Working Paper n. 2007-10

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Working Paper n. 2007-10
L’EAST AFRICAN CURRENCY BOARD
E LA GENESI DELL’ATTIVITÀ BANCARIA
NELL’AFRICA ORIENTALE BRITANNICA
ARNALDO MAURI
Working Paper n. 2007-10
MARZO
2007
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE AZIENDALI E STATISTICHE
Via Conservatorio 7
20122 Milano
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L’EAST AFRICAN CURRENCY BOARD E LA GENESI DELL’ATTIVITA’
BANCARIA NELL’AFRICA ORIENTALE BRITANNICA
ARNALDO MAURI
Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali e Statistiche
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO
Abstract
The East Africa region consists today of three independent countries, Kenya, Tanzania
(formerly Tanganyika) and Uganda, which, from the early 1920’s to the achievement of
independence, formed an administrative unit under British rule: the British East Africa. The
paper presents an historical synthesis of the basic problems and developments of the
monetary and banking system in British East Africa. The research covers the period included
between the beginning of European colonisation and the attainment of independence by the
three above mentioned countries and focuses on the experience with a currency board
arrangement in this context. A survey on commercial banking in the region, reveals that this
industry, since its rise, carried the imprinting of the British banking tradition.
In the first stage of monetary evolution, owing to the influence of Indian trade and
settlement in East Africa, the currency most in use was undoubtedly the Indian rupee. In that
period banking industry landed in East Africa, brought in by European colonial powers. The
second stage in monetary evolution began when a currency board was established, in 1919,
in the British colonial possessions of East Africa, just after the acquisition, as loot, of
Tanganyika, a colony previously under German rule. Originally the area of Board’s
operations, i.e. the East African shilling monetary area, consisted of the three mentioned
territories. Zanzibar was added in 1936. During World War II were included, temporarily, in
the area also Aden and British Somaliland and eventually the former Italian colonies of
Eritrea, Ethiopia and Somalia.
The start of activity by the E.A. Currency Board was not easy. In 1925, when the
conversion of circulating rupees was completed, because of overvaluation of silver coins in
the exchange rate adopted, the EA Currency Board suffered substantial losses and the reserve
ratio was 43.6 per cent. Yet the situation worsened with the crisis of the colonial economy
during the depression of the 30’s, which caused a sharp decline in money supply in East
Africa because of heavy redemption of local currency. In 1932 the lowest point was reached
with the reserve ratio at only 9.9 per cent. Circulation of EA shillings increased rapidly after
1940 because of war economy and of a favourable balance of payments of the colonies. In
addition, a great enlargement of the original currency area was achieved following British
military conquests in the Horn of Africa. In 1950 the circulation was fully covered by
reserves, but during the previous decades the colonial currency was mainly based on
government credit. However, it was not until 1956, that the fiduciary issue was officially
introduced and, by this event, reasonable opportunities for monetary policy were offered. This
innovation was introduced to free part of the external reserves held in London. Prior to that
1
act the role of the Currency Board was just passive because the automatic exchange of
currency did not allow any kind of money management. It represented a simple and
inexpensive mechanism directed to issue currency.
A long period of British rule came to an end when the colonial territories of East
Africa obtained political independence and this dramatic change marked the epilogue of the
story of the colonial monetary institution. The new emerging states would not accept to
renounce monetary sovereignty. Therefore the liquidation of East African Currency Board
was decided and the establishment of three national central banks was officially announced
simultaneously in June 1965 by the governments of Kenya, Tanzania and Uganda. The East
African Currency Board ceased operations one year later.
JEL Classification: G 21, N 27.
Keywords: Currency Board, East Africa, Colonial Monetary System,
African Banking History.
2
I N D I C E
1. Introduzione
2. Le prime esperienze monetarie
3. L’entrata in scena delle banche
4. La nascita dell’East African Currency Board e l’estensione
dell’area dello scellino dell’East Africa
5. Il meccanismo delle emissioni
6. Evoluzione strutturale e funzionale dell’East African Currency
Board
6.1
6.2
6.3
6.4
Il periodo del decollo
Il periodo di operatività normale
Le prime importanti innovazioni
Nell’attesa dell’indipendenza
7. La fine
7.1 Il progetto Newlyn
7.2 Il progetto Blumenthal
7.3 Verso la liquidazione dell’East African Currency Board
8. Conclusione
APPENDICE
BIBLIOGRAFIA
3
1. Introduzione
Il currency board, che, nel periodo compreso fra la fine degli anni ’60
e l’inizio degli anni ‘70, era considerato un’esperienza chiusa, relegata
irrimediabilmente nella storia monetaria coloniale, è rientrato in attività
negli anni ’80 in diversi paesi dei vari continenti. Questa vera e propria
resurrezione si è, tuttavia, verificata in contesti differenti ed in un’ottica
ben diversa da quella che ne aveva suggerito l’introduzione in passato.
Non si trattava più di facilitare le relazioni monetarie fra un’economia
dominante ed una dominata, tipicamente rappresentata da un territorio
coloniale, ma si dovevano affrontare situazioni critiche particolari come,
ad esempio, quelle collegate alla transizione da un’economia centrallyplanned ad un’economia market-oriented, come nel caso dei paesi
baltici, o addirittura di situazioni drammatiche di iperinflazione, come nel
caso dell’Argentina (Ghosh, Gulde, Wolf, 1999).
Quest’istituzione monetaria è tornata, dunque, al centro di un
acceso dibattito che divide, ancora oggi, gli studiosi che la considerano
un valido rimedio per conferire fiducia sulla stabilità di valore della
moneta in paesi affetti da inflazione endemica o in paesi che si trovano
in una delicata fase di transizione a seguito di crisi economiche e/o
politiche dagli studiosi che la giudicano, invece, un’abdicazione da una
politica monetaria autonoma e, in sostanza, una causa di dipendenza
non solo economica, ma frequentemente anche politica, non
controbilanciata da un’integrazione economica con l’area monetaria
dominante (Williamson 1995; Balino and Enoch 1997; Hanke 2000).1
Risulta quindi interessante studiare la storia relativamente recente e la
performance dei currency board durante il secolo XX. In questa sede
sarà preso in considerazione, in particolare, l’East African Currency
Board, un organismo monetario coloniale che ha operato in modo
abbastanza soddisfacente per quasi mezzo secolo nell’Africa orientale
britannica.
I territori che sarebbero entrati a far parte dell’area operativa di
competenza dell’East Africa Currency Board, corrispondono oggi a tre
distinti ed importanti stati africani indipendenti: il Kenya, la Tanzania e
l’Uganda. Tali territori avevano vissuto in precedenza ineguali vicende
storiche nell’era coloniale e, di conseguenza, anche le esperienze da
loro maturate in campo monetario, creditizio e bancario erano risultate
notevolmente differenti.
Nella seconda metà del secolo XIX, ed in particolare negli ultimi tre
decenni di detto secolo, si era scatenata fra i paesi europei una corsa
1
V. al riguardo con riferimento ai paesi baltici ed economie in transizione: S.H. Hanke, L. Jonung, K. Schuler,
Monetary Reform for Estonia: a Currency Board Solution, 1992 e J. Rostowski, A Proposal to introduce a Currency
Board based System in the Republic of Latvia, 1997; Lewis M.K., Currency Board and Currency Arrangements in
Transition Countries (2001).
4
per accaparrarsi territori coloniali in tutti i continenti. L’Inghilterra, che già
disponeva del più vasto impero informale del mondo (Gallagher e
Robinson 1953), non indifferente di fronte alla frenesia per l’espansione
coloniale che pervadeva le nazioni concorrenti, e allarmata soprattutto
dagli appetiti dei potenti new-comers nell’arena delle conquiste coloniali,
adottò in un primo tempo una politica di consolidamento della presenza
nei continenti extra-europei finalizzata essenzialmente ad una più
efficace difesa dei propri domini e alla tutela dei propri interessi. Di
conseguenza, in quest’ottica, che potremmo definire improntata ad una
strategia di tipo difensivo, fu decisa inizialmente la costruzione di un
impero formale britannico. Quest'impero formale era, tuttavia, destinato
ad ampliarsi a seguito di successive esplorazioni e di nuove conquiste
coloniali, in concomitanza con la transizione da una politica di mero
contenimento ad una politica di conquista e di espansione.
Le altre potenze europee, ed in particolar modo la Francia e la
Germania, seguirono l’esempio inglese impegnandosi, a loro volta, nella
costruzione di imperi coloniali formali oltremare. Nel contempo anche la
Russia zarista partecipava a questa competizione globale
nell’accaparramento di risorse e di terre che, tuttavia, nel suo caso
particolare, non erano collocate oltremare nei vari continenti, ma
unicamente in aree contigue in Asia ed in Europa. Questo paese, posto
a cavallo tra due continenti, usufruiva, infatti, di un
vantaggio
competitivo non trascurabile rispetto alle altre grandi potenze, un
vantaggio rappresentato dalla contiguità dei territori europei ed asiatici
che erano gli obiettivi principali delle sue cupidigie coloniali.2 Grazie a
questa situazione che potremmo definire privilegiata, la Russia, a
differenza degli altre potenze coloniali, è riuscita a conservare sino ad
oggi una grande parte del proprio impero continentale ed a mantenere il
controllo su una porzione cospicua delle risorse naturali complessive del
pianeta. E’ interessate notare come quest’impero sia sostanzialmente
sopravvissuto superando due fasi altamente critiche ad alto rischio di
disgregazione, innescate rispettivamente, la prima dalla rivoluzione
d’ottobre e la seconda dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Nel contesto della gara per la spartizione del continente africano,
chiamata a Londra “the scramble for Africa” (Labanca 2002), un
interesse particolare fu dedicato negli ultimi anni del secolo XIX all’Africa
2
Anche Lenin, nel suo pamphlet sull’imperialismo pubblicato mentre era esule nella repubblica elvetica, non esitava a
paragonare l’imperialismo russo ai colonialismi europei e a definire “possedimenti coloniali” i territori asiatici e alcuni
di quelli europei soggetti alla dominazione imperiale russa (Lenin 1917). Nel pamphlet citato il capitalismo era
considerato causa dell’imperialismo, ma paradossalmente sarebbe stato lo stesso Lenin a sottrarre credibilità al proprio
modello teorico, che assegnava al capitalismo la paternità dell’imperialismo, quando, asceso alla guida di uno stato
socialista avrebbe continuato l’espansionismo russo in Asia rifiutando la decolonizzazione e ricorrendo anche ad azioni
militari per stroncare i movimenti indipendentisti (Mauri 1979). In precedenza, Karl Marx (1964) non aveva esitato a
classificare come colonialismo anche le conquiste russe in Europa, ed in particolare l’espansione su territori ad ovest
del Dnepr da secoli abitati da popolazioni di etnia romena, strappati al dominio della Sublime Porta.
