maggio-giugno - Il Nuovo Carte Bollate
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maggio-giugno - Il Nuovo Carte Bollate
carteBollate il nuovo maggio-giugno numero 3/2014 Periodico di informazione della II Casa di reclusione di Milano-Bollate Dossier misure alternative Liberi ma non troppo Parisi incontra Liberazione carteBollate p. 4 anticipata Non siamo a rischio sovraffollamento la Redazione p. 6 Morire di web La Consulta Nove adolescenti faccia chiarezza suicidi per minacce di S. Nardi e P. Sorrentino di Paolo Sorrentino p. 10 L'eroismo dimenticato p. 14 Quando gli albanesi salvarono gli ebrei di Qani Kelolli marzo - aprile numero 3/2014 Sommario Editoriale Bollate un progetto collettivo Q le pene alternative Editoriale Bollate, un progetto collettivo Dossier p. 3 Giustizia Contro il sovraffollamento più misure alternative La parola a Bollate in divisa La Corte costituzionale faccia chiarezza Scontata la pena è ancora in carcere 4 6 6 7 Attualità Guarire senza farmaci 8 Sfogliami come un libro 9 Pirati della strada: il carcere li può fermare? 9 Si suicidano nove adolescenti minacciati via web 10 Arriva anche da noi la moda degli speed drink 11 Anziana rapina una banca 11 Cultura Proviamo a capire chi siamo Luoghi e tempi della memoria L'eroismo albanese contro la Shoah 12 13 14 Brasile: il calendario dei Mondiali 2014 16 Dall'interno Arrivano gli Ueitings e la scena si infiamma Laurearsi in carcere che senso ha? 8 2 carteBollate Surrogato di libertà 19 Queste le misure alternative e i benefici previsti 20 Appena uscita mi tremavano le gambe 20 Libertà a tempo determinato 22 Il diritto di essere dimenticati dai media 22 Fuori per un giorno salva un infartuato 23 Ma la notte no 23 Un errore e sei dentro 24 Meglio la galera 25 Terapeutiche ma non sempre 26 Poesia 27 Dove ti porterei Un museo all'aperto di antiche culture 18 18 16 28 Sport Uno sport bestiale Arrivano i mondiali tifoserie schierate 30 Questionario 31 Mai senza 32 28 30 30 Il nuovo carteBollate via C. Belgioioso 120 20157 Milano Redazione Angelo Aquino Maria Teresa Barboni Debora Beolchi Edgardo Bertulli Fabio Biolcati Carlo Bussetti Nazareno Caporali Elena Casula Marina Cugnaschi Giulia Fiori Qani Kelolli Mohamed Lamaani Enrico Lazzara Benedetto Marino Rosario Mascari Renato Mele Santino Nardi Federical Neeff (art director) Fabio Padalino Silvia Palombi Antonio Paolo Diego Pirola (impaginazione) Roberto Pittana Susanna Ripamonti (direttrice responsabile) Luciano Rossetti Paolo Sorrentino Giuliano Voci Domenico Vottari Ha collaborato a questo numero Maddalena Capalbi uando apro la cartella di carteBollate che conservo sulla mia chiavetta usb, trovo in bella fila 39 cartelle in cui conservo gli articoli che ho scritto per altrettanti numeri del giornale. Articoli che raccontano la storia di quello che ho vissuto in questi anni, articoli che raccontano la storia e le vicissitudini di questo istituto di pena tanto particolare. Bollate: l’hotel a 5 stelle delle carceri italiane. Il fiore all’occhiello dell’amministrazione penitenziaria; lo specchietto per le allodole di un sistema ormai malato terminale vicino al collasso. Arrivo in questo istituto di pena in un caldo mese di luglio del 2007 e da subito mi rendo conto che sto respirando “aria nuova” rispetto agli altri istituti di pena di cui sono stato ospite. Un po’ come tutti i compagni che arrivano a Bollate il primo periodo di “adattamento” non è facilissimo: qui le regole sono diverse, non le regole penitenziarie – che sono sempre dettate dall’ordinamento – ma quelle di vita e vivibilità. A Bollate non esiste un reparto “protetto” in senso stretto, isolato dagli altri. Si convive tutti insieme, a prescindere dal reato che ciascuno di noi ha commesso e spesso si identifica il “progetto Bollate” solo in questo. In realtà il “progetto Bollate” non sono “celle aperte”, “convivenza con i protetti” o benefit come l’avere un frigorifero, un computer o un ventilatore in cella; il Progetto è ben altra cosa: è la volontà di costruire e condividere un modo di fare pena, che porta sì ad avere le nostre stanze arredate in modo migliore e a essere liberi di circolare nel reparto o per partecipare a una certa attività senza essere accompagnati da agenti di polizia penitenziaria, ma è anche un progetto Se volete continuare a sostenerci o volete faticoso, che richiede l’impegno di tutti. Funziona se tutti, detenuti, opeincominciare ora, la donazione minima ratori, poliziotti, accettano di mettersi in gioco. annuale per ricevere a casa i 6 numeri Il computer, il frigorifero e il ventilatore non sono stati calati dal cielo del giornale è di 25 euro. tanto per concedere qualcosa e tener buone le persone ristrette, sono il Potete farla andando sul nostro sito www. frutto di ragionamento, gestione degli sprechi e possibilità di crescita. Il ilnuovocartebollate.org, cliccare su dofrigorifero è arrivato dopo aver presentato alla direzione il conto di quannazioni e seguire il percorso indicato. ta acqua veniva sprecata (ma pagata dall’amministrazione) da ognuno per tenere al fresco anche solo una bottiglia di thè. Il ventilatore aiuta Oppure fate un bonifico intestato a a far passare i mesi estivi e magari evita a qualcuno delle notti insonni “Amici di carteBollate” su dettate dal caldo portando benessere e quindi tranquillità; il computer IT 22 C 03051 01617 000030130049 serve per studiare, lavorare, ma anche solo per distrarsi scrivendo a un bic barcitmmbko amico o giocando con un videogioco. indicando il vostro indirizzo. Quando le cose non vanno come devono si dice che è il marinaio che In entrambi i casi mandate una mail fa il porto. Se ripercorro i giornali di questi anni e cerco gli articoli su a [email protected] questo argomento o anche solo partecipo a una delle riunioni dei delegati indicando nome cognome e indirizzo di piano, le problematiche di base sono un po’ sempre le stesse: la poca a cui inviare il giornale. informazione e la difficoltà di coinvolgimento di ciascuno in un progetto che coinvolge tutti. Se leggo gli appunti delle riunioni che facevamo al terzo reparto nel 2007 o nel 2008 e li ripropongo oggi, molte richieste e altrettante argomentazioni sono assolutamente identiche. Nel 2007 si andava a colloquio molto velocemente. Le vivande che i nostri familiari ci portavano entravano praticamente tutte. Poi all’interno di qualcosa preparato da qualche familiare è stata trovata della droga e allora abbiamo perso il gusto del ricordo delle lasagne o della parmigiana fatte da mamma. Ci lamentavamo anche sulle pagine di carteBollate di questo: non era giusto che per colpa di qualcuno, tutti fossimo puniti, ma la condivisione delle responsabilità passa anche da qui. Certo, riuscire a portare avanti una progettazione ambiziosa come quella di Bollate non è facile. Difenderla è un impegno collettivo. Enrico Lazzara Registrazione Tribunale di Milano . [email protected] - www.ilnuovocartebollate.org n. 862 del 13/11/2005 Questo numero del Nuovo carteBollate è stato chiuso in redazione alle ore 18 del 9/5/2014 Stampato da Zerografica carteBollate 3 Giustizia FORUM – Incontro tra la redazione e il direttore Massimo Parisi Contro il sovraffollamento più L a redazione di carteBollate ha organizzato un incontro con Massimo Parisi, direttore della II Casa di reclusione di Milano. Questo il testo della discussione che si è svoltra in redazione. Dottor Parisi, Bollate è a rischio sovraffollamento? Sappiamo che sono in arrivo parecchi nuovi ospiti e sono già in corso i lavori per aumentare i posti letto… Partiamo dai numeri, sono sicuramente sovradimensionati e allarmanti quelli circolati. È vero che abbiamo ricevuto un imput dall’Amministrazione penitenziaria per aumentare le capienze, legato alla sentenza Torreggiani e alla necessità, come ci chiede Strasburgo, di garantire, in tutte le carceri italiane, le metrature regolamentari che deve avere ogni detenuto. Non potevano sottrarci e non condividere gli sforzi degli altri istituti, siamo parte del sistema. Ma vogliamo sfruttare anche questa circostanza per fare un passo avanti: la nostra strategia sarà quella di spostare il più possibile l’esecuzione penale all'esterno, aumentando il ricorso a misure alternative, semilibertà e lavoro esterno, questa è la linea. Quindi come si trasformeranno i reparti e come verranno ricavati i nuovi posti letto? Ora siamo 1240, l’afflusso si è registrato soprattutto al 7° reparto. Per il resto le trasformazioni maggiori riguardano il 5° reparto, dove non ci saranno più camere singole ma solo doppie. È un reparto che ospita solo persone in articolo 21, e dunque ammesse al lavoro esterno, che hanno già spazi di libertà perché escono durante il giorno e abbiamo ritenuto di poter fare questa scelta. Al 5° ora sono in 140 e trasferiremo in quel reparto tutti quelli che sono in articolo 21 in modo continuativo. E gli altri reparti? Il 2° e il 4° resteranno invariati mentre avremo un aumento di 28 detenuti al 1° e 3° reparto e di 30 al 7°. Al 1° e al 3° resteranno solo tre camere singole, erano 10 per piano. Le altre sette diventeranno doppie. Al 7° è possibile un aumento potenziale fino a 430 persone, mentre al 6°, ora inutilizzato, è prevista la creazione di un reparto per la semilibertà, da usare con metodi nuovi, i detenuti avranno la chiave della propria stanza, è un caso unico in Italia. I nuovi arrivati normalmente fanno un po’ fatica a capire la filosofia di Bollate, ma arrivando un po’ alla volta e generalmente per scelta, imparano in fretta. Qui si prevedono più di 200 nuovi ingressi, non sarà facile… La nostra preoccupazione è proprio questa: chi sta arrivando non è stato selezionato e non ha chiesto di venire a Bollate. Questo criterio che ci ha caratterizzato in passato non è stato mantenuto, quindi c’è preoccupazione per l'impatto con questo tipo di regime. Su questo abbiamo bisogno della vostra collaborazione. È anche vero che Bollate deve diven4 carteBollate tare sistema, ovvero modalità di gestione della pena e che tutti i detenuti devono avere la possibilità di un percorso detentivo di questo tipo. Anche per questo si è deciso che in generale, nelle case di reclusione, debbano esserci solo persone con più di cinque anni pena, perché abbiano il tempo per definire un percorso. La legge Finocchiaro prevede che le detenute madri scontino la pena in apposite strutture, gli Icam, ma qui a Bollate si sta facendo un reparto che ospiterà invece donne con figli piccoli. Perché? Il progetto va avanti perché c'è l’esigenza di un reparto con asilo-nido per soggetti non adatti agli Icam, che sono strutture a custodia attenuata. Questa sezione detentiva però, avrà una struttura tipo Icam, si creeranno spazi verdi per i bambini e in generale per tutto il reparto femminile. misure alternative E per quanto riguarda il personale? Non è previsto un aumento della polizia penitenziaria. Abbiamo 430 poliziotti e stiamo cercando di fare di necessità virtù usando le risorse che abbiamo, razionalizzando l’uso del personale che però, sicuramente è sotto organico al femminile. Abbiamo invece chiesto più educatori avendo più detenuti, perché aumentano le esigenze di osservazione e di redazione delle sintesi. Come viene fatta la formazione della polizia penitenziaria? Seguo la formazione della polizia penitenziaria e posso affermare che le nuove leve hanno una preparazione in sintonia con Bollate e con i concetti di sorveglianza dinamica e responsabilizzazione del detenuto. Già adesso il lavoro scarseggia, aumentando i numeri sarà sempre più difficile dare a tutti opportunità occupazionali… Sappiamo che al Ser.t non aumenterà il personale e se non aumentano gli educatori i tempi per la chiusura delle relazioni di sintesi saranno più lunghi. Per noi si alza l’asticella perché dobbiamo garantire un’offerta trattamentale più ampia. Troviamo più difficoltà sul dentro che sul fuori. La linea per noi è mettere al centro la possibilità di uscire in articolo 21 e implementare le attività lavorative all'interno, con un uso più adeguato degli spazi. Si lavora sul progetto di una lavanderia che occupi più detenuti e sono al vaglio altre offerte lavorative. Ad esempio un polo produttivo per lo smaltimento elettronico dei rifiuti che occuperebbe 50 persone. E poi un maggiore utilizzo della semilibertà. Nel 2013 si sono fatte 608 relazioni di sintesi e 138 programmi terapeutici, e non è poco. Sicuramente è previsto un aumento degli psicologi, soprattutto al 7°reparto. Cerchiamo una maggiore collaborazione con la magistratura di sorveglianza anche per capire se il nostro metodo va bene o se va verificato e chiediamo un maggiore coinvolgimento dei volontari anche per migliorare la conoscenza dei detenuti che partecipano alle varie attività e avere un ulteriore contributo per la stesura delle sintesi. Stiamo anche cercando di aprire un nuovo canale di dialogo tra detenuti e magistrati, creando la possibilità di colloqui in videoconferenza. Sempre a proposito di occupazione, bandi delle aziende che operano qui a Bollate penalizzano i più anziani che sono sempre esclusi a priori… Questi criteri non accontentano nessuno se non quelli che lavorano. Al nostro interno abbiamo le stesse difficoltà che esistono all’esterno e questo indubbiamente è un problema. Quali sono i criteri di selezione delle aziende e quali tutele hanno i lavoratori se per esempio, come già è successo, le aziende non pagano? Per i criteri di scelta delle aziende riceviamo e vagliamo diverse proposte, facciamo accertamenti sugli imprenditori e sulla storia che hanno alle spalle, è sempre un rischio anche per noi. Presi dalla voglia di aumentare i posti di lavoro ovviamente possiamo sbagliare. C’è un’educatrice, la dottoressa Gallo, che si occupa dei rapporti con le aziende, ma non date per scontato che noi sappiamo tutto, se ci sono anomalie segnalatele. Controlliamo i contratti di lavoro e se non sono affidabili risolviamo le convenzioni, ma per valutare se le aziende sono idonee usiamo parametri oggettivi, i dati della Camera di commercio, ma possiamo anche prenderci grosse fregature alle quali poi dobbiamo rimediare, per un errore che, anche se indiretto, è sempre nostro. Cosa si prevede per scuola e formazione? Non sono preoccupato per queste attività, si possono arricchire. È prevista un’implementazione dei percorsi universitari, ci stiamo attivando per migliorare il collegamento con l’università della Bicocca, ma anche per aprire la possibilità di uscire in articolo 21 per frequentare i corsi universitari. Così pure per le attività ricreative e culturali: l’offerta supera la domanda. Quello che mi preoccupa di più è l’attività lavorativa interna, so che ci sono lamentele per le retribuzioni, per la qualità del lavoro, problemi che in alcuni casi esistono realmente. La Regione ha stanziato dei fondi per formazione e lavoro e per l’accompagnamento all’esterno e questa è una risorsa importante. Come viene applicata la nuova legge per la liberazione anticipata speciale? Le domande per chi è in regime di 4 bis sono bloccate… Abbiamo fatto una riunione con la magistratura di sorveglianza che ha deciso di non scorporare il 4 bis dagli altri reati, per chi ha queste restrizioni non è applicabile la nuova norma che prolunga a 75 giorni la liberazione anticipata. Lo Sportello giuridico ha inoltrato dei ricorsi su questa interpretazione. Su tutto si può discutere ma questo è l'orientamento del tribunale di Milano. Perché la magistratura non si attiva sulle espulsioni dei detenuti stranieri? Lo stiamo facendo noi collaborando con le Questure per fare in carcere l’identificazione ed evitare che uno straniero, che deve essere rimpatriato dopo il carcere, venga prelevato all’uscita e mandato nei Cie. Pensa che riusciremo a evitare le sanzioni previste dalla Corte Europea, senza ricorrere a un’amnistia o all’indulto? Vedremo gli esiti delle attività messe in campo, il Dap fa sforzi pazzeschi per affrontare la situazione, ma non mi pare che si parli di amnistia e di indulto. In Lombardia la situazione più critica credo sia quella di San Vittore, per il resto si è raggiunta la capienza regolamentare, ma il problema non è solo il sovraffollamento, il punto vero è la gestione della vita all’interno delle carceri. Noi cerchiamo di non venire mai a meno del patto di responsabilità fatto con voi. Perché il modello Bollate è così difficile da esportare anche altrove? Altre realtà ci stanno provando, la cosa importante è che l’amministrazione ha detto agli istituti con sezioni di media sicurezza che questo sistema va adottato e non rimesso all’iniziativa del singolo direttore, questa è una direttiva del Dap. Qui, a Bollate, parliamo di un carcere che è nato con questa vocazione, altrove ci sono anche resistenze culturali da superare. Questo nuovo orientamento del Dap è una novità importante, si lavora molto per la formazione del personale ed è tutto un martellare in questa