Corrado Bevilacqua La manovra

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Corrado Bevilacqua La manovra
Corrado Bevilacqua
La manovra
Politici e tecnici nell'Italia della crisi
L'economia politica delle origini - Smith, Malthus, Ricardo - era
interessata ai problemi dello sviluppo. In questo quadro, che
sociologicamente rappresenta il periodo della formazione della
borghesia come classe, un ruolo fondamentale era esercitato
dal lavoro il quale era visto - vedi la polemica di Smith contro le
classi oziose - come unico strumento moralmente riconosciuto
per l'accesso alla ricchezza e quindi al potere. Smith segue
Locke e l'individualismo possessivo nella formulazione di
Macpherson.
Con la rivoluzione marginalista del 1870, tutto cambia. Il leit
motiv non è più quello dello sviluppo - sono gli anni che
Hobsbwam ha chiamato del trionfo della borghesia – ma
qquello dell'equilibrio. Il mondo economico, che prima era
rappresentato da capitalisti, lavoratori, proprietari fondiari è ora
rappresentato da una miriade di operatori economici che
scambiano beni e servizi sul mercato calcolando utilità e
disutilità derivanti dai beni e che comprano per consumare e dai
servizi, come il lavoro, che essi si prestano o meno ad erogare.
Questo complesso sistema di relazioni è stato formalizzato da
Walras, che era un ingegnerie come lo sarà Pareto, in termini
matematici facendo uso di equazioni tratte dalla fisica
meccanica. E', insomma, un universo deterministico dove
prezzi e quantità vengono determinati per via matematica come
grandezze finite calcolate su equazioni che rappresentano i
processi di produzione come processi continui e l'equilibrio
venne definito da Pareto che rielaborò Walras come quella
situazione in cui non è possibile migliorare la posizione di un
operatore senza peggiorare quella di altri.
In un tale sistema le crisi si correggono da sole via mutamenti
dei prezzi e delle quantità domandate e offerte. Ciò è possibile
perché le funzioni che rappresentano i processi produttivi sono
continue, cioè in termini matematici sono derivabili in ogni
punto, per movimenti infinitesimi di prezzi e quantità.
Keynes, introducendo i concetti di ignoranza, incertezza, spiriti
animali, introduce un elemento nuovo che muta il carattere
delle leggi economiche che non possono essere più
considerate in modo deterministico, come la legge di gravità
quando una tegola ti cade sulla testa. Questo aspetto della
teoria di Keynes è stato per un verso sottovalutato, per un altro
verso, compreso male.
L'universo di Keynes è un universo di propensioni: al consumo,
all'investimento, al risparmio dove elemento reale e l'elemento
previsionale svolgono dei ruoli difficili da separare. L'universo di
Walras è un universo newtoniano, dove le relazioni fra elementi
sono di tipo deterministico, quello di Keynes è probabilistico e le
relazioni fra gli elementi che lo compongono sono di tipo
stocastico.
Sraffa, che lavorava a Cambridge negli stessi anni di Keynes e
Wittgenstein, amico fraterno di Gramsci, distrugge il modo di
vedere l'economia allora - e tutt'oggi dominante - dimostrando
che il sistema può diventare determinato, cioè rendere possibile
la determinazione di prezzi e quantità, se prima d'ogni altra
cosa, viene determinata la distribuzione del reddito tra salari e
profitti.
Sraffa è un ricardiano – non a caso curò l'edizione delle opere
complete del maestro. Per Ricardo, che scriveva nel 1817/1823
- il reddito annuale era diviso in rendite dei proprietari terrieri ,
profitti dei capitalisti, salari degli operai. I capitalisti intascavano
i profitti dopo aver pagato rendite e salari. Fissati i salari e/o i
profitti, si può determinare valore dei beni capitali investiti, il
valore del lavoro, quindi, la tecnica più conveniente.
Molti anni fa Marcello Cini pubblicò un libro intitolato Un
paradiso perduto. Dall'universo delle leggi naturali al mondo dei
processi evolutivi. Non credo che il libro abbia avuto molto
successo, soprattutto presso i nostri politici. Dobbiamo pensare
che le relazioni fra elementi non sono di tipo meccanicistico,
come le relazioni economiche di Walras e di Pareto, ma sono di
natura complessa.
Gli economisti marginalisti continuano a usare funzioni continue
della produzione, quando già nel 1910 Schumpter dimostrò che
l'introduzione di un'innovazione che è il fenomeno
fondamentale dello sviluppo economico, non è da vedersi
come un movimento lungo la curva della produzione, ma come
l'introduzione di una nuova curva della produzione.
Fuori di metafora, la Fiat di Marchionne non è la Fiat di Valletta
con più capitale e meno lavoro. E' un'altra cosa. E' un altro
mondo, appartiene ad una altra epoca della nostra storia. Partiti
e sindacati si comportano invece come se fossimo ancora ai
tempi di Valletta. I nostri politici non hanno compreso che il fatto
di vivere in un mondo complesso non vuol dire che non
possiamo agire, ma che dobbiamo adottare un alltro metodo,
vedi Morin e Luhmann.
Concludendo, se è vero che non viviamo in un universo
deterministico, ma complesso, dove complesso vuol dire che
viviamo in condizioni di incertezza e di ignoranza, allora è vero
che dovremmo applicare sempre e comunque il principio di
precauzione
Stabilità e sviluppo. Nel 2009, la Bce (Banca centrale europea)
pubblicò un voluminoso e circostanziato volume dedicato alla
dimostrazione del ruolo fondamentale svolto dalla stabilità dei
prezzi nel buon funzionamento dell'economia europea. Così
facendo, essa dimostrava di non avere alcun interesse per lo
sviluppo economico.
Stabilità dei prezzi significa infatti equilibrio e equilibrio significa
tutto meno che crescita. Come scrisse infatti Pareto, un sistema
economico si dice in equilibrio quando è impossibile modificare
la situazione esistente senza peggiorare la posizione di almeno
uno degli operatori economici agenti nel sistema in parola.
Ciò è reso possibile dal fatto che i prezzi esprimono i rapporti
fra le utilità marginali dei consumatori i quali esprimono le
preferenze dei consumatori. Così facendo, Pareto rielaborava
un concetto proposto da Walras e messo da costui a
fondamento della rivoluzione marginalista.
Ora, come scrisse Hicks, la ragione della sterilità del sistema
walrasiano risiedeva nel fatto che esso non forniva le leggi del
cambiamento del suo sistema di equilibrio economico generale.
Hicks cercò di superare tale difficoltà elaborando il concetto di
equilibrio temporaneo.
A partire da quelle lontane teorie, vennero elaborate le varie
teorie della crescita equilibrata sia di stampo neoclassico che di
stampo keynesiano. In realtà, come dimostrò Schumpeter,
crescita vuol dire squilibrio. Il cambiamento non avviene lungo
la curva della funzione di produzione, ma di sostituzione della
funzione di produzione.
In questo quadro, fondamentale è il ruolo svolto, come dimostrò
Landes, dallo sviluppo tecnologico e dall'iniziativa privata.
Questo è il problema dell'economia europea; non quello della
stabilità dei prezzi Soltanto dando nuovo impulso allo sviluppo
tecnologico e all'iniziativa privata l'Europa potrà superare la crisi
in cui si sta dibattendo.
Spiriti animali. La Borsa di Milano chiude l'ultima seduta prima
del weekend di Natale con i principali indici in moderato rialzo,
mentre le altre piazze europee segnano guadagni un po' più
consistenti. Piazza Affari ha accusato il clima prefestivo, con gli
scambi che sono scesi sotto quota 1 mld di euro di
controvalore, a 844 mln.
Le Borse europee hanno chiuso in scia alle piazze Usa, che
hanno aperto in rialzo dopo dati misti, con gli ordini di beni
durevoli di novembre migliori delle aspettative, le vendite di
case nuove leggermente superiori alle attese da un lato, e
reddito e spesa personale di novembre inferiori alle previsioni.
Permangono in Italia le tensioni sui rendimenti dei titoli di Stato:
lo spread Btp-Bund resta a livelli molto elevati, a 502 punti,
dopo aver toccato un massimo infraday di 514.
A Milano Ftse Mib 15.073,99 (+0,31%), All Share 15.809,66
(+0,42%). In rialzo anche le altre piazze europee: a Francoforte
Dax 5.78,93 (+0,46%); a Bruxelles Bel 20 2.054,45 (+0,695); ad
Amsterdam Aex 307,79 (+0,86%); a Madrid Ibex 8.542,7
(+0,94%); a Zurigo Smi 5.893,89 (+0,97%); a Parigi Cac 3.102
(+0,99%); a Londra Ftse 5.512 (+1,02%); a Lisbona Psi 20
5.401 (+1,29%).
A New York, intanto, il Dow Jones guadagna lo 0,73% e il
Nasdaq +0,54% intorno alle 19.40. L'euro viene scambiato a
1,3045-47 dollari, poco variato. Al London Bullion Market l'oro
vale al fixing pomeridiano 1.606,5 dollari l'oncia, in lieve calo dai
1.607 dollari del fixing mattutino. In piazza Affari acquisti su
chimici (+2,16%), assicurazioni (+2,07%), servizi finanziari
(+1,28%). Venduti banche (-1,84%), costruzioni (-1,39%), retail
(-0,79%).
In luce A2A, maglia rosa del Ftse Mib, a 0,7375 euro (+2,36%),
che oggi ha finalizzato la vendita di Bas Sii a Uniacque per 23,5
mln di euro. A2A è anche socia di Delmi che, tramite
Transalpina di Energia, è controllante di Edison (oggi +4,20%
sull'All Share). Bene Generali (+2,14% a 11,45 euro), malgrado
il socio ceco Petr Kellner continui a vendere azioni (il 20
dicembre ne ha cedute altre 940mila).
Acquisti anche su Snam Rg (+1,67% a 3,416 euro) ed Exor
(+1,60% a 15,21 euro), che ha venduto Alpitour a due fondi di
private equity per 225 mln. Vendite in particolare su Impregilo (3,46% a 2,286 euro), Unicredit (-3,43% a 0,6905 euro), Ubi
Banca (-2,67% a 3,276 euro), Intesa Sp (-2,17% a 1,31 euro).
Sull'All Share, nel giorno del cda che ha all'ordine del giorno
l'aumento di capitale, Fonsai guadagna lo 0,79%; Milano
Assicurazioni vola (+11,09%). Bene anche Arena (+20%), male
Juventus (-9%).
Cosa c'è di razionale in tutto questo? Apparentemente nulla.
Apparentemente si tratta di semplici numeri che indicano come
tutto ciò sia la negazione del classico spirito calvinista che tanto
appassionò la mente di Max Weber alle prese con l'analisi dello
spirito del capitalismo.
In realtà, tutto ciò è espressione d'una logica economica
fondata sulla pura e semplice speculazione, sull'uovo oggi che
è migliore della gallina domani. Insomma, si tratta di quelli che
John Maynard Keynes chiamò spiriti animali ai quali George
Akerlof e Robert Shiller hanno dedicato un interessante libro
che fa capire come possa succedere che delle economia
apparentemente floride possano crollare improvvisamente
come dei castelli di sabbia, sotto i contraccolpi di quella che lo
stesso Shiller in un precedente libro aveva chiamato euforia
irrazionale.
Come abbiamo visto, essa è solo apparentemente irrazionale.
Essa è la logica della speculazione, sia essa al rialzo o al
ribasso, è la logica che ha portato alla crisi del 2008, è la logica
che sta mettendo a dura prova le capacità difensive dell'euro, è
la logica che porterà alla crisi finale. Non si scherza con il
fuoco. Il fuoco della speculazione sta distruggendo le nostre
risorse; risorse di carta, sulle quali abbiamo costruito delle
fortune di carta.
Crescita. Sono anni che l'economia italiana non cresce. Non
cresce perché non si fanno investimenti. Gli imprenditori italiani,
se è ancora consentito chiamarli così, preferiscono non
rischiare. Le banche preferiscono investire in derivati, e le
famiglie o tengono i soldi dentro il materasso, o li affidano alle
banche che li investono in derivati. Il risultato è, come ho detto,
che sono anni che l'economia italiana non cresce mentre,
siamo diventati un popolo di speculatori di borsa.
In queste condizioni, parlare di crescita economica è un non
senso. Per crescere, un'economia deve contare su un flusso
costante di investimenti finanziati in parte dai profitti d'impresa e
i parte dalle banche tramite il credito. Le banche, però,
preferiscono, come ho detto, investire in derivati che
consentono loro maggiori profitti di quelli che ricaverebbero da
eventuali prestiti alle imprese.
Inoltre, è bene ricordare che i nostri modelli di crescita
economica sono in genere mono settoriali, vale dire,
considerano l'economia come un tutto. Esistono anche modelli
plurisettoriali, sono meno utilizzati perché sono più difficili da
maneggiare, dato l'elevato numero di equazioni che li
compongono. Inoltre, va ricordato che un cosa sono i modelli;
un'altra cosa è la realtà economica.
Una economia è composta, infatti, da una molteplicità di settori
che producono gli uni per gli altri. Ciascuno di questi settori ha
delle proprie caratteristiche economiche che determinano
tempi, modi e quantità necessarie alla crescita. Ciò significa
che, per avere una crescita equilibrata occorre che l'economia
cresca ad un tasso che è compatibile con il tasso di crescita del
settore che cresce meno velocemente
Marx, il quale non era uno sciocco lo aveva capito. Molti anni
dopo, Bucharin, in polemica con Rosa Luxemburg, elaborò un
modello di sviluppo basato sulle regole che ho sopra enunciato.
Tredici anni dopo, Roy Harrod pubblicò il primo modello postkeynesiano e d'allora c'è stata una fioritura ininterrotta di
modelli di crescita, sia di derivazione neoclassica che d
derivazione keynesiana. Fra di essi, va ricordato il modello di
Leontiev, il quale aveva partecipato in gioventù al dibattito che
s'era svolto in Russia sul problema dell'industrializzazione.
Nel frattempo, i Russia, morto Stalin s'era avviato un dibattito
interessante sulle riforme e aveva preso piede una nuova
scuola di economisti di formazione neoclassica – i cosiddetti
ottimalisti – i quali cercavano di adattare alla pianificazione
sovietica i principi della cosiddetta “scuola di Losanna” - città
dove avevano insegnato due maestri della scienza economia
come Walras e Pareto.
Crollato il comunismo, vi fu in tutto il mondo un prepotente
ritorno del neoliberismo. Nessuno si interessò più dei problemi
di cui ho tetris parlato e oggi ci troviamo un governo di
economisti ohe non riescono a fare un discorso economico
chiaro e preciso. . Il neoliberismo, infatti, con il suo culto del
mercato, disincentiva la riflessione e affida la gestione
l'economia ai signori del capitale globale.
Gatta ci cova. ''Non c'è nessuna demonizzazione del posto
fisso che resta un'aspirazione per molti ma se non può essere
per tutti, chi accetta la flessibilità non ne deve pagare i costi''.
Lo ha detto il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, nel corso della
trasmissione 'L'intervista' di 'Sky Tg24'.
''Dobbiamo rompere quel meccanismo per cui il lavoro flessibile
è quello che costa di meno''. La flessibilità è un fattore
importante ma le imprese la devono ''pagare un po' di più e non
un po' di meno''. "Il mio modello - ha spiegato - è quello di avere
nel sistema economico una flessibilità buona" che ''vuol dire la
possibilità di trovare subito un altro posto". "Essere legati a tutti
i costi ad un'impresa - ha aggiunto - non è una situazione
ottimale nemmeno per i lavoratori".
E ''nessuno potrà mai licenziare per motivi di discriminazione. E'
inaccettabile in qualunque paese civile e quindi anche in Italia''.
Per Fornero ''si parla troppo di articolo 18''. Quello che può
toccare questo articolo ''è la flessibilità in uscita. Non è giusto
legare i lavoratori all'impresa in tutte le circostanze. Non è
ottimale che un lavoratore sia stretto all'impresa a tutti i costi''.
Ma ''chi perde il suo posto di lavoro deve essere aiutato a
trovare un nuovo lavoro e perché no dall'azienda stessa.
Questo sarebbe la flessibilità buona''.
Fornero ha parlato anche della riforma sulle pensioni che ''è
stata importante per evitare che l'Italia cadesse nel baratro'' e
''aiuta i giovani, sottrae loro un onere, quello del debito che era
un peso enorme sulle giovani generazioni''.
Quanto all'esecutivo, il ministro ha spiegato che ''questo è un
governo tecnico. Non è di parte e non vuole favorire una parte o
un'altra della società italiana o partiti a cui non è
particolarmente legato. Ovviamente c'è una maggioranza a cui
il governo rende conto ma l'esecutivo ha l'ambizione di fare
delle politiche per il Paese''.
Quindi la Fiat. ''Sicuramente mi dispiace'' che si possa dire che
ora è più americana che italiana, ha affermato Fornero. ''Per
quello che sta nell'ambito delle competenze del ministro del
Lavoro bisogna fare di tutto perché resti italiana e italiana come
realtà produttiva''. ''Abbiamo bisogno di industria in questo
Paese'' ha avvertito, e bisogna evitare che le imprese ''vadano
nei paesi in cui produrre costa di meno. Bisogna evitare che le
nostre imprese vadano a trasferirsi all'estero''.
A 'Sky Tg24' Fornero ha poi detto che quella del viceministro
Martone sui laureati è stata ''una frase infelice. Capita a tutti di
usare un'espressione infelice. Sicuramente non avrei usato
quell'espressione''.
Mentre incidente chiuso con il sottosegretario, Gianfranco
Polillo, che aveva affermato nei giorni scorsi riferendosi proprio
a Fornero che ''un politico con un pizzico di esperienza non
avrebbe mai fatto l'icona della fontana che piange''. ''Polillo, si
potrebbe anche dire in una tradizione maschilista, mi ha
mandato dei fiori - ha detto - Dei fiori veramente belli. Sarò un
po' debole ma l'incidente è chiuso''.
Alle parole del ministro Fornero ha replicato con l'Adnkronos
Guidalberto Guidi, imprenditore ed ex vicepresidente di
Confindustria. Per Guidi vanno lasciate alle imprese "tutte le
possibilità di creare un posto di lavoro, serio, retribuito e in
regola". L'ex vicepresidente di Confindustria è convinto che i
contratti di lavoro flessibili siano indispensabili per creare
occupazione. "Si è ricominciato ad assumere grazie ai decreti
legge di Treu", ricorda, evidenziando che "nessuno avrebbe più
assunto se non costretto da qualcuno".
Quanto al numero dei contratti disponibili, "le aziende serie ne
utilizzano due o tre, quattro al massimo". Riguardo ai costi che
devono sostenere le imprese, "i contratti a tempo determinato
hanno le stesse retribuzioni di quelli a tempo indeterminato e
per il contratto in affitto l'azienda paga il 10% in più, ovvero il
margine per l'agenzia che intermedia".
Secondo Guidi, poi, l'articolo 18 frena la crescita, come
sostenuto anche da Monti, "non da oggi, ma dal 1970". Se
fosse "abolito subito", molte imprese "potrebbero trasformare
contratti a termine e atipici in tempo indeterminato".
"Lo sanno tutti, la legge 300 del 1970 è impropriamente detta
Statuto dei lavoratori quando in realtà è 'lo Statuto del
sindacato': c'è dentro la codificazione della presenza del
sindacato nelle imprese e nell'economia, crea la religiosità del
sindacato", spiega Guidi, che ricorda: "In nessun altro Paese al
momento si può richiedere un decreto della magistratura per
comportamento antisindacale". Qualcuno, e lo stesso
imprenditore si annovera tra questi, "può ritenere che sia
anomalia".
Tutta la discussione sulla riforma del mercato del lavoro,
prosegue, "deve essere incentrata su una domanda: come dare
più occupazione? La risposta è colpire gli abusi e lasciare tutte
le opportunità di assumere alle imprese". L'abolizione
dell'articolo 18, insiste Guidi, "non crea un posto di lavoro
domani, ma porta immediatamente una conseguenza: molte
imprese possono trasformare i contratti a tempo determinato e
quelli atipici in tempo indeterminato". A patto, però, che "sia
tolto il reintegro e che la sanzione stabilita non sia un incentivo
a farsi licenziare". Oggi, invece, chi assume a tempo
indeterminato "fa un matrimonio a vita con il lavoro. Una
condizione che è scomparsa anche in Giappone ed è rimasta
solo in Grecia, che abbiamo visto la fine che ha fatto".
Guidi ripercorre anche la genesi dello Statuto dei lavoratori.
"Nasce da una proposta di legge di Nenni, poi il ministro
Brodolini la fa sua e, alla sua morte, la completa Donat Cattin",
ricorda, per poi sottolineare che "nella prima stesura non c'era il
reintegro del lavoratore, che per le imprese è il problema
principale, anche perché in tutto il mondo il risarcimento
economico è considerato sufficiente".
Dell'art. 18 "intanto, è doveroso parlarne. Poi sarebbe anche il
caso di intervenire. Perché il rischio è che possa anche frenare
gli investimenti". Mario Monti risponde così alle domande
proposte da un forum di Repubblica.it. Ha già detto che l'art.18
non deve essere un tabù, ora ne evidenzia le ricadute
economiche e, a cascata, sull'occupazione. Intanto, coglie
anche l'occasione per 'ritrattare' la sua posizione sul posto
fisso: non è poi tanto monotono e, di certo, "è un fattore
positivo". La frase che ha pronunciato due giorni fa, e che ha
fatto rapidamente il giro del web, scatenando ironia e proteste,
"presa fuori dal contesto, può prestarsi a un equivoco",
riconosce. Quindi, meglio chiarire: "Se intendiamo per 'fisso' un
posto che ha una stabilità e tutele, certo è un valore positivo. La
mia frase serviva a dire che i giovani devono abituarsi all'idea di
non avere un posto fisso per tutta la vita, come capitava alla
mia generazione o a quelle precedenti, un posto stabile presso
un unico datore di lavoro o con la stessa sede per tutta la vita o
quasi".
Poi, arrivano le domande dirette sull'articolo 18. E dirette sono
anche le risposte. Per come viene applicato, evidenzia il
premier, "sconsiglia investimenti di capitali stranieri ma anche
italiani". Questo, però, non vuol dire che la sorte dello
strumento difeso da tutti i sindacati sia segnata. "Non so dire
adesso se entro la fine di marzo, che è la scadenza che ci
siamo dati per le modifiche al mercato del lavoro, sia essenziale
una modifica dell'articolo 18 o no", puntualizza Monti.
Quello che il presidente del Consiglio vuole sia chiaro è
l'approccio di metodo con cui il suo governo si muove sul
terreno della riforma del mercato del lavoro. "Il mosaico è di
tante tessere, ogni tessera deve essere considerata per vedere
cosa verrà fuori". Quindi, va considerata almeno l'ipotesi di
toccare anche l'articolo 18. Come del resto è risultato chiaro dal
confronto di ieri tra i ministri Fornero e Passera e le parti sociali.
Soprattutto, il premier chiede un approccio non ideologico. "Il si
tocca o non si tocca l'articolo 18 sembrava la contrapposizione
tra Orazi e Curiazi. Il nostro scopo è quello di passare dai
simboli e i miti alla realtà pratica e pragmatica". Monti spiega
quindi anche quali sono i margini di manovra possibili. "Il
governo non ha potere di intervento sul modo in cui la giustizia
viene amministrata, ci possono essere chiarimenti o modifiche
legislative che danno nuovi paletti a chi deve amministrare una
legge", chiarisce, facendo riferimento al peso che, nella attuale
situazione, ha la decisione del giudice sul reintegro obbligatorio
in caso di licenziamento senza giusta causa. Anche guardando
agli effettivi margini di manovra, dunque, il premier non
abbandona mai una certa dose di cautela. "Stiamo vedendo al
tavolo con il ministro del Lavoro e i sindacati come si può
contemperare la garanzia e il rispetto di certi diritti del singolo
lavoratore con forme che non scoraggino le imprese
dall'assumere maggiormente. E dobbiamo compararci con
quello che passa il convento sul piano internazionale". Resta,
nell'analisi di Monti, una certezza. "Per arrivare a dare più
lavoro ai giovani bisogna tutelare un po' meno chi è oggi molto,
molto tutelato, quasi blindato nella sua cittadella di lavoratore
tutelato".
Intanto, in vista del nuovo round della prossima settimana,
imprese e sindacati sono già al lavoro. Sul tavolo un'agenda
fittissima di incontri, confronti e approfondimenti con cui cercare
di trovare la quadra sui capitoli di riforma, condivisi con
l'esecutivo. Martedì la parola spetterà ai 'tecnici' di Cgil, Cisl, Uil
e Ugl per la messa a punto, probabilmente, di uno 'schema' di
risposte comuni che saranno poi 'bollinate' dal vertice tra i
leader Camusso, Bonanni, Angeletti e Centrella in programma
mercoledì mattina. Un incontro che precederà di poche ore
quello tra i vertici sindacali e il leader di Confindustria, Emma
Marcegaglia, sempre mercoledì, che assieme ad Abi, Ania, Rti
e Alleanza per le cooperative, continueranno a cercare spazi
per possibili risposte condivise, già imbastite nel primo incontro
della scorsa settimana, con cui sedere con maggior forza al
tavolo con il governo. Un lavoro che resta però difficile,
complicato dai continui richiami del governo, premier compreso,
sulla possibilità di intervenire sull'articolo 18 ed i licenziamenti,
che irrigidisce i sindacati ed acuisce la distanza con
Confindustria. Anche se sulla flessibilità in uscita, sui
licenziamenti per motivi economici, uno spiraglio di trattativa
potrebbe essere possibile. Un documento unitario dunque non
sarebbe alle viste, almeno per ora. I sindacati, a cominciare
dalla Cgil, devono anche fare i conti al proprio interno come
dimostra, puntuale, la nota dell'area di minoranza di Corso Italia
che chiede la convocazione urgente del direttivo Cgil, per fare il
punto sul tavolo di palazzo Chigi e assumere "le iniziative
necessarie". Perché "è di inaudita gravità la decisione assunta
dal Governo, e avallata da Confindustria, di procedere anche
senza l'intesa con le parti sociali", spiega Gianni Rinaldini, ex
leader Fiom.
Anche il leader Uil, Luigi Angeletti, torna a puntare il dito sulla
mancanza di interventi di crescita che renderà, per questo, la
riforma del mercato del lavoro 'sterile' sotto il profilo
occupazionale. "Dire che cambiando le norme della riforma del
mercato del lavoro si creerà occupazione è una grande bugia,
una mistificazione", sintetizza. Intanto da viale dell'Astronomia a
spingere sull'acceleratore di una riforma oggi arrivano i Giovani
imprenditori. ''Sul mercato del lavoro ci aspettiamo non una
riforma ma una vera e propria rivoluzione'', attacca il
Presidente, Jacopo Morelli.''Non possiamo solo accontentarci di
aggiornare gli strumenti attuali. Per cambiare veramente non è
sufficiente discutere di flessibilità in uscita e in entrata e di
riforma degli ammortizzatori. Occorre un progetto complessivo,
a 360 gradi. Servono mezzi efficaci che aiutino il reddito e che
riconoscano il valore della produttività", aggiunge. E a
sollecitare prudenza e realismo sulla flessibilità in entrata è
anche il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli.
''Bisogna fare molta attenzione a non illudere i giovani. Non è
che eliminando le collaborazioni a progetto o il lavoro a tempo
poi quei posti si trasformano a tempo indeterminato, il rischio è
quello di tornare agli anni '80 e primi anni '90, con una
disoccupazione molto più elevata' o che che tanti lavoratori
diventino sommersi", avverte.
L'articolo 18 frena la crescita, come sostenuto anche da Monti,
"non da oggi, ma dal 1970". Se fosse "abolito subito", molte
imprese "potrebbero trasformare contratti a termine e atipici in
tempo indeterminato", sostiene all'Adnkronos l'ex
vicepresidente di Confindustria Guidalberto Guidi.. Talché,
qualcuno potrebbe chiedesi, perché non abolire i padroni
invece dell'articolo 18? Perché i padroni ce l'hanno tanto con
l'articolo 18? Semplice. Perché li fa sentire meno padroni.
Polemiche a parte resta il problema e non si tratta d'un
problema di facile soluzione. La disoccupazione attuale è in
parte di tipo congiunturale, in parte, soprattutto nel
Mezzogiorno, è di tipo strutturale; in parte di tipo tecnologicoOrbene, nessuno di questi tipi di disoccupazione può essere
combattuto con l'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto de diritti
dei lavoratori.
Per quello che riguarda il presidente del consiglio Monti, è da
sottolineare che anche alle persone intelligenti capita di dire
delle cazzate, e quella di Monti sul posto fisso, appartiene al
novero delle cazzate. In discussione non è infatti il
cambiamento di posto di lavoro all'interno di una carriera
professionale; un'altra cosa è cambiare tre lavori in un anno
come succede a molti giovani con la conseguenza di non
riuscire ad acquisire alcuna professionalità. Inoltre, una cosa è
la flessibilità sul luogo di lavoro: altra cosa è la precarietà, cioè
l'impossibilità, mancando di una fonte sicura di reddito, di
costruire a propria vita secondo le proprie aspettative.
Infine, dobbiamo tener conto del fatto che occorrono spesso
degli anni ad un lavoratore per imparare un mestiere. Ciò
comporta per le imprese un costo che non avrebbe senso per
esse pagare se il lavoratore viene licenziato non appena egli ha
acquisito la necessaria professionalità.
Note
L.Gallino Il lavoro non è una merce, Laterza
U. Beck Costruire la propria vita, Il mulino
R. Castel L'insicurezza sociale, Einaudi
P. Sylos Labini Nuove tecnologie e disoccupazione, Laterza
E. Malinvaud la disoccupazione di massa, Laterza
Fornero: “Noi righeremo diritto”
''Auspichiamo un incontro fruttuoso''. Così il ministro del Lavoro
Elsa Fornero aprendo l'incontro tra governo, sindacati e
imprese sulla riforma del mercato del lavoro a Palazzo Chigi.
Presenti, per l'esecutivo, anche il viceministro Michel Martone e
il ministro dello Sviluppo Corrado Passera. Assente invece il
premier Mario Monti. Per Confindustria ha partecipato il
presidente Emma Marcegaglia e il direttore generale
Giampaolo Galli. Al gran completo invece la pattuglia sindacale
con i leader di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, Susanna Camusso, Raffaele
Bonanni, Luigi Angeletti e Giovanni Centrella.
Il governo vuole dialogare con le parti sociali ma "farà di tutto
per prendere il treno della riforma", ha chiarito subito la Fornero
aggiungendo: "Se lo facciamo insieme siamo contenti, altrimenti
il governo cercherà comunque di farlo". "L'incontro di oggi non è
rituale - ci tiene a precisare il ministro - perché l'Europa, il
mercato, noi e voi sappiamo che questa è un'occasione per fare
una cosa buona per il mercato, e che, se non la cogliamo,
perdiamo". In ogni caso, ''saremo giudicati dagli italiani che
hanno subito esclusioni e non hanno avuto prospettive
appiattendosi su precarietà e basse aspirazioni''.
Fornero, che propone un nuovo appuntamento "tra 10 giorni"
sottolineando come ci sia "un vincolo di tempo e di risorse" ma
come sia meglio "chiudere in 2 settimane che in tre", illustra gli
obiettivi principali della riforma: ''distinguere tra una flessibilità
buona, in uscita e in entrata, e una cattiva''; distribuire
uniformemente le ''tutele sia nei segmenti del lavoro sia nel
ciclo di vita della persona''.
E propone "gruppi di lavoro flessibili" per ragionare sui capitoli
della riforma del mercato del lavoro. Un confronto che
proseguirà anche con incontri "congiunti o separati"con le parti
sociali "già dalla prossima settimana". "Dato che abbiamo tempi
stretti, il governo è disponibile a parlarvi congiuntamente o
separatamente, già dalla prossima settimana. Poi possiamo
fare altri incontri di questo tipo", ha aggiunto Fornero lasciando
comunque a sindacati e imprese la libertà "di organizzarvi come
credete".
Sulla riforma del mercato del lavoro sono puntati i riflettori dei
mercati finanziari e delle istituzioni europee. A sottolinearlo la
Marcegaglia:"Mercati e investitori aspettano di vedere come
faremo questa riforma, che dimostrerà la capacità di
cambiamento del Paese". "Condividiamo completamente
l'obiettivo di una maggiore occupazione e di un aumento dei
salari", ha poi sottolineato la leader di Confindustria
aggiungendo che ''l'articolo 18 crea dicotomia drammatica,
pesantissima all'interno del mercato del lavoro. Questo tema è
posto, è sul tavolo'' della riforma. Marcegaglia riporta quindi il
ragionamento del ministro sulla flessibilità in entrata che può
essere ''buona e cattiva. Su questo siamo d'accordo, se ci sono
delle false partite iva si tratta di ragionare su questi, se ci sono
delle forme contrattuali non a tempo determinao che
dovrebbero essere indeterminati si può aguire con un aumento
dei contributi''. Il presidente di Viale dell'Astronomia assicura
che ''c'è l'accordo tra tutte parti'' sulla necessiità di mantare la
flessibilità in entrata combattendo gli ''abusi''. Per quanto
riguarda la flessiblità in uscita ''non affrontiamo il tema in termini
ideologici, però pensiamo che il tema del reintegro deve valere
in modo chiaro per tutti i casi di licenziamenti discriminatori o
nei casi in cui legge dice che il licenziamento è nullo''.
"Dobbiamo apprezzare, pur usando condizionali obbligatori,
l'intento del governo di voler lavorare per fare un accordo", ha
commentato la leader Cgil, Susanna Camusso.
L'intervento del governo per una "buona" flessibilità sarà "il
segno della buona volontà del governo, della sua coerenza
sulla riforma del mercato del lavoro", ha detto dal canto suo il
leader Cisl, Raffaele Bonanni, che "apprezza l'intenzione
dell'esecutivo di voler contrastare la flessibilità cattiva e il "suo
uso fraudolento". "Noi tratteremo fino alla fine non daremo
l'esca a nessun estremista che aizzi allo scontro ma il governo
faccia lo stesso", ha aggiunto.
Per il confronto sulla riforma del mercato del lavoro ''non esiste
un problema di tempo''. A metterlo in chiaro il segretario
generale della Uil Luigi Angeletti. ''Noi siamo pronti a chiudere
anche domani mattina. Siamo allenati, siamo anche in tanti e
siamo in grado di dimostrare che siamo un sindacato in grado
di fare intese, che riesce a spiegare e raccontare'', ha detto
Angeletti. "Per licenziare ci vuole un giustificato motivo e l'onere
della prova deve essere a carico dell'impresa. Altrimenti è un
sopruso o una discriminazione", ha poi sottolineato Angeletti
tornando sulla modifica dell'articolo 18. Una modifica che
salverebbe solo "i licenziamenti discriminatori". Ma gli
atteggiamenti discriminatori, fa notare, "sono numericamente di
meno rispetto alla prepotenza, al sopruso , al potere che
l'impresa ha spesso verso i lavoratori subordinati. Per questo
per licenziare ci deve essere un motivo ragionevole", conclude.
Disoccupazione. Quarantacinquemila giovani occupate in meno
nella media dei primi tre trimestri 2011. E' il dato esposto, nella
sua relazione agli 'Stati generali sul lavoro delle donne in Italia'
che si è tenuto al Cnel a Roma, da Linda Laura Sabbadini,
direttore del dipartimento Statistiche sociali e ambientali
dell'Istat.
E nel 2010 il tasso di occupazione femminile è stato del 46,1%
nel nostro Paese, che si è così classificato ultimo in Europa,
prima di Malta. Il lavoro femminile, in particolare, al Sud scende
al 30,5% contro il 56,1% del Nord. "Il territorio più colpito dalla
crisi -ha sottolineato Sabbadini - è stato il Sud. Nel
Mezzogiorno le donne occupate, come anche gli uomini, sono
diminuiti molto di più che al Nord, e quindi le differenze tra le
due parti del Paese continuano ad aumentare".
Tasso di occupazione femminile che in Italia il diminuisce
all'aumentare del numero di figli, ribadisce Sabbadini. Secondo
i dati dell'Istat, infatti, il tasso di occupazione delle donne in
coppia con un figlio è del 60% contro il 91,3% degli uomini nella
stessa situazione, e diminuisce al 50,6% nel caso di due figli e
crolla al 33,7% in caso di tre figli o più. La diminuzione che si
evidenzia tra primo e secondo figlio avviene di più che nel resto
d'Europa.
L'Istat rileva inoltre che "in Italia, con la crisi, è cresciuto il part
time 'involontario' tra le donne, che non è quello che serve per
la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Noi abbiamo una
quota di part time 'involontario ' che è doppia rispetto a quella
europea, a fronte di una quota di part time che è più bassa di
quella degli altri Paesi". Secondo Sabbadini "questo vuol dire
che il nostro part time sta crescendo più come strumento di
flessibilità dal lato delle imprese che non dal lato della
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per le donne e anche
per gli uomini". Per il direttore dell'Istat ciò vuol dire che "c'è un
peggioramento qualitativo del lavoro femminile".
Inoltre la quota di donne inattive che "non cercano attivamente
lavoro, ma sono subito disponibili a lavorare", in Italia, è quasi 4
volte più elevata che in Europa (16,6% rispetto al 4,4%). Sono
"donne scoraggiate", dice Sabbadini. La distanza, secondo
l'Istat, è ancora piu' forte in confronto ai principali Paesi europei.
Per sabbadini "il problema del lavoro delle donne è prettamente
legato al welfare. Se i servizi resteranno così, non ci sarà
crescita dell'occupazione femminile". Infatti "la situazione delle
donne sul mercato del lavoro è peggiorata con la crisi partendo
da una situazione già grave". E quindi per il direttore dell'Istat "o
si redistribuisce il lavoro di cura tra i generi e nella società,
sviluppando una rete di servizi ampia e funzionante, facilitando
anche la crescita dell'occupazione delle donne nel settore dei
servizi, o difficilmente potrà esservi futuro per l'occupazione
femminile". Tutto questo perché "i nodi del welfare 'fai da te'
sono venuti al pettine, è aperta la questione della necessità di
rifondazione del sistema di welfare anche in quest'ottica",
conclude Sabbadini.
I precedenti. Dal coro di critiche che ha accolto le parole di
Mario Monti si potrebbe pensare che il presidente del consiglio
sia stato il primo esponente di governo a pronunciarsi contro il
lavoro che dura tutta una vita. Ma non è così. Prima di lui, a
mettere in discussione il posto fisso sono stati vari altri premier,
compresi alcuni uomini simbolo del centrosinistra. Nel 1996
Carlo Azeglio Ciampi, ministro dell'Economia nel primo governo
Prodi, scatenò un mezzo putiferio quando, disse che bisognava
"avere il coraggio di arrivare anche a licenziare nella pubblica
amministrazione". Il licenziamento dei dipendenti pubblici non
andò in porto, ma il tema continuò a essere presente
sottotraccia nella riflessione del centrosinistra.
A farlo emergere di nuovo ci pensò Massimo D'Alema,
approdato a Palazzo Chigi nel 1999. Inaugurando la fiera del
Levante, a Bari, D'Alema spiazzò tutti sentenziando: "E' finita
l'epoca del posto fisso, oggi l'occupazione si crea anche con i
lavori a termine". D'Alema mise particolare energia nel chiedere
un cambio di mentalità nell'approccio alle questioni
dell'occupazione. "Senza lavori precari - disse per semplificare gli Stati Uniti avrebbero lo stesso tasso di disoccupazione di
Reggio Calabria". Ma anche un nemico giurato della precarietà
come Prodi ha più volte invitato a considerare che, non solo
negli Usa, ma anche in molti paesi europei, è normale cambiare
più volte lavoro. Curiosamente, nel centrodestra la flessibilità ha
avuto paladini meno entusiasti. C'é stato un momento, nel
2009, in cui Berlusconi invitava a non fare del posto fisso un
totem ("Io vorrei che il paradigma del posto fisso fosse meno
valorizzato"), e polemizzava con Giulio Tremonti, allora come
oggi grande difensore del lavoro che dura una vita, perché "la
stabilità del lavoro è la base della stabilità sociale" (concetto tra
l'altro ripetuto ancora questa sera a Porta a Porta). Più
recentemente il Cavaliere si è ritrovato sulle posizioni di
Tremonti difendendo il suo ministro dalle critiche di Emma
Marcegaglia, secondo la quale "la cultura del poso fisso è un
ritorno al passato". Berlusconi tagliò corto: "Per noi il posto fisso
è un valore, e non un disvalore”.
Allarme disoccupazione. A dicembre il tasso di disoccupazione
si attesta all'8,9%, in aumento di 0,1 punti percentuali in termini
congiunturali e di +0,8 punti rispetto all'anno precedente. Il
tasso di disoccupazione giovanile è pari al 31%, in diminuzione
di 0,2 punti percentuali rispetto a novembre. E' quanto
comunica l'Istat.
Il numero dei disoccupati si attesta così a dicembre a 2,243
milioni, con un aumento dello 0,9% rispetto a novembre (20mila
unità), dovuto esclusivamente alla componente maschile. Su
base annua si registra una crescita del 10,9% (221mila unità).
E' quanto comunica l'Istat.
Gli occupati sono invece 22,903 milioni, un livello
sostanzialmente invariato rispetto a novembre, in presenza di
un calo della componente maschile e di una crescita di quella
femminile. Nel confronto con l'anno precedente l'occupazione
diminuisce dello 0,1% (-23 mila unità). Il tasso di occupazione è
pari al 56,9%, stabile nel confronto congiunturale e in
diminuzione in termini tendenziali di 0,1 punti percentuali.
Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni diminuiscono dello 0,2% (-34mila
unità) rispetto al mese precedente. Il tasso di inattività si
posiziona al 37,5%, con una flessione di 0,1 punti percentuali in
termini congiunturali e di 0,5 punti su base annua. A dicembre
la stabilità dell'occupazione rispetto al mese precedente deriva
da una diminuzione della componente maschile (-0,5%) e da un
aumento di quella femminile (+0,7%). Anche su base annua la
diminuzione dell'occupazione interessa esclusivamente la
componente maschile (-0,7%), mentre l'occupazione femminile
aumenta dello 0,8%. Il tasso di occupazione maschile, pari al
67,1%, diminuisce di 0,3 punti percentuali rispetto a novembre
e di 0,4 punti su base annua. Quello femminile (46,8%) registra
un aumento di 0,3 punti percentuali sia in termini congiunturali
sia rispetto a dodici mesi prima. La disoccupazione maschile
cresce del 5,1% rispetto al mese precedente e del 15,1% su
base annua; il numero di donne disoccupate diminuisce rispetto
a novembre del 3,9%, mentre aumenta del 6,2% in termini
tendenziali. Il tasso di disoccupazione maschile cresce di 0,4
punti percentuali nell'ultimo mese, portandosi all'8,4%; quello
femminile segna una flessione di 0,4 punti e si attesta al 9,6%.
Rispetto all'anno precedente il tasso di disoccupazione
maschile sale di 1,1 punti percentuali e quello femminile di 0,4
punti percentuali.
L'inattività diminuisce dello 0,2% in confronto al mese
precedente, tendenza questa che interessa sia la componente
maschile (-0,1%), sia quella femminile (-0,3%). Rispetto a
dodici mesi prima gli inattivi diminuiscono dell'1,2%, facendo
registrare una variazione di pari intensità sia per la componente
maschile sia per quella femminile.
Quanto all'Ue, disoccupazione stabile al 10,4% nell'eurozona a
dicembre e al 9,9% nell'Ue a 27. Lo comunica Eurostat,
ricordando che nel dicembre del 2010 il tasso di
disoccupazione era rispettivamente del 10 e del 9,5%. L'Ufficio
statistico dell'Ue calcola in 23 milione 816mila gli uomini e le
donne senza lavoro a dicembre nell'Ue a 27, 16 milioni 469mila
dei quali nell'area euro, rispettivamente 24mila e 20mila in
meno che a novembre. Fra i Paesi membri, il tasso di
disoccupazione più basso si registra in Austria (4,1%), Olanda
(4,9%) e Lussemburgo (5,2%), mentre quello più alto in Spagna
(22,9%), Grecia (19,2%, il dato è di ottobre) e Lituania (15,3%,
nel terzo trimestre del 2011).
Per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, a dicembre
c'erano 5 milioni e 493mila ragazzi sotto i 25 anni senza lavoro
nell'Ue a 27 e tre milioni 290mila nell'area euro, rispettivamente
241mila e 113mila in piu' rispetto al mese precedente, pari al
22,1% ed al 21,3%. Il tasso piu' basso di disoccupazione
giovanile è stato registrato in Germania (7,8%), Austria (8,2%) e
Olanda (8,6%), il più alto in Spagna (48,7%), Grecia (47,2%, a
ottobre) e Slovacchia (35,6%). In Italia Eurostat ha rilevato un
tasso del 31%, in lieve calo rispetto al 31,2% di novembre.
"Noi non possiamo lasciare sulle spalle delle generazioni più
giovani e di quelle che verranno questa spaventosa eredità". E'
quanto ha affermato il Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano oggi in Comune a Bologna, parlando del debito
pubblico dell'Italia.l Capo dello Stato ha ricordato infatti che "i
sacrifici, le severità e le durezze" messe in campo dalle misure
amministrative e governative puntano all'obiettivo "essenziale
per il futuro del Paese che è l'abbattimento del debito pubblico
accumulatosi nel tempo". Debito pubblico che, secondo
Napolitano, "è uno dei fattori di esposizione dell'intero contesto
europeo ai rischi di deflagrazione. Nel corso di questi mesi chi
avrebbe mai immaginato che il termine spread potesse
diventare di uso comune: questi alti e bassi già ci mettono sulle
spalle una ancora maggiore entità di spesa per onerare i titoli
del debito pubblico. Necessità a cui si legano misure restrittive
che per quanti sforzi si facciano hanno un impatto sulla
crescita". Da qui l'invito a "fare uno sforzo per selezionare molto
bene le riduzioni di spesa pubblica", perché, afferma, "tagliare
alla cieca è fuorviante". "Siamo in un tunnel dal quale dobbiamo
uscire facendo dei sacrifici - ha detto ancora il Presidente - Ho
parlato spesso di coesione sociale, che è un aspetto importante
di tutte le politiche pubbliche, è un bene prezioso e riguarda
ogni sforzo per evitare che diventino dirompenti i conflitti tra
interessi diversi, ma seguire un criterio di solidarietà e
di coesione sociale non puo' significare
immobilismo".Napolitano si è quindi detto convinto che "ci sono
spinte troppo conservatrici nella nostra società" e "molto deve
cambiare nei comportamenti, nelle posizioni acquisite e nelle
aspettative". "Una cosa - ha spiegato - è la distribuzione ed
equa dei sacrifici, altra cosa è che ci sia qualcuno che si sente
esentato". Non si può escludere, ha ripetuto il Presidente, che
dalla crisi economica esca un'Italia "materialmente impoverita",
ma l'importante, "è che esca più sobria e più giusta".Nel suo
intervento a Palazzo d'Accursio, dove ha incontrato eletti e
amministratori locali, il Presidente della Repubblica ha anche
sollecitato il federalismo fiscale che "non è un'opzione ma un
dovere cui dare attuazione anche andando al di là dell'empasse
in cui si trova ora il processo". In particolare, ha osservato
Napolitano, "c'è stato molto conservatorismo" per quanto
riguarda la necessità di riforme in materia di assetti
istituzionali e al nodo della revisione delle Province. "Ci sono
questioni accumulatesi nel tempo che ora affrontiamo con molto
ritardo, e più c'è ritardo più le questioni si aggrovigliano".
"Siamo alle prese con una riforma del Parlamento, si parla
del superamento del bicameralismo perfetto, e non sarà facile
venirne fuori nonostante appelli e sollecitazioni", ha infatti
ricordato, mentre a riguardo delle Province "si è andati avanti e
indietro, e si è presa una decisione parziale". "Abbiamo molto
da rivedere dal livello regionale in giù", aggiunge Napolitano,
precisando che la riforma istituzionale va risolta "con razionalità
e visione d'insieme".
Scontri questa mattina a Bologna tra le forze dell'ordine e i
manifestanti in corteo contro il presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano, che oggi ha ricevuto la laurea honoris
causa in Relazioni internazionali da parte dell'Università
felsinea. La manifestazione si è svolta in maniera tranquilla fin
quando le forze dell'ordine non hanno bloccato tutte le strade
impedendo di fatto al corteo di raggiungere l'aula di Santa
Lucia, dove si stava svolgendo la cerimonia in onore del
presidente della Repubblica. A quel punto i manifestanti hanno
cercato di forzare il blocco ed è partita qualche manganellata
con conseguente lancio di uova, frutta e ortaggi. Qualche
momento di tensione c'è stato anche in piazza della Mercanzia
a causa di un manifestante esagitato che è stato subito
allontanato dopo qualche spintone. Scontri che hanno visto la
condanna dello stesso Capo dello Stato. "Le manifestazioni di
dissenso e di protesta, se sono motivate e si esprimono
correttamente, possono essere prese in attenta considerazione,
altrimenti no", ha detto Napolitano rispondendo ai cronisti che
gli chiedevano un commento sulle contestazioni che gli sono
state rivolte. "Francamente un commento sulle uova e sugli
accendini non mi pare di doverlo fare", ha aggiunto il Presidente
della Repubblica.
Lo stesso Napolitano nella sua lectio nell'Ateneo felsineo aveva
sottolineato il rischio di reazioni fuori misura ai provvedimenti
legislativi che potrebbero sfociare in "ribellismo" e "violenze
inammissibili", facendo un appello affinché ci sia anche in
Parlamento un "clima costruttivo" per "il superamento della crisi
prodottasi nel rapporto con la società e con i cittadini". La
percezione del ruolo insostituibile della politica "si è affievolita
insieme con la forza degli ideali, anche per effetto di una perdita
di efficacia, persuasività e inclusività del sistema politico. E mi
riferisco alle istituzioni rappresentative, ai processi elettorali, ai
partiti: una crisi da cui si puo' uscire solo attraverso riforme in
tutti questi campi", ha affermato.
Proprio in relazione alle difficoltà incontrate dall'Unione europea
nella gestione del difficile momento attuale di crisi, Napolitano
ha sottolineato come "le risposte delle leadership politiche e del
governo nazionali si sono fatte più incerte e problematiche, si è
esteso in varie parti d'Europa il fenomeno di azioni populiste di
aperto rigetto dei vincoli di corresponsbilità e solidarietà
europea, di anacronistica difesa di posizioni acquisite e di
privilegi corporativi". "Non c'è dubbio -prosegue Napolitano- che
tutto questo abbia trovato sbocco nell'affermarsi di nuove
formazioni di stampo populistico e abbia più in generale eroso
antiche basi di fiducia nella politica, nei partiti tradizionali, nelle
istituzioni".
Da qui il messaggio ai giovani: "Tra il rifiutare i partiti e il rifiutare
la politica, l'estraniarsi con disgusto dalla politica, il passo non è
lungo ed è fatale, perché conduce alla fine della democrazia e
quindi della libertà". Ma la soluzione alla crisi della politica,
avverte, non si risolve con internet: per Napolitano, infatti, "non
c'è partecipazione individuale e collettiva efficace alla
formazione delle decisioni politiche nelle sedi istituzionali,
senza il tramite dei partiti". Al contempo il capo dello Stato
ricorda che il recupero della fiducia nella politica passa anche
attraverso la "restituzione ai cittadini-elettori della voce che ad
essi spetta innanzitutto nella scelta dei loro rappresentanti e
infine nella selezione di candidati a ruoli di rappresentanza
istituzionale che presentino i necessari titoli di trasparenza
morale e competenza".
Nel suo discorso anche l'auspicio che "lo sforzo appena
intrapreso", con la nascita del governo Monti "continui e si
sviluppi in un clima costruttivo". "Il logoramento della
maggioranza di governo e l'emergenza di un rischio di vero e
proprio collasso finanziario pubblico hanno determinato la
necessità di ricorrere anche in Italia - prosegue Napolitano - a
soluzioni non rinvenibili entro sistemi ordinari, ordinando un
improvvido, precipitoso scioglimento del Parlamento e avviando
politiche ormai urgenti di risanamento finanziario e di riforma di
non più sostenibili assetti economici e sociali".
Napolitano, poi, apre alla prospettiva di un intervento
riformatore anche della seconda parte della Carta
costituzionale. "Si dovrà verificare in Parlamento anche la
possibilità di definire, o di prospettare credibilmente, revisioni di
norme della seconda parte della Costituzione, come si riuscì a
fare anni fa solo con la riforma del Titolo V in senso più
conseguentemente autonomistico".
Parlando dell'Europa, il capo dello Stato ha quindi messo in
guardia dall'"illusione dell'autosufficienza" che possono coltivare
alcuni Paesi europei. "Il peso dell'Europa nel suo complesso ha detto - si è venuto in termini demografici ed economici,
innegabilmente restringendo e tende a restringersi quanto più
da parte di noi europei si esiterà a unire le forze, a procedere
sulla via dell'integrazione, quanto più singoli stati membri
dell'Unione coltiveranno l'illusione dell'autosufficienza.
"La disoccupazione è la mia principale preoccupazione e la
riforma del mercato del lavoro la pensiamo proprio per
aumentare l'occupazione". Lo ha detto il ministro del Lavoro,
Elsa Fornero commentando i dati Istat sulla disoccupazione al
termine di un'audizione alla Camera. "Le donne ed i giovani
hanno poco lavoro e noi ci impegneremo in questa direzione"
ha assicurato.
Fornero taglia corto sui 'paletti' dei sindacati sulla riforma. "Noi
lavoriamo perché ci sia un bel dialogo - spiega - Lo vedremo
giovedì, non è il caso di fare congetture oggi su ciò che sarà
dopodomani".
Quanto alle pensioni, "non credo si possa riaprire la partita. La
riforma delle pensioni è uno degli elementi che in Europa hanno
considerato con maggiore attenzione e su cui hanno dato
credito alla volontà italiana di cambiare sul serio". Dunque
ribadisce: "Non sono disposta a tornare indietro", "ci
mancherebbe altro che tornassimo indietro su una riforma delle
pensioni che l'Europa considera come un dato acquisito".
Ma la questione "non è chiusa" per Cesare Damiano del Pd.
"Non condividiamo le parole del ministro Fornero - ribatte perché sono pesanti e non tengono conto della situazione
sociale realmente esistente'', inoltre ''non va dimenticato che sul
tavolo di confronto sul mercato del lavoro i sindacati hanno
posto unitariamente alcuni contenuti che riguardano i nodi
irrisolti della questione previdenziale, che noi condividiamo.
Ignorare tutte queste istanze non favorisce il dialogo''.
Critica anche la Uil. Secondo il sindacato la riforma delle
pensioni "è stata in realtà una gigantesca operazione
economica volta solo a fare cassa, con la quale si sono prese
ingenti risorse dal sistema previdenziale per coprire buchi del
bilancio pubblico che con le pensioni non hanno niente a che
fare. Stiamo chiedendo di dare una risposta positiva a decine di
migliaia di lavoratori che rischiano di trovarsi improvvisamente
senza stipendio e senza pensione. Ci aspettiamo dal
Parlamento un intervento nella direzione dell'equità e della
giustizia. E ci auguriamo che il governo contribuisca ad
accogliere queste legittime richieste".
In vista dell'incontro di giovedì a Palazzo Chigi, fissato per le
10.30, sulla riforma del mercato del lavoro, domani
Confindustria incontrerà Cgil, Cisl, Uil e Ugl per fare il punto
sulle posizioni da tenere nel corso del confronto con il governo.
Dall'incontro con il governo ''aspettiamo risposte concrete - ha
detto il leader della Uil, Luigi Angeletti - per risolvere situazioni
di lavoro al limite della legalità, di sfruttamento, di persone che
devono accettare false partite iva, come quei collaboratori che
in realtà sono dipendenti a tutti gli effetti. Importante sarà anche
la flessibilità in uscita''.
Monti:”Avanti con la riforma del mercato del lavoro”
"I negoziati, soprattutto su questa materia, è difficile che
partano in discesa, perché altrimenti non dovrebbero avere
luogo, ma io sono certamente fiducioso". Lo ha detto il
presidente del Consiglio Mario Monti al Tg1, a proposito della
riforma del mercato del lavoro.
"Ci sono diverse esigenze - spiega il premier - che dobbiamo
rendere compatibili, ma io credo che sia possibile: per creare
occupazione in Italia, occorre che produrre in Italia diventi una
cosa più competitiva; occorre che la protezione delle persone
nel mercato del lavoro non diminuisca ma diventi più equilibrata
e con una protezione meno concentrata sul singolo posto di
lavoro e più concentrata sul singolo lavoratore, quindi con una
esigenza di mobilità nel tempo. Quindi c'è un obiettivo di
efficienza ed un obiettivo di maggiore equità sociale".
Riguardo poi alla sua prossima visita al presidente degli Stati
Uniti Barack Obama il 9 e 10 febbraio prossimi, "credo che
entrambi guarderemo avanti piuttosto che indietro'' ha detto
Monti - Gli Stati Uniti stanno apprezzando gli sforzi che, con la
guida del governo e la grande partecipazione di tutto il Paese,
l'Italia sta facendo''.
Dal canto suo il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali,
Elsa Fornero, ha voluto rivolgere un ''messaggio affettuoso'' al
ministro dello Sviluppo economico. ''Dirò a Passera di essere
un po' meno ottimista, un po' meno cuore oltre l'ostacolo'' ha
affermato Fornero. In particolare, per il ministro ''è bellissimo
pensare che esistono cambiamenti che in maniera immediata
possono portare il nostro reddito, la nostra occupazione a livelli
molto più alti''. Però, chiosa, ''è molto difficile trovare queste
soluzioni, queste bacchette magiche. In realtà noi lavoriamo per
il medio termine ed è soprattutto quell'orizzonte che noi
dobbiamo sempre avere presente''.
Con le semplificazioni ci saranno risparmi per oltre 500 milioni
di euro. A calcolare l'impatto benefico del dl varato ieri dal
governo è il ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni
Griffi. "Il decreto semplificazioni - spiega - porterà a un cospicuo
risparmio per cittadini, imprese e pubblica amministrazione. In
questo momento non è ancora possibile verificare con certezza
l'impatto del provvedimento ma possiamo affermare che i
risparmi saranno oltre i 500 milioni e si inciderà su settori in cui i
costi attuali superano il miliardo".
Una stima, spiega ancora, a cui si arriva con l'eliminazione del
Documento programmatico sulla sicurezza per la Privacy che
porterà un risparmio di circa 320-325 milioni a cui vanno
aggiunti altri 140 milioni l'anno per effetto della riduzione degli
oneri in materia di appalti.
"Nel complesso dunque il risparmio per le sole misure già
stimate è di oltre 500 milioni di euro all'anno a vantaggio delle
Pmi", prosegue il ministro. "A questo si aggiungono i consistenti
risparmi attesi dall'adozione dei regolamenti in materia di
controlli per le imprese, dalla autorizzazione unica ambientale
per le Pmi - che consentirà di abbattere significativamente gli
oneri amministrativi attuali, stimati in oltre 1,3 miliardi di euro
all'anno - dalla semplificazione delle procedure autorizzatorie
per le imprese e dagli interventi per l'agricoltura", conclude.
''Dal settembre 2008 allo stesso mese del 2011, l'indebitamento
medio delle famiglie italiane è aumentato del +36,4%: in termini
assoluti, invece, l'importo medio in capo a ciascuna famiglia
italiana si è attestato attorno ai 20.000 euro''.
La stima viene dall'ufficio studi della Cgia di Mestre e include
cifre, secondo gli stessi estensori del rapporto, ''da far tremare i
polsi'' sullo stock di debito che pesa su tutte le famiglie italiane:
503 miliardi di euro. Spostando l'analisi a livello territoriale,
afferma l'associazione degli artigiani, ''i nuclei familiari più in
difficoltà sono stati rilevati in provincia di Roma (indebitamento
medio pari a 29.287 euro), seguono quelli residenti in provincia
di Lodi (28.470 euro) e quelli in provincia di Milano (28.251
euro)''.
Le realtà più 'virtuose' invece sono segnalate al Sud. Nel
settembre scorso infatti, sottolinea la Cgia, ''l'indebitamento
medio delle famiglie residenti in provincia di Vibo Valentia era di
9.342 euro, ad Enna toccava gli 8.845 euro ed in Ogliastra gli
8.593 euro''. Rispetto invece alle maggiori variazioni di crescita
dell'indebitamento, è Livorno a piazzarsi in prima posizione
(+57,1%), seguita da Grosseto (+56,4%) e dalla provincia di
Asti (+55,5%). ''Se le province italiane più esposte con le
banche sono anche quelle che presentano mediamente i livelli
di reddito più elevati - commenta Giuseppe Bortolussi,
segretario della Cgia di Mestre - è chiaro che la quota di
indebitamento medio raggiunto è stato condizionato dalle
politiche di investimento realizzate dalle famiglie più ricche che,
dopo l'avvento della crisi finanziaria, hanno decisamente
intensificato l'accensione di mutui per l'acquisto o la
ristrutturazione di beni immobili''.
Caccia agli evasori. Prima Cortina, poi Roma, Portofino. E ora
Milano. Una task force di ispettori delle Agenzie delle Entrate e
dei vigili urbani ha effettuato sabato sera controlli a tappeto
contro l'evasione fiscale nelle vie del centro e in particolare nei
quartieri della movida. Impegnate circa 50 pattuglie per un
totale di oltre 150 uomini della Polizia locale, oltre ai funzionari
in borghese. L'operazione a sorpresa, scattata alle 21, ha
interessato gran parte del centro della città: a partire da Brera,
corso Garibaldi, via Vittor Pisani e corso Vercelli, per arrivare in
corso Como e nel Ticinese-Navigli. Circa 200 i locali presi di
mira. L'attenzione, come già accaduto nella celebre località
delle Dolomiti e nella capitale, è stata rivolta al rilascio degli
scontrini fiscali da parte dei ristoranti e dei bar affollati per il
sabato sera e sulla posizione dei dipendenti. Si è scelta una
città simbolo per stanare i «furbetti» che agiscono
irregolarmente frodando il fisco.
Del resto lo stesso direttore dell'Agenzia delle Entrate lo aveva
già annunciato: «I blitz in stile Cortina non si fermeranno, ma
anzi andranno avanti». detto, fatto. Ed ecco il blitz all'ombra
della Madonnina. Nella notte più importante della movida: il
sabato. «Ci siamo mossi a più livelli», è stato il commento degli
ispettori della task force. I vigili urbani hanno effettuato posti di
blocco in diverse zone: sono state fermate auto di grossa
cilindrata per controlli incrociati sulle denunce dei redditi dei
proprietari. A loro volta gli ispettori dell'Agenzia delle Entrare si
sono presentati alle casse dei ristoranti e dei bar per avere i
resoconti giornalieri degli scontrini e delle ricevute fiscali emessi
nel corso della giornata. Anche in questo caso l'obiettivo è
effettuare verifiche incrociate c on i resoconti storici degli
incassi dei locali.
Obbligo di destinare ogni anno quanto recuperato dal contrasto
all'evasione fiscale per la riduzione delle tasse. Una norma di
principio, nuova e rivoluzionaria, potrebbe spuntare nella
delega fiscale che il governo Monti si appresta a presentare. E
aprire così, dopo rigore e crescita, puntualmente tradotte nei
decreti Salva-Italia e Cresci-Italia, la "fase tre", tutta dedicata
all'equità.
Una sorpresa gradita ai contribuenti onesti che pagano le tasse.
I frutti potrebbero essere visibili presto, già entro l'anno per le
feste natalizie, o più probabilmente nel 2013, quando parte del
"tesoretto" recuperato con una sempre più intensa e visibile
lotta all'evasione ritornerebbe nelle tasche degli italiani, almeno
di quelli più bisognosi e a basso reddito. L'ipotesi, allo studio del
governo, si sostanzierebbe in una norma di principio da inserire
nella famosa delega fiscale da 20 miliardi, eredità della
manovra di agosto di Tremonti. Accanto dunque al riordino
mirato di agevolazioni e detrazioni - non sarà una rasoiata
orizzontale, assicura il ministero dell'Economia - sostenuto
dall'aumento dell'Iva a partire dal primo ottobre prossimo (due
punti in più), l'ipotesi sarebbe quella di destinare almeno 10-15
miliardi (qualora l'incasso del gettito recuperato lo consentisse)
alla riduzione del primo scaglione di Irpef dal 23 al 20%.
Oppure di rimpolpare specifiche detrazioni per famiglie,
lavoratori e pensionati.
Una buona notizia che rinsalda il patto sociale Stato-cittadino,
eroso da promesse non sempre mantenute, visto che nell'ultimo
decennio tutti i governi, senza eccezione, si sono nutriti
dell'annuncio più gettonato: "Abbasseremo le tasse grazie alla
lotta all'evasione". Annuncio spesso senza seguito. L'ultima
importante redistribuzione in tal senso che si ricordi è targata
Finanziaria 2000 sotto il breve governo Amato, con sgravi
corposi che arrivarono a circa 30 mila miliardi di lire. A distanza,
ci fu il bonus incapienti di Prodi-Padoa Schioppa. E poco più.
Tuttavia la pressione fiscale non è mai scesa in modo
significativo. E la finanza pubblica italiana ha via via anteposto
l'obiettivo di risanamento a quello della restituzione. Bastone e
carota. Ora ci prova il governo Monti.
Quanto stiamo effettivamente recuperando dalla lotta
all'evasione? La risposta è meno lineare di quanto si creda. Nel
quinquennio 2006-2010, ad esempio, la cifra sfiora i 63 miliardi
di euro, il 58,5 per cento delle entrate nette totali. Ma
attenzione, il totale si riferisce alle somme che i diversi governi
hanno solo previsto di stanare, non quanto effettivamente
hanno poi raccolto. E tuttavia si tratta della posta messa a
bilancio, anno per anno, e paradossalmente mai verificata a
consuntivo. Le entrate reali, i soldi veri - e questo si sa - sono
andate invece a coprire i deficit di bilancio. Per avere una cifra
più vicina ai capitali poi ripescati e di sicura certificazione,
possiamo fare riferimento al Dipartimento Finanze. Nel
quinquennio, si legge nei documenti, gli incassi da attività di
accertamento e controllo hanno quasi raggiunto i 49 miliardi.
Una cifra non lontanissima dai 63 miliardi stimati "ex ante". Ma
al suo interno, si specifica, non tutto proviene dal recupero di
imposte non pagate al Fisco (vi possono essere somme
riscosse per conto di enti locali e anche recuperi di aiuti di
Stato). La Corte dei Conti sul punto avverte del rischio che
"cifre con origini, cause e riferimenti temporali diversi siano
utilizzate per misurare le performance annuali della lotta
all'evasione".
Incertezze contabili a parte, il governo Monti punta a ripristinare
nel Paese quella equità fiscale che l'evasione monstre da 120
miliardi all'anno ha tolto già da tempo. Il veicolo legislativo
potrebbe essere la delega fiscale, consegnata all'attuale
esecutivo dall'ultima manovra di Tremonti, in cui inserire il
principio che tutto ciò che viene sottratto all'evasione fiscale
andrà a ridurre le tasse. Una rivoluzione copernicana.
Nell'ultimo decennio solo il governo Amato destinò il tesoretto
derivante dalla lotta all'evasione distribuendo 30 mila miliardi di
lire. Ma tutti hanno promesso di abbassare le tasse. Prodi, nel
2007 e 2008, ideò il bonus per gli "incampienti". Poi poco altro.
Ma tutte, senza esclusioni, le leggi finanziarie degli ultimi anni
hanno messo nero su bianco quell'impegno. E invece quasi
sempre i tesoretti hanno rattoppato le disastrate finanze
pubbliche. Anni di crisi e di emergenze, di sforamenti e di
ammanchi, certo. Ma è alquanto curioso leggere, ad esempio,
nel testo delle leggi finanziarie 2009 e 2010 (governo
Berlusconi) che le eventuali maggiori disponibilità rispetto a
quanto preventivato sarebbero servite a ridurre la pressione
fiscale per famiglie con figli e per i redditi medio-bassi, con
priorità a lavoratori dipendenti e pensionati. Promesse al vento.
Se l'incasso effettivo fosse in linea con quanto recuperato da
Agenzia delle entrate e Guardia di Finanza negli ultimi anni,
anche per il 2012 il tesoretto, l'extragettito, non dovrebbe
scendere sotto la soglia dei 10-12 miliardi. Ma l'effetto Cortina
(il "blitz" di Capodanno dei finanzieri nelle boutique della perla
delle Dolomiti a caccia di scontrini) potrebbe far lievitare quella
cifra. Si stima, dunque, una forchetta più ampia fino ai 15
miliardi. Che cosa fare con questo tesoretto? Come poi tradurre
in pratica la nuova norma di principio (i frutti dell'evasione per
avere meno tasse)? Il compito è senz'altro delicato. Tra le
ipotesi che potrebbero essere sul tavolo, c'è la riduzione
dell'Irpef. L'aliquota del primo scaglione potrebbe scendere di
tre punti (dal 23 al 20 per cento). E ogni punto vale all'incirca
proprio cinque miliardi. Ne beneficerebbero senz'altro i redditi
molto bassi. Un'altra via percorribile è quella delle detrazioni.
Alcune di queste potrebbero diventare più corpose, a beneficio
di famiglie, lavoratori, pensionati. L'effetto disboscamento della
giungla di agevolazioni per complessivi 20 miliardi (5 nel 2012 e
il resto nel 2013)- la delega fiscale, da attuare con tagli oculati e
non orizzontali - sarebbe così attenuato o, per meglio dire, reso
più equo.
La Corte dei Conti ha più volte messo in guardia dalle
incertezze che circondano la quantificazione dell'"evasione", sia
per quanto attiene alla dimensioni del fenomeno, sia per i
risultati del contrasto. Una materia delicata, ha ricordato la
Corte lo scorso maggio nel suo Rapporto sulla finanza pubblica.
Le stime del gettito, innanzitutto. Si tratta, spiegano i giudici
contabili, di valutazioni "ex ante", di poste che i governi
auspicano di rastrellare. Utilizzate sempre più come "terza via"
nelle politiche di bilancio, accanto alla riduzione della spesa
pubblica e all'aumento delle tasse. Una terza gamba ballerina.
Anche perché sugli esiti della lotta all'evasione è molto difficile
quantificare gli "ex post". La Corte ricorda che tra
l'accertamento e l'incasso vero e proprio c'è di mezzo la
riscossione, una fase che apre mille rivoli di incertezza, dovuti a
contraddittori e contenziosi. L'assioma individuato-recuperato
deve essere quindi maneggiato con cautela quando si promette
di usare i tesoretti vari, gli extragettiti, per ridurre le tasse o per
programmare altre azioni di governo. La parzialità informativa è
legata anche al fatto che i dati non registrano quanto ricavato
per effetto della "tax compliance", dalla sola dissuasione ad
evadere (l'effetto Cortina, ad esempio).
I tesoretti non finiscono qui. Le vie per ridurre le tasse e così
rilanciare la crescita non terminano con la lotta all'evasione.
Un'altra battaglia sembra essere stata ingaggiata dal governo.
Ed è quella contro gli sprechi. La chiamano "spending review",
revisione della spesa pubblica, ed è un altro pilastro della "fase
tre", dedicata all'equità. Il governo ha insediato proprio ieri un
comitato informale guidato dal titolare dei Rapporti con il
Parlamento, Piero Giarda (che ha la delega della materia e ieri
ha illustrato le linee guida in Consiglio dei ministri), e a cui
partecipano il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo
Patroni Griffi, e il vice ministro dell'Economia, Vittorio Grilli. Si
riunirà la prossima settimana e inizierà il lavoro di pulizia a
partire dai dicasteri di Interni, Le banche italiane godono «di un
buono stato di salute sul fronte dei fondamentali» e «non sono
esposte direttamente» alla crisi greca: tuttavia esiste «il rischio
concreto di difficoltá nel credito nel finanziamento dell'economia
reale». Lo ha detto il governatore della Banca d'Italia Ignazio
Visco intervistato dalla Cnn a Davos, dove ha partecipato al
World Economic Forum.
Visco ha sottolineato come «allo stesso tempo c'è stata una
sostanziale riduzione nel credito interbancario» e quindi per le
banche italiane «avrebbero potuto esserci prospettive non
troppo positive sul fronte del rifinanziamento del debito».
L'azione della Bce, ha comunque spiegato Visco, «ha migliorato
le banche sul fronte delle passivitá e ridotto in maniera
sostanziale il credit crunch».
Per il governatore di Bankitalia l'Eurotower «ha aiutato le
banche a mantenere i propri asset sia in termini di prestiti che di
leva finanziaria» e la sua azione che «sará cruciale nei prossimi
mesi, metterá al sicuro il settore».Istruzione e Affari regionali.
Le linee guida, ispirate ai progetti del 2007 dell'allora ministro
del Tesoro Padoa Schioppa, puntano a restituire al settore
privato attività e interventi che non hanno più ragione di essere
pubblici, ma anche a garantire efficienza nel settore pubblico
per concentrare l'azione su chi ne ha bisogno. Il lavoro avrà tre
obiettivi: individuare programmi di spesa, uffici e attività da
sopprimere o razionalizzare, scoprire inefficienze, segnalare
leggi di finanziamento potenzialmente eliminabili.
Forza Italia. ''L'Italia non ce la può fare da sola''. Lo sostiene il
direttore del Dipartimento degli affari di bilancio del Fmi, Carlo
Cottarelli, aggiungendo che è indispensabile potenziare i
dispositivi anticrisi Ue. Per uscire dalla crisi in Italia saranno
sostanzialmente necessarie tre ordini di misure, spiega
Cottarelli in conferenza stampa a Washington.
"Il risanamento fiscale sta avvenendo a buon passo ", e sta per
essere accompagnato da "riforme che avranno impatto sulla
spesa nel lungo periodo" come la riforma sulle pensioni. L'Italia,
tuttavia, insiste, "ha bisogno di riforme strutturalicapaci di
incidere e aumentare la competitività e la produttività del
paese". L'Italia ha soprattutto bisogno "di poter disporre di
firewall più forti" a livello europeo, cioé di misure che possano
avere "un impatto sui tassi di interesse", conclude.
"Paesi come l'Italia e la Spagna devono essere messi in grado
di prendere in prestito denaro a bassi tassi di interesse", ha
affermato anche il capo economista del fondo monetario
internazionale, Olivier Blanchard commentando i dati aggiornati
del world economic outlook. Blanchard ha peraltro ricordato
l'importanza di aumentare e rendere operativo il fondo salva
stati e mettere le istituzioni finanziarie come la Bce in grado di
concedere prestiti. "C'è ancora molta strada da fare prima che
l'economia mondiale possa riprendersi completamente", ha
avvertito, "ci vorrà del tempo per uscire dalla situazione perché
l'abbattimento dei debiti sovrani e' una maratona non una corsa
veloce".
''In Italia stiamo facendo la nostra parte'' e ''sempre di più'' e
questo ''viene riconosciuto''. Al termine dell'Ecofin Mario Monti
in conferenza stampa a Bruxelles spiega di aver illustrato ''le
misure adottate in dicembre'' e il dl sulle liberalizzazioni
approvato dall'ultimo Cdm e quello sulla semplificazione ''che
sarà approvato il prossimo venerdì''.
A Roma, intanto, il presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano ha firmato il decreto sulle liberalizzazioni. La
ricognizione del Colle, a quanto si apprende, era cominciata sul
testo grezzo trasmesso al Quirinale dopo il Consiglio dei
ministri che aveva varato i provvedimenti ed e' stata poi
perfezionata oggi in seguito all'invio del testo del decreto
formalizzato dalla ragioneria generale dello Stato.
Tornando a Bruxelles, Monti ha detto che sul piano delle riforme
"siamo stati costretti ad agire in tempi rapidi", osservando che le
riforme messe in campo "chiedono un immediato contributo
importante ai settori e alle professioni interessate", ma "in
questo momento tutti gli italiani fanno sforzi, e se ci mettiamo
insieme i sacrifici sono più equamente distribuiti" e "i risultati si
vedranno".
Poi, a una domanda sull'impatto delle liberalizzazioni sul pil, ha
risposto: "C'è roba vera". Il presidente del Consiglio ha citato
uno studio di Bankitalia che stima nell'11% l'impatto nel medio
lungo periodo, con un impatto del 5% nei primi tre anni, nel
caso in cui si riesca a portare al livello europeo la differenza del
margine di profitto tra servizi e manifatturiero.
Monti ha parlato anche del blocco dei tir e pur rappresentando
l'esigenza di ''salvaguardare il diritto di sciopero'', ha respinto
l'idea che ''l'interesse delle singole categorie venga prima
dell'interesse generale. Noi vogliamo riformare l'Italia, nella
comprensione delle difficoltà e delle esigenze delle categorie,
ma facendo rispettare le leggi''.
Parlando ai giornalisti a Bruxelles, il premier ha sottolineato che
"le politiche per il consolidamento fiscale e quelle per la crescita
e l'occupazione stanno diventando un tema unico anziché due
corni di un dilemma". Ed ha riferito le osservazioni del
cancelliere dello Scacchiere britannico George Osborne, del
collega polacco Janek Rostowski e di altri, secondo i quali,
"questo tipo di discussione, sul consolidamento e sulle misure
strutturali per la crescita, troppo raramente si sente all'Ecofin".
"Proprio nel momento in cui si sta opportunamente
consolidando la formulazione finale della disciplina finanziaria
del fiscal compact - è stato il ragionamento del premier - è
necessario considerare come altrettanto essenziale tutto quello
che può servire ora per l'Unione economica".
Quanto al ruolo della Bce come prestatore di ultima istanza,
"credo si possa assistere ad un'evoluzione" ha affermato il
presidente del Consiglio, ed ha chiarito: "Del resto, un
importante aspetto di questa evoluzione è stato quello
riguardante le banche ed una grossa operazione di
finanziamento delle banche condotta dalla Bce tra la fine di
novembre e l'inizio di dicembre".
Accordo sul trattato istitutivo dell'Esm, da finalizzare però a
marzo per quanto riguarda le cifre della sua dotazione,
apprezzamento per il lavoro fatto dall'Italia e rinvio sulla Grecia,
con la richiesta ai privati di accettare un tasso inferiore al 4%
per il rimborso dei bond. Questo l'esito, la notte scorsa, della
riunione dell'Eurogruppo che, ha commentato il premier Mario
Monti - a Bruxelles nella veste di ministro dell'Economia - "è
andata molto bene per l'Italia, che è un componente
importantissimo dell'Eurozona". "Quello che abbiamo fatto e
che stiamo facendo è stato molto apprezzato", ha sottolineato
al termine della riunione dei ministri delle Finanze dei 17.
Un riconoscimento espresso durante la conferenza stampa dal
presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker, secondo cui i
suoi colleghi hanno accolto "con grande favore le misure
importanti'' adottate dal governo italiano nella "seconda fase"
dedicata alle liberalizzazioni, che "serviranno a liberare il
potenziale dell'economia italiana". "Siamo fiduciosi che il
governo dimostrerà la stessa determinazione nella riforma del
mercato del lavoro, prossima priorità per l'Italia", ha fatto eco il
commissario europeo agli Affari economici e monetari Olli
Rehn, che già nel corso della riunione, dopo l'illustrazione delle
misure da parte di Monti, aveva espresso il suo "grande
apprezzamento" per "la forma e la velocità" con cui sono stati
presi i provvedimenti.
Per quanto riguarda l'Esm, i ministri riuniti a Bruxelles hanno
raggiunto un accordo sul trattato istitutivo del Meccanismo
europeo di stabilità (Esm), che nascerà il prossimo primo luglio:
l'Esm - che affiancherà l'Efsf, attivo fino al 2013 - potrà
acquistare i bond dei Paesi dell'eurozona in difficoltà, dare il
suo contributo nella ricapitalizzazione delle banche e concedere
prestiti "precauzionali" ai Paesi che non sono nella necessità di
un pacchetto di salvataggio. Ancora, secondo quanto spiegato
da Juncker, il fondo salva-stati permanente potrà essere
attivato con una decisione presa con una maggioranza dell'85%
e non all'unanimità. Ma i lavori sull'Esm sono ancora "da
finalizzare", ha riferito Monti al termine della riunione. Resta
infatti da decidere quale sarà la potenza di fuoco dell'Esm, tema
su cui la Germania continua a mettersi di traverso. "Rivedremo
l'efficacia della soglia complessiva di prestito di 500 miliardi di
euro a marzo", ha detto il presidente dell'Eurogruppo.
Quanto al caso Grecia, Juncker ha rinnovato l'appello ad un
accordo "il più presto possibile sui parametri e su un
programma ambizioso di aggiustamento". "Chiediamo che il
governo greco raggiunga un accordo sul coinvolgimento dei
privati", ha ribadito il presidente dell'Eurogruppo, spiegando che
i ministri dell'eurozona hanno respinto la richiesta delle banche
che il rimborso dei bond avvenga a tassi di almeno il 4%.
Secondo Juncker, ai privati dovrebbe essere offerto un accordo
che preveda tassi "chiaramente al di sotto del 4%, ma ben oltre
il 3,5%" offerto da Atene.
Il ministro Elsa Fornero frena sulla riforma del lavoro e apre al
dialogo con i sindacati. Eliminare la cassa integrazione? Nel
documento del ministro ''non c'e' scritto'', mette subito in chiaro
la stessa Fornero che spiega: "Ne parleremo con i sindacati''.
Intervenendo alla presentazione di un rapporto Ocse all'Istat, il
ministro fa riferimento all'avvio del confronto con i sindacati che
ha avuto luogo ieri, ricordando come il documento da lei stessa
presentato e che "sara' presto distribuito", ha il titolo "obiettivo
occupazione". Il documento sulle "linee per la riforma del
mercato del lavoro", ha spiegato Fornero, "e' strutturato a
partire dai colloqui bilaterali fatti".
"E' stato detto: Fornero vuole eliminare la cigs straordinaria",
esordisce il ministro spiegando che questo nel documento "non
e' scritto" e che sara' oggetto del confronto con i sindacati. Il
ministro insiste sulla necessita' di un confronto: "In un paese
chiamato a ridisegnare il sistema - sottolinea - si puo' e si deve
discutere: e' dovere del governo e di tutti gli altri. Non abbiamo
ricette precostituite, ma cio' che e' difficile accettare e' che si
dica 'tutto sommato funziona'. Per me funziona male: e'
migliorabile in un'ottica di equita'".
Sempre in tema di modifica degli ammortizzatori sociali "puo'
essere congegnata in senso assicurativo", spiega "diranno che
sono vicina alle assicurazioni: ma le assicurazioni sociali hanno
una nobilissima tradizione".
"Il governo ha posto il problema di un sistema migliore, piu'
efficiente, piu'' efficace di ammortizzatori sociali - sottolinea il
ministro del Lavoro -. Parlare di cassa integrazione e di
modifiche alla cassa integrazione mi sembra assolutamente
prematuro". "Non siamo entrati nell'individuazione di soluzioni aggiunge Fornero - il che sarebbe stato credo arrogante da
parte del governo", e sottolinea che "anche un percorso di
gradualita' puo' essere un'ipotesi che facilita il dialogo".
Rilevando poi che "il dialogo e' cominciato e questo secondo
me e' un fatto positivo", il ministro Fornero precisa: "Non
abbiamo indicato proposte di soluzione. Abbiamo indicato
percosi. Penso che bisogna lavorare possibilmente cercando il
consenso sempre con l'idea che qualche cosa pero' deve
essere innovata".
