fixsage

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fixsage
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erano ormai passati dieci anni dieci anni di attività fotografica ed ancora non era e non si
sentiva nessuno entrò nella camera oscura ed
iniziò ancora e poi ancora tutti i giorni a
stampare tutti i fotogrammi che lei riteneva
più belli di tutti quegli anni passati a
fotografare passavano i giorni e i giorni
diventavano mesi ed ancora lei stampava
sempre ad ogni negativo era sempre una
sorpresa anche se l’immagine la conosceva a
memoria era pur sempre un incanto vedere
dopo dopo aver contato i secondi per
impressionare il negativo sul foglio di carta
bianco era sì sempre una sorpresa ad ogni
fotogramma il vedere l’immagine affiorare
dopo essere stata immersa nell’acido di sviluppo alla pallida luce gialla gialla era la luce
la sola che c’era la sola che ci voleva e lì nel buio il giallo era l’unico colore ancora del
tempo due minuti a volte tre e poi poi con le pinzette prendeva l’immagine che ora era
apparsa apparsa sul foglio bianco e la lasciava cadere prima nel bagno d’arresto della
vaschetta successiva e poi infine nell’ultima vaschetta quella del fissaggio altri minuti
due minuti e l’immagine ora era fissata e seguendo ancora il rito delle pinzette che
prendevano il foglio ora non più bianco all’angolo all’estremità del foglio la prendeva la
sua immagine e la depositava dentro l’acqua dentro la vasca del lavaggio dove rotolando
per mezzora si sarebbe la fotografia lavata dove rotolando spinta dall’acqua dall’acqua
che scorreva si sarebbe lavata e lei seguiva il rotolare per mezzora il tempo il tempo
passava ed era scandito dai secondi dai minuti e dalle mezzore del lavaggio e poi poi il
tutto tutto quel tempo diventava tutto quel tempo giorni e mesi e ad ogni giorno ad ogni
mese in più che passava lei si ritrovava a pensare a ritornare ad ogni immagine al tempo
che aveva determinato lo scatto in quell’anno in quel periodo lei aveva scattato quella
fotografia lei aveva vissuto un’esperienza un’emozione una delusione tutto tutto era lì
scritto visibile da leggere nel bianco nel nero nei grigi scuri nei grigi chiari delle sue
fotografie e sue fotografie la sua vita il buio la pallida luce gialla il bianco il nero e le
sue immagini che lei stampava ancora e poi ancora erano lì ed erano tutta la sua vita ed
ormai la luce la luce del sole quando quando lei usciva dalla sua camera oscura la luce
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del sole le feriva gli occhi ed era ora sempre di più solo solo fastidio ad ogni giorno
sempre di più ad ogni giorno che passava sì lei soffriva quando usciva soffriva per la
luce la luce del sole ed amava sempre sempre di più il buio la penombra il sole il sole no
le feriva gli occhi il sole il sole la torturava ed in quell’inverno non pioveva mai mai
c’era sempre il sole e lei lei odiava il sole passavano i giorni i mesi e lei lei si isolava
sempre più ed era sempre sempre di più sola uscita dalla camera oscura si sentiva male a
luce il sole gli acidi odore degli acidi che aveva malato la rendevano strana stanca e
diventava ad ogni giorno di più sempre più
sola ora a lei le interessava solo la sua camera
oscura dove lei lei vedeva dal nulla del foglio
bianco affiorare l’immagine e dietro a
quell’immagine la sua vita per anni ed erano
anni ormai che fotografava corpi nudi ecco ora
prendere consistenza l’immagine di un corpo
una lei adagiata su un tappeto d’erba e lontano
molto lontano il
paesaggio e dopo dopo il paesaggio il cielo lei
che si pone si dona alla luce del sole ed ai suoi
occhi che attraverso l’obiettivo ne fermano
dopo il click l’attimo il click l’attimo ed ancora
