato dei due prodotti si sovrapponevano, e quanto la presenza di due gruppi distinti di macine nella stessa area può essere dettata da altri fattori storici e cronologici che non sia quello di semplici aree di mercato. Avendo constatato la presenza di queste macine nell’Italia peninsulare, dobbiamo adesso anche accertare le effettive distribuzioni nelle aree adriatiche e tirreniche, e vedere se, a parte possibili aree di interfaccia come potrebbe essere il Salento, esistettero aree preferenziali di distribuzione quali Melos-Adriatico ed Etna-Tirreno. Inoltre, come sono arrivate le macine da Melos in Italia: dalla circumnavigazione del Peleponneso, o attraverso Corinto e il golfo di Corinto? È da notare la rassomiglianza tra alcune ceramiche rinvenute nel Salento con altre provenienti dagli scavi a Corinto, almeno nel X-XI secolo (ARTHUR C.S.). Infine, Parkhouse (1997, p. 198) osserva come le macine da contesti medievali nell’Europa settentrionale sembrano più abrase e frammentarie rispetto a quelle provenienti da contesti di età romana. Potremmo suggerire che, in età medievale, le macine erano mediamente più preziose o costose, e che da questo scaturiva l’uso dell’oggetto proprio fino alla fine della sua utilità, e che in seguito veniva frantumato per un riutilizzo sotto altra forma. Almeno un esemplare da Quattro Macine è stato successivamente trasformato in un piccolo oggetto cilindrico, forse una specie di pestello. Altre macine rotatorie, forse di età romana, sono state rinvenute reimpiegate come lastre di coperture di tombe altomedievali a Castrovillari ed altri siti della Calabria (ex inf. G. Roma e R. Spadea, seminario EFR, Novembre 1999). Esiste ancora molto da fare, sia per quanto riguarda la segnalazione delle macine, sia la loro identificazione petrografica, ma sarà solo quando l’archeologia dell’insediamento medioevale nel Mediterraneo e la puntuale analisi dei reperti provenienti da esso diventa prassi anziché eccezione, che tutte le considerazioni sovra esposte avranno possibilità di chiarimento. RINGRAZIAMENTI Sono grato ad Assunta Orlando per avermi mostrato le macine da Otranto e a Grazia Semeraro per quella proveniente da San Vito dei Normanni (BR), mentre Nunzia Ollà mi ha fornito informazioni sul Monte Etna. Frederick van Doorninck, con la sua solita gentilezza, mi ha tenuto infor- ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 3 mato sulle evidenze dall’affascinante relitto di Serçe Liman, sempre ricco di spunti. David Williams (University of Southampton) ha fornito la nota sulle analisi a sezione sottile. Vorrei ringraziare Olwen Williams-Thorpe per informazioni sui lavori da lei eseguiti insieme al compianto Richard Thorpe, entrambi della Open University (Milton Keynes), come parte del progetto di ricerca sul relitto di Serçe Liman. Sono, inoltre, in debito con Pamela Catling e Curtis Runnels per discussioni sui problemi riguardanti le macine medioevali nel mondo egeo. Questo ricerca è stata resa possibile tramite un sovvenzionamento da The Society for Medieval Archaeology (UK), a cui sono particolarmente grato. APPENDICE I: A PETROLOGICAL NOTE ON THE ROTARY QUERNS FROM QUATTRO MACINE AND CENTOPORTE Fourteen small rock samples were detached from rotary querns found at the sites at Quattro Macine and Le Centoporte were thin sectioned and studied under the petrological microscope. The purpose of the investigation was to identify the type of rock used in each case and, if possible, to see if a likely source area could be suggested. Previous research on classical and medieval quernstones and millstones has clearly demonstrated that these heavy objects were capable of being traded over long distances (PEACOCK 1980). This was presumably because in many cases the local rocks were not hard or rough enough to cut and grind the grains sufficiently well. This may well have been a contributing factor in the present study, because none of the fourteen samples can be closely identified with the local rock formation in the area of the sites. More than half of the querns sampled almost certainly originate from Mount Etna, Sicily. Of the others, it is possible that