Poi, rispondendo alla domanda se il salario minimo garantito e'
un obiettivo a medio o breve termine, il ministro ha osservato:
"Anche questo e' assoutamente prematuro. Abbiamo molti
vincoli finanziari e bisogna considerare non solo cio' che e'
desiderabile ma cio' che e' possibile considerati i nostri vincoli".
Fornero sottolinea quindi che nel documento presentato ai
sindacati l'idea del contratto unico "non c'e', non e' scritta:
possiamo discuterne in modo civile e ordinato".
Intervenendo più tardi alla presentazione di un rapporto Ocse
all'Istat, Fornero affronta la "numerosita'" dei contratti presenti
nel mercato del lavoro e del suo funzionamento. "Siamo
contenti di come funziona? La risposta e' no, perche' esclude
anziche' includere, segmenta, tratta in maniera eccessivamente
differenziata diverse categorie di persone" e di fatto "scarica" i
costi derivanti dalla crisi e dalle conseguenti ristrutturazioni "sui
segmenti deboli del mercato, cioe' i giovani, le donne, i
lavoratori anziani".
A tale proposito il ministro si dice "molto colpita nel constatare
che in Italia un lavoratore di poco piu' di 50 anni sia considerato
perso per il mercato del lavoro". E dunque, spiega, "i contratti
che ci servono li teniamo, quelli che non ci servono li togliamo.
Ci sono anche degli abusi" come gli 8 milioni di partite Iva che
anche in un Paese "con molta inventiva, forse nascondono una
realta' occupazionale che vorremmo vedere alzata di qualita'".
Quindi, in tema di contratti "l'idea del contratto unico non c'e',
non e' scritta nel documento: possiamo discuterne in maniera
civile e ordinata". Quanto alla flessibilita', "c'e' in entrata e in
uscita" e sotto quest'ultimo aspetto "ce l'avevamo per mandare
in pensione la gente giovane: ma con la riforma del sistema
pensionistico non puo' piu' essere usata come ammortizzatore
sociale", sottolinea il ministro.
Fornero si è rivolta poi rivolta ad un gruppo di lavoratori precari
dell'Istat che oggi, in occasione della presentazione del
rapporto Ocse sulle diseguaglianze dal titolo 'Divided we stand'
hanno innalzato un cartello con la scritta 'Precarious we stand Cosi' crescono le disuguaglianze' all'entrata del Fornero
nell'aula magna dell'Istat. "Non solo voi dell'Istat, ma i precari di
tutto il Paese stanno a cuore a tutti noi" assicura il ministro. Al
termine della presentazione del rapporto e dell'intervento di
Fornero, un gruppetto ha cercato di prendere la parola
spiegando di volere illustrare al ministro e alla platea la propria
situazione che riguarda oltre 400 lavoratori. Il presidente
dell'Istat Enrico Giovannini ha assicurato loro che il ministro "ha
ricevuto il vostro documento e io stesso -ha detto- mi impegno
a parlare della vostra situazione", pregandoli pero' di non
interrompere i lavori. All'intenzione espressa da una lavoratrice
di 'interloquire' con Fornero lo stesso ministro ha spiegato di
avere altri impegni: "Interloquire no, io mi scuso e vi assicuro
che leggero' il documento con grande attenzione".
"Tutto e' contestabile, tutto e' discutibile - aggiunge il ministro ma vi prego di credere che questo governo, che non ha
appartenenza a gruppi o a partiti, potra' fare tantissimi errori,
ma ha un solo riferimento: il Paese e il suo futuro. Sono
orgogliosa - ha concluso il ministro Fornero - di far parte della
squadra di Monti".
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha firmato il
decreto del Governo sulle liberalizzazioni (vedi l'alfabeto del
pacchetto). Il provvedimento, varato venerdì scorso dal
Consiglio dei ministri, è arrivato al Colle nel pomeriggio ed è
stato esaminato dai tecnici del Quirinale prima della firma del
capo dello Stato.
Il check del capo dello Stato cominciato sul testo grezzo
La ricognizione del capo dello Stato, sempre secondo quanto si
apprende, era cominciata sul testo grezzo arrivato dopo il varo
da parte del Consiglio dei ministri la scorsa settimana. Ed è
stata perfezionata oggi a seguito dell'invio del testo formalizzato
dalla Ragioneria generale dello Stato.
Napolitano: provvedimento corposo e incisivo
Nei giorni scorsi, poi, il presidente della Repubblica era
intervenuto subito dopo il via libera sul pacchetto da parte del
Consiglio dei ministri per ribadire la bontà delle scelte
dell'esecutivo: quello sulle liberalizzazioni, aveva detto
Napolitano venerdì scorso intercettato in una via del centro,«è
un provvedimento corposo e incisivo, come mi è stato illustrato
ampiamente ieri, che inciderà sulle liberalizzazioni e sulle
infrastrutture».
Evasione e disuguaglianze
Nel 2011 la Guardia di finanza ha scoperto redditi imponibili non
dichiarati per oltre 50 miliardi di euro, iva non versata per oltre 8
e denunciato oltre 12 mila responsabili di reati e frodi fiscali.
Oltre 902 milioni di euro sono stati sequestrati immediatamente
ai responsabili dei reati fiscali; sul fronte dell'evasione fiscale
internazionale, i redditi non dichiarati scoperti dalle Fiamme
Gialle ammontano a circa 11 miliardi di euro.
A finire sotto la lente della Guardia di Finanza sono finiti
principalmente i trasferimenti 'di comodo' delle residenze di
persone e società nei paradisi fiscali e lo spostamento all'estero
di capitali per non pagare le tasse in Italia. Rilevante è stata
l'attività di contrasto alle cosiddette 'Frodi Carosello' che ha
portato alla scoperta di quasi 2 miliardi di Iva evasa; le
investigazioni sulle imprese e lavoratori autonomi sconosciuti al
Fisco perché non presentano le dichiarazioni annuali
(''sommerso d'azienda'') hanno portato all'individuazione di
7500 evasori totali che avevano occultato redditi per oltre 21
miliardi di euro; 12.676 i lavoratori 'in nero' scovati di cui oltre
2500 extracomunitari.
Sempre più elevato lo standard di qualità dei controlli: i verbali
della Guardia di Finanza, nel 96 % dei casi, sono stati
integralmente recepiti dall'Agenzia delle Entrate per il
successivo accertamento. In aumento anche i casi di coloro che
aderiscono spontaneamente ai rilievi mossi dai verificatori del
Corpo, consentendo l'immediata riscossione degli importi
relativi al 10% dei verbali.
''Ora ci sentiamo meno soli'', ha rimarcato il Comandante
Generale della Gdf, Generale di Corpo d'Armata Nino Di Paolo,
nel commentare i dati di un anno di attività delle Fiamme Gialle
nella lotta alla criminalità economica. Il riferimento va "alla
particolare vicinanza dei cittadini e dei media nei confronti di chi
è impegnato tutti i giorni a combattere l'evasione fiscale: un
fenomeno, quest'ultimo, insidioso, nelle cui pieghe si celano
spesso altri reati, sui quali, almeno fino ad oggi, pesava un
maggior alone di discredito: il riciclaggio, la corruzione,
l'emissione di fatture false per beneficiare indebitamente di
fondi pubblici, l'illecito trasferimento di capitali all'estero o la
commissione di reati di borsa, solo per citarne alcuni". Ma "i
tempi sono cambiati". In questo periodo di crisi economica,
"anche chi prima giustificava come 'furberia' l'evasione non
comprendendone la reale insidiosità, ha dovuto prendere atto
della pericolosità sociale del fenomeno, da combattere con
un'azione decisa, sinergica e, soprattutto, trasversale". La
Guardia di Finanza "ha tutti gli strumenti legislativi e operativi
necessari per contrastare a tutto campo l'evasione, soprattutto
quella più consistente e sofisticata: quella, in sostanza, delle
triangolazioni fra società collocate nei paradisi fiscali, delle
intestazioni fittizie di patrimoni, delle grosse operazioni elusive".
Scioperi e ingorghi nelle strade per protestare contro le
liberalizzazioni, decise dal governo Monti. Gli autotrasportatori
hanno organizzato oltre 60 presidi lungo tutta la rete
autostradale dividendo l'Italia in due. Le situazioni più critiche si
registrano attualmente: in Piemonte, Lombardia, Abruzzo e
Campania, dove gli autotrasportatori portano avanti la
cosiddetta "protesta dei forconi" che la scorsa settimana ha
interessato la Sicilia. "Blocchi inaccettabili" dice Roberto Alesse,
presidente dell'Autorità di Garanzia sugli Scioperi, che annuncia
come "oggi stesso verrà aperto un procedimento per valutare le
sanzioni da irrogare a chiunque stia violando la legge e
danneggiando i cittadini, nel loro diritto ad usufruire di servizi
pubblici essenziali".
Sull'A30 Caserta-Salerno sono ancora 3 i Km di coda in
direzione sud alla barriera di Mercato San Severino e
incolonnamenti anche in entrata verso Caserta; sull'A1 ancora
qualche disagio alla barriera di Napoli Nord verso Roma;
sull'A/16 Napoli- Canosa code alla barriera di Napoli est in
entrata verso Canosa; sull'A3 Napoli-Salerno riaperto il tratto
compreso tra Napoli Centro e l'allacciamento con l'A1.
Nella viabilità di accesso all'A/3 si conferma la presenza di
mezzi pesanti incolonnati, con conseguenti rallentamenti, sulla
viabilità ordinaria di accesso agli svincoli di Eboli, Sicignano,
Atena Lucana, Sibari, Tarsia Nord, Cosenza Nord, Lametia
Terme, Pizzo Calabro, Sant'Onofrio, Rosarno e Gioia Tauro. Al
porto di Villa San Giovanni e nelle sue adiacenze
incolonnamenti di mezzi pesanti in attesa dell'imbarco in Sicilia.
Alcuni autotrasportatori stanno inoltre bloccando le entrate
dell'A1 a Cassino, Frosinone, Ferentino e Caianello. I
manifestanti si sono radunati nei pressi delle entrate
autostradali a partire da ieri sera verso le 22 e lasciano solo
uscire gli automobilisti. I caselli delle diramazioni di Roma Est,
Nord e Sud sono presidiati dalla Polizia stradale che sta
monitorando mezzi pesanti e taxi.
In Piemonte una decina di auto private posizionate sulla strada
stanno bloccando l'ingresso Torino- Corso Giulio Cesare
dell'autostrada A4 Torino-Milano, in direzione Milano; conclusi i
disagi in Tangenziale nord mentre permangono in Tangenziale
Sud dove all'altezza dell'interporto Sito, gli autoarticolati
bloccano le due corsie di marcia e si viaggia solo sulla corsia di
emergenza; code in uscita in A/7 Milano Genova allo svincolo di
Serravalle Scrivia.
In Lombardia, code tra Seriate e Bergamo in direzione Milano
sull'A4 e code agli svincoli in entrate di Capriate e Seriate.
In Abruzzo interessati i caselli di Pescara Nord e Mosciano
Sant'Angelo.
Disagi anche in tutta la Puglia: sull'A/14 nel tratto Foggia
Taranto permane la chiusura ai soli mezzi pesanti delle entrate
di Foggia, Andria, San Severo e Poggio Imperiale.
Ripercussioni anche sulla tangenziale di Bari all'altezza dello
svincolo per il quartiere Poggiofranco dove ci sono tre
chilometri su entrambe le carreggiate. Altri blocchi sono
segnalati sulla statale 379 a Specchiolla, in provincia di Brindisi,
sulla statale 100 verso nord all'altezza dello svincolo per
Triggiano, sulla strada provinciale (ex statale 231) ad Andria e
Corato, la statale 16 a San Severo e Andria, sull'autostrada
all'altezza dell'area di servizio 'Le Saline' vicino a Margherita di
Savoia, sulla statale 7 all'altezza dell'Ilva vicino Taranto, sulla
statale jonica 106 e sull'autostrada sempre vicino al capoluogo
jonico, sulla statale 100 vicino Mottola
''La grande adesione, superiore a qualsiasi aspettativa, al fermo
nazionale - afferma Maurizio Longo, segretario generale di
Trasportounito - sta dimostrando la gravità della crisi in atto.
Trasportounito, in quanto organizzazione autonoma e
indipendente, si sta facendo interprete di un disagio che è reale
e tangibile per le imprese così come per le famiglie dei tanti
autotrasportatori che si stanno battendo per la sopravvivenza''.
Il ministro dell'Interno, Annamaria Cancellieri, annuncia la
massima disponibilita' al dialogo con tutti. Ma nello stesso
tempo massima fermezza per assicurare il rispetto della legge
attraverso gli strumenti previsti dalla legge. Oggi si è tenuta una
riunione al Viminale per fare il punto sulle manifestazioni legate
alle proteste degli autotrasportatori. Nel corso della riunione il
ministro Cancellieri si e' collegata in videoconferenza con tutti i
prefetti della Sicilia che hanno riferito in tempo reale sulle
conseguenze delle manifestazioni in corso che sono state e che
verranno seguite con la massima attenzione dal ministero
dell'Interno anche attraverso una sala crisi operativa 24 ore su
24.
Sulla situazione il ministro Cancellieri riferira' al Senato domani,
alle 15, nel corso di un'informativa sul blocco dell'autotrasporto
in Sicilia.
Intanto, oggi si fermano anche i tassisti, che incroceranno le
braccia per 14 ore dalle 8 alle 22. Il 27 toccherà invece ai
ferrovieri. Per il 1 febbraio annunciata la serrata delle farmacie.
Restano invece ancora da definire i 10 giorni di sciopero
proclamati dai benzinai.OMA - Un chilo di zucchine romanesche
al banco di frutta e verdura del fruttivendolo da lunedì costa 7
euro al chilo. Il doppio di una settimana fa. E chissà quanto
ancora potrà salire. Questo è il primo immediato effetto del
blocco dei Tir che da lunedì mattina ha tenuto fermi centinaia di
camion in tutta Italia. E già lunedì sera, al Centro
Agroalimentare di Roma raccontavano di «pesanti difficoltà di
approvvigionamento ortofrutticolo nel Car per tutta la giornata».
«Lo sciopero in atto nel settore dei trasporti - spiegano dal
centro Agroalimentare -, i blocchi di alcuni dei caselli
autostradali centromeridionali più utilizzati dagli
autotrasportatori in movimento da Sud carichi di frutta e verdura
per i mercati all'ingrosso del centronord e i timori degli
spedizionieri stranieri degli eventuali lunghi fermi obbligati dei
prodotti freschi spediti in Italia hanno ridotto del 70% i flussi di
ortofrutta entrati nel CAR». Secondo i dati della Direzione
operativa di Cargest, calcolati insieme ad alcuni dei grossisti
interni, «oggi solo un 30% e non più dei volumi di merce attesi
nei box dell'Agromercato di Guidonia sarebbero arrivati a
destinazione».
«Grazie ai cospicui rifornimenti di domenica - spiega però
l'Amministratore delegato di Cargest Fabio Massimo Pallottini oggi sarebbe esagerato parlare di una mancanza assoluta cioè
di indisponibilità e irreperibilità di prodotti venuti meno nel CAR.
Tra quanto arrivato oggi e quanto stoccato da giorni, è più
corretto parlare di un drastico calo di volumi disponibili e di un
inizio allarmante di situazioni di carenza e penuria di tutti i
prodotti. Non solo quelli attesi da lontane regioni agricole del
Sud, del Nord e dall'estero». Pallottini tiene però a precisare
che la megastruttura «non ha abdicato alle sue funzioni di
interesse pubblico e con 200 produttori agricoli dell'Agro
romano che trasportano e vendono direttamente nel CAR i
risultati del loro lavoro assicura un significativo volume di
scambi».
«Malgrado gli enormi quantitativi stoccati da giorni nelle celle
frigorifere del centro logistico - distributivo di Guidonia aggiungono dal Car - le arance di tutte le tipologie iniziano a
scarseggiare e la conseguenza dell'insufficiente
approvvigionamento del Centro Agroalimentare Roma - che
tratta il 60% dei volumi di ortofrutta consumati a Roma e nel
Lazio - è una spinta al rincaro dei prezzi nelle vendite al
consumo».
E anche Confcommercio fa sapere: «Ci potranno essere
aumenti dei prezzi nei mercati romani, questo perchè
l'approvigionamento ai mercati generali è stato condizionato dal
blocco dei tir. È arrivata meno merce di quella necessaria». Lo
afferma il presidente dell'Upvad Confcommercio Franco
Gioacchini. «La frutta e la verdura sono i beni che risentono di
più dello sciopero dei tir - spiega - perché sono prodotti
freschi».
E lunedì mattina, il movimento dei «forconi» di Latina aveva
bloccato la via Pontina con i trattori.
Corre Piazza Affari ed è la Borsa più forte in Europa con un
rialzo dell'1,76% in chiusura sostenuto dalle banche. Si riduce
intanto fin quasi a 400 punti (quota 404) il differenziale tra Btp e
Bund e il rendimento dei titoli decennali scende al 6,07%, un
livello più visto dall'insediamento del governo Monti. Se non
fosse per le troppe incognite che pesano sull'Europa, a partire
dal drammatico rush finale per l'accordo anti-default della
Grecia, si potrebbe parlare di prove di fiducia sui mercati
italiani. Alla ripresa ha contribuito il pacchetto di liberalizzazioni
che il presidente del Consiglio Monti presenta, insieme alla
manovra, all' Eurogruppo riunito a Bruxelles.
Nonostante la smentita del ministro delle Finanze tedesco
Wolfgang Schäuble, hanno continuato a circolare le ipotesi di
una proposta congiunta Francia-Germania per allentare i criteri
di Basilea 3 imposti alle banche sul rafforzamento patrimoniale.
Sul tavolo dell' Eurogruppo, secondo quanto anticipato
dall'Ansa, torna il progetto sulla ricapitalizzazione delle banche
in difficoltà da parte del fondo salva-stati Esm. Le ricoperture
sono scattate ovunque: a Milano ne hanno beneficiato Unicredit
e Mps, rispettivamente in rialzo del 10 e del 14% seguite da
Intesa Sanpaolo (+5,43%) e Mediobanca (+5,49%); a Francorte
ha preso di nuovo il volo Commerzbank (+12.25%) dopo i
tracolli che avevano preceduto l'annuncio della
ricapitalizzazione e la promessa che non saranno necessari
nuovi aiuti di Stato; a Parigi hanno brillato SocGen (+8,93%) e
Credit Agricole (+5%)
Anche l'euro si rafforza e chiude in deciso rialzo sul dollaro,
oltre quota 1,30. Un euro vale lunedì 1,3034 dollari (1,2939
venerdì), 99,13 yen (99,62), 1,2076 franchi svizzeri (1,2076) e
0,8362 sterline (0,8331).
Prima sorpresa: gli autonomi aumentano il loro reddito in
proporzione molto di più dei lavoratori dipendenti (soprattutto lo
dichiarano al fisco, smentendo la vulgata della partita Iva
recalcitrante nei confronti dell'erario). Seconda sorpresa: il
merito e la produttività nel nostro Paese contano ancora.
Perché i lavoratori meglio pagati lavorano più ore, tanto che la
differenza tra le ore di lavoro tra i meglio e i peggio retribuiti
aumenta proporzionalmente, secondo un trend costante in tutti i
paesi Ocse. Terza sorpresa, questa volta di carattere sociale:
«Sempre più persone si sposano con persone con redditi da
lavoro simili». Come dire l'amore è suddiviso per censo. In Italia
le favole della principessa e il domestico uniti da un sentimento
profondo sembrano poter appartenere alla letteratura e alla
cinematografia d'antan. Quarta tesi: la redistribuzione reddituale
attraverso i servizi pubblici è diminuita dal 2000 a oggi. La
sanità, l'istruzione e i servizi destinati alla salute - che da
sempre contribuiscono ad evitare che si accentui il divario tra i
più e i meno abbienti - sono di fatto incapaci di ridurre le
disuguaglianza perché la spesa pubblica in questi anni è
fortemente diminuita, come per esempio i sussidi di
disoccupazione.
Sono i risultati di uno studio Ocse, l'organizzazione
internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico,
che verrà presentato martedì presso la sede Istat alla presenza
del presidente, Enrico Giovannini, e del ministro del Lavoro,
Elsa Fornero. Un'indagine che testimonia come la
disuguaglianza tra i redditi delle persone in età lavorativa è
aumentata drasticamente nei primi anni Novanta e da allora è
rimasta a un livello elevato, nonostante un leggero calo verso la
fine del primo decennio degli anni duemila. Lo iato reddituale in
Italia è superiore alla media dei Paesi Ocse, è più elevato che
in Spagna e più basso del Regno Unito e del Portogallo. Nel
2008 - scrive l'Ocse - il reddito medio del 10% degli italiani più
ricchi era di 49.300 euro, dieci volte superiore al reddito medio
del 10% più povero (4.877 euro), mentre negli anni '80 il
rapporto era di 8a1. Il modo più veloce per diminuire le
disuguaglianze - segnala l'Ocse - è una riforma delle politiche
fiscali e previdenziali, che costituisce lo strumento diretto per
accrescere gli effetti redistributivi. Soprattutto le «perdite ampie
e persistenti di reddito per i gruppi a basso reddito coincidono
con le fasi recessive». E soprattutto in tempi di crisi che diventa
fondamentale il ruolo degli ammortizzatori sociali e delle
politiche di sostegno del reddito (il reddito minimo?).
Considerazione che inciderà nell'agenda delle parti sociali nella
prevista prossima riforma del mercato del lavoro?
Autostrade chiuse, code chilometriche, automobilisti intrappolati
per ore nella tenaglia del traffico.
L'Italia è spaccata in due, ma perché? Cosa vogliono i
camionisti che hanno paralizzato la mobilità?
E perché non tutte le associazioni hanno aderito alla protesta?
Per capire le posizioni in campo siamo andati ad intervistare chi
ha organizzato i blocchi stradali di
oggi - Maurizio Longo Segretario Generale Trasporto Unito che sostiene come "la massiccia
adesione dimostra che abbiamo interpretato bene il sentimento
degli autotrasportatori”. La goccia
ha fatto traboccare il vaso della protesta "Senza dubbio
l'impennata delle accise, del prezzo del
gasolio. E' stata una cosa folle. Sono soldi che non abbiamo da
dare".
E poi abbiamo intervistato Francesco Del Boca presidente
Unatras la federazione che raccoglie le
principali associazioni dell'autotrasporto, e che non ha aderito
allo sciopero contestando i blocchi.
"Sono una minoranza - spiega Del Boca - ma sono riusciti a
bloccare una decina di zone
strategiche. Se vuole sapere la mia opinione ho l'impressione
che si tratti di squadre specializzate
che si spostano velocemente da un luogo all'altro per
paralizzare la viabilità. Sono molto organizzati
ma stanno giocando sulla pelle della gente che si ferma.
Vogliono far capire che così risolveranno i
loro problemi ma non è vero. Noi abbiamo portato a casa cose i
importanti".
Nelle professioni si liberalizza, facendo però attenzione a non
cadere in misure-manifesto inapplicabili. Rispetto a quanto
prevedevano le prime bozze del decreto legge, la versione
approvata dal Consiglio dei ministri di venerdì recepisce
l'impostazione del ministro della Giustizia, Paola Severino.
Niente più tariffe per definire le parcelle, ma la loro
cancellazione non lascerà il giudice senza parametri quando
deve decidere il compenso in caso di contenzioso tra
professionista e cliente. Il tirocinio potrà essere svolto in
università, per sei mesi, in accordo tra atenei e Ordini: un modo
per garantire l'iscrizione al Registro dei praticanti, che resta un
presupposto, formale, ma essenziale.
Il confronto nel merito che in questi giorni si è registrato nel
Governo lascia ben sperare che le misure indirizzate alle
professioni non siano solo ideologiche. La prossima tappa è
l'attuazione, per i singoli ordinamenti professionali, dei principi
contenuti nel Dl 138/2011: dalla pubblicità anche comparativa
alla riforma della procedura disciplinare. Infine, se si crede nelle
possibilità competitive collegate all'esercizio associato della
professione è necessario disciplinare le società.
Occorrono regole che effettivamente siano utili ai professionisti
e ai clienti. Ne va dell'innovazione nel mercato professionale.
Sebbene la questione di come affrontare gli squilibri dei conti
correnti sia stata per anni al centro di dibattiti a livello ufficiale,
tali squilibri hanno comunque rappresentato una delle principali
preoccupazioni economiche per tutto il 2011. Nel complesso,
rispetto al periodo precedente alla crisi, tali squilibri erano
senza dubbio di entità minore, ma non del tutto scomparsi. Ora,
alcuni di questi stanno riemergendo di pari passo con la
disuguaglianza all’interno di diversi paesi: un legame non del
tutto casuale.
Sono frequenti gli appelli a favore di un processo di riequilibrio
attraverso il quale i mercati emergenti con surplus di
pagamenti, (la Cina è il paese più menzionato in questo
contesto), dovrebbero stimolare la domanda interna in modo
tale da permettere ai paesi avanzati, (gli Stati Uniti quale paese
più grande), di ridurre il proprio deficit ed il debito pubblico,
diminuendo in tal modo i rischi per una ripresa economica. La
domanda estera netta creata da una riduzione del surplus della
bilancia dei pagamenti all’estero compenserebbe in parte
l’indebolimento della domanda pubblica negli Stati Uniti e in altri
paesi con un debito elevato, insieme ad una stretta della
politica fiscale.
Tuttavia non ci si dovrebbe concentrare solo sui deficit dei conti
correnti nei paesi avanzati e sui surplus dei paesi emergenti.
Diverse economie di mercato emergenti, tra cui India,
Sudafrica, Brasile e Turchia, registrano infatti al momento un
deficit dei conti correnti, mentre molti paesi avanzati hanno un
surplus di conto corrente. Sebbene infatti il surplus della
Germania sia stato ampiamente pubblicizzato sin dall’inizio
della crisi dell’eurozona, anche il Giappone, i Paesi Bassi, la
Norvegia e la Svezia hanno registrato un avanzo.
Pertanto, se da un lato un processo di riequilibrio globale
richiede, in effetti, una riduzione degli avanzi, dall’altro non
basta semplicemente diminuire i surplus delle economie di
mercato emergenti per fare in modo che vi sia una riduzione
equivalente dei deficit dei paesi avanzati. Con l’inizio del 2012
poi, una riduzione del surplus tedesco potrebbe essere più
urgente di una riduzione del surplus della Cina dato che la
riduzione dell’avanzo tedesco potrebbe comportare dei benefici
più immediati per l’Europa dove ci sono i rischi maggiori per
una ripresa globale.
Inoltre, il renminbi cinese si trova ad affrontare un considerevole
apprezzamento reale ed un aumento dell’inflazione molto più
rapido rispetto agli Stati Uniti o all’eurozona. E’ pur vero che
l’euro tedesco sta perdendo valore nonostante l’ampio surplus
della Germania essendo anche la valuta dei paesi dell’Europa
del Sud che sono in seria difficoltàI surplus dei conti correnti tedesco e cinese vengono
considerati come un ostacolo alla ripresa in quanto sottraggono
parte della domanda effettiva potenziale mondiale e
contribuiscono al superamento dei risparmi pianificati sugli
investimenti pianificati: una ricetta perfetta per aumentare la
pressione recessionaria. Ma la crescente concentrazione del
reddito e della ricchezza all’interno di diversi paesi, soprattutto
gli Stati Uniti, dovrebbe far sorgere delle preoccupazioni di
natura keynesiana.
Una crescente concentrazione del reddito e della ricchezza può
essere vista come uno squilibrio interno simile, per alcuni versi,
agli squilibri esterni dei conti correnti perché le categorie dei
redditi più elevati tendono a risparmiare gran parte delle loro
entrate. Lo spostamento ora in atto delle entrate verso le fasce
con redditi più elevati porterà quasi sicuramente ad un
risparmio complessivo più elevato che dovrebbe essere
compensato da maggiori investimenti, maggiori esportazioni
nette o maggiori spese pubbliche per evitare la pressione
recessionaria.
Mentre il livello di disuguaglianza varia ampiamente a livello
mondiale, la tendenza verso una maggiore concentrazione al
top sembra essere generale, e sono invece i cambiamenti nella
concentrazione che possono portare ad una modifica dei
risparmi pianificati. E’ quasi certo che la tendenza ora in atto
verso una concentrazione del reddito dovrebbe portare ad una
pressione deflazionaria ovunque si verifichi.
Ovviamente ci sono altri fattori, tra cui le politiche statali, in
grado di compensare tale pressione. Negli Stati Uniti dei tassi di
interesse bassi ed un consumo finanziato dal debito da parte
delle fasce di reddito inferiore, entrambi incoraggiati da una
politica statale e dalle pratiche nel settore finanziario, hanno
compensato il risparmio eccessivo al top durante gli anni
precedenti la crisi. In questo modo, nonostante i livelli record di
concentrazione del reddito, gli USA sono arrivati a registrare un
consistente deficit di conto corrente. In Cina invece, le
esportazioni nette e gli investimenti finanziati dal governo
hanno assicurato un’espansione costante, e anche in Germania
le esportazioni nette sono aumentate.
Ciò nonostante, lo spostamento del reddito verso le fasce di
risparmio elevato e l’aumento dei surplus di conto corrente
sembrerebbero produrre, di primo acchito, un effetto simile sul
risparmio aggregato a livello mondiale. Ovviamente, è solo il
primo effetto ad essere simile. Successivamente, molto dipende
dalla capacità del surplus di conto corrente di creare un
accumulo ulteriore di riserve, da maggiori investimenti
all’estero, dalla modalità di spesa delle diverse fasce di reddito
in termini di importazioni e beni nazionali e dal tipo di politiche
macroeconomiche implementate.
Il contesto complessivo degli squilibri deve arrivare a
considerare la propensione alla spesa sulle importazioni e sui
beni nazionali nei diversi paesi e l’equilibrio tra i risparmi statali
e privati. Inoltre, è necessario integrare le nostre
preoccupazioni per gli squilibri globali con un’analisi su come la
crescente concentrazione del reddito possa portare a squilibri
interni e ad una pressione recessionaria ugualmente importanti.
Questi squilibri sono legati tra di loro e rappresentano entrambi
una minaccia per una crescita rapida e sostenibile. E’
necessario analizzare e discutere insieme sia gli squilibri globali
che la crescente disuguaglianza interna. Solo in questo modo
sarà poi possibile affrontare entrambe le questioni in modo
efficace.
Marcegaglia. C'è un «mito da sfatare» e cioè quello che «l'Italia
vada in fondo bene e che dunque gli imprenditori devono
piantarla di lamentarsi». L'Italia «ha già vissuto il suo decennio
perduto» in termini di «minore competitività» e di «mancata
crescita». Ora «dobbiamo muoverci in fretta. Il tempo è un
fattore discriminante». Questo il monito del presidente di
Confindustria, Emma Marcegaglia, all'assemblea annuale degli
imprenditori. «Temporeggiare o muoversi a piccoli passi è un
lusso che non possiamo più permetterci. I concorrenti non
stanno lì a guardare e le speranze dei giovani non aspettano»,
aggiunge Marcegaglia. Dall'assemblea annuale di Confindustria
la presidente poi avverte: «In un momento così noi saremo
pronti a a batterci per l'Italia, anche fuori dalle nostre imprese,
con tutta la nostra energia, con tutta la nostra passione, con
tutto il nostro coraggio». E infine aggiunge: «Lo Stato? Fa
troppo».
«Semplificazioni e liberalizzazioni subito. Infrastrutture subito.
Riforma fiscale subito». Marcegaglia rilancia così il pressing per
le riforme sul governo. E a «poche ore» dai ballottaggi esprime
«un solo auspicio. Se il risultato elettorale finale convincerà
governo e maggioranza di avere davanti a se ancora due anni
di lavoro la loro agenda deve concentrarsi su un'unica priorità:
la crescita».
Sul tema del lavoro «c'è la proposta del ministro Sacconi di un
avviso comune tra le parti sociali per costruire un nuovo Statuto
dei lavori. Ci sono proposte di una parte riformista
dell'opposizione su uno schema di riforma complessiva che
considera anche la flessibilità in uscita». Lo sottolinea il
presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, nella relazione
all'assemblea annuale, sostenendo che non servono «freni
ideologici». «Queste proposte hanno in comune il riequilibrio
delle tutele tra i lavoratori troppo garantiti e i giovani dal futuro
sospeso. Occorre proteggere i lavoratori dalla perdita di reddito,
non dalla perdita del posto di lavoro». È «un problema che sostiene Marcegaglia - va affrontato senza freni ideologici, con
grande serietà. In termini culturali, prima che di appartenenze
politiche o di vetusti riflessi condizionati».
«Non possiamo nascondere la nostra delusione. Occorrono
interventi più incisivi soprattutto sulle infrastrutture e sul fisco».
Il leader degli industriali tiene a sottolineare che «la leva fiscale
è un potente incentivo per rilanciare lo sviluppo. Per questo aggiunge la Marcegaglia - la riforma fiscale per noi rimane
importantissima». Una riforma fiscale che abbia «obiettivi
chiari» e cioè «ridurre insieme le imposte sulle imprese e sui
lavoratori; semplificare e dare certezza delle norme; combattere
l'evasione fiscale, senza attuare una vera e propria oppressione
di controlli su chi le tasse già le paga».
Poi la presidente di Confindustria si è soffermata sui rapporti
con la pubblica amministrazione: «È in atto un'allarmante corsa
in Parlamento per ripristinare barriere all'ingresso, l'inefficienza
della burocrazia è un grave impedimento alla crescita.
L'amministrazione pubblica interviene sistematicamente
nell'ostacolare la vita delle imprese».
«La stagione della spesa facile deve essere considerata chiusa
per sempre» e «secondo gli obiettivi del governo tra il 2010 e il
2014 la spesa pubblica al netto degli interessi si deve ridurre in
termini reali del 7% e raggiungere il pareggio di bilancio». Tutti i
capitoli di spesa vanno rivisti, «compresi quelli di welfare e
pubblico impiego», ma senza fare ricorso a tagli lineari ha poi
aggiunto il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che
parlando agli industriali ha sottolineato come la Confederazione
abbia sempre chiesto una riduzione della spesa pubblica. Ma
ora tagli «di questa entità impongono un ripensamento
complessivo della funzione dello Stato e riforme profonde» per
questo Marcegaglia dice no a «tagli lineari delle spese correnti
e spese sugli investimenti pubblici». Invece - ha affermato «occorre scegliere. Occorrono interventi che non siano solo di
quantità ma siano soprattutto di qualità per aiutare la crescita.
Occorre coinvolgere tutte le forze politiche e sociali».
«Non è che il Paese non cresce da dieci anni. Accettiamo la
sfida per la nuova crescita e vi dico guardiamo al futuro e
facciamola insieme. C'è bisogno di tracciare una strada nuova»
ha successivamente replicato il ministro dello Sviluppo
economico, Paolo Romani, commentando la relazione del
presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, in occasione
dell'assemblea degli industriali.
Illusioni e autoinganni ."Le disposizioni consentiranno, nel breve
periodo, di traghettare l'economia nazionale fuori dalla spirale
recessiva e possibilmente, nel medio-lungo periodo, di
allinearla ai ritmi di crescita dei partners europei e
internazionali". Lo si legge nel comunicato del cdm, diffuso
oggi, dopo il varo del decreto liberalizzazioni.
Con le norme sulle liberalizzazioni e le riduzioni delle rendite
nel settore dei servizi al livello medio degli altri Paesi euro il
prodotto interno lordo potrebbe salire dell'11%, i consumi
dell'8% e i salari reali di quasi il 12% senza effetti negativi
sull'occupazione.
"Analisi condotte dall'Ocse - si legge nella nota del Cdm diffusa
oggi - evidenziano come l'adozione di misure di liberalizzazione
che conducano a livelli di regolamentazione del settore dei
servizi simili a quelli dei Paesi con i migliori standard
produrrebbero una crescita significativa della produttività totale
dei fattori nei settori che impiegano tali servizi quantificabile in
oltre 10 punti percentuali. Altri studi sulla materia - prosegue la
nota - indicano che con una riduzione delle rendite nel settore
dei servizi a livello medio degli altri Paesi dell'euro si
assocerebbe, nel medio periodo, a un aumento del prodotto
dell'11%; il consumo privato e l'occupazione crescerebbero fino
all'8%, gli investimenti del 18%, i salari reali di quasi il 12%
senza effetti negativi sull'occupazione".
"L'apertura al mercato, incidendo in modo diretto sulle politiche
aziendali delle imprese (quelle di grandi dimensioni, ma anche
quelle piccole) è in grado di determinare una sensibile riduzione
dei prezzi, con vantaggi evidenti per i consumatori".
Marcegaglia. ''Le liberalizzazioni sono sacrosante'', ha detto il
presidente di Confindustria Emma Marcegaglia al convegno
della Fondazione Italcementi.''E' tema fondamentale che
finalmente e' stato portato avanti - ha detto - Ci saranno gli
strilli: lasciamoli strillare l'importante e' che il governo vada
avanti per questa strada''.
''Apprezziamo lo sforzo del governo di aver portato avanti il
tema molto caro, che e quello delle liberalizzazioni''. Lo ha detto
Angelino Alfano, segretario del Pdl, nel corso di un incontro di
partito a Padova. 'Siamo a favore delle liberalizzazioni - ha
aggiunto - con l'obiettivo che queste facciano un buon servizio
al cittadino e riducendo i costi e offrendo servizi migliori. Se
queste saranno in grado di centrare questo obiettivo, non solo
ne saremo ben lieti, ma le sosterremo in Parlamento''.
"Il parlamento è sovrano ma sconsiglieremmo di fare variazioni
che dovessero far venir meno la logica di insieme". Così il
premier Mario Monti ha risposto ai giornalisti a Tripoli che lo
interpellavano sul decreto liberalizzazioni. Il decreto
liberalizzazioni "é un provvedimento complesso così com'é
corposo e incisivo - ha proseguito Monti - ha una sua logica di
insieme che noi, come governo illustreremo al Parlamento e ai
partiti così come abbiamo fatto nei giorni precedenti".
"Considerata qual è la logica di insieme - ha ribadito sconsiglieremmo di fare variazioni che dovessero far venir
meno la logica di insieme".
Il Governo punta il dito contro i 'poteri forti' e, dopo il varo del
'salva-Italia' per mettere a posto i conti, prova a dare una spinta
allo sviluppo con il decreto 'cresci-Italia'. E a recuperare risorse
per famiglie e imprese allentando i vincoli (le 'tasse occulte',
come le definisce il premier, Mario Monti) che da anni tengono
'ingessato' il Paese. Un impatto - spiega lo stesso premier - che
potrebbo portare ad una crescita della ricchezza prodotta a due
cifre: +10%. Questo l'obiettivo dichiarato del pacchetto
liberalizzazioni varato oggi dopo una riunione 'fiume' del Cdm di
oltre 8 ore.
'E' strutturale', spiega il premier che ricorda i tre vincoli italiani:
'concorrenza insufficiente, inadeguatezza delle infrastrutture e
complicazione delle procedure amministrative'. Ora il pacchetto
liberalizzazioni, insieme a quello infrastrutture, viaggia verso il
Parlamento e la prossima settimana - annuncia Monti - sarà
integrato da un decreto per le semplificazioni. Forse allora si
scioglierà il nodo del pagamento dei debiti della pubblica
amministrazione verso le imprese.
'Dobbiamo rispettare i vincoli di bilancio - spiega il ministro per
lo sviluppo, Corrado Passera - ma dobbiamo fare qualcosa'.
Taxi, gas, rc auto, ferrovie, farmacie, notai: questi solo alcuni
dei capitoli toccati. Ma dai partiti arrivano mugugni e i primi 'no'.
Non sulle singole misure (alcune, più contestate, saltate come
quella ribattezzata 'trivella-facile), proprio sull'impianto
complessivo. Insomma per alcuni (il Pd) si poteva fare di più
mentre per altri (il Pdl) si è fatto troppo. Ma c'é anche chi, tra i
partiti, chiede di andare avanti. Così è facile immaginare che il
percorso tra Palazzo Madama (dove dovrebbe iniziare l'esame)
e Montecitorio riserverà non poche sorprese. Molte intanto le
modifiche apportate dallo stesso esecutivo ai primi testi
circolati. Segno che lo sforzo per intervenire sulla materia è di
non poco conto. Un esempio per tutti è quello della norma sui
taxi che dopo le proteste e gli scontri di questi giorni è stata
modificata più volte e alla fine è stata riaffidata all'Autorità per le
reti che nascerà dal potenziamento dell'Autorità per l'energia.
Un percorso che però lascerebbe ancora 6 mesi di tempo per
intervenire. Inoltre - spiega il sottosegretario alla Presidenza,
Antonio Catricalà - si è andati incontro ad alcune richieste delle
auto bianche: non ci saranno più licenze in capo ad un solo
soggetto e anche l'extraterritorialità sarà valutata insieme ai
Comuni. Altro fronte caldo è quello delle farmacie.
Ma il ministro della Salute, Renato Balduzzi, spiega che i
farmaci di fascia C rimarranno. Ci sarà però anche un 'unico
grande concorso straordinario per l'apertura di oltre cinque mila
farmacié. Insomma qualche concessione e qual che conferma. I
benzinai intanto non potranno scioperare per più di tre giorni,
ricorda il presidente della Commissione di garanzia sugli
scioperi, Roberto Alesse. E si attende di sapere come si
muoveranno le molte sigle del settore, tra chi sciopera e chi
annuncia il ritiro delle agitazioni. Salta la norma sullo scorporo
di Rfi, mentre resta la separazione tra Eni e Snam. Si toglie
invece 'qualche granello di sabbia' - dice Catricalà - al
meccanismo della class action che dovrebbe essere così più
semplice.
