maggio-giugno - Il Nuovo Carte Bollate

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maggio-giugno - Il Nuovo Carte Bollate
carteBollate
il nuovo
maggio-giugno numero 3/2014
Periodico di informazione della II Casa di reclusione di Milano-Bollate
Dossier
misure alternative
Liberi ma non troppo
Parisi incontra Liberazione
carteBollate p. 4 anticipata
Non siamo a rischio
sovraffollamento
la Redazione
p. 6
Morire
di web
La Consulta
Nove adolescenti
faccia chiarezza
suicidi per minacce
di S. Nardi e P. Sorrentino di Paolo Sorrentino
p. 10
L'eroismo
dimenticato
p. 14
Quando gli albanesi
salvarono gli ebrei
di Qani Kelolli
marzo - aprile numero 3/2014
Sommario
Editoriale
Bollate
un progetto collettivo
Q
le pene alternative
Editoriale
Bollate, un progetto collettivo
Dossier
p. 3
Giustizia
Contro il sovraffollamento più misure alternative
La parola a Bollate in divisa
La Corte costituzionale faccia chiarezza Scontata la pena è ancora in carcere
4
6
6
7
Attualità
Guarire senza farmaci
8
Sfogliami come un libro
9
Pirati della strada: il carcere li può fermare?
9
Si suicidano nove adolescenti minacciati via web 10
Arriva anche da noi la moda degli speed drink 11
Anziana rapina una banca
11
Cultura
Proviamo a capire chi siamo
Luoghi e tempi della memoria
L'eroismo albanese contro la Shoah
12
13
14
Brasile: il calendario dei Mondiali 2014
16
Dall'interno
Arrivano gli Ueitings e la scena si infiamma
Laurearsi in carcere che senso ha?
8
2
carteBollate
Surrogato di libertà
19
Queste le misure alternative e i benefici previsti 20
Appena uscita mi tremavano le gambe
20
Libertà a tempo determinato 22
Il diritto di essere dimenticati dai media 22
Fuori per un giorno salva un infartuato 23
Ma la notte no 23
Un errore e sei dentro
24
Meglio la galera 25
Terapeutiche ma non sempre 26
Poesia
27
Dove ti porterei
Un museo all'aperto di antiche culture
18
18
16
28
Sport
Uno sport bestiale
Arrivano i mondiali tifoserie schierate
30
Questionario
31
Mai senza
32
28
30
30
Il nuovo carteBollate
via C. Belgioioso 120
20157 Milano
Redazione
Angelo Aquino
Maria Teresa Barboni
Debora Beolchi
Edgardo Bertulli
Fabio Biolcati
Carlo Bussetti
Nazareno Caporali
Elena Casula
Marina Cugnaschi
Giulia Fiori
Qani Kelolli
Mohamed Lamaani
Enrico Lazzara
Benedetto Marino
Rosario Mascari
Renato Mele
Santino Nardi
Federical Neeff
(art director)
Fabio Padalino
Silvia Palombi
Antonio Paolo
Diego Pirola
(impaginazione)
Roberto Pittana
Susanna Ripamonti
(direttrice
responsabile)
Luciano Rossetti
Paolo Sorrentino
Giuliano Voci
Domenico Vottari
Ha collaborato
a questo numero
Maddalena Capalbi
uando apro la cartella di carteBollate che conservo sulla mia chiavetta
usb, trovo in bella fila 39 cartelle in cui conservo gli articoli che ho scritto
per altrettanti numeri del giornale. Articoli che raccontano la storia di
quello che ho vissuto in questi anni, articoli che raccontano la storia e
le vicissitudini di questo istituto di pena tanto particolare. Bollate: l’hotel a 5 stelle delle carceri italiane. Il fiore all’occhiello dell’amministrazione penitenziaria; lo
specchietto per le allodole di un sistema ormai malato terminale vicino al collasso.
Arrivo in questo istituto di pena in un caldo mese di luglio del 2007 e da subito mi
rendo conto che sto respirando “aria nuova” rispetto agli altri istituti di pena di
cui sono stato ospite. Un po’ come tutti i compagni che arrivano a Bollate il primo
periodo di “adattamento” non è facilissimo: qui le regole sono diverse, non le regole
penitenziarie – che sono sempre dettate dall’ordinamento – ma quelle di vita e vivibilità. A Bollate non esiste un reparto “protetto” in senso stretto, isolato dagli altri.
Si convive tutti insieme, a prescindere dal reato che ciascuno di noi ha commesso e
spesso si identifica il “progetto Bollate” solo in questo.
In realtà il “progetto Bollate” non sono “celle aperte”, “convivenza con i protetti” o
benefit come l’avere un frigorifero, un computer o un ventilatore in cella; il Progetto
è ben altra cosa: è la volontà di costruire e condividere un modo di fare pena, che
porta sì ad avere le nostre stanze arredate in modo migliore e a essere liberi di
circolare nel reparto o per partecipare a una certa attività senza essere
accompagnati da agenti di polizia penitenziaria, ma è anche un progetto
Se volete continuare a sostenerci o volete
faticoso, che richiede l’impegno di tutti. Funziona se tutti, detenuti, opeincominciare ora, la donazione minima
ratori, poliziotti, accettano di mettersi in gioco.
annuale per ricevere a casa i 6 numeri
Il computer, il frigorifero e il ventilatore non sono stati calati dal cielo
del giornale è di 25 euro.
tanto per concedere qualcosa e tener buone le persone ristrette, sono il
Potete farla andando sul nostro sito www.
frutto di ragionamento, gestione degli sprechi e possibilità di crescita. Il
ilnuovocartebollate.org, cliccare su dofrigorifero è arrivato dopo aver presentato alla direzione il conto di quannazioni e seguire il percorso indicato.
ta acqua veniva sprecata (ma pagata dall’amministrazione) da ognuno
per tenere al fresco anche solo una bottiglia di thè. Il ventilatore aiuta
Oppure fate un bonifico intestato a
a far passare i mesi estivi e magari evita a qualcuno delle notti insonni
“Amici di carteBollate” su
dettate dal caldo portando benessere e quindi tranquillità; il computer
IT 22 C 03051 01617 000030130049
serve per studiare, lavorare, ma anche solo per distrarsi scrivendo a un
bic barcitmmbko
amico o giocando con un videogioco.
indicando il vostro indirizzo.
Quando le cose non vanno come devono si dice che è il marinaio che
In entrambi i casi mandate una mail
fa il porto. Se ripercorro i giornali di questi anni e cerco gli articoli su
a [email protected]
questo argomento o anche solo partecipo a una delle riunioni dei delegati
indicando nome cognome e indirizzo
di piano, le problematiche di base sono un po’ sempre le stesse: la poca
a cui inviare il giornale.
informazione e la difficoltà di coinvolgimento di ciascuno in un progetto
che coinvolge tutti.
Se leggo gli appunti delle riunioni che facevamo al terzo reparto nel 2007
o nel 2008 e li ripropongo oggi, molte richieste e altrettante argomentazioni sono
assolutamente identiche.
Nel 2007 si andava a colloquio molto velocemente. Le vivande che i nostri familiari
ci portavano entravano praticamente tutte. Poi all’interno di qualcosa preparato
da qualche familiare è stata trovata della droga e allora abbiamo perso il gusto del
ricordo delle lasagne o della parmigiana fatte da mamma. Ci lamentavamo anche
sulle pagine di carteBollate di questo: non era giusto che per colpa di qualcuno,
tutti fossimo puniti, ma la condivisione delle responsabilità passa anche da qui.
Certo, riuscire a portare avanti una progettazione ambiziosa come quella di Bollate
non è facile. Difenderla è un impegno collettivo.
Enrico Lazzara
Registrazione Tribunale
di Milano
.
[email protected] - www.ilnuovocartebollate.org
n. 862 del 13/11/2005
Questo numero del
Nuovo carteBollate
è stato chiuso
in redazione alle ore 18
del 9/5/2014
Stampato da
Zerografica
carteBollate
3
Giustizia
FORUM – Incontro tra la redazione e il direttore Massimo Parisi
Contro il sovraffollamento più
L
a redazione di carteBollate ha organizzato un incontro con Massimo Parisi, direttore della II Casa
di reclusione di Milano. Questo il testo della discussione che si è svoltra in redazione.
Dottor Parisi, Bollate è a rischio sovraffollamento? Sappiamo che sono in arrivo parecchi nuovi ospiti e sono
già in corso i lavori per aumentare i posti letto…
Partiamo dai numeri, sono sicuramente sovradimensionati
e allarmanti quelli circolati. È vero che abbiamo ricevuto
un imput dall’Amministrazione penitenziaria per aumentare le capienze, legato alla sentenza Torreggiani e alla necessità, come ci chiede Strasburgo, di garantire, in tutte le
carceri italiane, le metrature regolamentari che deve avere
ogni detenuto. Non potevano sottrarci e non condividere gli
sforzi degli altri istituti, siamo parte del sistema. Ma vogliamo sfruttare anche questa circostanza per fare un passo
avanti: la nostra strategia sarà quella di spostare il più possibile l’esecuzione penale all'esterno, aumentando il ricorso
a misure alternative, semilibertà e lavoro esterno, questa
è la linea.
Quindi come si trasformeranno i reparti e come verranno ricavati i nuovi posti letto?
Ora siamo 1240, l’afflusso si è registrato soprattutto al 7°
reparto. Per il resto le trasformazioni maggiori riguardano
il 5° reparto, dove non ci saranno più camere singole ma
solo doppie. È un reparto che ospita solo persone in articolo 21, e dunque ammesse al lavoro esterno, che hanno già
spazi di libertà perché escono durante il giorno e abbiamo
ritenuto di poter fare questa scelta. Al 5° ora sono in 140 e
trasferiremo in quel reparto tutti quelli che sono in articolo
21 in modo continuativo.
E gli altri reparti?
Il 2° e il 4° resteranno invariati mentre avremo un aumento
di 28 detenuti al 1° e 3° reparto e di 30 al 7°. Al 1° e al 3° resteranno solo tre camere singole, erano 10 per piano. Le altre sette diventeranno doppie. Al 7° è possibile un aumento
potenziale fino a 430 persone, mentre al 6°, ora inutilizzato,
è prevista la creazione di un reparto per la semilibertà, da
usare con metodi nuovi, i detenuti avranno la chiave della
propria stanza, è un caso unico in Italia.
I nuovi arrivati normalmente fanno un po’ fatica a capire la filosofia di Bollate, ma arrivando un po’ alla
volta e generalmente per scelta, imparano in fretta.
Qui si prevedono più di 200 nuovi ingressi, non sarà
facile…
La nostra preoccupazione è proprio questa: chi sta arrivando non è stato selezionato e non ha chiesto di venire a Bollate. Questo criterio che ci ha caratterizzato in passato non
è stato mantenuto, quindi c’è preoccupazione per l'impatto
con questo tipo di regime. Su questo abbiamo bisogno della
vostra collaborazione. È anche vero che Bollate deve diven4
carteBollate
tare sistema, ovvero modalità di gestione della pena e che
tutti i detenuti devono avere la possibilità di un percorso
detentivo di questo tipo. Anche per questo si è deciso che in
generale, nelle case di reclusione, debbano esserci solo persone con più di cinque anni pena, perché abbiano il tempo
per definire un percorso.
La legge Finocchiaro prevede che le detenute madri
scontino la pena in apposite strutture, gli Icam, ma qui
a Bollate si sta facendo un reparto che ospiterà invece
donne con figli piccoli. Perché?
Il progetto va avanti perché c'è l’esigenza di un reparto con
asilo-nido per soggetti non adatti agli Icam, che sono strutture a custodia attenuata. Questa sezione detentiva però,
avrà una struttura tipo Icam, si creeranno spazi verdi per i
bambini e in generale per tutto il reparto femminile.
misure alternative
E per quanto riguarda il personale?
Non è previsto un aumento della polizia penitenziaria. Abbiamo 430 poliziotti e stiamo cercando di fare di necessità
virtù usando le risorse che abbiamo, razionalizzando l’uso
del personale che però, sicuramente è sotto organico al femminile. Abbiamo invece chiesto più educatori avendo più detenuti, perché aumentano le esigenze di osservazione e di
redazione delle sintesi.
Come viene fatta la formazione della polizia penitenziaria?
Seguo la formazione della polizia penitenziaria e posso affermare che le nuove leve hanno una preparazione in sintonia
con Bollate e con i concetti di sorveglianza dinamica e responsabilizzazione del detenuto.
Già adesso il lavoro scarseggia, aumentando i numeri
sarà sempre più difficile dare a tutti opportunità occupazionali…
Sappiamo che al Ser.t non aumenterà il personale e se
non aumentano gli educatori i tempi per la chiusura
delle relazioni di sintesi saranno più lunghi.
Per noi si alza l’asticella perché dobbiamo garantire un’offerta trattamentale più ampia. Troviamo più difficoltà sul
dentro che sul fuori. La linea per noi è mettere al centro la
possibilità di uscire in articolo 21 e implementare le attività
lavorative all'interno, con un uso più adeguato degli spazi.
Si lavora sul progetto di una lavanderia che occupi più detenuti e sono al vaglio altre offerte lavorative. Ad esempio
un polo produttivo per lo smaltimento elettronico dei rifiuti
che occuperebbe 50 persone. E poi un maggiore utilizzo
della semilibertà.
Nel 2013 si sono fatte 608 relazioni di sintesi e 138 programmi terapeutici, e non è poco. Sicuramente è previsto un aumento degli psicologi, soprattutto al 7°reparto. Cerchiamo
una maggiore collaborazione con la magistratura di sorveglianza anche per capire se il nostro metodo va bene o se va
verificato e chiediamo un maggiore coinvolgimento dei volontari anche per migliorare la conoscenza dei detenuti che
partecipano alle varie attività e avere un ulteriore contributo
per la stesura delle sintesi. Stiamo anche cercando di aprire
un nuovo canale di dialogo tra detenuti e magistrati, creando
la possibilità di colloqui in videoconferenza.
Sempre a proposito di occupazione, bandi delle aziende che operano qui a Bollate penalizzano i più anziani
che sono sempre esclusi a priori…
Questi criteri non accontentano nessuno se non quelli che
lavorano. Al nostro interno abbiamo le stesse difficoltà che
esistono all’esterno e questo indubbiamente è un problema.
Quali sono i criteri di selezione delle aziende e quali
tutele hanno i lavoratori se per esempio, come già è
successo, le aziende non pagano?
Per i criteri di scelta delle aziende riceviamo e vagliamo
diverse proposte, facciamo accertamenti sugli imprenditori e sulla storia che hanno alle spalle, è sempre un rischio
anche per noi. Presi dalla voglia di aumentare i posti di lavoro ovviamente possiamo sbagliare. C’è un’educatrice, la
dottoressa Gallo, che si occupa dei rapporti con le aziende,
ma non date per scontato che noi sappiamo tutto, se ci sono
anomalie segnalatele. Controlliamo i contratti di lavoro e se
non sono affidabili risolviamo le convenzioni, ma per valutare se le aziende sono idonee usiamo parametri oggettivi, i
dati della Camera di commercio, ma possiamo anche prenderci grosse fregature alle quali poi dobbiamo rimediare,
per un errore che, anche se indiretto, è sempre nostro.
Cosa si prevede per scuola e formazione?
Non sono preoccupato per queste attività, si possono arricchire. È prevista un’implementazione dei percorsi universitari, ci
stiamo attivando per migliorare il collegamento con l’università
della Bicocca, ma anche per aprire la possibilità di uscire in articolo 21 per frequentare i corsi universitari. Così pure per le
attività ricreative e culturali: l’offerta supera la domanda. Quello che mi preoccupa di più è l’attività lavorativa interna, so che
ci sono lamentele per le retribuzioni, per la qualità del lavoro,
problemi che in alcuni casi esistono realmente. La Regione ha
stanziato dei fondi per formazione e lavoro e per l’accompagnamento all’esterno e questa è una risorsa importante.
Come viene applicata la nuova legge per la liberazione
anticipata speciale? Le domande per chi è in regime di
4 bis sono bloccate…
Abbiamo fatto una riunione con la magistratura di sorveglianza che ha deciso di non scorporare il 4 bis dagli altri
reati, per chi ha queste restrizioni non è applicabile la nuova
norma che prolunga a 75 giorni la liberazione anticipata. Lo
Sportello giuridico ha inoltrato dei ricorsi su questa interpretazione. Su tutto si può discutere ma questo è l'orientamento
del tribunale di Milano.
Perché la magistratura non si attiva sulle espulsioni
dei detenuti stranieri?
Lo stiamo facendo noi collaborando con le Questure per
fare in carcere l’identificazione ed evitare che uno straniero, che deve essere rimpatriato dopo il carcere, venga prelevato all’uscita e mandato nei Cie.
Pensa che riusciremo a evitare le sanzioni previste
dalla Corte Europea, senza ricorrere a un’amnistia o
all’indulto?
Vedremo gli esiti delle attività messe in campo, il Dap fa
sforzi pazzeschi per affrontare la situazione, ma non mi
pare che si parli di amnistia e di indulto. In Lombardia
la situazione più critica credo sia quella di San Vittore,
per il resto si è raggiunta la capienza regolamentare, ma il
problema non è solo il sovraffollamento, il punto vero è la
gestione della vita all’interno delle carceri. Noi cerchiamo
di non venire mai a meno del patto di responsabilità fatto
con voi.
Perché il modello Bollate è così difficile da esportare
anche altrove?
Altre realtà ci stanno provando, la cosa importante è che
l’amministrazione ha detto agli istituti con sezioni di media sicurezza che questo sistema va adottato e non rimesso
all’iniziativa del singolo direttore, questa è una direttiva
del Dap. Qui, a Bollate, parliamo di un carcere che è nato
con questa vocazione, altrove ci sono anche resistenze culturali da superare. Questo nuovo orientamento del Dap è
una novità importante, si lavora molto per la formazione
del personale ed è tutto un martellare in questa direzione,
ma è necessaria la collaborazione attiva e responsabile dei
detenuti, perché se si verificano eventi critici si regredisce.
