Esperimenti su animali 08/06/2006 Da The Economist edizione

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Esperimenti su animali 08/06/2006 Da The Economist edizione
Esperimenti su animali
08/06/2006
Da The Economist edizione stampata
Gli studiosi sono a lavoro su come ridurre la necessità di sperimentare sugli animali, ma
una nuova legislazione potrebbe addirittura aumentare il numero di esperimenti
necessari.
In un mondo ideale non si dovrebbero eseguire esperimenti su animali. Per le persone sono
costosi; per gli animali sono stressanti e spesso dolorosi.
Purtroppo questo mondo ideale è ancora alquanto distante. Le persone hanno bisogno di
farmaci nuovi e di vaccini; vogliono protezione dalla tossicità delle sostanze chimiche. La
ricerca a risposte scientifiche di base prosegue. In effetti, la Commissione Europea sta
portando avanti proposte che aumenteranno il numero di esperimenti da eseguire su animali;
verranno, infatti, richiesti nuovi test di tossicità su ogni sostanza chimica approvata per l’uso
nell’Unione negli ultimi 25 anni.
La Commissione ha già identificato 140.000 sostanze chimiche non ancora sottoposte alla
valutazione di tossicità. Si dovrebbero inviare immediatamente al riesame 30.000 sostanze,
per una spesa tra i 4 e gli 8 miliardi di Euro ($5-10 miliardi). Gli esperti hanno calcolato che
il numero di animali usati per i test di tossicità in Europa potrebbe quintuplicare da circa un
milione all’anno a 5 milioni, a meno che non riusciamo a salvarli con sorprendenti progressi
tecnologici di valutazione non-animale. Attualmente circa il 10% dei test sugli animali
vengono eseguiti per valutare la tossicità generale, il 35% per ricerca di base, il 45% per
farmaci e vaccini ed il restante 10% per vari usi compreso diagnosticare le malattie.
La sperimentazione sugli animali dunque ci sarà ancora per un pezzo, anche se la ricerca di
un’alternativa prosegue. Lo scorso fine settimana si è riunita a Linz, Austria, la Società
dell’Europa Centrale a favore dei Metodi Alternativi alla Sperimentazione Animale (Middle
European Society for Alternative Methods to Animal Testing) per valutare i progressi
compiuti.
Un buon punto di partenza nella ricerca di test alternativi di tossicità è il fegato, in quanto
organo responsabile della scomposizione delle sostanze chimiche tossiche in molecole più
innocue che l’organismo può espellere. Due aziende, una grande e una piccola, hanno riferito
al meeting di un metodo basato sull’uso di cellule epatiche rimosse incidentalmente durante
interventi chirurgici per testare diverse sostanze per la tossicità a lungo termine.
In vitro veritas?
L’azienda piccola, PrimeCyte, fa crescere le cellule in colture per qualche settimana prima e
somministra regolarmente la sostanza sotto analisi. Le caratteristiche delle cellule vengono
monitorate attentamente per osservare eventuali cambiamenti nella microanatomia.
L’azienda grande, Pfizer, segue la stessa procedura in colture, ma invece di studiare le
singole cellule in dettaglio, conta il numero delle cellule. Se il numero di cellule in una
cultura varia dopo l’aggiunta del campione, si trae la conclusione che la sostanza danneggi il
fegato.
Teoricamente si potrebbe applicare la stessa metodologia a qualsiasi sostanza chimica. In
pratica i farmaci (e nel caso di PrimeCyte gli integratori alimentari) sono in cima alla lista,
ma forse ancora per poco se i progetti della Commissione Europea andranno in porto: i
140.000 screenings sembrano un affare redditizio, anche se ancora non si sa se i nuovi test
saranno pronti entro il 2009, l’anno in cui la Commissione propone l’inizio della
sperimentazione.
Ci sono altri tessuti che si possono sottoporre e test senza l’uso di animali. Epithelix, una
piccola azienda di Ginevra, ha sviluppato una versione artificiale del rivestimento dei
polmoni. Secondo Huang Song, un ricercatore di Epithelix, le cellule coltivate dall’azienda
hanno una microanatomia molto simile a quella del rivestimento naturale dei polmoni e
rispondono allo stesso modo ai vari messaggeri chimici. Secondo il dottor Huang si
potrebbero utilizzare queste cellule nei testi di tossicità a lungo termine delle sostanze
chimiche trasportate dall’aria, e potrebbero anche essere utlili nell’identificazione di cure per
le patologie polmonari.
Il sistema immunitario può essere riprodotto e testato. ProBioGen, un’azienda che si trova a
Berlino, sta sviluppando un linfonodo umano artificiale che, secondo i ricercatori, avrebbe
potuto evitare le conseguenze quasi drammatiche relative alla sperimentazione di un farmaco
eseguita in Gran Bretagna tre mesi fa. In questo caso, nonostante il farmaco avesse già
superato i test sugli animali, sei uomini per poco non sono deceduti per uno scompenso
multiplo degli organi. Il farmaco somministrato ha reso iperattivo il sistema immunitario.