direzione, ma è necessaria la collaborazione attiva e responsabile dei detenuti, perché se si verificano eventi critici si regredisce. Adesso anche a Monza ci sono sezioni aperte. A Pavia si sono creati i rappresentanti di reparto, come qui da noi. È un cambiamento che dobbiamo fare noi, ma anche voi. Se un detenuto arriva qui, e non è abituato a vivere questo modo di scontare la pena, bisogna aiutarlo a cambiare atteggiamento, ma per questo è necessaria la vostra collaborazione. Un ultima domanda, abbiamo dedicato un numero di carteBollate a Internet, chiedendo a magistrati e addetti ai lavori se è ipotizzabile un uso controllato di Internet in carcere. Lei cosa ne pensa? In termini teorici tra vent'anni magari lo avranno tutti, in carcere il progresso tecnologico è molto più lento. Guardiamo per esempio il cellulare, adesso è consentito a chi esce in permesso o a chi lavora all’esterno. Come pure per le telefonate a casa adesso è consentito chiamare anche sui cellulari, ma quanto tempo ci è voluto per arrivare a questo traguardo? Internet è un’ipotesi fattibile, pensiamo a impostare un percorso verificando quali problemi di sicurezza si pongono e ragioniamoci sopra. la Redazione carteBollate 5 Giustizia POLIZIA PENITENZIARIA – Intervista alla comandante Denti e all'ispettore Sclafani La parola a Bollate in divisa C arteBollate è stato sempre attento non solo ai problemi dei detenuti, ma anche al lavoro della polizia penitenziaria e vedendo con quale impegno e fatica il reparto femminile viene gestito, ci è sembrato utile parlarne con chi coordina gli agenti di polizia in quest’ala del carcere, l’ispettore Sclafani. Ispettore, quali sono i problemi gestionali che lei si trova ad affrontare, in un reparto femminile, dal quale, molti prima di lei, sono andati via? Le dico subito che il problema sta solo nella mutevole natura femminile, sia che si tratti di detenute che di agenti. La gestione è giocoforza cambiata proprio perché è cambiata la tipologia delle detenute; quando fu aperto il reparto, si era deciso di selezionare coloro che lo avrebbero “abitato”. Ora non è più così. In qualche modo, col passare degli anni, la situazione sembra sfuggita di mano e ora non si attua alcuna selezione. Da cosa dipende? Probabilmente dalla necessità di nuovi posti e anche dalla scelta di offrire a un maggior numero di detenute l’opportunità di scontare la pena in un carcere come questo. Cosa pensa delle donne e del loro modo di vivere il carcere? Delle donne penso tutto il bene possibile, ma in un contesto carcerario tendono ad attirare del pietismo forse perché, per loro natura, a differenza dei maschi, hanno più difficoltà ad accettare la carcerazione. Come riesce a gestire un reparto così complesso? Talvolta un capo reparto è portato a prendere delle decisioni, sia riguardo alle detenute sia nei confronti delle stesse agenti, e non è cosa facile, spesso siamo sommersi dalle critiche ma, ripeto, a volte non si può scendere a compromessi, e si decide per tutti. L’ultima domanda: la carenza di agenti, e non solo al femminile, come viene affrontata? Questo è un problema non da poco, le agenti fanno i salti mortali per gestire i turni, ma è chiaro che questo porta a uno stress continuo, che inevitabilmente liberazione anticipata – Applicazione diseguale della norma per chi ha il 4bis La Corte costituzionale faccia chiarezza A l Senato della Repubblica è stato convertito in legge il cosiddetto decreto “Svuota Carceri” recante misure urgenti in tema dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria. Il decreto prevedeva una misura particolarmente controversa, la liberazione anticipata speciale, che portava da 45 a 75 giorni al semestre lo sconto di pena per i detenuti che avessero dato prova di un percorso di cambiamento. Unica limitazione, la misura doveva essere valutata dal magistrato di sorveglianza per i detenuti con reati ostativi, in regime di 4bis. Con la conversione in legge invece, quest’ultima norma è saltata escludendo dal beneficio i detenuti con il 4bis. Altro aspetto sicuramente di rilievo nella disciplina della nuova liberazione anticipata speciale è il suo carattere retroattivo, finalizzato ad accrescerne la portata deflattiva: la legge stabilisce infatti, che la maggiore detrazione si applica a partire dai semestri di pena in corso di espiazione alla data del 1° gennaio 2010, data che sostanzialmente coincide con la dichiarazione dello “stato di emergenza” carceraria. Questo cambio di rotta ha creato una disparità di trattamento tra coloro che 6 carteBollate avevano presentato la richiesta di liberazione anticipata quando era in vigore il decreto e quelli che, pur avendola presentata nello stesso periodo, non avevano ancora ricevuto risposta. Ne consegue che a partire dal 21 febbraio, data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, tutti i compagni appartenenti al regime del 4bis non potranno beneficiare della liberazione anticipata speciale. Si era sperato che chi aveva presentato la domanda nel periodo di “vacatio legis” potesse usufruirne. Speranza miseramente delusa visto che stanno arrivando rigetti a pioggia da tutti i magistrati di sorveglianza del tribunale di Milano. Ora si cercherà, o meglio lo Sportello Giuridico lo sta già facendo, di inoltrare tutti i ricorsi possibili al fine di ottenere la modifica di questa situazione. La materia è complessa è vero, e si presta a diverse interpretazioni, ma i ricorsi tenderanno a far rilevare questa disparità di trattamento, nella speranza che, alla fine, un pronunciamento della Suprema Corte ristabilisca un’uguaglianza di trattamento. Ora la situazione è la seguente: chi è stato fortunato perché ha ottenuto la liberazione anticipata speciale nel periodo in cui era in vigore il decreto si è visto accorciare la pena, indipenden- temente dal tipo di reato commesso, mentre altri, nella stessa situazione, dopo la conversione in legge del decreto sono rimasti esclusi. Ma c’è un’ulteriore differenza di trattamento: questa interpretazione è quella adottata dalla magistratura di sorveglianza di Milano, mentre in altre regioni si sono adottati criteri meno restrittivi. L’11 aprile scorso, il giudice di sorveglianza Guido Brambilla, invitato nel nostro istituto dal gruppo Incontri e Presenze, rispondendo ad alcune domande, ha detto che il tribunale di sorveglianza di Milano è genericamente indirizzato nel non concedere i 30 giorni in più per il beneficio della liberazione anticipata, secondo la nuova legge del 21 febbraio, ai detenuti aventi come aggravante il 4bis, compresi quelli che ne avevano fatto richiesta prima che il decreto fosse convertito in legge. Ha altresì esposto che il problema non trova consenso unanime nel palazzo di giustizia milanese e che quindi i giudici di sorveglianza preposti si trovano in una situazione non proprio chiara sommersi, oltretutto, da svariate domande di liberazione anticipata. Il giudice Brambilla si aspetta una decisione precisa dalla Corte costituzionale in merito, per poter avere una linea omogenea. Santino Nardi e Paolo Sorrentino si ripercuote anche sulle detenute, ma attenzione, perché capita anche il contrario, ergo non sempre la colpa è di chi gestisce! Dopo aver sentito il capo reparto del femminile, ci è sembrato opportuno allargare il discorso non solo alla “Staccata”, ma a tutta la struttura carceraria, perciò, abbiamo fatto qualche domanda alla nuova comandante, la dottoressa Denti. Dottoressa, intanto vorremmo sapere cosa si aspettava di trovare venendo qui a Bollate? A dire il vero non mi aspettavo un luogo così superiore alle mie attese, ho trovato un ambiente lavorativo sereno e del personale coeso ed efficiente, che crede in ciò che fa, e lo fa al meglio. Ha trovato a Bollate delle differenze strutturali e gestionali rispetto alle sue precedenti esperienze lavorative? Io vengo da Monza e Cremona e sicuramente Bollate è il fiore all’occhiello del sistema carcerario della Lombardia e, penso, d’Italia; ho trovato un sistema trattamentale più elevato, che mira soprattutto alla rieducazione e al reinserimento sociale di ogni detenuto preso nella sua singolarità. Per quanto riguarda la gestione, la trovo piena di momenti lavorativi di grande efficienza e direi che le criticità sono poche. Dottoressa, una volta Bollate era ben lontano dal problema del sovraffollamento, che affligge tutte le carceri italiane, adesso anche qui è previsto un aumento consistente della popolazione detenuta, cosa pensate di fare? Abbiamo in programma un adeguato ampliamento delle infrastrutture intramurarie, per esempio, in alcuni reparti le celle singole, diventeranno doppie, là dove ciò sarà possibile, verrà aperto il sesto reparto, oggi inutilizzato, ma soprattutto si punta molto al lavoro esterno e a un aumento delle attività. Come credete di affrontare il proble- “ ma decisamente preoccupante della mancanza di personale, che alla fine grava anche sugli stessi detenuti? Non è per ora prevista l’assunzione di nuovi agenti, anche se si cerca di ridurre il carico lavorativo con turni meno pesanti, ma mi rendo conto che il problema è serio. Ultima domanda, lei saprà senz’altro che il femminile è, giocoforza, tagliato fuori dal maschile, che offre ai detenuti molte più opportunità sia lavorative che cognitive, e parliamo di scuola, corsi di formazione professionale, lavori più professionalizzanti. Lei cosa pensa del fatto che le donne di Bollate non possono accedere a mansioni che potrebbero davvero fare la differenza? Abbiamo in cantiere un incremento delle attività, e la creazione di alternative valide, affinché anche il femminile si senta parte integrante di questa struttura. Elena Casula burocrazia – Un processo più lento della condanna già espiata Scontata la pena, è ancora in carcere L a situazione delle carceri in Italia è ormai al tracollo, l’ultimatum per ridurre il sovraffollamento da parte della Comunità europea è scaduto ma restiamo comunque oltre 60.000 persone detenute negli spazi in cui dovremmo essere in meno di 45.000. E tra di noi c’è anche qualcuno che non dovrebbe esserci più. E non dovrebbe esserci più perché ha finito di scontare la sua pena nel mese di agosto 2013 ma siccome la sentenza che lo tiene in carcere non è ancora definitiva, in carcere rimane. Legge che fai escamotage che trovi per bypassarla, o per leggerla in modo diverso. La legge è uguale per tutti ma non tutti sono uguali per la legge. Questi luoghi comuni non sono poi così fuori luogo quando ci troviamo davanti a situazioni come quella che coinvolge Maria (nome di fantasia), una ragazza ristretta a Bollate che, appunto, avrebbe dovuto finire la sua carcerazione lo scorso mese di agosto. Ma veniamo ai fatti. Maria entra in carcere nel 2007, per una prima ordinanza di custodia cautelare su un primo procedimento che diventa definitivo e finisce di scontare la sua pena il 27.12.2011. In questo periodo di pena sofferta bene- L’ultimatum della Comunità euro- pea per ridurre il sovraffollamento delle carceri è scaduto ma restiamo oltre 60.000 persone detenute negli spazi in cui dovremmo essere in meno di 45.000. ficia di uno sconto di pena di 360 giorni per effetto della liberazione anticipata. Mentre è in carcere per questo primo procedimento le arriva un nuovo mandato di cattura per il quale viene applicata la custodia cautelare. In questo secondo procedimento viene condannata e la Corte di Appello di Napoli applica la disciplina del reato continuato unificando le due sentenze e le commina una condanna complessiva ad anni 6 e mesi 8 di reclusione. Il fine pena viene fissato quindi al 27.08.2013, ma arrivata anche questa scadenza lei resta in carcere in quanto il Procuratore generale della Repubblica ricorre in Cassazione e dunque la condanna non è definitiva. Inutili sono stati i ricorsi sul rigetto di revoca della custodia cautelare fatti al Tribunale del riesame e quello in Cassazione motivati con l’erronea applicazione della norma. Il Codice di procedura penale recita all’articolo 300 comma 4: “La custodia cautelare perde altresì efficacia quando è pronunciata sentenza di condanna, ancorché sottoposta a impugnazione, se la durata della custodia già subita non è inferiore all'entità della pena comminata” ma la Corte di Appello di Napoli motiva i rigetti dicendo che “non si può tenere conto del periodo di pena espiato in forza della prima sentenza di condanna”, pertanto i conteggi che fanno partono dal 28 dicembre 2011 e non dalla data iniziale (22.12.2007). Morale, la somma delle due sentenze vale per il computo della condanna, ma non per l’entità della pena espiata. È palese che Maria avrebbe dovuto essere scarcerata, ma il luogo comune “la legge è uguale per tutti ma non tutti sono uguali per la legge” porta qui un esempio lampante. Enrico Lazzara carteBollate 7 Attualità AUTOTERAPIA - Anche in Italia aumenta la fiducia nelle medicine alternative Guarire senza farmaci A nche in Italia stanno aumentando le persone che si rivolgono, quando le patologie non sono gravi, a rimedi non chimici. Guarire senza farmaci, sfruttando le potenzialità del nostro organismo, in particolare del cervello. Le medicine complementari hanno a che fare con l’autocura, agiscono anche attraverso la psiche, stimolando i pazienti a uno stile di vita più salutare. Omeopatia, fitoterapia e agopuntura sono i rimedi che molti scelgono per curarsi. La fitoterapia punta sui principi attivi delle erbe e l’agopuntura stimola zone dell’organismo attraverso gli aghi. Non si tratta di pratiche magiche che richiedono fede e fiducia per una buona riuscita della cura, semplicemente si tratta di medi- cine "altre" comunemente praticate in Paesi con una diversa cultura medica: 600 milioni di cinesi si curano con l'agopuntura e le erbe contengono principi attivi che si trovano anche in farmaci di uso corrente. Crescono anche i metodi complementari che fanno leva sulla fiducia della gente. Fabrizio Benedetti di Torino è il più importante studioso italiano del placebo e ritiene che a volte una pasticca di zucchero sia efficace più delle stesse medicine: “ci sono studi che dimostrano come il 75% dell’effetto antidepressivo deriva da questo fattore. Ma le percentuali di efficacia sono alte anche se viene confrontato a medicinali per il dolore, per i disordini del movimento, per il morbo di Parkinson e per i problemi del sistema immunitario ed endocrino. Il placebo è un meccanismo psicologico e sociale, nel senso che è richiesta l’interazione con un terapeuta. L’aspettativa di un beneficio mette il cervello in un determinato stato, inibisce il dolore, migliora la performance motoria. Per certi versi si tratta di un inganno per far agire i neuroni”. 