E mentre il Cdm si ferma alcuni minuti per uno 'spuntino' arriva
la notizia che un'altra categoria sale sulle barricate: gli avvocati
che incroceranno le braccia contro le 'liberalizzazioni selvagge'
del Governo. Protestano anche i notai: ne arriveranno 500 in
più, annuncia il Guardasigilli Paola Severino. E aggiunge: ci
sarà anche il Tribunale delle imprese: 'che aiutera' l'economià. A
conti fatti Monti spiega la filosofia dell'intervento. L'obiettivo
delle liberalizzazioni non è stato quello di introdurre 'un po' di
giungla per favorire l'economià ma quello di strutturare 'regole
di mercato', ha detto. E ha poi rivendicato. 'Credo che - afferma
- nessuno possa dire che ce la siamo presa con i piccoli e con i
poteri deboli e che abbiamo lasciato tranquilli i grandi e i poteri
forti'. Ma la partita non è chiusa. La parola ora passa al
Parlamento. 'Confido - dice comunque Monti - che l'esame
possa essere breve, così come per il decreto Salva Italia'.
Dopo otto lunghe ore chiuso in Cdm, il governo di Mario Monti
vara il decreto per la concorrenza e le liberalizzazioni. Una
riunione non facile, raccontano diverse fonti, in cui non sono
mancate discussioni e anche qualche piccola tensione. E
nonostante il presidente del Consiglio neghi ''inciampi'', fonti di
governo sostengono che un dibattito c'e' stato. E secondo
qualcuno anche un leggero ''annacquamento'' del testo. Il
premier, pero', si dice soddisfatto. Rimarca l'importanza delle
riforme: cita stime di Ocse e Bankitalia per sottolineare come,
con concorrenza e flessibilita' simile a quella degli altri Paesi
europei, ci possa essere ''un aumento del 10%'' del Pil.
Commentando il varo del pacchetto concorrenza e infrastrutture
(quello sulla semplificazione sara' adottato la prossima
settimana), nella conferenza stampa seguita al Cdm, Monti
parla di "riforme strutturali per la crescita", necessarie per
superare i tre grandi vincoli che finora hanno frenato la crescita
del Paese: insufficiente concorrenza, inadeguatezza
infrastrutturale, complessita' nelle procedure.
Concentra l'attenzione sui vantaggi che ne trarranno i giovani,
ma ricorda anche che a giovarne saranno tutti i cittadini che
saranno liberati da ''tasse occulte'' e agevolati da una
''moderazione del costo della vita''. Ringrazia i ''colleghi'' ministri
ed in particolare Antonio Catricala' ("ogni governo dovrebbe
avere almeno una ex autorita' della concorrenza" nei suoi
ranghi), ma soprattutto i partiti che oltre ad appoggiare il
governo sono stati ''utili'' per capire le ''preoccupazioni'' delle
diverse parti sociali. Ricorda che il governo non e' a caccia di
consensi perche' non deve affrontare le elezioni. Ma allo stesso
tempo ritiene che l'opinione pubblica sia dalla parte delle
riforme e contro lo ''status quo''. Nessun timore per le reazioni di
Silvio Berlusconi, che parla di ''cura senza frutti'' e prevede di
essere ''richiamato'' presto al governo: ''Ci parlo abbastanza
spesso e mi dà segnali incoraggianti e anche consiglio'',
minimizza il premier. Con il Parlamento, pero', usa il guanto di
velluto. Il Parlamento e' ''sovrano'' e il governo si prendera' lo
''spazio'' per ''illustrare e spiegare'' i provvedimenti alle Camere
e se si dovesse accorgere che ''manca qualcosa'' ''ci sara'
l'occasione per rimediare. Prende a modello ''l'esperienza di
conversione del 'Salva-Italia''' (sul quale, pero', mise la la
fiducia), giudicandola ''molto incoraggiante''.
Monti appare ottimista. Anche se qualche nuvolone nero
sembra comparire all'orizzonte. Come dimostrano le modifiche
inserite nel milleproroghe in commissione sul contributo degli
autonomi, approvate nonostante il parere contrario del ministro
Elsa Fornero. Modifica che, pur non impattando sulla sostanza
della riforma delle pensioni, preoccupa Monti che ci vede un
antipasto di quello che puo' avvenire in Aula sulle altre riforme.
Anche perche' di temi scottanti ce ne sono tanti. La
sospensione del cosiddetto beauty contest sulle frequenze non
e' piaciuta a Mediaset che ha annunciato possibili ricorsi.
Nonostante qualcuno legga nel fatto che il governo si sia preso
tre mesi per deciderne l'assegnazione, una sorta di
'assicurazione sulla vita' per lo stesso esecutivo. Anche dal Pd
arrivano segnali poco incoraggianti: Pier Luigi Bersani parla di
provvedimento lodevole, ma chiede che 2 o 3 cose siano
rafforzate. E forse proprio per frenare gli appetiti dei partiti il
premier ricorda gli elogi del capo dello Stato, Giorgio
Napolitano, che parla di intervento ''corposo e incisivo''.
Eppure, nello stesso governo, qualche ministro - rigorosamente
a microfoni spenti - non nega un po' di delusione perche'
qualcosa in piu' potesse essere fatto. In Cdm, riferisce chi c'era,
si e' discusso a lungo di alcune norme. Quelle sulle farmacie,
spiega ad esempio una fonte ministeriale, ''sono cambiate due
o tre volte''. Secondo altre fonti vi sarebbe stata anche qualche
piccola tensione, generata dal fatto che diversi ministri, pur
avendo competenza, non hanno ricevuto il testo definitivo del
provvedimento fino al Cdm. Per questo si e' proceduto ''articolo
per articolo''. E, nonostante cio', una stesura definitiva ancora
non c'e'. Come dimostra il fatto che non e' stato diffuso il
consueto comunicato stampa finale.
Forte con i deboli, debole con i forti. Il governo valuterà nel
Consiglio dei ministri di domani le proposte avanzate dai
sindacati dei tassisti nell'incontro di oggi a Palazzo Chigi,
alcune delle quali ritenute "ragionevoli". E' quanto si legge nel
comunicato diffuso dalla Presidenza del Consiglio.
"Si è svolto stamane a Palazzo Chigi - riferisce la nota - il
previsto incontro tra la Presidenza del Consiglio e le
rappresentanze sindacali dei tassisti. Dopo aver illustrato la
posizione del governo in tema di liberalizzazioni del settore, il
segretario generale Manlio Strano e i rappresentanti sindacali si
sono confrontati sulle proposte di modifiche consegnate ieri
sera alla Presidenza del Consiglio. Al termine dell'incontro il
segretario generale ha assicurato che le proposte avanzate dai
sindacati (alcune delle quali indubbiamente ragionevoli)
saranno valutate e discusse collegialmente dal governo nel
Consiglio dei ministri di domani".
Dopo il vertice a Palazzo Chigi Loreno Bittarelli, presidente
Uritaxi, ha incontrato la folta rappresentanza di tassisti riuniti al
Circo Massimo. "Ritornate a lavorare - ha detto -. E' questo il
mio consiglio. In caso contrario non saremo ascoltati dal
governo e ci beccheremo le denunce da tutti quanti". L'invito
non è piaciuto ad un folto gruppo di manifestanti che si sono
allontanati al grido 'andiamo tutti a Palazzo Chigi'. Urla e grida
hanno accompagnato la protesta, sono anche scoppiati petardi
e fumogeni rosa. "Il servizio va ripreso - ha aggiunto Bittarelli questo è il mio pensiero, ma ognuno è libero di andare dove
vuole. Ma vi suggerisco di calmarvi, perché il vostro
atteggiamento serve solo ad inasprire la situazione". .
Faib Confesercenti e Fegica Cisl hanno dichiarato ''l'immediato
stato di agitazione e la chiusura per sciopero degli impianti
stradali ed autostradali di 10 giorni''. Le date "saranno indicate e
rese note se e non appena le bozze di decreto circolate in
queste ore dovessero trovare conferma''.
Alla fine il governo, spiegano in una nota congiunta Faib
Confesercenti e Fegica Cisl, ''fa retromarcia su tutta la linea di
fronte alla potente lobby dei petrolieri, i cui privilegi non
vengono neanche scalfiti ma persino rafforzati dalle misure che
sono in procinto di essere varate. Nessun impianto 'multimarca',
così come anche l'Antitrust aveva recentemente chiesto''.
Nessuna libertà, rilevano, ''per i gestori di rifornirsi sul libero
mercato alle condizioni più convenienti per poter dare agli
automobilisti italiani prezzi più bassi dei carburanti.
Automobilisti che, insieme ai gestori, sono i veri gabbati dalla
solita politica degli annunci''.
Il governo, aggiungono Faib e Fegica, ''si limita a gettare fumo
negli occhi dell'opinione pubblica 'liberando' solo chi è già
libero, cioè i proprietari: alla fine il provvedimento non riguarda
più di 500 impianti su 25.000. Per il resto, il controllo dei
petrolieri sull'intera filiera, 'dalla culla alla tomba', che consente
loro di mantenere in Italia i prezzi più alti d'Europa, viene
completato definitivamente con un regalo inaspettato: ogni
compagnia potrà fissare le condizioni contrattuali che vuole,
con ogni singolo benzinaio, senza nessuna tutela, nessuna
contrattazione, nessuna mediazione collettiva''.
Il risultato finale, sottolineano Faib e Fegica, ''è che il governo
consegna al nostro Paese una distribuzione carburanti ancora
più ingessata, difendendo e rafforzando gli interessi e le rendite
di posizione dei monopolisti, ingannando gli automobilisti che
sono condannati a pagare prezzi sempre più alti''.
Quarto giorno di protesta degli autotrasportatori in Sicilia,
messa ormai in ginocchio dallo sciopero dei 'padronicni' che da
lunedì hanno bloccato l'isola.
Ormai molti distributori di benzina sono chiusi perché sono
terminate le scorte di carburante, mentre nei supermercati
scarseggiano le scorte alimentari, come acqua e latte.
Autotrasportatori, ma anche agricoltori e pescatori presidiano
strade, porti e tangenziali, rallentano la circolazione per
distribuire volantini e impediscono i rifornimenti a grandi
magazzini, industrie, distributori di benzina. Ai pescatori di
alcune marinerie, come Catania e Santa Flavia, ieri si sono
aggiunti gruppi di artigiani e commercianti mentre gli studenti
hanno organizzato manifestazioni di solidarietà domani.
In questo contesto arriva la denuncia degli industriali. "Noi
abbiamo evidenze che in molte manifestazioni nei blocchi che
stanno creando tante difficoltà in Sicilia erano presenti
esponenti riconducibili a Cosa Nostra", ha detto ai microfoni di
'Start' il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello. Per Lo
Bello, comunque, "questo non significa che la mafia sia dietro le
manifestazioni, ma siamo preoccupati che un disagio reale
della gente dell'Isola sia cavalcato da personaggi senza
credibilità e dal dubbio passato, da infiltrazioni della criminalità
organizzata e da altri fenomeni che finiranno solo per
aumentare un ribellismo generico che non risolverà alcun
problema".
Il governatore siciliano Raffaele Lombardo ha convocato per
questa mattina un incontro a Palazzo d'Orleans con i nove
prefetti dell'isola e i rappresentanti dell'Aias, dei 'Forconi' e dei
pescatori. "La Regione è pronta a fare la propria parte. Abbiamo
chiesto un confronto per iscritto a Monti, perché la gran parte
delle rivendicazioni dei manifestanti non sono di nostra
competenza", ha detto il presidente della Regione siciliana
esprimendo poi l'auspicio ''che i blocchi siano rimossi, perché
ritengo che adesso a pagare i disagi siano le famiglie e i
produttori". Quanto alle accuse di infiltrazioni mafiose? "Non sta
a me appurare eventuali infiltrazioni mafiose nella
manifestazione che da giorni sta interessando la Sicilia. Lo
verificheranno le forze dell'ordine e i magistrati", ha osservato.
Le risposte di Lombardo soddisfano in parte le ragioni della
protesta. Dopo il vertice a Palermo, infatti, le posizioni di
autotrasportatori da un lato ed agricoltori e pescatori dall'altro
divergono. I primi, infatti, vorrebbero concludere il fermo domani
alla mezzanotte, come previsto inizialmente, i secondi invece
chiedono di proseguire ad oltranza. "Noi siamo disponibili a
fermare la protesta nell'attesa di avere risposte", dice Luigi
Cozza, componente del Comitato della Consulta regionale per
l'autotrasporto. "La prossima settimana - aggiunge - Lombardo
ci ha assicurato che porterà le nostre richieste all'attenzione del
Governo Monti. Ci riteniamo parzialmente soddisfatti. Mi auguro
che anche agricoltori e pescatori siano ragionevoli e decidano
di fermare la protesta domani, come previsto".
Sulla questione autotrasporto è intervenuto anche il governo.
Oggi, il sottosegretario ai Trasporti, Guido Improta, in Aula alla
Camera, ha risposto a un'interpellanza urgente: ''Il governo è al
lavoro fin dal suo insediamento per mettere in campo misure
che vadano incontro alla categoria degli autotrasportatori, a
breve saranno formalizzati nuovi provvedimenti per il settore''.
La situazione siciliana desta ovviamente molta preoccupazione,
ha spiegato Improta, ''soprattutto in considerazione degli allarmi
lanciati dal procuratore Messineo, dalla Confindustria e dalla
Regione Sicilia. Il governo, da parte sua, non è fermo. Nei primi
provvedimenti utili, inseriremo nuove norme a favore
dell'autotrasporto. Ci siamo mossi innanzitutto sulla questione
degli aumenti del
costo del gasolio e delle accise''.
Prosegue lo sciopero degli autotrasportatori in Sicilia. A causa
del blocco dei 'padroncini' ai caselli autostradali, ma anche
lungo le arterie delle statali, iniziano a scarseggiare le scorte di
viveri nei supermercati e la benzina. Anche questa mattina
lunghe code ai distributori di benzina con automobilisti inferociti.
Gli autotrasportatori hanno annunciato che la protesta
proseguirà almeno fino a venerdì, 20 gennaio.
Lo sciopero è stato proclamato dal movimento 'Forza d'urto',
sigla che raccoglie i camionisti aderenti all'Associazione
imprese autotrasportatori siciliani, dagli agricoltori, riuniti sotto
la sigla 'Movimento dei forconi' e dai pescatori che da lunedì
scorso bloccano strade, ferrovie, porti per protestare contro
l'aumento del prezzo dei carburanti.
A Catania tir che trasportano beni di prima necessità come
benzina, medicinali, derrate alimentari e attrezzature per
scuole, ospedali e carceri sono stati scortati dalla polizia. Il
servizio è stato coordinato dalla prefettura, in cui è operativa
un'unità di crisi.
Nel ragusano la protesta sta creando particolari problemi a
Modica dove si è concentrata la maggior parte dei manifestanti
che, nella zona del polo commerciale, hanno reso difficile la
circolazione. Molti negozi chiusi in segno di solidarietà alla
protesta, quasi tutti chiusi i distributori di carburante. Nei
supermercati della provincia cominciano a mancare le scorte di
latticini, ortofrutta, acqua minerale. Sono oltre trecento i camion
fermi ai bordi delle strade.
Il blocco dei tir non sta invece provocando caos nel territorio di
Agrigento, ''dove gli unici disagi interessano i molti automobilisti
in coda presso i pochi distributori di benzina che non hanno
ancora esaurito le scorte - afferma il sindaco Marco Zambuto Lo svolgimento della protesta è sotto controllo e costantemente
monitorato dagli organi di sicurezza che hanno mobilitato tutti
gli uomini per assicurare l'adeguata assistenza alla
cittadinanza''.
Sul blocco è intervenuto oggi anche il presidente della provincia
regionale di Palermo, Giovanni Avanti. ''Non si possono
ignorare le ragioni di una protesta contro una situazione che
può compromettere l'attività di un comparto essenziale quale
quello dei trasporti - dice Avanti - Il rincaro delle tariffe
autostradali e ancor di più quello del gasolio incide
pesantemente su più versanti della nostra economia quali
l'agricoltura e la pesca già duramente provati dalla crisi
economica. Per questo motivo convocherò per martedì 24
gennaio la conferenza permanente dei sindaci della provincia di
Palermo per analizzare i temi della vertenza e stilare un
documento politico a sostegno di una protesta che deve tuttavia
rientrare nella legalità per il rispetto della vita sociale delle
nostre città''.
Intanto, in un documento indirizzato al presidente del Consiglio
Mario Monti e al presidente della Regione siciliana Raffaele
Lombardo, i vertici regionali di Confartigianato, Confagricoltura,
Confederazione italiana Agricoltori, CNA Sicilia, Casartigiani,
Confapi Sicilia, Confcommercio, LegaCoop, Confesercenti
Sicilia, Confcooperative, UniCoop scrivono che ''i drammatici
fatti di queste ore evidenziano la gravità della crisi economica in
Sicilia e la totale assenza, fino ad oggi, di provvedimenti incisivi
da parte del governi nazionale e regionale: ciò ha portato alla
esplosione di proteste esasperate, con forme di lotta che
stanno causando ulteriori danni all'economia e ai cittadini
siciliani. Le ragioni delle imprese - avvertono - rischiano di
essere strumentalizzate dalla peggiore politica e di sfociare in
un ribellismo inconcludente aperto anche alle infiltrazioni della
criminalità, organizzata e non''.
La crisi inizia a far sentire i suoi effetti sul mercato del lavoro
dell'area euro. «Le condizioni nei mercati del lavoro - sottolinea
la Bce nel suo bollettino mensile - si stanno deteriorando. La
crescita dell'occupazione è divenuta negativa e il tasso di
disoccupazione ha iniziato a salire leggermente. I dati delle
indagini anticipano un ulteriore indebolimento». Nel terzo
trimestre, rileva la Bce nel bollettino di gennaio, «l'occupazione
è diminuita dello 0,1% sul periodo precedente, dopo tre trimestri
di crescita positiva. Al tempo stesso, le ore lavorate sono
aumentate dello 0,1%».
Per i Paesi dell'area euro, osserva la Banca centrale europea
nell'editoriale dell'ultimo bollettino mensile, «le prospettive
economiche restano soggette a elevata incertezza e
considerevoli rischi al ribasso. In tali circostanze le pressioni su
costi, salari e prezzi nell'area euro dovrebbero rimanere
modeste e i tassi di inflazione dovrebbero seguire un profilo
coerente con la stabilità dei prezzi nell'orizzonte rilevante per la
politica monetaria». L'inflazione nell'area dell'euro «si manterrà
probabilmente su livelli superiori al 2% per diversi mesi a
venire, prima di scendere al di sotto di tale valore» scrive la
Bce.
Non mancano tuttavia «timidi segnali di una stabilizzazione
dell'attività economica su livelli modesti». Nel corso del 2012
«l'attività economica dell'area dell'euro dovrebbe registrare una
ripresa, seppure molto graduale, favorita dall'andamento della
domanda mondiale, dai tassi di interesse a breve termine assai
contenuti e da tutte le misure intraprese per sostenere il
funzionamento del settore finanziario».
«La solidità dei bilanci bancari, sostenuta dal rafforzamento
delle posizioni patrimoniali (sulla base delle raccomandazioni
Eba ndr.) sarà un fattore chiave per agevolare un'adeguata
offerta di credito all'economia nel corso del tempo» ribadisce la
Bce aggiungendo che è essenziale che «i piani di
ricapitalizzazione delle banche siano attuati senza produrre
andamenti sfavorevoli per il finanziamento dell'attività
economica nell'area dell'euro». Insomma, come ha più volte
ribadito il presidente Mario Draghi, bisogna evitare che le
sacrosante operazioni di rafforzamento patrimoniale con
comportino una stretta al credito.
Finora non si è veriticato il temuto «credit crunch» anche se c'è
stato un certo rallentamento dei crediti. La Bce rileva che il
tasso di crescita sui dodici mesi dei prestiti al settore privato,
corretto per le cessioni e le cartolarizzazioni, è sceso all'1,9 per
cento in novembre, dal 3% di ottobre. I tassi di incremento sui
dodici mesi dei prestiti alle società non finanziarie e alle
famiglie, corretti per le cessioni e le cartolarizzazioni, si sono
entrambi ridotti in novembre, portandosi rispettivamente all'1,8
e al 2,3 per cento.
Nel complesso, malgrado il rallentamento dei prestiti, i dati non
suggeriscono finora che le maggiori tensioni sui mercati
finanziari abbiano determinato una consistente riduzione del
credito nell'insieme dell'area dell'euro nel periodo fino a
novembre. Al tempo stesso, dato il ritardo con cui si possono
manifestare gli effetti sull'offerta di credito, sarà necessario
esaminare con attenzione gli andamenti creditizi nel prossimo
periodo.
Tornando al settore bancario, nel bollettino la Bce si dice
convinta che «l'offerta di liquidità e le modalità di
aggiudicazione degli importi nelle operazioni di rifinanziamento
dell'Eurosistema (le maxi aste a 36 mesi ndr.) continueranno a
sostenere le banche dell'area euro e, quindi, il credito
all'economia reale. L'ampio ricorso alla prima operazione di
rifinanziamento a tre anni - si legge nel bollettino - indica che le
misure non convenzionali di politica monetaria della Bce
forniscono un notevole contributo al miglioramento della
situazione delle banche dal lato della provvista, con ricadute
positive per le condizioni di finanziamento e il clima di fiducia».
Crisi. Profondo rosso per l'economia italiana nel prossimo
biennio. Sullo sfondo una ripresa globale in stallo, frenata
soprattutto dalla crisi di Eurolandia, l'Italia si prepara ad andare
incontro a due anni di recessione nel 2012 e nel 2013. La
doccia fredda arriva dal Fondo Monetario Internazionale che nel
rimettere mano come di consueto alle proprie previsioni ha dato
una generale sforbiciata alle stime di crescita di tutto il mondo.
Nell'ultimo aggiornamento al World Economic Outlook che
l'Ansa è in grado di anticipare prima della sua diffusione ufficiale
martedì prossimo, il Fmi individua nell'area dell'euro il principale
malato che contagia e fa vacillare un pò tutte le economie
internazionali. «La ripresa globale è minacciata dalle crescenti
tensioni nell'area dell'euro», considerata come la «principale
ragione» del deterioramento delle prospettive economiche.
E ad essa si affiancano e si intrecciano «le fragilità finanziarie
altrove». Il Fondo avverte dunque che i rischi al ribasso hanno
subito un'escalation.
Così gli economisti di Washington sono stati costretti a dare un
taglio netto a tutte le statistiche e questo in gran parte perchè
«ci si aspetta che l'economia dell'euro area finirà in una lieve
recessione nel 2012».
E ciò come risultato del rialzo dei rendimenti dei titoli di stato,
della diminuzione del credito bancario all'economia reale e
dell'impatto delle nuove misure di consolidamento fiscale. I
numeri del resto parlano chiaro. La crescita mondiale sarà di
appena il 3,3% quest'anno e del 4% il prossimo, con una
revisione al ribasso, rispettivamente, di 0,7 e 0,5 punti
percentuali. Per tutta l'area della moneta unica, invece, è atteso
un calo del Pil pari allo 0,5% nel 2012, con una revisione al
ribasso di 1,6 punti percentuali. La crescita tornerà invece nel
2013, ma sarà di appena lo 0,8%.
Ben peggiore sarà però la situazione italiana. Per quest'anno la
contrazione del Pil supererà addirittura il 2% attestandosi al
2,2%, con un taglio di ben 2 punti e mezzo rispetto alle stime di
settembre scorso. E il segno più non riuscirà a tornare
nemmeno nel 2013, quando il Pil subirà un calo dello 0,3%.
La frenata non risparmierà peraltro neppure il gruppo degli
emergenti, che negli ultimi tempi ha rappresentato il vero
motore dell'economia globale. «Anche la crescita dei paesi
emergenti e in via di sviluppo - si legge infatti nel documento
del Fmi - rallenterà a causa del peggioramento dell'ambiente
economico esterno e dell'indebolimento della domanda
interna».
Il Fondo suggerisce quindi alcuni «requisiti essenziali» per far
fronte alla difficile situazione attuale. «La più immediata sfida
politica - afferma - è di ristabilire la fiducia e di mettere fine alla
crisi dell'area euro sostenendo la crescita», garantendo al
tempo stesso aggiustamenti di bilancio sostenibili, il
contenimento della restrizione del credito bancario e fornendo
più liquidità, grazie anche ad una politica monetaria più
accomodante.
«Con circa quattro addetti, l'Italia si colloca col Portogallo, al
penultimo posto nella graduatoria Ue27 per dimensione media
di impresa. In ambito nazionale, la dimensione media delle
imprese è più bassa nel Mezzogiorno». La fotografia è scattata
dall'edizione 2012 del «Noi Italia», presentato questa mattina
dal presidente dell'Istat, Enrico Giovannini. In Italia, aggiunge
l'Istat, operano circa 64 imprese ogni mille abitanti, un valore
nettamente superiore alla media europea. Tra il 2008 e il 2009
l'indicatore segnala una lieve riduzione, in conseguenza della
distruzione netta di attività determinata dalla crisi. Nel 2009 in
Italia il tasso di imprenditorialità - calcolato come rapporto tra
numero di lavoratori indipendenti e totale dei lavoratori delle
imprese - è di poco inferiore al 32%.
La propensione all'imprenditorialità risulta elevata in tutte le
ripartizioni geografiche, con valori nettamente superiori alla
media europea. Il turnover lordo delle imprese, che fornisce una
misura del grado di dinamicità di un sistema economico, si
legge ancora nel rapporto Istat,in Italia è pari al 14,9%. I valori
sono molto diversificati a livello regionale: una maggiore
instabilità si riscontra nel Mezzogiorno, mentre il Nord-est si
caratterizza per una minore nati-mortalità delle imprese. Nel
2009 il livello di competitività delle imprese italiane si attesta a
112,5 euro di valore aggiunto ogni 100 euro di costo del lavoro,
in calo rispetto all'anno precedente. La diminuzione è maggiore
nel Nord-est e più contenuta per le imprese del Centro. Nel
confronto europeo, l'Italia, si posiziona nella parte bassa della
graduatoria. La struttura produttiva dell'economia italiana
appare altamente diversificata a livello di macro aree regionali.
Nel Mezzogiorno prevalgono le micro imprese, sia di servizi, sia
dell'industria; nel Nord-ovest predomina la grande industria; nel
Nord-est le piccole e medie imprese dell'industria; nel Centro le
grandi imprese dei servizi.
S’impennano i tassi per chi va in rosso e superano di slancio il
16% medio, quasi due punti in più rispetto a un anno fa. Mentre
salgono ancora, qua e là, i costi dei conti correnti, già rincarati
in media del 2,9% lo scorso gennaio sui 12 mesi precedenti.
Rispetto al febbraio 2011 la spesa annua per un deposito
bancario-tipo per una famiglia con media operatività è
aumentata del 3,2%, toccando i 136,65 euro, con un’inflazione
2011 ferma al 2,7%. In compenso, però, diverse banche, come
Unicredit, Bpm e Bnl (che l’aveva introdotta, ma alla fine non
l’ha mai applicata), hanno deciso di abolire l’odiata
commissione per il prelievo di contante allo sportello, sulla
quale nei mesi scorsi si erano mossi l’Antitrust e il Garante dei
prezzi. È del resto atteso entro l’estate l’esito della seconda
indagine sui costi e sulla mobilità dei conti correnti, avviata
dall’Autorità generale per la concorrenza anche in risposta alle
proteste su questo tema: le banche stanno rispondendo ai
questionari.
Inizia così, con due novità negative e una positiva per i
risparmiatori, il 2012 degli istituti di credito, quello che Massimo
Macchitella, responsabile marketing famiglie di Unicredit,
prevede come «un anno paragonabile al 2011, dove il rapporto
con i clienti risente del contesto generale». La situazione
finanziaria internazionale difficile e la stretta patrimoniale
imposta dall’Eba, l’autorità di vigilanza europea, prospetta per
le banche un altro anno difficile. Probabilmente lo sarà anche
per i loro clienti, anche se Marco Siracusano, a capo del
marketing privati di Intesa Sanpaolo, vede il bicchiere mezzo
pieno: «Sarà un altro anno impegnativo, ma il senso di
preoccupazione può rafforzare la nostra relazione con il cliente,
com’è successo nel 2011».
La forbice dei tassi. Dall’analisi dei costi dei conti correnti nel
panel di Corriere Economia (vedi tabelle commissioni e contotipo), emerge un quadro grigio su tassi e costi. Il denaro costa
sempre più caro ai cittadini. L’interesse richiesto a chi sconfina
extra fido (ma spesso anche entro fido) è in media ormai del
16,26%, quasi due punti in più rispetto al 14,60% del maggio
2011, con picchi come il 18,11% in Intesa Sanpaolo (conto
Facile), il 17,66% in Unicredit (conto Supergenius, era al
13,54% l’omologo Genius Ricaricabile un anno fa) e il 17,54%
di quella Popolare di Milano alla cui guida è stato nominato la
settimana scorsa Piero Montani (oltre un punto in più rispetto al
15,3% di febbraio). La forbice con i tassi attivi resta
elevatissima: il rendimento medio dei conti per famiglie è dello
0,08%, come dire che ogni mille euro depositati si ricevono solo
64 centesimi (tolta l’imposta, scesa quest’anno dal 27% al
20%).
Continuano poi a pesare, per chi va in rosso, le voci
variabilissime che hanno sostituito la commissione per il
massimo scoperto: fino a 150 euro al trimestre in Unicredit, fino
a 100 euro in Intesa Sanpaolo eMps, addirittura fino a 250 in
Bpm. Si attendono gli effetti, entro marzo, del decreto Salva
Italia, che prevede (articolo 6 della legge 214 del 22 dicembre)
che queste spese extra, penalizzanti, siano sostituite da una
commissione proporzionale ai costi sostenuti dalla banca per la
messa a disposizione del denaro. Una norma per compensare
la spinta ad aprire il conto corrente, per pensionati e dipendenti
pubblici, dopo il divieto, nel «Salva Italia», di ricevere in contanti
pagamenti dall’amministrazione pubblica oltre i mille euro.
Le spese dei depositi
Quanto ai costi, in questi giorni sta per arrivare nelle case
l’estratto conto di fine anno, con il «cartellino del prezzo finale»
del conto corrente (l’Isc, l’Indicatore sintetico di costo annuo).
Va controllato. A titolo indicativo: un conto standard per i
pensionati che usano poco la banca costa in media oggi 72,31
euro (+0,9% rispetto al febbraio 2011), mentre quello per i
pensionati con media operatività è salito a 109,81 euro (+0,9%).
Forse ora i costi per i pensionati scenderanno, visto che molte
banche (come Bnl) stanno lanciando conti a zero spese, per
consentire l’accredito della pensione. Si vedrà.
Ma sono le famiglie con operatività media, i clienti tradizionali
insomma, a pagare di più il conto corrente: 136,65 euro all’anno
l’Isc medio di gennaio, +3,2% rispetto ai 132,45 euro di un anno
fa. Per le famiglie che usano molto la banca la spesa è invece
di 122,92 euro all’anno (+1,8%) e per quelle con scarsa
operatività di 95,52 euro (-0,9%, l’unico calo). Costa infine
78,64 euro (+3,8%) il conto-tipo per i giovani, il target
emergente delle banche, seguito da istituti come Intesa
Sanpaolo e Bpm. Nel ventaglio d’offerta si conferma la
convenienza delle Poste (72,74 euro il conto BancoPosta Più
per le famiglie con media operatività, la metà rispetto al
mercato), seguite da Intesa Sanpaolo (94,8 euro, in promozione
per tutto il 2012). Le più costose: Bpm con Flexiconto (207,42
euro, era a 191,42 euro un anno fa) e Ubi Banca con Duetto
Basic (117,62 euro). Fra chi ha alzato più voci di spesa c’è
Unicredit («Periodico adeguamento dei costi», dice l’istituto,
sottolineando: «A un comportamento virtuoso del cliente, come
l’accredito dello stipendio, corrisponde un vantaggio in termine
di costi») che nel nuovo conto Supergenius (a canone
azzerabile) ha aumentato i bonifici e il pagamento delle utenze
per cassa. Le spese che continuano a pesare, in generale, di
più.
Per prelevare al Bancomat di un’altra banca si spendono infatti
in media 1,66 euro (+0,6% in più rispetto al 2011), per pagare le
bollette allo sportello 4,06 euro (il 6,3% in più), ma è sui bonifici
la scure: 6,18 euro è il costo medio se sono per cassa, 4,41
euro se addebitati in conto e 1,04 euro via Internet (+4%).
Resta la buona novità dell’abolizione della commissione per
prelevare i propri soldi allo sportello fisico, che toccava i tre
euro in Unicredit e Bnl (l’unica che la applica nel nostro panel è
ora Ubi, un euro). «Il nostro obiettivo non era fare rincari, ma
incentivare l’uso del Bancomat - dice Macchitella di Unicredit -.
Ma i tempi non erano maturi. Il momento è difficile per le
banche, ma mai come adesso è stato evidente che la tutela del
patrimonio rappresentato dai propri clienti e la necessità di
acquisirne di nuovi è un tema cruciale».
Sui nuovi prestiti i maxi-spread annullano i mini-tassi. La
tempesta finanziaria non è un dramma per tutti: non solo sta
solo arricchendo gli speculatori, ma aiuta anche le famiglie che
stanno ripagando un mutuo a tasso variabile (vedi tabella).
Gli effetti. Il taglio di 25 centesimi del costo del denaro deciso
dalla Bce giovedì scorso dovrebbe portare, a seconda del tasso
a cui viene effettuato l’ammortamento del mutuo indicizzato e
della durata residua, a una riduzione della rata mensile tra i 10
e i 20 euro su un debito attuale da 100 mila euro.
Il ricorso al condizionale è dovuto al fatto che la diminuzione
dell’esborso sarà automatica solo per i pochi prestiti parametrati
al tasso Bce, mentre la maggior parte è indicizzata all’Euribor.
Giovedì il fixing, che ha preceduto l’annuncio a sorpresa dato a
Francoforte, era di 1,38% per la durata mensile e di 1,60% per
il trimestrale. Venerdì i valori sono scesi rispettivamente a
1,26% e a 1,51%, recependo quindi solo in maniera parziale il
taglio della Bce (-12 e -9 centesimi).
La riduzione della rata per chi ha scelto a suo tempo il tasso
variabile arriva al termine di un anno che ha visto,
contrariamente alle previsioni fosche della vigilia, un incremento
solo lieve degli interessi. Nella tabelle presentiamo la
simulazione dell’andamento di un prestito da 100 mila euro a
tasso variabile acceso alla fine del 2007, poco prima del
precedente tsunami dei mercati, ed indicizzato all’Euribor
trimestrale +1,5%. A 20 anni dalla prima rata di 727 euro si è
passati al top di 771 euro registrato a fine 2008 per scendere a
inizio gennaio 2012, se l’Euribor registrerà una diminuzione di
25 centesimi, a 477 euro. Ovvero 250 euro in meno rispetto a
quattro fa. A 30 anni si passa da 612 euro della prima rata a
344 del prossimo gennaio; la riduzione rispetto all’avvio del
prestito è di 268 euro.
Confrontando questi due mutui con due finanziamenti a tasso
fisso accesi al 6% (valore standard a fine 2007) si ricava che
chi ha scelto il variabile a inizio gennaio 2012 avrà risparmiato
oltre 9.000 euro rispetto al fisso, sia a 20 che a 30 anni.
Brutte sorprese. In teoria della riduzione dei tassi dovrebbe
avvantaggiarsi anche chi il mutuo lo sta per chiedere; ai valori
attuali una discesa di 25 centesimi porta a una riduzione della
rata iniziale di 13 euro su 100 mila finanziati a 20 anni. Nella
pratica bisogna confrontarsi con la politica delle banche, che
stanno drasticamente riducendo l’accesso al credito e che
hanno rialzato, come abbiamo già documentato nelle scorse
settimane, gli spread, sia sui finanziamenti variabili sia su quelli
fissi. Anche i prodotti offerti a tassi più vantaggiosi oggi partono
da spread superiori al 2% e ci sono istituti che arrivano al 3%.
Le scelte sui tassi sono solo una parte del problema: gli istituti
stanno anche drasticamente abbassando la percentuale di
finanziamento rispetto al valore dell’immobile, mosse dalla
previsione, fondata o meno che sia, di una caduta del mercato
residenziale e quindi di un deprezzamento dei beni ipotecati.
Stando alle ultime stime due terzi delle domande di mutuo si
indirizzano sul variabile e il trend presumibilmente si accentuerà
nelle prossime settimane. L’Euribor dovrebbe ancora scendere
nei prossimi mesi: i future sul valore del trimestrale
scommettono su un livello dell’ 1% entro settembre 2012,
bisogna però rilevare che, con gli spread attuali, una risalita dei
tassi nei prossimi anni potrebbe avere conseguenze pesanti
sulla sostenibilità delle rate.
L’Eurirs, il tasso che parametra i prestiti fissi, attualmente è
sceso sotto il 3%: significa che se si hanno buoni requisiti di
solvibilità è possibile trovare finanziamenti attorno al 5% che
forse non faranno risparmiare sul lungo periodo ma permettono
con un esborso ragionevolmente contenuto di guadagnare in
tranquillità.
Un tavolo che nei corridoi di palazzo Chigi viene definito
scherzosamente "filosofico", introdotto dal premier Mario Monti.
E, subito dopo, due tavoli operativi sulla riforma del mercato del
lavoro e sulla crescita. Il primo con il ministro Elsa Fornero, il
secondo con il titolare delle attività produttive, Corrado Passera.
E' lo schema con cui si svolgerà lunedì la trattativa tra governo
e parti sociali. Sul mercato del lavoro i sondaggi delle ultime ore
inducono a un certo ottimismo.
Si sarebbe insomma trovato un terreno di comune discussione
tra sindacati, ministri e imprenditori intorno al disegno di legge
di riforma suggerito due anni fa dagli economisti Tito Boeri e
Pietro Garibaldi. L'intendimento di Fornero sarebbe di arrivare a
febbraio al varo del provvedimento. Esclusa l'ipotesi del
decreto, più probabile che si vada verso il disegno di legge o il
disegno di legge delega.
La filosofia è quella annunciata ieri da Mario Monti: "Dovremo
ridurre la frammentazione dei contratti e far andare di pari
passo la riforma del mercato del lavoro con quella degli
ammortizzatori sociali". Poche parole per dare il via libera al
contratto unico di apprendistato e all'introduzione del reddito di
disoccupazione, i due assi della riforma Fornero.
L'obiettivo, spiega Monti, è quello di creare "una maggiore
mobilità che protegga il lavoratore ma non renda sclerotico il
mercato del lavoro" per favorire l'occupazione giovanile e
renderla meno precaria. Su questi presupposti si starebbe
trovando una mediazione tra sindacati e industriali, con i partiti
che, sia pure con qualche distinguo, non sarebbero
pregiudizialmente contrari. La riforma non toccherebbe
direttamente l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ma ne
limiterebbe l'efficacia in alcune fasi della vita lavorativa dei
dipendenti. Per la Cgil "è importante tenere insieme crescita ed
equità". Per la Cisl "è essenziale che il governo arrivi al tavolo
con la disponibilità a contrattare davvero".
Ma i tempi stringono ed è plausibile che i margini di trattativa
non saranno molto ampi. Lunedì, subito dopo aver aperto la
riunione, Monti volerà a Bruxelles a rassicurare i partner
europei sull'avvio delle riforme italiane. Ecco le linee principali
del progetto.
Contratto unico. Accesso con tutele a tappe, poi niente
licenziamenti L'idea è quella di sostituire con un unico contratto
gli attuali 48 censiti dall'Istat. E' la frammentazione che
penalizza soprattutto donne e giovani e che porta il salario
medio lordo di un lavoratore italiano il 32% sotto la media dei
Paesi dell'area euro. Nascerà per questo il Cui, contratto unico
di ingresso. Avrà due fasi: una di ingresso, che potrà durare, a
seconda dei tipi di lavoro, fino a tre anni. E una seconda fase di
stabilità, in cui il lavoratore godrà di tutte le tutele che oggi sono
riservate ai contratti a tempo indeterminato.
Durante la fase di ingresso, in caso di licenziamento con
motivazioni che non siano di tipo disciplinare ("giusta causa"), il
datore di lavoro non avrà l'obbligo di reintegrare il dipendente
ma potrà risarcirlo in pagando una specie di penale pari alla
paga di cinque giorni lavorativi per ogni mese lavorato. In caso
di una fase di ingresso di tre anni, il licenziamento dovrà essere
risarcito con sei mesi di mensilità.
Già oggi, durante il periodo di prova, non si applica la l'articolo
18 sui licenziamenti. La riforma prevede che il periodo di prova
si possa allungare fino a tre anni e in cambio concede che il
contratto di ingresso si trasformi automaticamente, al termine
della prova, a tempo indeterminato. L'automatismo evita al
lavoratore il succedersi di decine di minicontratti precari. Le
imprese dopo tre anni possono licenziare il dipendente con un
risarcimento senza essere costrette ad assumerlo.
Per i contratti a termine salario sopra i 25mila euro
Oggi sono una prassi diffusa nelle aziende che possono così
assumere senza prendersi impegni particolari nei confronti dei
dipendenti. La riforma li renderà invece una specie di lusso, un
modo per remunerare professionisti e personale specializzato.
Uno studio del Collegio Carlo Alberto di Torino, di cui Garibaldi
è direttore, mette in evidenza che nel 2008 il 96% dei
dipendenti italiani a tempo determinato guadagnava meno di 35
mila euro lordi all'anno. Una retribuzione per mansioni medio
basse.
Con il provvedimento allo studio invece sarà impossibile
assumere a tempo determinato dipendenti per i quali viene
corrisposto un salario inferiore ai 25 mila euro lordi annui (o
proporzionalmente inferiore se la prestazione dura meno di
dodici mesi). Naturalmente faranno eccezione i lavori
tipicamente stagionali (come quelli agricoli o alcuni nelle località
turistiche).