Adesso anche a Monza ci sono sezioni aperte. A Pavia si
sono creati i rappresentanti di reparto, come qui da noi.
È un cambiamento che dobbiamo fare noi, ma anche voi.
Se un detenuto arriva qui, e non è abituato a vivere questo modo di scontare la pena, bisogna aiutarlo a cambiare
atteggiamento, ma per questo è necessaria la vostra collaborazione.
Un ultima domanda, abbiamo dedicato un numero di
carteBollate a Internet, chiedendo a magistrati e addetti ai lavori se è ipotizzabile un uso controllato di Internet in carcere. Lei cosa ne pensa?
In termini teorici tra vent'anni magari lo avranno tutti, in
carcere il progresso tecnologico è molto più lento. Guardiamo per esempio il cellulare, adesso è consentito a chi
esce in permesso o a chi lavora all’esterno. Come pure per
le telefonate a casa adesso è consentito chiamare anche sui
cellulari, ma quanto tempo ci è voluto per arrivare a questo
traguardo? Internet è un’ipotesi fattibile, pensiamo a impostare un percorso verificando quali problemi di sicurezza si
pongono e ragioniamoci sopra.
la Redazione
carteBollate
5
Giustizia
POLIZIA PENITENZIARIA – Intervista alla comandante Denti e all'ispettore Sclafani
La parola a Bollate in divisa
C
arteBollate è stato sempre attento non solo ai problemi dei
detenuti, ma anche al lavoro
della polizia penitenziaria e
vedendo con quale impegno e fatica il reparto femminile viene gestito, ci è sembrato utile parlarne con chi coordina gli
agenti di polizia in quest’ala del carcere,
l’ispettore Sclafani.
Ispettore, quali sono i problemi gestionali che lei si trova ad affrontare, in
un reparto femminile, dal quale, molti prima di lei, sono andati via?
Le dico subito che il problema sta solo
nella mutevole natura femminile, sia
che si tratti di detenute che di agenti.
La gestione è giocoforza cambiata proprio perché è cambiata la tipologia delle
detenute; quando fu aperto il reparto, si
era deciso di selezionare coloro che lo
avrebbero “abitato”. Ora non è più così.
In qualche modo, col passare degli anni,
la situazione sembra sfuggita di mano e
ora non si attua alcuna selezione.
Da cosa dipende?
Probabilmente dalla necessità di nuovi
posti e anche dalla scelta di offrire a un
maggior numero di detenute l’opportunità di scontare la pena in un carcere come
questo.
Cosa pensa delle donne e del loro
modo di vivere il carcere?
Delle donne penso tutto il bene possibile, ma in un contesto carcerario tendono ad attirare del pietismo forse perché,
per loro natura, a differenza dei maschi,
hanno più difficoltà ad accettare la carcerazione.
Come riesce a gestire un reparto così
complesso?
Talvolta un capo reparto è portato a
prendere delle decisioni, sia riguardo
alle detenute sia nei confronti delle stesse agenti, e non è cosa facile, spesso siamo sommersi dalle critiche ma, ripeto, a
volte non si può scendere a compromessi,
e si decide per tutti.
L’ultima domanda: la carenza di
agenti, e non solo al femminile, come
viene affrontata?
Questo è un problema non da poco, le
agenti fanno i salti mortali per gestire
i turni, ma è chiaro che questo porta a
uno stress continuo, che inevitabilmente
liberazione anticipata – Applicazione diseguale della norma per chi ha il 4bis
La Corte costituzionale faccia chiarezza
A
l Senato della Repubblica è
stato convertito in legge il
cosiddetto decreto “Svuota
Carceri” recante misure urgenti in tema dei diritti fondamentali
dei detenuti e di riduzione controllata
della popolazione carceraria.
Il decreto prevedeva una misura particolarmente controversa, la liberazione
anticipata speciale, che portava da 45 a
75 giorni al semestre lo sconto di pena
per i detenuti che avessero dato prova
di un percorso di cambiamento. Unica
limitazione, la misura doveva essere
valutata dal magistrato di sorveglianza
per i detenuti con reati ostativi, in regime di 4bis. Con la conversione in legge
invece, quest’ultima norma è saltata
escludendo dal beneficio i detenuti con
il 4bis.
Altro aspetto sicuramente di rilievo
nella disciplina della nuova liberazione
anticipata speciale è il suo carattere
retroattivo, finalizzato ad accrescerne
la portata deflattiva: la legge stabilisce
infatti, che la maggiore detrazione si
applica a partire dai semestri di pena
in corso di espiazione alla data del 1°
gennaio 2010, data che sostanzialmente coincide con la dichiarazione dello
“stato di emergenza” carceraria.
Questo cambio di rotta ha creato una
disparità di trattamento tra coloro che
6
carteBollate
avevano presentato la richiesta di liberazione anticipata quando era in vigore il decreto e quelli che, pur avendola
presentata nello stesso periodo, non
avevano ancora ricevuto risposta. Ne
consegue che a partire dal 21 febbraio,
data di entrata in vigore della legge di
conversione del decreto, tutti i compagni appartenenti al regime del 4bis non
potranno beneficiare della liberazione
anticipata speciale. Si era sperato che
chi aveva presentato la domanda nel
periodo di “vacatio legis” potesse usufruirne. Speranza miseramente delusa visto che stanno arrivando rigetti a
pioggia da tutti i magistrati di sorveglianza del tribunale di Milano.
Ora si cercherà, o meglio lo Sportello
Giuridico lo sta già facendo, di inoltrare
tutti i ricorsi possibili al fine di ottenere
la modifica di questa situazione. La materia è complessa è vero, e si presta a
diverse interpretazioni, ma i ricorsi tenderanno a far rilevare questa disparità
di trattamento, nella speranza che, alla
fine, un pronunciamento della Suprema Corte ristabilisca un’uguaglianza di
trattamento.
Ora la situazione è la seguente: chi è
stato fortunato perché ha ottenuto la
liberazione anticipata speciale nel periodo in cui era in vigore il decreto si
è visto accorciare la pena, indipenden-
temente dal tipo di reato commesso,
mentre altri, nella stessa situazione,
dopo la conversione in legge del decreto sono rimasti esclusi. Ma c’è un’ulteriore differenza di trattamento: questa
interpretazione è quella adottata dalla
magistratura di sorveglianza di Milano,
mentre in altre regioni si sono adottati
criteri meno restrittivi.
L’11 aprile scorso, il giudice di sorveglianza Guido Brambilla, invitato nel
nostro istituto dal gruppo Incontri e
Presenze, rispondendo ad alcune domande, ha detto che il tribunale di sorveglianza di Milano è genericamente
indirizzato nel non concedere i 30 giorni in più per il beneficio della liberazione anticipata, secondo la nuova legge
del 21 febbraio, ai detenuti aventi come
aggravante il 4bis, compresi quelli che
ne avevano fatto richiesta prima che il
decreto fosse convertito in legge. Ha altresì esposto che il problema non trova
consenso unanime nel palazzo di giustizia milanese e che quindi i giudici di
sorveglianza preposti si trovano in una
situazione non proprio chiara sommersi, oltretutto, da svariate domande di
liberazione anticipata. Il giudice Brambilla si aspetta una decisione precisa
dalla Corte costituzionale in merito,
per poter avere una linea omogenea.
Santino Nardi e Paolo Sorrentino
si ripercuote anche sulle detenute, ma
attenzione, perché capita anche il contrario, ergo non sempre la colpa è di chi
gestisce!
Dopo aver sentito il capo reparto del femminile, ci è sembrato opportuno allargare il discorso non solo alla “Staccata”, ma
a tutta la struttura carceraria, perciò, abbiamo fatto qualche domanda alla nuova
comandante, la dottoressa Denti.
Dottoressa, intanto vorremmo sapere
cosa si aspettava di trovare venendo
qui a Bollate?
A dire il vero non mi aspettavo un luogo
così superiore alle mie attese, ho trovato
un ambiente lavorativo sereno e del personale coeso ed efficiente, che crede in
ciò che fa, e lo fa al meglio.
Ha trovato a Bollate delle differenze
strutturali e gestionali rispetto alle
sue precedenti esperienze lavorative?
Io vengo da Monza e Cremona e sicuramente Bollate è il fiore all’occhiello del
sistema carcerario della Lombardia e,
penso, d’Italia; ho trovato un sistema
trattamentale più elevato, che mira soprattutto alla rieducazione e al reinserimento sociale di ogni detenuto preso
nella sua singolarità. Per quanto riguarda la gestione, la trovo piena di momenti
lavorativi di grande efficienza e direi che
le criticità sono poche.
Dottoressa, una volta Bollate era ben
lontano dal problema del sovraffollamento, che affligge tutte le carceri italiane, adesso anche qui è previsto un
aumento consistente della popolazione detenuta, cosa pensate di fare?
Abbiamo in programma un adeguato
ampliamento delle infrastrutture intramurarie, per esempio, in alcuni reparti
le celle singole, diventeranno doppie, là
dove ciò sarà possibile, verrà aperto il sesto reparto, oggi inutilizzato, ma soprattutto si punta molto al lavoro esterno e a
un aumento delle attività.
Come credete di affrontare il proble-
“
ma decisamente preoccupante della
mancanza di personale, che alla fine
grava anche sugli stessi detenuti?
Non è per ora prevista l’assunzione di
nuovi agenti, anche se si cerca di ridurre
il carico lavorativo con turni meno pesanti, ma mi rendo conto che il problema
è serio.
Ultima domanda, lei saprà senz’altro
che il femminile è, giocoforza, tagliato
fuori dal maschile, che offre ai detenuti molte più opportunità sia lavorative che cognitive, e parliamo di
scuola, corsi di formazione professionale, lavori più professionalizzanti.
Lei cosa pensa del fatto che le donne
di Bollate non possono accedere a
mansioni che potrebbero davvero fare
la differenza?
Abbiamo in cantiere un incremento delle
attività, e la creazione di alternative valide, affinché anche il femminile si senta
parte integrante di questa struttura.
Elena Casula
burocrazia – Un processo più lento della condanna già espiata
Scontata la pena, è ancora in carcere
L
a situazione delle carceri in Italia
è ormai al tracollo, l’ultimatum
per ridurre il sovraffollamento da
parte della Comunità europea è
scaduto ma restiamo comunque oltre
60.000 persone detenute negli spazi in cui dovremmo essere in meno di
45.000.
E tra di noi c’è anche qualcuno che non
dovrebbe esserci più. E non dovrebbe
esserci più perché ha finito di scontare
la sua pena nel mese di agosto 2013 ma
siccome la sentenza che lo tiene in carcere non è ancora definitiva, in carcere
rimane.
Legge che fai escamotage che trovi
per bypassarla, o per leggerla in modo
diverso. La legge è uguale per tutti
ma non tutti sono uguali per la legge.
Questi luoghi comuni non sono poi così
fuori luogo quando ci troviamo davanti
a situazioni come quella che coinvolge
Maria (nome di fantasia), una ragazza
ristretta a Bollate che, appunto, avrebbe dovuto finire la sua carcerazione lo
scorso mese di agosto.
Ma veniamo ai fatti. Maria entra in
carcere nel 2007, per una prima ordinanza di custodia cautelare su un primo procedimento che diventa definitivo e finisce di scontare la sua pena il
27.12.2011.
In questo periodo di pena sofferta bene-
L’ultimatum della
Comunità euro-
pea per ridurre il sovraffollamento delle carceri
è scaduto ma restiamo
oltre
60.000
persone
detenute negli spazi in
cui dovremmo essere in
meno di 45.000.
ficia di uno sconto di pena di 360 giorni
per effetto della liberazione anticipata.
Mentre è in carcere per questo primo
procedimento le arriva un nuovo mandato di cattura per il quale viene applicata la custodia cautelare. In questo secondo procedimento viene condannata
e la Corte di Appello di Napoli applica
la disciplina del reato continuato unificando le due sentenze e le commina
una condanna complessiva ad anni 6 e
mesi 8 di reclusione.
Il fine pena viene fissato quindi al
27.08.2013, ma arrivata anche questa
scadenza lei resta in carcere in quanto
il Procuratore generale della Repubblica ricorre in Cassazione e dunque la
condanna non è definitiva.
Inutili sono stati i ricorsi sul rigetto di
revoca della custodia cautelare fatti al
Tribunale del riesame e quello in Cassazione motivati con l’erronea applicazione della norma.
Il Codice di procedura penale recita
all’articolo 300 comma 4: “La custodia
cautelare perde altresì efficacia quando
è pronunciata sentenza di condanna,
ancorché sottoposta a impugnazione,
se la durata della custodia già subita non è inferiore all'entità della pena
comminata” ma la Corte di Appello di
Napoli motiva i rigetti dicendo che “non
si può tenere conto del periodo di pena
espiato in forza della prima sentenza di
condanna”, pertanto i conteggi che fanno partono dal 28 dicembre 2011 e non
dalla data iniziale (22.12.2007). Morale, la somma delle due sentenze vale
per il computo della condanna, ma non
per l’entità della pena espiata.
È palese che Maria avrebbe dovuto essere scarcerata, ma il luogo comune “la
legge è uguale per tutti ma non tutti
sono uguali per la legge” porta qui un
esempio lampante.
Enrico Lazzara
carteBollate
7
Attualità
AUTOTERAPIA - Anche in Italia aumenta la fiducia nelle medicine alternative
Guarire senza farmaci
A
nche in Italia stanno aumentando le persone che si rivolgono, quando le patologie non
sono gravi, a rimedi non chimici. Guarire senza farmaci, sfruttando
le potenzialità del nostro organismo, in
particolare del cervello. Le medicine
complementari hanno a che fare con
l’autocura, agiscono anche attraverso la
psiche, stimolando i pazienti a uno stile
di vita più salutare. Omeopatia, fitoterapia e agopuntura sono i rimedi che
molti scelgono per curarsi. La fitoterapia punta sui principi attivi delle erbe
e l’agopuntura stimola zone dell’organismo attraverso gli aghi. Non si tratta di
pratiche magiche che richiedono fede
e fiducia per una buona riuscita della
cura, semplicemente si tratta di medi-
cine "altre" comunemente praticate in
Paesi con una diversa cultura medica:
600 milioni di cinesi si curano con l'agopuntura e le erbe contengono principi
attivi che si trovano anche in farmaci
di uso corrente. Crescono anche i metodi complementari che fanno leva sulla
fiducia della gente. Fabrizio Benedetti
di Torino è il più importante studioso
italiano del placebo e ritiene che a volte una pasticca di zucchero sia efficace
più delle stesse medicine: “ci sono studi
che dimostrano come il 75% dell’effetto
antidepressivo deriva da questo fattore.
Ma le percentuali di efficacia sono alte
anche se viene confrontato a medicinali per il dolore, per i disordini del movimento, per il morbo di Parkinson e per
i problemi del sistema immunitario ed
endocrino. Il placebo è un meccanismo
psicologico e sociale, nel senso che è
richiesta l’interazione con un terapeuta. L’aspettativa di un beneficio mette
il cervello in un determinato stato, inibisce il dolore, migliora la performance
motoria. Per certi versi si tratta di un
inganno per far agire i neuroni”.
8
carteBollate
L’effetto placebo è quindi una conseguenza del fatto che il paziente, specie
se favorevolmente condizionato dai benefici di un trattamento precedente, si
aspetta o crede che la terapia funzioni,
indipendentemente dalla sua efficacia
specifica. Due discipline che richiedono un ruolo attivo delle persone sono la
meditazione e il neurofeedback.
La meditazione permette di agire sul
cervello per controllare le emozioni,
riduce lo stress e l’ansia, i dolori cronici, stimola il sistema immunitario. Lo
psichiatra bolognese Alberto Chiara in
un'intervista su Repubblica dichiara: ”si
è visto che otto settimane di meditazione riducono l’attivazione di una parte
del cervello che risponde perfettamente agli stimoli di rabbia, paura, ansia,
desiderio incontrollato. Inoltre sviluppa
l’attività della corteccia prefrontale, deputata alla gestione in tempo reale delle emozioni. Questa pratica aiuta anche
contro la dipendenza”.
La neurofeedback si usa nell'epilessia,
nei disturbi da deficit dell’attenzione e
stimola il sistema immunitario. È una
tecnica non invasiva che si propone di
intervenire a livello neurocognitivo,
per la terapia di patologie come deficit d'attenzione e iperattività o contro
l'emicrania. Il computer elabora le informazione dall’elettroencefalogramma
fornendo un “feedback” in tempo reale
dei suoi processi elettroneurofisiologici.
Ad esempio, con un suono si può rinforzare il soggetto positivamente. Una
tecnica consiste nel mettere il soggetto
davanti a uno schermo dove viene proiettato un oggetto che si sposta davanti
ai segnali del suo encefalogramma. Lo
“specchio” in pratica insegna al paziente a intervenire sul suo cervello. La
professoressa di psicologia di Padova,
Daniela Palomba, dice: “È un po’ come
imparare a camminare: la persona deve
cavarsela da sola e capire come agire
sulle varie fasi encefalografiche, quella
rilassata, quella vigile e così via”.
Importante è l’attività fisica che, usata
in modo costante, è una buona terapia
per malati cronici, anziani, fumatori
con insufficienza respiratoria e contro
gli sbalzi di umore. È un modo per noi
detenuti per mantenerci in forma e scaricare tensioni e nervosismo e inoltre
mantenere una buona circolazione sanguigna.
Non va assolutamente trascurata l’alimentazione. È importante sapere che
alcuni cibi
come pesce, broccoli, frutta
secca, vino
rosso, succo di melograno, curcuma (o
zafferano delle Indie) ginkgo biloba (la
parte interna legnosa dei semi viene
utilizzata come cibo prelibato in Asia
e fa parte della tradizione culinaria
cinese), in Giappone i semi di ginkgo
vengono aggiunti a molti piatti e utilizzati come contorno, le bacche di iperico (che ha un'efficacia paragonabile
ad alcuni psicofarmaci nella cura della
depressione lieve e moderata. A volte è
utilizzato, associato ad altri prodotti,
anche per il trattamento fitoterapico di
alcune forme d'ansia), sono considerate
terapeutiche.