5
orientale, un’area che in precedenza era stata meno investita dalla corsa
all’accaparramento delle colonie. Facendo seguito alle prime spedizioni
di esplorazione, aveva avuto inizio, infatti, la colonizzazione dell’Africa
orientale. Inghilterra, Francia e Italia si insediavano nel Corno d’Africa,
mentre i ricchi territori dislocati più a sud avevano suscitato appetiti sia
da parte inglese che da parte tedesca. La penetrazione dei colonizzatori
europei seguiva due direttrici, peraltro già battute in passato dai mercanti
di schiavi: una prima, partendo dalle coste dell’Oceano Indiano,
procedeva verso l’interno del continente mentre una seconda, potendo
contare come base di partenza sull’Egitto, si inoltrava nel Sudan
risalendo il corso del Nilo Bianco proponendosi come meta l’ubertosa
regione dei grandi laghi (Forbes Munro 1976).
Nel periodo storico considerato, la situazione monetaria presente
nella stretta fascia costiera e nelle isole immediatamente adiacenti alla
costa africana che si affaccia sull’Oceano Indiano differiva nettamente
dalla situazione che caratterizzava l’entroterra continentale. Nel primo
caso la moneta metallica era da tempo conosciuta ed il suo uso era
notevolmente diffuso nel regolamento degli scambi, come mezzo di
accumulazione di ricchezza ed infine per l’adempimento dei tributi. Da
secoli circolavano lungo le coste dell’Africa orientale monete portoghesi
ed arabe, mentre in un passato meno recente erano affluite in
quest’area anche monete di altra origine come comprovato dal
ritrovamento di monete romane, persiane e persino cinesi nel corso di
scavi compiuti nel XX secolo.3 Nel secondo caso dominava invece
incontrastata l’economia di sussistenza accompagnata dal baratto e
talora dall’uso di limitate forme di moneta-merce (Einzig 1966).
Gran Bretagna e Germania, al fine di evitare il sorgere di un ulteriore
pericoloso focolaio di tensione politica internazionale, si erano spartite
pacificamente questa porzione di terra africana tracciando i confini delle
rispettive zone di influenza.4 Alla prima potenza coloniale spettarono i
territori che al presente costituiscono il Kenya e l’Uganda. La seconda
potenza coloniale ottenne, invece, i territori che rappresentano oggi la
parte continentale della Tanzania (ovvero il Tanganica), con l’aggiunta
a del territorio del Ruanda-Urundi, dove, al momento della
decolonizzazione, sarebbero sorti due nuovi stati: il Burundi ed il Ruanda
(Iliffe 1969). L’arcipelago di Zanzibar, inizialmente assegnato alla
Germania, passò nel 1889 alla sfera di controllo britannico a seguito di
3
E’ ben noto che navi egiziane ed in seguito navi romane, partendo dai porti egiziani del Mar Rosso, frequentavano le
coste dell’Africa Orientale, almeno sino a Zanzibar (Wheeler 1954). La stessa rotta lungo la costa africana era seguita
anche da navi persiane partite dal Golfo Persico. Infine si ha notizia di una visita delle coste orientali dell’Africa da
parte di una flotta cinese, al comando dell’ammiraglio Zheng He nel XV secolo (Rampini 2005).
4
La delimitazione delle zone di influenza delle potenze coloniali europee in Africa risale in primo luogo alla
Conferenza di Berlino (1884-1885). Seguirono accordi bilaterali fra paesi europei e, in questo caso, fra Gran Bretagna e
Germania.
6
un accordo bilaterale che trasferiva, in contropartita, alla Germania l’isola
di Helgoland di fronte alla foce dell’Elba nel Mare del Nord.
In un primo tempo la presenza britannica in Africa orientale si
manifestò solo indirettamente attraverso l’Imperial British African
Company. Tuttavia nel quadro della citata politica di trasformazione
dell’impero informale in impero formale, a seguito di negoziati intervenuti
fra il governo di Londra e la citata società, questi territori passarono, in
un secondo tempo, sotto diretto controllo delle autorità coloniali inglesi.
Nel 1893 fu proclamato, infatti, il Protettorato dell’Uganda e, a due anni
di distanza, fu istituito il Protettorato dell’East Africa. Nel 1920 si ebbe poi
una nuova trasformazione che non mutò sostanzialmente la situazione
preesistente: quasi tutto il territorio racchiuso nel Protettorato dell’’East
Africa passò a far parte della Colonia del Kenya ( Harlow e Chilver 1965)
.
Anche la Germania aveva affidato inizialmente ad una società
privata, la Deutsch-Oestafrikanische Gesellschaft, la valorizzazione e lo
sfruttamento delle risorse dei suoi vasti possedimenti in Africa orientale
(Mondaini 1909), ma la necessità di un intervento militare per sedare
una ribellione fomentata da esponenti della comunità arabo-islamica, nel
1888, aveva indotto il governo di Berlino ad assumersi direttamente il
compito dell’amministrazione della colonia (Petazzi 1933). Era sorto
quindi, nel 1891, il Protettorato dell’Africa orientale tedesca che
comunque continuava ad avvalersi di quadri amministrativi composti in
larga misura da notabili arabi e swahili. Nel territorio del Ruanda-Urundi,
invece, la Germania aveva optato per il mantenimento
dell’amministrazione indiretta tramite i mwami (Ki-Zerbo 1972).
Al termine del primo conflitto mondiale la mappa della presenza
coloniale europea in Africa doveva, tuttavia, subire profonde
trasformazioni. La Germania, uscita sconfitta dalla guerra, con il Trattato
di Versailles dovette rinunciare a tutti i domini extra-europei. A trarre
vantaggio da questa spoliazione in Africa furono soprattutto le due
potenze coloniali europee che già in precedenza detenevano una
posizione dominante in questo continente: la Francia e la Gran Bretagna.
La prima potenza citata, avendo beneficiato in larga misura del bottino
coloniale nell’Africa occidentale, non partecipò alla spartizione dell’Africa
orientale tedesca che venne riservata invece in buona parte agli Inglesi;
il resto fu assegnato al Belgio ed al Portogallo, due paesi, schierati
durante il conflitto dalla parte dell’Intesa, che avevano già interessi in
quest’area.
Il
Tanganica
passò
quasi
interamente
sotto
l’Amministrazione fiduciaria britannica mentre il Ruanda-Urundi, un
territorio ad elevata densità demografica, venne affidato, nel 1918, come
mandato, al Belgio, e collegato con la Colonia del Congo, già dominio
7
belga. Infine il Portogallo ottenne il Kionga, regione situata al confine fra
il Tanganica e la sua vecchia colonia del Mozambico (Petazzi 1933).
Il presente working paper consta di 8 paragrafi, introduzione
compresa. Il paragrafo 2 riguarda la storia monetaria di questi territori
antecedente alla creazione del currency board mentre il paragrafo 3
esamina l’avvento delle istituzioni creditizie. Il paragrafo 4 è dedicato alla
nascita dell’East Africa Currency Board, il cui funzionamento è oggetto di
analisi nel successivo paragrafo 5. Il paragrafo 6 studia l’evoluzione
funzionale e strutturale di quest’istituzione durante l’intero arco della sua
vita ed infine il paragrafo 7 esamina gli avvenimenti che portarono alla
liquidazione dell’East African Currency Board. Il paragrafo 8 contiene le
conclusioni.
2. Le prime esperienze monetarie
Si è visto nel paragrafo precedente come l’uso della moneta non
fosse ignorato lungo la fascia costiera dell’Africa orientale al momento
della penetrazione coloniale europea verso la fine del secolo XIX. Ma
solo a partire dai primi insediamenti inglesi e tedeschi sulla costa
africana dell’Oceano Indiano doveva avere inizio un intenso processo di
monetizzazione dell’economia in questa parte del continente.
La colonizzazione britannica determinò in un primo tempo
l’introduzione e la diffusione della rupia indiana sia in Kenya sia in
Uganda. Giova ricordare a questo riguardo che in un’economia coloniale
l’afflusso di monete dall’esterno si manifesta a seguito di un saldo attivo
della bilancia dei pagamenti (Drake 1969). Questa moneta argentea
veniva usata come mezzo di pagamento, ma svolgeva anche altre
importanti funzioni come misura dei valori e mezzo di conservazione di
ricchezza nel tempo. Fra le cause delle diffusione della rupia troviamo gli
stretti rapporti commerciali fra l’Africa orientale e l’India e l’afflusso di
immigrati originari del subcontinente indiano verso questi territori.
Entrarono ben presto in circolazione anche rupie locali, emesse dai
Currency Commissioners in cambio di moneta britannica (Newlyn 1967).
Si trattava in questo caso di emissioni integralmente coperte da titoli
pubblici britannici.
Anche in Tanganica si faceva largo uso della rupia indiana come
strumento di pagamento, di credito e di tesoreggiamento al momento
della prima colonizzazione tedesca. La diffusione della moneta indiana
era il risultato sia del commercio internazionale tradizionale della costa
sia dell’afflusso di immigrati indiani a seguito della costruzione di due
8
linee ferroviarie. Questa moneta continuò ad avere larga circolazione
anche negli anni successivi tanto che le autorità coloniali germaniche,
quando vollero introdurre una loro unità monetaria, furono costrette, loro
malgrado, ad adottare un conio simile alla rupia indiana. Vennero quindi
immesse in circolazione rupie argentee della Deutsche Oestafrika e
coniate anche monete divisionarie in rame del valore di 1/64 di rupia.
Successivamente, nel 1906, in una fase contingente di acuta carenza di
strumenti monetari, l’Amministrazione coloniale germanica coniò presso
le officine ferroviarie di Tabora e mise in circolazione, in via temporanea,
anche alcuni tipi di monete-segno (Caselli 1974). Il privilegio
dell’emissione di banconote per la Colonia fu concesso, invece, in
esclusiva alla Deutsche Oestafrica Bank. Le emissioni di biglietti
dovevano avere una copertura metallica non inferiore al 30 %, in monete
argentee.