8 carteBollate L’effetto placebo è quindi una conseguenza del fatto che il paziente, specie se favorevolmente condizionato dai benefici di un trattamento precedente, si aspetta o crede che la terapia funzioni, indipendentemente dalla sua efficacia specifica. Due discipline che richiedono un ruolo attivo delle persone sono la meditazione e il neurofeedback. La meditazione permette di agire sul cervello per controllare le emozioni, riduce lo stress e l’ansia, i dolori cronici, stimola il sistema immunitario. Lo psichiatra bolognese Alberto Chiara in un'intervista su Repubblica dichiara: ”si è visto che otto settimane di meditazione riducono l’attivazione di una parte del cervello che risponde perfettamente agli stimoli di rabbia, paura, ansia, desiderio incontrollato. Inoltre sviluppa l’attività della corteccia prefrontale, deputata alla gestione in tempo reale delle emozioni. Questa pratica aiuta anche contro la dipendenza”. La neurofeedback si usa nell'epilessia, nei disturbi da deficit dell’attenzione e stimola il sistema immunitario. È una tecnica non invasiva che si propone di intervenire a livello neurocognitivo, per la terapia di patologie come deficit d'attenzione e iperattività o contro l'emicrania. Il computer elabora le informazione dall’elettroencefalogramma fornendo un “feedback” in tempo reale dei suoi processi elettroneurofisiologici. Ad esempio, con un suono si può rinforzare il soggetto positivamente. Una tecnica consiste nel mettere il soggetto davanti a uno schermo dove viene proiettato un oggetto che si sposta davanti ai segnali del suo encefalogramma. Lo “specchio” in pratica insegna al paziente a intervenire sul suo cervello. La professoressa di psicologia di Padova, Daniela Palomba, dice: “È un po’ come imparare a camminare: la persona deve cavarsela da sola e capire come agire sulle varie fasi encefalografiche, quella rilassata, quella vigile e così via”. Importante è l’attività fisica che, usata in modo costante, è una buona terapia per malati cronici, anziani, fumatori con insufficienza respiratoria e contro gli sbalzi di umore. È un modo per noi detenuti per mantenerci in forma e scaricare tensioni e nervosismo e inoltre mantenere una buona circolazione sanguigna. Non va assolutamente trascurata l’alimentazione. È importante sapere che alcuni cibi come pesce, broccoli, frutta secca, vino rosso, succo di melograno, curcuma (o zafferano delle Indie) ginkgo biloba (la parte interna legnosa dei semi viene utilizzata come cibo prelibato in Asia e fa parte della tradizione culinaria cinese), in Giappone i semi di ginkgo vengono aggiunti a molti piatti e utilizzati come contorno, le bacche di iperico (che ha un'efficacia paragonabile ad alcuni psicofarmaci nella cura della depressione lieve e moderata. A volte è utilizzato, associato ad altri prodotti, anche per il trattamento fitoterapico di alcune forme d'ansia), sono considerate terapeutiche. Una giusta nutrizione fornisce i giusti composti necessari a sostenere il metabolismo e quindi la vita. La dieta umana dipende molto dalla cultura e dall'ambiente di ogni popolazione. Un'alimentazione sana è quella che fornisce la quantità di nutrienti che corrisponde al fabbisogno di ciascuno. La nutrizione, come tutte le scienze, è in continua evoluzione e l'acquisizione di nuovi dati e nuovi studi fa sì che le raccomandazioni per una dieta corretta vengano periodicamente aggiornate in funzione delle nuove conoscenze. La dieta può rivestire un fattore importante nella prevenzione di alcune patologie, anche tenendo conto del considerevole innalzamento della soglia di longevità nelle società moderne che porta alla luce effetti a lungo termine, oltre ai dati relativi alle più note malattie da carenza. Paolo Sorrentino progetto - Il carcere raccontato in biblioteca da chi lo vive Sfogliami come un libro O ltre il muro è un’iniziativa promossa dal settore Biblioteche del Comune di Milano, che realizzerà due eventi di Biblioteca vivente: il primo presso la Biblioteca del parco (previsto per giugno), il secondo presso la Casa di reclusione di Bollate (previsto per novembre). Protagonisti degli eventi saranno i detenuti che accetteranno di mettersi in gioco e diventare “libri umani” che portano all’esterno la loro storia raccontandola mentre si relazionano con il pubblico. Si tratta dunque di affrontare il tema della reclusione, partendo dall’ascolto di chi vive gli istituti di pena, valorizzando il ruolo di aggregazione e mediazione sociale della biblioteca. Il progetto prevede il reclutamento e la formazione dei potenziali libri umani all’interno del carcere, incontri di valutazione e pubblicazione di un testo di racconto dell’esperienza. Per questo verranno avviati due laboratori contemporaneamente a Bollate e in Biblioteca. L’attività prende spunto da semplici componimenti poetici infantili che ruotano intorno ad alcuni temi essenziali legati all’identità e all’immaginazione (sogni, desideri, paure, bugie, trasformazioni, viaggi…). I partecipanti saranno invitati a scrivere su questi temi le loro parole-chiave e le loro associazioni d’idee. Queste prime tracce saranno poi scambiate all’interno di ogni gruppo, per essere elaborate e sviluppate dagli altri partecipanti, e tra un gruppo e l’altro (detenuti e utenti) in modo che gli scritti finali siano frutto di un dialogo di idee che avviene tramite la carta. Per dare visibilità a questi laboratori, gli scritti conclusivi saranno elaborati graficamente e pittoricamente in piccole opere di ‘poesia visiva’ con le quali sarà allestita una mostra itinerante. Human Library (Biblioteca Vivente) nasce in Danimarca negli anni Ottanta come un metodo innovativo per promuovere il dialogo, ridurre i pregiudizi e favorire la comprensione. Santino Nardi norme - La reclusione non può essere la risposta a tutti i problemi Pirati della strada: il carcere li può fermare? C irca un anno fa, nel mese di maggio, tutti i telegiornali riportarono la notizia che la quindicenne Beatrice Papetti, che si trovava per strada con la sua bicicletta a Gorgonzola, nell’hinterland milanese, fu travolta da un’auto alla guida della quale c’era un giovane marocchino. Soccorsa immediatamente proprio dal padre che - tremenda ironia della sorte, era in servizio quel giorno con le ambulanze della Croce Rossa - ne constatò il decesso. C’è da dire che, ormai è diventata una moda, il conducente dell’auto è scappato via senza soccorrere la vittima. Dopo una settimana, su insistenza del suo imam, il giovane decide di costituirsi presso la caserma dei carabinieri del posto. Il pirata della strada è stato condannato a tre anni e quattro mesi, che sta scontando agli arresti domiciliari. Visto che non esiste ancora il reato stradale, il giovane potrà chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali, in alternativa al carcere. Si è chiuso così in primo grado il processo e naturalmente il papà della povera Beatrice ha commentato così la sentenza: “La pena non è giusta, ma questa è la legge italiana”. Probabilmente questo padre provato e sconvolto da un’immane tragedia non si dà pace, soprattutto perché non vede nella giustizia italiana un valido supporto che lo aiuti, con una condanna esemplare, a farsi una ragione dell’accaduto. È però ovvio che, talvolta, ci si mette nella condizione di voler vendetta, non giustizia, su questo ci sarebbe molto da discutere, forse non per questo caso specifico, ma a onor del vero spesso è così. “ prudenza a chi con una guida spericolate mette a rischio l'incolumità degli altri, ma non si può nemmeno pensare che il carcere sia la risposta a tutti i problemi. Esistono le sanzioni pecuniarie, il ritiro della patente, i lavori socialmente utili, i risarcimenti alle vittime. L' importante è lavorare su chi commette un reato, prima ancora di dire che la giustizia è malata. Teresa Barboni Il reato stradale può essere un deterrente... ma non si può pensare che il carcere sia la risposta a tutti i problemi. Noi, come redazione, possiamo metterci nei panni di chi subisce un grave torto, ma dobbiamo vedere i fatti con chiarezza e razionalità. Il reato stradale può sicuramente essere un deterrente e suggerire maggiore carteBollate 9 Attualità INTERNET - Bullismo informatico Si suicidano nove adolescenti minacciati via web D al confronto di idee allo scambio di insulti. Dalla polemica civile al pestaggio mediatico. Il web predetermina il dialogo, le sue forme, i toni, ma favorisce anche l’aumento dell’aggressività. A differenza del dialogo che avviene fra persone in carne e ossa, sul web si perdono i freni inibitori, la rete trasforma il dialogo in un monologo come in un videogioco, sei tu col “nemico” che non conosci, da cui hai in differita le risposte. Ogni giorno nuova spazzatura si abbatte sulle istituzioni e sulle donne via web. “Un attacco eversivo, uno schifo uscito dalle pagine della rete”, “uno stupro mediatico”, “una lapidazione”, così si legge in riferimento alla campagna d’odio scatenata tempo fa contro Laura Boldrini sul web dalle truppe grilline: è un esempio di come la rete si possa trasformare in una macchina di stalking colpendo soprattutto donne, non risparmiando ragazzi, ragazze e bambine. Internet è, purtroppo, anche un conduttore di linciaggio mediatico, violento e sessista. Non ha importanza né l’età né ciò che fai o chi sei, un profilo femminile scatena la molestia sessuale e la violenza. Più cresce il popolo del web più diventa aggressivo: “Ti aspetterò sotto casa e ti violenterò. E ora che lo sai come ti senti?”, è uno dei tanti messaggi ricevuti da una ragazza. Lei ha reagito denunciando. Una ragazzina è stata adescata da un ragazzo che le ha chiesto di mostrare il petto nudo in cambio della ricarica di crediti di un portale web. Lei pensava di chattare con una ragazza come lei, dopo però, è arrivato il ricatto: ”se non fai altro, metto le tue immagini su internet”. Fortunatamente la ragazzina si è rivolta alla madre che si è sostituita alla figlia al computer e con l’aiuto della polizia ha incastrato il ricattatore pornografo. Dopo mesi di minacce su Internet viene picchiato dagli amici della sua ex. Uno studente di 17 anni di Bologna, tra un 10 carteBollate pestaggio e l’altro, viene coperto da minacce dal branco sul sito Ask.fm: “figlio di p…”, “è meglio che non ti fai vedere in giro, prima o poi ti pesteranno a sangue”, “sfigato fatti ammazzare oggi”. I genitori sono costretti ad accompagnarlo e riprenderlo a scuola. Il ragazzo praticamente non esce più di casa e non vuole più andare a scuola. Cerca aiuto online “fai schifo, muori”. Suicida a 14 anni. È la fine di una ragazzina depressa che, rivolgendosi a un social network, trova solamente insulti e inviti al suicidio. “Ucciditi”, “non sei normale”, “curati. Nessuno ti vuole”. La ragazzina era iscritta come Amnesia e come tale, a parte risposte volgari, riceveva solo istigazione al suicidio. Dopo l’ultima invettiva, è salita in cima a un vecchio albergo abbandonato di Padova e si è buttata giù. Il sito usato dalla ragazzina è Ask.fm, conta circa 80 milioni di utenti, si opera nell’anonimato e puoi fare domande e rispondere ad altri iscritti. Puoi parlare di tutto, senza censura. È un sito fondato in Lettonia nell’estate del 2010 da due giovani ed è il più frequentato dai ragazzi tra i 12 e i 17 anni. Bullismo e anonimato, questo è quello che offre Ask.fm, il sito dei ragazzi che ora terrorizza i genitori e ora molti ne chiedono la chiusura. Queste tragedie hanno ispirato un film molto commovente, Disconnect di Alex Rubin, che racconta di un ragazzino che si impicca per essere stato svergognato su un network da due coetanei. Il sito è Facebook, ma il succo non cambia. Praticamente Ask.fm è come una lettera senza mittente. I ragazzi dovrebbero capire che chi ti vuol parlare ci mette il nome, chi ti vuole offendere si nasconde. Ma da dove viene tutta questa violenza? E i genitori non si accorgono dei problemi dei figli? Famiglie disgregate, scuole non più educative, televisione mediocre, politici irriverenti e provocatori, società allo sbando? È un malore sociale indubbiamente e lo si vede ogni giorno in televisione dove la violenza, verbale e non, la fa da padrona. Forse tutte queste cose insieme creano violenza e sbandamento nei ragazzi che non trovano più una guida a cui appoggiarsi, forse basterebbe anche una sola parola amica per distoglierli da brutti pensieri e propositi. “Mi consigli un modo per suicidarmi?”. “Sì, innamorati” parole scritte da un quattordicenne. “Meglio nasconderti sotto mazzi di fiori”. La rete non è altro che un veicolare messaggi e informazioni, è la “civiltà tecnologica” che può anche divenire il culmine della ferocia emotiva, della disumanità dove scaricare le proprie frustrazioni e alienazioni. Ferocia e disumanità garantita dall’anonimato e quindi dalla vigliaccheria. L’adolescenza non conosce la mediazione della maturità e ci si può immaginare cosa possa succedere a un quattordicenne che dispone 24 ore su 24 di uno strumento che esalta un potenziale distruttivo e che può diventare autodistruttivo. Sono nove gli adolescenti che si sono tolti la vita dopo aver ricevuto insulti su social network in poco tempo. Ad agosto 2013 si era impiccata Hannah Smith. A settembre dello stesso anno Rebecca Sedwick, dodicenne dalla Florida, è stata trovata senza vita. Uno degli ultimi messaggi ricevuti da Rebecca era stato: ”Meriti di morire”. Paolo Sorrentino DROGHE - Ubriacarsi fino a morire Arriva anche da noi la moda degli speed drink È ormai storia di tutti i giorni, si sperava che certe mode non arrivassero anche in Italia, invece grazie a internet è dilagata anche da noi. Parliamo della nuovissima moda dello speed drink, come alcuni lo chiamano, che ha diversi nomi che indicano una sola cosa: bere velocemente più alcool possibile fino a stordirsi, e purtroppo anche fino a morire o entrare in coma etilico. È una sorta di scommessa e di sfida con se stessi, che mette a dura prova la resistenza dei nostri giovani, sì, perché sono proprio loro i protagonisti di tanta imbecillità! Come è noto l’alcolismo fra i giovanissimi è di per sé un fenomeno preoccupante, figuriamoci se il semplice ubriacarsi il sabato sera viene ‘arricchito’ da un vero e proprio girotondo di pub e locali per tracannarsi più bicchierini possibile. Non si riesce più a capire quale sia il senso di tale fenomeno, anche perché eravamo fermi al fatto che prendersi la classica ciucca in discoteca e poi mettersi al volante di un auto, col rischio di “rimanerci”, fosse già abbastanza grave. Adesso viene spontaneo chiederci: cosa sta succedendo? Perché tanta stupidità e desiderio di mettere a rischio la propria vita e quella di altri solo per vincere una scommessa o un’inutile sfida? Dare la colpa di tutto ciò all’uso improprio che si fa di internet può accontentare chi non ragiona in modo logico, il ricusare la realtà e la quotidianità, pensando siano troppo noiose, può essere un ottimo motivo, i nostri giovani si annoiano, non sono capaci di godere del bello e del buono che li circonda; e ci domandiamo: cosa c’è di più bello di una vita tranquilla, senza inutili preoccupazioni? Può sembrare una chimera, ma allora perché ci sono tanti giovani che amano studiare, conducono una vita attiva e soddisfacente senza il bisogno di sballarsi? Chissà, forse l’attuale gioventù, non tutta per fortuna, non trova gli input giusti per vivere in armonia con se stessa. Vorremmo però non confondere questo fenomeno dilagante con l’essere malato di alcolismo, non si confonda lo zucchero con la cicuta, l’alcolismo è malattia progressiva e mortale che si può fermare grazie ai gruppi di auto-aiuto come Alcolisti Anonimi, la moda dello speed drink è solo vera e pura stupidità. Forse cercare di trovare una causa che dia una risposta soddisfacente non serve a granché, sarebbe meglio pensare a come o cosa fare per fermare questo scempio. Che una discreta parte della gioventù sia malata di noia è un dato di fatto, che si risolva dipende da tutti noi: genitori, mass-media, insegnanti, amici e conoscenti, nessuno escluso perché nessuno che ha un briciolo di buon senso pensi a tutto questo come a una possibile disfatta del nostro vivere civile. Purtroppo l’indifferenza, la paura, talvolta l’ignoranza, anzi spessissimo quest’ultima, impediscono il veder chiaro certi problemi ma una cosa è certa: i nostri giovani hanno bisogno di aiuto, muoviamoci tutti prima che sia troppo tardi. Giulia fiori CRONACHE - È una messinscena o un altro segnale della crisi? Anziana rapina una banca per comprarsi le medicine A nziana, rapina una banca per il bisogno di comprarsi le medicine: dopo aver fatto la fila in coda allo sportello della cassa dell’istituto di credito, ha estratto una pistola giocattolo e un coltello. La donna, dall’apparente età tra i 60 e i 70 anni, minacciando il cassiere si è fatta consegnare circa 4000 euro dicendogli che le servivano per comprarsi le medicine. Avendo fatto il suo turno di coda come una normale cliente e data l’età avanzata, niente dava da pensare a una rapinarice. Alcuni dipendenti della banca hanno detto ai carabinieri che per paura che si facesse male non l’hanno seguita né hanno cercato di fermarla, visti anche gli strumenti utilizzati per la rapina. La donna, presi i soldi, è uscita facendo perdere le proprie tracce. La rapina è avvenuta in una filiale della Cassa di risparmio di Lucca –Pisa –Livorno a Prato. I carabinieri, intervenuti dopo aver ricevuto l’allarme alla centrale operativa, sono rimasti stupiti dalla descrizione dell’episodio e dall’ età avanzata della donna che ha messo a segno la rapina, hanno avviato i consueti accertamenti, con la visione delle riprese delle telecamere a circuito chiuso dell’istituto di credito, anche per verificare se la donna avesse altri complici, se fosse davvero un’anziana oppure se avesse utilizzato un travestimento fingendosi in età avanzata. Le immagini hanno evidenziato che era impossibile, dato il modo in cui era abbigliata, identificarla: giacca, pantaloni, sciarpa, cappello di lana e occhiali scuri. Ora si stanno visionando i vari filmati per cercare di comprendere la fisionomia, la camminata della rapinatrice. Data l’ora, erano circa le 11.30, il giorno in cui è avvenuta la rapina c’erano diversi clienti che hanno testimoniato. Tutti hanno confermato l’età avanzata dalla donna confrmando che non si trattava di un camuffamento, parlava perfettamente l’italiano. Gli accertamenti da parte dei carabinieri sono in corso, adesso si tratterà di capire se la nostra Bonnie in pensione ha qualche Clyde che le fa da palo oppure se davvero l’episodio della rapina sia dovuto al bisogno contingente di cure. Domenico Vottari carteBollate 11 Cultura EMOZIONI - Imparare a gestirle per vivere meglio Proviamo a capire chi siamo A bbiamo visto che senza emozioni avremmo una vita in bianco e nero, invece che con colori meravigliosi. Ma se non siamo in grado di gestirle, questi colori diventano la nostra rovina. Al giorno d’oggi non viviamo più situazioni di pericolo esterne, non ci sono animali feroci che ci assalgono e nemici che ci vogliono uccidere. Allora che facciamo? Ci roviniamo benissimo da soli facendoci trascinare dalle