Una giusta nutrizione fornisce i giusti composti necessari a sostenere il
metabolismo e quindi la vita. La dieta
umana dipende molto dalla cultura e
dall'ambiente di ogni popolazione.
Un'alimentazione sana è quella che
fornisce la quantità di nutrienti che
corrisponde al fabbisogno di ciascuno.
La nutrizione, come tutte le scienze, è
in continua evoluzione e l'acquisizione
di nuovi dati e nuovi studi fa sì che le
raccomandazioni per una dieta corretta vengano periodicamente aggiornate
in funzione delle nuove conoscenze. La
dieta può rivestire un fattore importante nella prevenzione di alcune patologie, anche tenendo conto del considerevole innalzamento della soglia
di longevità nelle società moderne che
porta alla luce effetti a lungo termine,
oltre ai dati relativi alle più note malattie da carenza.
Paolo Sorrentino
progetto - Il carcere raccontato in biblioteca da chi lo vive
Sfogliami come un libro
O
ltre il muro è un’iniziativa
promossa dal settore Biblioteche del Comune di Milano,
che realizzerà due eventi di
Biblioteca vivente: il primo presso la Biblioteca del parco (previsto per giugno),
il secondo presso la Casa di reclusione
di Bollate (previsto per novembre). Protagonisti degli eventi saranno i detenuti
che accetteranno di mettersi in gioco
e diventare “libri umani” che portano
all’esterno la loro storia raccontandola
mentre si relazionano con il pubblico.
Si tratta dunque di affrontare il tema
della reclusione, partendo dall’ascolto di
chi vive gli istituti di pena, valorizzando il ruolo di aggregazione e mediazione
sociale della biblioteca. Il progetto prevede il reclutamento e la formazione
dei potenziali libri umani all’interno
del carcere, incontri di valutazione e
pubblicazione di un testo di racconto
dell’esperienza. Per questo verranno
avviati due laboratori contemporaneamente a Bollate e in Biblioteca. L’attività prende spunto da semplici componimenti poetici infantili che ruotano
intorno ad alcuni temi essenziali legati
all’identità e all’immaginazione (sogni,
desideri, paure, bugie, trasformazioni,
viaggi…). I partecipanti saranno invitati a scrivere su questi temi le loro
parole-chiave e le loro associazioni
d’idee. Queste prime tracce saranno
poi scambiate all’interno di ogni gruppo, per essere elaborate e sviluppate
dagli altri partecipanti, e tra un gruppo
e l’altro (detenuti e utenti) in modo che
gli scritti finali siano frutto di un dialogo di idee che avviene tramite la carta.
Per dare visibilità a questi laboratori,
gli scritti conclusivi saranno elaborati
graficamente e pittoricamente in piccole opere di ‘poesia visiva’ con le quali
sarà allestita una mostra itinerante.
Human Library (Biblioteca Vivente)
nasce in Danimarca negli anni Ottanta
come un metodo innovativo per promuovere il dialogo, ridurre i pregiudizi
e favorire la comprensione.
Santino Nardi
norme - La reclusione non può essere la risposta a tutti i problemi
Pirati della strada:
il carcere li può fermare?
C
irca un anno fa, nel mese di
maggio, tutti i telegiornali riportarono la notizia che la
quindicenne Beatrice Papetti,
che si trovava per strada con la sua bicicletta a Gorgonzola, nell’hinterland milanese, fu travolta da un’auto alla guida
della quale c’era un giovane marocchino.
Soccorsa immediatamente proprio dal
padre che - tremenda ironia della sorte,
era in servizio quel giorno con le ambulanze della Croce Rossa - ne constatò il
decesso. C’è da dire che, ormai è diventata una moda, il conducente dell’auto è
scappato via senza soccorrere la vittima.
Dopo una settimana, su insistenza del
suo imam, il giovane decide di costituirsi presso la caserma dei carabinieri del
posto. Il pirata della strada è stato condannato a tre anni e quattro mesi, che sta
scontando agli arresti domiciliari.
Visto che non esiste ancora il reato stradale, il giovane potrà chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali, in alternativa al carcere.
Si è chiuso così in primo grado il processo
e naturalmente il papà della povera Beatrice ha commentato così la sentenza: “La
pena non è giusta, ma questa è la legge
italiana”.
Probabilmente questo padre provato e
sconvolto da un’immane tragedia non
si dà pace, soprattutto perché non vede
nella giustizia italiana un valido supporto
che lo aiuti, con una condanna esemplare, a farsi una ragione dell’accaduto.
È però ovvio che, talvolta, ci si mette
nella condizione di voler vendetta, non
giustizia, su questo ci sarebbe molto da
discutere, forse non per questo caso specifico, ma a onor del vero spesso è così.
“
prudenza a chi con una guida spericolate mette a rischio l'incolumità degli altri,
ma non si può nemmeno pensare che il
carcere sia la risposta a tutti i problemi.
Esistono le sanzioni pecuniarie, il ritiro
della patente, i lavori socialmente utili, i
risarcimenti alle vittime. L' importante è
lavorare su chi commette un reato, prima
ancora di dire che la giustizia è malata.
Teresa Barboni
Il reato stradale può essere un
deterrente... ma non si
può pensare che il carcere sia la risposta a tutti i problemi.
Noi, come redazione, possiamo metterci
nei panni di chi subisce un grave torto,
ma dobbiamo vedere i fatti con chiarezza
e razionalità.
Il reato stradale può sicuramente essere un deterrente e suggerire maggiore
carteBollate
9
Attualità
INTERNET - Bullismo informatico
Si suicidano nove adolescenti
minacciati via web
D
al confronto di idee allo scambio di insulti. Dalla polemica
civile al pestaggio mediatico.
Il web predetermina il dialogo,
le sue forme, i toni, ma favorisce anche
l’aumento dell’aggressività. A differenza del dialogo che avviene fra persone
in carne e ossa, sul web si perdono i freni inibitori, la rete trasforma il dialogo
in un monologo come in un videogioco,
sei tu col “nemico” che non conosci, da
cui hai in differita le risposte.
Ogni giorno nuova spazzatura si abbatte sulle istituzioni e sulle donne via
web. “Un attacco eversivo, uno schifo
uscito dalle pagine della rete”, “uno stupro mediatico”, “una lapidazione”, così
si legge in riferimento alla campagna
d’odio scatenata tempo fa
contro Laura Boldrini sul
web dalle truppe grilline:
è un esempio di come la
rete si possa trasformare
in una macchina di stalking colpendo soprattutto donne, non risparmiando ragazzi, ragazze
e bambine. Internet è,
purtroppo, anche un
conduttore di linciaggio
mediatico, violento e sessista. Non ha importanza
né l’età né ciò che fai o
chi sei, un profilo femminile scatena la molestia
sessuale e la violenza.
Più cresce il popolo del
web più diventa aggressivo: “Ti aspetterò sotto casa e ti violenterò. E ora che lo sai come ti senti?”,
è uno dei tanti messaggi ricevuti da una
ragazza. Lei ha reagito denunciando.
Una ragazzina è stata adescata da un
ragazzo che le ha chiesto di mostrare
il petto nudo in cambio della ricarica di
crediti di un portale web. Lei pensava
di chattare con una ragazza come lei,
dopo però, è arrivato il ricatto: ”se non
fai altro, metto le tue immagini su internet”. Fortunatamente la ragazzina si
è rivolta alla madre che si è sostituita
alla figlia al computer e con l’aiuto della
polizia ha incastrato il ricattatore pornografo.
Dopo mesi di minacce su Internet viene
picchiato dagli amici della sua ex. Uno
studente di 17 anni di Bologna, tra un
10
carteBollate
pestaggio e l’altro, viene coperto da minacce dal branco sul sito Ask.fm: “figlio
di p…”, “è meglio che non ti fai vedere in giro, prima o poi ti pesteranno a
sangue”, “sfigato fatti ammazzare oggi”.
I genitori sono costretti ad accompagnarlo e riprenderlo a scuola. Il ragazzo
praticamente non esce più di casa e non
vuole più andare a scuola.
Cerca aiuto online “fai schifo, muori”.
Suicida a 14 anni. È la fine di una ragazzina depressa che, rivolgendosi a un
social network, trova solamente insulti
e inviti al suicidio. “Ucciditi”, “non sei
normale”, “curati. Nessuno ti vuole”. La
ragazzina era iscritta come Amnesia e
come tale, a parte risposte volgari, riceveva solo istigazione al suicidio. Dopo
l’ultima invettiva, è salita in cima a un
vecchio albergo abbandonato di Padova
e si è buttata giù.
Il sito usato dalla ragazzina è Ask.fm,
conta circa 80 milioni di utenti, si opera
nell’anonimato e puoi fare domande e
rispondere ad altri iscritti. Puoi parlare
di tutto, senza censura. È un sito fondato in Lettonia nell’estate del 2010 da
due giovani ed è il più frequentato dai
ragazzi tra i 12 e i 17 anni. Bullismo e
anonimato, questo è quello che offre
Ask.fm, il sito dei ragazzi che ora terrorizza i genitori e ora molti ne chiedono la chiusura. Queste tragedie hanno
ispirato un film molto commovente, Disconnect di Alex Rubin, che racconta
di un ragazzino che si impicca per essere stato svergognato su un network da
due coetanei. Il sito è Facebook, ma il
succo non cambia.
Praticamente Ask.fm è come una lettera senza mittente. I ragazzi dovrebbero
capire che chi ti vuol parlare ci mette il
nome, chi ti vuole offendere si nasconde. Ma da dove viene tutta questa violenza? E i genitori non si accorgono dei
problemi dei figli? Famiglie disgregate,
scuole non più educative, televisione
mediocre, politici irriverenti e provocatori, società allo sbando? È un malore
sociale indubbiamente e lo si vede ogni
giorno in televisione dove la violenza,
verbale e non, la fa da padrona. Forse
tutte queste cose insieme creano violenza e sbandamento nei ragazzi che
non trovano più una guida a cui appoggiarsi, forse basterebbe
anche una sola parola
amica per distoglierli da
brutti pensieri e propositi. “Mi consigli un modo
per suicidarmi?”. “Sì, innamorati” parole scritte
da un quattordicenne.
“Meglio nasconderti sotto mazzi di fiori”.
La rete non è altro che
un veicolare messaggi e
informazioni, è la “civiltà tecnologica” che può
anche divenire il culmine della ferocia emotiva,
della disumanità dove
scaricare le proprie frustrazioni e alienazioni.
Ferocia e disumanità garantita dall’anonimato e quindi dalla vigliaccheria. L’adolescenza non conosce
la mediazione della maturità e ci si può
immaginare cosa possa succedere a un
quattordicenne che dispone 24 ore su
24 di uno strumento che esalta un potenziale distruttivo e che può diventare
autodistruttivo.
Sono nove gli adolescenti che si sono
tolti la vita dopo aver ricevuto insulti
su social network in poco tempo. Ad
agosto 2013 si era impiccata Hannah
Smith. A settembre dello stesso anno
Rebecca Sedwick, dodicenne dalla Florida, è stata trovata senza vita. Uno degli ultimi messaggi ricevuti da Rebecca
era stato: ”Meriti di morire”.
Paolo Sorrentino
DROGHE - Ubriacarsi fino a morire
Arriva anche da noi
la moda degli speed drink
È
ormai storia di tutti i giorni, si sperava che certe mode
non arrivassero anche in Italia, invece grazie a internet è dilagata anche da noi. Parliamo della nuovissima
moda dello speed drink, come alcuni lo chiamano, che
ha diversi nomi che indicano una sola cosa: bere velocemente più alcool possibile fino a stordirsi, e purtroppo anche fino
a morire o entrare in coma etilico.
È una sorta di scommessa e di sfida con se stessi, che mette
a dura prova la resistenza dei nostri giovani, sì, perché sono
proprio loro i protagonisti di tanta imbecillità!
Come è noto l’alcolismo fra i giovanissimi è di per sé un fenomeno preoccupante, figuriamoci se il semplice ubriacarsi il
sabato sera viene ‘arricchito’ da un vero e proprio girotondo
di pub e locali per tracannarsi più bicchierini possibile.
Non si riesce più a capire quale sia il senso di tale fenomeno,
anche perché eravamo fermi al fatto che prendersi la classica ciucca in discoteca e poi mettersi al volante di un auto,
col rischio di “rimanerci”, fosse già abbastanza grave. Adesso viene spontaneo chiederci: cosa sta succedendo? Perché
tanta stupidità e desiderio di mettere a rischio la propria vita
e quella di altri solo per vincere una scommessa o un’inutile
sfida?
Dare la colpa di tutto ciò all’uso improprio che si fa di internet può accontentare chi non ragiona in modo logico, il
ricusare la realtà e la quotidianità, pensando siano troppo
noiose, può essere un ottimo motivo, i nostri giovani si annoiano, non sono capaci di godere del bello e del buono che li
circonda; e ci domandiamo: cosa c’è di più bello di una vita
tranquilla, senza inutili preoccupazioni? Può sembrare una
chimera, ma allora perché ci sono tanti giovani che amano
studiare, conducono una vita attiva e soddisfacente senza il
bisogno di sballarsi?
Chissà, forse l’attuale gioventù, non tutta per fortuna, non
trova gli input giusti per vivere in armonia con se stessa.
Vorremmo però non confondere questo fenomeno dilagante
con l’essere malato di alcolismo, non si confonda lo zucchero
con la cicuta, l’alcolismo è malattia progressiva e mortale che
si può fermare grazie ai gruppi di auto-aiuto come Alcolisti
Anonimi, la moda dello speed drink è solo vera e pura stupidità.
Forse cercare di trovare una causa che dia una risposta
soddisfacente non serve a granché, sarebbe meglio pensare
a come o cosa fare per fermare questo scempio.
Che una discreta parte della gioventù sia malata di noia è
un dato di fatto, che si risolva dipende da tutti noi: genitori, mass-media, insegnanti, amici e conoscenti, nessuno
escluso perché nessuno che ha un briciolo di buon senso
pensi a tutto questo come a una possibile disfatta del nostro vivere civile. Purtroppo l’indifferenza, la paura, talvolta l’ignoranza, anzi spessissimo quest’ultima, impediscono
il veder chiaro certi problemi ma una cosa è certa: i nostri
giovani hanno bisogno di aiuto, muoviamoci tutti prima che
sia troppo tardi.
Giulia fiori
CRONACHE - È una messinscena o un altro segnale della crisi?
Anziana rapina una banca
per comprarsi le medicine
A
nziana, rapina una banca per il bisogno di comprarsi
le medicine: dopo aver fatto la fila in coda allo sportello della cassa dell’istituto di credito, ha estratto
una pistola giocattolo e un coltello. La donna, dall’apparente età tra i 60 e i 70 anni, minacciando il cassiere si è
fatta consegnare circa 4000 euro dicendogli che le servivano
per comprarsi le medicine. Avendo fatto il suo turno di coda
come una normale cliente e data l’età avanzata, niente dava
da pensare a una rapinarice. Alcuni dipendenti della banca
hanno detto ai carabinieri che per paura che si facesse male
non l’hanno seguita né hanno cercato di fermarla, visti anche
gli strumenti utilizzati per la rapina. La donna, presi i soldi, è
uscita facendo perdere le proprie tracce. La rapina è avvenuta
in una filiale della Cassa di risparmio di Lucca –Pisa –Livorno
a Prato. I carabinieri, intervenuti dopo aver ricevuto l’allarme
alla centrale operativa, sono rimasti stupiti dalla descrizione
dell’episodio e dall’ età avanzata della donna che ha messo a
segno la rapina, hanno avviato i consueti accertamenti, con
la visione delle riprese delle telecamere a circuito chiuso dell’istituto di credito, anche per verificare se la donna
avesse altri complici, se fosse davvero un’anziana oppure se
avesse utilizzato un travestimento fingendosi in età avanzata. Le immagini hanno evidenziato che era impossibile, dato
il modo in cui era abbigliata, identificarla: giacca, pantaloni,
sciarpa, cappello di lana e occhiali scuri. Ora si stanno visionando i vari filmati per cercare di comprendere la fisionomia, la camminata della rapinatrice. Data l’ora, erano circa
le 11.30, il giorno in cui è avvenuta la rapina c’erano diversi
clienti che hanno testimoniato. Tutti hanno confermato l’età
avanzata dalla donna confrmando che non si trattava di un
camuffamento, parlava perfettamente l’italiano. Gli accertamenti da parte dei carabinieri sono in corso, adesso si tratterà di capire se la nostra Bonnie in pensione ha qualche Clyde
che le fa da palo oppure se davvero l’episodio della rapina sia
dovuto al bisogno contingente di cure.
Domenico Vottari
carteBollate
11
Cultura
EMOZIONI - Imparare a gestirle per vivere meglio
Proviamo a capire chi siamo
A
bbiamo visto che senza emozioni avremmo una vita in
bianco e nero, invece che con
colori meravigliosi. Ma se non
siamo in grado di gestirle, questi colori
diventano la nostra rovina.
Al giorno d’oggi non viviamo più situazioni di pericolo esterne, non ci sono
animali feroci che ci assalgono e nemici
che ci vogliono uccidere. Allora che facciamo? Ci roviniamo benissimo da soli
facendoci trascinare dalle emozioni.
In pratica quasi tutto quello che decidiamo di fare nella vita dipende dalle
emozioni: chi sposiamo, il lavoro che
scegliamo, le amicizie, i nostri vestiti,
la macchina, cosa mangiamo (mangiamo per vivere ma scegliamo noi cosa
mangiare). Un amore troppo possessivo sfocia nella gelosia estrema e questo
porta a circa 150 donne che ogni anno
sono uccise dal loro marito, compagno,
o fidanzato. Quello che un tempo era
(forse) amore si è trasformato in odio
mortale.