3. L’entrata in scena delle banche
L’avvio dell’attività bancaria precede la nascita dell’East African
Currency Board. Le expatriate banks inglesi si insediarono, infatti, in
Africa orientale tra la fine del secolo XIX e gli inizi del secolo XX. La
National Bank of India, che successivamente avrebbe mutato la propria
denominazione in National and Grindlays Bank, fu il primo istituto
bancario a prendere la decisione di sbarcare in questa parte dell’Africa. Il
nome di quest’istituto non deve trarre in inganno: non si trattava infatti di
una banca indiana, ma di un’azienda di credito totalmente inglese, con
sede legale e direzione generale a Londra, che operava su vasta scala
in India dedicandosi soprattutto al finanziamento del commercio di
import-export della Colonia (Newlyn 1967). La National Bank of India
aprì il primo sportello in Africa orientale nel 1896, intenzionata a svolgere
il tipo di attività già sperimentato con successo in India e per fornire i
servizi bancari non solo ai coloni europei, ma anche ai numerosi
commercianti indiani che si erano trasferiti in Africa. L’iniziativa della
banca anglo-indiana ebbe un seguito, dal momento che ispirò analoghe
decisioni da parte di altre expatriate banks. Nel 1910 si insediò nel
Protettorato dell’East Africa la Standard Bank of South Africa (che
successivamente avrebbe mutato la propria denominazione in Standard
Bank), aprendo uno sportello a Nairobi ed un secondo nella città portuale
di Mombasa, capolinea della linea ferroviaria che penetrava nell’interno
del Kenya (Henry 1962), e nel 1916 fu la volta della National Bank of
9
South Africa.5 Queste tre banche, dedite principalmente al finanziamento
del commercio estero, soprattutto con la Madrepatria e gli altri domini
britannici, si adoperarono per rendere bancabili le principali città del
Kenya. Inizialmente l’attività di raccolta era molto ridotta e, di
conseguenza, il finanziamento del commercio interno e di quello di
esportazione era svolto essenzialmente mediante il ricorso a fondi attinti
sulla piazza di Londra. Solamente in un secondo tempo si sviluppò
anche l’attività di raccolta di pari passo con l’espansione
dell’articolazione territoriale. Queste banche furono allora in grado di
finanziare sia l’attività di import-export sia le attività produttive all’interno
della colonia senza dover ricorrere a finanziamenti esterni. Si verificò
anzi un rovesciamento delle posizioni di tesoreria dal momento che le
expatriate banks, non essendo in grado di impiegare localmente la
totalità dei fondi raccolti, si trovarono nella necessità di rivolgersi al
mercato finanziario britannico per investire le risorse in esubero. In altri
termini questi istituti invece che convogliare dall’esterno le risorse
necessarie per lo sviluppo delle colonie divennero dei canali per il
drenaggio di capitali da un’economia sottosviluppata a beneficio di
un’economia sviluppata.6 Le banche vennero gestite sulla base di criteri
decisamente prudenziali e questo comportamento non ha mancato di
suscitare giudizi critici nella fase di decolonizzazione. Una valutazione
obiettiva del loro operato deve tuttavia tener presente che se da un lato
questi istituti non diedero con l’erogazione del credito il massimo
contributo allo sviluppo, dall’altro vennero rispettati i canoni etici e si
venne a determinare un clima di fiducia verso il sistema bancario da
parte dei depositanti. E’ sufficiente ricordare a questo riguardo che In
tutta la storia bancaria dell’East Africa si registrò un unico caso di
dissesto, si trattava di una banca indiana (Newlyn e Rowan 1964).
A circa un decennio di distanza dall’apertura del primo sportello
bancario nell’East Africa britannica anche l’Africa orientale germanica
ottenne la prima presenza bancaria. Nel !905 venne inaugurata infatti a
Dar es Salaam la prima filiale africana della Deutsch-Oestafrikanische
Bank, una banca che aveva sede legale a Berlino. Quest’istituto oltre a
svolgere le normali funzioni di banca commerciale si dedicava all’attività
di emissione di biglietti su concessione imperiale (Binhammer 1969,
Caselli 1974).
Le filiali della Deutsche Oestafricanische Bank operarono
attivamente nel settore del credito commerciale e si trovarono a dover
5
La National Bank of South Africa sarebbe stata assorbita nel 1925 dalla Barklays Bank, già Colonial Bank (Newlyn
1952).
6
Annota infatti a questo riguardo il Newlin (1967, p. 43): “The result was that, for a long period of their history, these
banks were actually involved in a process of exporting capital from the underdeveloped countries of East Africa for the
use in a developed country”. Sul fenomeno dell’esportazione di capitali dalle aree sottosviluppate operato attraverso le
expatriate banks si sono soffermati diversi autori (Nevin 1963, Balogh 1964, Mauri 1966).
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affrontare, in un secondo tempo, la concorrenza degli sportelli della
Handelsbank fur Oestafrica. La prima filiale operativa di questo secondo
istituto fu stabilita a Tanga nel 1911. I due istituti citati diedero impulso
alla raccolta di depositi sia in conto corrente che a risparmio. All’incetta
dei risparmi delle famiglie si dedicava in via prioritaria invece una cassa
di risparmio istituita nel 1912 a Dar es Salaam. La Sparkasse, a
differenza delle due banche commerciali già presenti nella colonia, che
erano interessate esclusivamente alla clientela europea e, in seconda
linea, alla clientela asiatica, si adoperava per promuovere la formazione
e la mobilitazione del risparmio anche presso la popolazione indigena
(Roe e Yaffey 1968). I commercianti di Tanga avevano proposto
all’Amministrazione coloniale germanica la creazione di una quarta
istituzione finanziaria; si trattava di una banca cooperativa del tipo
Raffeisen da realizzarsi prendendo a modello un analogo istituto che
operava con successo nella colonia dell’Africa sud-occidentale (oggi
Namibia). La proposta non fu tuttavia accettata dalle autorità che
ritenevano pro tempore sufficiente l’offerta di servizi bancari presente
nella Colonia (Caselli 1974).
La sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale e la
conseguente totale eliminazione della presenza tedesca in Africa
determinarono la scomparsa dal Tanganica di questi istituti creditizi,
sostituiti dalle filiali delle expatriate banks britanniche che da tempo
operavano nei territori contigui nonché da banche belghe e portoghesi.
Gli sportelli bancari portoghesi si insediarono solamente nei territori della
Deutsche Oestafrica passati sotto l’amministrazione delle autorità di
Lisbona. Differente fu invece la scelta delle autorità coloniali belghe. La
Banque du Congo Belge, dopo essersi saldamente insediata in RuandaUrundi, aprì anche due filiali in Tanganica, rispettivamente a Dar es
Salaam ed a Kigoma. La filiale di Dar es Salaam svolgeva un importante
lavoro nel commercio internazionale, dato che questa città portuale
rappresentava il principale, se non unico, sbocco sull’Oceano Indiano del
territorio del Ruanda-Urundi. La città di Usumbura (oggi Bujumbura), il
capoluogo di tale territorio, infatti si affaccia sul Lago Tanganica, ed era
collegata con una linea di navigazione con Kigoma, importante città
portuale lacustre della colonia del Tanganica, che era nel contempo il
capolinea della ferrovia che partiva da Dar es Salaam, sulla costa
dell’Oceano Indiano.
In conclusione si può affermare che, a partire dagli anni ‘20, il
sistema bancario dell’Africa orientale britannica aveva proceduto a
strutturarsi in modo unitario in relazione con il nuovo assetto politico
assunto da questa regione africana dopo la totale e definitiva
estromissione della Germania dal continente africano (Caselli 1974).
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4. Nascita dell’East African Currency Board ed estensione
dell’area dello scellino dell’East Africa
Il primo currency board africano, il West African Currency Board, era
stato istituito nel novembre del 1912 dalle autorità coloniali britanniche
nell’Africa occidentale a seguito delle proposte formulate da un comitato
di studio creato ad hoc: l’Emmott Committee (Clauson 1944). Lo scopo
di questa importante innovazione finanziaria di tipo istituzionale, che si
ispirava da vicino all’esperienza dei Currency Commissioners, era quello
di gettare le basi per la costruzione di un ordinato sistema monetario nei
possedimenti inglesi in Africa occidentale: in particolare Costa d’Oro
(oggi Ghana), Nigeria, Gambia e Sierra Leone. I buoni risultati ottenuti
sin dai primi anni di attività dal West African Currency Board (de Loynes
1974) indussero le autorità coloniali britanniche a disporre la replica di un
similare organismo monetario nei possedimenti dell’Africa orientale.
Fra le circostanze che concorsero al determinare questa decisione
si deve menzionare in primo luogo la difficile situazione monetaria che si
era venuta a creare in India, dove vigeva un sistema monetario fondato
sul silver standard, a causa della rapida ascesa del prezzo dell’argento
sui mercati internazionali. Non meno importanti a questo riguardo furono
i fattori politici, fra i quali si deve ricordare che, a seguito del riassetto
della mappa coloniale africana dopo il primo conflitto mondiale, si era
venuta a formare nell’Africa orientale una vasta area unita, soggetta, a
vario titolo, al dominio britannico. I territori del Kenya, del Tanganica e
dell’Uganda uniti potevano, infatti, dar vita ad un’area monetaria
autonoma africana inserita nel più vasto contesto dell’area della sterlina.
L’East African Currency Board fu istituito nel dicembre del 1919, per
iniziativa del Segretario di Stato per le Colonie, ma iniziò ad operare
solamente l’anno successivo dopo che, in data 22 maggio 1920, ne
erano stati fissati i compiti e le norme di funzionamento per mezzo di un
apposito regolamento. Con riferimento all’unità monetaria, in un primo
tempo si era optato per il fiorino dell’Africa orientale (East African florin),
di valore pari alla rupia indiana. L’emissione complessiva fu di 54 milioni
di fiorini dell’East Africa, per poco meno del 70% rappresentata da
biglietti. Nel maggio del 1921, tuttavia, si sospese l’emissione dei fiorini
e si provvide al loro ritiro dalla circolazione (Caselli 1974).
Il ripensamento in tema di unità monetaria dipendeva in primo luogo
dal prevalere a Londra della tesi che suggeriva l’introduzione nell’ Africa
orientale di un sistema monetario strettamente legato a quello
metropolitano e quindi alla sterlina inglese invece che al sistema
monetario coloniale indiano, che era di tipo silver standard e
12
conseguentemente in balia delle fluttuazioni intense del prezzo
dell’argento come si è avuto modo di ricordare in precedenza.
Secondariamente il valore unitario del fiorino fu reputato eccessivo in
relazione alle necessità commerciali del area coloniale interessata. Si
scelse quindi come unità monetaria lo scellino dell’Africa orientale (East
African shilling), ragguagliato allo scellino britannico e quindi fu fissato un
tasso di cambio con la lira sterlina di 20 a uno.
Si dispose che le rupie indiane e quelle africane emesse dai
Currency Commissioners e dalle banche germaniche eliminate fossero
convertite al tasso di cambio di due scellini dell’East Africa per una rupia.
Frattanto, però, a seguito di un caduta del prezzo dell’argento sui mercati
internazionali, il valore della moneta argentea indiana era diminuito
(Mwang 2001). Si decise, tuttavia, di dar corso comunque alle operazioni
di cambio pur nella consapevolezza che si venivano a sopravvalutare in
misura non trascurabile le monete che erano ritirate dalla circolazione.
Si venne quindi a formare un cospicuo deficit iniziale, che rappresentava
un vero e proprio handicap per l’istituzione (Ridley 1965). Allorché la
conversione ebbe termine, l’East African Currency Board si trovò,
conseguentemente, ad avere nelle passività un ammontare di emissioni
pari a circa 5,5 milioni di sterline a fronte delle quali figurava in bilancio
una copertura in attività patrimoniali di soli 2,5 milioni di sterline (Newlyn
1967).
Alla fine del 1925 il processo di sostituzione del circolante
monetario nei territori britannici dell’Africa orientale poteva dirsi
sostanzialmente concluso (Rowan 1953). L’area dello scellino dell'East
Africa sarebbe stata estesa in seguito con l’inserimento di altri territori
africani e persino asiatici. Zanzibar fu inclusa in quest’area monetaria il
1° gennaio 1936, seguita dal Somaliland e dal territorio di Aden, che nel
1937 era stato sottratto all’Amministrazione coloniale indiana per
assumere lo status di colonia autonoma. Durante il secondo conflitto
mondiale l’East African shilling fu introdotto inoltre dall’Amministrazione
militare britannica nei territori conquistati già facenti parte dell’Africa
Orientale Italiana: precisamente in Etiopia, in Eritrea ed in Somalia
(Rennel 1948).7 In Etiopia nel 1942 lo scellino dell’East Africa divenne
moneta legale e conservò tale prerogativa sino alla fine del 1945,
quando ebbe corso legale la nuova moneta locale: il dollaro etiopico
(Mauri 1967). In Eritrea ed in Somalia, invece, lo scellino rimase in auge
per tutto il tempo in cui questi territori furono sottoposti
all’amministrazione britannica, dapprima militare e successivamente
civile. Nel 1950 la Somalia fu affidata in amministrazione fiduciaria
7
L’apice della diffusione degli scellini dell’East Africa nei territori già appartenuti all’A.O.I. fu raggiunto nel 1944. In
tale anno si stima che più di un terzo delle emissioni dell’East African Currency Board circolasse nelle ex colonie
italiane.