emozioni. In pratica quasi tutto quello che decidiamo di fare nella vita dipende dalle emozioni: chi sposiamo, il lavoro che scegliamo, le amicizie, i nostri vestiti, la macchina, cosa mangiamo (mangiamo per vivere ma scegliamo noi cosa mangiare). Un amore troppo possessivo sfocia nella gelosia estrema e questo porta a circa 150 donne che ogni anno sono uccise dal loro marito, compagno, o fidanzato. Quello che un tempo era (forse) amore si è trasformato in odio mortale. Qualunque reato contro il patrimonio oppure che ricerca l’arricchimento deriva dal desiderio del denaro, che a sua volta è indispensabile se scegliamo di fare una vita di facili piaceri per riempire una vita vuota di veri valori. A volte il nostro ego oppure il nostro attaccamento a degli pseudo-valori è così grande che non tolleriamo qualunque ipotesi di attacco. Reagiamo immediatamente se qualcuno mette anche solo in discussione il nostro Io, che è ciò a cui teniamo di più, ciò con cui ci identifichiamo in maniera rigida e a cui ci attacchiamo di più. Ma che cosa è realmente il nostro Io? Proviamo ad abbandonare il concetto di identificazione, per scoprire che noi non siamo quello in cui identifichiamo la nostra persona e il nostro Io: non il nostro corpo maschile muscoloso o femminile sinuoso, perché invecchieremo; non le nostre capacità, perché non le avremo sempre; non il nostro lavoro, che possiamo perdere; non i nostri affetti, perché non è detto che durino in eterno; neanche la nostra ricchezza, né la nostra salute, per gli stessi motivi. Aggiungiamo, ed è molto importante, neanche il nostro status di detenuti, perché esiste un fine pena. Cambiamo e ci evolviamo ogni giorno. Siamo diversi ogni giorno da un punto di vista sia fisico (mediamente ogni giorno circa cento miliardi di cellule del nostro cor12 carteBollate “ Noi dobbiamo capire che pos- siamo dominare e guidare le nostre emozioni, non farci guidare da loro, ed è più semplice di quello che si può pensare. Ci vuole un po’ di pazienza, perché nulla è stato immediato nella vita. po muoiono e se ne formano altrettante) che psicologico. Tanto più noi ci attacchiamo a qualcosa, tanto più soffriamo la perdita, come un bambino che all’asilo nido piange quando la mamma lo lascia, perché teme di non rivederla. Noi invece sappiamo già ora che quello che c’è adesso è destinato a non esserci più. Quando ci saremo via via spogliati di tutto quello che pensavamo di essere, ritroveremo chi siamo veramente, la nostra vera essenza che abbiamo ricoperto di etichette come una corazza protettiva: figlio, fratello, padre, lavoratore, detenuto, straniero, italiano, del Sud, del Nord, di destra, di sinistra, ricco, povero, bello, brutto, interista, milanista. Tutte etichette vuote. Noi siamo in realtà persone consapevoli che magari ora non sanno di poterlo essere, e invece viviamo vittime e spesso schiave delle emozioni, ci arrabbiamo per una parola, litighiamo per una questione di principio, ci meniamo per una questione di onore (parola che non ha nessun significato), andiamo in carcere perché cerchiamo disperatamente i soldi per comprare un bel vestito o un profumo, uccidiamo nostra moglie perché non ne può più di noi. Noi dobbiamo capire che possiamo dominare e guidare le nostre emozioni, non farci guidare da loro, ed è più semplice di quello che si può pensare. Iniziamo con un po’ di meditazione, che ci consente di ottenere una maggiore calma e serenità. Abbiamo la possibilità di seguire vari corsi di meditazione o di consultare qualche buon libro in biblioteca. Impareremo a osservare i pensieri e le emozioni che si manifestano, e li vedremo passare via e dissolversi senza lasciare traccia nella nostra mente. Se riusciremo a non agire in maniera impulsiva appena succede qualche avvenimento che scatena in noi una reazione, le cose miglioreranno. Sappiamo che le nostre reazioni derivano principalmente da rabbia e paura, e che reagiamo con automatismi a cui non pensiamo neanche; ora che lo sappiamo, quando arriva un’emozione, non reagiamo, restiamo lì, in quel momento, semplicemente osserviamola come se fossimo spettatori. L’emozione dura pochi secondi, e se ne va. Se diamo tempo alla parte logica del nostro cervello di rendersi conto in maniera razionale di quello che succede, evitando di agire in maniera automatica sotto la spinta del cervello limbico che ci spinge subito alla reazione, ci rendiamo conto che non fare nulla è la cosa più semplice che ci sia. Non è immediato, perché abbiamo usato magari per anni circuiti cerebrali che a un evento associavano una reazione immediata e senza pensarci, del tipo prendo una martellata sul dito e grido “Ahi!”. Adesso dobbiamo resistere alla tentazione di scattare come una molla e attendere, attivando nuovi circuiti cerebrali. Ci vuole un po’ di pazienza, perché nulla è stato immediato nella vita di nessuno, dal parlare al camminare, per cui occorre solo provare con un po’ di buona volontà. Senza volontà e motivazione non saremmo infatti in grado di fare nulla. Nazareno Caporali RIFLESSIONI - Il ricordo è il pane per costruire il futuro Luoghi e tempi della memoria P er luoghi e tempi della memoria s’intendono tutti i posti fisici e gli spazi temporali che sono stati gli scenari della nostra avventura umana. Ricorrono spesso nei nostri pensieri, in forma di ricordi che sono selezionati dalla nostra mente e diventano i punti di riferimento essenziali della nostra esistenza. Questi luoghi e questi tempi, il più delle volte, si presentano a noi in modo iconografico, vere immagini fotografiche, un po’ “mosse”, che richiedono, da parte nostra, una “messa a fuoco”. Catturata bene la scena, la nostra memoria opera una serie di aggiustamenti, le immagini prendono forme più sicure e pian piano si animano e si materializzano in volti, gesti, parole, suoni, colori, odori, sapori e tante altre cose che si percepiscono e si depositano nel nostro cervello, che sempre vigile le cattura e le archivia in modo automatico, pronte per essere rivisitate e riviste in qualche altra occasione. La casa natale, la città in cui si è vissuto, i posti delle vacanze, la sede dove si svolse il proprio lavoro sono i luoghi che ricompaiono più frequentemente dal nostro passato. Mentre gli spazi temporali riguardano i vari periodi della nostra vita: l’infanzia, la fanciullezza, l’adolescenza, la gioventù, la maturità e la vecchiaia. Tante volte capita che anche se siamo occupati a fare altre cose la mente pesca nel pozzo della memoria, apre l’album delle immagini e ci impone di seguire e pensare alle cose che in quel momento vengono sottoposte alla nostra attenzione, tutto ciò avviene in modo inconscio. Altre volte i “sentieri” della memoria sono stretti, angusti, difficoltosi, somigliano a ripide salite o a precipitose discese, oppure, talvolta a radure e pianori più sicuri, ma evocano sempre il cammino del nostro apprendistato, nel difficile “mestiere di vivere”. Le questioni che sono state affrontate poc’anzi prendono in considerazione aspetti del problema “memoria” che coinvolge, con modalità varie, l’individuo, il suo vissuto attraverso il ricordo che è di tipo soggettivo. L’argomento, in ogni caso, presenta altri aspetti e altre variazioni che vanno al di là di questa dimensione personale, ci si riferisce a quella che possiamo definire “memoria collettiva” che prende forma e si manifesta sempre attraverso il ricordo personale ma poi travalica quest’ambito individuale e coinvolge gruppi sociali più o meno grandi e a volte intere co- munità. Questa memoria collettiva non è la storia con la S maiuscola che finisce sui libri raccontando e annotando i fatti più importanti di un popolo e di una nazione. Nel nostro caso ci si riferisce al ricordo comune che è rievocato da più individui e, a volte, serve a indicare, rilevare un comportamento che può essere ricondotto alla sfera del bene e del male, ponendo l’accento su situazioni che, talvolta, trovano spazio nei proverbi, nei modi di dire tipici di una determinata zona geografica, che si tramandano, generalmente, in modo orale. La “memoria collettiva” quasi sempre ha origine da fatti realmente accaduti, ma qualche volta si basa su cose totalmente inventate. Nel passato i luoghi in cui nascevano e si consolidavano queste “storie minime” erano le vecchie botteghe artigiane, il salone del barbiere, le osterie, ma principalmente le piazze di ogni contrada e paese. Oggi tutto è cambiato, la radio, la televisione, il telefono, internet hanno modificato le modalità della comunicazione tra gli individui e anche tra i gruppi sociali. Tutto quello che accade e viene proposto diventa velocemente passato e con la stessa rapidità subito dimenticato. In particolare la televisione di utenti sparsi in tutto il mondo. Questo sistema comunicativo tende a creare, di regola, anch’esso la “memoria collettiva” ma si tratta di una memoria collettiva breve che non si stratifica, non decanta, non affonda le radici nell’immaginario collettivo comune e presto si disperde senza lasciare traccia. Al contrario il sistema dei social network agisce sugli individui come se fosse uno strumento insostituibile, un mezzo di comunicazione di cui nessuno può più fare a meno, al punto tale da creare, tra chi lo usa in modo spropositato, pericolose dipendenze. Dopo le considerazioni di carattere generale è utile fare riferimento, di nuovo, alla memoria individuale, riportando alcune delle modalità più comuni che attivano il ricordo. Probabilmente, a ognuno di noi, sarà capitato di ascoltare un vecchio brano musicale, in circostanze del tutto casuali. Appena la musica viene percepita dall’udito, la mente in un attimo si mette in moto e ricostruisce un mosaico che ci riporta in uno spaziotempo del nostro passato, mettendo in evidenza tanti particolari che stimolano tutti i nostri sensi, in modo preciso, fino a farci rivivere di nuovo quel determinato avvenimento della nostra vita vissuta. opera in modo da dare, specie nei programmi di informazione, notizie sensazionali pur di catturare l’attenzione dello spettatore, lasciando poco spazio agli approfondimenti alle riflessioni. Adesso sono i social network che veicolano notizie e informazioni, influenzando milioni La nostra memoria è lo strumento che attraverso lo spartito dei ricordi suona la colonna sonora della nostra vita. Il ricordo diviene pian piano nutrimento solido, pane, per affrontare consapevolmente il futuro. Angelo Aquino carteBollate 13 Cultura olocausto - Un pezzo di storia poco noto L’eroismo albanese contro la shoah I l paese delle aquile, l’Albania, non raggiungeva neanche un milione di abitanti allora, quando iniziò la caccia agli ebrei. A Shqipëria - detto il nido delle aquile - nonostante le difficoltà e la povertà, la popolazione non si è spaventava nell’accogliere queste vite innocenti, che i fascisti italiani e i nazisti tedeschi perseguivano. Gli ebrei, mentre scappavano da tutta Europa cercando di trovare uno Stato forte, grande, che li potesse ospitare e assicurare loro una minima protezione per salvarsi la vita, venivano accolti in Paesi che credevano amici e poi venivano consegnati lo stesso ai nazisti, ben consapevoli della fine che avrebbero fatto. L’Albania, che era stata espropriata di alcuni territori dalla Grecia, dalla Jugoslavia e dalla Macedonia, aprì le porte a queste prede che erano inseguite da tutto e da tutti. La popolazione albanese sapeva bene che ospitandoli avrebbe rischiato tanto, e non poteva combattere contro i nazisti tedeschi, ma poteva praticare un’arma segreta, più forte dei loro nemici e della guerra, il Kanun. Il Kanun è il codice consuetudinario più importante albanese tra i numerosi codici creatisi nelle zone montane dell'Albania nel corso dei secoli. L’ospitalità è sacra per gli Shqipëtar albanesi, e sicuramente ha un'origine più lontana. È uno dei valori principali del popolo albanese. Una persona doveva essere ospitata e onorata a ogni costo. E se per caso doveva succedere qualcosa all’ospite, la famiglia che lo aveva ospitato sarebbe stata dichiarata nemica della comunità albanese. In molti casi, si finiva per ospitare anche momentaneamente persone avversarie, appartenenti a un clan nemico, ma la legge valeva lo stesso anche in questo caso. Infatti, riguardo all'ospitalità, il Kanun precisa: «La casa di un Albanese, è di Dio e dell'ospite». Dopo che resistette per secoli al dominio ottomano, il Kanun era ancora presente nella vita del Paese, quando l’Albania ebbe l'indipendenza nel 1912. In tutto si trattava di 12 libri antichi scritti in lingua albanese. Il Kanun risale al 1400 e fu tradotto in albanese corrente dopo la caduta del 14 carteBollate regime comunista di Enver Hoxha. La persona non riconosceva altre persone superiori a lui in dignità, e doveva ribellarsi in ogni occasione in cui veniva violata la sua libertà. L'opposizione alla schiavitù era molto forte: non distingue le persone l'una dall'altra. Sono tutti uguali, anima per anima, davanti a Dio. La parola data, fiducia, promessa o fede o parola d'onore, era appunto una promessa che doveva essere mantenuta anche a costo della propria vita. La parola data (visto che spesso mancavano atti scritti) era irrevocabile, ed era necessario mantenerla per salvare l'onore della famiglia. Il Kanun regola anche il sistema delle vendette di sangue, consuetudine antichissima di origine illirica. È fissato in maniera rigorosa il diritto di vendicare l'uccisione del proprio familiare, colpendo fino al terzo grado i parenti maschi dell'assassino. Adempiere alla vendetta è considerato un obbligo, pena il disprezzo da parte della collettività. Proprio per questo quando la popolazione albanese si è trovata a dover ospitare gli ebrei che erano persone in difficoltà, non ha esitato ad assumersi un rischio, perché sapeva bene che fine avrebbero fatto le loro famiglie se si fossero sottratti a quest’obbligo. Le prime notizie di ebrei viventi in Albania risalgono al XII secolo d.C. Esistevano insediamenti ebraici nella maggior parte delle principali città dell'Albania come Berat, Elbasan, Valona, Durazzo. Con l'ascesa della Germania nazista molti degli ebrei in Europa trovarono rifugio in Albania. Sempre nel 1938 l'Ambasciata albanese a Berlino continuò a rilasciare visti per gli ebrei, che vitavano la maggior parte dei Paesi europei perché sapevano che dopo pochi giorni sarebbero stati consegnati ai tedeschi. Questo era accaduto a molti, erano stati accolti, ma dopo essere stati derubati dagli ospitanti, erano stati consegnati ai tedeschi. Uno dei principali albanologi, Norbert Jokl, chiese la cittadinanza albanese, che gli fu concessa subito, anche se que- sto tentativo non avrebbe potuto salvarlo dai campi di concentramento. Quando gli occupanti tedeschi chiesero di consegnare i nomi degli ebrei presenti nel territorio albanese, le istituzioni albanesi insieme con la popolazione rifiutarono in tutti i modi di adempiere tale richiesta. La risposta dei nazisti non tardò. Fecero fucilare tante persone tra cui anche bambini piccoli, davanti alle loro mamme, con lo scopo di farle parlare. Ma era tutto inutile. Il codice di Kanun proteggeva i suoi ospiti, come l’aquila protegge i suoi piccoli, portandoli nelle cime più alte, dove gli avvoltoi non possono arrivare e se arrivano, l’aquila sacrifica la propria vita per loro. Ecco, è questo che ha fatto il popolo pagina accanto: in alto Francobollo con il ritratto di Norbert Joklin a fianco: arrivo dei treni ad Auschwitz il ritratto di Pashko Vasa in basso: Enver Hoxha tra la gente religione degli Albanesi è l’albanesità” “Mos shikoni kisha e xhamia / Feja e shqiptarit është shqiptaria” che poi è diventato il motto dell'Albania, rappresentandone lo spirito laico e nazionalista. Gli albanesi che vivevano nelle zone montagnose hanno contribuito a nascondere gli ebrei dalle zone in cui risiedevano, che divennero il luogo più sicuro in Europa. L'Albania diventò così l'unico paese europeo dove nessun ebreo è stato consegnato ai nazisti e nessuno fu ucciso per le leggi razziali. Al contrario, il loro numero aumentava notevolmente a causa della strage che era avvenuta nel resto del continente. Solo dopo la caduta della dittatura, furono rese pubbliche le testimonianze del salvataggio degli ebrei, e l'Albania fu aggiunta tra i “Giusti”. Lo Stato d’Israele è stato uno dei primi, insieme con la Turchia, a volere che gli Albanesi viaggiassero nel loro paese senza visto, già nel 1992. Questa è la storia di una nazione che è degna di essere presa a esempio per il vero atto eroico che ha compiuto, ma questo non viene portato alla luce allo stesso modo in cui, invece, i mass-media bombardano l’opinione pubblica con delle notizie spiacevoli, di reati commessi da alcune di queste persone, tendendo a generalizzare e a discriminare un intero popolo. Sembra strano per una nazione cosi piccola, ma fu l’unica ad aver fatto fucilare i propri figli per salvare quelle vite che erano