Verrà messo un tetto anche ai contratti a progetto e di lavoro
autonomo continuativo che rappresentino più di due terzi del
reddito di un lavoratore con la stessa azienda. Se questi
contratti avranno una paga annua lorda inferiore ai 30 mila
euro, saranno trasformati automaticamente in Cui. La riforma
dovrebbe anche prevedere l'introduzione di un salario minimo
legale stabilito da un accordo tra le parti sociali. Se non si
trovasse l'accordo, il salario minimo dovrà essere fissato dal
Cnel.
Verso il reddito minimo, ma si cerca la copertura
Oggi sono di tre tipi: cassa integrazione ordinaria, cassa
straordinaria e mobilità. L'obiettivo è quello di semplificare e
tornare alle origini: con la cassa integrazione ordinaria che
interviene solo per far fronte alle crisi cicliche e temporanee dei
settori.
Per le crisi strutturali e il sostegno a chi ha perso il lavoro
dovrebbe invece intervenire il reddito minimo di
disoccupazione. Una misura che esiste in molti Paesi
occidentali ma che è costosa. Soprattutto in fasi economiche,
come l'attuale, in cui la ristrutturazione delle aziende lascia
senza lavoro quote crescenti di lavoratori dipendenti. Ieri Monti
ha invitato a far procedere "di pari passo" la riforma degli
ammortizzatori sociali con quella dei contratti di lavoro.
Non sarà facile. Con poche risorse a disposizione e con
l'inasprimento dei requisiti per maturare il diritto alla pensione,
sarà già difficile utilizzare strumenti come la mobilità lunga, oggi
ampiamente sfruttati dalle aziende per ristrutturare scaricando
almeno una parte dei costi sull'Inps. E' comunque probabile che
il passaggio dalla mobilità al reddito minimo di disoccupazione
avvenga in modo graduale nel tempo risolvendo
contemporaneamente il problema dei molti che oggi si trovano
in mezzo al guado, con una mobilità lunga calcolata per
approdare a un'età pensionabile a sua volta allontanata dalla
nuova riforma previdenziale.
Ogni Paese ha la sua soglia per garantire i più deboli
In Italia non esiste un salario minimo, come invece si vorrebbe
introdurre con la proposta di riforma del lavoro di Boeri e
Garibaldi. Il salario minimo è contrattato a livello di categoria o
di azienda ed è quindi molto variabile. Ma esistono aree, come
quelle dei precari che lavorano a progetto, in cui del salario
minimo non c'è traccia. Non è così all'estero dove gli Stati
stabiliscono per legge qual è la paga oraria minima che un
datore di lavoro può corrispondere.
In genere si tratta di soglie che vengono rivalutate annualmente
agganciandole all'andamento dell'inflazione o alla dinamica del
Pil. L'obiettivo è comunque quello di stabilire un livello sotto il
quale non è consentito andare per far si che tutti i lavoratori
abbiano una paga in grado di mantenere una famiglia in
condizioni dignitose.
Ogni paese ha fissato quella soglia, a seconda del suo livello di
vita e dell'importanza che una nazione annette alla protezione
sociale della fasce più deboli della società. Così in Francia il
salario minimo è di circa 1.350 euro lordi mensili mentre in
Spagna è di circa la metà, 600 euro lordi mensili. Molto basso il
salario minimo brasiliano, l'equivalente di 237 euro lordi mensili.
Il salario minimo è cinque volte più alto in Inghilterra: 960
sterline, equivalenti a 1.150 euro.
Economia mondiale in crisi. "Domani ci sarà un nuovo incontro.
Per ora non ci sono rassicurazioni certe per la categoria". Così
il presidente di Uritaxi-3570 Loreno Bittarelli al termine
dell'incontro con il governo sul tema delle liberalizzazioni dei
taxi. "Dal governo - spiega - abbiamo avuto una disponibilità al
confronto. Domani porteremo un nostro documento. Abbiamo
visto il decreto nella parte che ci riguarda e ci sono molte cose
da contestare". In merito allo sciopero convocato per il 23
gennaio, Bittarelli ha detto: "è confermato e domani, dopo
l'assemblea al Circo Massimo, si deciderà".
Un incontro accompagnato, fuori Palazzo Chigi, da un presidio
dei conducenti delle auto bianche che hanno lanciato cori
contro il Governo Monti, fischi al passaggio di taxi guidati da
colleghi in servizio e anche alcuni petardi in via del Corso. "Non
siamo disposti a nessun compromesso, le licenze non si
toccano ", ripetono i tassisti arrivati anche da Napoli.
A causa del presidio sono state chiuse due strade che
costeggiano il Circo Massimo e via del Corso. Deviato
temporaneamente anche il servizio di trasporto pubblico in via
del Corso.
''Invito la questura di Roma alla massima fermezza. La maggior
parte dei tassisti che stanno facendo disordini nella capitale non
è romana. Vengono da altre parti d'Italia, dal Meridione'', ha
dichiarato il sindaco di Roma Gianni Alemanno, commentando i
disordini. ''Non è accettabile che le manifestazioni che si
svolgono nella capitale non siano autorizzate- ha aggiunto il
sindaco - Sono inoltre immotivate. Soprattutto adesso che è in
corso l'incontro con il governo''.
Anche i benzinai sul piede di guerra dopo le ipotesi di
liberalizzazione della rete carburanti. Figisc e Anisa
Confcommercio, infatti, hanno proclamato uno sciopero
nazionale su tutta la rete stradale ed autostradale di 7 giorni.
''Le modalità e le date precise saranno decise dagli organi
dirigenti delle due Federazioni nei prossimi giorni anche alla
luce dei provvedimenti che il Governo assumerà nel prossimo
Consiglio dei ministri ma sin d'ora sia chiaro che si tratterà di
una chiusura prolungata: sette giornate di chiusura degli
impianti'' annunciano Luca Squeri, il presidente nazionale della
Figisc, la federazione che riunisce i benzinai della rete
ordinaria, e Stefano Cantarelli, presidente nazionale della
Anisa, che associa i gestori delle aree di servizio autostradali.
''La posta in gioco -aggiungono- è talmente importante da non
consentire incertezze di sorta: ne va davvero dell'esistenza
della categoria"
“La scelta di intervenire sull'esclusiva di fornitura nella rete
carburanti -sottolineano Squeri e Cantarelli- non produrrà alcun
effetto sui prezzi, ma otterrà il risultato di far espellere i gestori
dalla rete alla scadenza dei loro contratti e di far rendere loro
dalle aziende petrolifere e dai retisti convenzionati la vita ancor
più impossibile fin da subito. Non solo, perché la norma che
autorizza gli impianti a funzionare 24 ore su 24 solo nella
modalità self service senza più la presenza dell'operatore e' un
altro grossissimo chiodo piantato sulla bara della categoria.
Insomma, ci vuole davvero coraggio a sostenere che queste
siano le misure di sviluppo necessarie a far uscire dalla crisi
economica il Paese”.
L'attacco contro i gestori non si può giustificare con l'obiettivo di
calmierare i prezzi dei carburanti, sostiene Squeri. “Da un anno
a questa parte -spiega- la responsabilità dell'aumento del
prezzo della benzina è dovuta per l'80% all'aumento delle
imposte deciso con le reiterate manovre sulle accise, mentre
l'aumento della materia prima ha inciso per il 20%. I costi di
distribuzione pesano sul prezzo finale circa per meno del 10%
(poco più del 2% lo percepisce il gestore, un importo fisso
qualunque sia il prezzo del prodotto), contro una quota di
imposte che vale il 60% del prezzo della benzina”.
La fretta di 'liberalizzare' questo settore, peraltro per la quarta
volta consecutiva, conclude Cantarelli, “è una mossa tutta
'politica' per dare una qualche risposta mediatica alle tensioni
sui prezzi. Insomma, dopo avere pescato a piene mani sulla
fiscalità dei carburanti (un anno fa i prezzi italiani della benzina
stavano al decimo posto in Eurolandia, oggi sono al primo
posto) si vuol fare intendere agli italiani di restituire loro
qualcosa scagliando il pallone nella rete del sistema distributivo
senza curarsi di chi se la prende direttamente in faccia”.
Contraria alla serrata l'Adoc per la quale la liberalizzazione del
settore potrebbe far risparmiare 200 euro l'anno per
automobilista. ''La liberalizzazione del settore carburanti è
necessaria e urgente, potrebbe far risparmiare circa 200 euro
l'anno ad ogni automobilista -afferma Carlo Pileri, il presidente
dell'Adoc- occorre operare una separazione netta tra chi
produce carburanti e chi li vende agli impianti e rendere il
mercato finalmente libero, dando la possibilità ai gestori di
vendere anche prodotti 'non-oil'''.
Inoltre, aggiunge Pileri, “una volta finita l'emergenza, riteniamo
sia opportuno rivedere la tassazione sui carburanti, ad oggi
eccessivamente gravosa per i consumatori. Per questo non
condividiamo ma, anzi, consideriamo assurdo lo sciopero
prolungato di una settimana indetto dai benzinai, che potrebbe
portare ad un'impennata speculativa, ed illegale, dei prezzi alla
pompa a ridosso delle giornate di sciopero”. Se così fosse
l'Adoc “non esiterà a denunciare ogni distributore che violerà la
legge, applicando prezzi fuori mercato ai consumatori”.
Orsa sul piede di guerra contro il dl privatizzazione; proclama
uno sciopero di 24 ore per tutto il personale addetto alla
circolazione dei treni dalle 21 del 26 gennaio alle 21 del 27
gennaio. "Un attacco al lavoro. Questo e' il decreto sulle
liberalizzazioni che il Governo Monti portera' in Parlamento la
prossima settimana", commenta il sindacato che si oppone
duramente ad un "provvedimento che cancella il diritto dei
lavoratori ad avere un contratto nazionale di riferimento ed
intende mettere una pietra tombale sul Ccnl della mobilita' che
da 4 anni impegna ferrovieri, autoferrotranvieri e sindacato in
una estenuante trattativa". Una "deriva delle tutele e dei diritti",
prosegue il sindacato, alla quale i ferrovieri rispondono con 24
ore di blocco totale dei treni " con cui riaffermare il primato della
socialita' del trasporto ed il diritto ad una mobilita' sostenibile
per tutti i cittadini italiani". E' giunta l'ora di una mobilitazione
senza precedenti che coinvolga non solo i dipendenti di RFI o di
Trenitalia, ma che sia patrimonio di tutte le maestranze del
ferro, perche' la liberalizzazione colpira' indistintamente le
capacita' di difesa del lavoro e del salario di ognuno di noi.
'Poveri' gestori di stabilimenti balneari, che possono contare su
un reddito annuo di soli 13.600 euro l'anno; va di poco meglio ai
tassisti che dichiarano 14.200 euro, mentre i giornalai arrivano
a 18.000 euro. In questa triste classifica i proprietari di farmacie
sono dei veri 'nababbi', con 109.700 euro l'anno. La categorie
che sono al centro del mirino del governo, che entro questa
settimana presentera' il pacchetto di liberalizzazioni, a guardare
i dati diffusi dal dipartimento delle Finanze relativi al 2009 non
se la passano molto bene.
Per gli ordini professionali gli affari non sembrano andare
meglio. Unica eccezione sono i notai, che nel 2009 erano 4.370
con un reddito pro capite di 310.800 euro. A guardare le tabelle
degli studi di settore si scoprono interessanti informazioni:
risulta piu' conveniente fare l'amministratore di condominio che
il commercialista, visto che alla fine dell'anno il primo porta a
casa 32.800 euro mentre il secondo arriva appena a 30.100
euro l'anno. Sopra si posizionano gli ingegneri con 44.600 euro,
gli avvocati con 58.200 euro e i medici con 68.300 euro. Per gli
psicologi va veramente male, infatti si fermano a 20.800 euro
l'anno, ma peggio ancora se la passano i veterinari, con 19.200
euro.
La lista dei 'poveri' non si ferma qui, anzi. Secondo le tabelle
del Mef i proprietari di alimentari arrivano appena a 17.100 euro
l'anno, mentre i macellai toccano i 17.800 euro, gli ambulanti
che vendono bibite e prodotti alimentari si fermano a 14.800
euro e i baristi a 15.800 euro. I commercianti di abbigliamento
scarpe e accessori non superano la soglia della no tax area,
fermandosi a 7.700 euro e i commercianti di elettrodomestici e
casalinghi arrivano a 11.900 euro. Sorprende anche la
dichiarazioni dei redditi dei gioiellieri, che arrivano a 16.000
euro l'anno, mentre i laboratori di analisti cliniche dichiarano
46.500 euro; ma peggio di tutti, secondo la classifica, se la
passano i centri benessere che a lavorare ci rimettono 5.300
euro l'anno.
«Non c'è una soluzione alla crescita che non guardi
all'occupazione, ma non c'è una risposta alla crescita che
guardi solo alla riforma del mercato del lavoro», così Susanna
Camusso ha spiegato il senso del documento comune di Cgil,
Cisl e Uil su lavoro, crescita, equità sociale e fiscale, da
presentare al governo. Una piattaforma comune di proposte su
lavoro, previdenza e liberalizzazioni. La «gravità della crisi» e le
«conseguenze su famiglie, giovani, lavoratori e pensionati
impongono un cambiamento della politica economica del
governo», affermano nel documento i primi tre sindacati italiani.
«Dopo tre anni di crisi, e con la prospettiva di un 2012 di
recessione», per Cgil, Cisl e Uil, «è necessario un piano
organico per dare sostegno all' occupazione». Servono «in
particolare» strumenti «rivolti ai giovani, alle donne, agli over 50
e al reimpiego dei lavoratori in cassa integrazione e ai
disoccupati, valorizzando con le necessarie correzioni gli istituti
esistenti che promuovono e incentivano il lavoro stabile».
Vanno assicurate «le risorse per gli ammortizzatori sociali in
deroga anche nel 2012», per poi arrivare successivamente «a
un riordino del sistema».
D'accordo con quasi tutto che ha detto Standard & Poors, e
quasi quasi avrebbe potuto scrivere lui il downgrading: «Se
avessi mai dettato qualcosa, sarebbe stato quel che S&P ha
detto sulla politica economica italiana, ma non avrei mai
pronunciato le parole BBB», ha detto Mario Monti in un'
intervista al , di cui nuovi stralci sono stati pubblicati in serata
sul sito del quotidiano. Il premier mercoledì sarà a Londra per
incontri con il primo ministro David Cameron e con gli investitori
della City: ma Monti sottolinea che tra i i fattori politici di rischio
indicati da S&P ce ne è uno negativo: «Le istituzioni politiche
europee con cui l'Italia è strettamente integrata». Il presidente
del Consiglio, che afferma di essere «l'unico in Europa che non
ha criticato le agenzie di rating», ricorda infatti che S&P non ha
cambiato il rischio politico per l'Italia ma ha affermato invece
che «l'indebolimento del clima politico a livello europeo è a un
certo livello controbilanciato da una forte capacità interna
italiana»
Berlino gela la richiesta di aiuto del governo di Roma per un
intervento coordinato sugli alti tassi di finanziamento che
frenano l'abbattimento del debito. Una proposta che Mario
Monti aveva avanzato prima dalle colonne di in una lunga
intervista rilasciata alla vigilia dell'incontro con Angela Merkel e
poi da quelle del . « La Germania è impegnata nel risolvere la
crisi del debito europea e il Cancelliere fa del suo meglio per
risolvere questa crisi ma alcuni Paesi, come l'Italia, devono fare
il loro lavoro» è stata la replica del capo consigliere economico
di Angela Merkel Wolfgang Franz, respingendo ancora una
volta l'opzione eurobond. Per Franz «l'Italia ha un'economia
molto forte, quindi può aiutare se stessa, anzi deve aiutare se
stessa. Io amo l'Italia, ci vado spesso - ha enfatizzato - e so che
loro possono fare da soli». E mentre anche Fitch si prepara a
declassare l'Italia e probabilmente altri paesi dell'eurozona, la
Bce ha continuato ad acquistare titoli sul mercato secondario,
un supporto valutato «tra i cento e i duecento miliardi di euro
negli ultimi mesi» da Maria Cannata, direttore generale del
Tesoro. La seconda scure sul rating potrebbe calare a fine
mese, mentre S&P ha comunicato i singoli downgrade delle
società italiane e francesi. Dalla semi-pubblica Cassa depositi e
prestiti italiana, alle Poste controllate dal Tesoro, all'Eni, ai big
delle assicurazioni, Generali e Unipol. Diretta conseguenza
della perdita della «tripla A» è stato l'abbassamento del voto di
alcune tra le principali pubbliche francesi: il colosso dell'energia
Edf, la rete di trasporto elettrico Rte e la compagnia ferroviaria
Sncf. La mannaia dell'agenzia internazionale ha colpito anche
la Bei, Banca europea investimenti, le cui prospettive sono ora
«negative» e altri declassamenti sono in arrivo nei prossimi
giorni per le aziende dei nove Paesi che hanno subito il taglio
del rating venerdì scorso. Mentre brucia ancora il taglio al fondo
salva-stati Efsf. David Riley, analista capo dell'agenzia di rating
Fitch intervistato da Giovanni Floris a «Ballarò» ha dato quasi
per certo il dafault della Grecia. Un rischio «remoto» per l'Italia il
cui problema «è la crisi di fiducia nell' eurozona. Il modo in cui
questa crisi viene gestita tra i politici e il mercato non è il
migliore per quanto riguarda l'Italia. I tassi d'interesse che il
Paese deve pagare pongono molta pressione sul budget e
sull'economia italiana - ha detto Riley -. Questa è una delle
ragioni per cui probabilmente ci sarà un declassamento nel
corso di questo mese».Quanto peserà la retromarcia
dell’economia europea - con la temuta, quasi certa, recessione
alle porte - sulla performance delle borse del Vecchio
Continente?E' la domanda chiave che si pongono in questo
inizio di gennaio i piccoli risparmiatori così come i grandi
investitori istituzionali. Perché dopo un 2011 dominato dalla
malattia dell’euro, in cui i principali listini europei hanno subito
perdite a due cifre, pure il 2012 potrebbe essere una
quaresima. La seduta inaugurale dell’anno in Piazza Affari si è
chiusa con un brindisi (+2,42%) e se va bene la prima secondo una cabala molto seguita a Wall Street - va bene tutto
l’anno. Funzionerà anche con la crisi del debito in corso? Gli
scenari ipotizzati dalle grandi banche d’affari per Milano e le
altre Borse d’Europa non sono univocamente a tinte fosche. E
gli strategist individuano settori e titoli che potrebbero diventare
delle isole (più o meno) felici in un mare tutt’altro che tranquillo.
Gli analisti del colosso statunitense Citi, ad esempio, puntano
prevalentemente sui settori difensivi come la salute, con società
come la tedesca Fresenius, la danese Novo Nordisk o la
britannica Glaxo. Ma anche sul largo consumo, ben
rappresentato da aziende come Imperial Tobacco e Reckitt
Benckiser, nei prodotti per l’igiene domestica. Promossi
dall’elvetica Ubs, incontriamo invece l’energia e l’industria
mineraria. In questo caso le compagnie europee, tra cui Eni e
Total, potrebbero beneficiare del buon andamento del settore a
livello globale piuttosto che da una crescita dei consumi
petroliferi dell’eurozona. Una scommessa centrata invece su di
un singolo Paese, la Gran Bretagna, ancora una volta nel
settore del largo consumo e delle bevande, viene da Credit
Suisse, i cui analisti, e non sono i soli, puntano sul
rafforzamento degli utili delle società locali riconducibile
all’indebolimento della sterlina e al conseguente aumento delle
vendite estere. Gli obiettivi di rendimento generali sugli indici,
anche scontando l’ipotesi di una (lieve) recessione rimangono
in ogni caso cautamente positivi. Il Credit Suisse prevede che il
DJ Stoxx delle grandi capitalizzazioni europee possa
raggiungere i 240 punti, dagli attuali 230, con un rialzo del 2-3%
(previsioni precedenti indicavano una soglia po’ più generosa a
255 punti). Maggiormente rialzista la previsione di Ubs, che
stima un valore di fine anno per l’indice DJ Stoxx a 260 punti,
con un apprezzamento di circa il 10%. Incredibilmente ottimisti,
date le condizioni generali europee, gli americani di Citi, che
fissano l’obiettivo dell’indice DJ Stoxx addirittura a quota 285,
con un rialzo di oltre il 20% rispetto alle quotazioni attuali. La
spiegazione del mistero, visto che lo strategist Adrian Cattley
reputa probabile un calo degli utili delle società europee di circa
il 10-15% nel prossimo anno, si riassume in una condizione di
fondo. «Non ci sarà una rottura dell’euro nel 2012, la
recessione non si trasformerà in depressione e assisteremo a
un recupero delle società a crescita e dei difensivi di buona
qualità», sostiene Cattley. In definitiva dunque le indicazioni
generali degli strategist tendono a convergere verso uno
scenario grigio, ma non troppo cupo, dove a subire variazioni
sono soprattutto le scelte sui singoli titoli piuttosto che sui
settori sui quali puntare. I difensivi di qualità che piacciono a
Ubs sono Nestlé e Tesco, nella distribuzione alimentare. Citi
sceglie invece Imperial Tobacco (ottima prevedibilità della
crescita degli utili per azione) e Anheuser Inbev (ha potere di
determinazione del prezzo nei mercati principali). Tra i titoli
finanziari, evitati come gli appestati del tardo medioevo, si
ammette qualche eccezione con le poche società in salute,
particolarmente tra gli assicurativi. E così gli americani di Citi
salvano la conglomerata Zurich Financial Services (alto
dividendo e basso rischio) mentre gli elvetici preferiscono la
compagnia di riassicurazione Swiss. L’accordo di consensus e
la media dei pareri riguarda anche i comparti da evitare. I ciclici
(con l’eccezione dell’industria mineraria), le auto e gli industriali
non dovrebbero godere di buona fortuna nel prossimo 2012.
Mentre fra i consumi di alta gamma gli analisti salvano Luxottica
(favorita dalla ripresa in Usa) o la francese Lvmh, fortissima sui
mercati emergenti. I numeri. 2,42% La prima seduta di Piazza
Affari è stata positiva. E anche le altre Piazze europee il 2
gennaio hanno guadagnato. Secondo una lunga teoria di
statistiche americane, quando il primo giorno va bene, anche
l’anno intero ha buone probabilità di riuscirci.-25% La perdita
registrata da Piazza Affari nel 2011. Si tratta del peggior
risultato tra le principali Borse occidentali. Ma anche gli altri
listini europei hanno subito perdite a due cifre
Crisi, l'allarme della Banca Mondiale. "Frena la crescita del pil
mondiale". Stime in calo da un +3,6% a solo +2,5%. Le difficoltà
dell'Eurozona e delle economie avanzate faranno rallentare nel
2012 investiranno anche le prospettive di aumento del Pil dei
paesi in via di sviluppo. La crisi del debito della zona euro frena
la crescita mondiale, investendo anche i paesi in via di sviluppo.
L'allarme arriva dalla Banca mondiale, che ha rivisto in negativo
le stime di crescita per il 2012. E probabilmente non finirà qui:
"Ci sono molto rischi - ammonisce l'istituto - fra i quali quello
che le nuove stime siano troppo ottimiste. Le ultime previsioni
dell'istituto sull'economia mondiale danno una crescita del Pil
planetario del 2,5% nel 2012, un calo dell'1,1% rispetto a
quanto previsto a giugno. Nel 2011 la crescita è stata del 2,7%,
mentre nel 2013 la situazione dovrebbe poi migliorare, e la
crescita attestarsi su un 3,1%. Motore del pil saranno
quest'anno le economie in via di sviluppo, che cresceranno del
5,4%. Per le economie avanzate la crescita sarà dell'1,4% e per
il pil di Eurolandia è prevista una contrazione dello 0,3%. "Il
rallentamento dell'economia è percepibile nella diminuzione
degli scambi commerciali a livello mondiale e nel calo dei prezzi
dei prodotti di base", afferma la banca Mondiale. Gli scambi
commerciali sono previsti salire del 4,7% nel 2012, contro il
+6,6% del 2011 e il +12,4% del 2010. "I paesi in via di sviluppo
devono prepararsi a nuovi shock con la crisi del debito nell'area
euro e il rallentamento della crescita delle grandi economie
emergenti" evidenzia l'istituto di Washington, riferendosi alla
Cina e al Brasile. I paesi in via di sviluppo hanno meno spazio
di manovra fiscale e monetaria rispetto al 2008-2009 per
combattere la crisi. Per questo "devono finanziare i loro deficit,
dare la priorità alle reti di protezione sociale e alle infrastrutture
e condurre stress test sulle banche nazionali".
Le prospettive per i paesi poveri sono favorevoli ma - evidenzia
la Banca Mondiale "se la crisi si intensifica nessuno sarà
risparmiato. E' necessario prepararsi al peggio". Secondo la
Banca Mondiale, in questo contesto, il tema della sicurezza
alimentare per i paesi più poveri è centrale. Per il rilancio
dell'economia italiana servono riforme «ben disegnate e
prontamente attuate». Così la Banca d'Italia nel Bollettino
Economico riferendosi alle misure strutturali che il Governo
Monti sta mettendo a punto per stimolare la crescita. «Se ben
disegnate e prontamente attuate, stimolando la capacità
potenziale di crescita del prodotto possono influenzare
positivamente le aspettative dei mercati e le decisioni di spesa
di famiglie e imprese» con riflessi positivi non solo sul lungo
periodo ma anche sui risultati del 2012 e 2013.. Le stime
sull'andamento del Pil italiano.Le prospettive dell'economia
italiana restano comunque pesanti con un 2012 in pesante
recessione (il Pil a -1,5%) e il 2013 a crescita zero. Questo è lo
scenario con lo spread Btp-Bund stabile a circa 500 punti e
restano le tensioni sul credito. Anche se «c'è il rischio che un
peggioramento delle aspettative, che determini un ulteriore
inasprimento delle condizioni dei mercati del debito sovrano e
del credito, possa portare a una flessione più accentuata». Un
ritorno dello spread fra Btp e Bund ai livelli della scorsa estate,
intorno ai 300 punti, contro gli attuali 500, permetterebbe
all'economia italiana di «riprendersi più rapidamente» con un
calo del Pil che si all'1,2% nel 2013 e una crescita dello 0,8%
nel 2013 secondo la Banca d'Italia.
L'effetto delle manovre sui conti pubblici Le tre manovre
correttive varate tra luglio e dicembre hanno ricondotto sotto
controllo i conti pubblici italiani. In particolare, il Bollettino
economico della Banca d'Italia stima che il rapporto tra deficit e
Pil si sia collocato al 3,8% quest'anno, in netto calo rispetto al
4,6% del 2010, e in linea con le previsioni del Governo.
L'incidenza del debito sul prodotto, pari al 118,4% nel 2010 si
sarebbe invece collocata in prossimità del 120%, con un
incremento inferiore a quello stimato per la media degli altri
Paesi dell'area euro. Gli interventi consentiranno inoltre di
conseguire nel 2013 un avanzo primario nell'ordine del 5% del
Pil e una prima riduzione del rapporto debito/Pil. Se lo spread
scenderà, Bankitalia ritiene possibile nel 2013 un ritorno del
rapporto debito/Pil sui livelli registrati nel 2010 e il sostanziale
conseguimento del pareggio di bilancio.
La fuga dei capitali esteri dai BTP. L'emorragia di capitali esteri
dal debito pubblico italiano nei primi dieci mesi del 2011 è stata
di 22,1 miliardi, a fronte di investimenti netti per 65,4 miliardi nel
2010. Per contro i residenti in Italia hanno «quasi azzerato gli
acquisti netti di titoli azionari esteri (pari a 3,8 miliardi, da 41
nello stesso periodo del 2010) e hanno disinvestito obbligazioni
estere per 24,9 miliardi». Di maggiore fiducia ha beneficiato il
comparto azionario, con gli investitori non residenti che hanno
effettuato acquisti netti di titoli azionari italiani (per 7 miliardi
contro 0,7 miliardi nel 2010).
Serve la piena operatività ai nuovi strumenti europei. Secondo
Bankitalia è urgente riportare la stabilità finanziaria in Europa
mettendo in atto tutte le nuove regole di governo economico
dell'Unione. «Negli ultimi mesi del 2011 le tensioni sul debito
sovrano nell'area dell'euro si sono inasprite, estendendosi a
molti paesi dell'area e assumendo rilevanza sistemica» si legge
nel bollettino. La Banca d'Italia chiede a questo proposito una
«urgente operatività degli strumenti europei per la stabilità
finanziaria» quali i due fondi salva stati Efsf e Esm.
Allarme crediti deteriorati Per quanto riguarda il settore
creditizio, via Nazionale segnala il forte rischio che aumentino
dei crediti in sofferenza a causa della contrazione dell'attività
economica e l'aumento dei tassi praticati dalle banche.
«L'evoluzione della qualità del credito presenta significativi
rischi di peggioramento» si legge nel Bollettino che aggiunge
come l'esposizione delle banche nei confronti dei debitori per la
prima volta in sofferenza ha ripreso ad aumentare in ottobre e
novembre raggiungendo livelli «significativamente superiori»
allo stesso periodo del 2010.
Ossigeno dalle maxi-aste Bce. Tuttavia nel bollettino si
segnalano gli effetti positivi che stanno registrando le misure
straordinarie (le maxi-aste a 36 mesi ndr.) messe in campo
dalla Bce. «La possibilità per le banche di fare ampio ricorso
alle nuove operazioni di rifinanziamento - si legge nel Bollettino
- attenua le difficoltà all'offerta di credito all'economia».
Europa nella crisi.
"La situazione è molto grave e non dobbiamo nascondere
questo dato di fatto". E' quanto ha detto il governatore della
Bce, Mario Draghi, intervenendo davanti alla Commissione
affari economici e monetari del Parlamento europeo a
Strasburgo, nella sua veste di presidente del Comitato europeo
sul rischio sistemico.
"Quando il mio predecessore Jean-Claude Trichet si è rivolto a
questa commissione a ottobre - ha ricordato Draghi nel suo
intervento a Strasburgo - ha detto che questa crisi che aveva
raggiunto dimensioni sistemica. Da allora è peggiorata, la
situazione è molto grave e non dobbiamo assolutamente
nasconderlo". Il presidente della Bce ha sottolineato come
"negli ultimi mesi del 2011 la situazione di incertezza dei debiti
sovrani, insieme con le prospettive di crescita stagnante, hanno
portato a distorsioni gravi dell'economica reale". Serve "attuare
tempestivamente le decisioni che sono state prese" al vertice
europeo, in particolare per quanto riguarda "l'Efsf e l'Esm", ha
detto ancora il presidente della Bce.
Riferendosi alle agenzie di rating, Draghi ha fatto osservare che
"dobbiamo imparare a vivere non senza di loro, ma con loro,
dando un potere molto più limitato di quello che hanno
attualmente".
A tre giorni dal downgrade da parte di Standard & Poor's di
nove Paesi europei, il presidente della Bce ha sottolineato la
necessità di "aumentare la concorrenza fra le agenzie di rating".
"Non abbiamo concorrenza, qualsiasi cosa facciamo per
aumentarla è positiva", ha precisato Draghi. "Noi, in quanto enti
di regolamentazione, dovremmo procedere senza rating o,
quantomeno, dovremmo imparare a valutare il valore del
credito considerando le agenzie una delle tante componenti di
questa informazione, non dovremmo dipendere al 100%" da
loro.
E proprio mentre Draghi parlava, è arrivato lo stop alla tripla A
anche per il fondo 'salva Stati' europeo da parte di Standard &
Poor's. L'agenzia di rating ha tagliato il rating dell'European
Financial Stability Facility (Efsf) a 'AA+' da 'AAA'. E per il
presidente della Bce, in questo caso, sarebbero necessari
"contributi aggiuntivi da parte dei Paesi con la tripla A" (lo ha
detto prima ancora di venire a conoscenza della notizia).
Sull'annuncio di Standard & Poor's è intervenuto il presidente
dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker facendo osservare che la
decisione "non ridurrà la sua capacità di prestito di 440 miliardi
di euro. L'Efsf - ha continuato - ha mezzi sufficienti per
rispettare i suoi impegni sulla base degli attuali programmi di
aggiustamento e di possibili futuri e continuera' ad essere
sostenuto da garanzie incondizionate ed irrevocabili da parte
dei Paesi membri dell'area euro".
Tornando al discorso del governatore della Bce, secondo
Draghi le politiche dei governi dell'Eurozona per il
consolidamento dei conti pubblici hanno dimostrato "sviluppi
incoraggianti, tendenze incoraggianti". Ma il consolidamento dei
conti pubblici avrà "inevitabili effetti recessivi nel breve termine",
provocherà "una contrazione della produzione". Insieme al
consolidamento fiscale restano comunque due principali
obiettivi da perseguire: crescita e occupazione. "Crescita e
stabilità fiscale si integrano, perché non ci può essere stabilità
senza crescita e non ci può essere crescita senza la
sostenibilità dei conti pubblici", ha concluso.
E' stato rinviato il vertice trilaterale tra il premier Mario Monti, il
presidente francese, Nicolas Sarkozy, e la cancelliera tedesca,
Angela Merkel, in programma per il 20 gennaio prossimo a
Roma. Lo si apprende da fonti di Governo. La richiesta di un
rinvio sarebbe giunta da Sarkozy a causa di importanti impegni
interni. Al momento, sono in corso contatti per definire una data
e le modalità in vista di un nuovo incontro. Proprio il presidente
francese da Madrid ha anticipato la notizia dello slittamento del
trilaterale.
Intanto, incontro oggi a Palazzo Chigi tra il presidente del
Consiglio, Mario Monti, e il presidente del Consiglio europeo,
Herman Van Rompuy. "Van Rompuy ha espresso fiducia per
quello che l'Italia sta facendo a livello interno e per l'Europa", ha
detto il premier.
L'agenzia di rating Standard & Poor's ha sottolineato ''con molta
forza la positiva azione del governo italiano'', ha poi evidenziato
Monti. Ma, ha aggiunto, ''si addita d'altra parte l'insufficienza
della governace europea come ragione di rischio per l'intera
zona''.
Riguardo alle liberalizzazioni, il premier ha dichiarato: ''Ho
presentato al presidente Van Rompuy i progressi che stiamo
realizzando nella condotta dell'economia italiana sia con
decreto legge di dicembre sia con le misure di maggiore
concorrenza che ci accingiamo a prendere questa settimana''.
Quello del 30 gennaio sarà un Consiglio europeo ''molto
importante'', ha poi sottolineato Monti, che ha riferito di aver
avuto con Van Rompuy ''una conversazione molto approfondita''
sia su quanto sta facendo l'Italia in materia di politica
economica interna e a livello europeo sia sulle imminenti
scadenze comuni europee. I due temi della crisi europea e
dell'impegno italiano, ha rilevato il premier, "sono sempre più
strettamente legati". ''Sarà un consiglio molto importante perché
dovrebbe vedere la discussione sulle conclusioni del 'fiscal
compact' e una grande attenzione alle questione dello
sviluppo", ha detto Monti.
La mia missione a Londra è "fatta per unire e non per dividere",
ha poi precisato Monti, in merito alla visita nella capitale
britannica di mercoledì. Con Van Rompuy ''ci siamo trovati
d'accordo sulla necessità di ridurre la divaricazione tra l'Ue e il
Regno Unito", ha aggiunto.
Van Rompuy da parte sua ha dichiarato, nella conferenza
stampa congiunta, che "con Monti c'è convergenza di vedute",
parlando di lavoro "straordinario" e "impressionante" per il
risanamento dei conti e la crescita.
Commentando ''il pacchetto di liberalizzazione dell'economia''
illustrato dal Monti, Van Rompuy ha indicato come ''cruciale'' sia
l'adozione di queste misure'' per la fiducia. "Sono sicuro che i
risultati dei primi centro giorni del suo mandato saranno ancora
più straordinari di quanto già ottenuto", ha aggiunto.
''Occorre focalizzare l'attenzione su crescita e lavoro'', ha
sottolineato. ''Serve - ha detto - una strategia anti recessione''.
"L'agenda dell'Italia è l'agenda dell'Europa, non c'è differenza",
ha dichiarato il presidente del Consiglio Ue, sottolineando che
"l'Italia sta andando nella giusta direzione".
"Entro fine mese concorderemo il nuovo Trattato per il fiscal
compact che sarà firmato entro marzo", ha annunciato,
spiegando che il nuovo fondo Esm entrerà in vigore a "luglio,
prima del previsto". ''Stiamo lavorando anche per aumentare le
risorse del Fondo Monetario Internazionale e a questo
proposito i membri dell'eurozona hanno annunciato un
contributo di 150 miliardi di euro'', ha aggiunto Van Rompuy,
sottolineando che "il rafforzamento di questi strumenti è cruciale
per ripristinare la fiducia dei mercati''.
Occorre "evitare la stretta creditizia delle nostre economie", ha
proseguito. Per il presidente del Consiglio europeo è
"necessario facilitare i prestiti" allo scopo di agevolare il lavoro
delle imprese. In particolare, ha detto, "occorre mobilizzare le
risorse nel modo più efficace possibile, per facilitare l'accesso
delle piccole e medie imprese al capitale di rischio".
"La maggiore preoccupazione è stimolare l'occupazione", ha
detto Van Rompuy, sottolineando che "nell'Ue ci sono già 23
mln di disoccupati" e che "il rallentamento dell'economia rischia
di aumentarne il numero". La disoccupazione in Europa
colpisce principalmente "donne e giovani". "Abbiamo bisoglio di
un maggior numero di posti di lavoro e di migliore qualità", ha
concluso, spiegando che bisogna dare "una speranza" a chi
non ha un'occupazione.
La zona euro ''avrà da lottare ancora per un po'''. In un'intervista
a Deutschlandfunk, Angela Merkel ammette che ''gli investitori
non hanno ancora recuperato piena fiducia''. Ma le misure
adottate in Italia e in Spagna, precisa la cancelliera, ''sono
convincenti sul medio periodo per i mercati''.
il problema aperto, avverte Merkel, è quello della
''ricapitalizzazione delle banche, che dovrà avvenire entro
giugno''. Le banche ora però sanno già di poter ottenere nuovi
capitali.
A questo proposito, ''un'importante misura di sostegno, che ha
certamente contribuito alla stabilizzazione della zona euro, e
che ha mostrato il suo effetto anche nel collocamento dei bond
italiani e spagnoli è stato l'intervento della Banca centrale
europea''.
Quanto alla Grecia, il problema non è solo ''di liquidità, a breve
termine''. Merkel precisa che ''sono talmente tanti i debiti che il
paese non può uscirne con le proprie forze''. La Grecia quindi
potrà ''tornare sul mercato'' solo quando il suo debito avrà
raggiunto i livelli di quello italiano, al 120 per cento del pil. E per
arrivare a questo traguardo, previsto nel 2020, bisogna però
cancellare il 50 per cento del debito, e per farlo, sottolinea
Merkel, ''ci vorrà ancora molto tempo''.
''E' vero che il problema della Grecia non è ancora
definitivamente risolto'', afferma la cancelliera alla
Deutschlandfunk. ''E' però urgente risolvere la crisi della Grecia,
che ha un impatto sulla zona euro'', precisa, rimarcando
comunque che ''ci vorrà del tempo anche prima che l'effetto
delle riforme strutturali possa dare crescita''.
A intervenire è anche Nicolas Sarkozy. "La crisi può essere
superata a condizione che abbiamo la volontà collettiva" e "il
potere di riformare il nostro Paese" è il messaggio lanciato oggi
dal presidente francese, aggiungendo, come riferisce Le Figaro,
che parlerà ai francesi "alla fine del mese" per annunciare
"decisioni importanti che dobbiamo prendere senza perdere
tempo".
Spagna e Italia sono tra i Paesi più vulnerabili ai rischi sistemici,
con la possibilità di un "immediato peggioramento" della
situazione economica. E' quanto dichiara Moritz Kraemer,
managing director di S&P per il debito sovrano dell'Europa, a
commento delle decisioni di ridurre il rating.
S&P ieri ha infatti declassato il debito di nove paesi europei, tra
cui Francia e Austria, che sono stati spogliati dei loro pregiati
rating di altissimo livello, la tripla A.
L'agenzia di rating americana ha confermato oggi di ritenere
che vi sia un 40 per cento di possibilità di recessione nella zona
euro, la cui economia potrebbe contrarsi fino all'1,5 per cento
quest'anno.
"Prevediamo una recessione con una probabilità del 40 per
cento per quest'anno", ha spiegato il managing director di S&P
Moritz Kraemer. "Questo potrebbe portare ad una contrazione
dell'economia della zona euro di circa l'1,5 per cento."
L'agenzia ha avvertito i paesi della zona euro che i loro sforzi
per combattere la crisi del debito sono troppo concentrati sulla
riduzione del debito.
L'agenzia di rating ha elogiato la risposta flessibile della Banca
centrale europea, che ha impedito il deterioramento della crisi
del debito sovrano. ''La Bce è stata in grado di dare almeno una
risposta con le sue misure'', ha detto Kraemer.
I politici, al contrario, non offrono risposte "alle crescenti sfide
poste dalla crisi", ha aggiunto. Poco prima di Natale, la Bce ha
immesso sul mercato quasi 500.000 milioni di euro in prestiti a
tre anni. La misura mira a prevenire una carenza di liquidità e
incoraggiare i prestiti alle imprese e alle famiglie.
Si chiama Capital World Investment, scrive Monya Longo su Il
sole 24 ore. Si tratta di una delle maggiori società di gestione
del risparmio americane. E alla domanda più ricorrente di questi
giorni, cioè «chi sta dietro le agenzie di rating?», può
permettersi di alzare non una ma due mani. Capital World
Investment è infatti contemporaneamente il primo azionista di
Standard & Poor's (detiene il 10,26% della casa madre McGraw
Hill) e il secondo maggiore socio di Moody's (con il 12,60%).
Moody's e S&P sono concorrenti sul mercato, certo. Ma a
Capital World Investment non importa: ha comprato 28 milioni
di azioni della prima e 30 milioni della seconda. Giusto per non
rischiare di sbagliare, ha puntato su entrambi i cavalli.