13
all’Italia da parte delle Nazioni Unite e lo scellino dell'East Africa fu
sostituito dallo scellino somalo (Mauri 1971). Nel 1952 l’Eritrea fu
assegnata all’Etiopia sotto forma di unione federale sempre per
decisione delle Nazioni Unite, e lo scellino dell’East Africa fu sostituito
dal dollaro etiopico (Mauri 1967). Nel Somaliland lo scellino dell’East
Africa cessò di avere corso legale il 31 luglio 1961 e fu sostituito dallo
scellino somalo a seguito del conseguimento dell’indipendenza e
dell’unificazione con il territorio somalo in precedenza affidato
all’amministrazione fiduciaria italiana per dar vita alla grande Somalia.
Infine ad Aden il dinaro della Federazione dell’Arabia Meridionale entrò
in circolazione in sostituzione dell’East African shilling il 1° aprile 1965.
5. Il meccanismo delle emissioni
La politica monetaria coloniale britannica mirava ad istituire anche
nei possedimenti africani sistemi monetari formalmente autonomi, ma di
fatto strettamente legati a quello della madrepatria (Shannon 1952, Crick
1965). Lo strumento tipico di questa politica fu rappresentato dal
currency board. Se ne crearono tre: il primo in ordine di tempo fu istituito
per l’Africa occidentale, il secondo per l’Africa orientale ed il terzo per le
due Rhodesie e per il Nyasaland.
I tre currency board erano accomunati dal medesimo meccanismo di
funzionamento che si riallacciava alla consolidata prassi di emissione dei
currency commissioners. Si trattava di organismi monetari dediti
esclusivamente al cambio delle monete della madrepatria con quelle di
loro emissione e viceversa. Essi erano tenuti a cambiare quantitativi
illimitati di denaro a chiunque ne facesse richiesta. Alla base della
permuta doveva rimanere il tasso di cambio fisso rispetto all’unità
monetaria della madrepatria, salvo l’eventuale conteggio di una
commissione di cambio a favore del currency board. Questi organismi
monetari erano quindi ben lontani concettualmente dalle banche centrali
e la loro sfera operativa risultava persino più limitata rispetto a quella di
una semplice banca di emissione in regime di pluralità di istituti di
emissione. Le banche di emissione potevano infatti concedere prestiti
mentre i currency board non erano autorizzati ad erogare credito nei
territori in cui operavano. In conclusione, i currency board non potevano
gestire la politica monetaria, dal momento che non avevano la facoltà
dei regolare discrezionalmente i volumi delle emissioni né di controllare
le operazioni di cambio né, infine, di adottare iniziative di alcun tipo.
L’obiettivo fondamentale preposto alla loro gestione era in sostanza
14
rappresentato dal mantenimento della convertibilità della moneta
coloniale ad un tasso di cambio prefissato.
La subordinazione totale dei currency board rispetto alla
madrepatria è attestata da tutta una serie di elementi fra i quali
ricordiamo: l’ubicazione della sede centrale a Londra anziché in colonia,
la dipendenza dal governo britannico, in particolare dal Segretario di
Stato per le Colonie, cui spettava il potere normativo e la nomina dei
vertici del Board, che erano normalmente scelti fra i funzionari del
Colonial Office, dell’Office of the Crown Agents e del Tesoro (Caselli
1974).
Si deve sottolineare che compito principale assegnato all’East
African Currency Board consisteva nell’emissione di monete metalliche
e di biglietti a semplice richiesta delle filiali situate nei territori dell’area
monetaria dello scellino dell’Africa orientale in cambio del deposito di un
equivalente ammontare di lire sterline a Londra (Caselli 1974). Per il
servizio di cambio era prevista una commissione variabile, ma
comunque non superiore allo 0,5%. Le filiali erano ubicate a Nairobi in
Kenya, a Dar-es-Salaam, Mwanza e Tanga in Tanganica ed a Jinja in
Uganda. In tempi successivi, in relazione con l’estensione dell’area dello
scellino dell’Africa orientale furono istituite filiali a Zanzibar, ad Hargeisa,
nell’entroterra del Somaliland britannico, e ad Aden. La diffusione
capillare delle monete metalliche e dei biglietti avveniva tuttavia
attraverso la rete degli sportelli bancari, dato che le aziende di credito
operanti nei territori dell’area monetaria in questione si
approvvigionavano, in relazione alle loro esigenze, presso le filiali
dell’East African Currency Board.
I fondi in sterline raccolti dall’East African Currency Board potevano
essere investiti in titoli pubblici inglesi o in titoli emessi da Dominion
britannici o ancora in altri titoli obbligazionari a basso rischio purché
autorizzati dal Segretario di Stato per le Colonie del governo di Londra.
Le emissioni dovevano comunque essere coperte adeguatamente e
l’interpretazione correntemente data alla normativa in questione
corrispondeva ad una copertura pari almeno al 100% della circolazione
monetaria, una copertura composta da attività finanziarie espresse in lire
sterline. Si prevedeva inoltre un addizionale 10% di riserva per
fronteggiare il rischio di fluttuazioni nei corsi dei titoli obbligazionari in
portafoglio (Newlyn 1967).
6. Evoluzione funzionale e strutturale dell’East African Currency
Board
15
Nel corso della sua vita, l’East African Currency Board è passato
attraverso alcune fasi evolutive caratterizzate da mutamenti non limitati
all’operatività ed alle caratteristiche funzionali, ma che hanno investito
anche aspetti strutturali ed istituzionali. Importanti innovazioni sia di
ordine organizzativo che di ordine funzionale furono, infatti, introdotte,
soprattutto a partire dalla metà degli anni ’50 (Mwang 2001). Si possono
individuare almeno cinque periodi che contraddistinguono altrettante fasi
del processo evolutivo dell’East African Currency Board.
Ad un primo periodo, che segna il decollo dell’istituzione, fece
seguito un lungo periodo, che si protrasse sino a tutto il 1955, un periodo
caratterizzato da un’operatività che potremmo senza ombra di dubbio
definire come normale se non vi fossero inclusi gli anni della seconda
guerra mondiale. Seguì un breve periodo (1955-1960), in cui si
manifestarono le prime importanti spinte all’innovazione, generate dal
tentativo di adattamento dell’istituzione alle mutate condizioni
economiche dell’area. Un quarto breve periodo durante il quale, a causa
di un avvenimento eminentemente politico, la preannunciata
indipendenza dei territori coloniali dell’Africa orientale britannica,
maturarono mutamenti anche di ordine strutturale che riguardavano
l’intero settore monetario e finanziario.
Si individua infine un quinto periodo, che racchiude lo stadio finale
della vita dell’East African Currency Board. Tale periodo fu caratterizzato
dalla decisione di cessazione dell’attività di quest’istituzione monetaria e
dal conseguente trasferimento dei suoi compiti alle tre banche centrali
emergenti in Kenya, Tanganica ed Uganda. Quest’ultimo periodo sarà
oggetto di esame nel successivo paragrafo 7.
6.1 Il periodo del decollo
In questa fase iniziale l’East African Currency Board, a causa delle
situazione contingente dell’area in cui era delegato ad operare, si trovò
ad avere una copertura delle proprie emissioni notevolmente inferiore
rispetto al 100% previsto dalla normativa, o per meglio dire,
dall’interpretazione restrittiva data alla stessa normativa dalle autorità
(Newlyn 1967). Si è avuto modo di rilevare al paragrafo 2 come la
circolazione monetaria dell’area fosse rappresentata da rupie indiane
nelle due colonie britanniche prebelliche e da rupie germaniche in
Tanganica. Orbene, al momento della conversione di queste monete, si
poneva il problema del tasso di cambio da adottare: un problema arduo
da affrontare anche per effetto delle fluttuazioni del prezzo dell’argento
sui mercati internazionali espresso in monete ancorate all’oro, in altri
termini al rapporto di cambio oro/argento. Anche per motivi politici,
16
ricollegabili in primo luogo alle relazioni con la Germania e con l’India,
ma soprattutto nel timore di suscitare scontento all’interno dell’area
coloniale in questione, si era adottato un tasso di cambio di 2 scellini per
rupia. Si trattava peraltro di un tasso di cambio consapevolmente
“politico” che sopravvalutava pesantemente la moneta argentea rispetto
all’oro.8 Nel 1925, al completamento delle operazioni di conversione,
come inevitabile conseguenza delle perdite accumulate per effetto del
tasso di cambio “politico” applicato, la percentuale di copertura delle
emissioni dell’East African Currency Board era pari al 43,6% (v. Tabella
n. 1 in Appendice) e, quindi, non solo inferiore al 100% ideale, ma anche
al 50%, auspicato da alcuni in un’ottica pragmatica.
6.2 Il periodo di operatività normale
La fase che potrebbe essere definita di operatività normale
racchiude la gran parte dell’intera vita dell’East African Currency Board,
iniziando dalla metà degli anni 20’ ed arrivando al 1955. Sino al
momento dello scoppio della seconda guerra mondiale il rapporto di
copertura era destinato a rimanere sotto al 50%. Solamente a partire dal
1940, grazie all’afflusso di capitali nei territori coloniali africani, alle spese
militari in loco, causate dall’offensiva contro le forze italiane che
presidiavano i territori di confine dell’A.O.I., ed all’aumento delle
esportazioni di materie prime, determinato dall’economia di guerra, fu
possibile oltrepassare tale soglia. Al termine del conflitto, nel 1945, le
riserve arrivarono a coprire quasi il 94% delle emissioni di scellini
dell’Africa Orientale e negli anni successivi il rapporto aumentò
ulteriormente sino a raggiungere il valore massimo di 108% nel 1954 (v.
Tabella n. 1 in Appendice), per poi ridursi leggermente alla fine del
periodo considerato (poco meno del 103% nel 1955). Il volume di
moneta, che a fine giugno del 1946 corrispondeva a 48,7 milioni di
sterline, continuava l’espansione anche nel dopoguerra, raggiungendo
116,8 milioni di sterline a fine giugno del 1954. Nel medesimo periodo la
composizione qualitativa della moneta non subiva sensibili variazioni dal
momento che il peso del circolante oscillava fra il 24,5% del 1948 ed il
31,6% del 1946.
6.3 Le prime importanti innovazioni
In questo periodo, che abbraccia approssimativamente la seconda
metà degli anni ’50, furono introdotte le prime importanti innovazioni. Nel
secondo dopoguerra il meccanismo delle emissioni dell’East African Currency
8
Una decisione analoga nelle motivazioni sarà presa dal governo federale di Bonn al momento della riunificazione delle
due Germanie dopo la caduta del muro di Berlino con l’equiparazione delle due unità monetarie.