Qualunque reato contro il patrimonio
oppure che ricerca l’arricchimento deriva dal desiderio del denaro, che a sua
volta è indispensabile se scegliamo di
fare una vita di facili piaceri per riempire una vita vuota di veri valori.
A volte il nostro ego oppure il nostro attaccamento a degli pseudo-valori è così
grande che non tolleriamo qualunque
ipotesi di attacco. Reagiamo immediatamente se qualcuno mette anche solo
in discussione il nostro Io, che è ciò a
cui teniamo di più, ciò con cui ci identifichiamo in maniera rigida e a cui ci
attacchiamo di più. Ma che cosa è realmente il nostro Io?
Proviamo ad abbandonare il concetto
di identificazione, per scoprire che noi
non siamo quello in cui identifichiamo
la nostra persona e il nostro Io: non il
nostro corpo maschile muscoloso o
femminile sinuoso, perché invecchieremo; non le nostre capacità, perché non
le avremo sempre; non il nostro lavoro,
che possiamo perdere; non i nostri affetti, perché non è detto che durino in
eterno; neanche la nostra ricchezza, né
la nostra salute, per gli stessi motivi.
Aggiungiamo, ed è molto importante,
neanche il nostro status di detenuti,
perché esiste un fine pena. Cambiamo
e ci evolviamo ogni giorno. Siamo diversi ogni giorno da un punto di vista sia
fisico (mediamente ogni giorno circa
cento miliardi di cellule del nostro cor12
carteBollate
“
Noi
dobbiamo
capire che pos-
siamo dominare e guidare le nostre emozioni, non farci guidare da
loro, ed è più semplice
di quello che si può
pensare. Ci vuole un
po’ di pazienza, perché nulla è stato immediato nella vita.
po muoiono e se ne formano altrettante) che psicologico.
Tanto più noi ci attacchiamo a qualcosa,
tanto più soffriamo la perdita, come un
bambino che all’asilo nido piange quando la mamma lo lascia, perché teme di
non rivederla. Noi invece sappiamo già
ora che quello che c’è adesso è destinato a non esserci più.
Quando ci saremo via via spogliati di
tutto quello che pensavamo di essere,
ritroveremo chi siamo veramente, la
nostra vera essenza che abbiamo ricoperto di etichette come una corazza
protettiva: figlio, fratello, padre, lavoratore, detenuto, straniero, italiano, del
Sud, del Nord, di destra, di sinistra, ricco, povero, bello, brutto, interista, milanista. Tutte etichette vuote.
Noi siamo in realtà persone consapevoli
che magari ora non sanno di poterlo essere, e invece viviamo vittime e spesso
schiave delle emozioni, ci arrabbiamo
per una parola, litighiamo per una questione di principio, ci meniamo per una
questione di onore (parola che non ha
nessun significato), andiamo in carcere perché cerchiamo disperatamente i
soldi per comprare un bel vestito o un
profumo, uccidiamo nostra moglie perché non ne può più di noi.
Noi dobbiamo capire che possiamo dominare e guidare le nostre emozioni,
non farci guidare da loro, ed è più semplice di quello che si può pensare.
Iniziamo con un po’ di meditazione, che
ci consente di ottenere una maggiore
calma e serenità. Abbiamo la possibilità
di seguire vari corsi di meditazione o di
consultare qualche buon libro in biblioteca. Impareremo a osservare i pensieri
e le emozioni che si manifestano, e li
vedremo passare via e dissolversi senza lasciare traccia nella nostra mente.
Se riusciremo a non agire in maniera impulsiva appena succede qualche
avvenimento che scatena in noi una
reazione, le cose miglioreranno. Sappiamo che le nostre reazioni derivano
principalmente da rabbia e paura, e
che reagiamo con automatismi a cui
non pensiamo neanche; ora che lo sappiamo, quando arriva un’emozione, non
reagiamo, restiamo lì, in quel momento,
semplicemente osserviamola come se
fossimo spettatori. L’emozione dura pochi secondi, e se ne va. Se diamo tempo
alla parte logica del nostro cervello di
rendersi conto in maniera razionale di
quello che succede, evitando di agire
in maniera automatica sotto la spinta
del cervello limbico che ci spinge subito alla reazione, ci rendiamo conto che
non fare nulla è la cosa più semplice
che ci sia.
Non è immediato, perché abbiamo usato magari per anni circuiti cerebrali che
a un evento associavano una reazione
immediata e senza pensarci, del tipo
prendo una martellata sul dito e grido
“Ahi!”. Adesso dobbiamo resistere alla
tentazione di scattare come una molla
e attendere, attivando nuovi circuiti cerebrali. Ci vuole un po’ di pazienza, perché nulla è stato immediato nella vita
di nessuno, dal parlare al camminare,
per cui occorre solo provare con un po’
di buona volontà.
Senza volontà e motivazione non saremmo infatti in grado di fare nulla.
Nazareno Caporali
RIFLESSIONI - Il ricordo è il pane per costruire il futuro
Luoghi e tempi della memoria
P
er luoghi e tempi della memoria
s’intendono tutti i posti fisici e
gli spazi temporali che sono stati
gli scenari della nostra avventura umana. Ricorrono spesso nei nostri
pensieri, in forma di ricordi che sono
selezionati dalla nostra mente e diventano i punti di riferimento essenziali della
nostra esistenza. Questi luoghi e questi
tempi, il più delle volte, si presentano
a noi in modo iconografico, vere immagini fotografiche, un po’ “mosse”, che
richiedono, da parte nostra, una “messa a fuoco”. Catturata bene la scena, la
nostra memoria opera una serie di aggiustamenti, le immagini prendono forme più sicure e pian piano si animano
e si materializzano in volti, gesti, parole,
suoni, colori, odori, sapori e tante altre
cose che si percepiscono e si depositano
nel nostro cervello, che sempre vigile le
cattura e le archivia in modo automatico, pronte per essere rivisitate e riviste
in qualche altra occasione. La casa natale, la città in cui si è vissuto, i posti delle
vacanze, la sede dove si svolse il proprio
lavoro sono i luoghi che ricompaiono
più frequentemente dal nostro passato.
Mentre gli spazi temporali riguardano i
vari periodi della nostra vita: l’infanzia,
la fanciullezza, l’adolescenza, la gioventù, la maturità e la vecchiaia. Tante volte capita che anche se siamo occupati a
fare altre cose la mente pesca nel pozzo
della memoria, apre l’album delle immagini e ci impone di seguire e pensare
alle cose che in quel momento vengono
sottoposte alla nostra attenzione, tutto ciò avviene in modo inconscio. Altre
volte i “sentieri” della memoria sono
stretti, angusti, difficoltosi, somigliano
a ripide salite o a precipitose discese,
oppure, talvolta a radure e pianori più
sicuri, ma evocano sempre il cammino
del nostro apprendistato, nel difficile
“mestiere di vivere”. Le questioni che
sono state affrontate poc’anzi prendono
in considerazione aspetti del problema
“memoria” che coinvolge, con modalità
varie, l’individuo, il suo vissuto attraverso il ricordo che è di tipo soggettivo.
L’argomento, in ogni caso, presenta altri
aspetti e altre variazioni che vanno al di
là di questa dimensione personale, ci si
riferisce a quella che possiamo definire
“memoria collettiva” che prende forma e
si manifesta sempre attraverso il ricordo
personale ma poi travalica quest’ambito
individuale e coinvolge gruppi sociali
più o meno grandi e a volte intere co-
munità. Questa memoria collettiva non
è la storia con la S maiuscola che finisce
sui libri raccontando e annotando i fatti più importanti di un popolo e di una
nazione. Nel nostro caso ci si riferisce al
ricordo comune che è rievocato da più
individui e, a volte, serve a indicare, rilevare un comportamento che può essere
ricondotto alla sfera del bene e del male,
ponendo l’accento su situazioni che, talvolta, trovano spazio nei proverbi, nei
modi di dire tipici di una determinata
zona geografica, che si tramandano, generalmente, in modo orale. La “memoria
collettiva” quasi sempre ha origine da
fatti realmente accaduti, ma qualche
volta si basa su cose totalmente inventate. Nel passato i luoghi in cui nascevano
e si consolidavano queste “storie minime” erano le vecchie botteghe artigiane,
il salone del barbiere, le osterie, ma principalmente le piazze di ogni contrada e
paese. Oggi tutto è cambiato, la radio,
la televisione, il telefono, internet hanno modificato le modalità della comunicazione tra gli individui e anche tra i
gruppi sociali. Tutto quello che accade
e viene proposto diventa velocemente
passato e con la stessa rapidità subito
dimenticato. In particolare la televisione
di utenti sparsi in tutto il mondo. Questo
sistema comunicativo tende a creare, di
regola, anch’esso la “memoria collettiva”
ma si tratta di una memoria collettiva
breve che non si stratifica, non decanta,
non affonda le radici nell’immaginario
collettivo comune e presto si disperde
senza lasciare traccia. Al contrario il
sistema dei social network agisce sugli
individui come se fosse uno strumento
insostituibile, un mezzo di comunicazione di cui nessuno può più fare a meno,
al punto tale da creare, tra chi lo usa in
modo spropositato, pericolose dipendenze. Dopo le considerazioni di carattere generale è utile fare riferimento, di
nuovo, alla memoria individuale, riportando alcune delle modalità più comuni
che attivano il ricordo. Probabilmente, a
ognuno di noi, sarà capitato di ascoltare
un vecchio brano musicale, in circostanze del tutto casuali. Appena la musica
viene percepita dall’udito, la mente in
un attimo si mette in moto e ricostruisce
un mosaico che ci riporta in uno spaziotempo del nostro passato, mettendo in
evidenza tanti particolari che stimolano
tutti i nostri sensi, in modo preciso, fino
a farci rivivere di nuovo quel determinato avvenimento della nostra vita vissuta.
opera in modo da dare, specie nei programmi di informazione, notizie sensazionali pur di catturare l’attenzione dello spettatore, lasciando poco spazio agli
approfondimenti alle riflessioni. Adesso
sono i social network che veicolano notizie e informazioni, influenzando milioni
La nostra memoria è lo strumento che
attraverso lo spartito dei ricordi suona la
colonna sonora della nostra vita. Il ricordo diviene pian piano nutrimento solido,
pane, per affrontare consapevolmente il
futuro.
Angelo Aquino
carteBollate
13
Cultura
olocausto - Un pezzo di storia poco noto
L’eroismo albanese
contro la shoah
I
l paese delle aquile, l’Albania, non
raggiungeva neanche un milione di
abitanti allora, quando iniziò la caccia agli ebrei. A Shqipëria - detto il
nido delle aquile - nonostante le difficoltà e la povertà, la popolazione non si
è spaventava nell’accogliere queste vite
innocenti, che i fascisti italiani e i nazisti tedeschi perseguivano. Gli ebrei,
mentre scappavano da tutta Europa
cercando di trovare uno Stato forte,
grande, che li potesse ospitare e assicurare loro una minima protezione per
salvarsi la vita, venivano accolti in Paesi che credevano amici e poi venivano
consegnati lo stesso ai nazisti, ben consapevoli della fine che avrebbero fatto.
L’Albania, che era stata espropriata di
alcuni territori dalla Grecia, dalla Jugoslavia e dalla Macedonia, aprì le porte
a queste prede che erano inseguite da
tutto e da tutti.
La popolazione albanese sapeva bene
che ospitandoli avrebbe rischiato tanto,
e non poteva combattere contro i nazisti tedeschi, ma poteva praticare un’arma segreta, più forte dei loro nemici e
della guerra, il Kanun. Il Kanun è il
codice consuetudinario più importante
albanese tra i numerosi codici creatisi nelle zone montane dell'Albania nel
corso dei secoli.
L’ospitalità è sacra per gli Shqipëtar albanesi, e sicuramente ha un'origine più
lontana. È uno dei valori principali del
popolo albanese.
Una persona doveva essere ospitata e
onorata a ogni costo. E se per caso doveva succedere qualcosa all’ospite, la
famiglia che lo aveva ospitato sarebbe
stata dichiarata nemica della comunità albanese. In molti casi, si finiva
per ospitare anche momentaneamente persone avversarie, appartenenti a
un clan nemico, ma la legge valeva lo
stesso anche in questo caso. Infatti,
riguardo all'ospitalità, il Kanun precisa: «La casa di un Albanese, è di Dio e
dell'ospite».
Dopo che resistette per secoli al dominio ottomano, il Kanun era ancora
presente nella vita del Paese, quando
l’Albania ebbe l'indipendenza nel 1912.
In tutto si trattava di 12 libri antichi
scritti in lingua albanese.
Il Kanun risale al 1400 e fu tradotto in
albanese corrente dopo la caduta del
14
carteBollate
regime comunista di Enver Hoxha.
La persona non riconosceva altre persone superiori a lui in dignità, e doveva
ribellarsi in ogni occasione in cui veniva
violata la sua libertà. L'opposizione alla
schiavitù era molto forte: non distingue
le persone l'una dall'altra.
Sono tutti uguali, anima per anima, davanti a Dio.
La parola data, fiducia, promessa o fede
o parola d'onore, era appunto una promessa che doveva essere mantenuta
anche a costo della propria vita.
La parola data (visto che spesso mancavano atti scritti) era irrevocabile, ed
era necessario mantenerla per salvare
l'onore della famiglia.
Il Kanun regola anche il sistema delle
vendette di sangue, consuetudine antichissima di origine illirica.
È fissato in maniera rigorosa il diritto di vendicare l'uccisione del
proprio familiare, colpendo fino al terzo grado
i parenti maschi
dell'assassino.
Adempiere alla vendetta è considerato
un obbligo, pena il disprezzo da parte
della collettività. Proprio per questo
quando la popolazione albanese si è
trovata a dover ospitare gli ebrei che
erano persone in difficoltà, non ha esitato ad assumersi un rischio, perché sapeva bene che fine
avrebbero fatto le
loro famiglie se si
fossero sottratti a
quest’obbligo.
Le prime notizie
di ebrei viventi in
Albania risalgono
al XII secolo d.C.
Esistevano insediamenti ebraici nella
maggior parte delle principali città
dell'Albania come
Berat, Elbasan, Valona, Durazzo.
Con l'ascesa della Germania nazista
molti degli ebrei in Europa trovarono rifugio in Albania. Sempre nel 1938 l'Ambasciata albanese a Berlino continuò a
rilasciare visti per gli ebrei, che vitavano la maggior parte dei Paesi europei
perché sapevano che dopo pochi giorni
sarebbero stati consegnati ai tedeschi.
Questo era accaduto a molti, erano stati accolti, ma dopo essere stati derubati
dagli ospitanti, erano stati consegnati ai
tedeschi.
Uno dei principali albanologi, Norbert
Jokl, chiese la cittadinanza albanese,
che gli fu concessa subito, anche se que-
sto tentativo non avrebbe potuto salvarlo dai campi di concentramento.
Quando gli occupanti tedeschi chiesero di consegnare i nomi degli ebrei
presenti nel territorio albanese, le
istituzioni albanesi insieme con la popolazione rifiutarono in tutti i modi di
adempiere tale richiesta.
La risposta dei nazisti non tardò. Fecero fucilare tante persone tra cui anche
bambini piccoli, davanti alle loro mamme, con lo scopo di farle parlare.
Ma era tutto inutile. Il codice di Kanun
proteggeva i suoi ospiti, come l’aquila
protegge i suoi piccoli, portandoli nelle cime più alte, dove gli avvoltoi non
possono arrivare e se arrivano, l’aquila
sacrifica la propria vita per loro.
Ecco, è questo che ha fatto il popolo
pagina accanto:
in alto
Francobollo
con il ritratto
di Norbert Joklin
a fianco:
arrivo dei treni
ad Auschwitz
il ritratto di
Pashko Vasa
in basso:
Enver Hoxha
tra la gente
religione degli Albanesi è l’albanesità”
“Mos shikoni kisha e xhamia / Feja
e shqiptarit është shqiptaria” che poi
è diventato il motto dell'Albania, rappresentandone lo spirito laico e nazionalista. Gli albanesi che vivevano nelle
zone montagnose hanno contribuito a
nascondere gli ebrei dalle zone in cui
risiedevano, che divennero il luogo più
sicuro in Europa.
L'Albania diventò così l'unico paese
europeo dove nessun ebreo è stato
consegnato ai nazisti e nessuno fu ucciso per le leggi razziali. Al contrario, il
loro numero aumentava notevolmente
a causa della strage che era avvenuta
nel resto del continente.
Solo dopo la caduta della dittatura,
furono rese pubbliche le testimonianze del salvataggio degli ebrei, e l'Albania fu aggiunta tra i “Giusti”. Lo Stato
d’Israele è stato uno dei primi, insieme
con la Turchia, a volere che gli Albanesi viaggiassero nel loro paese senza
visto, già nel 1992.
Questa è la storia di una nazione che
è degna di essere presa a esempio
per il vero atto eroico che ha compiuto, ma questo non viene portato alla
luce allo stesso modo in cui, invece,
i mass-media bombardano l’opinione
pubblica con delle notizie spiacevoli,
di reati commessi da alcune di queste
persone, tendendo a generalizzare e a
discriminare un intero popolo.
Sembra strano per una nazione cosi
piccola, ma fu l’unica ad aver fatto fucilare i propri figli per salvare quelle
vite che erano diventate le prede più
deboli e facili da ammazzare e derubare.
Qani Kelolli
albanese per gli ebrei: li ha portati nelle proprie case e protetti come l’aquila
protegge i suoi piccoli.
Non solo, ma a dispetto delle leggi razziali imposte, molti cittadini albanesi
offrirono identità false agli ebrei perché risultassero albanesi.
La maggior parte fu nascosta nelle abitazioni e in case private, spesso travestiti come famigliari o contadini albanesi.
Secondo le leggi del Kanun, che ha una
forte presenza nella cultura albanese:
“è obbligo di ogni persona difendere
la vita innocente, la vita di un ospite,
anche a costo della propria”. E infatti,
gli stranieri non erano considerati tali,
ma ospiti.