La stessa filosofia ha guidato Vanguard Group, i fondi
Blackrock, State Street e molti altri: tutti questi grandi investitori
Usa ‐ secondo i dati Bloomberg ‐ figurano infatti tra i principali
azionisti sia di Moody's, sia di S&P. Insieme a tanti altri fondi o
banche. Questo crea, potenzialmente, un cortocircuito: tutti
questi investitori sono da un lato azionisti dei due big del rating,
ma dall'altro sono anche utilizzatori dei loro stessi rating quando
acquistano obbligazioni sul mercato. Il conflitto di interessi è
evidente. Le possibili pressioni anche. I big del rating ‐ ha
sentenziato ieri il commissario europeo Olli Rehn ‐ «giocano
secondo le regole del capitalismo finanziario americano».
Ovvio, si potrebbe aggiungere: hanno l'intero capitalismo
finanziario americano come azionista...
Errori e conflitti di interesse. Che i colossi del rating siano intrisi
di conflitti di interesse è risaputo. Il più noto è legato al fatto che
Moody's S&P e Fitch sono pagati dalle stesse società che
devono valutare. Questo solleva da sempre sospetti di ogni
genere: in tanti sono convinti che le agenzie di rating abbiano
per esempio assegnato alle cartolarizzazioni di mutui americani
voti troppo benevoli proprio per 'coltivare' i propri clienti. Per
compiacerli. Per tenerli buoni. Le agenzie di rating si sono
sempre difese su questo fronte: Moody's e S&P valutano
insieme più di due milioni di società, Stati o prodotti strutturati.
Questo rende quasi ininfluente ‐ secondo la loro difesa ‐ la
singola commissione percepita per il singolo rating. Sta di fatto
che il conflitto resta. E che ogni errore, anche quando
commesso in buona fede, sarà sempre guardato con
dietrologico sospetto.
Ma quello degli azionisti è forse il conflitto più macroscopico: i
grandi soci di Moody's e S&P, come visto, sono in gran parte i
fondi che usano i rating per investire, oppure sono banche che
alle stesse agenzie chiedono un voto quando devono emettere
obbligazioni. Questo conflitto è stato sollevato anche dalla Sec,
l'Autorità di vigilanza Usa, che lo scorso settembre ha
segnalato: «Due delle maggiori agenzie non hanno specifiche
procedure per gestire il potenziale conflitto di interessi quando
una società loro azionista chiede un rating». È vero che S&P ha
declassato anche il rating Usa (sollevando l'ira di Obama), ma
tutti questi conflitti irrisolti sollevano in molti le più disparate
teorie del complotto.
Opinioni troppo pesanti
Si potrebbe obiettare che nel mondo della finanza nessuno è
privo di conflitti di interesse. Le banche ne hanno molti di più:
quando l'analista di una grande investment bank esprime un
giudizio su qualche società quotata in Borsa (anche solo i
consigli di comprare o vendere le sue azioni), è forte il sospetto
che lo faccia perché la sua banca è creditrice di quella stessa
società. Quando l'economista di una banca si esercita in
previsioni sull'economia di vari Paesi, è altrettanto forte il
sospetto che la stessa banca per cui lavora abbia
un'esposizione su quello stesso Paese. Eppure nessuno si
scompone quando Morgan Stanley, oppure Goldman Sachs,
effettuano previsioni sull'Italia o sulla Francia.
Perché invece i tanto vituperati giudizi di Standard & Poor's,
Moody's o Fitch sollevano così tante reazioni? La risposta è
semplice: perché quei voti che le agenzie di rating assegnano,
vanno a condizionare le politiche d'investimento di tutti i fondi
del mondo. Insomma: perché le decisioni delle agenzie di rating
‐ giuste o sbagliate che siano ‐ vanno a creare una serie di
effetti automatici a catena che rischiano di avvitare la crisi.
Ecco perché. I fondi operano sulla base di mandati molto stretti:
alcuni di loro, per esempio, possono comprare solo obbligazioni
con un rating superiore alla 'Tripla B'. Quando un bond viene
declassato, e il suo rating scende sotto quella soglia, tutti questi
fondi sono dunque costretti a venderlo. È così che la decisione
di un'agenzia di rating ‐ cioè un'opinione ‐ va a condizionare,
nello stesso momento, le decisioni di milioni di investitori in tutto
il mondo. Forse, dunque, il problema è tutto qui: possibile che il
rating sia, in tutto il mondo, il parametro principale su cui basare
gli investimenti?
Il panico sta iniziando a travolgere l’Eurozona, scrive Philippe
Legrain. Italia e Spagna sono entrate in un vortice. Il Belgio sta
scivolando in una zona pericolosa. Mentre la Francia viene
trascinata verso il basso, il crescente gap tra i suoi rendimenti
obbligazionari e quelli della Germania sta mettendo a dura
prova la partnership politica che per sei decenni ha guidato
l’integrazione europea.
Anche i falchi dell’Eurozona come la Finlandia e l’Olanda
stanno respingendo con forza la risacca. Le banche stanno
lottando per restare a galla – il loro capitale mostra una lieve
tendenza al rialzo man mano che esauriscono i fondi – mentre
le imprese che si affidano al credito si trovano nei guai. Sono
tutti i segnali che indicano una recessione dell’Eurozona.
Se trascurato, questo panico sulla solvenza sovrana prenderà il
sopravvento: esattamente come una banca sana può fallire se
va incontro a qualche sventura, anche il governo più meritevole
di credito è a rischio se il mercato si rifiuta di rifinanziare il
proprio debito. A stento si possono immaginare le
conseguenze: default bancari e sovrani in picchiata, una
depressione devastante, il collasso dell’euro (e forse anche
dell’Unione europea), contagio globale e caos politico
potenzialmente tragico. Perché allora i policy maker non stanno
facendo tutto il possibile per evitare la catastrofe?
Da quando i rendimenti obbligazionari italiani hanno registrato
per la prima volta una frenata all’inizio di agosto, ho creduto che
solo un sostenuto impegno da parte della Banca centrale
europea per mantenere i rendimenti obbligazionari dei governi
solventi a tassi sostenibili avrebbe potuto placare il panico e
dare il giusto respiro per attuare riforme in grado di ripristinare
la fiducia. Qualsiasi cosa accaduta da allora non ha fatto che
confermare questa visione.
Ora che la crisi ha toccato il cuore dell’Eurozona, le risorse
necessarie a proteggere gli Stati sovrani più deboli superano i
limiti della capacità fiscale di quelli più forti. L’abilità finanziaria
non può nascondere che, lanciando una grande ancora di
salvezza, rischia di trascinare qualcuno verso il basso. Caricare
tutti sulla stessa zattera di salvataggio – mediante eurobond
garantiti solidalmente dagli Stati membri – non è al momento
una soluzione fattibile a livello legale e si rivelerebbe tossica dal
punto di vista politico se attuata prematuramente. Né tanto
meno una crisi sistemica può essere risolta con le azioni dei
singoli governi – soprattutto perché il panico sta travolgendo la
capacità di reazione dei politici. Solamente la Bce dispone ora
dei mezzi per salvare l’Europa dall’abisso.
La Bce avrebbe delle valide ragioni per agire: garantire il
corretto funzionamento della politica monetaria, prevenire una
depressione che causerebbe deflazione, ed evitare il crollo
dell’euro. Eppure sinora si è rifiutata di farlo, nascondendosi
dietro una foglia di fico legale.
Va premesso che l’Articolo 123 del Trattato di Lisbona proibisce
alla Bce di acquistare bond direttamente da enti pubblici, ma
concede ad essa di intervenire sul mercato secondario. Da
tempo la Bce agisce in tal modo mediante il Securities Market
Program (SMP). Dove si dice nel Trattato che è proibito
estendere l’SMP? In effetti, un impegno credibile e illimitato per
contenere gli spread sui tassi di interesse richiederebbe un
minor numero di acquisti di quanto non faccia ora il temporaneo
e limitato programma della Bce.
Purtroppo molti tedeschi, soprattutto della Bundesbank,
detestano l’idea di un intervento della banca centrale, perché
evoca le memorie del 1923, quando la Reichsbank stampava
moneta per finanziare i prestiti contratti dal governo, la
conseguente iperinflazione distruggeva i risparmi della classe
media, e un decennio dopo Hitler saliva al potere. Eppure i
tedeschi dovrebbero ricordare che a spianare il terreno ai
nazisti fu di fatto il panico finanziario provocato dal collasso
della banca austriaca Creditanstalt, il conseguente tracollo e
un’errata valutazione da parte dell’establishment politico
tedesco.
Invece di impedire l’azione, la storia la giustifica. Inoltre, non vi
è ragione di farsi prendere dal panico per l’inflazione quando la
crescita monetaria è bassa, il credito bancario si contrae e le
persone mettono da parte i soldi invece di spenderli. Per di più,
qualsiasi acquisto della Bce potrebbe continuare a non dare gli
effetti desiderati.
Un’altra obiezione risiede nel fatto che gli interventi della Bce
allenterebbero la pressione sul nuovo Governo formatosi in
Italia e in Spagna per attuare le riforme. Eppure, stando alla
situazione attuale, coloro che si occupano di riforme non hanno
tempo di stabilire le proprie credenziali, e se l’Eurozona
collassa, si spalancherà la porta per gli estremisti populisti. Per
quale motivo, dunque, la Bce non stringe un accordo con i
Governi solventi per mantenere bassi i tassi fintanto che essi si
atterranno ai programmi di riforma?
I leader dell’Eurozona potrebbero delineare una tabella di
marcia per gli Eurobond, soggetta a rigide condizioni e legata a
un meccanismo credibile atto a garantire la prudenza fiscale.
Tale scenario offrirebbe, da un lato, un ulteriore incentivo ai
governi che desiderano avere i requisiti necessari per introdurre
le riforme, e dall’altro garantirebbe alla Bce e ai mercati il fermo
impegno da parte dei governi di far funzionare l’euro.
Tempi eccezionali richiedono misure eccezionali – e credo che
la Bce si sentirà obbligata ad agire se l’Eurozona si spingerà
sull’orlo del precipizio. Più la Bce prenderà tempo, maggiori
saranno le ripercussioni sull’occupazione e sui risparmi, più
profondi saranno i danni alla fiducia degli investitori nel sistema
finanziario dell’Eurozona, e maggiore sarà il rischio di una
catastrofe. È giunto il momento di agire.
E' l'economia, stupido.Settimana cruciale per l'Italia che affronta
oggi il temuto giudizio dei mercati dopo i downgrading di S&P.
Forte delle parole di incoraggiamento della cancelliera tedesca,
Angela Merkel, sicura che ce la potremo fare ''a convincere'' le
piazze finanziarie, Mario Monti si prepara ad una serie di
incontri decisivi a livello europeo ed inaugura quello che da
domani potrebbe essere il nuovo metodo di lavoro con le forze
che sostengono l'esecutivo. Un inedito tavolo a quattro, con i
leader di Pdl, Pd e Terzo Polo, Alfano, Bersani e Casini, per
avviare un percorso di confronto sull'Europa che potrebbe
essere l'anticamera di un confronto condiviso piu' generale.
Dopo una domenica di lavoro a palazzo Chigi con il
sottosegretario Catricala', Monti domani avviera' una serie di
incontri con le istituzioni europee e con i primi ministri di Gran
Bretagna, Francia e Germania per chiarire il punto di vista e il
percorso che l'Italia intende seguire. E, proprio per non dare
alibi ai mercati e alle agenzie di rating che speculano sulla
natura e possibile durata del governo, il premier incontrera'
all'ora di pranzo anche i leader dei principali partiti che
sostengono il governo. Con Alfano, Bersani e Casini, Monti
intende mettere a punto le linee di quella che sara' ufficialmente
la posizione dell'Italia in Europa, una linea nazionale che dovra'
essere unitaria, condivisa e, soprattutto, certificata il prima
possibile in Parlamento. Monti sederà al tavolo con i
rappresentanti di Pdl, Pd e Terzo Polo subito dopo aver
incontrato il presidente permanente del Consiglio Ue Herman
Van Rompuy: e nel menu' non ci sara' soltanto il punto sulla
strategia europea da seguire dopo i giudizi negativi ad opera
delle agenzie di rating. Collegato a questi temi c'e', infatti,
quello centrale della crescita e dello sviluppo e, quindi, anche
quello delle liberalizzazioni. Sulle quali il governo intende
rispettare il calendario che prevede il varo di un provvedimento
per il 19. E su quel fronte non e' escluso che possano esserci
novita', a partire dalla riconsiderazione della possibilita' di
scorporare dall'Eni la rete gas di Snam. Un progetto su cui
insistono le forze politiche che chiedono di bilanciare gli sforzi
che verranno richiesti alle altre categorie. ''Noi contiamo che il
governo lo faccia perche' lo scorporo avrebbe effetti non solo
sul mercato ma anche politici e simbolici'', sostiene il finiano
Benedetto Della Vedova mentre per la rutelliana Linda
Lanzillotta ''occorre intervenire su grandi gestori di utilities, a
partire dal gas'' anche perche', sostiene il centrista Gianluca
Galletti, ''alla luce dei rating diventa indispensabile
un'accelerazione anche sulla qualita' degli interventi di
liberalizzazione''. Altre novita' sono attese sui farmaci, per i
quali potrebbe essere superata la misura prevista bozza a
favore di un sistema che preveda di affidare all'Aifa, l'agenzia
per il farmaco, l'identificazione di un elenco di farmaci di fascia
C vendibili nelle parafarmacie. Il tutto mentre sale la protesta
dei tassisti, dei medici di famiglia e dei rivenditori di carburante
e mentre verrebbero escluse modifiche sull'assegnazione delle
frequenze. Prima di procedere con il decreto, in ogni caso, il
governo dovrebbe ricontattare le forze politiche. Tra le quali il
Pd che punta a collegare le misure di liberalizzazione e di
crescita con interventi di politica industriale, incentivi e
investimenti.
''Non esiste una 'fase due' se non si parte dall'occupazione. Il
tema e' creare lavoro, far partire le infrastrutture, i cantieri pronti
ma bloccati da patti di stabilita'. Serve mettere a disposizione le
risorse che ci sono, e non ci stiamo immaginando che
improvvisamente piovono miliardi, perche' non ci sono''. E' il
messaggio al premier Mario Monti che il segretario della Cgil,
Susanna Camusso, ha lanciato nel corso di un'intervista su Sky.
La Banca centrale europea sta giocando un ''ruolo costruttivo''
nel contrastare la crisi del debito'', ha affermato il managing
director di Standard & Poor's Moritz Kraemer, aggiungendo che
''la Bce secondo noi ha adottato solide misure per evitare un
significativo capovolgimento della crisi, e ha fortemente
alleviato la crisi di finanziamento delle banche''. Secondo
Kraemer, invece, la risposta dei leader europei alla crisi ''non e'
stata in grado'' di fronteggiare i rischi.
L'abbassamento di due punti del rating dell'Italia è di certo un
duro colpo per il governo Monti, scrive Massimo Gaggi, che ha
ereditato una situazione difficilissima, ha adottato misure
correttive assai penose per i cittadini ma apprezzate in Europa,
e che da oggi si ritrova a dover percorrere un sentiero ancora
più stretto e pieno di insidie. Ma se la decisione annunciata ieri
sera da Standard & Poor's è una bocciatura dell'Italia - pur con
un apprezzamento per l'azione del governo Monti, mitigato però
dal timore che le sue riforme, definite ambiziose, vengano
frenate da un'opposizione politica -, il «declassamento di
massa» è una dichiarazione di sfiducia nell'euro. Dunque un
giudizio con una larga componente politico-istituzionale da
parte di un'agenzia di rating americana: cioè di un Paese da
sempre scettico sul destino della moneta unica, che negli eventi
degli ultimi mesi ha trovato la conferma della fondatezza dei
suoi dubbi. Reagire prendendosela con gli Usa o invocando
compartimenti stagni, con l'Europa giudicata da organismi di
valutazione europei, non avrebbe, però, senso: tra l'altro le
strutture di analisi di queste agenzie sono ormai globalizzate e
al «downgrading politico» non sono sfuggiti nemmeno gli Stati
Uniti che ne hanno subito uno sei mesi fa motivato con la
caotica gestione del debito pubblico da parte del Congresso.
Washington, poi, ha già ricevuto più di un avvertimento: presto
arriverà un'altra bocciatura, con motivazioni analoghe. Il nodo
vero è che questi giudizi, che dovrebbero servire a mettere in
allarme gli investitori segnalando loro rischi che non hanno
ancora percepito (adeguando di conseguenza i relativi
rendimenti), in realtà arrivano quando quelle preoccupazioni
sono ormai ampiamente diffuse nei mercati che hanno già
eseguito le loro correzioni: un intervento prociclico, che rischia
di portare a un eccessivo squilibrio della reazione di mercati fin
troppo reattivi, coi nervi messi a dura prova da quattro anni di
crisi durante i quali ha quasi sempre piovuto sul bagnato.
Negli Stati Uniti e anche in Europa sono stati fatti vari tentativi
di ridurre l'impatto di questi giudizi negativi. Ad agosto, dopo il
downgrading Usa, il Tesoro americano autorizzò le banche
locali a continuare a sottoscrivere titoli del governo federale
senza effettuare gli accantonamenti di bilancio richiesti quando
c'è un aumento del rischio. E le norme sui mercati finanziari
varate a Washington l'anno scorso riducono per molte emissioni
di bond l'obbligo di essere corredate dai giudizi di una pluralità
di agenzie. È, inoltre, aumentata l'attenzione sui conflitti
d'interesse che possono condizionare questi organismi. Ma alla
fine, trattandosi di società private, la soluzione verrà solo
dall'allargamento della platea degli operatori, superando
l'oligopolio S&PMoody's-Fitch. È il caso delle nuove agenzie
che stanno emergendo in America e anche di quella cinese
che, peraltro, Francia e Italia le aveva già declassate a
dicembre.
Tra il 2007 e il 2012, scrive Giorgio Barba, l'economia cinese è
cresciuta quasi del 60% e le nazioni emergenti dell'Asia nel loro
insieme quasi del 50 per cento. Nello stesso periodo, le
economie dei Paesi ad alto reddito sono cresciute di un misero
3 per cento. Chi può negare che nel mondo sia in corso una
trasformazione profonda? La velocità della convergenza del
reddito pro capite sta determinando una divergenza
eccezionale, in termini di crescita, fra incumbents e newcomers.
E la tendenza non si è fermata neanche di fronte alla crescita
debole dei Paesi ad alto reddito. Shock di enorme portata,
come quelli del 2008, influenzano i tassi di crescita delle
economie emergenti, e anche nel caso di un'implosione
dell'Eurozona ci sarebbero conseguenze: ma gli effetti
sembrano essere di breve durata.Se analizziamo in dettaglio la
crescita delle economie emergenti vediamo che l'Asia è la
regione più dinamica e anche quella che meno ha sofferto della
crisi globale del 2008-2009. L'Africa subsahariana segue a
ruota l'Asia, sotto entrambi i punti di vista; l'America Latina e
l'Europa orientale, invece, si sono dimostrate meno dinamiche e
più esposte a shock esterni negativi. E adesso che succederà?
Sostiene l'Istituto della finanza internazionale (un'associazione
di istituzioni finanziarie globali) nel suo ultimo Capital Market
Monitor: «L'interrogativo fondamentale per il 2012 è se le parti
più solide del sistema economico e finanziario globale – le
economie emergenti e il comparto non finanziario del settore
privato – siano sufficientemente robuste da assorbire l'impatto
potenziale dell'elevato rischio di credito per le economie
mature». Così come per i Paesi ad alto reddito, le previsioni di
crescita delle economie emergenti per il 2012 sono state riviste
al ribasso fin dall'inizio del 2011, ma senza sbalzi clamorosi. A
dicembre la previsione di crescita per la Cina era ancora
dell'8,3%, e del 7,5% per l'India. Più accentuato, ovviamente, è
stato il taglio delle previsioni di crescita per l'Europa centroorientale, soprattutto per via dei rischi nella zona euro. Anche in
America Latina lo scenario è meno incoraggiante di un anno fa.
Si tratta di stime verosimili. I rischi di sorprese in positivo sono
trascurabili per le economieergenti più importanti, considerando
che le previsioni indicano già una performance eccellente. Sì, la
Cina potrebbe crescere del 10% e l'India del 9%, ma non
sarebbe una gran sorpresa. Una sezione dei Paesi emergenti
che potrebbe sorprendere in positivo è l'Europa centroorientale, a patto che anche l'Eurozona se la cavi meglio di
quanto si paventa. Molto più rilevante è la possibilità di grosse
sorprese in negativo, soprattutto per la Cina, che ormai è
diventata una forza trainante potentissima per le altre economie
emergenti, in particolare i Paesi esportatori di materie prime.
Forse è questo il segnale che stanno inviando i mercati
azionari, con i forti cali degli indici a partire dall'estate dell'anno
scorso. Quali sono quindi i rischi credibili per i grandi Paesi
emergenti? Alcune delle vulnerabilità sono un prodotto della
crescita stessa. Lo sviluppo rende una società più mobile, più
esigente, più istruita e più informata. Cambia anche la natura
delle richieste: le persone più ricche sono portate a chiedere un
certo grado di autonomia personale e coinvolgimento nella vita
pubblica. Cambiano anche le priorità politiche: il reddito pro
capite della Cina ormai ha raggiunto livelli che in altri Paesi
hanno generato una forte attenzione per l'ambiente. Una
rivoluzione delle aspirazioni, rafforzata dalle nuove tecnologie
informatiche, rende più difficile per un Governo fare il bello e il
cattivo tempo, perfino in uno Stato a partito unico. C'è da
aggiungere che uno sviluppo rapido è quasi sempre squilibrato,
e la Cina non fa eccezione. I Paesi emergenti devono poi fare i
conti con vulnerabilità esterne. La più ovvia è il rischio di uno
shock di vastissime proporzioni nei Paesi ad alto reddito, che
probabilmente si irradierebbe dalla zona euro. Una
combinazione di default di Stati sovrani, fallimenti bancari e
addirittura uscita dall'euro di Stati membri importanti
provocherebbe sicuramente scompiglio. Se un evento del
genere, poco probabile e altamente distruttivo, dovesse
accadere, sarebbe a rischio la stessa apertura dell'economia
mondiale, e non solo a causa dell'Europa: l'atteggiamento
sempre più isolazionistico della destra americana potrebbe far
riemergere il tradizionale protezionismo Usa. Un punto cruciale
per le economie emergenti è l'accesso a risorse essenziali a
prezzi gestibili. Una delle novità più rilevanti dell'economia
mondiale è che le materie prime costano parecchio, nonostante
la debolezza della crescita nei Paesi ad alto reddito. Questo dà
la misura di quanto si siano trasformati gli schemi della crescita
economica globale. Uno shock importante sul mercato
petrolifero avrebbe effetti gravemente dirompenti, e
considerando quello che sta succedendo nel Golfo Persico non
è un'eventualità improbabile. Ricordiamoci però che i Paesi
emergenti hanno ancora grossi margini di recupero rispetto ai
livelli di produttività dei Paesi ad alto reddito. A parità di potere
d'acquisto, il reddito pro capite reale della Cina nel 2010 era
pari a poco più di un quinto di quello americano, quello
dell'India a meno di un decimo. Questi Paesi continuano a
godere di quelli che l'economista Alexander Gerschenkron ha
chiamato "i vantaggi dell'arretratezza". Molti dei paesi
emergenti, inoltre, sono ben posizionati per assorbire gli shock,
grazie a smisurate riserve di valuta estera, finanze pubbliche in
buono stato e un saldo con l'estero rassicurante. Sotto tutti
questi aspetti, la Cina è una fortezza. Grazie alla combinazione
fra potenzialità di crescita, spinta economica e gli strumenti
cautelativi appena elencati, la Cina potrà contare con ogni
probabilità su una crescita veloce, almeno nel breve termine.
Ma in un arco di parecchi anni gli shock negativi sono
probabili.Un altro interrogativo importante è se la crescita
sostenuta delle economie emergenti sia in grado di tirar fuori i
Paesi ad alto reddito dalle sabbie mobili in cui sono invischiati.
La risposta è no. La crescita dei Paesi ad altro reddito
continuerà a venire in gran parte dalla domanda interna.
Tuttavia, un ulteriore aggiustamento della situazione attuale
delle partite correnti certamente aiuterebbe.
Insomma, i Paesi emergenti, guidati dall'Asia, probabilmente
nel 2012 continueranno a crescere a ritmi sostenuti, come
hanno fatto nel 2010 e nel 2011. Per il benessere dell'umanità è
importantissimo. Tuttavia, i Paesi emergenti non sono immuni a
disastri poco probabili ma altamente distruttivi: interni, esterni o,
più verosimilmente, l'uno e l'altro. Sono dotati di ammortizzatori
importanti contro gli shock, ma non è detto che questi
ammortizzatori saranno sempre sufficienti. Inoltre, i Paesi
emergenti non saranno in grado di fare da traino per ricondurre
alla crescita i Paesi ad alto reddito. Le nazioni ricche se la
dovranno cavare con le proprie forze. È quello che dicono i
leader delle economie emergenti. E hanno ragione. E se l'Italia
si mettesse a crescere come un Paese emergente? Perché mai
la nostra economia non potrebbe correre? Anche le più
ottimistiche stime, prima dell'esplosione estiva dei debiti
sovrani, prevedevano al massimo un misero 1% (Fmi, giugno
2011), il passo di un serpente non proprio di un leopardo. Certo,
essendo ricchi, il nostro potenziale è inferiore a quello di
Brasile, Cina o India. Ma perché non potremmo crescere
almeno come le economie avanzate più dinamiche, avvicinare il
3% della Germania o addirittura il 4% americano dei tempi d'oro
di fine anni Novanta? La domanda va al cuore del patto sociale
implicito in cui si radica l'azione del Governo Monti: rigore e
riforme in cambio di stabilità finanziaria e crescita. Se l'aumento
del reddito è il dividendo del patto sociale, è utile capire quanto
sarà sostanzioso. L'esecutivo ha stimato al 2% all'anno l'effetto
delle liberalizzazioni e delle semplificazioni. Se si tiene conto
delle implicazioni dinamiche l'impatto dell'azione del Governo
potrebbe essere ben maggiore.Il convegno di ottobre della
Banca d'Italia sui 150 di storia economica del Paese ha
permesso di identificare alcuni passaggi chiave del nostro
sviluppo. Dal dopoguerra fino al 1992 l'Italia ha avuto un
percorso di convergenza che ha portato il suo livello di reddito
pro capite al 76% degli Stati Uniti. Da quel momento la nostra
crescita si è fermata, abbiamo iniziato a divergere dalla
frontiera, ora siamo al 64% degli Stati Uniti, lo stesso livello
relativo del 1973.La conseguenza buona di questa nefasta
frenata è che abbiamo riguadagnato un vantaggio da
arretratezza, ossia, la disponibilità di abbondanti risorse
inutilizzate o utilizzate male, che hanno un potenziale
produttivo. Le nostre debolezze sono forze inespresse che
possono essere liberate dall'eliminazione dei vincoli sul sistema
economico. Ne cito solo tre a titolo di esempio, ma ce ne sono
altre.La prima risorsa è la forza lavoro non utilizzata. Il tasso di
occupazione è in Italia ridicolmente basso (41%), soprattutto
per donne e giovani. Se solo la proporzione della forza lavoro
occupata fosse pari a quella francese ciò significherebbe un
milione di persone in più nel sistema produttivo. Anche i giovani
più qualificati hanno difficoltà a trovare lavoro. Oltre l'11% dei
ragazzi tra i 15 e i 24 anni laureati né lavora né studia.Seconda
risorsa, l'immenso risparmio privato accumulato nel Paese che
raramente arriva agli impieghi più produttivi. La controparte di
questa mancata connessione tra famiglie e produzione è il
basso grado di capitalizzazione delle imprese, la scarsa
diffusione di strumenti finanziari innovativi per l'industria e le
poche imprese quotate.Terza risorsa, il sistema delle aziende
frenato da un contesto competitivo sfavorevole. Nonostante tutti
i più accreditati indicatori di competitività pongano l'Italia molto
indietro nelle classifiche, abbiamo accumulato un surplus
commerciale al netto dell'energia di 26 miliardi nei primi dieci
mesi del 2011. Di quanto aumenterebbe il surplus se il
competitive environment fosse pari alla Germania?Per sfruttare
il nostro vantaggio da arretratezza necessitiamo dunque di
riforme incisive che permettano alle riserve di arrivare ai nodi
della produzione. La mancanza di crescita infatti non è un
problema di carenza di domanda, ma di produttività del lavoro oggi allo stesso livello del 1995 - ossia di cattivo utilizzo delle
risorse disponibili. Meno tasse o più spesa per la ricerca ci
farebbero crescere (dimentichiamo per un attimo i conti
pubblici), ma solo fino a un certo punto, se non si cambia il
meccanismo di incentivi - regole, burocrazia, barriere
competitive - con cui le risorse vengono impiegate. Un
imprenditore deve preferire investire nel proprio lavoro che
lasciare i soldi in banca e impiegare un giovane con un rapporto
di lungo periodo invece di tenerlo a bagnomaria nel
precariato.La divergenza della nostra economia dalla frontiera
della metà degli anni Novanta è in buona parte dovuta a uno
Stato che non è mai riuscito a definire regole e istituzioni
compatibili con l'economia di mercato. Regole che favorissero
le trasformazioni strutturali inevitabili in tempi di innovazioni,
nuovi mercati, nuovi concorrenti e che sapessero anche
tutelare in modo adeguato i perdenti.Noi oggi possiamo
crescere, correre invece di strisciare perché il potenziale del
Paese rimasto schiacciato da questa inerzia di governo è
immenso. Certo abbiamo una società anziana, il debito
pubblico, i nodi del Mezzogiorno, un livello di istruzione e spese
in ricerca bassi, rendite di posizione di ogni genere da
scardinare e un malessere diffuso sia reale che psicologico.
Eppure, il salto dei colli di bottiglia auspicato da Monti potrebbe
fare uscire vino di qualità e in quantità inattese. Per molto
tempo sono stato contrario agli extra ottimisti che predicavano
le virtù del Paese senza volerne riconoscere i nodi strutturali. Il
problema è che le virtù ci sono, ma non servono a nulla se i
nodi non vengono sciolti. Se il Governo farà quel che promette,
vorrei finalmente iscrivermi anch'io al partito degli ottimisti.
ANSA) - ROMA, 15 GEN - ''Non esiste una 'fase due' se non si parte dall'occupazione. Il tema e'
creare lavoro, far partire le infrastrutture, i cantieri pronti ma bloccati da patti di stabilita'. Serve
mettere a disposizione le risorse che ci sono, e non ci stiamo immaginando che improvvisamente
piovono miliardi, perche' non ci sono''. E' il messaggio al premier Mario Monti che il segretario della
Cgil, Susanna Camusso, ha lanciato nel corso di un'intervista su Sky.
A) - ROMA, 14 GEN - La Banca centrale europea sta giocando un ''ruolo costruttivo'' nel contrastare la
crisi del debito''. Lo afferma il managing director di Standard & Poor's Moritz Kraemer, aggiungendo che
''la Bce secondo noi ha adottato solide misure per evitare un significativo capovolgimento della crisi, e ha
fortemente alleviato la crisi di finanziamento delle banche''. Secondo Kraemer, invece, la risposta dei
leader europei alla crisi ''non e' stata in grado'' di fronteggiare i rischi.
L'abbassamento di due punti del rating dell'Italia è di certo un duro colpo per il governo Monti che ha
ereditato una situazione difficilissima, ha adottato misure correttive assai penose per i cittadini ma
apprezzate in Europa, e che da oggi si ritrova a dover percorrere un sentiero ancora più stretto e pieno
di insidie. Ma se la decisione annunciata ieri sera da Standard & Poor's è una bocciatura dell'Italia pur con un apprezzamento per l'azione del governo Monti, mitigato però dal timore che le sue riforme,
definite ambiziose, vengano frenate da un'opposizione politica -, il «declassamento di massa» è una
dichiarazione di sfiducia nell'euro. Dunque un giudizio con una larga componente politicoistituzionale da parte di un'agenzia di rating americana: cioè di un Paese da sempre scettico sul destino
della moneta unica, che negli eventi degli ultimi mesi ha trovato la conferma della fondatezza dei suoi
dubbi.
Reagire prendendosela con gli Usa o invocando compartimenti stagni, con l'Europa giudicata da
organismi di valutazione europei, non avrebbe, però, senso: tra l'altro le strutture di analisi di queste
agenzie sono ormai globalizzate e al «downgrading politico» non sono sfuggiti nemmeno gli Stati
Uniti che ne hanno subito uno sei mesi fa motivato con la caotica gestione del debito pubblico da parte
del Congresso. Washington, poi, ha già ricevuto più di un avvertimento: presto arriverà un'altra
bocciatura, con motivazioni analoghe.
Il nodo vero è che questi giudizi, che dovrebbero servire a mettere in allarme gli investitori segnalando
loro rischi che non hanno ancora percepito (adeguando di conseguenza i relativi rendimenti), in realtà
arrivano quando quelle preoccupazioni sono ormai ampiamente diffuse nei mercati che hanno già
eseguito le loro correzioni: un intervento prociclico, che rischia di portare a un eccessivo squilibrio
della reazione di mercati fin troppo reattivi, coi nervi messi a dura prova da quattro anni di crisi
durante i quali ha quasi sempre piovuto sul bagnato.
Negli Stati Uniti e anche in Europa sono stati fatti vari tentativi di ridurre l'impatto di questi giudizi
negativi. Ad agosto, dopo il downgrading Usa, il Tesoro americano autorizzò le banche locali a
continuare a sottoscrivere titoli del governo federale senza effettuare gli accantonamenti di bilancio
richiesti quando c'è un aumento del rischio. E le norme sui mercati finanziari varate a Washington
l'anno scorso riducono per molte emissioni di bond l'obbligo di essere corredate dai giudizi di una
pluralità di agenzie. È, inoltre, aumentata l'attenzione sui conflitti d'interesse che possono
condizionare questi organismi.
Ma alla fine, trattandosi di società private, la soluzione verrà solo dall'allargamento della platea degli
operatori, superando l'oligopolio S&P-Moody's-Fitch. È il caso delle nuove agenzie che stanno
emergendo in America e anche di quella cinese che, peraltro, Francia e Italia le aveva già declassate a
dicembre.
Settimana cruciale per l'Italia che affronta oggi il giudizio dei
mercati dopo i downgrading di S&P. Forte delle parole di
incoraggiamento della cancelliera tedesca, Angela Merkel,
sicura che ce la potremo fare ''a convincere'' le piazze
finanziarie, Mario Monti si prepara ad una serie di incontri
decisivi a livello europeo ed inaugura quello che da domani
potrebbe essere il nuovo metodo di lavoro con le forze che
sostengono l'esecutivo. Un inedito tavolo a quattro, con i leader
di Pdl, Pd e Terzo Polo, Alfano, Bersani e Casini, per avviare un
percorso di confronto sull'Europa che potrebbe essere
l'anticamera di un confronto condiviso piu' generale. Dopo una
domenica di lavoro a palazzo Chigi con il sottosegretario
Catricala', Monti domani avviera' una serie di incontri con le
istituzioni europee e con i primi ministri di Gran Bretagna,
Francia e Germania per chiarire il punto di vista e il percorso
che l'Italia intende seguire. E, proprio per non dare alibi ai
mercati e alle agenzie di rating che speculano sulla natura e
possibile durata del governo, il premier incontrera' all'ora di
pranzo anche i leader dei principali partiti che sostengono il
governo. Con Alfano, Bersani e Casini, Monti intende mettere a
punto le linee di quella che sara' ufficialmente la posizione
dell'Italia in Europa, una linea nazionale che dovra' essere
unitaria, condivisa e, soprattutto, certificata il prima possibile in
Parlamento. Monti sederà al tavolo con i rappresentanti di Pdl,
Pd e Terzo Polo subito dopo aver incontrato il presidente
permanente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy: e nel
menu' non ci sara' soltanto il punto sulla strategia europea da
seguire dopo i giudizi negativi ad opera delle agenzie di rating.
Collegato a questi temi c'e', infatti, quello centrale della crescita
e dello sviluppo e, quindi, anche quello delle liberalizzazioni.
Sulle quali il governo intende rispettare il calendario che
prevede il varo di un provvedimento per il 19. E su quel fronte
non e' escluso che possano esserci novita', a partire dalla
riconsiderazione della possibilita' di scorporare dall'Eni la rete
gas di Snam. Un progetto su cui insistono le forze politiche che
chiedono di bilanciare gli sforzi che verranno richiesti alle altre
categorie. ''Noi contiamo che il governo lo faccia perche' lo
scorporo avrebbe effetti non solo sul mercato ma anche politici
e simbolici'', sostiene il finiano Benedetto Della Vedova mentre
per la rutelliana Linda Lanzillotta ''occorre intervenire su grandi
gestori di utilities, a partire dal gas'' anche perche', sostiene il
centrista Gianluca Galletti, ''alla luce dei rating diventa
indispensabile un'accelerazione anche sulla qualita' degli
interventi di liberalizzazione''. Altre novita' sono attese sui
farmaci, per i quali potrebbe essere superata la misura prevista
bozza a favore di un sistema che preveda di affidare all'Aifa,
l'agenzia per il farmaco, l'identificazione di un elenco di farmaci
di fascia C vendibili nelle parafarmacie. Il tutto mentre sale la
protesta dei tassisti, dei medici di famiglia e dei rivenditori di
carburante e mentre verrebbero escluse modifiche
sull'assegnazione delle frequenze. Prima di procedere con il
decreto, in ogni caso, il governo dovrebbe ricontattare le forze
politiche. Tra le quali il Pd che punta a collegare le misure di
liberalizzazione e di crescita con interventi di politica industriale,
incentivi e investimenti.
L'effetto Standard & Poor's arriva fino a Dubai. Il principale
listino del Medio Oriente torna ai livelli del 2004, dopo che
Francia e Austria hanno perso la loro tripla A per il taglio di S&P,
alimentando nuovi timori sull'economia europea e, di
conseguenza, sulle vendite di greggio. ''Non c'e' nessun
catalizzatore positivo, quindi e' difficile veder arrivare
compratori'', spiega un analista, sottolineando che i principali
gruppi del Paese si avviano a riportare risultati in deciso
ribassoCerto il doppio declassamento del nostro rating è una
mazzata, per molti versi ingenerosa ed eccessivamente severa,
sferrata per giunta dopo due incoraggianti collocamenti dei
nostri titoli del debito pubblico. «È stata una sberla» - secondo il
commento del ministro del Lavoro Elsa Fornero - «che ci riporta
indietro rallentando il recupero». Non per questo «il Paese deve
scoraggiarsi, anzi deve andare avanti sulla strada delle
riforme».
Metabolizzata la bocciatura di Standard and Poor's, il governo
ha deciso in sostanza di rispondere con i fatti. Il presidente del
Consiglio, Mario Monti ha discusso delle prossime mosse con il
governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, il vice ministro
dell'Economia, Vittorio Grilli e il ministro per lo Sviluppo
economico, Corrado Passera. Occorre dare «segni di
determinazione».
In mattinata, un primo scambio di battute con il Papa, nel corso
della visita in Vaticano, ha riguardato il suo recente incontro a
Berlino con il cancelliere tedesco Angela Merkel. «In Germania
tempo brutto ma clima buono. È importante dare sin dall'inizio il
segno di una certa determinazione», ripete. Come dire che
l'Italia ritiene di aver fatto la sua parte, con la manovra di
stabilizzazione dei conti pubblici, e ora punta sulle misure in
cantiere sul fronte delle liberalizzazioni e del mercato del
lavoro. Ma è del tutto evidente che a questo punto la risposta
alla crisi non potrà che essere in primo luogo europea, e
dunque appaiono decisivi i prossimi appuntamenti in agenda.
Le aperture della Merkel sul fondo «salva Stati» vanno per
Monti nella giusta direzione. Apprezzamento anche sullo stato
di avanzamento delle modifiche e integrazioni al nuovo «fiscal
compact», soprattutto laddove si ribadisce l'importanza degli
altri «fattori rilevanti», e non solo della consistenza del debito
pubblico per valutare la sostenibilità complessiva di un Paese.
È la posizione italiana. Occorre un passo in più, poiché è l'intera
Eurozona ad essere sotto attacco.
Del resto - ha sostenuto già nella prima reazione a caldo al
declassamento del nostro rating - la lettura delle motivazioni
che hanno indotto S&P ad attribuire al nostro merito creditizio
un modesto BBB+ conferma che sull'azione intrapresa dal
governo viene espresso un giudizio positivo. La politica italiana
«è profondamente cambiata», ma i progressi «non sono
sufficienti a superare i venti contrari», ha confermato ieri Moritz
Kraemer, direttore generale di Standard & Poor's. Il
rifinanziamento di Italia e Spagna «va al di là della portata
dell'Efsf. I due Paesi sono i più vulnerabili a rischi sistemici».
Monti ne discuterà domani con il presidente permanente
dell'Unione europea, Herman Van Rompuy, in visita a Roma,
nel corso della quale si farà il punto sulla reazione al
declassamento del rating, di fatto, dell'intera Eurozona. La
Germania non può certo dormire sonni tranquilli solo perché ha
conservato la tripla A. Servono risposte immediate e una «Bce
forte». In poche parole occorre superare le residue resistenze
della Germania. Monti guarda a Berlino, ma anche a Parigi e a
Londra. I risultati del suo tour europeo saranno percepibili al
termine dei prossimi appuntamenti europei, a partire
dall'incontro con David Cameron di mercoledì prossimo, per poi
proseguire con l'Eurogruppo del 23 gennaio e con il vertice
europeo del 30.
Nel pressing su Berlino Monti potrà contare su un Nicolas
Sarkozy indebolito dalla perdita della «tripla A» e sulla forza del
nuovo "triunvirato" Germania-Francia-Italia.