17
Board si mostrava sempre meno funzionale sia a fronteggiare le crescenti
necessità monetarie dei territori interessati, conseguenza dello sviluppo
economico in atto, sia le oscillazioni del fabbisogno monetario causate da
fattori stagionali. Infatti, in certi periodi dell’anno si manifestava puntualmente
una grave penuria di circolante monetario che arrecava non pochi disagi
all’economia locale. L’uso della moneta non era più circoscritto come negli
anni precedenti ad una limitata cerchia di operatori economicamente evoluti,
rappresentati prevalentemente da europei e da asiatici. La popolazione
africana aveva preso gradualmente e progressivamente confidenza con la
moneta e utilizzava in modo sempre più esteso il circolante monetario sia
come mezzo di regolamento degli scambi sia come strumento di
accumulazione di ricchezza. Era ormai comune convincimento che si
dovesse abbandonare l’automatismo dello sterling exchange standard per
passare ad un regime di moneta manovrata dalle autorità monetarie al fine di
evitare che la carenza di circolante monetario potesse rappresentare una
strozzatura per l’economia ed un freno alla crescita. Solo seguendo questa
nuova prospettiva si sarebbe potuto ottenere un adeguamento qualiquantitativo dell’offerta di mezzi di pagamento alle esigenze dello sviluppo
economico e conseguire, nel contempo, una parziale utilizzazione, a
vantaggio dell’economia locale, delle riserve immobilizzate a Londra.
Nel settembre del 1955 era stata, quindi, concessa all’East African
Currency Board, dopo non poche esitazioni, la facoltà di emettere
moneta fiduciaria nell’ambito di massimali fissati dalle autorità
competenti. In realtà non ci si trovava di fronte ad un fatto totalmente
nuovo, dal momento che questa situazione si era già presentata in
passato, quando, a partire dall’inizio dell’operatività, le emissioni
risultarono, per alcuni decenni, solo parzialmente coperte da riserve
espresse in valuta britannica. Tuttavia si trattava, allora, di una
situazione subita dal Currency Board, imputabile a cause contingenti
(sopravvalutazione della rupia nel tasso di cambio “politico” con l’East
African shilling al momento della conversione), e non certamente, come
alla metà degli anni ’50, di una scelta deliberata mirante a conferire
maggiore flessibilità alla politica monetaria. L’innovazione del 1955
riguardava in modo particolare gli aspetti qualitativi, in quanto
l’immissione di moneta in circolazione sarebbe potuta avvenire a mezzo
di acquisti di titoli di debito emessi direttamente dai governi dei territori
inclusi nell’area monetaria dell’East African Currency Board o di titoli
garantiti dai suddetti governi (Engberg 1964). Le emissioni di titoli da
parte dei governi coloniali dei singoli territori e quelle totali per l’intera
area monetaria dello scellino dell’East Africa sono riportate nella Tabella
n. 2 in Appendice.
Inizialmente si ritenne, peraltro, opportuno stabilire un tetto fisso a
queste
operazioni.
Si
dispose,
infatti,
che
l’ammontare
18
complessivamente investito in questi titoli non potesse superare i 200
milioni di scellini (v. Tabella n. 3 f in Appendice). L’esperienza rivelò,
tuttavia, che il vincolo stabilito risultava troppo stretto. A due anni di
distanza, quindi, tale massimale fu raddoppiato. Si deve tuttavia
ricordare che la copertura era esclusivamente rappresentata da titoli
obbligazionari a media e lunga scadenza. Un’ulteriore innovazione si
ebbe nel 1960. Il nuovo provvedimento comportava non si limitava
all’espansione delle emissioni, ma comportava anche aspetti qualitativi
nella copertura: il massimale corrispondeva 400 milioni di scellini e si
autorizzava nel contempo l’East African Currency Board ad acquistare
anche titoli a breve termine (bills). Le emissioni di bills, tuttavia, ebbero
luogo solo in alcuni dei territori coloniali inclusi nell’area monetaria dello
scellino E.A., e precisamente in Tanganica, in Uganda ed a Zanzibar.
Nei primi due territori citati l’inizio delle emissioni di bills risale al 1960,
mentre per Zanzibar risale al 1962 (v. Tabelle n. 3a, n. 3b, n. 3c, n. 3d, n.
3e in Appendice). In questo periodo la massa monetaria passò da 124,4
milioni di sterline di fine giugno del 1955 a 116,7 milioni di sterline nel
1960. Il peso del circolante nella massa monetaria, proprio a causa del
fenomeno precedentemente menzionato della maggior diffusione della
moneta fra la popolazione indigena, aumentò sino a raggiungere il 40%
nel 1960. In particolare si poteva notare che la popolazione rurale
abbandonava la pura economia di sussistenza per entrare gradualmente
nell’economia monetaria e di scambio. In pratica una parte crescente
della produzione agricola, in precedenza generalmente indirizzata
all’autoconsumo, si incanalava verso i mercati locali, nazionali ed
internazionali. Contemporaneamente si assisteva ad un flusso migratorio
interno dalle campagne verso le aree urbane (Engberg 1964).
6.4 Nell’attesa dell’indipendenza
Nel quarto periodo, che ha inizio con gli anni ’60, l’East African
Currency Board fu investito da tutta una serie di importanti cambiamenti,
sia di ordine strutturale ed organizzativo sia di tipo funzionale, introdotti
in modo apparentemente frenetico nell’ottica di un’imminente
acquisizione dell’indipendenza da parte dei territori coloniali inclusi in
quest’area monetaria. Indipendenza che significava inequivocabilmente
l’avvio di un processo di graduale distacco di questi territori dalla Gran
Bretagna non solo sul piano politico, ma anche nella sfera monetaria e
finanziaria.
Per quanto concerne le innovazioni di tipo strutturale ed
organizzativo si deve ricordare in primo luogo una decisione carica di
19
significato politico, rappresentata dal trasferimento in Africa, e
precisamente a Nairobi, della sede legale del East African Currency
Board, precedentemente ubicata a Londra. Non si trattava, peraltro, di
un fatto solo formale. Questo mutamento organizzativo, infatti, non solo
garantiva una maggiore autonomia del Currency Board rispetto a
Londra, ma consentiva una conoscenza più ravvicinata e tempestiva
delle dinamiche economiche e finanziarie dei territori dell’area monetaria
in questione. Risultavano anche più facili i contatti con i responsabili
politici ed amministrativi e con gli esponenti del mondo bancario e
finanziario di quest’area (Caselli 1974). Secondariamente il numero dei
membri dell’organo collegiale al vertice del Currency Board venne
aumentato da 4 a 7, anche per far posto a rappresentanti africani.
Furono chiamati a farne parte il Segretario generale dell’East African
Services Organization, i responsabili dei dicasteri delle Finanze di Aden,
del Kenya, del Tanganica, dell’Uganda e di Zanzibar ed infine un
esperto di economia monetaria (Ridley 1965, Kratz 1966, Mauri 1969).
Con riferimento, invece, all’operatività, si deve ricordare l’inizio
dell’erogazione di credito di tipo stagionale collegata con le esportazioni
di prodotti agricoli. Un deciso miglioramento della situazione economica
nei territori dell’East Africa, verificatosi nella seconda metà del 1962,
determinò una ragguardevole espansione della domanda di credito e
consentì un significativo aumento delle emissioni monetarie (v. Tabella
n. 1 in Appendice). Nel 1963, poi, si ebbe un innalzamento del tetto
all’espansione del credito ai governi che passò da 400 a 500 milioni di
scellini e l’anno successivo si registrò un ulteriore innalzamento di tale
tetto a 700 milioni. Come conseguenza all’East African Currency Board
veniva complessivamente accordata la facoltà di emettere moneta
fiduciaria per 900 milioni di scellini. Proseguivano anche le assegnazioni
di utili ai governi dei paesi inseriti nell’area monetaria dello scellino E.A.
(Caselli 1974).
A partire dal 1964 si rese operante l’autonomia ottenuta dall’East
African Currency Board nella manovra dei tassi di interesse: venne
infatti deciso in quell’anno un ribasso di mezzo punto percentuale del
saggio ufficiale di sconto e di quello delle anticipazioni su titoli
(precisamente dal 5,5% al 5%) in controtendenza rispetto alla
concomitante dinamica dei tassi di interesse nel mercato monetario
britannico. La circolazione di monete e biglietti emessi dal Currency
Board raggiunse il massimo storico nel 1964 (al 31 giugno 1.385.820
migliaia di scellini) per poi gradualmente discendere nei due anni
successivi (v. Tabella n. 1 in Appendice). Nei medesimi anni la
percentuale di copertura con le riserve si manteneva costantemente ben
al di sopra del 100%. Si deve, tuttavia, ricordare a questo proposito che,
a seguito delle riforme introdotte negli ultimi anni di vita del Currency
Board potevano entrare a far parte della composizione delle riserve
20
anche titoli pubblici emessi dai governi degli stati inseriti nell’area
monetaria dello scellino E.A. (v. Tabella n. 3f in Appendice)
7. La fine
Mentre l’East African Currency Board viveva le trasformazioni
di ordine organizzativo e funzionale delle quali si è fatto cenno nel
precedente paragrafo, nei territori dell’Africa Orientale Britannica
stavano
maturando importanti eventi politici che avrebbero
esercitato un influsso determinante sulle sorti di quest’organismo
monetario coloniale.
Sotto la spinta incalzante del processo di decolonizzazione in
atto
nell’intero
continente
africano,
avevano
acquisito
l’indipendenza, pur rimanendo in seno al Commonwealth britannico,
dapprima il Tanganica, nel mese di dicembre del 1961, poi
l’Uganda, nell’ottobre dell’anno successivo, e quindi, nel dicembre
del 1963, il Kenya, poco dopo il conseguimento di questo obiettivo
da parte di Zanzibar. Nel mese di aprile del 1964 vedeva la luce, a
seguito dell’unione politica di questo arcipelago con il Tanganica, la
Repubblica Unita di Tanzania.
La sostituzione dell’organismo monetario centrale per tutta
l’area dell’East Africa era considerata dagli esponenti politici africani
maggiormente autorevoli un provvedimento inevitabile, oggetto di
discussione era quindi il nuovo assetto istituzionale in campo
monetario. Si fronteggiavano a questo riguardo due soluzioni
antitetiche fra loro. La prima soluzione prevedeva la nascita di una
sola banca centrale sulle spoglie dell’esistente East African
Currency Board, in pratica si trattava di trasformare l’organismo
monetario coloniale in una vera e propria banca centrale operante in
un sistema bancario unitario a due livelli. La seconda soluzione,
invece, sacrificava il principio unitario sull’altare delle autonomie
nazionali, postulando la creazione di una banca centrale in ognuno
dei tre paesi dell’area.