Di certo anche la convivenza religiosa
degli albanesi ha contribuito a salvare
molte vite umane.
Un poeta e intellettuale albanese,
Pashko Vasa (1825-1892), scrisse:
“Non guardate chiese e moschee / la
carteBollate
15
Brasile: il calendario dei Mondiali 2014
giovedì 12 giugno
22.00 Brasile – Croazia (San Paolo)
venerdì 13 giugno
00.00 Cile – Australia (Cuiabá)
18.00 Messico – Camerun (Natal)
21.00 Spagna – Olanda (Salvador)
sabato 14 giugno
03.00 Costa d’Avorio – Giappone (Recife)
18.00 Colombia – Grecia (Belo Horizonte)
21.00 Uruguay – Costa Rica (Fortaleza)
domenica 15 giugno
00.00 Argentina – Bosnia (Rio de Janeiro)
00.00 Inghilterra – Italia (Manaus)
18.00 Svizzera – Ecuador (Brasilia)
21.00 Francia – Honduras (Porto Alegre)
lunedì 16 giugno
00.00 Ghana – USA (Natal)
18.00 Germania – Portogallo (Salvador)
21.00 Iran – Nigeria (Curitiba)
martedì 17 giugno
00.00 Russia – Corea del sud (Cuiabá)
18.00 Belgio – Algeria (Belo Horizonte)
21.00 Brasile – Messico (Fortaleza)
21.00 Spagna – Cile (Rio de Janeiro)
venerdì 20 giugno
00.00 Honduras – Ecuador (Curitiba)
18.00 Italia – Costa Rica (Recife)
21.00 Svizzera – Francia (Salvador)
sabato 21 giugno
00.00 Nigeria – Bosnia (Cuiabá)
18.00 Argentina – Iran (Belo Horizonte)
18.00 Belgio – Russia (Rio de Janeiro)
21.00 Germania – Ghana (Fortaleza)
domenica 22 giugno
21.00 Corea del Sud – Algeria (Porto Alegre)
lunedì 23 giugno
00.00 USA – Portogallo (Manaus)
18.00 Australia – Spagna (Curitiba)
18.00 Olanda – Cile (San Paolo)
22.00 Camerun – Brasile (Brasilia)
22.00 Croazia – Messico (Recife)
martedì 24 giugno
18.00 Costa Rica – Inghilterra (Belo Horizonte)
18.00 Italia – Uruguay (Natal)
22.00 Giappone – Colombia (Cuiabá)
22.00 Grecia – Costa d’Avorio (Fortaleza)
mercoledì 18 giugno
18.00 Australia – Olanda (Porto Alegre)
mercoledì 25 giugno
18.00 Nigeria – Argentina (Porto Alegre)
18.00 Bosnia – Iran (Salvador)
22.00 Honduras – Svizzera (Manaus)
22.00 Ecuador – Francia (Rio de Janeiro)
giovedì 19 giugno
00.00 Camerun – Croazia (Manaus)
00.00 Giappone – Grecia (Natal)
18.00 Colombia – Costa d’Avorio (Brasilia)
21.00 Uruguay – Inghilterra (San Paolo)
giovedì 26 giugno
18.00 Portogallo – Ghana (Brasilia)
18.00 USA – Germania (Recife)
22.00 Algeria – Russia (Curitiba)
22.00 Corea del Sud – Belgio (San Paolo)
GRUPPO A. Brasile; Croazia; Messico; Camerun.
GRUPPO B. Spagna; Cile; Olanda; Australia.
GRUPPO C. Colombia; Grecia; Costa D'Avorio; Giappone.
GRUPPO D. Uruguay; Costa Rica; Inghilterra; Italia.
GRUPPO E. Svizzera; Ecuador; Francia; Honduras.
GRUPPO F. Argentina; Bosnia; Iran; Nigeria.
GRUPPO G. Germania; Portogallo; Ghana; Stati Uniti.
GRUPPO H. Belgio; Algeria; Russia; Corea.
16
carteBollate
OTTAVI
sabato 28 giugno
P1 – 18.00 [1a class. A] __________________________ [2a class. B] ___________________________ (Belo Horizonte)
P2 – 22.00 [1a class. C] __________________________ [2a class. D] __________________________ (Rio de Janeiro)
domenica 29 giugno
P3 – 18.00 [1a class. B] __________________________ [2a class. A] __________________________ (Fortaleza)
P4 – 22.00 [1a class. D] __________________________ [2a class.C] __________________________ (Recife)
lunedì 30 giugno
P5 – 18.00 [1a class. E] __________________________ [2a class. F] __________________________ (Brasilia)
P6 – 22.00 [1a class. G] __________________________ [2a class. H] __________________________ (Porto Alegre)
martedì 1 luglio
P7 – 18.00 [1a class. F] __________________________ [2a class. E] __________________________ (San Paolo)
P8 – 22.00 [1a class. H] __________________________ [2a class. G] __________________________ (Salvador)
QUARTI
venerdì 4 luglio
P9 – 18.00 [vincitrice P5] __________________________ [vincitrice P6] __________________________ (Rio de Janeiro)
P10 – 22.00 [vincitrice P1] __________________________ [vincitrice P2] __________________________ (Fortaleza)
sabato 5 luglio
P11 – 18.00 [vincitrice P7] __________________________ [vincitrice P8] __________________________ (Brasilia)
P12 – 22.00 [vincitrice P3] __________________________ [vincitrice P4] __________________________ (Salvador)
SEMIFINALI
martedì 8 luglio
P13 – 22.00 [vincitrice P9] __________________________ [vincitrice P10] __________________________ (Belo Horizonte)
mercoledì 9 luglio
P14 – 22.00 [vincitrice P11] __________________________ [vincitrice P12] __________________________ (San Paolo)
FINALE TERZO/QUARTO POSTO
sabato 12 luglio
22.00 [perdente P13] __________________________ [perdente P14] __________________________ (Brasilia)
FINALE
domenica 13 luglio
21.00 – [vincitrice P13] __________________________ [vincitrice P14] __________________________ (Recife)
Le partite a eliminazione diretta (ottavi, quarti, semifinali e finali) inizieranno sabato 28 giugno,
dopo un giorno di riposo dalla fine della fase a gironi.
carteBollate
17
dossier
Dall'interno
misure alternative
TEATRO - Diretti da Claudio Breno, volontario del carcere di Bergamo
Arrivano gli Ueitings e la scena si infiamma
A
nche se mi sono trasferito dal
carcere di Bergamo qui a Bollate, ho continuato a mantenere rapporti epistolari con i
volontari di quel carcere. Uno di essi è
Claudio Breno, che si occupa di aiutare
i detenuti in difficoltà. Quando gli scrissi se voleva venire a fare uno spettacolo
qui per noi a Bollate non ci ha pensato
due volte: ”Quando vuoi, sono sempre
pronto” è stata la sua risposta. Così, con
gli operatori di Bollate ci siamo organizzati per l’evento e il magico giorno è arrivato: mercoledì 5 marzo 2014, un bel
regalo per il carcere di Bollate. Gli Ueitings, finiti i loro turni di lavoro, sono
corsi qui da noi. Il teatro era già pronto
e loro hanno messo in scena Comallamore, tratto dall’omonimo romanzo di
Ugo Riccarelli, un tema toccante e profondo, di persone con malattie mentali
e drammi della pace e della guerra, che
abbatte gli stereotipi della follia e della
normalità.
La scena era allestita in modo abbastanza povero: tre letti e un paio di
pallets, quelli usati per caricare la merce; durante l’esibizione lo spettacolo si
è interrotto un paio di volte
a causa di applausi del pubblico coinvolto dalla bravura
della recitazione. Ci siamo
commossi tutti quanti per
la perfetta interpretazione
del gruppo. Devo dire la verità, io fuori non sono mai
andato a teatro, ma certe
scene hanno commosso non
solo noi ma anche lo stesso
gruppo teatrale. La serata è
volata e non ci siamo accorti
che erano passate due ore,
volevamo che continuasse, ma comunque eravamo riusciti a strappare un’altra promessa al gruppo teatrale che a
breve tornerà per farci evadere, anche
se per un paio d’ore, e offrirci un altro
spettacolo.
Qani Kelolli
UNIVERSITÀ - Incontro con i docenti della Bicocca
Laurearsi in carcere che senso ha?
L
o scorso 18 marzo l’Università Bicocca è entrata in carcere per il
primo road show di presentazione
delle attività accademiche tenuto
a Bollate.
Ha partecipato un docente per ogni
facoltà (Economia, Giurisprudenza,
Psicologia, Educazione, Matematica,
Sociologia), oltre a una responsabile
dell’amministrazione universitaria e a
una responsabile del Prap di Milano per
sottolineare l’importanza data dall’Amministrazione allo studio universitario,
massima espressione della cultura e del
sapere scientifico.
Erano presenti gli studenti del 5° anno
di Ragioneria, potenziali futuri studenti
universitari, qualche detenuto già studente universitario che poteva fornire
la propria testimonianza di studio e altri detenuti eventualmente interessati a
iscriversi all’università.
La presentazione è stata fatta non come
se fossimo in carcere, ma come viene
fatta solitamente a una platea di diciottenni o diciannovenni maturandi in
procinto di scegliere la facoltà, sottolineando come sia importante la costanza
nello studio, l’utilità della frequenza, la
capacità di non abbattersi e di superare
le difficoltà che inevitabilmente si incontreranno nello studio, la determinazione
18
carteBollate
di raggiungere un risultato, consapevoli
che molte materie sono particolarmente ostiche e complesse. Ma il nostro
contesto è ben diverso, tranne qualche
caso, il range di età degli universitari di
Bollate è dai 30 ai 50 anni, con alcuni
casi anche di over-50, la nostra risposta
all’incombente senilità. Per la cronaca
la risposta è al momento vincente.
La nostra situazione è ben diversa da
quella di un ragazzo di 18 anni che sta
per iscriversi all’università, e che sta
investendo sul suo futuro culturale e
lavorativo. Nel nostro caso, vuoi per la
crisi che impedisce anche a molti neolaureati di 23-24 anni di trovare impiego, vuoi per lo status di detenuti o futuri
ex-detenuti che rende difficile essere
presi in considerazione, vuoi infine per
l’età in cui molti di noi si laureano, dai
40 ai 50 anni, un’età che è ormai della
“rottamazione” secondo gli standard
economici attuali, non ci sono concrete
opportunità lavorative.
L’Università Bicocca è venuta incontro
alle esigenze dei detenuti, azzerando
il costo per i test di accesso fissato in
50 euro, e dimezzando le tasse di iscrizione, che da circa 700 euro passano a
circa 350 euro annuali. Questo sconto
è un piccolo incentivo, che forse potrà
dare a qualcuno lo stimolo per conti-
nuare o riprendere gli studi.
Una domanda d’obbligo si pone a questo
punto: a cosa serve laurearsi? Una laurea richiede un investimento di tempo,
soldi e risorse mentali non indifferente:
la spesa di 350 euro di iscrizione annua
è la parte minore. Secondo noi, che abbiamo dedicato molti anni della nostra
vita a studiare, il lavoro post-laurea
deve essere visto come un’eventualità, non come la molla primaria: che si
studi per la licenza elementare oppure
per la laurea, non si deve studiare per il
voto o per il titolo di studio, che in questo caso resta un “pezzo di carta”, ma
per il desiderio e il piacere di imparare
cose nuove, di sapere, di conoscere, di
migliorarsi.
Non sappiamo quanti siano coloro che si
sono laureati a Bollate e che abbiano poi
trovato un lavoro nel campo dei propri
studi e si contano sulle dita di una mano
quelli che si sono laureati da quando
questo istituto è stato aperto, ma in
ogni caso questo incontro è la miglior
dimostrazione di quanto Prap e Bollate tengano allo studio, e in particolare
nello studio universitario, che sempre
più si concretizza come un elemento
fondamentale del percorso di recupero
del detenuto.
Nazareno Caporali
In permesso o in affidamento ma sempre detenuti
Surrogato di libertà
A
“
volte sui giornali appaiono notizie di cronaca che a un età in cui le strutture caratteriali sono già formate,
parlano di storie di crimini avvenuti nel passato. persone (i carcerati) con un vissuto ben radicato all’interCrimini, che tornano alla ribalta quando l’autore no di nicchie sociali che li ha proiettati verso un agire fuori
del delitto dopo un periodo più o meno lungo di dai canoni della legalità. Poiché di fatto, tutto ciò che rapdetenzione, ottiene uno dei cosiddetti benefici contemplati presenta il male o il bene nasce in seno alla società, i panni
sporchi non si può continuare a gettardalla legge “Gozzini”.
li dall’altra parte del muro. Allarmare
Si tratta di benefici e premi, concessi
e ottenuti in seguito al compimento di
Sarebbe oppor- l’opinione pubblica a mezzo stampa,
ogni volta che qualcuno tenta il primo
un percorso trattamentale che lo ritiene idoneo a un primo ingresso nella
tuno che prima approccio con il mondo esterno, non
aiuta i giusti processi integrativi dei
società, in forma monitorata, sottoposto ad una serie di controlli, regole e
di creare inutili allarmi, detenuti.
La criminalizzazione non può che geosservazione comportamentale. Conseguire un premio o un beneficio, imgli addetti all’informa- nerare rancore.
A cosa varrebbe altrimenti consideraplica la fatica di riconsiderare se stessi
e mettersi a nudo di fronte a coloro che
zione si informassero re il carcere come luogo di riabilitazione come richiesto dalla Costituzione?
hanno il compito di certificare l’avvenuto cambiamento. Significa armarsi
meglio sulle norme Sarebbe opportuno che prima di creare inutili allarmi, gli addetti all’infordi umiltà, di spirito di adattamento,
affrontare il pregiudizio che ancora
che regolano il gra- mazione si informassero meglio sulle
norme che regolano il graduale reinseincombe sui detenuti mostrato da una
società attanagliata dalla paura verso
duale reinserimento rimento sociale.
In questo dossier cerchiamo di raccon“corpi estranei” aiutandola a cambiare
tarle.
idea. Un percorso lungo e tortuoso che
sociale.
M. C,
richiede capacità di rimettersi in gioco
carteBollate
19
dossier
Queste le misure alternative e i benefici previsti dalla legge
Il primo passo fuori dal muro:
il lavoro esterno, Art. 21
Qualche spazio di libertà:
i permessi premio
L’ammissione dei condannati e degli internati al lavoro
all’esterno (art. 21 op) è disposta dalle direzioni solo
quando ne è prevista la possibilità nel programma di
trattamento e diviene esecutiva solo quando il provvedimento sia stato approvato dal magistrato di sorveglianza ai sensi del quarto comma dell’articolo 21 della
legge. La direzione dell’istituto deve motivare la richiesta di approvazione del provvedimento, corredandola
di tutta la necessaria documentazione. Il magistrato di
sorveglianza nell’approvare il provvedimento di ammissione al lavoro esterno deve tenere conto del tipo di
reato, della durata effettiva o prevista, della pena, nonché dell’esigenza di prevenire il pericolo che l’ammesso
al lavoro all’esterno commetta altri reati. Nel provvedimento di assegnazione al lavoro all’esterno senza scorta
devono essere indicate le prescrizioni che il detenuto o
internato deve impegnarsi per iscritto di rispettare durante il tempo da trascorrere fuori dall’istituto, nonché
quelle relative agli orari di uscita e di rientro, al percorso da rispettare, tenuto anche conto della esigenza di
consumazioneei pasti e del mantenimento del rapporto
con la famiglia, secondo il programma di trattamento.
Inoltre, l’ orario deve essere fissato all’interno di una
fascia orria che preveda l’ipotesi di ritardo per forza
maggiore. Scaduto il termine previsto da tale fascia
oraria, viene inoltrato a carico del detenuto rapporto
per evasione.
La legge 26 luglio 1975 n. 354 all’articolo 30-ter tratta i
Permessi premio. Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non
risultano socialmente pericolosi, il magistrato di sorveglianza, sentito il Direttore dell’Istituto, può concedere
permessi premio per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. La durata dei permessi non
può superare complessivamente i 60 giorni all’anno. La
concessione dei permessi è ammessa: per i condannati
all’arresto o alla reclusione non superiore a tre anni anche se congiunta all’arresto; nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a tre anni, salvo quanto
previsto dalla lettera, dopo l’espiazione di almeno un
quarto della pena. Per ottenere i “permessi premio” il
detenuto è sottoposto alle valutazioni dell’équipe che
pratica la cosiddetta “osservazione scientifica”.
PERMESSI PREMIO - Le donne raccontano le loro paure
Appena uscita mi tremavano le gambe
C
hissà quante volte si è sentito
parlare di concessione di benefici nei confronti dei detenuti, ma forse non tutti sanno
che esistono perché previsti dalla legge.
Stiamo parlando di permessi premio,
articolo 21, allargamento, affidamento,
arresti domiciliari e semilibertà. Tutti
questi rappresentano una tappa importante da raggiungere, anche se spesso
i media li confondono con la libertà. I
profani potrebbero pensare che venga
meno il controllo, che invece è obbligatorio da parte sia del magistrato di
sorveglianza, sia della polizia, e che
un detenuto possa fare ciò che vuole in
piena libertà.
Abbiamo interpellato alcune donne recluse, dette “permessanti”, vale a dire
che nei giorni da loro stesse scelti possono chiedere al proprio magistrato di
20
carteBollate
sorveglianza un permesso di dodici ore
da trascorrere presso le proprie abitazioni o in compagnia di amici o dovunque ritengano opportuno.
Questo, che sia chiaro, non vuol dire
che sono libere di fare ciò che vogliono, ci sono tantissime restrizioni, ora
parlando con loro cerchiamo di capire
come funzionano i permessi.
Sono quattro ragazze, le abbiamo radunate attorno a un tavolo perché possano
spiegarci cosa vuol dire, ma soprattutto
cosa non vuol dire, andare in permesso
premio.