four may have come from the Aegean Island of Melos, although this needs to be confirmed. Certainly Melos was producing quernstones for export in the mediaeval period and up to the last century. Of the remaining two samples, neither can confidently be tied down at present. Olivine-Basalt SAMPLES 2, 3, 8, 9, 11, 12, 13 AND 14 All of the samples are in a dark greyish to black vesicular lava and macroscopically appear very similar to each other. In thin section the groundmass is fine-grained and composed of small laths of basic plagioclase felspar with small grains of magnetite. Large well-formed fresh and unaltered plagioclase phenocrysts are scattered throughout, together with smaller grains of olivine and pyroxene. The rock is a olivine-basalt and a comparison with a collection of thin sections of antique quernstones and Mediterranean volcanic rocks in the Department of Archaeology, University of Southampton, shows that the composition and texture is closely similar to material attributed to Mount Etna in Sicily. Olivine-Basalt SAMPLE 1 Dark grey vesicular lava with large inclusions of felspar. In thin section this sample can also be seen to be an olivine-basalt, but it also contains frequent very large and distinctive felspar phenocrysts. At the present time it is difficult to source this rock. It may come from the Etna region, but other sources are also possible. Pyroxene-rich SAMPLE 4 Grey vesicular lava with frequent visible inclusions of dark coloured pyroxene. This is a very distinctive rock which contains many large pyroxenes. A very similar quernstone has been noted from Carthage (no stratigraphic details available). The origins are unknown. ?Altered Rhyolite SAMPLES 5, 6, 7 AND 10 A light vesicular rock. This is a fine-grained, altered igneous rock, quite possibly a rhyolite. The writer has not come across this particular type of quernstone before, but it is possible that it may have come from the Rema quarries on the east central coast of the Aegean island of Melos. Certainly the macroscopic description given by Runnels is similar, although no petrological details are given (RUNNELS 1981; 1990). David Williams APPENDICE II: ELENCO DEI RINVENIMENTI DI MACINE SU SITI NELLA PUGLIA MERIDIONALE CON PRESENZE DI ETÀ MEDIEVALE Per la localizzazione dei siti in elenco, esclusi i nn. 1618, vedi Fig. 1. 1. Quattro Macine, Giuggianello (LE). Villaggio medievale abbandonato - occupazione principalmente tra X e XIV secolo. – Campione n. 1. QM ’95. Fuori contesto - tra aree VI e VII. Macina in lava da Etna? - altre fonti possibili. – Campione n. 3. QM ’93. Fuori contesto. SF 21. Macina in lava da Etna. – Campione n. 4. QM ’93. Fuori contesto. Pietra lavica indeterminata. – Campione n. 5. QM ’93. US 248. Contesto probabilmente databile al X secolo. Riolite da Melos? – Campione n. 6. QM ’96. Fuori contesto. Riolite da Melos? – Campione n. 7. QM ’93. US 211. SF 27. Contesto probabilmente databile alla metà del XIII secolo. Riolite da Melos? – Campione n. 8. QM ’92. Fuori contesto. Macina in lava da Etna. – Campione n. 9. QM ’92. Rinvenimento di superfice. Macina in lava da Etna. – Campione n. 10. QM ’94. Rinvenimento di superfice. Riolite da Melos? – Campione n. 11. QM ’94. Rinvenimento di superfice. Macina in lava da Etna. – Campione n. 12. QM ’94. Rinvenimento di superfice. Macina in lava da Etna. – Campione n. 13. QM ’94. Rinvenimento di superfice - ingresso fondo NE. Etna lava. – Campione n. 14. QM ’96. US 1352. SF 550. Contesto probabilmente databile al X secolo. Ma la ceramica è ancora da analizzare. Macina in lava da Etna. – Non campionato. US 270. XIII o XIV sec.? Macina in lava da Etna? – Non campionato. Fuori contesto. Melos riolite? Un frammento piatto, spesso 5 cm, da cui è ricostruibile il diametro di ca. 53-54 cm. – Non campionato. Fuori contesto. Macina di forma rettangolare (a tramoggia?), forse in lava di Etna. Oggetto depositato presso le Guardie di Finanza, Lecce, sequestrato a Giuggianello. Ex inf. Maresciallo M. Caldarola. 