La prima soluzione implicava un minimo di innovazioni,
richiedendo in primis il mutamento di denominazione da Currency
Board in Central Bank accompagnato da un’espansione dei poteri e
delle funzioni. La seconda soluzione celava, invece, l’insidia di uno
smembramento dell’area monetaria dell’East Africa. Tuttavia, a ben
vedere, fra queste soluzioni limite vi era uno spazio sufficiente per
tutta una serie di opzioni intermedie, miranti a salvaguardare in
21
qualche modo la dimensione unitaria dell’area monetaria in
questione pur contemplando qualche concessione per appagare le
aspirazioni nazionali degli esponenti politici africani. Fra quelle che
potremmo definire soluzioni-compromesso possono essere
collocate anche le interessanti proposte formulate da due autorevoli
esperti consultati su questo tema, delle quali faremo cenno.
7.1 Il progetto Newlyn
Il merito di avere per primo affrontato il problema della banca
centrale nell’East Africa spetta indubbiamente all’economista
britannico W. T. Newlyn. Egli aveva già avuto modo in passato, e
precisamente negli anni ’50, di studiare la situazione monetaria delle
colonie africane, pervenendo alla conclusione che non vi era
immediata necessità di creare vere e proprie banche centrali
laddove operavano soddisfacentemente i currency board (Newlyn e
Rowan 1954). E’ interessante rilevare che le proposte di Newlyn
erano state formulate ancor prima che i territori facenti parte
dell’Africa Orientale Britannica ottenessero l’indipendenza. Orbene,
questo esperto aveva saputo affrontare negli anni ’60 con il
necessario realismo la difficile situazione politica che stava
maturando e, di conseguenza, ed incentrare il proprio progetto sulla
creazione di tre banche distinte, una per ognuno dei tre paesi che
stavano ottenendo l’indipendenza: il Kenya, il Tanganica e l’Uganda.
Nel rapporto redatto da Newlyn la soluzione del decentramento
istituzionale, rappresentata da una pluralità di banche di emissione,
era tuttavia temperata dalla sovrapposizione agli istituti nazionali di
un organo di coordinamento e di controllo, da costituirsi
appositamente sotto la denominazione di East African Reserve
Board. Tale organo monetario centrale non avrebbe dovuto
assumere la natura di una banca, ma semplicemente essere un
comitato sovrannazionale dotato di ampi poteri di guida e di
controllo sulle banche centrali, tanto da poter svolgere il ruolo di
organo di governo unitario in materia monetaria, valutaria e
creditizia per i tre paesi (Newlyn 1967). Nel formulare queste
proposte, a nostro avviso, Newlyn si era ispirato al Sistema della
Riserva Federale degli Stati Uniti d’America. Infatti, a ben vedere,
anche la legge bancaria americana istitutiva del Federal Reserve
System (il Federal Reserve Act del 1913) era nata come frutto di un
compromesso tra fautori ed oppositori di un organo centrale federale
di governo e di controllo in campo monetario e creditizio. Nel
progetto Newlyn concernente l’East African Reserve Board, tuttavia,
era previsto, accanto ad un presidente indipendente a tempo pieno,
22
l’inserimento di diritto dei direttori generali delle tre banche centrali,
mentre nel Consiglio dei Governatori del sistema federale
statunitense sono tassativamente esclusi amministratori e dirigenti
delle 12 banche federali (Mauri 1960)..
Evidentemente il Newlyn, da convinto fautore della soluzione
unitaria, pur non confessandolo apertamente per motivi di
opportunità politica, si augurava che si replicasse in Africa orientale
il processo evolutivo che aveva gradualmente trasformato il Sistema
della Riserva Federale statunitense in poco più di mezzo secolo di
vita declassando le 12 banche federali a poco più di 12 filiali. Tali
istituti, infatti, all’origine erano considerate quasi banche centrali
mentre dopo mezzo secolo si limitano a svolgere funzioni non molto
dissimili da quelle attribuite in alcuni paesi alle filiali della banca
centrale nazionale.
Il progetto Newlyn non ebbe, tuttavia, seguito. Ufficialmente
perché le sue proposte vennero considerate premature; in realtà
perché a Dar es Salaam ed a Kampala si paventava che il
prevedibile insediamento dell’East African Riserve Board a Nairobi
avrebbe condizionato a favore del Kenya le politiche monetarie e
creditizie riservando minor peso agli interessi degli altri paesi
(Newlyn 1967).
7.2 Il progetto Blumenthal
D’altro canto, il Tanganica, che era stato il primo territorio ad
ottenere l’indipendenza e che rappresentava la roccaforte degli
oppositori all’accentramento dei poteri, intendeva mettere i territori
non ancora indipendenti di fronte ad un fatto compiuto con la
creazione di una banca centrale. Il governo di Dar es Salaam, sulla
base di una presenza storica tedesca nel paese, si era rivolto alla
Germania federale per ottenere una consulenza in proposito. Era
così arrivato in Tanganica Erwin Blumenthal, economista della
Deutsche Bundesbank, che in breve tempo aveva approntato il
proprio progetto. Il responso dell’esperto tedesco aveva suscitato,
tuttavia non poche delusioni tra gli esponenti politici africani che ne
avevano sollecitato l’incarico. Il Rapporto Blumenthal sconsigliava,
infatti, categoricamente la creazione di una banca centrale
autonoma e di un sistema monetario autonomo in Tanganica
(Blumenthal 1963). L’esperto inviato dalla Deutsche Bundesbank
affrontava, invece, il problema monetario nel più vasto contesto di
tutti i territori originariamente inclusi nell’Africa Orientale Britannica e
suggeriva una soluzione di compromesso ispirata all’ordinamento
23
adottato in materia di banca centrale dalla Germania federale,
rimasto in vita per circa un decennio.
Il Blumenthal proponeva, infatti, un sistema di banche centrali
articolato su due livelli. Al vertice del sistema era prevista la banca
centrale dell’East Africa, erede dell’East African Currency Board
anche nel ruolo di detentore del monopolio delle emissioni di biglietti
in tutta l’area monetaria unitaria. Tale istituto avrebbe dovuto
accentrare le riserve valutarie ed assumere il governo della moneta
e del credito nei paesi già facenti parte dell’Africa Orientale
Britannica e rappresentare tali paesi presso gli organismi monetari e
finanziari internazionali. Una piccola concessione per compiacere il
governo di Dar es Salaam che gli aveva affidato l’incarico dello
studio: era depennata la scontata candidatura di Nairobi, maggior
centro finanziario di tutta l’East Africa a sede dell’istituenda banca
centrale e si suggeriva, invece, a questo scopo la città di Arusha, nel
Tanganica settentrionale, non lontana dalle pendici del Kilimanjaro.
La scelta non era stata casuale: Arusha, data la sua collocazione
geografica e la situazione climatica e paesaggistica era indicata
all’art. 87 del Trattato per la cooperazione fra i tre paesi come futura
sede degli organi direttivi comunitari ed era la probabile candidata a
diventare la capitale federale nel caso di realizzazione di uno stato
federale nell’East Africa.
Ad un livello inferiore, sotto il controllo della banca centrale
dell’East Africa, era contemplata dal progetto Blumenthal la
creazione di tre banche centrali a carattere nazionale ubicate
rispettivamente a Dar es Salama in Tanganica, a Kampala in
Uganda ed a Nairobi in Kenya. Tali banche avrebbero dovuto
operare in veste di agenti finanziari dei rispettivi governi svolgendo
nel contempo funzioni di controllo e di vigilanza sui sistemi bancari
nazionali. In sostanza, a nostro avviso, le banche centrali nazionali,
la cui istituzione era prevista nel progetto redatto dall’esperto
tedesco, erano modellate sulle Landeszentralbank germaniche
esistenti prima della legge di riforma tedesca del 1957, mentre per la
banca centrale dell’East Africa si era adottato il modello della Bank
deutscher Laender (Arcucci 1968). E’ assai probabile che, se si
fossero seguiti i suggerimenti contenuti nel rapporto Blumenthal ed
in presenza di un’unione federale il sistema bancario dei paesi
dell’Africa orientale in questione sarebbe pervenuto in un tempo
successivo ad una struttura unitaria seguendo un processo evolutivo
simile a quello verificatosi nella Germania federale. In sostanza,
quindi, il progetto Blumenthal non differiva molto dalle precedenti
proposte di Newlyn.
24
7.3 Verso la liquidazione dell’East African Currency Board
Inizialmente il progetto redatto dall’esperto tedesco pareva destinato
a trovare concreta attuazione dal momento che il clima politico lasciava
intravedere la possibilità di dare vita ad una federazione dei tre stati.
Purtroppo le rivalità fra Kenya, Tanzania e Uganda, che sembravano
sopite, si riaccesero improvvisamente dissolvendo le ultime speranze per
il raggiungimento di un accordo sul futuro assetto monetario alimentate
dall’arrivo in Africa nel 1965 di una missione del Fondo Monetario
Internazionale guidata da Jan Mladek. Il primo passo verso la rottura fu
fatto dall’Uganda. Il governo di questo paese comunicò, infatti, la propria
irrevocabile decisione di creare una banca centrale nazionale, ma per
non assumersi la gravosa responsabilità di una definitiva rottura delle
trattative, dichiarava contestualmente che la istituenda banca centrale
ugandese avrebbe operato nel proprio paese come agente esclusivo di
una ipotetica East African Reserve Bank (Newlyn 1967; Isralson 1967).
E’ interessante osservare come questa denominazione fosse frutto di
fantasia dal momento che Newlyn aveva suggerito un “East African
Riserve Board” mentre Blumenthal aveva parlato di una “East African
Central Bank”.
La Tanzania, colta di sorpresa dalla dichiarazione ufficiale
dell’Uganda ed indispettita per il fatto di essere stata preceduta sulla via
delle dichiarazioni unilaterali, si affrettò a prendere posizione a favore
della piena autonomia delle banche centrali nazionali astenendosi dal
menzionare, anche sotto forma di semplice auspicio, la creazione di una
banca centrale dell’East Africa. Alla fine, al riluttante Kenya non rimase
altra scelta che seguire la medesima via e, di conseguenza, si ebbero
nel 1965 le dichiarazioni ufficiali dei tre governi a favore della tesi
propugnata dalla Tanzania.
Una volta adottata la decisione di non attribuire un unico erede
all’East African Currency Board, i governi dei tre paesi africani si
accordarono sulle modalità di liquidazione di questo organismo
monetario sorto nell’era coloniale e sul ritiro dalla circolazione degli
strumenti monetari da esso emessi. Furono affrontati in modo particolare
i problemi inerenti ai futuri rapporti tra i sistemi monetari dei tre paesi. Si
decise di mantenere in vita il mercato comune e di ragguagliare le tre
nuove unità monetarie allo scellino dell’East Africa, stabilendo quindi per
ognuna di esse una parità aurea corrispondente a 0,1244414 di fino. I tre
governi convennero inoltre di fissare il cambio alla pari tra le rispettive
monete nazionali e di impegnarsi a mantenere la libera convertibilità e la
libera trasferibilità di capitali all’interno dell’East Africa. Vi fu inoltre la
promessa da parte dei tre governi di impegnardi per instaurare un clima
25
di collaborazione fra le banche centrali nazionali di prossima creazione
nella consapevolezza che per il mantenimento della convertibilità
all’interno dell’area era indispensabile l’adozione di un regime omogeneo
nel controllo dei cambi con tutte le altre monete. La prima legge di
riforma bancaria e monetaria fu emanata dalla Tanzania (Bank of
Tanzania Act N°. 12 January 6th, 1966). Tale legge prevedeva la
creazione di una banca centrale nazionale e di un sistema monetario
fondato sullo scellino della Tanzania. Questa banca iniziò ad operare nel
giugno del 1966 dedicandosi con particolare impegno alla conversione
dei biglietti e delle monete espresse in East African shilling. I biglietti
dell’East African Currency Board ritirati dalla circolazione venivano
successivamente consegnati all’ente emittente che cedeva un
corrispondente valore in riserve valutarie ed in titoli pubblici della
Tanzania attingendoli dal proprio attivo patrimoniale.