Tutte hanno alle spalle parecchi anni
di carcere, e hanno raggiunto i termini
previsti dalla legge, ovvero dopo aver
scontato la metà della pena, per uscire.
Come ci si sente quando si esce in
permesso per la prima volta?
Anna: Io avevo una paura terribile, non
sapevo cosa avrei trovato fuori dopo
tanti anni di carcere, a dire il vero mi
tremavano le gambe.
Barbara: Mi sentivo tranquilla perché
sapevo di uscire con Don Fabio, il nostro cappellano, quindi non ho sofferto
per niente.
Carla: Panico totale, tanto da farmi
venire voglia di tornare indietro dopo
aver raggiunto la carraia, che scema, lo
so, ma è stato così.
Daniela: Mi associo, ma, una volta arrivata alla carraia, mi sono fatta un po’ di
coraggio, poi sapevo che avrei passato
la giornata con i miei familiari nella mia
casa.
Quali sono le restrizioni che sono
previste per chi va in permesso?
Carla: Molti non ci credono, ma sono
tantissime, intanto non si può uscire
dal comune nel quale è stato concesso
Sconti di pena
L a legge 26 luglio 1975 n. 354 all’articolo 54, tratta della
liberazione anticipata, concessa al condannato che ha
dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione,
quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini
del suo più efficace reinserimento nella società. La detrazione, che era di 45 giorni per ogni singolo semestre
di pena scontata adesso e stata portata a 75 giorni, per
i detenuti che non hanno reati ostativi
Semilibertà
L’ordinanza di ammissione alla semilibertà è immediatamente esecutiva e prevede la possibilità di vivere
l’intera giornata all’esterno del carcere, rientrando alle
10 di sera. Nei confronti del condannato e dell’internato ammesso al regime di semilibertà è formulato un
particolare programma di trattamento, approvato dal
Magistrato di Sorveglianza. Nel programma di trattamento per l’attuazione della semilibertà sono dettate
le prescrizioni che il condannato o l’internato si deve
impegnare, per scritto, ad osservare durante il tempo il tempo da trascorrere fuori dall’istituto, anche
in ordine ai rapporti con la famiglia e con il servizio
sociale, nonché quelle relative all’orario di uscita e di
rientro. La responsabilità del trattamento resta affidata al direttore, che si avvale del centro di servizio per
il permesso, a esempio, io che vado in
un paesino dell’hinterland milanese,
non posso andare oltre i confini del comune.
Anna: Per non parlare dell’obbligo
dell’uso dei mezzi pubblici, che per me
è un problema serio, visto che non conosco affatto Milano, figuriamoci le linee pubbliche.
Da queste poche cose che avete detto, si
evince che non sia tutto rose e fiori, ma
ci sembra ancora poco per chiarire che il
permesso premio è ben lontano dalla più
agognata libertà. Perciò diteci di più.
Barbara: A dire il vero, le restrizioni per il
permesso premio sono molte di meno di
quante ce ne siano per gli articoli 21, visto che loro escono per lavorare fuori dal
carcere e vi tornano a lavoro ultimato.
Daniela: È vero, i 21 sono costretti a
fare sempre lo stesso percorso per raggiungere il posto di lavoro, noi se usciamo in permesso siamo libere di scegliere dove andare.
Carla: Sì, però, se possediamo dei soldi
sul conto corrente, non possiamo prelevare più di cinquanta euro, salvo casi
la vigilanza e l’assistenza del soggetto nell’ambiente
libero. Gli interventi del servizio sciale vengono svolti
secondo le modalità precisate dell’articolo 118, nei limiti del regime proprio della misura.
Affidamento al servizio sociale
La legge 26 luglio n. 354 all’articolo 47, tratta dell’affidamento in prova al servizio sociale. Se la pena detentiva inflitta non supera i quattro anni, o con un
residuo di pena di quattro anni, il condannato può
essere affidato al servizio sociale fuori dell’Istituto
per un periodo uguale a quello della pena da scontare.
L’ordinanza, immediatamente esecutiva a cura della cancelleria del Tribunale di Sorveglianza è subito
trasmessa in copia, se il condannato è detenuto, alla
direzione dell’istituto in cui lo stesso si trova, per la
sua liberazione e l’attuazione della misura alternativa,
previa la sottoscrizione del verbale. Se sopravvengono
nuovi titoli di esecuzione di pena detentiva, il Magistrato di Sorveglianza, provvede alla revoca del provvedimento.
L’affidamento in prova implica l’osservazione di precise norme come: il rientro serale presso la propria abitazione, tendenzialmente alle ore 22.00 fino il mattino
seguente alle ore 7.00. In tale orario si è sottoposti a
controllo da parte dell’autorità giudiziaria. Saranno
stabiliti degli incontri obbligatori con gli assistenti
sociali dell’.U.E.P.E (unità esecuzione pena esterna),
durante i quali gli operatori verificheranno se il condannato dà prova di un adeguato proseguimento del
percorso riabilitativo nel contesto sociale, lavorativo
o scolastico.
Marina Cugnaschi
eccezionali e con il benestare del Direttore, inoltre abbiamo un elenco di
cose che possiamo comprare e di quelle che non possiamo, siamo costrette
a uscire con le sigarette contate, in
modo da non averne più al rientro in
carcere, perché non passano, oppure
siamo costrette a comprarne, magari
un pacchetto da dieci, per farcele durare per tutto il permesso.
Anna: C’è da dire che le contraddizioni sono tante, a esempio non si possono comprare libri con la copertina
rigida, perché considerati corpo contundente, ma è permesso comprare
cinture anche con la fibbia, che se la
dai in testa a qualcuno gli fai veramente male!...
Quindi restrizioni e contraddizioni
vanno di pari passo, ma se noi pensassimo, appunto da profani, che quando
uscite in permesso respirate una vera
aria di libertà voi che cosa ci direste?
Barbara: Che siete fuori come balconi,
quale libertà, io sarò libera il giorno in
cui finirà la mia pena.
Carla: Non si può nemmeno parago-
nare l’aria che si respira in permesso
con quella che invade i polmoni dopo la
galera, è un mondo a parte, forse molti
non lo immaginano nemmeno, ma passare una bella giornata, che so, in piazza
Duomo in compagnia di una caro amico
è fantastico, e per poche ore quasi dimentichi chi sei, ma poi ti fermi e tutto
assume un colore grigio e triste.
Anna: Sai che devi tornare in quel posto così tetro, non che Bollate lo sia in
realtà, ma è sempre carcere e come tale
è tetro.
Daniela: Ormai andiamo in permesso
da tanto, e alle restrizioni non ci pensiamo, anzi forse non ci accorgiamo nemmeno che ci sono, tanta è l’abitudine a
rispettare le regole ma, come giustamente hanno detto le mie compagne, la
libertà è il diritto più meraviglioso che
il buon Dio ci abbia donato, il permesso
premio, anche se per quello dobbiamo
ringraziare i vari Magistrati di sorveglianza, è solo il piccolo riconoscimento
che il carcere, in definitiva, è servito a
qualcosa.
Teresa Barboni e Elena Casula
carteBollate
21
dossier
PERMESSI PREMIO 2 - Fuori dal carcere ma prigionieri delle regole
Libertà a tempo determinato
N
ell’istituto di Bollate il 7° reparto ospita persone condannate
per reati sessuali; il padiglione
custodisce anche ex operatori
delle forze dell’ordine e collaboratori di
giustizia. Le leggi che riguardano i detenuti per reati sessuali sono molto severe;
prevedono di effettuare un più lungo periodo di detenzione, rispetto ai detenuti
per reati comuni, prima di poter accedere
alle misure alternative. Paradossalmente,
l’eventuale brevità della pena, a causa di
complessità burocratiche, vanifica la possibilità di poter accedere a un qualunque
tipo di permesso, o lavoro esterno (art. 21)
o affidamento ai servizi sociali. Ho parlato personalmente con persone che hanno
condanne di 1 anno e 10 mesi, 2 anni e 3
mesi, oppure di 3 anni. Le loro pene sono
talmente esigue che, se le loro condanne
riguardassero altri titoli di reato, l’applicazione delle misure alternative porterebbe queste persone fuori dal carcere in
breve tempo. È bene ricordare che il fine
delle misure alternative alla detenzione,
quando la persona è al suo primo reato,
è impedire il deterioramento della personalità del condannato, evitando di esporlo
a lunghi periodi di detenzione, in contesti
potenzialmente degradanti. Purtroppo la
complessità delle procedure farà sì che
queste persone sconteranno interamente
in carcere le loro brevi condanne.È probabile che qualcosa sia sfuggito al legislatore, se l’applicazione di una norma fa
rilevare risultati così iniqui. Soprattutto
se si considera che queste persone, come
la maggior parte degli ospiti del 7°, sono
alla loro prima condanna.
Ho chiesto agli ospiti del 7° reparto che
vanno in permesso all’esterno del carcere di spiegare quale sia la differenza
rispetto alla vera e propria libertà.
Freddy, trentasettenne sudamericano,
va in permesso quasi ogni settimana dal
maggio del 2013 e racconta: “Il permesso
mi fa stare insieme alla mia famiglia, che
ha sofferto molto la mia carcerazione. Ho
fatto un reato in un periodo che ho vissuto con mancanza d’umiltà. Durante i permessi sono molto felice e più tranquillo,
perché sparisce tutta questa sofferenza.
Non è una vera e propria libertà. Ogni
volta bisogna firmare in questura prima
di arrivare a casa. Una volta la mia famiglia è stata invitata a casa di amici per
un battesimo, io sono dovuto rimanere a
casa da solo perché non potevo andare a
quella festa. Quando mancano poche ore
al mio ritorno in carcere, divento nervoso e non vedo l’ora di rientrare, perché
temo possibili ritardi e le spiacevoli conseguenze”.
Un artista italiano di età avanzata spiega:
“Appena arrivato avevo dato poca fiducia
agli educatori perché, ascoltando le voci
negative che giravano, mi ero subito scoraggiato. Devo dire che mi sbagliavo, dato
che mi hanno aiutato molto sia a ottenere
i permessi, sia nel mio percorso artistico.
Per ora impiego i permessi per preparare
il terreno per quando esco. Ovvio che se
fossi libero sarebbe molto più semplice
realizzare con i tempi dovuti una mostra
con i miei quadri”. Tano sarà scarcerato
a maggio del prossimo anno, è uscito in
permesso insieme ad altri reclusi, per
dare una mano come volontario e dice:
“Sono andato volentieri a dare una mano
ai frati della Mensa dei poveri. Ci hanno
scortato gli agenti col furgone, abbiamo
trovato le educatrici lì che ci aspettavano
dai frati. Mi ha stupito molto il fatto che a
mangiare c’erano molti italiani dai trenta
ai cinquant’anni. Si portavano via pure
il pane che avanzava, lo mettevano nei
sacchetti insieme alla frutta che rimaneva. Pochi stranieri e pochissimi anziani.
Deve essere il segno della crisi. Se fossi
libero andrei un paio di giorni alla settimana ad aiutare i frati in quella mensa.
Purtroppo dal carcere è un problema anche svolgere attività di volontariato”.
Al 2° piano B del 7° reparto è attiva l’Unità di trattamento intensificato (Uti) che
svolge un programma trattamentale che
mira a ridurre la recidiva degli autori
di reati sessuali. Il Cipm di Milano cura
questo progetto che è solo l’inizio di un
percorso che prosegue nel Presidio criminologico territoriale di Milano, tipo
un Ser.T rivolto ad altre problematiche, in
cui si recano in permesso diversi detenuti. Alvaro va in permesso in questo centro e racconta: “Sono corsi che mi hanno
aiutato molto a comprendere meglio gli
errori commessi che mi hanno portato
in carcere. Certo che da libero non avrei
l’angoscia di dover avere i minuti contati
per correre al centro e tornare in carcere
al volo; se perdo un pullman all’andata è
un casino pure per il ritorno. Questa fretta mi causa ansia e mi stressa molto, mi
indispone a frequentare momenti terapeutici per me molto importanti”.
Enzo è più ottimista e dice: “Naturalmente se fossi libero sarebbe più semplice
frequentare il centro. La gioia che respiro
ogni volta che torno ‘nel mondo che non
c’è mi fa sentire come un novello Peter
Pan, anche se mi manca ancora Campanellino. Il resto della settimana lo passo
scandendo il tempo della favola; tic- tactic- tac… il coccodrillo si avvicina con in
bocca l’ambito permesso”.
Fabio Padalino
il diritto di essere dimenticati dai media
L
o scorso anno, 15 marzo 2013, il Consiglio nazionale
dell’ordine dei giornalisti ha approvato la Carta di Milano,
codice etico per i giornalisti che trattano notizie concernenti
il carcere. Il testo, nato da una collaborazione tra alcune
redazioni carcerarie e gli Ordini dei giornalisti della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia Romagna, parla anche di diritto
all’oblio. Sembra una parolaccia, ma ha un valore pari alla
memoria: ciò che i media scrivono degli autori di reato resta
per un tempo indeterminato a disposizione di chiunque e le
informazioni che se ne ricavano non sono quelle asettiche
del Casellario Giudiziario, ma sono spesso le cronache a fosche tinte che hanno spettacolarizzato i reati. Sono su internet, a disposizione dei figli, dei loro amici, del vicino di casa,
del potenziale datore di lavoro. Basta un clic e il tuo passato
22
carteBollate
riemerge anche dopo aver scontato fino all’ultimo giorno la
tua pena, anche quando vorresti ricominciare a vivere da
persona libera, tentando di lasciarti alle spalle il passato. La
memoria non è un magazzino dove vengono riposti i ricordi,
è la costruzione di un’identità oppure la sua distruzione. È
matita che sottolinea avvenimenti e momenti che hanno
fatto del nostro mondo quello che è. Un giornalista potrà
sempre trincerarsi dietro al diritto di cronaca per ricostruire,
anche dopo decenni, la storia di un detenuto tornato in libertà, ricordare i dettagli del reato commesso, invadere la
sua privacy in nome di un presunto interesse collettivo. La
memoria va custodita, ma senza tossine paralizzanti che impediscono a chi ci sta provando di ricominciare a vivere.
Debora Beolchi - Antonella Corrias
PERMESSI PREMIO 3 - Buone notizie ignorate dai giornali
Fuori per un giorno
salva un infartuato
Q
uando un detenuto, durante un permesso premio o in
uscita dal carcere con i benefici raggiunti, commette
un reato, buona parte della stampa immediatamente inizia un martellamento
mediatico, mettendo in evidenza lo stato di recluso del reo. Allarmismo che fa
alzare gli ascolti di trasmissioni di pessimo intrattenimento, di cui siamo un
po’ stufi. Nessuno dice mai che quando
un detenuto commette un reato approfittando del permesso premio, in Italia
nello stesso momento usufruiscono del
medesimo beneficio altri dodicimila
reclusi, che rientrano serenamente in
carcere la sera. La notizia c’è solo quando si registra un fallimento, ma non fa
notizia il fatto che la recidiva, che normalmente è del 70%, scende al 27% tra
detenuti che usufruiscono di misure
alternative.
Così non ha fatto notizia il fatto avvenuto il 16 febbraio, quando un detenuto
del carcere di Bollate in permesso premio ha salvato un essere umano. Antonio Pesce, ex assistente della Polizia di
Stato, nonché ex casco blu delle Nazioni Unite, che ha operato nei Balcani in
missione di pace, ci racconta che è in
carcere dal 2000 e da due anni è giunto al carcere di Bollate. “Usufruisco dei
permessi premio dal 2009 e in uno degli ultimi permessi ho salvato una vita,
grazie all’apprendimento delle tecniche
di pronto soccorso del corso Aifos che
frequento all’interno dell’istituto”.
I fatti: vedendo un capannello di persone attorno a un uomo infartuato, senza
che nessuno intervenisse, Pesce gli ha
praticato la rianimazione cardiopolmonare per ben 15 minuti, fintantoché è
arrivata l’ambulanza che gli ha praticato un massaggio cardiaco con il defibrillatore.
Tale atto non è stato menzionato nemmeno da una testata giornalistica, una
di quelle testate che alimentano l’opinione pubblica con notizie allarmanti
sul percorso dei reclusi.
Le ragioni che portano una persona in
carcere sono molteplici e il reato di Pesce è da considerarsi uno dei più gravi,
ciò non toglie che stia espiando la sua
pena con sofferenza per l’atto commesso e che l’aver salvato una vita abbia,
almeno in piccola parte, alleviato il dolore del suo reato.
Ci dice: “A parte la felicità per questo
episodio, sento ancora più un forte senso di colpa e sono tormentato dal rimorso di non aver potuto salvare la vita alla
persona che mi ha condotto in carcere.
Dieci, cento o mille azioni positive, mai
potranno essere sufficienti per porre
rimedio all’errore del passato. Quello
che ho fatto in permesso non è un atto
di coraggio, il vero atto di coraggio lo
compiono le vittime o i loro familiari,
che riescono a perdonare”.
A volte il percorso carcerario dà i suoi
buoni frutti e molti reclusi cambiano totalmente vita e oggi sono uomini liberi
che lavorano e mantengono una famiglia; allora perché non si parla anche di
loro? È difficile cambiare la mentalità
della società, un detenuto è ritenuto
tale anche dopo aver scontato la pena,
anche se sono passati vent’anni dalla
scarcerazione e si è rifatto una vita.
Carlo Bussetti
AFFIDAMENTO - Una misura che ti fa sentire quasi libero
Ma la notte no
I
n Europa (Francia e Gran Bretagna) circa il 74% delle
condanne viene scontato con misure alternative al carcere, mentre in Italia è l’esatto contrario poiché l’83% dei
condannati passano la pena ristretti in carcere. Con i due
decreti del 2013 un po’ l’aria è cambiata, complici forse anche le vicine possibili sanzioni dell’Unione Europea e così i
numeri ora sono un po’ diversi. Oggi a esempio, a differenza
di un anno fa, può accedere alle misure alternative, come
l’affidamento in prova, il condannato che deve espiare una
pena residua al di sotto di quattro anni (prima era sotto i
tre anni). Questo crea un flusso d’uscita costante ma lento,
anche perché l’applicazione della legge è sempre subordinata
alla discrezionalità del magistrato di sorveglianza. A me a
esempio lo scorso 13 marzo 2014 il Tribunale di Sorveglianza
di Milano ha concesso come pena alternativa al carcere l’affidamento in prova ai servizi sociali, ma questo non significa
che sconterò in misura alternativa gli ultimi quattro anni,
dato che in agosto avrò comunque esaurito la mia pena.