diventate le prede più deboli e facili da ammazzare e derubare. Qani Kelolli albanese per gli ebrei: li ha portati nelle proprie case e protetti come l’aquila protegge i suoi piccoli. Non solo, ma a dispetto delle leggi razziali imposte, molti cittadini albanesi offrirono identità false agli ebrei perché risultassero albanesi. La maggior parte fu nascosta nelle abitazioni e in case private, spesso travestiti come famigliari o contadini albanesi. Secondo le leggi del Kanun, che ha una forte presenza nella cultura albanese: “è obbligo di ogni persona difendere la vita innocente, la vita di un ospite, anche a costo della propria”. E infatti, gli stranieri non erano considerati tali, ma ospiti. Di certo anche la convivenza religiosa degli albanesi ha contribuito a salvare molte vite umane. Un poeta e intellettuale albanese, Pashko Vasa (1825-1892), scrisse: “Non guardate chiese e moschee / la carteBollate 15 Brasile: il calendario dei Mondiali 2014 giovedì 12 giugno 22.00 Brasile – Croazia (San Paolo) venerdì 13 giugno 00.00 Cile – Australia (Cuiabá) 18.00 Messico – Camerun (Natal) 21.00 Spagna – Olanda (Salvador) sabato 14 giugno 03.00 Costa d’Avorio – Giappone (Recife) 18.00 Colombia – Grecia (Belo Horizonte) 21.00 Uruguay – Costa Rica (Fortaleza) domenica 15 giugno 00.00 Argentina – Bosnia (Rio de Janeiro) 00.00 Inghilterra – Italia (Manaus) 18.00 Svizzera – Ecuador (Brasilia) 21.00 Francia – Honduras (Porto Alegre) lunedì 16 giugno 00.00 Ghana – USA (Natal) 18.00 Germania – Portogallo (Salvador) 21.00 Iran – Nigeria (Curitiba) martedì 17 giugno 00.00 Russia – Corea del sud (Cuiabá) 18.00 Belgio – Algeria (Belo Horizonte) 21.00 Brasile – Messico (Fortaleza) 21.00 Spagna – Cile (Rio de Janeiro) venerdì 20 giugno 00.00 Honduras – Ecuador (Curitiba) 18.00 Italia – Costa Rica (Recife) 21.00 Svizzera – Francia (Salvador) sabato 21 giugno 00.00 Nigeria – Bosnia (Cuiabá) 18.00 Argentina – Iran (Belo Horizonte) 18.00 Belgio – Russia (Rio de Janeiro) 21.00 Germania – Ghana (Fortaleza) domenica 22 giugno 21.00 Corea del Sud – Algeria (Porto Alegre) lunedì 23 giugno 00.00 USA – Portogallo (Manaus) 18.00 Australia – Spagna (Curitiba) 18.00 Olanda – Cile (San Paolo) 22.00 Camerun – Brasile (Brasilia) 22.00 Croazia – Messico (Recife) martedì 24 giugno 18.00 Costa Rica – Inghilterra (Belo Horizonte) 18.00 Italia – Uruguay (Natal) 22.00 Giappone – Colombia (Cuiabá) 22.00 Grecia – Costa d’Avorio (Fortaleza) mercoledì 18 giugno 18.00 Australia – Olanda (Porto Alegre) mercoledì 25 giugno 18.00 Nigeria – Argentina (Porto Alegre) 18.00 Bosnia – Iran (Salvador) 22.00 Honduras – Svizzera (Manaus) 22.00 Ecuador – Francia (Rio de Janeiro) giovedì 19 giugno 00.00 Camerun – Croazia (Manaus) 00.00 Giappone – Grecia (Natal) 18.00 Colombia – Costa d’Avorio (Brasilia) 21.00 Uruguay – Inghilterra (San Paolo) giovedì 26 giugno 18.00 Portogallo – Ghana (Brasilia) 18.00 USA – Germania (Recife) 22.00 Algeria – Russia (Curitiba) 22.00 Corea del Sud – Belgio (San Paolo) GRUPPO A. Brasile; Croazia; Messico; Camerun. GRUPPO B. Spagna; Cile; Olanda; Australia. GRUPPO C. Colombia; Grecia; Costa D'Avorio; Giappone. GRUPPO D. Uruguay; Costa Rica; Inghilterra; Italia. GRUPPO E. Svizzera; Ecuador; Francia; Honduras. GRUPPO F. Argentina; Bosnia; Iran; Nigeria. GRUPPO G. Germania; Portogallo; Ghana; Stati Uniti. GRUPPO H. Belgio; Algeria; Russia; Corea. 16 carteBollate OTTAVI sabato 28 giugno P1 – 18.00 [1a class. A] __________________________ [2a class. B] ___________________________ (Belo Horizonte) P2 – 22.00 [1a class. C] __________________________ [2a class. D] __________________________ (Rio de Janeiro) domenica 29 giugno P3 – 18.00 [1a class. B] __________________________ [2a class. A] __________________________ (Fortaleza) P4 – 22.00 [1a class. D] __________________________ [2a class.C] __________________________ (Recife) lunedì 30 giugno P5 – 18.00 [1a class. E] __________________________ [2a class. F] __________________________ (Brasilia) P6 – 22.00 [1a class. G] __________________________ [2a class. H] __________________________ (Porto Alegre) martedì 1 luglio P7 – 18.00 [1a class. F] __________________________ [2a class. E] __________________________ (San Paolo) P8 – 22.00 [1a class. H] __________________________ [2a class. G] __________________________ (Salvador) QUARTI venerdì 4 luglio P9 – 18.00 [vincitrice P5] __________________________ [vincitrice P6] __________________________ (Rio de Janeiro) P10 – 22.00 [vincitrice P1] __________________________ [vincitrice P2] __________________________ (Fortaleza) sabato 5 luglio P11 – 18.00 [vincitrice P7] __________________________ [vincitrice P8] __________________________ (Brasilia) P12 – 22.00 [vincitrice P3] __________________________ [vincitrice P4] __________________________ (Salvador) SEMIFINALI martedì 8 luglio P13 – 22.00 [vincitrice P9] __________________________ [vincitrice P10] __________________________ (Belo Horizonte) mercoledì 9 luglio P14 – 22.00 [vincitrice P11] __________________________ [vincitrice P12] __________________________ (San Paolo) FINALE TERZO/QUARTO POSTO sabato 12 luglio 22.00 [perdente P13] __________________________ [perdente P14] __________________________ (Brasilia) FINALE domenica 13 luglio 21.00 – [vincitrice P13] __________________________ [vincitrice P14] __________________________ (Recife) Le partite a eliminazione diretta (ottavi, quarti, semifinali e finali) inizieranno sabato 28 giugno, dopo un giorno di riposo dalla fine della fase a gironi. carteBollate 17 dossier Dall'interno misure alternative TEATRO - Diretti da Claudio Breno, volontario del carcere di Bergamo Arrivano gli Ueitings e la scena si infiamma A nche se mi sono trasferito dal carcere di Bergamo qui a Bollate, ho continuato a mantenere rapporti epistolari con i volontari di quel carcere. Uno di essi è Claudio Breno, che si occupa di aiutare i detenuti in difficoltà. Quando gli scrissi se voleva venire a fare uno spettacolo qui per noi a Bollate non ci ha pensato due volte: ”Quando vuoi, sono sempre pronto” è stata la sua risposta. Così, con gli operatori di Bollate ci siamo organizzati per l’evento e il magico giorno è arrivato: mercoledì 5 marzo 2014, un bel regalo per il carcere di Bollate. Gli Ueitings, finiti i loro turni di lavoro, sono corsi qui da noi. Il teatro era già pronto e loro hanno messo in scena Comallamore, tratto dall’omonimo romanzo di Ugo Riccarelli, un tema toccante e profondo, di persone con malattie mentali e drammi della pace e della guerra, che abbatte gli stereotipi della follia e della normalità. La scena era allestita in modo abbastanza povero: tre letti e un paio di pallets, quelli usati per caricare la merce; durante l’esibizione lo spettacolo si è interrotto un paio di volte a causa di applausi del pubblico coinvolto dalla bravura della recitazione. Ci siamo commossi tutti quanti per la perfetta interpretazione del gruppo. Devo dire la verità, io fuori non sono mai andato a teatro, ma certe scene hanno commosso non solo noi ma anche lo stesso gruppo teatrale. La serata è volata e non ci siamo accorti che erano passate due ore, volevamo che continuasse, ma comunque eravamo riusciti a strappare un’altra promessa al gruppo teatrale che a breve tornerà per farci evadere, anche se per un paio d’ore, e offrirci un altro spettacolo. Qani Kelolli UNIVERSITÀ - Incontro con i docenti della Bicocca Laurearsi in carcere che senso ha? L o scorso 18 marzo l’Università Bicocca è entrata in carcere per il primo road show di presentazione delle attività accademiche tenuto a Bollate. Ha partecipato un docente per ogni facoltà (Economia, Giurisprudenza, Psicologia, Educazione, Matematica, Sociologia), oltre a una responsabile dell’amministrazione universitaria e a una responsabile del Prap di Milano per sottolineare l’importanza data dall’Amministrazione allo studio universitario, massima espressione della cultura e del sapere scientifico. Erano presenti gli studenti del 5° anno di Ragioneria, potenziali futuri studenti universitari, qualche detenuto già studente universitario che poteva fornire la propria testimonianza di studio e altri detenuti eventualmente interessati a iscriversi all’università. La presentazione è stata fatta non come se fossimo in carcere, ma come viene fatta solitamente a una platea di diciottenni o diciannovenni maturandi in procinto di scegliere la facoltà, sottolineando come sia importante la costanza nello studio, l’utilità della frequenza, la capacità di non abbattersi e di superare le difficoltà che inevitabilmente si incontreranno nello studio, la determinazione 18 carteBollate di raggiungere un risultato, consapevoli che molte materie sono particolarmente ostiche e complesse. Ma il nostro contesto è ben diverso, tranne qualche caso, il range di età degli universitari di Bollate è dai 30 ai 50 anni, con alcuni casi anche di over-50, la nostra risposta all’incombente senilità. Per la cronaca la risposta è al momento vincente. La nostra situazione è ben diversa da quella di un ragazzo di 18 anni che sta per iscriversi all’università, e che sta investendo sul suo futuro culturale e lavorativo. Nel nostro caso, vuoi per la crisi che impedisce anche a molti neolaureati di 23-24 anni di trovare impiego, vuoi per lo status di detenuti o futuri ex-detenuti che rende difficile essere presi in considerazione, vuoi infine per l’età in cui molti di noi si laureano, dai 40 ai 50 anni, un’età che è ormai della “rottamazione” secondo gli standard economici attuali, non ci sono concrete opportunità lavorative. L’Università Bicocca è venuta incontro alle esigenze dei detenuti, azzerando il costo per i test di accesso fissato in 50 euro, e dimezzando le tasse di iscrizione, che da circa 700 euro passano a circa 350 euro annuali. Questo sconto è un piccolo incentivo, che forse potrà dare a qualcuno lo stimolo per conti- nuare o riprendere gli studi. Una domanda d’obbligo si pone a questo punto: a cosa serve laurearsi? Una laurea richiede un investimento di tempo, soldi e risorse mentali non indifferente: la spesa di 350 euro di iscrizione annua è la parte minore. Secondo noi, che abbiamo dedicato molti anni della nostra vita a studiare, il lavoro post-laurea deve essere visto come un’eventualità, non come la molla primaria: che si studi per la licenza elementare oppure per la laurea, non si deve studiare per il voto o per il titolo di studio, che in questo caso resta un “pezzo di carta”, ma per il desiderio e il piacere di imparare cose nuove, di sapere, di conoscere, di migliorarsi. Non sappiamo quanti siano coloro che si sono laureati a Bollate e che abbiano poi trovato un lavoro nel campo dei propri studi e si contano sulle dita di una mano quelli che si sono laureati da quando questo istituto è stato aperto, ma in ogni caso questo incontro è la miglior dimostrazione di quanto Prap e Bollate tengano allo studio, e in particolare nello studio universitario, che sempre più si concretizza come un elemento fondamentale del percorso di recupero del detenuto. Nazareno Caporali In permesso o in affidamento ma sempre detenuti Surrogato di libertà A “ volte sui giornali appaiono notizie di cronaca che a un età in cui le strutture caratteriali sono già formate, parlano di storie di crimini avvenuti nel passato. persone (i carcerati) con un vissuto ben radicato all’interCrimini, che tornano alla ribalta quando l’autore no di nicchie sociali che li ha proiettati verso un agire fuori del delitto dopo un periodo più o meno lungo di dai canoni della legalità. Poiché di fatto, tutto ciò che rapdetenzione, ottiene uno dei cosiddetti benefici contemplati presenta il male o il bene nasce in seno alla società, i panni sporchi non si può continuare a gettardalla legge “Gozzini”. li dall’altra parte del muro. Allarmare Si tratta di benefici e premi, concessi e ottenuti in seguito al compimento di Sarebbe oppor- l’opinione pubblica a mezzo stampa, ogni volta che qualcuno tenta il primo un percorso trattamentale che lo ritiene idoneo a un primo ingresso nella tuno che prima approccio con il mondo esterno, non aiuta i giusti processi integrativi dei società, in forma monitorata, sottoposto ad una serie di controlli, regole e di creare inutili allarmi, detenuti. La criminalizzazione non può che geosservazione comportamentale. Conseguire un premio o un beneficio, imgli addetti all’informa- nerare rancore. A cosa varrebbe altrimenti consideraplica la fatica di riconsiderare se stessi e mettersi a nudo di fronte a coloro che zione si informassero re il carcere come luogo di riabilitazione come richiesto dalla Costituzione? hanno il compito di certificare l’avvenuto cambiamento. Significa armarsi meglio sulle norme Sarebbe opportuno che prima di creare inutili allarmi, gli addetti all’infordi umiltà, di spirito di adattamento, affrontare il pregiudizio che ancora che regolano il gra- mazione si informassero meglio sulle norme che regolano il graduale reinseincombe sui detenuti mostrato da una società attanagliata dalla paura verso duale reinserimento rimento sociale. In questo dossier cerchiamo di raccon“corpi estranei” aiutandola a cambiare tarle. idea. Un percorso lungo e tortuoso che sociale. M. C, richiede capacità di rimettersi in gioco carteBollate 19 dossier Queste le misure alternative e i benefici previsti dalla legge Il primo passo fuori dal muro: il lavoro esterno, Art. 21 Qualche spazio di libertà: i permessi premio L’ammissione dei condannati e degli internati al lavoro all’esterno (art. 21 op) è disposta dalle direzioni solo quando ne è prevista la possibilità nel programma di trattamento e diviene esecutiva solo quando il provvedimento sia stato approvato dal magistrato di sorveglianza ai sensi del quarto comma dell’articolo 21 della legge. La direzione dell’istituto deve motivare la richiesta di approvazione del provvedimento, corredandola di tutta la necessaria documentazione. Il magistrato di sorveglianza nell’approvare il provvedimento di ammissione al lavoro esterno deve tenere conto del tipo di reato, della durata effettiva o prevista, della pena, nonché dell’esigenza di prevenire il pericolo che l’ammesso al lavoro all’esterno commetta altri reati. Nel provvedimento di assegnazione al lavoro all’esterno senza scorta devono essere indicate le prescrizioni che il detenuto o internato deve impegnarsi per iscritto di rispettare durante il tempo da trascorrere fuori dall’istituto, nonché quelle relative agli orari di uscita e di rientro, al percorso da rispettare, tenuto anche conto della esigenza di consumazioneei pasti e del mantenimento del rapporto con la famiglia, secondo il programma di trattamento. Inoltre, l’ orario deve essere fissato all’interno di una fascia orria che preveda l’ipotesi di ritardo per forza maggiore. Scaduto il termine previsto da tale fascia oraria, viene inoltrato a carico del detenuto rapporto per evasione. La legge 26 luglio 1975 n. 354 all’articolo 30-ter tratta i Permessi premio. Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non risultano socialmente pericolosi, il magistrato di sorveglianza, sentito il Direttore dell’Istituto, può concedere permessi premio per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. La durata dei permessi non può superare complessivamente i 60 giorni all’anno. La concessione dei permessi è ammessa: per i condannati all’arresto o alla reclusione non superiore a tre anni anche se congiunta all’arresto; nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a tre anni, salvo quanto previsto dalla lettera, dopo l’espiazione di almeno un quarto della pena. Per ottenere i “permessi premio” il detenuto è sottoposto alle valutazioni dell’équipe che pratica la cosiddetta “osservazione scientifica”. PERMESSI PREMIO - Le donne raccontano le loro paure Appena uscita mi tremavano le gambe C hissà quante volte si è sentito parlare di concessione di benefici nei confronti dei detenuti, ma forse non tutti sanno che esistono perché previsti dalla legge. Stiamo parlando di permessi premio, articolo 21, allargamento, affidamento, arresti domiciliari e semilibertà. Tutti questi rappresentano una tappa importante da raggiungere, anche se spesso i media li confondono con la libertà. I profani potrebbero pensare che venga meno il controllo, che invece è obbligatorio da parte sia del magistrato di sorveglianza, sia della polizia, e che un detenuto possa fare ciò che vuole in piena libertà. Abbiamo interpellato alcune donne recluse, dette “permessanti”, vale a dire che nei giorni da loro stesse scelti possono chiedere al proprio magistrato di 20 carteBollate sorveglianza un permesso di dodici ore da trascorrere presso le proprie abitazioni o in compagnia di amici o dovunque ritengano opportuno. Questo, che sia chiaro, non vuol dire che sono libere di fare ciò che vogliono, ci sono tantissime restrizioni, ora parlando con loro cerchiamo di capire come funzionano i permessi. Sono quattro ragazze, le abbiamo radunate attorno a un tavolo perché possano spiegarci cosa vuol dire, ma soprattutto cosa non vuol dire, andare in permesso premio. Tutte hanno alle spalle parecchi anni di carcere, e hanno raggiunto i termini previsti dalla legge, ovvero dopo aver scontato la metà della pena, per uscire. Come ci si sente quando si esce in permesso per la prima volta? Anna: Io avevo una paura terribile, non sapevo cosa avrei trovato fuori dopo tanti anni di carcere, a dire il vero mi tremavano le gambe. Barbara: Mi sentivo tranquilla perché sapevo di uscire con Don Fabio, il nostro cappellano, quindi non ho sofferto per niente. Carla: Panico totale, tanto da farmi venire voglia di tornare indietro dopo aver raggiunto la carraia, che scema, lo so, ma è stato così. Daniela: Mi associo, ma, una volta arrivata alla carraia, mi sono fatta un po’ di coraggio, poi sapevo che avrei passato la giornata con i miei familiari nella mia casa. Quali sono le restrizioni che sono previste per chi va in permesso? Carla: Molti non ci credono, ma sono tantissime, intanto non si può uscire dal comune nel quale è stato concesso Sconti di pena L a legge 26 luglio 1975 n. 354 all’articolo 54, tratta della liberazione anticipata, concessa al condannato che ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società. La detrazione, che era di 45 giorni per ogni singolo semestre di pena scontata adesso e stata portata a 75 giorni, per i detenuti che non hanno reati ostativi Semilibertà L’ordinanza di ammissione alla semilibertà è immediatamente esecutiva e prevede la possibilità di vivere l’intera giornata all’esterno del carcere, rientrando alle 10 di sera. Nei confronti del condannato e dell’internato ammesso al regime di semilibertà è formulato un particolare programma di trattamento, approvato dal Magistrato di Sorveglianza. Nel programma di trattamento per l’attuazione della semilibertà sono dettate le prescrizioni che il condannato o l’internato si deve impegnare, per scritto, ad osservare durante il tempo il tempo da trascorrere fuori dall’istituto, anche in ordine ai rapporti con la famiglia e con il servizio sociale, nonché quelle relative all’orario di uscita e di rientro. La responsabilità del trattamento resta affidata al direttore, che si avvale del centro di servizio per il permesso, a esempio, io che vado in un paesino dell’hinterland milanese, non posso andare oltre i confini del comune. Anna: Per non parlare dell’obbligo dell’uso dei mezzi pubblici, che per me è un problema serio, visto che non conosco affatto Milano, figuriamoci le linee pubbliche. Da queste poche cose che avete detto, si evince che non sia tutto rose e fiori, ma ci sembra ancora poco per chiarire che il permesso premio è ben lontano dalla più agognata libertà. Perciò diteci di più. Barbara: A dire il vero, le restrizioni per il permesso premio sono molte di meno di quante ce ne siano per gli articoli 21, visto che loro escono per lavorare fuori dal carcere e vi tornano a lavoro ultimato. Daniela: È vero, i 21 sono costretti a fare sempre lo stesso percorso per raggiungere il posto di lavoro, noi se usciamo in permesso siamo libere di scegliere dove andare. Carla: Sì, però, se possediamo dei soldi sul conto corrente, non possiamo prelevare più di cinquanta euro, salvo casi la vigilanza e l’assistenza del soggetto nell’ambiente libero. Gli interventi del servizio sciale vengono svolti secondo le modalità precisate dell’articolo 118, nei limiti del regime proprio della misura. Affidamento al servizio sociale La legge 26 luglio n. 354 all’articolo 47, tratta dell’affidamento in prova al servizio sociale. Se la pena detentiva inflitta non supera i quattro anni, o con un residuo di pena di quattro anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell’Istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare. L’ordinanza, immediatamente esecutiva a cura della cancelleria del Tribunale di Sorveglianza è subito trasmessa in copia, se il condannato è detenuto, alla direzione dell’istituto in cui lo stesso si trova, per la sua liberazione e l’attuazione della misura alternativa, previa la sottoscrizione del verbale. Se sopravvengono nuovi titoli di esecuzione di pena detentiva, il Magistrato di Sorveglianza, provvede alla revoca del provvedimento. L’affidamento in prova implica l’osservazione di precise norme come: il rientro serale presso la propria abitazione, tendenzialmente alle ore 22.00 fino il mattino seguente alle ore 7.00. In tale orario si è sottoposti a controllo da parte dell’autorità giudiziaria. Saranno stabiliti degli incontri obbligatori con gli assistenti sociali dell’.U.E.P.E (unità esecuzione pena esterna), durante i quali gli operatori verificheranno se il condannato dà prova di un adeguato proseguimento del percorso riabilitativo nel contesto sociale, lavorativo o scolastico. Marina Cugnaschi eccezionali e con il benestare del Direttore, inoltre abbiamo un elenco di cose che possiamo comprare e di quelle che non possiamo, siamo costrette a uscire con le sigarette contate, in modo da non averne più al rientro in carcere, perché non passano, oppure siamo costrette a comprarne, magari un pacchetto da dieci, per farcele durare per tutto il permesso. Anna: C’è da dire che le contraddizioni sono tante, a esempio non si possono comprare libri con la copertina rigida, perché considerati corpo contundente, ma è permesso comprare cinture anche con la fibbia, che se la dai in testa a qualcuno gli fai veramente male!... Quindi restrizioni e contraddizioni vanno di pari passo, ma se noi pensassimo, appunto da profani, che quando uscite in permesso respirate una vera aria di libertà voi che cosa ci direste? Barbara: Che siete fuori come balconi, quale libertà, io sarò libera il giorno in cui finirà la mia pena. Carla: Non si può nemmeno parago- nare l’aria che si respira in permesso con quella che invade i polmoni dopo la galera, è un mondo a parte, forse molti non lo immaginano nemmeno, ma passare una bella giornata, che so, in piazza Duomo in compagnia di una caro amico è fantastico, e per poche ore quasi dimentichi chi sei, ma poi ti fermi e tutto assume un colore grigio e triste. Anna: Sai che devi tornare in quel posto così tetro, non che Bollate lo sia in realtà, ma è sempre carcere e come tale è tetro. Daniela: Ormai andiamo in permesso da tanto, e alle restrizioni non ci pensiamo, anzi forse non ci accorgiamo nemmeno che ci sono, tanta è l’abitudine a rispettare le regole ma, come giustamente hanno detto le mie compagne, la libertà è il diritto più meraviglioso che il buon Dio ci abbia donato, il permesso premio, anche se per quello dobbiamo ringraziare i vari Magistrati di sorveglianza, è solo il piccolo riconoscimento che il carcere, in definitiva, è servito a qualcosa. Teresa Barboni e Elena Casula carteBollate 21 dossier PERMESSI PREMIO 2 - Fuori dal carcere ma prigionieri delle regole Libertà a tempo determinato N ell’istituto di Bollate il 7° reparto ospita persone condannate per reati sessuali; il padiglione custodisce anche ex operatori delle forze dell’ordine e collaboratori di giustizia. Le leggi che riguardano i detenuti per reati sessuali sono molto severe; prevedono di effettuare un più lungo periodo di detenzione, rispetto ai detenuti per reati comuni, prima di poter accedere alle misure alternative. Paradossalmente, l’eventuale brevità della pena, a causa di complessità burocratiche, vanifica la possibilità di poter accedere a un qualunque tipo di permesso, o lavoro esterno (art. 21) o affidamento ai servizi sociali. Ho parlato personalmente con persone che hanno condanne di 1 anno e 10 mesi, 2 anni e 3 mesi, oppure di 3 anni. Le loro pene sono talmente esigue che, se le loro condanne riguardassero altri titoli di reato, l’applicazione delle misure alternative porterebbe queste persone fuori dal carcere in breve tempo. È bene ricordare che il fine delle misure alternative alla detenzione, quando la persona è al suo primo reato, è impedire il deterioramento della personalità del condannato, evitando di esporlo a lunghi periodi di detenzione, in contesti potenzialmente degradanti. Purtroppo la complessità delle procedure farà sì che queste persone sconteranno interamente in carcere le loro brevi condanne.È probabile che qualcosa sia sfuggito al legislatore, se l’applicazione di una norma fa rilevare risultati così iniqui. Soprattutto se si considera che queste persone, come la maggior parte degli ospiti del 7°, sono alla loro prima condanna. Ho chiesto agli ospiti del 7° reparto che vanno in permesso all’esterno del carcere di spiegare quale sia la differenza rispetto alla vera e propria libertà. Freddy, trentasettenne sudamericano, va in permesso quasi ogni settimana dal maggio del 2013 e racconta: “Il permesso mi fa stare insieme alla mia famiglia, che ha sofferto molto la mia carcerazione. Ho fatto un reato in un periodo che ho vissuto con mancanza d’umiltà. Durante i permessi sono molto felice e più tranquillo, perché sparisce tutta questa sofferenza. Non è una vera e propria libertà. Ogni volta bisogna firmare in questura prima di arrivare a casa. Una volta la mia famiglia è stata invitata a casa di amici per un battesimo, io sono dovuto rimanere a casa da solo perché non potevo andare a quella festa. Quando mancano poche ore al mio ritorno in carcere, divento nervoso e non vedo l’ora di rientrare, perché temo possibili ritardi e le spiacevoli conseguenze”. Un artista italiano di età avanzata spiega: “Appena arrivato avevo dato poca fiducia agli educatori perché, ascoltando le voci negative che giravano, mi ero subito scoraggiato. Devo dire che mi sbagliavo, dato che mi hanno aiutato molto sia a ottenere i permessi, sia nel mio percorso artistico. Per ora impiego i permessi per preparare il terreno per quando esco. Ovvio che se fossi libero sarebbe molto più semplice realizzare con i tempi dovuti una mostra con i miei quadri”. Tano sarà scarcerato a maggio del prossimo anno, è uscito in permesso insieme ad altri reclusi, per dare una mano come volontario e dice: “Sono andato volentieri a dare una mano ai frati della Mensa dei poveri. Ci hanno scortato gli agenti col furgone, abbiamo trovato le educatrici lì che ci aspettavano dai frati. Mi ha stupito molto il fatto che a mangiare c’erano molti italiani dai trenta ai cinquant’anni. Si portavano via pure il pane che avanzava, lo mettevano nei sacchetti insieme alla frutta che rimaneva. Pochi stranieri e pochissimi anziani. Deve essere il segno della crisi. Se fossi libero andrei un paio di giorni alla settimana ad aiutare i frati in quella mensa. Purtroppo dal carcere è un problema anche svolgere attività di volontariato”. Al 2° piano B del 7° reparto è attiva l’Unità di trattamento intensificato (Uti) che svolge un programma trattamentale che mira a ridurre la recidiva degli autori di reati sessuali. Il Cipm di Milano cura questo progetto che è solo l’inizio di un percorso che prosegue nel Presidio criminologico territoriale di Milano, tipo un Ser.T rivolto ad altre problematiche, in cui si recano in permesso diversi detenuti. Alvaro va in permesso in questo centro e racconta: “Sono corsi che mi hanno aiutato molto a comprendere meglio gli errori commessi che mi hanno portato in carcere. Certo che da libero non avrei l’angoscia di dover avere i minuti contati per correre al centro e tornare in carcere al volo; se perdo un pullman all’andata è un casino pure per il ritorno. Questa fretta mi causa ansia e mi stressa molto, mi indispone a frequentare momenti terapeutici per me molto importanti”. Enzo è più ottimista e dice: “Naturalmente se fossi libero sarebbe più semplice frequentare il centro. La gioia che respiro ogni volta che torno ‘nel mondo che non c’è mi fa sentire come un novello Peter Pan, anche se mi manca ancora Campanellino. Il resto della settimana lo passo scandendo il tempo della favola; tic- tactic- tac… il coccodrillo si avvicina con in bocca l’ambito permesso”. Fabio Padalino il diritto di essere dimenticati dai media L o scorso anno, 15 marzo 2013, il Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti ha approvato la Carta di Milano, codice etico per i giornalisti che trattano notizie concernenti il carcere. Il testo, nato da una collaborazione tra alcune redazioni carcerarie e gli Ordini dei giornalisti della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia Romagna, parla anche di diritto all’oblio. Sembra una parolaccia, ma ha un valore pari alla memoria: ciò che i media scrivono degli autori di reato resta per un tempo indeterminato a disposizione di chiunque e le informazioni che se ne ricavano non sono quelle asettiche del Casellario Giudiziario, ma sono spesso le cronache a fosche tinte che hanno spettacolarizzato i reati. Sono su internet, a disposizione dei figli, dei loro amici, del vicino di casa, del potenziale datore di lavoro. Basta un clic e il tuo passato 22 carteBollate riemerge anche dopo aver scontato fino all’ultimo giorno la tua pena, anche quando vorresti ricominciare a vivere da persona libera, tentando di lasciarti alle spalle il passato. La memoria non è un magazzino dove vengono riposti i ricordi, è la costruzione di un’identità oppure la sua distruzione. È matita che sottolinea avvenimenti e momenti che hanno fatto del nostro mondo quello che è. Un giornalista potrà sempre trincerarsi dietro al diritto di cronaca per ricostruire, anche dopo decenni, la storia di un detenuto tornato in libertà, ricordare i dettagli del reato commesso, invadere la sua privacy in nome di un presunto interesse collettivo. La memoria va custodita, ma senza tossine paralizzanti che impediscono a chi ci sta provando di ricominciare a vivere. Debora Beolchi - Antonella Corrias PERMESSI PREMIO 3 - Buone notizie ignorate dai giornali Fuori per un giorno salva un infartuato Q uando un detenuto, durante un permesso premio o in uscita dal carcere con i benefici raggiunti, commette un reato, buona parte della stampa immediatamente inizia un martellamento mediatico, mettendo in evidenza lo stato di recluso del reo. Allarmismo che fa alzare gli ascolti di trasmissioni di pessimo intrattenimento, di cui siamo un po’ stufi. Nessuno dice mai che quando un detenuto commette un reato approfittando del permesso premio, in Italia nello stesso momento usufruiscono del medesimo beneficio altri dodicimila reclusi, che rientrano serenamente in carcere la sera. La notizia c’è solo quando si registra un fallimento, ma non fa notizia il fatto che la recidiva, che normalmente è del 70%, scende al 27% tra detenuti che usufruiscono di misure alternative. Così non ha fatto notizia il fatto avvenuto il 16 febbraio, quando un detenuto del carcere di Bollate in permesso premio ha salvato un essere umano. Antonio Pesce, ex assistente della Polizia di Stato, nonché ex casco blu delle Nazioni Unite, che ha operato nei Balcani in missione di pace, ci racconta che è in carcere dal 2000 e da due anni è giunto al carcere di Bollate. “Usufruisco dei permessi premio dal 2009 e in uno degli ultimi permessi ho salvato una vita, grazie all’apprendimento delle tecniche di pronto soccorso del corso Aifos che frequento all’interno dell’istituto”. I fatti: vedendo un capannello di persone attorno a un uomo infartuato, senza che nessuno intervenisse, Pesce gli ha praticato la rianimazione cardiopolmonare per ben 15 minuti, fintantoché è arrivata l’ambulanza che gli ha praticato un massaggio cardiaco con il defibrillatore. Tale atto non è stato menzionato nemmeno da una testata giornalistica, una di quelle testate che alimentano l’opinione pubblica con notizie allarmanti sul percorso dei reclusi. Le ragioni che portano una persona in carcere sono molteplici e il reato di Pesce è da considerarsi uno dei più gravi, ciò non toglie che stia espiando la sua pena con sofferenza per l’atto commesso e che l’aver salvato una vita abbia, almeno in piccola parte, alleviato il dolore del suo reato. Ci dice: “A parte la felicità per questo episodio, sento ancora più un forte senso di colpa e sono tormentato dal rimorso di non aver potuto salvare la vita alla persona che mi ha condotto in carcere. Dieci, cento o mille azioni positive, mai potranno essere sufficienti per porre rimedio all’errore del passato. Quello che ho fatto in permesso non è un atto di coraggio, il vero atto di coraggio lo compiono le vittime o i loro familiari, che riescono a perdonare”. A volte il percorso carcerario dà i suoi buoni frutti e molti reclusi cambiano totalmente vita e oggi sono uomini liberi che lavorano e mantengono una famiglia; allora perché non si parla anche di loro? È difficile cambiare la mentalità della società, un detenuto è ritenuto tale anche dopo aver scontato la pena, anche se sono passati vent’anni dalla scarcerazione e si è rifatto una vita. Carlo Bussetti AFFIDAMENTO - Una misura che ti fa sentire quasi libero Ma la notte no I n Europa (Francia e Gran Bretagna) circa il 74% delle condanne