l’altro nudo di lei vista di spalle sempre fra il verde in un giardino fiorito e fra alberi
lontani lei che guarda lontano verso il cielo bianco verso la luce verso un qualcosa che
non appare ma che c’è si c’è è lontano lontano dove non lo sapeva nemmeno lei che
guardava nemmeno lei che scattava lontano lontano laggiù nel paese invisibile o lassù
nel cielo bianco appena velato di grigio oppure lui adagiato come un fauno sull’erba
verde fra ombre e luci sognante immerso nel verde dei suoi pensieri o sempre lui
appoggiato alla parete nera del suo studio dove il corpo bianco bagnato dalla luce
potente del faro diventava ancora più bianco e metteva in risalto il muscolo delle braccia
delle gambe del suo sesso che in quel momento dormiva il bianco il nero il grigio si
c’era anche il grigio ma lei lei preferiva prediligeva il bianco e il nero colori totali il
bianco e il nero e lei lei si sentiva andare verso quel cielo bianco dove qualcuno una lei
forse lei stessa se ne stava là lontano fra l’erba fra gli alberi lontani in contemplazione
lei la lei della foto era lei stessa Io sapeva bene lui il lui della foto era sempre lei
nell’altro nell’altra parte di sé nell’altro dove lei avrebbe voluto desiderare planare su di
lui come su di un letto morbido fatto di chi in quel momento le mancava sì sola era
sempre sola e si sentiva sola nel mondo sola in tutto e stampando e guardando le sue
foto lei si sentiva sempre più sola e calde lacrime le rigavano il volto alla pallida luce
gialla della camera oscura e si sentiva spezzata spezzata in due in tre come nella foto che
si era scattata attraverso gli specchi ecco sì era così spezzata in due in tre come nei suoi
autoritratti che lei lei si scattava da sola davanti allo specchio davanti a più specchi gli
specchi il riflesso di sé in due in tre parti e contava uno due tre lei era un numero il
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numero tre spezzata o lacerata come in un altro autoritratto lacerata da righe nere sì nere
che si era tracciata dipinta lei con la sua matita nera la matita nera che usava per colorare
il nero il contorno dei suoi occhi neri fra le ciglia bionde cadevano le sue lacrime e al
ricordo di lacrime vere e bianche lei se le dipingeva con la matita nera si dipingeva
lacrime finte e nere vicino ai suoi occhi neri e più giù fino alla guancia bianca sparse
come Io erano ora i suoi pensieri e righe righe nere tracciate da lei sempre da lei sul suo
corpo bianco righe nere tracce del suo lacerarsi del suo dolore su di sé il tempo il tempo
passava e lei lei stampava sempre ed ormai era diventata una malattia lentamente sempre
di più si isolava e gli altri ora per lei erano solo figure ombre lontane solo ombre nere e
sfuocate e le parole le loro parole i loro discorsi i discorsi di queste figure erano ora per
lei solo rumori sibili di frasi già sentite mille volte e che ora non poteva più ascoltare
mai più e le figure lei le vedeva si sgranavano sempre più il silenzio la camera oscura
era ora per lei la sua vita la sua isola il suo passato ed ora diventava il suo solo presente
il silenzio le sue lacrime calde le sue immagini erano per lei le sole amiche tristi
silenziose deliziose ed una domanda affiorò contemporaneamente all’apparire ora di sé
tutta frammentata davanti agli specchi sì la domanda il pensiero le era salito ora vedendo
se stessa in tre parti lei intera si sentiva ma nella fotografia no lo vedeva bene alla
pallida luce gialla lei sì era lei ma non era intera lei era in tre parti e dentro di sé contava
uno due tre ecco lei era una persona fatta di tre parti sì uno due tre effetto dello specchio
effetto creato voluto da lei per rappresentarsi così un giorno un giorno ormai lontano