Cosa vuol dire beneficiare di una misura alternativa come
l’affidamento in prova? L’ho tanto atteso e adesso che mi è
stato concesso le polemiche le ho buttate dietro alle spal-
le. L’affidamento in prova ai servizi sociali è una forma di
espiazione della pena fuori dal carcere. Viene concesso dopo
aver scontato una gran parte della pena complessiva, a condizione che il condannato si sia comportato bene, ovvero
che abbia dato prova di aver seguito il programma rieducativo proposto dalla direzione del carcere. Non è, dunque, un
automatismo. Bisogna conquistarselo. Personalmente, nei
quasi tre anni passati a Bollate ho svolto parecchie attività
di volontariato, ho fatto il “giornalista” e lo “speaker radiofonico”, il corista liturgico e lo sportellista al segretariato
sociale, oltre che il segretario in varie commissioni. Questo
mi ha permesso di arrivare a conquistare il primo gradino
verso la libertà: il lavoro esterno, ossia la possibilità di uscire
dal carcere per alcune ore per recarmi al lavoro e, poi, al
termine della giornata lavorativa rientrare in carcere. Difficile situazione, perché le limitazioni al libero movimento
sono molte e rigide. Si deve uscire a un certo orario, seguire un predeterminato percorso per raggiungere il posto di
lavoro entro un orario stabilito; pausa pranzo e uscita dal
lavoro sono anch’esse definite. Ogni inconveniente che può
comportare ritardi sul lavoro o per rientrare in istituto oltre
carteBollate
23
dossier
l’orario previsto deve essere telefonicamente preannunciato
al proprio reparto. Vietato entrare in un negozio o fare la
spesa nel giorno non assegnato nel programma. Pena, per
il non rispetto di queste regole, è essere “chiusi” per un certo periodo o, nei casi più gravi, comporta anche il trasferimento ad altro istituto e addio lavoro e quella poca libertà
conquistata! L’affidamento è invece meno pesante. Innanzi
tutto cambia il padrone. Non è più responsabile il direttore
del carcere come nel caso dell’art. 21, ma il magistrato di
sorveglianza. Non per dire che il direttore sia più severo del
magistrato, tuttavia, con l’affidamento si acquista una maggiore autonomia di movimento, in quanto non si debbono più
rispettare percorsi obbligati.
Nel mio caso l’affidamento è un po’ la continuazione dell’art.
21: stesso lavoro, con un po’ più di mobilità, senza richieste
di particolari autorizzazioni e nessun vincolo di orario, ma
la vera novità è quella che si torna a vivere a casa propria
con la famiglia. Il Tribunale di Sorveglianza mi ha concesso
di muovermi entro i confini della Lombardia fra le sei del
mattino e le undici della sera. Posso andare liberamente a
lavorare, entrare negli esercizi pubblici che voglio, o svolgere l’attività di volontariato negli orari liberamente prefissati
con la cooperativa che ne ha la gestione. Mi è vietato frequentare pregiudicati e ho obbligo di restare in casa nelle
ore notturne. Sono affidato a un’assistente sociale del Uepe
della mia zona di residenza, che fa da tramite fra me e il magistrato di sorveglianza e che ha il compito di monitorare il
mio comportamento. Nella fascia oraria fra le 23.00 e le 6.00
del giorno successivo, le forze di polizia possono verificare la
mia presenza in casa pena, per l’eventuale assenza, la revoca della misura alternativa. Beh, in questo modo si respira
un aria di libertà quasi completa e, comunque, generosa rispetto a quella che ho provato in questi tre anni. Il rischio
di questa nuova condizione è che ci si possa dimenticare di
essere ancora dei detenuti e si possa commettere qualche
infrazione. Il riconquistato sapore della libertà porta forse
a dimenticarsi della condizione di uomo che non ha ancora
finito di espiare la pena. L’importante, tuttavia, è tornare a
riempire la giornata con un lavoro, perché ti dà autonomia
economica e ti fa sentire una persona “normale”; la mancanza di lavoro o un lavoro precario può facilitare il ritorno
al reato, la recidiva in termine tecnico. Ma non è il mio caso.
Anzi, l’obbligo notturno mi ricorda ogni giorno che non
sono ancora un uomo veramente libero. Anche se devo dire
che tale obbligo non mi pesa particolarmente, visto che mi
alzo alle 5.30 del mattino per prendere il treno alle 6.40 per
Milano, e rientro alle otto di sera stanco morto! Anzi la mia
vera preoccupazione è quella di non sentire il campanello
di casa che gli agenti della Volante di turno suonano per
effettuare il controllo, quasi sempre nel pieno della notte.
Per fortuna c’è Spot, il cane di famiglia, che abbaia e mi
evita guai certi a causa di un sonno troppo profondo, anche
se sveglia il resto della famiglia! A proposito, ma non si può
studiare un sistema di controllo migliore per evitare questi
inconvenienti a chi espia la pena e risparmiare fatiche agli
agenti di polizia? Nel tempo dell’elettronica forse è il momento di pensarci.
Maurizio Bianchi
ART. 21 – Una doppia carcerazione
Un errore e sei dentro
R
oberta è in articolo 21 da pochi
mesi, che vuol dire che al mattino esce dal carcere per andare a lavorare e alla sera rientra.
Un traguardo sospirato, per il quale si
è impegnata, ma adesso che l’obiettivo
è raggiunto lo vive come una doppia
carcerazione.
Vediamo perché.
Ciao Roberta, ci racconti cos’è l’articolo 21?
Non è altro che una prova per vedere
quanto possiamo reggere. Un attimo
prima assapori la libertà e un attimo
dopo arriva l’inferno. Non pensate che
sia facile da affrontare, sembra una
passeggiata ma vi assicuro non è così.
Che lavoro svolgi all’ esterno del
carcere?
Lavoro in una associazioni onlus ed è
un lavoro come quello di tanti altri detenuti. Gli stipendi sono bassi, troppo
bassi anche se il datore di lavoro che
assume detenuti è già avvantaggiato
perché ha diritto alle detrazioni fiscali
previste dalla legge Smuraglia.
Ma almeno sei fuori dal carcere, se
ne hai voglia puoi fermarti a bere
24
carteBollate
un caffè, a comprarti qualcosa…
Queste sono favole, non puoi fermarti
dove vuoi, perché devi fare il percorso
di andata e ritorno secondo un itinerario prefissato, niente bar e negozi, non
puoi parlare con nessuno, soprattutto
pregiudicati.
Ti viene la tentazione di fermarti o
magari di andare dal parrucchiere?
Sì, perché ti senti libera, ma hai la testa sulle spalle che ti dice di non farlo,
perché metti a rischio quel po’ di libertà che comunque ti sei conquistata e
che in ogni momento può essere revocata. Un errore e sei di nuovo dentro
tutto il giorno.
Quali sono le tue sensazioni quando esci dalla carraia?
Di respirare un’aria diversa e mettere da parte ciò che tu sei in questo
momento. La cosa più bella è vedere
il sorriso degli altri che come me che
vanno a lavorare e possono non dipendere dai loro familiari.
Durante la giornata cosa fai?
Io lavoro tutto il giorno, ma non è l’unica possibilità.
Ti faccio degli esempi: ci sono persone
che stanno fuori anche dieci ore, chi
sta fuori otto ore, chi cinque, chi va a
fare solo un corso e c’è chi invece per
terminare la sua pena non avendo più
l’età per lavorare va a fare il volontariato.
Fuori fai anche subito i conti con il costo della vita: metrò, pullman che non
sono di Atm, treno, il mangiare, il caffè
sul lavoro e deve avanzarti anche qualcosa per vivere in carcere con la spesa
quotidiana.
E allora cosa ti resta dello stipendio,
da mandare a casa?
In tutti i tuoi movimenti e sul lavoro vieni anche controllata?
Sì, ti dico anche il perché; ci possono
essere possibilità di incontri con i familiari durante la pausa pranzo o al
rientro in istituto, ed è qui che potresti
essere in compagnia di persone con le
quali c’è un esplicito divieto di incontro…..
Hai la possibilità di poter comunicare con qualunque persona al telefono?
In un certo senso sì, perché hai un te-
COMUNITA’ 2 – Un’esperienza da non ripetere
Meglio la galera
L
a mia esperienza in una comunità residenziale è la seconda esperienza più brutta e negativa che
abbia mai avuto nei miei 36 anni
di vita.
Il personale che vi lavorava non era per
niente professionale, c’erano tre operatrici che avevano rapporti preferenziali
con alcuni ospiti e che trascuravano gli
altri pazienti. C’era anche un operatore,
un ex tossico che poi tanto ex non era e
noi ovviamente non potevamo non notarlo.
Secondo i loro parametri, se te la cantavi
eri sulla buona strada, ma se uno faceva
molti cambiamenti ma non se la cantava,
non andava per niente bene e questo è
stato il mio maggior problema.
Dicono che se uno accusa i suoi compagni esce dalla mentalità criminale,
ma loro sono lì per curare la nostra
tossicodipendenza e questo loro voler
fare di più manda in confusione i pa-
zienti facendoli fallire.
Per ogni cosa che chiedevo, la risposta
era sempre la stessa, “no”, mi dissero
che a me non piaceva sentirmi dire di
“no” e allora loro lo facevano apposta,
credevano così tanto in questa cosa,
che pure quando chiesi di poter avere
per colazione due fette biscottate anziché il caffè o il latte, per problemi di
salute, la loro risposta fu no!
La cosa più assurda fu quando ebbi
una fortissima litigata con un’operatrice perché pretendeva che io, con la
gamba ingessata e la stampelle, facessi
il giro per la casa, piano alto compreso,
con un enorme secchio per svuotare i
cestini. Persi totalmente il controllo e
le dissi le parole più offensive che mi
venivano in mente e che non mi permetto di scrivere in questo articolo.
All’interno della comunità, facevamo
dei lavoretti e ci dicevano che i soldi
guadagnati servivano per le uscite, ma
in cinque mesi in cui sono stato lì, ne
abbiamo fatta una sola.
Dopo quattro mesi, chiesi di dare le
dimissioni, preferivo ritornarmene
in carcere, ma loro mi hanno proposto molto insistentemente un’altra
comunità e allora decisi di provare,
dovevo solo attendere il nulla osta
della Regione Lombardia perché l’altra comunità era in Emilia-Romagna.
Dopo un mese, quando ero ormai allo
stremo delle mie forze mentali, ebbi
una discussione con un altro ospite e
per difendermi dovetti anche usare le
mani. Il risultato? L’altro ospite continuò tranquillamente il suo percorso
comunitario, io mi ritrovai nel carcere
di Lodi, trasferito immediatamente a
Cremona con una relazione comunitaria assolutamente negativa, e dell’altra
comunità non ne ho più sentito parlare. Magari ci sono comunità più serie o
più morbide, io non lo so, quello che so
è che, per quanto mi riguarda, preferisco starmene in carcere piuttosto che
andare in una comunità residenziale,
posto in cui sicuramente, non metterò
mai più un piede.
Benedetto Marino
lefono personale però senza preavviso
viene controllato, ma se non hai nulla
da nascondere non c’è problema.
Come avviene il tragitto del rientro?
Il tragitto del rientro… Cammini fino
ad avere mal di stomaco, è come se ti
mancasse il respiro. Quando vedi da
lontano il carcere ti viene l’incubo di
tornare dentro. E ti senti umiliata, è il
modo di non farti dimenticare chi sei
in realtà.
Quali sono le tue emozione quando
rientri?
La prima impressione è che ti senti
mancare l’aria, poi senti le urla, tiri in
alto la testa e guardi le finestre. Passi la carraia, perquisizione, e poi forse
rientri in sezione, sempre che non sorgano problemi, magari per qualcosa di
inutile che potresti avere dimenticato
in tasca.
Ma se sei fuori tutti i giorni quando
incontri i tuoi famigliari?
Vado in allargamento, che vuol dire a
casa una volta alla settimana. Questo
ti consente di recuperare l’affetto della famiglia e quando sei lì non vorresti più tornare indietro. Ma poi sei più
forte tu, sai che anche questo fa parte
del tuo percorso per tornare a essere
una persona libera. Abbracci tutti e te
ne vai.
Debora Beolchi e Antonella Corrias
carteBollate
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dossier
COMUNITA’- Prendete accurate informazioni prima di andarci
Terapeutiche ma non sempre
P
arliamo di comunità per la cura
e il recupero dei tossicodipendenti. La dipendenza da sostanze alteranti, in Italia, è sotto la
giurisdizione dei Ser.T (Servizio per
le Tossicodipendenze che fa capo alle
Asl). Il paziente, perché di paziente
stiamo parlando, si rivolge al Ser.T per
intraprendere una cura adatta alla sua
personalità e, tralasciando quella farmacologica, di solito ci si rivolge alle comunità terapeutiche. Queste per legge
devono avere dei requisiti ben precisi
per operare, soprattutto il supporto di
operatori qualificati, psicologi e tutto
un apparato che, con modalità ben impostate, cercano di far uscire quello che
di buono ognuno ha dentro. Si rivedono
comportamenti e si cerca di rimuovere
le cause che hanno portato l’individuo a
prendere quella strada.
Normalmente questo percorso consiste
nel rivedere con gli operatori i motivi
che hanno portato l’individuo su quella
strada, dopo l’analisi si cerca di fare un
programma concordato per permettere
al paziente di trovare un’alternativa.
Tutto questo in via teorica, o perlomeno come da legge. Di solito, specie per
persone detenute, si offre un soggiorno
per un programma concordato che parte da un minimo di sei mesi. Lo Stato
paga per ogni paziente circa 50 euro
al giorno per il soggiorno in comunità.
Soldi dei contribuenti che hanno tutto
il diritto di essere informati su quello
che realmente accade, perché ci sono
comunità veramente aperte, dove ti
fanno fare un percorso individuale, ma
soprattutto non ti fanno perdere il senso della realtà, cercando di farti uscire
dal “tunnel” della devianza. Ma ce ne
sono altre che sono luoghi chiusi, dove
arrivi a sentirti il cervello spappolato,
non capisci più dove sta la verità o la
menzogna, confondi tutto. Ma anche
questi posti incassano i quattrini del
contribuente!
Io sono stato ospite in due comunità,
una l’opposto dell’altra. Nella prima, sin
dal momento del mio ingresso, fui accolto da persone motivate e veramente
capaci a gestire il non facile compito di
lavorare sulla mente umana. Lì, tra alti
e bassi, posso dire che stavo riuscendo a fare un buon percorso rivedendo
il vissuto e cercando di correggermi in
alcuni modi di fare. Ebbi l’onore d’incontrare persone buone e oneste, con
il loro aiuto sono riuscito a raggiunge26
carteBollate
re degli obiettivi che in qualche modo
porto ancora adesso nel mio zainetto.
Obiettivi validi per il mio futuro, per potermi garantire una serena vita quando
rientrerò nel mondo reale.
Nella seconda struttura ci finii un po’
controvoglia, ma o accetti questo o resti
in galera. Lì riprese il faticoso cammino
iniziato nella prima struttura, ma mi
gestivano male, mi creavano insicurezza, paranoia, desideri suicidi. Per fortuna avevamo una cucciolotta trovatella,
tutta nera con una croce bianca sul
petto, che elessi come mia operatrice e,
come se intuisse la mia angoscia, riuscì
a distrarmi dal mio insano proposito.
Sostanzialmente subivo una continua
tortura psicologica, con ordini contraddittori tra di loro. Avrebbero dovuto far
emergere il buono che abbiamo dentro,
ma mi trattavano in modo inumano,
l’insulto era la regola, tutto quello che
facevo era sbagliato, tutto quello che
dicevo era sbagliato, loro avevano ragione su tutti i fronti ma, più grave, vedevo sgretolarsi quello che piano piano
e con fatica avevo costruito nella prima
struttura. Cercai di parlare e spiegar-
“
Cercai di parlare
e spiegarmi, ma fu
tutto inutile, così comin-
SMARRITO
No,
non ci saran ricordi
e nemmeno gesti
ad accarezzarti il volto
nemmeno loro ci saranno
no amico mio
nemmeno loro
ma solo il contemplar
dell’assenza.
Giacomo De Santis
Il rumore è caos
è il rovescio di una medaglia
si usa per attirare l’attenzione
o per farci ascoltare.
Il rumore è anche divertimento
serve per chiedere aiuto
ma… nessuno ci ascolta
allora sapete cosa dico?
Leonardo Belardi
IL GIRASOLE IMPAZZITO
FOLLIA
Come un girasole
al centro del giardino
disperatamente
cerco la luce,
trovo solo ombre rapite.
È una follia odiare tutte le rose
perché una di queste ti ha punto
non rinunciare tutti i giorni a te stesso
anche se è il tuo obiettivo
non rinunciare a tutti tentativi
perché uno di loro è fallito,
- è una follia non condannare tutte le amicizie
perché una ti ha tradito
non rinunciare a un vero amore
perché uno è stato infedele
non tutte le cose vanno per il verso giusto
ma nella vita c’è sempre un’altra opportunità
in un’altra amicizia
in un’altra vita
nella felicità c’è una nuova forza
per ogni fine c’è sempre un nuovo inizio
ed io non vedo l’ora di
iniziare.
Roberto Giorgio
Luigi Bellanti
tori come nemici, di cui
mi, ma fu tutto inutile, così cominciai
a vedere gli operatori come nemici di
cui non potevo fidarmi. Mi fecero male,
costringendomi all’esasperazione e rovinando quel buon cammino che avevo
intrapreso quando decisi di rivolgermi al Ser.T. Esiste sempre un punto di
rottura quando si è sottoposti a stress
(oggi va tanto di moda la parola mobbing ed è anche reato).