2. Centoporte, Giurdignano (LE). Centoporte insediamento monastico, probabilmente occupato dal tardo V-inizi VI secolo sino all’XI secolo. Campione n. 2. Fuori contesto. Macina in lava da Etna. 3. Loc. Vasili, Minervino (LE). Villaggio abbandonato probabilmente nell’XI secolo, insistente su un piccolo sito di età romana imperiale. L’oggetto più recente identificato è un follis di Costantino VII e Romano II (954-959). Macina in lava da Etna? 4. Piazza Dante, Vaste (LE). Scavi F. D’Andria - 1999. 5. Muro Leccese (LE). Scavi presso il Palazzo del Principe. Macina in lava da Etna? Associata a materiale non anteriore al XV secolo. Ex inf. Paola Tagliente. 6. Apigliano, Martano (LE). Villaggio medievale abbandonato occupazione principalmente tra X e XIV secolo. Ventuno distinti rinvenimenti di macine frammentarie, alcuni frammenti dei quali potrebbero appartenere allo stesso oggetto. La maggior parte degli esemplari, in pietra lavica grigia, provengono da contesti disturbati, mentre altri vengono da contesti databili al tardo XIIIXIV secolo. L’unica macina che è apparentemente in lava da Melos proviene da un contesto del XIV secolo (US 1504). Per lo scavo cfr. ARTHUR 1999a. 7. Loc. Scorpo, Supersano (LE). Rinvenuta in una fossa con ceramica di età alto medievale, probabilmente databile al IX-X secolo. Macina in lava da Etna. Per una precisazione cronologica del contesto siamo in attesa dei risultati di datazioni a C14 da parte del Oxford Research Laboratory for Archaeology and the History of Art. ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 4 8. Tabelle, Galatone (LE). Villaggio medievale abbandonato con materiale databile tra X e XV secolo. Macina (lava di Etna?), rinvenuta in superficie accanto a ceramica del X secolo ca. da Riccardo Viganò. 9. Poggiano, Nardò (LE). Villaggio medievale abbandonato con materiale tra XI e XII secolo, nonché tracce di un’insediamento di età romana imperiale. Macina in lava da Etna? 10. S. Barbara, Galatina (LE). Villaggio medievale abbandonato con materiale tra XII e XIII secolo, nonché tracce di un’insediamento di età tardo antica. Macina in lava da Etna? 11. Lucugnano, Nardò (LE). Villaggio medievale abbandonato con materiale tra XI e XVI secolo, nonché tracce di un’insediamento di età romana imperiale. Macina in lava da Etna? 12. Bagnara (Balnearia?), Squinzano (LE). Lava grigia. Villaggio medievale abbandonato - occupazione principalmente tra X e XIV secolo. Ex inf. Cinzia Mazzotta. 13. S. Maria di Cerrate, Squinzano (LE). Abbazia apparentemente databile dal XI secolo. La macina in lava da Etna (?) è stata rinvenuta in superficie con molta ceramica di età tardo antica. 14. S. Maria di Galiano, Torchiarolo (BR). Casale di Caliano, con testimonianze dal XII al XIV secolo. Macina in pietra chiara. Ex inf. Cinzia Mazzotta. 15. Loc. Cornola, Nardò (LE). Segnalazione di frammenti di macine rinvenute insieme a «ceramica cordonata paleobizantina e dipinta medievale» in UGGERI 1974; Per il sito cfr. anche VALCHERA, ZAMPOLINI FAUSTINI 1997, p. 141, n. 2172, che segnalano ceramica a vernice nera e sigillata chiara A, C e D. Non ho visitato il sito e non sono a conoscenza di testimonianze medievali databili provenienti dal luogo. 16. Presunto relitto di Torre S. Gennaro (BR). Una macina rinventa con anfore riferite da Rita Auriemma alla serie peleponnesiache (AURIEMMA 1997, 235, fig. 15; macina: ex inf. C. Mazzotta). Ho qualche dubbio sull’identificazione delle anfore che, sembra, siano state rinvenute insieme alla maiolica arcaica. 17. S. Maria del Casale, Avetrana (TA). La macina in lava grigia è stata rinvenuta in superficie con molta ceramica di età medievale, dal X-XI secolo in poi. Ex inf. Salvatore Greco. 18. Insediamento medievale a Monte Camplo, S. Trinità (TA). Etna lava. Ex inf. D. Caragnano. BIBLIOGRAFIA ARTHUR P. 1999a (a cura di), Da Apigliano a Martano (LE). Tre anni di archeologia medioevale (1997-1999), Galatina. ARTHUR P. 1999b, Grubenhauser nella Puglia bizantina. A proposito di recenti scavi a Supersano (LE), «Archeologia Medievale», XXVI, pp. pp. 171-177. ARTHUR P. C.S., Un saggio di scavo in prop. Previtero (1995), e la cronologia di ceramiche di età bizantina ad Otranto, «Studi di Antichità», 10, in corso di stampa. 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