viene scontato con misure alternative al carcere, mentre in Italia è l’esatto contrario poiché l’83% dei condannati passano la pena ristretti in carcere. Con i due decreti del 2013 un po’ l’aria è cambiata, complici forse anche le vicine possibili sanzioni dell’Unione Europea e così i numeri ora sono un po’ diversi. Oggi a esempio, a differenza di un anno fa, può accedere alle misure alternative, come l’affidamento in prova, il condannato che deve espiare una pena residua al di sotto di quattro anni (prima era sotto i tre anni). Questo crea un flusso d’uscita costante ma lento, anche perché l’applicazione della legge è sempre subordinata alla discrezionalità del magistrato di sorveglianza. A me a esempio lo scorso 13 marzo 2014 il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha concesso come pena alternativa al carcere l’affidamento in prova ai servizi sociali, ma questo non significa che sconterò in misura alternativa gli ultimi quattro anni, dato che in agosto avrò comunque esaurito la mia pena. Cosa vuol dire beneficiare di una misura alternativa come l’affidamento in prova? L’ho tanto atteso e adesso che mi è stato concesso le polemiche le ho buttate dietro alle spal- le. L’affidamento in prova ai servizi sociali è una forma di espiazione della pena fuori dal carcere. Viene concesso dopo aver scontato una gran parte della pena complessiva, a condizione che il condannato si sia comportato bene, ovvero che abbia dato prova di aver seguito il programma rieducativo proposto dalla direzione del carcere. Non è, dunque, un automatismo. Bisogna conquistarselo. Personalmente, nei quasi tre anni passati a Bollate ho svolto parecchie attività di volontariato, ho fatto il “giornalista” e lo “speaker radiofonico”, il corista liturgico e lo sportellista al segretariato sociale, oltre che il segretario in varie commissioni. Questo mi ha permesso di arrivare a conquistare il primo gradino verso la libertà: il lavoro esterno, ossia la possibilità di uscire dal carcere per alcune ore per recarmi al lavoro e, poi, al termine della giornata lavorativa rientrare in carcere. Difficile situazione, perché le limitazioni al libero movimento sono molte e rigide. Si deve uscire a un certo orario, seguire un predeterminato percorso per raggiungere il posto di lavoro entro un orario stabilito; pausa pranzo e uscita dal lavoro sono anch’esse definite. Ogni inconveniente che può comportare ritardi sul lavoro o per rientrare in istituto oltre carteBollate 23 dossier l’orario previsto deve essere telefonicamente preannunciato al proprio reparto. Vietato entrare in un negozio o fare la spesa nel giorno non assegnato nel programma. Pena, per il non rispetto di queste regole, è essere “chiusi” per un certo periodo o, nei casi più gravi, comporta anche il trasferimento ad altro istituto e addio lavoro e quella poca libertà conquistata! L’affidamento è invece meno pesante. Innanzi tutto cambia il padrone. Non è più responsabile il direttore del carcere come nel caso dell’art. 21, ma il magistrato di sorveglianza. Non per dire che il direttore sia più severo del magistrato, tuttavia, con l’affidamento si acquista una maggiore autonomia di movimento, in quanto non si debbono più rispettare percorsi obbligati. Nel mio caso l’affidamento è un po’ la continuazione dell’art. 21: stesso lavoro, con un po’ più di mobilità, senza richieste di particolari autorizzazioni e nessun vincolo di orario, ma la vera novità è quella che si torna a vivere a casa propria con la famiglia. Il Tribunale di Sorveglianza mi ha concesso di muovermi entro i confini della Lombardia fra le sei del mattino e le undici della sera. Posso andare liberamente a lavorare, entrare negli esercizi pubblici che voglio, o svolgere l’attività di volontariato negli orari liberamente prefissati con la cooperativa che ne ha la gestione. Mi è vietato frequentare pregiudicati e ho obbligo di restare in casa nelle ore notturne. Sono affidato a un’assistente sociale del Uepe della mia zona di residenza, che fa da tramite fra me e il magistrato di sorveglianza e che ha il compito di monitorare il mio comportamento. Nella fascia oraria fra le 23.00 e le 6.00 del giorno successivo, le forze di polizia possono verificare la mia presenza in casa pena, per l’eventuale assenza, la revoca della misura alternativa. Beh, in questo modo si respira un aria di libertà quasi completa e, comunque, generosa rispetto a quella che ho provato in questi tre anni. Il rischio di questa nuova condizione è che ci si possa dimenticare di essere ancora dei detenuti e si possa commettere qualche infrazione. Il riconquistato sapore della libertà porta forse a dimenticarsi della condizione di uomo che non ha ancora finito di espiare la pena. L’importante, tuttavia, è tornare a riempire la giornata con un lavoro, perché ti dà autonomia economica e ti fa sentire una persona “normale”; la mancanza di lavoro o un lavoro precario può facilitare il ritorno al reato, la recidiva in termine tecnico. Ma non è il mio caso. Anzi, l’obbligo notturno mi ricorda ogni giorno che non sono ancora un uomo veramente libero. Anche se devo dire che tale obbligo non mi pesa particolarmente, visto che mi alzo alle 5.30 del mattino per prendere il treno alle 6.40 per Milano, e rientro alle otto di sera stanco morto! Anzi la mia vera preoccupazione è quella di non sentire il campanello di casa che gli agenti della Volante di turno suonano per effettuare il controllo, quasi sempre nel pieno della notte. Per fortuna c’è Spot, il cane di famiglia, che abbaia e mi evita guai certi a causa di un sonno troppo profondo, anche se sveglia il resto della famiglia! A proposito, ma non si può studiare un sistema di controllo migliore per evitare questi inconvenienti a chi espia la pena e risparmiare fatiche agli agenti di polizia? Nel tempo dell’elettronica forse è il momento di pensarci. Maurizio Bianchi ART. 21 – Una doppia carcerazione Un errore e sei dentro R oberta è in articolo 21 da pochi mesi, che vuol dire che al mattino esce dal carcere per andare a lavorare e alla sera rientra. Un traguardo sospirato, per il quale si è impegnata, ma adesso che l’obiettivo è raggiunto lo vive come una doppia carcerazione. Vediamo perché. Ciao Roberta, ci racconti cos’è l’articolo 21? Non è altro che una prova per vedere quanto possiamo reggere. Un attimo prima assapori la libertà e un attimo dopo arriva l’inferno. Non pensate che sia facile da affrontare, sembra una passeggiata ma vi assicuro non è così. Che lavoro svolgi all’ esterno del carcere? Lavoro in una associazioni onlus ed è un lavoro come quello di tanti altri detenuti. Gli stipendi sono bassi, troppo bassi anche se il datore di lavoro che assume detenuti è già avvantaggiato perché ha diritto alle detrazioni fiscali previste dalla legge Smuraglia. Ma almeno sei fuori dal carcere, se ne hai voglia puoi fermarti a bere 24 carteBollate un caffè, a comprarti qualcosa… Queste sono favole, non puoi fermarti dove vuoi, perché devi fare il percorso di andata e ritorno secondo un itinerario prefissato, niente bar e negozi, non puoi parlare con nessuno, soprattutto pregiudicati. Ti viene la tentazione di fermarti o magari di andare dal parrucchiere? Sì, perché ti senti libera, ma hai la testa sulle spalle che ti dice di non farlo, perché metti a rischio quel po’ di libertà che comunque ti sei conquistata e che in ogni momento può essere revocata. Un errore e sei di nuovo dentro tutto il giorno. Quali sono le tue sensazioni quando esci dalla carraia? Di respirare un’aria diversa e mettere da parte ciò che tu sei in questo momento. La cosa più bella è vedere il sorriso degli altri che come me che vanno a lavorare e possono non dipendere dai loro familiari. Durante la giornata cosa fai? Io lavoro tutto il giorno, ma non è l’unica possibilità. Ti faccio degli esempi: ci sono persone che stanno fuori anche dieci ore, chi sta fuori otto ore, chi cinque, chi va a fare solo un corso e c’è chi invece per terminare la sua pena non avendo più l’età per lavorare va a fare il volontariato. Fuori fai anche subito i conti con il costo della vita: metrò, pullman che non sono di Atm, treno, il mangiare, il caffè sul lavoro e deve avanzarti anche qualcosa per vivere in carcere con la spesa quotidiana. E allora cosa ti resta dello stipendio, da mandare a casa? In tutti i tuoi movimenti e sul lavoro vieni anche controllata? Sì, ti dico anche il perché; ci possono essere possibilità di incontri con i familiari durante la pausa pranzo o al rientro in istituto, ed è qui che potresti essere in compagnia di persone con le quali c’è un esplicito divieto di incontro….. Hai la possibilità di poter comunicare con qualunque persona al telefono? In un certo senso sì, perché hai un te- COMUNITA’ 2 – Un’esperienza da non ripetere Meglio la galera L a mia esperienza in una comunità residenziale è la seconda esperienza più brutta e negativa che abbia mai avuto nei miei 36 anni di vita. Il personale che vi lavorava non era per niente professionale, c’erano tre operatrici che avevano rapporti preferenziali con alcuni ospiti e che trascuravano gli altri pazienti. C’era anche un operatore, un ex tossico che poi tanto ex non era e noi ovviamente non potevamo non notarlo. Secondo i loro parametri, se te la cantavi eri sulla buona strada, ma se uno faceva molti cambiamenti ma non se la cantava, non andava per niente bene e questo è stato il mio maggior problema. Dicono che se uno accusa i suoi compagni esce dalla mentalità criminale, ma loro sono lì per curare la nostra tossicodipendenza e questo loro voler fare di più manda in confusione i pa- zienti facendoli fallire. Per ogni cosa che chiedevo, la risposta era sempre la stessa, “no”, mi dissero che a me non piaceva sentirmi dire di “no” e allora loro lo facevano apposta, credevano così tanto in questa cosa, che pure quando chiesi di poter avere per colazione due fette biscottate anziché il caffè o il latte, per problemi di salute, la loro risposta fu no! La cosa più assurda fu quando ebbi una fortissima litigata con un’operatrice perché pretendeva che io, con la gamba ingessata e la stampelle, facessi il giro per la casa, piano alto compreso, con un enorme secchio per svuotare i cestini. Persi totalmente il controllo e le dissi le parole più offensive che mi venivano in mente e che non mi permetto di scrivere in questo articolo. All’interno della comunità, facevamo dei lavoretti e ci dicevano che i soldi guadagnati servivano per le uscite, ma in cinque mesi in cui sono stato lì, ne abbiamo fatta una sola. Dopo quattro mesi, chiesi di dare le dimissioni, preferivo ritornarmene in carcere, ma loro mi hanno proposto molto insistentemente un’altra comunità e allora decisi di provare, dovevo solo attendere il nulla osta della Regione Lombardia perché l’altra comunità era in Emilia-Romagna. Dopo un mese, quando ero ormai allo stremo delle mie forze mentali, ebbi una discussione con un altro ospite e per difendermi dovetti anche usare le mani. Il risultato? L’altro ospite continuò tranquillamente il suo percorso comunitario, io mi ritrovai nel carcere di Lodi, trasferito immediatamente a Cremona con una relazione comunitaria assolutamente negativa, e dell’altra comunità non ne ho più sentito parlare. Magari ci sono comunità più serie o più morbide, io non lo so, quello che so è che, per quanto mi riguarda, preferisco starmene in carcere piuttosto che andare in una comunità residenziale, posto in cui sicuramente, non metterò mai più un piede. Benedetto Marino lefono personale però senza preavviso viene controllato, ma se non hai nulla da nascondere non c’è problema. Come avviene il tragitto del rientro? Il tragitto del rientro… Cammini fino ad avere mal di stomaco, è come se ti mancasse il respiro. Quando vedi da lontano il carcere ti viene l’incubo di tornare dentro. E ti senti umiliata, è il modo di non farti dimenticare chi sei in realtà. Quali sono le tue emozione quando rientri? La prima impressione è che ti senti mancare l’aria, poi senti le urla, tiri in alto la testa e guardi le finestre. Passi la carraia, perquisizione, e poi forse rientri in sezione, sempre che non sorgano problemi, magari per qualcosa di inutile che potresti avere dimenticato in tasca. Ma se sei fuori tutti i giorni quando incontri i tuoi famigliari? Vado in allargamento, che vuol dire a casa una volta alla settimana. Questo ti consente di recuperare l’affetto della famiglia e quando sei lì non vorresti più tornare indietro. Ma poi sei più forte tu, sai che anche questo fa parte del tuo percorso per tornare a essere una persona libera. Abbracci tutti e te ne vai. Debora Beolchi e Antonella Corrias carteBollate 25 poesia ✍ poesia ✍ poesia ✍ poesia ✍ poesia ✍ poesia ✍ poesia dossier COMUNITA’- Prendete accurate informazioni prima di andarci Terapeutiche ma non sempre P arliamo di comunità per la cura e il recupero dei tossicodipendenti. La dipendenza da sostanze alteranti, in Italia, è sotto la giurisdizione dei Ser.T (Servizio per le Tossicodipendenze che fa capo alle Asl). Il paziente, perché di paziente stiamo parlando, si rivolge al Ser.T per intraprendere una cura adatta alla sua personalità e, tralasciando quella farmacologica, di solito ci si rivolge alle comunità terapeutiche. Queste per legge devono avere dei requisiti ben precisi per operare, soprattutto il supporto di operatori qualificati, psicologi e tutto un apparato che, con modalità ben impostate, cercano di far uscire quello che di buono ognuno ha dentro. Si rivedono comportamenti e si cerca di rimuovere le cause che hanno portato l’individuo a prendere quella strada. Normalmente questo percorso consiste nel rivedere con gli operatori i motivi che hanno portato l’individuo su quella strada, dopo l’analisi si cerca di fare un programma concordato per permettere al paziente di trovare un’alternativa. Tutto questo in via teorica, o perlomeno come da legge. Di solito, specie per persone detenute, si offre un soggiorno per un programma concordato che parte da un minimo di sei mesi. Lo Stato paga per ogni paziente circa 50 euro al giorno per il soggiorno in comunità. Soldi dei contribuenti che hanno tutto il diritto di essere informati su quello che realmente accade, perché ci sono comunità veramente aperte, dove ti fanno fare un percorso individuale, ma soprattutto non ti fanno perdere il senso della realtà, cercando di farti uscire dal “tunnel” della devianza. Ma ce ne sono altre che sono luoghi chiusi, dove arrivi a sentirti il cervello spappolato, non capisci più dove sta la verità o la menzogna, confondi tutto. Ma anche questi posti incassano i quattrini del contribuente! Io sono stato ospite in due comunità, una l’opposto dell’altra. Nella prima, sin dal momento del mio ingresso, fui accolto da persone motivate e veramente capaci a gestire il non facile compito di lavorare sulla mente umana. Lì, tra alti e bassi, posso dire che stavo riuscendo a fare un buon percorso rivedendo il vissuto e cercando di correggermi in alcuni modi di fare. Ebbi l’onore d’incontrare persone buone e oneste, con il loro aiuto sono riuscito a raggiunge26 carteBollate re degli obiettivi che in qualche modo porto ancora adesso nel mio zainetto. Obiettivi validi per il mio futuro, per potermi garantire una serena vita quando rientrerò nel mondo reale. Nella seconda struttura ci finii un po’ controvoglia, ma o accetti questo o resti in galera. Lì riprese il faticoso cammino iniziato nella prima struttura, ma mi gestivano male, mi creavano insicurezza, paranoia, desideri suicidi. Per fortuna avevamo una cucciolotta trovatella, tutta nera con una croce bianca sul petto, che elessi come mia operatrice e, come se intuisse la mia angoscia, riuscì a distrarmi dal mio insano proposito. Sostanzialmente subivo una continua tortura psicologica, con ordini contraddittori tra di loro. Avrebbero dovuto far emergere il buono che abbiamo dentro, ma mi trattavano in modo inumano, l’insulto era la regola, tutto quello che facevo era sbagliato, tutto quello che dicevo era sbagliato, loro avevano ragione su tutti i fronti ma, più grave, vedevo sgretolarsi quello che piano piano e con fatica avevo costruito nella prima struttura. Cercai di parlare e spiegar- “ Cercai di parlare e spiegarmi, ma fu tutto inutile, così comin- SMARRITO No, non ci saran ricordi e nemmeno gesti ad accarezzarti il volto nemmeno loro ci saranno no amico mio nemmeno loro ma solo il contemplar dell’assenza. Giacomo De Santis Il rumore è caos è il rovescio di una medaglia si usa per attirare l’attenzione o per farci ascoltare. Il rumore è anche divertimento serve per chiedere aiuto ma… nessuno ci ascolta allora sapete cosa dico? Leonardo Belardi IL GIRASOLE IMPAZZITO FOLLIA Come un girasole al centro del giardino disperatamente cerco la luce, trovo solo ombre rapite. È una follia odiare tutte le rose perché una di queste ti ha punto non rinunciare tutti i giorni a te stesso anche se è il tuo obiettivo non