Nella riunione con Visco, Grilli e Passera si è discusso di tempi
e metodi delle riforme per la crescita. Misure da inserire in
quadro europeo di rilancio dell'intera economia dell'eurozona. In
poche parole non basta certo che l'Italia continui a fare «i
compiti a casa», mentre l'edificio europeo continua a vacillare
vistosamente.Mercato
Stato e mercato. Esistono due scuole di pensiero per quello che
riguarda il funzionamento d'una economia di mercato. La scuola
per la quale l'economia di mercato possiede dei meccanismi
automatici di aggiustamento che la riportano in equilibrio; e la
scuola per la quale tali meccanismi non esistono ed è
necessario l'intervento dello stato per riportare l'economa in
equilibrio.
Analogamente, esistono due scuole di pensiero per quello che
riguarda la crescita economica, qualora riusciamo a dare –
cosa tutt'altro che facile - una definizione di essa. Secondo una
scuola di pensiero, la cosa migliore da fare è lasciare che
l'economia cresca sospinta dell'azione dei singoli operatori
globali; secondo un'altra scuola di pensiero, è invece
necessario l'intervento dello stato al fine di indirizzare l'attività
dei singoli operatori globali.
Di tutto ciò si discusse lungamente durante la ricostruzione
post-bellica e durante gli anni sessanta e settanta del secolo
scorso. Interessante è a questo riguardo la discussione sul
Piano del lavoro presentato dalla Cgil nel 1950. L'idea della Cgil
era molto semplice. C'erano milioni di disoccupati; c'era un
paese da ricostruire; c'erano i soldi del Piano Marshall. Perché
non utilizzare questi soldi per finanziare un piano p dare lavoro
a milioni d disoccupati?
La reazione fu negativa sia da parte del governo che da parte
degli economisti di formazione tradizionale, i quali
consideravano il piano presentato dal Cgil una aberrazione
economica di stampo comunista, benché esso fosse stato
presentato da un economista che non era certamente un
comunista come il prof. Alberto Breglia..
Fu così che la ricostruzione si trasformò, da un lato, in una
restaurazione del potere padronale in fabbrica; e, dall'altro lato,
nella vittoria della teoria economica tradizionale sulla nuova
corrente di pensiero di stampo keynesiano.
Lo scontro fra le due scuole di pensiero si riprodusse negli anni
sessanta e settanta al tempo del dibattito sulla programmazione
che vide ancora una volta il trionfo della teoria economica
tradizionale, ostile a qualunque genere di controllo pubblico in
campo economico. Oggi, tutto tace. Gli economisti tacciono. Il
governo continua a fare il furbetto. Il paese, senza una guida
economica sta correndo verso l baratro.
Il declassamento da parte di S&P - sostiene il presidente della
Camera, Gianfranco Fini - «è una bocciatura all'Eurozona, non
dell'Italia. Al governo Monti si riconosce, anche a livello
internazionale, il coraggio e la capacità di aver aggredito le
situazioni pregresse».
Crescita. C'è un punto sul quale credo siamo tutti d'accordo. Il
governo continua a fare poco o nulla per stimolare la crescita. Il
motivo che viene comunemente addotto per spiegare questo
fatto è che esso è dominato da un ministro dell'economia il
quale più che da economista si comporta come un ragioniere
preoccupato unicamente del problema di far tornare i conti e
per nulla preoccupato invece di come creare risorse che
garantiscano una crescita degna di questo nome.
In realtà, il problema molto più complesso. Come sa ogni
economista, il problema della crescita coinvolge fattori
geografici, demografici, economici, sociali, politici, giuridici,
culturali. A dire che non è sufficiente il possesso di risorse per
garantire una crescita degna di questo nome.
Occorrono leggi adeguate, istituzioni politiche efficienti, una
mentalità favorevole al cambiamento, una scuola che funzioni,
mobilità sociale. Insomma, occorre la presenza d'una serie di
condizioni che nel nostro paese o mancano o non sono presenti
nella misura che sarebbe necessaria.
Le cause sono molte, non ultima quella relativa al fatto che s'è
realizzato poco o nulla per superare il ritardo con il quale
abbiamo imboccato la strada dello sviluppo ed ora le
conseguenze negative di questo fatto vengono
drammaticamente al pettine.
Crescita. Da tempo si parla in Italia della necessità che
l'economia riprenda a crescere. Ora, io cedo che ciò meriti
alcune precisazioni.
La prima riguarda il fatto che crescita non è sviluppo. La
crescita attiene la quantità. Lo sviluppo attiene la qualità. La
crescita attiene le grandezze fisiche, i beni materiali. Lo
sviluppo attiene i beni immateriali; in una parola, attiene la
qualità della vita.
La seconda riguarda il tipo di crescita. Per essere di lunga
durata essa deve essere equilibrata e ecocompatibile; nel caso
contrario essa cadrà vittima di se stessa. Questo fatto è ben
noto agli economisti ed agli ecologi; è ora e tempo che ne
divengano consapevoli anche i politici.
In questo quadro si colloca il problema energetico che può
essere risolto solo cambiando il nostro modello di sviluppo. Noi
consumiamo troppa energia non solo per scarsa attenzione alla
questione del cd risparmio energetico; ne consumiamo troppa
anche a causa della produzione di beni di spreco che tende a
contrastare la tendenza esistente nelle nostre economie del
surplus ad aumentare a causa delle pratiche monopolistiche
delle imprese.
Per realizzare uno sviluppo equilibrato ed ecocompatibile
occorre mettere in campo una politica di programmazione delle
risorse che richiede, a sua volta, una chiara visione di ciò che
vogliamo realizzare e richiede anche un'oculata scelta degli
strumenti atti a raggiungere l'obiettivo fissato dal governo.
In altre parole, occorre fare politica economica, una cosa che
non si fa più avendo scelto di affidare il nostro destino alle leggi
che regolano il funzionamento del mercato. La recente storia
delle nostre economie ha dimostrato che il mercato, se
abbandonato a se stesso, entra facilmente in crisi e può
distruggere risorse invece di crearle.
Allarme del Censis. L'Italia ha perso i giovani per strada. Sono
sempre meno - in calo del 12,7% negli ultimi 10 anni e
dimezzati negli ultimi 20 - sempre più sfiduciati e impigriti. Primi
in Europa per "inattività volontaria", l'ultimo studio del Censis li
descrive nell'11,2% dei casi "non interessati a lavorare o a
studiare". Se i giovani nullafacenti sono una realtà in diversi
paesi, il dato italiano è più di tre volte superiore alla media
europea (3,4%) e a quello di Paesi come la Germania (3,6%),
la Francia (3,5%) o l'Inghilterra (1,7%). La crisi sicuramente
contribuisce a diffondere un senso di sfiducia nel futuro per cui
"molti giovani guardano all'inattività come a un'alternativa
possibile di vita", scrive il Censis, ma non basta a spiegare la
rinuncia alla ricerca di un lavoro.
In Spagna, con un tasso di disoccupazione giovanile arrivato a
quota 41,6% nel 2010, i giovani che hanno smesso di cercare
un impiego sono appena lo 0,5%. In Italia, invece, la
disoccupazione è del 27,8%, ma i Neet (dall'acronimo inglese
Not in education, employment or training) toccano punte del
17,7% al Sud. Non li aiuta a vincere l'apatia "la funzione di
ammortizzatore sociale che le famiglie si sono ormai abituate a
svolgere", come spiega il direttore generale del Censis,
Giuseppe Roma, all'audizione presso la Commissione Lavoro
della Camera, e nemmeno le scarse possibilità di successo
professionale legate all'istruzione superiore. Per i laureati,
l'accesso al mercato del lavoro è ancora più difficile che per i
diplomati, e solo il 67% trova un impiego a tre anni dal
completamento degli studi, contro il 70% di chi ha un diploma e
l'84% dei laureati degli altri paesi dell'Unione Europea. Inoltre,
secondo una ricerca dell'Eurispes, la laurea è inutile per il 20%
dei lavoratori, che sono impiegati in lavori sottoqualificati.
Questo fenomeno "é in continua crescita e provoca
mobilitàsociale discendente e immobilità sociale", secondo il
presidente del centro di ricerca, Gian Maria Fara, ma è ancora
più diffuso quello dei lavoratori con titoli di studio "incoerenti"
con l'attività svolta, che caratterizza addirittura metà della
popolazione. Con queste prospettive di carriera, non stupisce
che il numero di laureati in Italia sia molto inferiore a quello dei
vicini europei. Ha finito gli studi universitari, infatti, solo il 20,7%
dei ragazzi tra i 25 e i 34 anni, a fronte di una media europea
del 33% e a tassi del 26,1% in Germania, del 39,2% in Spagna,
del 40,7% nel Regno Unito e del 42,9% in Francia. Di fronte a
questi dati disperarsi non serve, secondo il vicepresidente della
Commissione Lavoro, Giuliano Cazzola (Pdl), basta aspettare
perché "la demografia ci darà una mano a superare le difficoltà
dell'occupazione giovanile". Negli ultimi 10 anni ci sono stati,
infatti, 2 milioni di giovani in meno ed entro il 2020 8 milioni di
anziani usciranno dal mercato del lavoro, "non ci sono
abbastanza ragazzi per sostituirli" osserva il deputato.
La lezione di James Tobin. Il provvedimento del governo che si
occuperà delle liberalizzazioni sarà un decreto, pronto "prima
del 20" e riguarderà "tutti i settori". Ad annunciarlo dagli studi di
'Porta a Porta' è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio
Antonio Catricalà.
L'ex vertice dell'Antitrust ha parlato di "un provvedimento
d'urgenza prima del 20 perché una legge avrebbe un periodo
troppo lungo di gestazione. Ma noi - ha aggiunto - vogliamo
dare il modo di esprimersi ai partiti".
Su questo aspetto il sottosegretario ha chiarito: "Credo che
dovremmo fare delle consultazioni con i partiti". Nel merito
Catricalà ha parlato di un intervento che riguarderà "tutti i
settori: energia, assicurazioni, trasporti, farmacie, notai e
acqua". Su quest'ultimo aspetto il sottosegretario ha ammesso
che "c'è un problema: il referendum ha sconfitto le
liberalizzazioni e ci impedisce un intervento diretto ma
pensiamo comunque a delle modifiche che non vadano contro il
risultato referendario".
Catricalà ha parlato poi delle farmacie: "Ci sarà un aumento
della pianta organica in modo da avere i giusti sconti sui
farmaci". Dei notai: "Anche qui ci sarà un aumento
particolarmente rilevante della pianta organica". Della benzina:
"Bisogna creare le situazioni per cui un benzinaio possa
utilizzare la benzina con altri beni da vendere". Delle Ferrovie:
"Esistono storture che avvantaggiano le Ferrovie dello Stato, ci
saranno norme per una maggiore facilità di accesso". Di
energia: "Lo scorporo di Eni e Snam non è una delle priorità
indicate ma ci sono tanti altri rimedi per pagare meno il gas".
Accende il dibattito la frase del presidente del Consiglio Mario
Monti riguardo a prossimi interventi sulla Rai. ''Mi dia qualche
settimana e lei vedrà'' ha risposto il premier a una domanda di
Fabio Fazio a 'Che tempo che fa'. Ma per il Pdl il tema non
compete all'esecutivo.
In serata interviene il sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio, Antonio Catricalà. Prima dagli studi di 'Porta a Porta'
sottolinea che gli interventi che il premier Monti ha in mente
sono quelli ''certamente di competenza del governo'', compresi
quelli sulla governance dell'azienda. Quindi più tardi chiarisce:
''Sulla Rai a 'Porta a Porta' ho parlato solo di ipotesi allo studio,
anche in forma dubitativa su chi, tra governo e Parlamento,
dovrà avere la competenza ad affrontare queste materie''.
La questione Rai comunque per il capogruppo Pdl alla Camera
Fabrizio Cicchitto "non è problema del governo. Dopo la riforma
del 1975, il rapporto è tra il Parlamento e la Rai. Non credo se
ne debbano occupare i tecnici".
Di segno opposto la visione del vicepresidente dei senatori del
Pd, Luigi Zanda, secondo il quale ''è difficile sostenere, come fa
l'onorevole Cicchitto, che il governo italiano non debba
occuparsi di un'azienda come la Rai che svolge un ruolo così
strategico per la qualità della vita democratica e civile del
Paese". Zanda ricorda dunque che "il capitale della Rai è
pubblico e il suo azionista è il ministro dell'Economia. Il governo
designa il direttore generale e due consiglieri d'amministrazione
della Rai, tra i quali - sottolinea - il presidente. Le leggi le fa il
Parlamento. Ma sostenere, come fa l'onorevole Cicchitto, che
sulla Rai il governo, che ne è l'azionista, non possa assumere
iniziative è assolutamente improprio", conclude Zanda.
Ma sulla stessa scia di Cicchitto è il capogruppo del Pdl in
commissione di Vigilanza, Alessio Butti. "Il Pdl non si aspetta
alcuna novità sulla Rai da parte del governo Monti perché non
compete al governo occuparsi di Rai - commenta Butti
all'Adnkronos - A meno che Monti non si riferisse a qualche
novità sul canone o sul contratto di servizio. Perché altre
competenze l'esecutivo non ne ha su Viale Mazzini". "A Monti aggiunge Butti - regaleremo un 'bigino' per ricordargli quali sono
le competenze del governo. Fra l'altro ha sbagliato anche
location per i suoi annunci, dal momento che era ospite proprio
di una trasmissione Rai. Le competenze su qualsiasi riforma o
cambiamento sulla Rai sono del Parlamento e quindi si
procederà solo se il Parlamento troverà una strada. Il governo
di Monti è tecnico, quindi il premier lasci perdere la Rai e si
occupi di problemi economici", conclude Butti.
Gli fa eco Gaetano Quagliariello. ''La questione Rai dovrebbe
essere di assoluta prerogativa del Parlamento - afferma il
vicepresidente dei senatori del Pdl a 'Una domanda a...', sul
sito Ign/Adnkronos - Qui c'è una contraddizione del presidente
Monti, il quale ha giustamente detto che sulla legge elettorale il
governo si ritira. Se prende atto di quella che è la situazione
della Rai e delle leggi che regolano il rapporto tra Rai e politica,
dovrebbe fare la stessa cosa per quanto riguarda la Rai.
Questo è un tema di discussione parlamentare su cui devono
intervenire i partiti''.
Mentre il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, si
rivolge a ''tutti coloro che hanno voglia di privatizzare la Rai''.
''Si vadano a leggere - dice - la legge vigente che consente la
cessione di interi rami d'azienda. Se ci fosse la volontà politica,
senza dover varare nuove norme, domani mattina si potrebbe
avviare la procedura di vendita di intere reti Rai". Per Gasparri
''sarebbe invece assurdo ipotizzare commissariamenti di una
società per azioni che sta risanando i propri conti''.
Commenta le reazioni Anna Finocchiaro, capogruppo Pd al
Senato. "Il Pdl non alzi polveroni inutili sulla Rai. L'intervento
del presidente del Consiglio Mario Monti di ieri è stato
ragionevole e cauto, tanto da non giustificare in alcun modo
questa alzata di scudi da parte degli esponenti della destra,
interessati con tutta evidenza ad evitare qualsiasi intervento
sulla tv pubblica che modifichi l'attuale assetto. La Rai prosegue Finocchiaro - è un'azienda pubblica, a capitale
pubblico, e dunque è del tutto legittimo che il governo si
esprima in merito a una questione così rilevante, che va
affrontata e certamente discussa in Parlamento. L'unica cosa
che non possiamo fare è lasciare che le cose rimangano così
come sono".
Il vice presidente della commissione di Vigilanza Rai, Giorgio
Merlo, del Pd, dice di aver ''apprezzato l'approccio, concreto e
equilibrato, del presidente Mario Monti nel sottolineare la
necessità di una riforma della Rai nel suo complesso. Un
intervento che si rende sempre più necessario per la credibilità
stessa del servizio pubblico radiotelevisivo. Ma, per chiarezza avverte - non voterò nessun provvedimento - proposto dal
governo o dal centrosinistra o dal centrodestra - che ha come
obiettivo la privatizzazione o, peggio ancora, il
commissariamento della Rai".
Secondo il vicepresidente di Fli, Italo Bocchino, da ministro
dell'Economia Monti ha il dovere di intervenire. "Il governo
Monti lavori da subito alla privatizzazione della Rai che non è
più competitiva perché è diventata uno stipendificio senza utili e
non riesce più a svolgere in maniera soddisfacente il servizio
pubblico. Sbaglia chi dice che Monti non deve occuparsene rimarca Bocchino - perché dimentica che il ministero
dell'Economia è l'azionista della Rai e quindi ha il dovere di
intervenire su una sua azienda che va male. Il tema della
vendita della tv pubblica non deve essere una proposta
propagandistica, ma va affrontato in modo serio per recuperare
fondi ed eliminare i partiti dalla Rai''.
Sulla questione interviene anche l'Usigrai. "Riteniamo
indispensabile che il governo Monti si occupi di Rai e plaudiamo
all'annuncio del presidente del Consiglio - afferma in una nota il
segretario Carlo Verna - Naturalmente con un'iniziativa
legislativa, che in quanto tale sarà sottoposta al Parlamento.
Davvero non capiamo allora quale possa essere il problema".
Secondo Verna è "profonda la riforma che occorre", "da attuarsi
in una dimensione rigorosamente pubblica: la privatizzazione
sarebbe una soluzione banale e di svendita di Stato". "Noi prosegue - siamo favorevoli anche ad una normativa di
transizione in grado di affidare urgentemente la Rai a
personalità autorevoli, indipendenti e capaci. Non solo c'è
assolutamente da intervenire, ma bisogna farlo al più presto,
basterebbe anche una norma chiara ed efficace nel pacchetto
denominato 'Cresci Italia'. La Rai è un patrimonio e un bene
comune di questo Paese ed è anche un'emergenza", conclude
Verna.
''Non credo ci sia un'urgenza ma la necessità probabilmente di
procedere ad una riforma della governance aziendale. Ma non
so se questo sia prerogativa di un governo tecnico. Mi sembra
più materia del Parlamento" afferma all'Adnkronos il consigliere
d'amministrazione della Rai Antonio Verro. "Non faccio
dietrologia - aggiunge Verro - e quindi non vedo particolari
significati nella parole dette ieri da Monti sulla Rai. In generale
mi pare che intenda mettere la testa sulla Rai quando sarà
risolta l'emergenza economica".
"Non parteciperò ad un dibattito sul nulla - mette in chiaro il
consigliere d'amministrazione della Rai Giorgio van Straten perché il presidente del Consiglio ha fatto un'affermazione di
tale genericità che francamente troverei offensivo e trovo
offensivo nei confronti del premier aprire un dibattito. I dibattiti si
fanno su proposte concrete. Ho visto infatti che ognuno dà un
significato diverso alle parole di Monti. Non mi sembra un
dibattito sensato".
A parlare all'Adnkronos è anche il consigliere d'amministrazione
della Rai Giovanna Bianchi Clerici. "Non spetta ad un
consigliere d'amministrazione commentare le parole del premier
sulla Rai - osserva - Mentre da cittadina e da ex parlamentare
credo la materia Rai sia di competenza del Parlamento. E
quindi credo abbiano fatto bene quegli esponenti politici che
oggi hanno sottolineato che eventuali interventi sull'assetto del
servizio pubblico rientrano nei poteri del Parlamento e non in
quelli del governo".
Entra nel vivo il confronto sulla riforma del mercato del lavoro.
Alla vigilia dell'incontro tra il ministro del Welfare Elsa Fornero e
i numeri uno di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, il
premier Mario Monti in tv, ospite di 'Che tempo che fa', lancia un
messaggio ai sindacati: "Sul lavoro dobbiamo discutere senza
tabù".
Tanti i temi caldi affrontati da Monti durante l'intervista a Fabio
Fazio. Ma innanzitutto chiarisce che non serve una nuova
manovra, "non occorre dal punto di vista del consolidamento
dei conti pubblici". Poi parla della 'fase due' sulla crescita e
dunque avanti tutta con le liberalizzazioni: le prime misure entro
fine gennaio e dice stop alle corporazioni. Serve un "certo
disarmo multilaterale di tutte le corporazioni" per "dare spazio"
ai giovani e alle risorse del Paese, sottolinea il Professore.
Quanto al capitolo fisco, Monti, seppure spiega che la ricchezza
"vada rispettata" (chi "è ricco ne sia orgoglioso"), bisogna
condurre "una lotta senza quartiere all'evasione" precisando
che "operazioni come quella di Cortina possano avere un
significato nell'ambito di una lotta seria all'evasione fiscale".
Ed eccolo affrontare il tema del lavoro. Monti, che si presenta
come semplice cittadino che vuole tentare in questa occasione
di "favorire la riconciliazione tra classe politica e l'opinione
pubblica", dice, lanciando un messaggio chiaro ai sindacati, che
"l'atteggiamento mentale del governo" sull'articolo 18 "è quello
di ritenere che nulla debba essere tabù" perché "bisogna
mediare per creare vera occupazione": secondo il premier "c'è
un disperato bisogno non di simboli ma di lavoro non precario".
Oggi l'incontro tra Fornero e i leader di Cisl e Uil. Poi, domani e
mercoledì, sarà il turno di Ugl e Confindustria. Questa prima
fase, quella degli incontri bilaterali tanto contestati proprio dalla
Cgil, servirà al ministro per raccogliere le posizioni dei suoi
interlocutori e poi poter fare la sintesi, integrando dove possibile
la proposta che ha in mente da settimane. Ci sono gli
ammortizzatori sociali da riformare, per renderli adatti a
proteggere tutti i lavoratori e non solo 'i garantiti'. Ci sono una
serie di asimmetrie e di dualismi da sanare, giovani e meno,
assunti a tempo indeterminato e precari. E la conseguenza è
che va ridotto sensibilmente il numero dei contratti, 46 secondo
il censimento effettuato dalla Cgil. La base del lavoro è il
contratto unico, o meglio come preferisce chiamarlo il ministro il
'contratto prevalente'. E' una proposta già formalizzata. L'origine
è quella della versione Ichino, ma l'evoluzione, quella che
finirebbe sul tavolo del confronto, è una proposta più vicina alla
versione Boeri-Garibaldi e la sua evoluzione legislativa, il
disegno di legge Nerozzi (Pd). Il 'contratto prevalente' sarebbe
a tempo indeterminato e prevederebbe un periodo di ingresso
di tre anni in cui il lavoratore, nel caso in cui venisse licenziato,
riceverebbe un'indennità economica di compensazione,
proporzionale al periodo lavorato.
L'obiettivo, quello di mettere insieme flessibilità e sicurezza,
ovvero maglie più larghe in uscita a fronte di adeguate tutele
per i lavoratori, è alla portata, vista la disponibilità di massima a
discutere di nuove regole che è già arrivata sia dai sindacati
che dalle organizzazioni datoriali. Questo, purché si riesca a
tenere fuori dal confronto le polemiche sull'articolo 18, pronte a
riesplodere in qualsiasi momento se la riforma dovesse in
qualche modo avallare la tentazione, radicata nell'ala più
radicale del fronte industriale, di spingere sulla strada dei
'licenziamenti facili'. Intanto, a parlare è stato il segretario
generale della Uil, Luigi Angeletti. E l'invito è stato chiaro:
"Scriviamo norme chiare, non interpretabili, applicabili". E'
invece inaccettabile, ha chiarito il leader del sindacato di via
Lucullo, "il ragionamento perverso" che si fa sostenendo che
"siccome le norme non riusciamo a scriverle in maniera chiara,
le aboliamo". Per i licenziamenti, dice Angeletti, "ci devono
essere delle motivazioni scritte in maniera chiara per cui il
rapporto si può rescindere: l'azienda va male, il reparto va
male, quel lavoratore non va mai a lavorare". Ma, avverte
Angeletti, "va lasciato in maniera chiara che si deve evitare
l'arbitrio" da parte dell'impresa.
Del resto, anche dal governo sono arrivate assicurazioni in
questo senso. L'articolo 18, ha ribadito il ministro dello Sviluppo
Corrado Passera in un'intervista al Corriere della Sera, ''non era
un prerequisito del tavolo sul lavoro, come Elsa Fornero ha ben
chiarito". Il ministro ha spiegato anche quali sono le priorita'.
"Che vada migliorata la flessibilità in entrata, e resa più logica la
flessibilità in uscita, è evidente". Così come "per superare il
dualismo del mercato del lavoro, che penalizza i giovani,
servono contratti più chiari, più responsabilizzanti per le
aziende". Ancora, ha evidenziato, va ridotto "l'abuso del
precariato, valorizzare il contratto di apprendistato, liberare una
generazione dalla condanna a sotto-lavori senza prospettive".
La riforma del mercato del lavoro è urgente ma la modifica
dell'articolo 18 "non è la priorità", ha evidenziato anche l'ex
ministro dell'Economia e attuale vice presidente di Morgan
Stanley, Domenico Siniscalco, intervistato da Maria Latella su
Sky Tg 24. Il mercato, ha spiegato, "oggi è fortemente
segmentato": da una parte "ci sono i supergarantiti" e dall'altra
"i giovani con una precarietà eccessiva". E con la crisi, "i
garantiti restano garantiti e i giovani vengono espulsi". Questo,
ha avvertito Siniscalco, "è gravissimo, perché sono proprio i
giovani che devono poter accumulare produttività e far crescere
l'economia". Ma, nell'affrontare la riforma, va chiarito che la
modifica dell'articolo 18 "non è la priorità". Perché liberalizzare il
licenziamento, questo in sintesi è l'abolizione dell'articolo 18,
"oggi porterebbe all'espulsione dal mercato del lavoro di molti
dipendenti attuali dopo aver aumentato anche l'età
pensionabile".
Dal salone di Detroit Sergio Marchionne (con barba sale e
pepe, un po' Hemingway) scruta il Vecchio Continente, che
anche quest'anno non porterà buone notizie per l'auto («se
continua così, Fiat perderà 400-500 mila vetture») e prevede un
nuovo giro di alleanze. Per tutti.
«Ci deve essere un altro consolidamento dell'industria
automobilistica a livello europeo e non solo. L'aggregazione è
essenziale», ragiona. Anche Fiat-Chrysler non è una posizione
chiusa. Per raggiungere l'obiettivo di 6 milioni di vetture nel
2014, il gruppo italoamericano può recuperare «in Brasile, che
ho sottovalutato, o con Chrysler», ma anche procedere
individuando nuovi partner. Il manager italocanadese avverte
che non ci sono colloqui in corso, ma non esclude un terzo
partner «che può essere di qualsiasi colore». Secondo fonti
qualificate, la pista del Lingotto a questo punto porta a Parigi: i
francesi di Psa Peugeot-Citroën sono pronti a negoziare
l'alleanza. È questo il piatto forte delle strategie Fiat e si
affianca al tema della fusione tra Torino e Detroit: che non
avverrà quest'anno - sottolinea Marchionne ribadendo che
prima bisogna procedere al riacquisto della quota della casa
americana in mano al fondo Veba - ma «tra il 2013 e il 2015».
Così come non è adesso «il momento giusto» per valutare
quale sarà la sede unica del gruppo, tra Torino e Detroit. Sul
punto Marchionne spende ancora parole per tranquillizzare
sulla volontà di non lasciare indietro l'Italia (i posti saranno
salvaguardati, «quello del Lingotto è un numero protetto»), ma
ha appena avvertito in un colloquio con il Wall Street Journal
che «l'attaccamento emotivo al proprio Paese come produttore
va ripensato. E questo non significa tradirlo, significa crescere.
Sia Auburn Hill sia Torino sono in grado di ospitare» il quartier
generale del gruppo. Ma sull'Italia la riflessione è sferzante:
«Come si fa ad incoraggiare investimenti stranieri in Italia con i
continui ostacoli che le parti sociali pongono alle imprese che
vogliono fare impresa? - chiede in un'intervista a Sky Tg24 -. Il
problema non è Marchionne e non è la Fiat. L'Italia si deve
aprire al mondo intero, deve smettere di chiudersi in se stessa.
Non può andare avanti così, non si può dire no a tutto». E
anche se «devo sfruttare tutte le opportunità per poter ridare
fiato all'Italia, che rimane il centro dei nostri interessi»,
Marchionne annuncia di voler aumentare la produzione in
America per cavalcare il momento magico di Chrysler:
«investire a Detroit è la cosa più intelligente da fare in questo
momento».
Entro il 2013 a Jefferson North, dove viene assemblata la Jeep
Grand Cherokee, verranno creati altri 1.100 posti per ampliare
la gamma e inserire una versione diesel destinata al Nord
America, altri 150 dipendenti saranno arruolati per riaprire la
fabbrica di Conner Avenue che produrrà la Dodge Viper. La
vettura presentata al salone di Detroit, la Dodge Dart, ha intanto
permesso a Fiat di incrementare di un altro 5% la sua
partecipazione in Chrysler. La Dart è l'auto capostipite della
strategia globale del Lingotto, sullo stesso pianale verrà
costruita una berlina con il marchio Fiat anche in Cina, nello
stabilimento di Guanzhou.
Negli Stati Uniti l'unica delusione al momento è stato il lancio
della 500, con stime di vendita troppo ottimiste. Marchionne lo
ammette con toni coloriti («Ho fatto una grandissima cavolata»).
Per quest'anno le previsioni scendono dalle 50 mila vetture del
2011 a massimo 35 mila.
Questi sono i fatti. Adesso la parola dovrebbe passare al
commento e il commento dovrebbe ripetere ciò che è stato
detto alla nausea. Siamo un paese bislacco. Abbiamo un
presidente del consiglio che fu allievo del grande James Tobin,
fiero critico della reaganomics e che a distanza di trent'anni
intende mettere in pratica la politica economica criticata a suo
tempo da Tobin.
Siamo un paese in cui si permette al CEO di FIAT Sergio
Marchionne di sproloquiare sulla Fiat, la quale sarebbe già
sparita dall'universo delle imprese se non avesse sfruttato gli
aiuti dello stato italiano ottenuti usando la tecnica del blackmail.
Siamo un paese in cui si pensa di risolvere il problema della
disoccupazione di massa, aprendo delle nuove farmacie,
quando occorrerebbero dei massicci investimenti in tutti i settori
economici. Come ci insegna Keynes, il livello di occupazione
dipende dagli investimenti i quali in ultima analisi dipendono dal
livello della domanda effettiva, la quale è costituita in modo
fondamentale dai consumi delle famiglie i quali dipendono dagli
stipendi e dai salari che in Italia sono bassissimi. Quindi, l'unico
modo per creare nuovi posti di lavoro è retribuire maggiormente
quelli esistenti...
Italia sconfitta dal Terzo mondo. Ruanda, Zambia, Ghana e
Namibia hanno piu' attrattiva del Belpaese per chi deve avviare
un'impresa. Norme complicate e burocrazia lumaca ci fanno
scivolare nella classifica fornita dalla Banca Mondiale, mentre i
costi pesano come un macigno su sviluppo e rilancio: circa lo
0,5% annuo del Pil, quasi 10 miliardi di euro, secondo la stima
dell'Istituto Bruno Leoni, fornita all'Adnkronos.
In Italia il debutto nel mondo dell'imprenditoria costa 2.673 euro
contro una media europea di 399 euro. Numeri che
preoccupano Viale dell'Astronomia. I Giovani di Confindustria
chiedono al governo Monti un intervento deciso per attrarre
investimenti e far ripartire l'economia. "Serve un'azione seria di
semplificazione e liberalizzazioni - dice all'Adnkronos il
presidente Jacopo Morelli-, ma anche la diffusione di
infrastrutture che rendano piu' agevole fare impresa: dalla rete
energetica a quella digitale".
Nel Regno Unito sono sufficienti 33 euro per avviare
un'impresa, ne bastano 50 in Irlanda e sei euro in piu' in
Bulgaria. Scegliere la Spagna comporta un costo di 115 euro,
ne servono 176 in Germania, mentre in Romania la cifra non
supera i 125 euro. Piu' 'care' Svezia ed Estonia (185), seguono
Malta (210) e Cipro (265).
Bisogna mettere in conto tra i 330 e i 392 euro se si opta per
Finlandia, Ungheria, Repubblica Ceca, Austria, Portogallo o
Slovacchia. In Belgio la spesa iniziale sale a 517 euro e lievita
in Lussemburgo (1.000 euro), Paesi Bassi (1.040) e Grecia
(1.101). Nulla a che vedere con l'Italia, che supera di quasi 7
volte la media europea. Una differenza che frena,
inevitabilmente, la nascita di nuove aziende.
I costi nel nostro Paese non si traducono in velocita': se da
aprile 2010 e' possibile registrare un'impresa in un giorno (nel
2008 era 13 giorni) ne basta uno anche in Portogallo e ne sono
sufficienti due nella Danimarca a 'costo zero'. Nella media Ue, 7
giorni secondo i dati della Commissione Europea, rientrano
inoltre Germania, Francia e Regno Unito.
Da una analisi delle variabili contenuta invece nel 'Doing
business in a more transparent world 2012' elaborata dalla
Banca Mondiale emerge che per aprire una impresa in Italia
serve lo stesso numero di giorni e di procedure che negli Usa,
ma il costo incide 18 volte di piu' sul reddito individuale ed e'
richiesto un capitale minimo pari al 10% del reddito contro lo
zero della Germania. Per avere accesso all'elettricita' in Italia si
impiegano piu' di 6 mesi, contro due settimane in Germania.
Un imprenditore del Belpaese impiega 285 ore per adempiere
alle procedure per pagare le tasse (piu' di 35 giorni) e la
tassazione incide per il 68% sul profitto, contro il 46% della
Germania. Difficile cosi' pensare di attrarre investimenti esteri.
Se ai primi 4 posti della classifica mondiale ci sono Singapore,
Hong Kong, Nuova Zelanda e Stati Uniti, e' evidente anche la
distanza dalle economie dell'area euro. Settimo il Regno Unito,
19esima la Germania e 29esima la Francia. L'Italia perde 4
posizioni rispetto allo scorso anno e 10 rispetto al 2010 e si
piazza 87esima su 183. Peggio di noi nel Vecchio Continente fa
solo la Grecia.
Non va meglio il confronto con il resto del mondo. Il Ruanda
scala la classifica e si piazza 45esimo, in Polinesia il Tonga ci
guarda dall'alto in basso, cosi' come il Botswana al centro
dell'Africa meridionale o l'Armenia. E il sorpasso riesce anche a
Mongolia, Bahamas, Ghana, Namibia e Zambia. Chiude la
classifica lo stato africano del Ciad, mentre il Marocco registra
la migliore performance passando dal 115esimo al 94 posto,
complici le numerose semplificazioni introdotte nel settore
edilizio che hanno alleggerito gli adempimenti fiscali.
Tempi lunghi per ottenere permessi di costruzione, difficolta' di
accesso al credito, imposte onerose,
poche tutele in caso di insolvenza dei debitori sono solo alcuni
degli ostacoli che affronta chi tenta di mettersi in proprio.
Difficolta' che si riflettono sulla predisposizione dei giovani a
fare impresa. Solo un giovane italiano su tre sogna di diventare
imprenditore, secondo l'ultimo rapporto Censis. Pronto
all'avventura il 32,5% dei giovani italiani tra i 15 e 35 anni,
contro il 56,3% dei coetanei spagnoli, il 48,4% dei francesi e il
35,3% dei tedeschi. A scoraggiarci la burocrazia, "e' troppo
complicato" per il 26,7% contro il 14% della media dei giovani
europei, o la paura di rischiare (17,8% contro il 15,4% della
media Ue).
Un dl organico, con un approccio di riforma che interverrà
simultaneamente in più settori. Il provvedimento sulle
liberalizzazioni sta prendendo forma e, secondo quanto risulta
all'Adnkronos, prevede un impianto di regole che possa poi
consentire successivi interventi mirati nei singoli settori. Lo
schema degli interventi, la traccia, è quello della segnalazione
dell'Antitrust e i tempi saranno rapidi ma compatibili con una
condivisione collegiale all'interno del Governo. Dai carburanti,
con interventi sulla rete di distribuzione e sui contratti dei
gestori con le compagnie, ai taxi; dalle farmacie alle professioni,
fino alle banche, con il capitolo delle polizze legate ai mutui da
affrontare. Ancora, il governo sta lavorando a misure per
incrementare la concorrenza in settori strategici, come l'energia,
nel mercato elettrico e in quello del gas, e i servizi postali.
Il dossier liberalizzazioni, del resto, è un banco di prova
importante, forse decisivo, per l'intera strategia di sostegno alla
crescita che il governo vuole mettere in campo. Le resistenze
delle lobby e quelle collegate dei partiti e delle diverse
associazioni di categoria sono un ostacolo difficile da aggirare,
come l'iter in Parlamento del dl 'Salva Italia' ha già chiaramente
dimostrato.
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio
Catricalà, ex numero uno dell'Antitrust, sta lavorando in questo
senso dal giorno successivo all'insediamento del governo. Così
come il ministro dello Sviluppo Corrado Passera, che venerdì
ha ammesso che il percorso è tutt'altro che facile, ma ha anche
ribadito che il governo è convinto di riuscire ad ottenere, mese
dopo mese, i passi in avanti auspicati. Ora, con il via libera
collegiale del governo e la supervisione del premier Monti, è in
arrivo il primo decreto.
Una "maggiore e più matura coesione sociale", unita a "rigore
ed equità" per assolvere i "gravosi impegni" del Paese. Lo
afferma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel
messaggio al sindaco di Reggio Emilia per la Giornata
nazionale del Tricolore.
messaggio al sindaco Graziano Delrio, rivolto anche al premier
Mario Monti, alla cittadinanza di Reggio Emilia ed alle autorità
presenti alle celebrazioni per i 215 anni del primo Tricolore, il
presidente della Repubblica ricorda che "un anno fa, il 7
gennaio 2011, a Reggio Emilia, in occasione della Giornata
nazionale del Tricolore, rinnovai il mio appello a fare delle
celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'Unità
d'Italia un importante percorso di approfondimento e di
riflessione comune sul lungo processo storico di costruzione
dell'Unità' nazionale e sui valori che lo hanno contrassegnato".
"Gli eventi organizzati in tutta la penisola per questa ricorrenza,
grazie ad una grande mobilitazione popolare, segno di un
ritrovato orgoglio nazionale, hanno avuto come riferimento più
immediato e percepibile la bandiera, che i Costituenti non a
caso - sottolinea il capo dello Stato - scelsero come vessillo
della repubblica, simbolo dell'Italia una e indivisibile e dei valori
e principi di democrazia, solidarietà e promozione delle
autonomie compiutamente e definitivamente sanciti nella nostra
Carta costituzionale".
"In questa tensione verso una maggiore e più matura coesione
sociale vanno anche oggi rintracciate le energie positive che
possono consentire di affrontare le difficoltà della situazione
presente, assolvendo ai gravosi impegni che sono di fronte al
nostro Paese con rigore ed equità", conclude Napolitano.
Bustarelle In Italia oltre due persone su tre in cerca di lavoro si
affidano a un intermediario che può essere un parente o anche
un sindacato. Ricorrere a chi si conosce già è, così, la prima
strada che si percorre per trovare un posto. A certificare le
«usanze» degli italiani a caccia di un impiego è Eurostat nel
rapporto Methods Used for Seeking Work, secondo dati
aggiornati al secondo trimestre del 2011. Nella Penisola chi
bussa alle porte di amici, parenti o sindacati è, infatti, pari al
76,9%, una quota superiore alla media dell'area euro (68,9%), a
quella dell'Unione europea nel complesso (69,1%) e soprattutto
circa doppia a confronto con quella di Paesi come Germania
(40,2%), Belgio (36,8%), Finlandia (34,8%). Anche se nel
Vecchio continente c'è chi fa peggio, è il caso della Grecia
(92,2%), ma pure di Irlanda e Spagna. Nell'Unione europea,
inoltre, si fa molta pubblicità del proprio curriculum, del proprio
percorso di studi, (68,8% Ue 17 e 71,5% Ue 27), una modalità
che viene anche seguita in Italia ma con una percentuale
inferiore (63,9%), tra le più basse, in particolare a confronto con
Irlanda e Slovenia, dove quello che Eurostat definisce come lo
«study advertisement» sia praticato da più di nove persone su
dieci in cerca di lavoro.
L'Italia risulta anche tra i Paesi che meno fanno affidamento agli
annunci di lavoro che compaiono sulla stampa o sul web, con
solo il 31,4% che si rende disponibile a una precisa prestazione
o risponde a un'offerta di impiego. Insomma, gli italiani credono
poco nei contatti a distanza e privilegiano di gran lunga gli
approcci diretti e informali. Non a caso è anche al di sotto dei
valori medi europei la quota di coloro che si rivolgono ad
operatori istituzionali, come i centri pubblici per l'impiego
(31,9%), addirittura l'Italia è penultima nell'eurozona, alle spalle
solo di Cipro, con una forte distanza dalla Germania (82,8%).
Un discorso simile vale per i centri privati di impiego, come
possono essere le agenzie del lavoro. In generale, in tutta
Europa chi contatta soggetti privati per essere assunto è una
minoranza, ma in Italia la fetta è ancora più risicata (18,0%).
Tornando alle preferenze degli italiani, la seconda via scelta per
trovare un'occupazione consiste nel chiedere direttamente al
datore di lavoro, sempre secondo le tabelle di Eurostat oltre sei
persone su dieci in cerca si rivolge al principale. Molto
probabilmente si tratta di una modalità favorita dalla struttura
produttiva del Paese, con tantissime piccole e medie aziende,
dove, quindi, è più facile entrare in rapporto con i capi.
Ha trascorso tutto il giorno nell'ufficio di palazzo Chigi con i suoi
piu' stretti collaboratori per prepare i prossimi appuntamenti.