La banca centrale del Kenya fu costituita nel maggio del 1966 sulla
base di un’apposita legge promulgata il 24 marzo 1966 (Central Bank of
Kenya Act N°. 15/1966). Questo provvedimento legislativo divenne,
tuttavia, operativo solo alla metà del settembre del medesimo anno. Più
sollecita fu la banca centrale dell’Uganda, che creata con il Bank of
Uganda Act N°. 5 May, 28th, 1966 il 1° luglio del medesimo diede inizio
alla propria attività nel mese successivo.
La conversione dei biglietti dell’East African Currency Board
procedette nei tre paesi a ritmo sostenuto e risultò più rapida rispetto alle
previsioni; i tre governi nazionali si accordarono, quindi, nel fissare la
data del 14 settembre 1967 come termine del corso legale dell’East
African shilling. Le tre nuove banche centrali continuarono, tuttavia, a
ritirare i vecchi biglietti dalla circolazione sostituendoli con le loro
banconote anche in tempi successivi. La conversione delle monete
metalliche e divisionarie iniziò, invece, in ritardo e continuò più a lungo,
dato l’assai lento riflusso di questo genere monetario nelle casse delle
banche centrali nazionali.
8. Conclusioni
Al termine del presente studio dedicato principalmente all’East
African Currency Board non è certamente facile esprimere un giudizio
esaustivo su questo organismo monetario che ha operato per circa mezzo
secolo nell’Africa orientale britannica. E’ fuor di dubbio, tuttavia, che all’East
African Currency Board debba essere riconosciuto il merito di aver offerto alle
popolazioni dei territori in cui operava un mezzo di pagamento sicuro,
26
premessa indispensabile all’espansione degli scambi e dell’economia
monetaria e di aver contribuito per questa via allo sviluppo economico
dell’intera regione. L’importanza di questo contributo non deve essere
sottovalutata. Basti pensare alla caotica situazione monetaria antecedente
alla creazione di questo organismo monetario, una situazione caratterizzata
dalla presenza di una eterogenea massa di mezzi di pagamento soggetta ad
intense e frequenti fluttuazioni dei tassi di cambio. Lo scellino dell’East Africa
seppe gradualmente conquistarsi e mantenere la fiducia delle popolazioni.
Neppure nei momenti di particolare criticità come nel 1929 con la grande
crisi, nel 1939, con l’entrata in guerra della Gran Bretagna contro la
Germania e, nell’anno successivo, con l’apertura di un fronte al confine del
Kenya con l’Africa Orientale Italiana si verificarono in East Africa diffusi e
gravi episodi di caduta di fiducia e di panico con riferimento alla moneta
coloniale.
Contro l’East African Currency Board sono state sollevate a più riprese
critiche riconducibili, secondo Caselli (1974), a due ordini di motivi riguardanti
da un lato la rigidità del meccanismo delle emissioni e dall’altro lato la
tipologia degli impieghi delle riserve. La prima critica si riferisce uno dei
caratteri fondamentali dell’operatività dei currency board, connaturata al
sistema stesso dello sterling exchange standard (Drake 1969) mirante a
garantire la convertibilità della moneta coloniale ad un tasso di cambio fisso
al fine di conferirle fiducia. La rigidità del meccanismo di immissione di
strumenti monetari in circolazione, derivante dal fatto che l’ammontare
complessivo della moneta emessa dal Currency Board variava in esatta
corrispondenza con l’andamento della bilancia dei pagamenti dei territori
interessati. In altre parole un afflusso di sterline causato da un’eccedenza di
esportazioni rispetto alle esportazioni o da movimenti di capitali determinava
una corrispondente espansione della circolazione monetaria, mentre un
deflusso di sterline causato da opposti andamenti della bilancia commerciale
o da movimenti in uscita di capitale determinava una contrazione della
circolazione.
Orbene, questo automatismo non era solo l’inevitabile risultato di un
sistema monetario (il gold exchange standard) saldamente ancorato all’unità
monetaria del paese dominante, ma era stato deliberatamente introdotto con
l’intendimento di ottenere in tal modo un effetto equilibratore sulla bilancia dei
pagamenti. Infatti si riteneva che un disavanzo nella bilancia avrebbe
provocato una riduzione del volume di mezzi di pagamento e,
conseguentemente, un ribasso del livello dei prezzi all’interno dell’area in
questione. Le importazioni sarebbero risultate scoraggiate mentre avrebbero
potuto trarre impulso le esportazioni. Si sarebbe, quindi, messo in moto un
meccanismo equilibratore della bilancia dei pagamenti. Analogamente, il
medesimo meccanismo avrebbe riequilibrato un’eccedenza attiva della
medesima bilancia.
27
I critici del Currency Board, pur non contestando sul piano teorico queste
posizioni, hanno ravvisato nel meccanismo di funzionamento dell’organismo
monetario in parola una non trascurabile remora allo sviluppo dell’Africa
Orientale Britannica. Si può sostenere, infatti, che l’East African Currency
Board, regolando il volume dei mezzi di pagamento sulla dinamica della
bilancia dei pagamenti, abbia deliberatamente razionato l’offerta di moneta
nella regione ignorando il crescente fabbisogno di strumenti di pagamento
derivante sia dallo sviluppo economico sia della progressiva diffusione della
moneta collegata anche all’aumento del grado di commercializzazione
dell’economia (Chandavarkar 1977). In sostanza, anche nei cinque lustri
caratterizzati da disavanzi di riserva, il Currency Board avrebbe sempre,
secondo questa tesi, operato, forse inconsapevolmente, con indiscutibili
effetti deflazionistici.
Questa critica non è certamente infondata, ma è d’uopo considerare che,
a ben vedere, la rigidità del meccanismo di creazione di moneta non
riguardava l’intero medio circolante, ma solo una sua importante componente
rappresentata dai biglietti e dalle monete metalliche divisionarie. Si deve poi
aggiungere, per dovere di precisione, che non tutti i biglietti e le monete
metalliche divisionarie emesse dall’East Africa Currency Board facevano
parte del medio circolante dell’area monetaria in questione. Infatti
convenzionalmente si escludono dal computo del medio circolante i biglietti e
le monete metalliche giacenti nelle casse delle pubbliche amministrazioni e
delle banche di deposito. Ma proprio con riferimento a quest’ultima categoria
di intermediari finanziari, come osserva correttamente Newlyn (1967), questi
critici non tengono in debita considerazione la componente del medio
circolante rappresentata dalla moneta scritturale o moneta deposito, il cui
volume era determinato dalla politica creditizia seguita dalle banche
commerciali e dal comportamento del pubblico. Non vale a rigettare questa
tesi l’osservazione che nelle economie arretrate la moneta scritturale riveste
importanza del tutto secondaria, perché si potrebbe obiettare, a nostra volta,
che nelle economie dualistiche di tipo coloniale, quando l’area monetaria
dell’economia era abbastanza ristretta, questo genere monetario occupava
una posizione tutt’altro che marginale nell’ambito del volume complessivo dei
mezzi di pagamento. Con particolare riferimento all’area dello scellino
dell’East Africa, si può notare che la moneta deposito rappresentava nel
periodo 1946-1963 una componente nettamente superiore rispetto alla
moneta legale, il cui peso oscillava, con tendenza alla diminuzione, tra un
massimo pari al 75,5 % conseguito nel 1948 ed un minimo pari al 59,7 %
raggiunto nel 1961 (v. Tabella n. 4 in Appendice). Si deve sottolineare, poi,
che tale componente assumeva in quest’area monetaria una rilevanza
superiore rispetto ad altri paesi in via di sviluppo come l’India, gli stati
dell’America Latina ed i territori dell’Africa occidentale (Engberg 1965). Il
fenomeno era presumibilmente attribuibile alla rilevanza dell’economia non
monetaria. Durante l’arco temporale in esame nella citata tabella (194628
1963), la tendenza evidenziata alla diminuzione in percentuale della
componente monetaria rappresentata dai depositi bancari a vista è attribuibile
allo sviluppo degli scambi monetari da parte della popolazione indigena ed in
particolare alla vendita sui mercati locali di prodotti agricoli in precedenza
destinati solo all’autoconsumo (Engberg 1965).
Ad ogni modo, pur in assenza di serie di dati concernenti la moneta
scritturale nel periodo prebellico, è indubitabile che per poco meno di un
decennio si sia verificata un’ininterrotta contrazione del volume di medio
circolante e che un’inversione di rotta sia rilevabile solo a partire dal 1933. A
questa osservazione può far seguito la considerazione che la limitata
diffusione della moneta durante i primi anni di attività dell’East African
Currency Board, faceva gravitare l’area monetaria attorno al commercio di
prodotti importati o destinati all’esportazione e, di conseguenza, un pur stretto
allacciamento del volume dei mezzi di pagamento all’andamento del
commercio internazionale arrecava al sistema economico coloniale danni
assai meno gravi di quelli valutabili in realtà maggiormente sviluppate. Con
riferimento poi al periodo postbellico, sono disponibili serie di dati che, pur
con qualche dubbio sulla loro attendibilità, sembrerebbero indicare una
continuazione degli effetti deflazionistici (Caselli 1974). Si è calcolato, infatti,
che nel decennio immediatamente successivo alla fine della seconda guerra
mondiale il saggio medio di crescita economica dell’East Africa si sia
mantenuto costantemente ad un livello superiore rispetto a quello dell’offerta
di moneta (Ord 1962, Lomoro 1965).
Un secondo addebito mosso all’East African Currency Board riveste un
carattere abbastanza specifico dal momento che riguarda la normativa e la
politica di investimento delle riserve mantenute a fronte delle emissioni.
L’esclusione da queste riserve dei titoli emessi dai governi coloniali dei
territori inclusi nella sfera operativa dell’organo monetario in parola a favore di
titoli emessi dal Tesoro britannico causava, infatti, un’esportazione di capitali,
sotto forma di crediti a favore della potenza coloniale dominante Uscivano per
questa via capitali che sarebbero, invece, stati di prezioso ausilio ad una
politica di accelerazione dello sviluppo attraverso adeguati investimenti in
infrastrutture ad opera dei governi coloniali. L’azione di drenaggio di capitali
da parte del Currency Board veniva in tal modo a sommarsi a quelle operate
dalle banche commerciali e della Cassa di risparmio postale, le quali, ognuna
per proprio conto, sottraevano risparmi all’economia locale per investirli nella
madrepatria od in altri dominion maggiormente sviluppati (Nevin, 1963,
Balogh 1964, Mauri 1972).