tanto lontano e la domanda incalzava ora ora che lei era lì in tre parti davanti a specchi
immersa nell’acido di sviluppo lei si domandava chi era lei e cosa andava cercando in
realtà facendo fotografie ad una lei che era sempre anche se con il viso ed il corpo di
un’altra sempre lei cosa cercava in un lui che vedeva solo da lontano che arrivava da lei
solo attraverso l’obiettivo e
che mai toccava lui era là
silenzioso assente su di una
pietra su di un prato o
appoggiato al muro nero del
suo studio chi era lei che
viveva sempre da dietro
l’obiettivo sensazioni e
visioni di ciò che era lì
davanti a lei ma che nello
stesso tempo così lontano
cambiò obiettivo dal
cinquantacinque passò al
novanta ora ecco sì se lo
ricordava bene cambiò
obiettivo per vederlo per
vedere quel lui che era
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lontano più vicino ora sì lui era tutto dentro tutto dentro il fotogramma tutto dentro
intero era lì bello vicino adagiato nel prato in un giorno di sole che lei vedeva filtrava
attraverso i rami i rami degli alberi vicini e lo vedeva il sole che con la sua luce il suo
calore bagnava il ventre di lui e la luce batteva ora sul ventre sul suo sesso addormentato
dormiva dormiva il suo sesso sotto il calore del sole e lui adagiato come un fauno
sull’erba lasciava il suo corpo sotto il sole sotto l’ombra dei rami degli alberi vicini e
lasciava lì sull’erba per lei il suo corpo al piacere supremo della contemplazione lei lo
vedeva lì tutto dentro al fotogramma che colmava l’inquadratura vicino vicino ma era
solo per l’effetto dell’obiettivo lei lo sapeva che lui e tutti i lui della terra erano lontano
avrebbe voluto allungare la mano per toccarlo ma lo vedeva vicino attraverso l’obiettivo
ma per lei era sempre lontano lontano
e quando quando mai pensava quando un
uomo un fauno adagiato ora sull’erba si sarebbe alzato e diretto verso di lei e
prendendola per mano l’avrebbe trascinata lontano quando
quando ed ecco la risposta al suo interrogativo respirò profondamente sentì pungersi le
narici con l’odore nauseabondo dell’acido poi lo sentì scendere giù nei polmoni tossì ed
infine un forte sapore di nausea la colpì allo stomaco lei sì lei aveva cercato sempre ora
sì lo sapeva aveva cercato per tutti quegli anni attraverso le fotografie sì aveva cercato
qualcuno sì qualcuno un lui una lei qualcuno che la potesse amare era sì era solo amore
quello che lei voleva che lei cercava solo amore un gesto una carezza un’ebrezza un
perdersi lentamente ma profondamente in altri occhi in un lui in un lei ma... mai ci era
riuscita mai aveva visto occhi neri occhi azzurri occhi verdi ma mai mai il suo sguardo e
tutto di lei si era perso in altri occhi aveva sì planato nel suo eterno desiderio su corpi
lunghi ed infiniti sì si era persa in sensazioni emozioni disperazioni che sprigionavano
dal suo essere dal suo corpo al contatto di chi era lì in quel momento vicino sopra o sotto
di lei ma mai mai si era persa fino in fondo fino all’estremo di sé mai si era persa in altri
occhi e mai mani carezzevoli avevano trascinato lei lei nell’abisso infinito di una voluttà
senza frontiere mani bocche corpi distesi protesi tanti ma non era mai quel corpo non era
mai quella bocca non era mai quella mano mai ed era una lei ed era un lui una lei un lui
alternativamente sempre dopo una lei c’era un lui dopo un lui una lei e si ricordava bene
le labbra rosse di lei ed i suoi occhi verdi sì se li ricordava bene anche se ora
nell’immagine che aveva appena stampato ieri il rosso il verde non c’erano più tutto ora
era bianco e nero bianco e nero bianco e nero...come come i suoi pensieri come come i