rinunciare a tutti tentativi perché uno di loro è fallito, - è una follia non condannare tutte le amicizie perché una ti ha tradito non rinunciare a un vero amore perché uno è stato infedele non tutte le cose vanno per il verso giusto ma nella vita c’è sempre un’altra opportunità in un’altra amicizia in un’altra vita nella felicità c’è una nuova forza per ogni fine c’è sempre un nuovo inizio ed io non vedo l’ora di iniziare. Roberto Giorgio Luigi Bellanti tori come nemici, di cui mi, ma fu tutto inutile, così cominciai a vedere gli operatori come nemici di cui non potevo fidarmi. Mi fecero male, costringendomi all’esasperazione e rovinando quel buon cammino che avevo intrapreso quando decisi di rivolgermi al Ser.T. Esiste sempre un punto di rottura quando si è sottoposti a stress (oggi va tanto di moda la parola mobbing ed è anche reato). Andò a finire che prevalse l’istinto di sopravvivenza, son riuscito a gestirmi al meglio evitando conseguenze gravi. Mi hanno “dimesso” con una relazione striminzita che parla di regole infrante, ma non spiegano quali, morale mi hanno fatto tornare in prigione con l’aggravante che per tre anni non posso chiedere alcun beneficio. Oggi mi manca poco per uscire, senza l’aiuto della comunità sarei già fuori. Il consiglio che posso darvi è di informarvi bene in quale situazione state andando quando vi pongono in una comunità e se accettate, e vedete che le cose vanno male, rivolgetevi al Ser.T, all’UEPE e per conoscenza al Magistrato di sorveglianza competente. Evitate di fare la mia fine. Santino Nardi Il clarinetto Cullato dagli archi Sussurra una melodia tenera Dai movimenti discendenti Che nascondono Una serena tristezza. Teresa Baroni RUMORE Facciamo rumore!! ciai a vedere gli operanon potevo fidarmi. IL CLARINETTO HARDCORE Sento i brividi percorrere il corpo il cuore batte all’impazzata e la testa viaggia magicamente… Barbara Pasculli ACROSTICO Guardo In Alto Nella Nullità Immensa Qani Kelolli SONO STANCO LA CADUTA QUEL BACIO A chi precipita non è permesso di accorgersi né di sentire quando tocca il fondo. Quel bacio che ti ho dato… quanto ti ho amato! È stato il più bel sapore che abbia mai assaporato ma quando mi hai lasciato quello stesso bacio aveva un sapore avvelenato. Barbara Balzano Questa bella combinazione è destinata agli uomini che in un momento della vita hanno cercato qualcosa invano. Gianpaolo Agrati Sono stanco del silenzio Vorrei gridare la mia ira Spaccare muri e sbarre Sono condannato A tenermi l’amore Dentro la scatola del cuore Questo mi fa impazzire. Avere amore e non poterlo offrire. Karim Chari carteBollate 27 Dove ti porterei CIPRO – A vela sui mari solcati da Ulisse Un museo all'aperto di antiche culture S ul Corriere della Sera di qualche mese fa mi colpì la foto di due bimbi che giocano nei pressi del muro che divide in due l’isola di Cipro. Sul muro una grossa scritta cita: “Ehi turchi non dimenticatevi del massacro”, è un esplicito riferimento ai motivi dell’invasione turca del 1974, sono passati 40 anni. Mi ricordai così di una gita in barca fatta anni orsono accompagnando dei clienti dall’Italia all’isola di Cipro. Allora ero nel porto di Lavagna in Liguria, e ci stavamo preparando per intraprendere la crociera. Si era deciso di affrontare il viaggio in una unica tappa, circa 1650 miglia marittime, calcolando di poter percorrere circa 200 miglia al giorno avremmo impiegato 16 giorni. La barca a vela era un Comet 55 piedi. Si sarebbe dovuto passare per lo stretto di Messina, unico momento di vera difficoltà visti il traffico intenso che affligge lo stretto e le forti correnti. Il meteo ci fornì indicazioni di tempo buono e mare poco formato, venti favorevoli almeno per tutto il Tirreno dove si riesce a sfruttare il maestrale. In estate non è un vento impetuoso e può durare anche sei giorni. Subito dall’uscita del porto sfilammo la lunga lenza con sei ami a cui inserimmo sei esche sintetiche che quasi giornalmente ci concessero del buon pesce da gustare anche crudo con un filo di olio e limone accompagnato da un buon bicchiere di vino bianco. Le giornate di navigazione procedettero con gran gioia di tutti noi, la costa in Tirreno è molto bella con numerose isole che da lontano evocano immagini fantastiche e ricordi di civiltà storiche e di battaglie navali. Capri ci apparì al tramonto, scura mentre il sole dietro di lei infuocava l’orizzonte. Passammo lo stretto a motore, più sicuro. Sul mar Ionio il vento cambiò direzione, libeccio, il mare più formato, si puntò su Creta che passammo verso sud dopo nove giorni di navigazione. Il mare dopo Creta ingrossò, un bel forza cinque al traverso, la pesca scarseggiò e si diede fondo alle provviste fin quando il mare ci concesse momenti di relativa calma per poterci cucinare qualcosa di 28 carteBollate caldo e di più saporito dei prodotti precotti. Ci trovammo dopo 15 giorni a poche miglia dall’isola Cipro. Pioveva a forti scrosci ma l’Est chiaro ci fece ben sperare per l’attracco al porto di Pafos sull’isola. Era mattina quando raggiungemmo la banchina della capitaneria di porto. Velocemente e cordialmente sbrigammo le pratiche per l’ancoraggio. Il porto è vecchio ma accogliente e il posto barca assegnatoci ben fornito e tranquillo. Al nostro fianco, in banchina, c’era uno yacht francese lussuosissimo con un capitano superbo, arrogante e poco amichevole. Dopo aver lavato vele e tutto l’esterno e l’interno arieggiandolo, la giornata era splendida e un bel venticello dava respiro a un sole limpido, ci concedemmo un meritato pranzo in un ristorante molto grazioso pieno di dipinti e oggetti antichi (o pseudo tali). Si mangiò molto bene e assaggiammo il gustosissimo formaggio tipico chiamato anari. La cucina è mediterranea, molto ricca di grassi dovuti all’uso di carne di agnello, montone e maiale. Molto buoni sono i formaggi, ma anche piatti tipici dal nome impronunciabile e di cui non ricordo se non le combinazioni di vari ingredienti come l’insalata greca a base di olive nere, feta, cipolle pomodoro e origano. Ottimi sono gli spiedini di maiale. Ricordo un purè di patate con noci, mandorle aglio e olio, ottimo. Buonissimi sono gli involtini di riso in foglia di vite. Anche il vino è buono, non so se di produzione locale, ma certamente greco. È strano, fra le molte isole visitate ho sempre riscontrato che la cucina locale è scarsa di piatti di pesce e anche qui era facile trovare piatti di carne come agnello e selvaggina, ma poco pesce. Il giorno seguente accompagnati da una guida locale che parlava perfettamente l’italiano andammo alla scoperta della città. Questa si presentò in parte moderna e in parte, quella più bella e interessante, antica. Poco distante dal porto su un istmo sorge un castello semidiroccato, ma interessante da visitare. A sera pranzammo in un locale tipico dove più tardi una band in costume ci intrattenne con dolci melodie. Il giorno dopo andammo alla scoperta dei bei palazzi risalenti l’Impero Romano, di cui la città è ricca, e dove vi sono ancora conservati meravigliosi mosaici raffiguranti eventi della mitologia, e della storia. Visitammo i resti del santuario dedicato alla dea Afrodite che secondo la mitologia greca nacque qui. Pafos è una antica città portuale all’estremità occidentale di Cipro, leggo che sarà nominata Capitale europea della cultura nel 2017. Ho letto che oggi, come già allora, il turismo molto sviluppato crea problemi ambientali. Il mare vicino alla costa, peraltro molto bella e alta tranne alcune bellissime baie come quella di Famagosta, è inquinato dalle acque non depurate e le falde acquifere sono insufficienti al fabbisogno dell’isola. Gli insediamenti turistici stanno nascendo anche in molte aree di interesse naturalistico depauperando l’ambiente. Il governo ha creato per questo delle zone protette, che ospitano importanti specie zoologiche e botaniche, e ha firmato una serie di accordi internazionali per la tutela del patrimonio naturale e del mar Mediterraneo. Le lingue ufficiali sono il greco e il turco, il cipriota è il più affine al greco antico. I membri della comunità greca appartengono alla Chiesa nazionale di Cipro (80% della popolazione), formalmente indipendente dalla Chiesa ortodossa orientale; la minoranza turca professa la religione musulmana (19%); esigue minoranze sono rappresentate da maroniti (arabi cristiani), cattolici ed ebrei. La partizione dell’isola causò massicci spostamenti di popolazione, che resero le due parti di Cipro etnicamente pressoché omogenee. Il 15 novembre 1983 nel settore settentrionale dell’isola venne ufficialmente proclamata la Repubblica turca di Cipro del Nord. Negli anni seguenti l’esasperato nazionalismo delle due fazioni e gli effetti delle tensioni tra Grecia e Turchia vanificarono ogni tentativo di mediazione da parte della diplomazia internazionale. I rappresentanti delle due comuni- tà si incontrarono infatti più volte, ma senza alcun esito. Il 1° gennaio 2008 la Repubblica di Cipro è ammessa nell’Unione monetaria europea; la lira sterlina viene così sostituita dall’euro. È una tipica macchia mediterranea e la vegetazione è scarsa. Si incontrano molti carrubi, ma non mancano pini e olivi. Si trovano anche alberi di cedri, dal frutto grosso e succulento. Per rimboschire il territorio, sono stati piantati estensivamente alberi di eucalipto. La fauna selvatica è costituita essenzialmente dal muflone e da numerose varietà di pernici; l’isola ospita periodicamente anche stormi di uccelli migratori. La circolazione è a sinistra e strane sono le cabine telefoniche di colore verde, sembrano quelle vecchie che si trovano ancora, anche se sono rare, a Londra. Tutta l’isola è un museo all’aperto di testimonianze di antiche culture come quella greca e romana in primis, ma anche egiziana e fenicia. I ciprioti sono persone cordialissime, difficile però capire la loro lingua, ma a gesti e con grandi risate di tutti e con l’aiuto dell’interprete ci si intendeva bene. La visita a Pafos e dintorni durò più del previsto e in accordo con i clienti si decise che loro sarebbero ritornati in areo. La città dispone di un modernissimo aeroporto internazionale. Partii quindi da solo verso l’Italia decidendo di fare una sosta nell’isola di Creta che non conoscevo. Lasciai con un pizzico di nostalgia la bella Pafos e intrapresi la navigazione accompagnato dal solo rumore del dolce fruscio dell’acqua contro la carena, incontro a giornate bellissime piene di silenzio. A occhi aperti sognavo di antichi greci, di Ulisse, con le loro barche a remi lottare contro mari in burrasca. Ed era la gioia di poter governare una buona barca, di avere come compagni un vento leggero che gentilmente gonfiava le vele cazzate a stecca e il saluto dei gabbiani golosi dei pezzetti di burro che gettavo loro in aria e che, con grande agilità, ghermivano al volo. Paolo Sorrentino pagina accanto: in alto il tempio di Apollo Hylates, in basso lo scoglio di Afrodite, in questa pagina: in alto, il castello di pafos in basso aghia napa, le grotte dei pirati piatto tipico di insalata greca carteBollate 29 Sporti rugby – Nasce una nuova squadra, i Barbari di Bollate Uno sport bestiale giocato da gentiluomini M olte razze, diverse religioni e svariati colori di pelle si uniscono in un solo nome, sono i Barbari di Bollate, la squadra di rugby della casa di reclusione di Bollate. Promotori di questa iniziativa sono Federico Pozzi, Sergio Carnovali e i fratelli Luca e Giorgio Mosseri dell’Associazione Sportiva Dilettantistica Rugby Milano. Da ormai sette anni portano avanti con passione e impegno questa iniziativa nel carcere minorile Cesare Beccaria di Milano e dal marzo 2013 hanno cominciato a esportarla anche qui, alla Casa di reclusione di Bollate. Parlandoci e vedendoli allenare i ragazzi, non si può non notare la grande passione che investono in questo progetto, che sono riusciti a trasmettere in modo molto forte ma non solo: hanno trasmesso anche il rispetto, la lealtà e l’impegno; tutte cose che i ragazzi prendono con molta serietà, non a caso, il loro motto è: “prima rispetto e poi divertimento”. Assistendo agli allenamenti e a una partita, la loro prima partitella, si è notata una fortissima unione tra di loro. Dal momento che scendono in campo non esiste più il singolo uomo, sono una squadra e ognuno di loro lavora solo per il bene di questa squadra, senza pensare ai risultati individuali. Come è noto, si tratta di uno sport anche abbastanza duro e non a caso una delle massime più conosciute dice che “Il rugby è uno sport bestiale giocato da gentiluomini ”. Il fatto poi che si tratti di un gioco pieno di mischie, placcaggi e altre fasi sempre abbastanza fisiche ci ha spinto a chiedere ai promotori di questa iniziativa se avevano avuto molte difficoltà a insegnare a dei ragazzi detenuti, che spesso la società indica come violenti, a svolgere durante il gioco delle azioni molto dure senza eccedere, comportandosi sempre e comunque in maniera leale e rispettosi con gli avversari. calcio – La battaglia inizia il 12 giugno Arrivano i mondiali tifoserie schierate C i siamo quasi, è arrivata l’ora di tirare fuori bandiere, sciarpette, cappellini e quant’altro, appartenenti alle proprie nazionali di calcio. Arrivano i mondiali, tanto attesi non solo da tutti gli appassionati ma anche da chi con il calcio ha poco da spartire; anche loro in questa occasione diventano tifosi della rispettiva nazionale. Mondiali che quest’anno si terranno nella terra del calcio ma anche del sole e dei bikini, in Brasile, che è anche la terra di molti famosi giocatori come Careca, Roberto Carlos, Rivaldo, il fenomeno Ronaldo e più di tutti, il mitico Pelè. La battaglia per aggiudicarsi il trofeo più ambito, inizierà il 12 giugno alle ore 17 (in Italia saranno le 22) con la partita inaugurale che vedrà i padroni di casa del Brasile, affrontare la Croazia. L’Italia invece debutterà a Manaus il 14 giugno alle 30 carteBollate ore 18 (da noi sarà mezzanotte) contro la compagine inglese. Intanto cresce l’ansia per l’attesa, nonostante la consapevolezza che la nostra nazionale ha ben poche possibilità di arrivare fino in fondo, ma la storia ci ha insegnato che siamo in grado di stupire e che diamo il meglio proprio quando nessuno crede in noi. Come accadde nel 2006, quando nessuno avrebbe scommesso un solo centesimo su di noi e invece il risultato lo sapete benissimo quale fu, diventammo i campioni del mondo, e certamente Zinedine Zidane non se lo è mai scordato. Questo, e non solo, fa sperare che se pur sfavoriti, noi abbiamo sempre la speranza, noi siamo immortali, noi siamo l’Italia. Calcisticamente parlando, si intende, perché per il resto c’è poco da stare allegri. B. M. 1. Nel complesso carteBollate ti piace? Federico Pozzi e Sergio Carnovali, come se fossero un coro, hanno risposto che non hanno avuto alcun problema, anzi hanno tenuto a precisare che sotto questo aspetto hanno avuto più da fare con i giocatori delle squadre dilettantistiche, i cosiddetti normoinseriti. Il progetto futuro sembra ottimo, si pensa a una situazione simile alla squadra di calcio della Casa di reclusione stessa, partendo dal coach fino al ragazzo che porta l’acqua, con tanto di iscrizione ai campionati dilettantistici, cosa molto difficile da organizzare al Cesare Beccaria visto che essendo minori, spesso, per fortuna, non hanno una permanenza lunga all’interno dell’istituto. Alla Casa di reclusione di Bollate invece la cosa è più fattibile, dato che i ragazzi hanno in genere (sfortunatamente) delle pene più lunghe. Comunque, loro prevedono che per raggiungere questi e altri obbiettivi ci vorranno almeno cinque anni e, di sicuro, sia loro che i ragazzi hanno serietà, impegno, passione e volontà da vendere. Benedetto Marino MOLTO ABBASTANZA COSÌ COSÌ POCO PER NIENTE 2.In questo numero quale articolo ti è piaciuto di più? 3.Perché? PER IL TEMA STILE DI NARRAZIONE SCOPRO COSE NUOVE ARGOMENTO CHE MI PUÒ SERVIRE 4.Come sono gli articoli? POCO SPECIFICI TROPPO SPECIFICI 5.Grafica e copertina ti attirano e ti piacciono? MOLTO ABBASTANZA COSÌ COSÌ POCO PER NIENTE 6. Ad un amico/parente esterno suggeriresti di abbonarsi? SÌ NO 7. Argomenti che vorresti vedere trattati: A pagg.16-17 trovate il calendario dei Mondiali per seguire tutte le partite e aggiornare i gironi. GIURISPRUDENZA I TUOI DIRITTI SPORT LAVORO HOBBY SCUOLA ATTUALITÀ POLITICA ARTE VIAGGI Lettore, grazie per la tua attenzione. Per venire sempre più incontro ai tuoi desideri e/o richieste, ti chiediamo di aiutarci a preparare un giornale che ti soddisfi al meglio. Ti chiediamo due minuti del tuo tempo per rispondere alle domande successive. Un nostro redattore del tuo reparto passerà a ritirare il questionario nei prossimi giorni presso la tua cella. carteBollate 31 MAI SENZA kit carcerario Una bottiglia di detersivo forata e una scatoletta di tonno inserita nel foro: ecco un portacenere foto carlo bussetti da attaccare alla branda.