Il drenaggio di capitali, inizialmente di portata ridotta e quindi assai
meno importante ed appariscente, dati i modesti volumi delle emissioni ed il
non elevato tasso effettivo di copertura delle medesime, divenne tuttavia
fenomeno eclatante negli anni cinquanta allorquando l’emissione di biglietti e
monete fece registrare una sensibile crescita ed il tasso di copertura delle
29
emissioni, a partire dal 1950, superò decisamente il livello del 100% (v.
Tabella n. 1 in Appendice). Tuttavia, come si è visto in precedenza, con
inizio nel 1956, l’East African Currency Board aveva iniziato ad acquistare
titoli emessi dai governi locali essendo autorizzato ad utilizzarli come riserva
a fronte delle emissioni (v. Tabella n. 3f in Appendice). Veniva,
conseguentemente, a ridursi il drenaggio di capitali.
Possiamo concludere il nostro studio osservando che negli anni
sessanta, a seguito di opportune correzioni della normativa precedentemente
in vigore e dei conseguenti mutamenti nella prassi, erano stati
progressivamente eliminati gli effetti negativi sottolineati in passato dai critici
dell’East African Currency Board sia in tema di offerta di moneta sia con
riferimento al drenaggio di capitali. D’altra parte questo organismo monetario
attraverso un processo evolutivo e superando una serie di resistenze si
avvicinava gradualmente al modello di banca centrale.
30
APPENDICE
Tabella n. 1
EMISSIONI DELL’EAST AFRICAN CURRENCY BOARD
(Dati espressi in migliaia di Lire sterline)
Anni
(*)
Circolazione di
biglietti e monete (**)
Fondo
di riserva
(***)
Percentuale
di copertura
1925
5.607
2.446
43,6
1926
5.301
2.320
43,8
1927
5.255
2.369
45,1
1928
5.073
2.146
42,3
1929
5.074
2.202
43,4
1930
4.664
1.301
27,9
1931
3.993
701
17,6
1932
3.569
356
9,9
1933
3.822
642
16,8
1934
4.152
1.028
24,8
1935
4.265
1.288
30,2
1936
5.107
1.954
38,1
1937
6.006
2.730
45,5
1938
6.500
3.235
49,8
1939
6.500
3.220
49,5
1940
6.927
3.741
54,0
1941
8.224
5.110
62,1
1942
14.055
11.000
78,3
1943
21.119
18.164
86,0
1944
24.828
22.526
90,7
1945
28.378
26.562
93,9
1946
24.548
23.406
95,4
1947
24.369
23.578
96,8
1948
23.679
23.236
98,1
31
Anni
(*)
Circolazione di
biglietti e monete (**)
Fondo
di riserva
(***)
Percentuale
di copertura
1949
27.239
26.762
98,3
1950
29.578
29.940
101,2
1951
39.387
39.885
101,3
1952
48.349
46.520
96,2
1953
48.602
50.348
103,6
1954
53.334
57.619
108,0
1955
60.412
61.813
102,3
1956
60.724
61.321
101,0
1957
60.690
63.843
105,2
1958
58.653
63.429
108,1
1959
57.257
63.835
111,5
1960
60.438
66.814
110,5
1961
59.173
67.348
113,8
1962
58.494
68.425
117,0
1963
66.859
75.237
112,5
1964
69.291
75.883
109,5
1965
61.785
69.881
113,1
1966
56.277
61.836
109,8
(*) Dati riferiti al 30 giugno di ogni anno
(**) Dal 1962 al 1966 la voce “Circolazione di biglietti e monete”
comprende anche la consistenza delle riserve di liquidità delle banche di
deposito depositate presso l’East African Currency Board.
(***) Il fondo di riserva è costituito dai seguenti aggregati: (a)
numerario di cassa in valuta inglese; (b)saldi dei depositi presso le
banche di Londra; (c)monete di varia origine valutate in base al
contenuto metallico; (d) Treasury bills, valutati al prezzo di acquisto; (d)
altri titoli, valutati ai corsi di mercato.
Elaborazione di dati attinti dalle relazioni annuali dell’East African
Currency Board.
32
Tabella n. 2
TITOLI EMESSI DAI GOVERNI DEI TERRITORI COLONIALI NEL
FONDO DI RISERVA DELL’EAST AFRICAN CURRENCY BOARD
(Dati espressi in milioni di scellini e riferiti al 30 giugno di ogni anno)
Anni
Aden
Kenya
Tanganic
Uganda
Zanzibar
Totale
1956
-
4
-
-
-
4
-
1957
-
8
20
8
-
16
-
1958
-
0
16
58
-
124
-
1959
8
0
22
8
-
78
-
1960
18
76
72
90
6
262
23,7
1961
18
76
88
68
6
256
21,9
1962
18
76
94
102
8
298
33,6
1963
18
76
102
72
12
280
26,4
1964
18
70
94
74
16
272
27,9
1965
-
70
124
190
18
-
56,2
1966
-
70
20
100
2
272
48,5
Percent.
di bills
Fonte: East African Currency Board, Annual Report, vari anni.
33
Tabella n. 3 a
EMISSIONI FIDUCIARIE PER ADEN
(Dati espressi in milioni di scellini e riferiti al 30 giugno di ogni anno)
Anni
Totale
autorizzato
Emissioni
di cui in
Bills
Percentuale
di
utilizzo
1956
-
-
-
-
1957
14
-
-
-
1958
30
-
-
-
1959
30
18
-
60,0
1960
30
18
-
60,0
1961
30
18
-
60,0
1962
48
18
-
37,5
1963
48
18
-
37,5
1964
60
18
-
30,0
1965
-
-
-
-
1966
-
-
-
-
Fonti: East African Currency Board, Annual Report, vari anni;
Caselli 1974.
34
Tabella n. 3 b
EMISSIONI FIDUCIARIE PER IL KENYA
(Dati espressi in milioni di scellini e riferiti al 30 giugno di ogni anno)
Anni
Totale
autorizzato
Emissioni
Di cui in Bills
Percentuale
di
utilizzazione
1956
-
4
-
-
1957
50
38
-
76,0
1958
116
50
-
43,1
1959
118
80
-
70,0
1960
116
76
-
65,5
1961
116
76
-
65,5
1962
112
76
-
67,7
1963
112
76
-
67,7
1964
140
72
-
51,4
1965
198
70
-
35,4
1966
198
70
-
35,4
Fonti: East African Currency Board, Annual Report, vari anni; Caselli
1974.
35
Tabella n. 3 c
EMISSIONI FIDUCIARIE PER IL TANGANICA
(Dati espressi in milioni di scellini e riferiti al 30 giugno di ogni anno)
Anni
Totale
autorizzato
Emissioni
Di cui in
Bills
Percentuale
di
utilizzazione
1956
-
-
-
-
1957
56
20
-
37,5
1958
114
16
-
14,0
1959
114
22
-
19,3
1960
114
72
30
63,2
1961
112
88
46
78,6
1962
112
94
54
83,9
1963
112
102
62
91,1
1064
140
94
56
67,1
1965
198
124
90
62,6
1966
198
10
-
5,1
Fonti: East African Currency Board, Annual Report, vari anni; Caselli
1974.
36
Tabella n. 3 d
EMISSIONI FIDUCIARIE PER L’UGANDA
(Dati espressi in milioni di scellini e riferiti al 30 giugno di ogni anno)
Anni
Totale
autorizzato
Emissioni
di cui in
Bills
Percentuale
di
utilizzazione
1956
-
-
-
-
1957
68
58
-
85,3
1958
118
58
-
49,2
1959
118
58
-
49,2
1960
118
90
32
76,3
1961
118
68
10
57,6
1962
112
102
44
91,1
1963
112
72
12
64,3
1964
140
74
16
52,9
1965
198
190
130
96,0
1966
198
190
132
96,0
Fonti: East African Currency Board, Annual Report, vari anni; Caselli
1974.
37
Tabella n. 3 e
EMISSIONI FIDUCIARIE PER ZANZIBAR
(Dati espressi in milioni di scellini e riferiti al 30 giugno di ogni anno)
Anni
Totale
autorizzato
Emissioni
Di cui Bills
Percentuale
di
utilizzazione
1956
-
-
-
-
1957
8
-
-
-
1958
14
-
-
-
1959
14
-
-
-
1960
14
6
-
42,7
1961
14
6
-
42,7
1962
14
8
2
57,1
1963
14
12
-
85,7
1964
18
16
4
88,9
1965
24
18
6
75,0
1966
24
2
-
8,3
Fonti: East African Currency Board, Annual Report, vari anni;
Caselli 1974.
38
Tabella n. 3 f
EMISSIONI FIDUCIARIE NELL’INTERA AREA MONETARIA
DELLO SCELLINO E.A.
(Dati espressi in milioni di scellini e riferiti al 30 giugno di ogni anno)
Anni
Totale
autorizzato
*
Emissioni
Di cui in
Bills
Percentuale
di
utilizzazione
1956
200
4
-
2,0
1957
200
116
-
58,0
1958
400
126
-
31,5
1959
400
178
-
44,5
1960
400
262
62
65,5
1961
400
256
56
64,0
1962
400
298
100
74,5
1963
400
280
74
70,0
1964
500
272
76
54,4
1965
616
402
226
65,3
1966
616
272
132
44,2
(*) I totali riportati nella tabella non corrispondono alla somma dei
totali per gli anni dal 1957 al 1961 indicati nelle precedenti tabelle 3a, 3b,
3c, 3d, 3e in quanto comprendono anche le emissioni per la Somalia,
temporaneamente sotto amministrazione britannica.
Fonti: East African Currency Board, Annual Report, vari anni;
Caselli 1974.
39
Tabella n. 4
OFFERTA DI MONETA IN EAST AFRICA (*)
(Dati espressi in milioni di scellini E.A.e riferiti al 30 giugno)
Anni
Circolante
(a)
Depositi
(b)
Moneta
Percentuale
(c) = (a) + (b) (b) su (c)
1946
15,4
33,3
48,7
68,4
1947
13,8
35,8
49,6
72,2
1948
13,8
42,5
56,3
75,5
1949
17,9
44,7
62,6
71,4
1950
19,4
51,1
70,5
72,5
1951
25,9
65,8
91,7
71,8
1952
30,1
74,6
104,7
71,2
1953
29,7
78,3
108,0
72,5
1954
35,7
81,1
116,8
69,4
1955
42,8
81,6
124,4
65,6
1956
44,7
77,8
122,5
63,5
1957
46,4
76,2
122,6
62,2
1958
45,5
68,4
113,9
60,1
1959
44,5
71,7
116,2
61,7
1960
46,7
70,0
116,7
60,0
1961
47,2
69,9
117,1
59,7
1962
49,1
75,0
124,1
60,7
1963
54,2
83,2
137,4
60,6
(*) Sono esclusi dal computo i biglietti e le monete metalliche
circolanti nelle colonie già italiane e in Aden. Nelle consistenze dei
depositi bancari, che riguardano solo i territori dell’East Africa, sono
inclusi anche i depositi dei governi.
Fonti: nostre elaborazioni da East African Currency Board, Annual
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