Andò a finire che prevalse l’istinto di
sopravvivenza, son riuscito a gestirmi
al meglio evitando conseguenze gravi.
Mi hanno “dimesso” con una relazione
striminzita che parla di regole infrante,
ma non spiegano quali, morale mi hanno fatto tornare in prigione con l’aggravante che per tre anni non posso chiedere alcun beneficio.
Oggi mi manca poco per uscire, senza
l’aiuto della comunità sarei già fuori. Il
consiglio che posso darvi è di informarvi bene in quale situazione state andando quando vi pongono in una comunità
e se accettate, e vedete che le cose vanno male, rivolgetevi al Ser.T, all’UEPE e
per conoscenza al Magistrato di sorveglianza competente. Evitate di fare la
mia fine.
Santino Nardi
Il clarinetto
Cullato dagli archi
Sussurra una melodia tenera
Dai movimenti discendenti
Che nascondono
Una serena tristezza.
Teresa Baroni
RUMORE
Facciamo rumore!!
ciai a vedere gli operanon potevo fidarmi.
IL CLARINETTO
HARDCORE
Sento i brividi
percorrere il corpo
il cuore batte
all’impazzata
e
la testa viaggia
magicamente…
Barbara Pasculli
ACROSTICO
Guardo
In
Alto
Nella
Nullità
Immensa
Qani Kelolli
SONO STANCO
LA CADUTA
QUEL BACIO
A chi precipita non è permesso di accorgersi
né di sentire quando tocca il fondo.
Quel bacio che ti ho dato…
quanto ti ho amato!
È stato il più bel sapore
che abbia mai assaporato
ma quando mi hai lasciato
quello stesso bacio
aveva un sapore avvelenato.
Barbara Balzano
Questa bella combinazione
è destinata agli uomini
che in un momento della vita
hanno cercato qualcosa
invano.
Gianpaolo Agrati
Sono stanco del silenzio
Vorrei gridare la mia ira
Spaccare muri e sbarre
Sono condannato
A tenermi l’amore
Dentro la scatola del cuore
Questo mi fa impazzire.
Avere amore e non poterlo offrire.
Karim Chari
carteBollate
27
Dove ti porterei
CIPRO – A vela sui mari solcati da Ulisse
Un museo all'aperto
di antiche culture
S
ul Corriere della Sera di qualche mese fa mi colpì la foto di due
bimbi che giocano nei pressi del
muro che divide in due l’isola di
Cipro. Sul muro una grossa scritta cita:
“Ehi turchi non dimenticatevi del massacro”, è un esplicito riferimento ai motivi dell’invasione turca del 1974, sono
passati 40 anni.
Mi ricordai così di una gita in barca
fatta anni orsono accompagnando dei
clienti dall’Italia all’isola di Cipro. Allora
ero nel porto di Lavagna in Liguria, e ci
stavamo preparando per intraprendere
la crociera. Si era deciso di affrontare il
viaggio in una unica tappa, circa 1650
miglia marittime, calcolando di poter
percorrere circa 200 miglia al giorno
avremmo impiegato 16 giorni. La barca
a vela era un Comet 55 piedi. Si sarebbe
dovuto passare per lo stretto di Messina,
unico momento di vera difficoltà visti il
traffico intenso che affligge lo stretto e
le forti correnti.
Il meteo ci fornì indicazioni di tempo
buono e mare poco formato, venti favorevoli almeno per tutto il Tirreno dove
si riesce a sfruttare il maestrale. In estate non è un vento impetuoso e può durare anche sei giorni. Subito dall’uscita
del porto sfilammo la lunga lenza con
sei ami a cui inserimmo sei esche sintetiche che quasi giornalmente ci concessero del buon pesce da gustare anche crudo con un filo di olio e limone
accompagnato da un buon bicchiere di
vino bianco.
Le giornate di navigazione procedettero con gran gioia di tutti noi, la costa
in Tirreno è molto bella con numerose
isole che da lontano evocano immagini
fantastiche e ricordi di civiltà storiche
e di battaglie navali. Capri ci apparì al
tramonto, scura mentre il sole dietro di
lei infuocava l’orizzonte.
Passammo lo stretto a motore, più sicuro. Sul mar Ionio il vento cambiò direzione, libeccio, il mare più formato,
si puntò su Creta che passammo verso
sud dopo nove giorni di navigazione. Il
mare dopo Creta ingrossò, un bel forza
cinque al traverso, la pesca scarseggiò e
si diede fondo alle provviste fin quando
il mare ci concesse momenti di relativa
calma per poterci cucinare qualcosa di
28
carteBollate
caldo e di più saporito dei prodotti precotti.
Ci trovammo dopo 15 giorni a poche miglia dall’isola Cipro. Pioveva a forti scrosci ma l’Est chiaro ci fece ben sperare
per l’attracco al porto di Pafos sull’isola.
Era mattina quando raggiungemmo la
banchina della capitaneria di porto. Velocemente e cordialmente sbrigammo
le pratiche per l’ancoraggio. Il porto è
vecchio ma accogliente e il posto barca assegnatoci ben fornito e tranquillo.
Al nostro fianco, in banchina, c’era uno
yacht francese lussuosissimo con un capitano superbo, arrogante e poco amichevole.
Dopo aver lavato vele e tutto l’esterno
e l’interno arieggiandolo, la giornata era
splendida e un bel venticello dava respiro a un sole limpido, ci concedemmo un
meritato pranzo in un ristorante molto
grazioso pieno di dipinti e oggetti antichi
(o pseudo tali). Si mangiò molto bene e
assaggiammo il gustosissimo formaggio tipico chiamato anari. La cucina è
mediterranea, molto ricca di grassi dovuti all’uso di carne di agnello, montone
e maiale. Molto buoni sono i formaggi,
ma anche piatti tipici dal nome impronunciabile e di cui non ricordo se non le
combinazioni di vari ingredienti come
l’insalata greca a base di olive nere, feta,
cipolle pomodoro e origano. Ottimi sono
gli spiedini di maiale. Ricordo un purè
di patate con noci, mandorle aglio e olio,
ottimo. Buonissimi sono gli involtini di
riso in foglia di vite. Anche il vino è buono, non so se di produzione locale, ma
certamente greco.
È strano, fra le molte isole visitate ho
sempre riscontrato che la cucina locale
è scarsa di piatti di pesce e anche qui
era facile trovare piatti di carne come
agnello e selvaggina, ma poco pesce. Il
giorno seguente accompagnati da una
guida locale che parlava perfettamente l’italiano andammo alla scoperta
della città. Questa si presentò in parte
moderna e in parte, quella più bella e
interessante, antica. Poco distante dal
porto su un istmo sorge un castello semidiroccato, ma interessante da visitare. A sera pranzammo in un locale tipico
dove più tardi una band in costume ci
intrattenne con dolci melodie. Il giorno
dopo andammo alla scoperta dei bei palazzi risalenti l’Impero Romano, di cui la
città è ricca, e dove vi sono ancora conservati meravigliosi mosaici raffiguranti eventi della mitologia, e della storia.
Visitammo i resti del santuario dedicato
alla dea Afrodite che secondo la mitologia greca nacque qui.
Pafos è una antica città portuale
all’estremità occidentale di Cipro, leggo che sarà nominata Capitale europea
della cultura nel 2017.
Ho letto che oggi, come già allora, il turismo molto sviluppato crea problemi
ambientali. Il mare vicino alla costa, peraltro molto bella e alta tranne alcune
bellissime baie come quella di Famagosta, è inquinato dalle acque non depurate e le falde acquifere sono insufficienti
al fabbisogno dell’isola. Gli insediamenti
turistici stanno nascendo anche in molte aree di interesse naturalistico depauperando l’ambiente. Il governo ha creato per questo delle zone protette, che
ospitano importanti specie zoologiche
e botaniche, e ha firmato una serie di
accordi internazionali per la tutela del
patrimonio naturale e del mar Mediterraneo.
Le lingue ufficiali sono il greco e il
turco, il cipriota è il più affine al greco
antico. I membri della comunità greca
appartengono alla Chiesa nazionale
di Cipro (80% della popolazione), formalmente indipendente dalla Chiesa
ortodossa orientale; la minoranza turca
professa la religione musulmana (19%);
esigue minoranze sono rappresentate
da maroniti (arabi cristiani), cattolici
ed ebrei.
La partizione dell’isola causò massicci
spostamenti di popolazione, che resero
le due parti di Cipro etnicamente pressoché omogenee.
Il 15 novembre 1983 nel settore settentrionale dell’isola venne ufficialmente
proclamata la Repubblica turca di Cipro del Nord.
Negli anni seguenti l’esasperato nazionalismo delle due fazioni e gli effetti
delle tensioni tra Grecia e Turchia vanificarono ogni tentativo di mediazione
da parte della diplomazia internazionale. I rappresentanti delle due comuni-
tà si incontrarono infatti più volte, ma
senza alcun esito.
Il 1° gennaio 2008 la Repubblica di Cipro è ammessa nell’Unione monetaria
europea; la lira sterlina viene così sostituita dall’euro.
È una tipica macchia mediterranea e la
vegetazione è scarsa. Si incontrano molti
carrubi, ma non mancano pini e olivi. Si
trovano anche alberi di cedri, dal frutto
grosso e succulento. Per rimboschire il
territorio, sono stati piantati estensivamente alberi di eucalipto. La fauna selvatica è costituita essenzialmente dal
muflone e da numerose varietà di pernici; l’isola ospita periodicamente anche
stormi di uccelli migratori.
La circolazione è a sinistra e strane sono
le cabine telefoniche di colore verde,
sembrano quelle vecchie che si trovano
ancora, anche se sono rare, a Londra.
Tutta l’isola è un museo all’aperto di
testimonianze di antiche culture come
quella greca e romana in primis, ma
anche egiziana e fenicia. I ciprioti sono
persone cordialissime, difficile però
capire la loro lingua, ma a gesti e con
grandi risate di tutti e con l’aiuto dell’interprete ci si intendeva bene.
La visita a Pafos e dintorni durò più del
previsto e in accordo con i clienti si decise che loro sarebbero ritornati in areo.
La città dispone di un modernissimo aeroporto internazionale. Partii quindi da
solo verso l’Italia decidendo di fare una
sosta nell’isola di Creta che non conoscevo. Lasciai con un pizzico di nostalgia la
bella Pafos e intrapresi la navigazione
accompagnato dal solo rumore del dolce fruscio dell’acqua contro la carena,
incontro a giornate bellissime piene di
silenzio. A occhi aperti sognavo di antichi greci, di Ulisse, con le loro barche
a remi lottare contro mari in burrasca.
Ed era la gioia di poter governare una
buona barca, di avere come compagni
un vento leggero che gentilmente gonfiava le vele cazzate a stecca e il saluto
dei gabbiani golosi dei pezzetti di burro
che gettavo loro in aria e che, con grande agilità, ghermivano al volo.
Paolo Sorrentino
pagina accanto:
in alto
il tempio di Apollo Hylates,
in basso
lo scoglio di Afrodite,
in questa pagina:
in alto,
il castello di pafos
in basso
aghia napa, le grotte
dei pirati
piatto tipico di insalata
greca
carteBollate
29
Sporti
rugby –
Nasce una nuova squadra, i Barbari di Bollate
Uno sport bestiale
giocato da gentiluomini
M
olte razze, diverse religioni
e svariati colori di pelle si
uniscono in un solo nome,
sono i Barbari di Bollate, la
squadra di rugby della casa di reclusione di Bollate.
Promotori di questa iniziativa sono Federico Pozzi, Sergio Carnovali e i fratelli
Luca e Giorgio Mosseri dell’Associazione
Sportiva Dilettantistica Rugby Milano.
Da ormai sette anni portano avanti con
passione e impegno questa iniziativa
nel carcere minorile Cesare Beccaria di
Milano e dal marzo 2013 hanno cominciato a esportarla anche qui, alla Casa di
reclusione di Bollate.
Parlandoci e vedendoli allenare i ragazzi,
non si può non notare la grande passione che investono in questo progetto, che
sono riusciti a trasmettere in modo molto
forte ma non solo: hanno trasmesso anche il rispetto, la lealtà e l’impegno; tutte
cose che i ragazzi prendono con molta serietà, non a caso, il loro motto è: “prima
rispetto e poi divertimento”.
Assistendo agli allenamenti e a una partita, la loro prima partitella, si è notata
una fortissima unione tra di loro. Dal
momento che scendono in campo non
esiste più il singolo uomo, sono una
squadra e ognuno di loro lavora solo per
il bene di questa squadra, senza pensare ai risultati individuali.
Come è noto, si tratta di uno sport anche abbastanza duro e non a caso una
delle massime più conosciute dice che
“Il rugby è uno sport bestiale giocato da
gentiluomini ”. Il fatto poi che si tratti di
un gioco pieno di mischie, placcaggi e
altre fasi sempre abbastanza fisiche ci ha
spinto a chiedere ai promotori di questa
iniziativa se avevano avuto molte difficoltà a insegnare a dei ragazzi detenuti,
che spesso la società indica come violenti, a svolgere durante il gioco delle azioni
molto dure senza eccedere, comportandosi sempre e comunque in maniera leale e rispettosi con gli avversari.
calcio – La battaglia inizia il 12 giugno
Arrivano i mondiali
tifoserie schierate
C
i siamo quasi, è arrivata l’ora
di tirare fuori bandiere, sciarpette, cappellini e quant’altro,
appartenenti alle proprie nazionali di calcio. Arrivano i mondiali, tanto attesi non solo da tutti gli appassionati
ma anche da chi con il calcio ha poco da
spartire; anche loro in questa occasione
diventano tifosi della rispettiva nazionale. Mondiali che quest’anno si terranno
nella terra del calcio ma anche del sole e
dei bikini, in Brasile, che è anche la terra
di molti famosi giocatori come Careca,
Roberto Carlos, Rivaldo, il fenomeno Ronaldo e più di tutti, il mitico Pelè.
La battaglia per aggiudicarsi il trofeo più
ambito, inizierà il 12 giugno alle ore 17 (in
Italia saranno le 22) con la partita inaugurale che vedrà i padroni di casa del
Brasile, affrontare la Croazia. L’Italia invece debutterà a Manaus il 14 giugno alle
30
carteBollate
ore 18 (da noi sarà mezzanotte) contro la
compagine inglese.
Intanto cresce l’ansia per l’attesa, nonostante la consapevolezza che la nostra
nazionale ha ben poche possibilità di
arrivare fino in fondo, ma la storia ci ha
insegnato che siamo in grado di stupire e
che diamo il meglio proprio quando nessuno crede in noi.
Come accadde nel 2006, quando nessuno
avrebbe scommesso un solo centesimo
su di noi e invece il risultato lo sapete benissimo quale fu, diventammo i campioni
del mondo, e certamente Zinedine Zidane non se lo è mai scordato.
Questo, e non solo, fa sperare che se pur
sfavoriti, noi abbiamo sempre la speranza, noi siamo immortali, noi siamo l’Italia.
Calcisticamente parlando, si intende, perché per il resto c’è poco da stare allegri.
B. M.
1. Nel complesso carteBollate ti piace?
Federico Pozzi e Sergio Carnovali, come
se fossero un coro, hanno risposto che
non hanno avuto alcun problema, anzi
hanno tenuto a precisare che sotto questo aspetto hanno avuto più da fare con
i giocatori delle squadre dilettantistiche, i cosiddetti normoinseriti.
Il progetto futuro sembra ottimo, si pensa a una situazione simile alla squadra
di calcio della Casa di reclusione stessa,
partendo dal coach fino al ragazzo che
porta l’acqua, con tanto di iscrizione ai
campionati dilettantistici, cosa molto
difficile da organizzare al Cesare Beccaria visto che essendo minori, spesso,
per fortuna, non hanno una permanenza lunga all’interno dell’istituto.
Alla Casa di reclusione di Bollate invece
la cosa è più fattibile, dato che i ragazzi hanno in genere (sfortunatamente)
delle pene più lunghe. Comunque, loro
prevedono che per raggiungere questi e
altri obbiettivi ci vorranno almeno cinque anni e, di sicuro, sia loro che i ragazzi hanno serietà, impegno, passione
e volontà da vendere.
Benedetto Marino

MOLTO ABBASTANZA 
COSÌ COSÌ 
POCO 
PER NIENTE
2.In questo numero quale articolo ti è piaciuto di più?
3.Perché?
PER IL TEMA
STILE DI NARRAZIONE

SCOPRO COSE NUOVE
ARGOMENTO CHE MI PUÒ SERVIRE
4.Come sono gli articoli?
 POCO SPECIFICI
 TROPPO SPECIFICI
5.Grafica e copertina ti attirano e ti piacciono?

MOLTO ABBASTANZA 
COSÌ COSÌ 
POCO 
PER NIENTE
6. Ad un amico/parente esterno suggeriresti di abbonarsi?
SÌ
NO
7. Argomenti che vorresti vedere trattati:
A pagg.16-17 trovate il calendario dei
Mondiali per seguire tutte le partite e
aggiornare i gironi.

GIURISPRUDENZA
I TUOI DIRITTI
SPORT
LAVORO

HOBBY
SCUOLA
ATTUALITÀ POLITICA

ARTE
VIAGGI
Lettore, grazie per la tua attenzione.
Per venire sempre più incontro ai tuoi desideri e/o richieste, ti chiediamo di aiutarci a
preparare un giornale che ti soddisfi al meglio.
Ti chiediamo due minuti del tuo tempo per rispondere alle domande successive.
Un nostro redattore del tuo reparto passerà a ritirare il questionario nei prossimi giorni
presso la tua cella.
carteBollate
31
MAI
SENZA
kit carcerario
Una bottiglia di detersivo forata
e una scatoletta di tonno inserita
nel foro: ecco un portacenere
foto carlo bussetti
da attaccare alla branda.