Secondo i ricercatori dell’azienda, una tale reazione avrebbe potuto essere identificata tramite
il linfonodo artificiale, in quanto costituito da cellule che provocano una reazione del sistema
immunitario. Il linfonodo artificiale di ProBioGen potrebbe dunque funzionare meglio
rispetto ai test sugli animali.
Un altro modo per ridurre il numero di esperimenti sugli animali potrebbe essere ottenuto
attraverso un cambiamento nel metodo di valutazione dei vaccini, secondo Coenraad
Hendriksen del Netherlands Vaccine Institute (l’Istituto Olandese di Vaccinologia).
Attualmente tutte le partite di un qualsiasi vaccino sono sottoposte alla stessa serie di test.
Secondo il Dr Hendriksen questa procedura è eccessivamente rigorosa. Nel momento in cui si
sviluppa una nuova coltura del vaccino, ovviamente si deve eseguire una serie di analisi
approfondite; ma se una partita di vaccini deriva da una coltura già potrebbe essere sottoposta
a test solo per verificare che sia identica alla partita da cui deriva. In questo modo sarebbero
necessari meno test su animali.
Tutto ciò indica che, benché siano necessari ulteriori studi prima di riuscire a testare
regolarmente farmaci, vaccini ed altre sostanze utilizzando cellule al posto degli animali vivi,
la scienza sta facendo progressi significativi. Cosa risulta più difficile da immaginare è come
si potrà bandire l’uso degli animali dalla ricerca di base.
Nella ricerca scientifica di base, dove l’obiettivo è capire ad esempio come funziona il
cervello piuttosto che sviluppare un farmaco per curare le malattie cerebrali, l’oggetto di
studio è spesso necessariamente l’intero animale. E’ altresì vero che, in alcuni casi, i
progressi scientifici stanno rendendo i test su animali più preziosi piuttosto che non. Con le
tecniche di modificazione genetica, si possono rimodellare topi e ratti per renderli soggetti a
delle malattie di cui non soffrirebbero in natura. Inoltre, si possono aggiungere agli stessi
animali geni per le proteine umane, in modo tale che gli esperimenti su questi animali
mimino più fedelmente le reazioni umane. Tutto ciò dà la possibilità di capire meglio le
patologie umane e di studiare le possibili cure prima di avviare i test sulle persone.
Comunque, la creazione di questi mutanti conta come esperimento animale e così si vede
aumentare ancora una volta il numero degli esperimenti.
Cattive notizie per i roditori potrebbero invece rappresentare buone notizie per i primati. Le
antropomorfe e le scimmie appartengono allo stesso gruppo di mammiferi degli esseri umani
e dunque sono considerati come i soggetti più adatti per alcuni tipi di esperimento. Se si
possono rendere piu’ “umani” i roditori, forse si può ridurre il numero di esperimenti sui
primati.
Naturalmente vi sono persone che lottano per l’eliminazione di tali esperimenti nel campo
della ricerca a prescindere dalla loro utilità. Lo scorso 6 giugno l’Unione Britannica per
l’Abolizione della Vivisezione, un gruppo che promuove i diritti degli animali, ha richiesto la
messa al bando dell’uso dei primati nella ricerca, già avvenuto per le scimmie antropomorfe.
La Gran Bretagna, l’Austria, i Paesi Bassi, la Nuova Zelanda e la Svezia hanno abolito la
sperimentazione su scimpanzé, gorilla, bonobo e orango, ma è ancora permessa la
sperimentazione sulle scimmie. Non tutti i paesi hanno vietato la sperimentazione sulle
grandi scimmie: in America, ad esempio, ogni anno circa 1000 scimpanzè vengono utilizzati
nella la ricerca.
Questo è un tema molto delicato. Le grandi scimmie sono i parenti più stretti dell’uomo,
soltanto pochi milioni di anni fa hanno lasciato il nostro albero genealogico. Si sostiene
dunque che siano fondamentali per alcuni tipi di ricerca. Al contrario, uno studio recente
condotto da Andrew Knight insieme ai suoi colleghi della “Animal Consultants International”,
un gruppo di difesa in favore degli animali, ha messo in dubbio l’affermazione che si usino le
grandi scimmie solo per ricerche di massima importanza per l’umanità. Gli articoli di
maggiore rilevanza tendono a comparire come referenze nelle bibliografie di studi successivi,
quindi Mr Knight si è impegnato a cercare il numero delle citazioni ricevute da 749 articoli
scientifici pubblicati a seguito di esperimenti invasivi sugli scimpanzé in cattività. La metà
non ha ricevuto neanche una citazione a distanza di dieci anni dalla pubblicazione.
Risultato evidente. Gli esperimenti sugli animali sono necessari per il progresso della scienza
medica, per non dire per la salvezza delle persone. Ma per mantenere l’opinione pubblica
dalla loro gli scienziati devono fare di meglio.
Traduzione di Caroline Bennett per il Jane Goodall Institute Italia.