suoi desideri come come le sue fotografie come ora le sue giornate che passava in
silenzio nella sua camera oscura sola lei voleva restare sola lei sola sempre nella sua
camera oscura lei sola senza più nessuno perché lei viveva solo quando era nella sua
camera oscura passarono i due minuti fece scivolare nel bagno d’arresto l’immagine di
sé per fermarne lo sviluppo la riprese ancora con le pinzette e l’adagiò dolcemente
nell’altra vaschetta dove c’era il fissaggio ancora due minuti e poi al lavaggio finale due
minuti ancora e poi l’acqua del lavaggio e dopo dopo sarebbe stata pronta seguiva tutto
scrupolosamente e si vedeva lei nella fotografia spaccata in tre parti davanti agli specchi
si vedeva era lei in tre parti si vedeva rotolare nell’acqua e dentro se stessa seguiva
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incessantemente il rotolare della sua
immagine nell’acqua nell’acqua che
scorreva come scorrevano sempre i suoi
pensieri ed era la sua immagine ed era
lei lei stessa che rotolava che affogava
in un vortice e nell’acqua il suo corpo
rotto frammentato in tre parti come ora
il suo io la sua anima grigio il suo corpo
come ora lo stavano diventando i suoi
capelli era lì lei con la sua immagine di
sé che rotolava e si sentiva soffocare
affogare in acque ora inesistenti il buio
la luce gialla non voleva anche se ora
poteva accendere la luce no lei voleva restare al buio voleva vedersi rotolare affogare
ancora e poi ancora nel vortice nel gorgo dell’acqua della sua immagine della sua vita
improvvisamente in un giro più lento vide che la bocca la sua bocca era aperta l’aveva
vista sì altre volte certo ma ora ora era diverso la sua bocca aperta forse voleva gridare
da una immagine il suo dolore ma sordo restava il
grido sordo le immagini parlano ma non emettono suoni il silenzio il rumore dell’acqua
e la sua bocca aperta e lei lo sentì salì improvvisamente dentro di lei e riempì la stanza
buia ed il grido si levò alto e rimbalzando sulle pareti bianche della sua camera oscura lo
sentì l’urlo e come palle di biliardo che improvvisamente sì scontrano sentì l’urlo
rimbalzare dalle pareti dai muri bianchi dentro di sé
vacillò le sue spalle larghe si fletterono
abbassandosi stanche e le gambe le tremarono vide
davanti ai suoi occhi mille stelline bianche ebbe
paura era buio c’era solo la luce gialla ed il nero che
era avanti a sé non era un cielo nero pieno di stelle
dove lei avrebbe potuto osservare vedere le stelle
vere no era sì nero ma le stelle non appartenevano al
cielo lei vacillava lei tremava e vedeva mille stelle
stelline bianche davanti a sé chiuse gli occhi li riaprì
decise si avvicinò alla vaschetta del rilevatore e la
trangugiò d’un fiato si sentì morire voleva morire
ma prima voleva tirare fuori di sé la sua vera
immagine l’acido il rivelatore ecco sì il rivelatore
avrebbe rivelato lei stessa lo stomaco e la gola
ardevano gli occhi le si annebbiarono la nausea
violenta l’assalì resistette non voleva vomitare ora
dopo il rivelatore doveva passare al fissaggio sì sì
doveva lei fissare ora il fissaggio ora che lei era lei
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doveva fissarsi così come nella fotografia come nel suo autoritratto sì ora si sentì
mancare ma riuscì anche se con fatica appoggiandosi al tavolo a sollevare la vaschetta
del fissaggio la portò fino alla bocca che bruciava ardeva tremando lo bevve non riuscì
nemmeno a pensare se lei sì lei si sarebbe fissata nella sua immagine reale che
stramazzò sul pavimento gelido della sua camera oscura la fotografia attraverso Io
specchio di sé continuava a girare incessantemente nell’acqua in un vortice senza fine.
1989
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