Soprattutto quelli internazionali. Mario Monti continua a lavorare
a ritmo serrato per lanciare la 'fase due': sul tavolo i principali
dossier politici ed economici. A cominciare dalle misure per lo
sviluppo del cosiddetto 'cresci-Italia': dal pacchetto di norme
sulle liberalizzazioni e la concorrenza (che dovra' essere pronto
entro il 23 gennaio, quando ci sara' l'Eurogruppo a Bruxelles)
alla riforma del mercato del lavoro, ai provvedimenti sulle
infrastrutture.
Anche oggi e' stata una giornata di incontri e contatti. In
mattinata il premier ha avuto un colloquio con il senatore del Pd
Ignazio Marino, presidente della Commissione parlamentare di
inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del servizio sanitario
nazionale, per fare il punto sulle condizioni di vita e di cura
all'interno degli ospedali psichiatrici giudiziari.
La prossima settimana, tra il 9 e il 15 gennaio, riferiscono fonti
ministeriali, partira' il confronto tra il governo e le parti sociali. In
prima battuta, sara' il ministro del Welfare, Elsa Fornero, a
incontrare i rappresentanti di lavoratori e associazioni
imprenditoriali.
L'obiettivo e' quello di riformare il mercato del lavoro anche alla
luce delle proposte che arriveranno dalle parti sociali. La
mediazione, almeno nella fase iniziale delle 'trattative', e'
affidata a Fornero, che preparera' il terreno in stretto contatto
con il premier. Solo in un secondo momento, Monti incontrera' i
leader delle associazioni per tirare le somme.
Gennaio sara' un mese ricco anche di impegni esteri per il capo
del governo italiano. Si comincia il 6: il giorno dell'Epifania il
premier sara' a Parigi per incontrare il presidente francese
Nicolas Sarkozy. Durante la visita Monti, con il ministro dello
Sviluppo e delle infrastrutture, Corrado Passera, partecipera' al
convegno 'Nuovo Mondo', organizzato da M.Eric Besson,
ministro francese dell'Industria. Il presidente del Consiglio
prendera' la parola verso le 15.30 alla tavola rotonda 'Quale
posto per l'Europa nel nuovo equilibrio internazionale'.
Il 18 gennaio il Professore e' atteso a Londra per un 'bilaterale'
con il primo ministro David Cameron; il 21 si rechera' a Tripoli
per riattivare il trattato di amicizia Italia-Libia. Monti ha tempo
fino al 23 gennaio per definire la 'road map' delle riforme
strutturali che vuole vedere l'Europa (il Cdm decisivo dovrebbe
tenersi nella settimana tra il 16 e il 20).
Il premier non intende sfigurare alla riunione dell'Eurogruppo
(che si terra' proprio il 23 a Bruxelles, dove partecipera' in
qualita' di ministro dell'Economia). Il dossier Europa, infatti, e'
considerato una priorita' per il governo, visto che stiamo
attraversando una fase in cui lo spread continua a preoccupare
(anche per l'ingente quantita' di titoli di Stato da collocare nei
primi mesi dell'anno).
Il 30, sempre a Bruxelles, un altro appuntamento clou attende il
presidente del Consiglio italiano: Monti sara' impegnato al
vertice Ue straordinario dedicato proprio allo sviluppo. Entro il
mese di gennaio, poi, anche se ancora non ci sono date
ufficiali, il Professore dovrebbe andare in udienza
Nel frattempo, si apprende che nel 2011 il fabbisogno annuo del
settore statale ammonta, con i dati provvisori al 31 dicembre
2011, a circa 61,5 miliardi: 5,5 miliardi in meno rispetto all'anno
precedente che aveva chiuso con un fabbisogno annuo di circa
67 miliardi. Lo rende noto il Tesoro.
Il fabbisogno annuo del settore statale del 2011 registra un
miglioramento significativo non solo rispetto all'anno precedente
ma anche in relazione alle ultime stime ufficiali inserite nella
nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza.
Il miglioramento, si legge nella nota del ministero, arriva quasi a
8 miliardi se si confronta il dato annuo 2010 e 2011 in modo
omogeneo escludendo l'erogazione per il sostegno finanziario
alla Grecia, che nel 2011 e' stata molto piu' rilevante (circa 6
miliardi contro i 4 miliardi circa del 2010).
Rispetto alle ultime stime Def che si basavano per il 2011 su un
fabbisogno di 64,8 miliardi, il dato effettivamente registrato sul
fabbisogno 2011 e' migliorativo di oltre 3 miliardi. Sul risultato
ottenuto incide sia l'andamento piu' favorevole degli incassi
fiscali sia l'andamento riflessivo di alcuni comparti di
spesa.Roma, 2 gen. (Adnkronos) - Nel 2011 sono state
immatricolate 1.748.143 nuove auto, in calo del 10,88% rispetto
alle 1.961.579 immatricolazioni del 2010. E' quanto si legge nei
dati diffusi oggi dalla Motorizzazione e dal ministero dei
Trasporti.
Dati negativi riguardano il mercato dell'auto. La Motorizzazione
ha immatricolato, a dicembre, 111.212 nuove autovetture:
15,3% in meno rispetto a dicembre 2010, durante il quale
furono immatricolate 131.298 autovetture. Nello stesso periodo
di dicembre 2011 sono stati registrati 386.710 trasferimenti di
proprietà di auto usate, con una variazione di -6,38% rispetto a
dicembre 2010, durante il quale furono registrati 413.050
trasferimenti di proprietà.
Fiat Group Automobiles ha immatricolato in Italia nel 2011
514.629 vetture, in calo del 13% circa rispetto ai 597.275 auto
nuove immatricolate nel 2010. La quota per il 2011 è di circa
29,4%, sostanzialmente in linea con quella del 2010. In
dicembre, le auto registrate da FGA sono 31.700 per una quota
del 28,5%.
"Il mercato degli autoveicoli è stato vittima dei botti di fine
d'anno. I fuochi d'artificio lanciati su di noi e sui nostri clienti,
contro ogni logica, si chiamano IVA, Imposta Provinciale di
Trascrizione, superbollo per le auto prestazionali, accise sui
carburanti, rincari sulle assicurazioni e sui pedaggi
autostradali", commenta Filippo Pavan Bernacchi, presidente di
Federauto, l'associazione che rappresenta i concessionari di
tutti i marchi commercializzati in Italia di auto, veicoli
commerciali, camion e autobus. "Un colpo dopo l'altro in un
crescendo che ha posto le basi per il licenziamento di decine di
migliaia di lavoratori.
E paradossalmente il primo danneggiato è lo Stato, che
introiterà almeno 2 miliardi in meno tra IVA e tasse varie",
aggiunge sollecitando provvedimenti di sostegno alla domanda
e una convocazione da parte del Ministro dello Sviluppo
economico, Corrado Passera. "La ricetta dovrebbe essere
quella di agevolare la domanda, non di schiacciarla a suon di
tasse, balzelli e gabelle. Siamo fiduciosi che il Ministro dello
Sviluppo Economico ci chiami quanto prima per esaminare le
ragioni dei concessionari di autoveicoli che, con i costruttori,
fatturano l'11,6% del PIL italiano, impiegando 1.200.000 di
addetti", prosegue.
''Scattano con il nuovo anno le addizionali regionali in cinque
regioni. Da ieri, infatti, la Toscana ha aumentato l'imposizione
fiscale sulla benzina di 5 centesimi (6,1 cent Iva inclusa), il
Lazio di 2,6 cent, la Liguria di 2,5 cent, le Marche di 5 cent,
l'Umbria di 4 cent (QE 30/12). L'impatto sui prezzi praticati sul
territorio e' stato deflagrante. Oggi la benzina ha raggiunto il
nuovo livello record di 1,738 euro/litro, con punte di quasi 1,8
euro/litro in alcune aree del Paese, segnatamente al Sud e nel
Centro, dove è più forte l'effetto addizionali. Poco conta che
Tamoil abbia aumentato i prezzi raccomandati del prodotto
leggero di 0,4 centesimi. Quello che impatta sono, come detto,
le decisioni prese a livello regionale. Ne è la riprova la
sostanziale stasi del diesel (non toccato dalle addizionali),
attorno a quota 1,7 euro/litro''. E' quanto emerge dal consueto
monitoraggio di quotidianoenergia.it in un campione di stazioni
di servizio rappresentativo della situazione nazionale.
''A livello Paese, il prezzo medio praticato dalla benzina (in
modalità servito) va oggi da 1,729 euro/litro degli impianti Shell
all'1,738 di quelli IP (no-logo in salita a 1,640). Per il diesel si
passa dall'1,699 euro/litro di Eni all'1,702 di Tamoil (no-logo a
1,599). Il Gpl è tra gli 0,744 euro/litro di Eni e lo 0,756 di Tamoil
(no-logo a 0,726)'', conclude la nota.
Secondo le previsioni dell'Osservatorio nazionale della
Federconsumatori (Onf), per i propri pieni di benzina, gli
automobilisti spenderanno così 192 euro in più rispetto allo
scorso anno. "Un aumento incredibile a cui -afferma
l'associazione dei consumatori- vanno aggiunte le ricadute
indirette (dovute all'aumento dei costi di trasporto dei beni di
largo consumo). Queste ultime, lo ricordiamo, non sono pagate
solo dagli automobilisti, ma indistintamente da tutti i cittadini,
dal momento che incidono sulla determinazione dei prezzi dei
beni". "Ad incidere in maniera indiretta sulla crescita dei prezzi,
inoltre, contribuisce anche l'aumento delle tariffe autostradali"
aggiunge Federconsumatori. Secondo le stime dell'Onf, "solo
per questi fattori, ricadute indirette carburanti e
tariffe autostradali, si avrà un rincaro nel settore alimentare di
+161 euro annui".
I sindacati insistono sulla necessità di lanciare un piano per il
lavoro cui affidare il compito di porre rimedio alla
disoccupazione. La richiesta dei sindacatidei sindacti riprende
un'analoga iniziativa intrapresa da Cgil nel lontano 1948
all'insegna dello slogan “Il piano finanzia il piano” Il piano,
presentato dall'economista Alberto Breglia, venne criticato dagli
economisti liberali come Demaria, Bresciani Turroni, Nari, Di
Finizio, per il suo dirigismo.
Per il resto, occorre ricordare che la disoccupazione d'allora era
la classica disoccupazione postbellica. La disoccupazione
odierna è una “disoccupazione di massa” dovuta ad una serie
di concause, ma soprattutto, a un deficit di domanda aggregata.
In termini formali, , N= f( I, C) dove N rappresenta
l'occupazione, C i consumi, I gli investimenti. Gli investimenti
dipendono da redditi nazionale Y dall'efficienza marginale del
capitale, cioè dalla scheda dei valori attuali dei profitti attesi. I
salari dipendono dall'ammontare dell'occupazione.
In tale quadro, va inserito il problema della disoccupazione
tecnologica. Non si tratta di un problema nuovo. Esso infatti era
già presente in Ricardo e secondo Ricardo poteva essere
risolto allargando l'accumulazione del capitale. In realtà, oggi ci
troviamo in un cul de sac. Pera risolvere il problema
dell'occupazione occorre investire, ma per investire occorre un
rilancio della domanda aggregata che può essere fornito solo
dall'intervento dello stato.
"Dobbiamo considerare con molto realismo l'effettiva gravita'
della crisi economico finanziaria. Pero' in tutti questi anni ho
sempre avuto la percezione che la categoria di 'crisi' da sola
non riesca ad esprimere tutto quello che c'e' in gioco", affermò il
cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, in un' intervista
al 'Corriere della Sera' del 23 dicembre.
Disse Scola che "quel che e' avvenuto ha come orizzonte la
mutazione inedita che si e' prodotta dopo la caduta dei muri.
Dopo la fine delle utopie del XX secolo, si sono succeduti
rapidissimamente cambiamenti, più che epocali, inediti: la
civilta' delle reti, la globalizzazione, la mutazione della
percezione corrente della sessualita' e dell'amore, la possibilita'
- irta di rischi - di mettere le mani sul patrimonio genetico, ì
grandi sviluppi della fisica micromolecolare che indaga l'origine
del cosmo - si pensi alla cosidetta 'particella di Dio' - e poi il
meticciato di culture, i flussi migratori...Mi pare chiaro che, se
noi collochiamo la lettura della crisi all'interno di questo
travaglio inedito, non ne usciremo. Una ricetta tesa ad
individuare ricette tecniche non basta".
Il cardinale Scola riflette sul fatto che "una volta si affrontavano i
problemi di dialettica interna allo spazio europeo con la guerra.
Ora li stiamo affrontando con lo spread: speriamo che dallo
spread non si ritorni alla violenza". Un timore che l'arcivescovo
di Milano spiega cosi': "non penso ad una guerra intraeuropea.
Temo che i disequilibri del pianeta possano esplodere la' dove
la guerra e' gia' in atto o incrociare la delicatissima evoluzione
del Nord Africa. La speranza affidabile e' che ci si muova tutti: la
casa brucia. Per uscire dall'attuale 'impagliatura', l'Europa ammonisce Scola - deve ritrovare il meglio della sua storia.
Solo cosi' si potra' rivitalizzare la societa' civile".Sul piano
politico, Scola denuncia che "c'e' un deficit della politica.
Dobbiamo ripensarla in termini radicali" e sottolinea che "sull'Ici
si fa un gran polverone". Quanto all'era di Berlusconi, Scola
dice che "e' presto per dare un giudizio complessivo".
"Non esiste l'espressione irrecuperabile nel vocabolario della
politica. Qui tutto e' possibile", ha detto Altero Matteoli (Pdl), che
in un'intervista a 'Il Messaggero', aggiunge, rispetto alla
possibilita' di riannodare i fili con Lega e Udc, che "qui tutto e'
possibile". "Sia la Lega che l'Udc -afferma il senatore- sono in
sintonia elettorale con il Pdl nel senso che pescano nella stessa
area. Nostro compito principale, adesso, e' riannodare i fili con i
centristi, con i quali siamo alleati nel Ppe. Bisogna trovare un
accordo con loro, il resto viene di conseguenza". Quanto alla
durata della legislatura, l'ex ministro alle Infrastrutture non
crede che arrivi al 2013: "Sara' difficile arrivarci. Penso che le
urne si apriranno l'anno venturo".
La crescita e' ''l'unica via d'uscita da questa crisi. La crescita
non puo' che incardinarsi in un programma di riforme, capace di
dare al nostro sistema economico competitivita', modernita' e
solidita' in modo da assicurare cosi' l'occupazione e la forza del
Paese'', ha scritto il vice presidente di Confindustria, Antonello
Montante in un suo intervento su 'L'Unita''. Montante e' convinto
della necessita' di ''istituire un tavolo permanente nazionale con
tutte le associazioni datoriali, i sindacati, il ministro dello
Sviluppo economico e il ministro del Welfare.Il tavolo non dovra'
occuparsi solamente dell'emergenza, pero'. Bisognera'
utilizzarlo per mettere in comune riflessioni, analisi, valutazioni
e considerazioni, in modo tale da individuare sinergicamente i
percorsi migliori per la crescita, tenendo in considerazione gli
obiettivi principali da raggiungere per rilanciare il Paese:
difendere il lavoro, sbloccare le risorse per l'occupazione e
sostenere le imprese che credono nel superamento della crisi
tramite quelle riforme fondamentali che da troppo tempo
dobbiamo fare''.
''Abbiamo sicuramente bisogno di proteggere il mercato del
lavoro e per farlo dobbiamo aumentare la nostra produttivita'
-continua Montante-. Se vogliamo perseguire il giusto obiettivo
di aumentare i salari, dobbiamo prima recuperare questa
produttivita', allineandoci al resto d'Europa''.
''Evasione e corruzione prima causa del declino'', ha affermato il
pm di Milano, Greco. Una Authority per combattere la
corruzione e l'evasione fiscale, reati che "garantiscono profitti
illeciti per 150- 200 miliardi l'anno". La propone Francesco
Greco, da due anni procuratore aggiunto di Milano e capo del
Dipartimento reati finanziari. Spiega Greco in una intervista a 'la
Repubblica' che "le norme sulla tracciabilita' dei flussi finanziari
sono importanti non solo per contrastare l'evasione fiscale ma
anche il riciclaggio e soprattutto la corruzione". Inoltre, "per
rendere maggiormente efficace l'intervento e soprattutto
garantire l'imparzialita' anche dai governi - dice Greco - e'
necessario varare una Authority veramente indipendente che si
occupi del coordinamento del contrasto alla corruzione,
all'evasione fiscale e al riciclaggio. E' quello che tutte le
convenzioni internazionali impongono e che noi abbiamo fatto
fallire creando una Autorita' anti corruzione che si e' risolta nel
solito inutile poltronificio giustamente eliminato da Tremonti".
Quanto alla recente decisione del Csm che impone di ruotare i
magistrati che occupano un ufficio da piu' di dieci anni, per
Greco "danneggia la lotta contro il crimine economico".
''Visione puramente rigorista rischia di estendere la recessione''.
"Se il rallentamento restera' nelle dimensioni attuali,
fortunatamente modeste, si potranno mettere in atto iniziative
anticicliche che permettano di rivedere segnali di crescita alla
fine della prossima primavera. Se invece si insistera' su una
visione puramente rigorista, si rischia di incancrenire ed
estendere la recessione (ovviamente anche alla stessa
Germania) fino a trasformarla in depressione, cioe' in una
distruzione strutturale delle basi produttive". E' la previsione
fatta dal quotidiano 'Avvenire' in un editoriale di oggi in cui si
parla del "ruolo possibile" dell'Italia e dei "doveri" della
Germania. Il quotidiano della Cei avverte che "se si diffonde la
sfiducia, cala la domanda, non si investe, manca il credito e
cosi' si finisce in recessione - com'e' gia' accaduto - e si rischia,
appunto, di cadere nella depressione". Secondo 'Avvenire',
"aspettare che i peggiori timori si concretizzino, prima di
assumere misure a quel punto tardive, costose e difficilmente
efficaci, e' una prospettiva nefasta". Quanto al presidente del
Consiglio e al suo ruolo, il quotidiano dei vescovi evidenza che
"Monti ha una preparazione culturale e una attendibilita'
personale che gli permettono di essere ascoltato in Europa, a
maggior ragione se continuera' a contare sul sostegno
parlamentare di forze politiche consapevoli e responsabili".
''Addio foto Vasto, Bersani non rinunci a oltrepassare
berlusconismo'', ha affermato Vendola. "Non c'e' piu' la foto di
Vasto ma a Bersani chiedo se davvero non ci interessa piu'
definire un orizzonte di cambiamento, un'alternativa di
cambiamento per oltrepassare il berlusconismo". Lo afferma il
leader di Sel Nichi Vendola che in un'intervista a 'L'Unita''
aggiunge: "Non ci interessa piu' quell'elettorato di Di Pietro che
e' un pezzo di centrosinistra e confrontarci con la rete dei
sindaci che sta nascendo attorno a De Magistris"? Il
governatore della Puglia sottolinea che "nell'evo che ha
preceduto il governo Monti non solo il centrosinistra era dato
vincente ma aveva vinto nelle sfide piu' importanti come Milano.
Ma era il centrosinistra del cambiamento, non genuflesso che si
comporta come un chierichetto nei confronti dei poteri costituiti".
E allora esorta il segretario del Pd Pier Luigi Bersani a rompere
"questa specie di autoipnosi per cui col governo tecnico la
politica vive una crisi di afasia".
"C'è un rischio reale di tensioni sociali nei prossimi mesi". A
lanciare l'allarme tramite Twitter è la leader Cgil Susanna
Camusso. La segretaria nazionale chiede quindi "un piano per il
lavoro" individuato come "vera emergenza".Tre sono i punti
chiave individuati dalla Camusso: ''Ridurre la precarietà da 46
forme di assunzione a tre o quattro, introdurre forme flessibili
più costose e incentivare l'apprendistato''.
Fin qui i commenti. Poi ci sono i fatti. Inizieranno il 9 gennaio,
con quattro ore di sciopero, le iniziative di protesta decise dalla
Fiom lo scorso 16 dicembre contro Fiat. Alla base della
decisione la scelta del gruppo torinese di uscire dal contratto
collettivo nazionale. Ad annunciarlo è stato il leader della sigla
sindacale Maurizio Landini, che spiega come verrà dato il via a
una campagna “straordinaria nei luoghi di lavoro” per
organizzare assemblee in vista della manifestazione a Roma
l'11 febbraio.
Saldi stagionali ai nastri di partenza. Essi scatteranno già da
questa mattina per i lucani e siciliani, mentre in tutte le grandi
città e in quattordici regioni su venti l'appuntamento è fissato
per il 5 gennaio. I molisani e gli altoatesini dovranno, invece,
attendere fino al 7 gennaio, mentre i valdostani, come da
tradizione, fino al 10 gennaio.
Secondo le stime dell'ufficio studi di Confcommercio, ogni
famiglia, in occasione dei saldi invernali 2012, spenderà 403
euro per l'acquisto di capi d'abbigliamento ed accessori, per un
valore complessivo di 6,1 miliardi di euro pari al 18% del
fatturato annuo del settore. Il numero di famiglie che attendono i
saldi per le vacanze di Natale saranno 15,1 milioni e ogni
persona, in media, spenderà 168 euro.
''La crisi economica e una stagione autunnale caratterizzata da
un clima mite - sottolinea il presidente di Federazione moda
Italia, Renato Borghi- non hanno di certo favorito le vendite di
capi d'abbigliamento della collezione autunno/inverno. E anche
a dicembre abbiamo dovuto fare i conti con un Natale
all'insegna del risparmio e di molta prudenza negli acquisti''.
Inoltre, spiega il presidente, i margini delle imprese hanno
subito un'ulteriore riduzione perché ''per sostenere consumi già
deboli i commercianti, laddove possibile, hanno assorbito
l'aumento dell'Iva dal 20% al 21% deciso quest'estate. Ora con
l'avvio dei saldi confidiamo in una boccata d'ossigeno per le
vendite''.
Per il corretto acquisto degli articoli in saldo, Confcommercio
ricorda alcuni principi di base: la possibilità di cambiare il capo
dopo che lo si è acquistato è generalmente lasciata alla
discrezionalità del negoziante, a meno che il prodotto non sia
danneggiato o non conforme. In questo caso scatta l'obbligo
per il negoziante della riparazione o della sostituzione del capo
e, nel caso ciò risulti impossibile, la riduzione o la restituzione
del prezzo pagato. Il compratore è però tenuto a denunciare il
vizio del capo entro due mesi dalla data della scoperta del
difetto. Non c'è alcun obbligo della prova dei capi, da parte del
negoziante; mentre per i pagamenti le carte di credito devono
essere accettate da parte del negoziante qualora sia esposto
nel punto vendita l'adesivo che attesta la relativa convenzione. I
capi che vengono proposti in saldo, ricorda Confcommercio,
devono avere carattere stagionale o di moda ed essere
suscettibili di notevole deprezzamento se non venduti entro un
certo periodo di tempo. Tuttavia nulla vieta di porre in vendita
anche capi appartenenti non alla stagione in corso. Il
negoziante ha inoltre l'obbligo di indicare il prezzo normale di
vendita, lo sconto e il prezzo finale.
Previsioni nere sull'andamento dei prossimi saldi da parte dei
consumatori. L'Adoc prevede un calo delle vendite del 30%
rispetto allo scorso anno e una spesa in ribasso del 21%. ''Il
budget non supererà i 90 euro a persona'', afferma Carlo Pileri,
presidente dell'Adoc.
Secondo il Codacons, solo il 40% delle famiglie approfitterà dei
saldi invernali. Per l'associazione dei consumatori la spesa
media pro capite sarà di 110 euro e il calo delle vendite
raggiungerà quota -30% rispetto ai precedenti saldi invernali. A
risentire della grave crisi, spiega il presidente, Carlo Rienzi,
''saranno soprattutto i piccoli negozi e per la prima volta anche
gli outlet e i centri commerciali vedranno una consistente
diminuzione del proprio giro d'affari''.
Adusbef e Federconsumatori sottolineano, invece, ''alla luce del
pessimo andamento dei consumi di Natale'' che ''la mancata
decisione di anticipare i saldi è stata gravissima''.
L'Osservatorio Nazionale Federconsumatori prevede, poi, che
la spesa complessiva per i saldi, secondo le prime stime, sarà
di appena 2,4 miliardi di euro, in calo rispetto allo scorso anno.
Ogni famiglia che acquisterà a saldo spenderà circa 223 euro, il
19% in meno rispetto allo scorso anno.
In tempo di crisi si consuma meno e meno rifiuti si producono.
Da Nord a Sud la raccolta è in calo con punte che arrivano
quasi al 10%. Quelli che mancano all'appello sono gli
imballaggi, in calo soprattutto a Natale e una grossa quota di
sprechi. Si fa più attenzione a quello che si compra, portando a
casa solo quello che serve e, soprattutto, a quello che si getta,
dagli alimentari agli oggetti d'uso comune che una volta
venivano buttati via per i motivi più diversi e che oggi si tiene a
riparare se guasti o a continuare a tenere anche se sono
passati di moda.
A Roma durante le ultime festività la quantità di rifiuti prodotta è
diminuita del 10 per cento rispetto allo scorso anno. Nel 2010
sono state infatti raccolte oltre diecimila tonnellate di rifiuti tra
Natale e Capodanno contro le 9,5 di quest'anno. E' invece
aumentata di un paio di punti percentuali la raccolta
differenziata, un successo anche considerando il fatto che la
sua estensione nel territorio comunale è di questi ultimi mesi.
In calo la produzione di rifiuti anche a Napoli dove forse c'è di
mezzo anche l'autodifesa del cittadino che certo non ha
dimenticato le montagne di mondezza che svettavano tra le
piazze e vie cittadine. Nella città partenopea il 2011 ha visto un
calo nella produzione dei rifiuti pari al 6%, passando dalle 548
mila tonnellate del 2010 alle 541 mila di quest'anno. In calo
anche durante le feste di Natale.
Va in controtendenza Torino, manca il dato di dicembre 2011
ma, depurando dell'ultimo mese dell'anno il totale della raccolta
del 2010, pari a oltre cento milioni di chili, e rapportandolo al
totale degli 11 mesi di quest'anno, pari a quasi 999 milioni di
chilogrammi, abbiamo 6 milioni di chilogrammi di rifiuti in più,
prodotti e raccolti.
Ogni utente della Cidiu, l'azienda che in Piemonte si occupa
della raccolta dei rifiuti, ha prodotto quest'anno 481 chili di rifiuti
in 11 mesi, quasi mezza tonnellata contro i 447 chili prodotti nei
12 mesi del 2010. I dati di Bologna non sono ancora disponibili,
quelli ufficiali riguardano la raccolta differenziata in lieve
progresso tra il 2009 ed il 2010, (dal 33,78% al 34,84%). Il
totale dei rifiuti prodotto dai cittadini bolognesi nel 2010 è stato
di 137 mila tonnellate, 346 mila in tutta la provincia.
Pochi dati per Firenze, quelli resi disponibili dall'Osservatorio
interprovinciale dei rifiuti si fermano al 2007 e denunciano per
quell'anno un totale raccolta in regione di 2.548.895 chili, 1% in
meno rispetto all'anno precedente. Tra i rifiuti di fine anno un
posto a parte spetta al tappo di sughero. Tra champagne e
spumante a capodanno ne "salteranno" in aria 80 milioni, 30
tonnellate di sughero interamente riciclabile.
Questo è l'unico effetto positivo finora prodotto dal governo
Monti. Per il resto quello che ci aspetta è una grave recessione
che farà aumentare il rapporto debito – pil che renderà
necessaria una nuova manovra di tagli della spesa che colpirà
le classi popolari. Per il resto, viene da chiedersi dove è finito il
federalismo. Esso sembra essere spaito dall'agenda politica.
Male, molto male. Esso era l'unico mezzo utile per tenere
assieme l'Italia deamicissiana di Napolitano.
La manovra è legge. Il Senato ha dato l'ok alla fiducia posta dal
governo con 257 sì e 41 no. Nessun senatore si è astenuto. "Il
decreto è definitivamente approvato, ne sono lieto", ha detto il
premier Mario Monti lasciando il Senato. Ai cronisti che gli
hanno chiesto della 'fase due', il premier ha replicato: "E' già
cominciata la fase due, era nella fase uno". Così come
annunciato durante il suo intervento di poco prima.
Il decreto 'Salva Italia' è ''di estrema urgenza'' e mette in grado il
Paese ''di affrontare a testa alta la crisi europea'', ha detto poco
prima Monti parlando al Senato.
''Dobbiamo avere fiducia in noi stessi'' per ''preparare un'Italia
migliore per i nostri figli'', è stato l'appello. ''L'Italia vuole
rimanere un grande Paese industriale, ma senza il piombo di
una situazione finanziaria che avrebbe minato alla base il
Paese'', ha poi sottolineato.
''Non c'è crescita senza disciplina finanziaria e non c'è stabilità
se i bilanci non sono in ordine'', ha proseguito Monti
aggiungendo: ''Siamo ancora in un contesto di criticità''. La
proiezione allo sviluppo ''sarà l'asse portante della nostra
azione'', è l'impegno indicato. ''I mercati ragionano spesso in
termini di sostenibilità del debito pubblico'' e con il decreto
'Salva Italia' è stato ''eliminato un elemento di vulnerabilità
nostra e nell'area euro''. E ha invitato a guardare ''con fiducia a
nostri buoni del Tesoro''.
''E' del tutto privo di fondamento lo slogan 'pagano i soliti noti''',
ha sottolineato il Professore: ''Su suggerimento del Parlamento
si sono introdotti dei correttivi a favore delle famiglie''. E sempre
grazie al contributo del Parlamento è stato possibile migliorare
"l'impianto e i dettagli di questa gravosa operazione di politica
economica". "Qualcuno ha sostenuto che non ci sia stato
rispetto del Parlamento è profondamente vero il contrario", ha
allora sottolineato rispondendo così alle accuse della Lega
rivolte al governo di aver prevaricato il Parlamento nell'iter di
approvazione della manovra.
Poi il "grazie di cuore" ai partiti che sostengono il governo:
"Vorrei dire a tutti i cittadini che l'apporto che questo governo
sta ricevendo dai partiti che lo sostengono è molto più grande di
quello che i partiti stessi a volte lasciano credere".
''Abbiamo fatto quello che era possibile fare in queste due
settimane, resta da fare un lavoro enorme per liberare
l'economia italiana dai freni che ne hanno rallentato la crescita'',
ha affermato inoltre il presidente del Consiglio, sottolineando
che ''la fase due è già dentro la fase uno. Il governo ha deciso
come proprio obiettivo strategico quello della crescita e, pur
nell'emergenza, ha deciso di destinare risorse importanti alle
imprese e al lavoro stabile''. ''L'aumento delle imposte
necessario - ha sottolineato - è stato immaginato per gravare
meno sulla produzione e più sul patrimonio e la ricchezza''.
Per la riforma del mercato del lavoro, il governo definirà
''un'agenda strutturata con le parti sociali''. ''Nella fase che ora
si apre e che avrà come tema chiave il mercato del lavoro e
degli ammortizzatori sociali, sarà necessario e possibile - ha
evidenziato Monti - procedere con le forze politche e sociali in
modo diverso da quello finora usato perché il mercato del
lavoro richiede, per sua natura, un maggior dialogo con le parti
sociali, cosa che era meno necessaria nella definizione della
manovra''.
Inoltre, il governo lavorerà ''con grande attenzione'' sul tema
delle liberalizzazioni, ma anche sulle ''agevolazioni fiscali a
favore delle famiglie e delle imprese''. Nel primo provvedimento
del governo Monti, che sta per essere approvato, ''sono stati
posti i semi per lo sviluppo''. Ora si tratta di portare avanti
questa fase e rendere ''sistematiche'' le misure necessarie per
lo sviluppo.
L'aula del Senato ha seguito in un'atmosfera di calma e di
attenzione le dichiarazioni del premier Monti il quale ha potuto
svolgere il suo intervento senza interruzioni, cogliendo alla fine
l'applauso della maggioranza che lo sostiene. Solo a quel punto
la contrarietà della Lega alla manovra si è manifestata con
sonore proteste, alcuni 'buuu' e battendo i piedi, mentre l'ex
ministro Roberto Calderoli ha fatto ricorso al suo ormai usuale
gesto del pollice verso.
Poco prima era arrivata da parte di Schifani la censura per il
capogruppo della Lega Federico Bricolo, per l'ex ministro
Roberto Calderoli e per altri senatori del Carroccio, dopo le
proteste inscenate ieri in Aula dopo l'annuncio del governo di
porre la questione di fiducia sulla manovra.
Una scelta che ha provocato nuovi momenti di tensione in aula
a Palazzo Madama. "Non c'è democrazia nei nostri confronti"
hanno gridato alcuni esponenti del Carroccio, rumoreggiando e
inducendo la presidenza a non sospendere la seduta anche
perché nel giro di una manciata di secondi arrivava il presidente
del Consiglio.
La censura ha colpito anche i senatori Luciano Cagnin,
Michelino Davico, Sergio Divina, Massimo Garavaglia, Angela
Maraventano, Sandro Mazzatorta, Roberto Mura, Mario Pittoni,
Piergiorgio Stiffoni, Giovanni Torri, Gianvittore Vaccari,
Gianpaolo Vallardi e Armando Valli.
Ora, ascoltato Monti, vediamo ciò che costituisce il nucleo della
manovra. Pensioni e fisco sono i due pilastri su cui si regge
l'architettura della manovra del governo, che grazie ai risparmi
e alle nuove entrate, anche a carico degli Enti Locali,
garantiranno il pareggio di bilancio nel 2013 ed anche delle
risorse per il terzo pilastro, vale a dire alcune misure per la
crescita che dovrebbero contrastare il calo del Pil. Una
manovra complessiva, dopo le modifiche della Camera, di 34,9
miliardi nel 2014, di cui 21,4 di correzione dei conti.
Pensioni. E' la grande voce di risparmio, 20 miliardi a regime
nel 2018, con l'introduzione del metodo contributivo per tutti. In
più viene accelerata l'equiparazione dell'età della pensione
delle donne a quella degli uomini: dal 2018 sarà di 66 anni.
Stretta sulle pensioni di anzianità: ci vogliono almeno 42 anni di
contributi, e a regime chi lascerà prima perderà il 2% del
trattamento ogni anno. Cresceranno i contributi per gli
autonomi, che arriveranno al 25% nel 2018, per garantire loro
un assegno più pesante. Per le pensioni d'oro maxi-prelievo del
15% oltre i 200.000 euro. Per far cassa nei prossimi due anni
viene bloccata l'indicizzazione delle pensioni oltre la soglia dei
1.400 euro, cioé tre volte la minima.
Fisco. In questo grande capitolo, la voce di maggior impatto è
l'anticipo di due anni, cioé dal 2012, dell'IMU, la vecchia Ici
anche sulla prima casa. In più ci sarà una rivalutazione
monetaria delle rendite catastale che renderà più pesante
questo tributo per tutti gli immobili. Ci sarà una esenzione di
200 euro per tutti, che aumenta di 50 euro per ogni figlio, fino a
un massimo di 400. Vengono anche tassate le auto di grossa
cilindrata, le barche e gli aerei privati, con una imposta che
calerà nel tempo e sarà compensata dall'incremento delle
accise sulle sigarette fai da te.
Per quanto riguarda i capitali scudati (182 miliardi) sono
soggetti ad un'imposta di bollo speciale del 10 per mille negli
anni 2012 e 13,5 per mille nel 2013, l'aliquota ordinaria è al 4
per mille. Il Fisco avrà un anno in più, fino al 31 dicembre 2013,
per le attività di accertamento legate al recupero delle somme
non riscosse con i condoni e le sanatorie previsti dalla legge
finanziaria 2003. Una piccola patrimoniale sarà l'imposta di
bollo su tutti i depositi titoli (es. Fondi di investimento o polizze
vita) e non più solo sui conti correnti. I depositi bancari con
meno di 5.000 euro non pagheranno più il bollo annuale di 34
euro; quelli delle società saliranno a 100 euro.
Equitalia. I beni espropriati da Equitalia ai debitori verso il Fisco,
non saranno più messi all'asta dall'Agenzia ma saranno venduti
dal contribuente. Il debitore venderà il bene pignorato o
ipotecato e consegnerà l'intera somma ad Equitalia, che
restituirà al contribuente la somma che eccede il debito. Inoltre
le aziende in difficoltà a causa della crisi che sono in ritardo nel
pagamento delle cartelle ad potranno ottenere una ulteriore
proroga di 72 mesi. Infine slitta di un anno (a fine 2012) l'uscita
di Equitalia dalla riscossione dei Comuni.
Tagli alla politica e alla PA. Le Camere, con proprie delibere
passeranno al metodo contributivo per le pensioni e taglieranno
gli stipendi dei parlamentari. Le province diverranno enti di
secondo livello, ma solo alla loro scadenza naturale. Anche gli
stipendi dei consiglieri circoscrizionali saranno sì aboliti ma solo
dalla prossima consiliatura. Arriva un tetto agli stipendi dei
manager delle società pubbliche non quotate e per quelli della
pubblica amministrazione. Per questi ultimi però è possibile una
deroga con un Dpcm. Nuovi tagli a comuni e Regioni: queste
potranno aumentare l'addizionale Irpef dallo 0,9 all'1,23%
Sviluppo. Le imprese potranno scaricare dall'Ires l'Irap sul costo
del lavoro. In più c'é uno sconto Irap per le assunzioni a tempo
indeterminato di donne e giovani under 30. Per favorire la
ricapitalizzazione arriva l'Ace, cioé un regime fiscale favorevole
ai capitali reinvestiti in azienda.
Liberalizzazioni. Alla Camera sono saltate quelle sui farmaci di
fascia C e quella dei taxi. Arriva una Authority per i trasporti dai
quali però sono rimaste escluse le autostrade e le strade.
Lotta all'evasione. Scende da 2.500 a 1.000 la soglia dei
pagamenti in contante. Anche la P.A. pagherà cash solo le
somme sotto questa soglia, comprese le pensioni. La
commissione massima dovuta dai negozi alle banche per i
pagamenti con carte di credito non potrà essere superiore
all'1,5%. Mentire al fisco diventa un reato, tranne che per chi
'sbaglia' (errori in dichiarazione). Le banche dovranno
comunicare all'anagrafe tributaria periodicamente i movimenti
dei conti correnti. Le aziende che avranno rapporti on line con
l'Agenzia delle entrate riceveranno un occhio di riguardo.
Non una lira viene sottratta al Ministero della difesa che
sarebbe più onesto chiamare Ministero della guerra, dal
momento che tutti i nostri soldati sono impegnati a fare la
guerra in giro per il mondo in nome dell'imperialismo americano
e non certamente in difesa della democrazia.
Per quello che riguarda il resto, credo nessuno possa aver
qualcosa da ridire rispetto all'affermazione che la manovra
trasuda iniquità e che il Pd, se fosse stato un partito di sinistra,
non avrebbe mai potuto votarla. Ma non lo è. Il Pd è un insieme
di oligarchie costituite da politici di professione che intendono la
politica come un'attività autoreferenziale. Per essi non è
importante chi è al governo; tanto meno è importante ciò che
esso fa. Importante è che la baracca stia in piedi, perché se
dovesse crollare, essi si troverebbero con il culo per terra.
Democrazia protetta. Evitare le elezioni anticipate era "preciso
dovere istituzionale" del capo dello Stato, ha affermato il
presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione
della tradizionale cerimonia degli auguri di Natale e Capodanno
con le alte cariche dello Stato al Quirinale.Il ricorso alle urne
avrebbe avuto, secondo Napolitano, "ricadute dirompenti per il
nostro Paese nel burrascoso contesto dell'eurozona". E "la via
obbligata da percorrere - ha sottolineato il capo dello Stato - era
quella di affidare la formazione di un nuovo governo ad una
personalità rimasta sempre estranea alla mischia politica".
La soluzione della crisi che si è aperta con le dimissioni di
Berlusconi, ha spiegato il presidente della Repubblica, "non si è
collocata entro i binari di un ordinario succedersi alla guida del
Paese di schieramenti che abbiano ottenuto la maggioranza
nelle elezioni. Ma nessuna forzatura, né tanto meno alcuno
strappo si è compiuto rispetto al nostro ordinamento
costituzionale".
E parlare di "sospensione della democrazia" dopo la nascita di
un governo tecnico è stata "una grave leggerezza". "Solo con
grave leggerezza - ha detto il capo dello Stato - si può parlare
di sospensione della democrazia, in un Paese in cui nulla è
stato scalfito: né delle libere scelte delle forze politiche, né delle
autonome determinazioni del Parlamento e delle altre
assemblee rappresentative, né delle prerogative degli organi di
garanzia, né delle possibilità di espressione delle proprie
istanze, di manifestazione del proprio dissenso, anche da parte
delle forze sociali".
Napolitano ha rimarcato che il ruolo della politica "resta
insopprimibile, non è neppure temporaneamente oscurabile" ed
ha rivendicato anche la propria imparzialità nell'evoluzione del
confronto politico che ha portato alle dimissioni del governo
Berlusconi ed alla nascita dell'esecutivo Monti. La maggioranza
scaturita dalle elezioni del 2008, ha ricordato, "era stata già da
tempo segnata da una rottura pubblica e aveva visto via via
ridursi la sua coesione e stabilità e quindi accrescersi le sue
difficoltà di decisione e di iniziativa".
E quanto più appariva necessaria un'ampia convergenza
attorno a scelte "difficili e impegnative, tanto più risultava
penalizzante - ha aggiunto - il clima aspramente divisivo
radicatosi nei rapporti politici. La sostenibilità anche
internazionale di tale stato di cose era giunta a un punto limite.
A me toccava solo registrare e seguire imparzialmente le
reazioni delle forze in campo", fino a che, "con senso di
responsabilità" Berlusconi non ha preso atto di una situazione
"così critica" e ha rassegnato le dimissioni.
Secondo il capo dello Stato aver dato fiducia al governo Monti è
stato "segno di consapevolezza dell'estrema difficoltà del
momento" e, per i partiti che hanno deciso di sostenere
l'esecutivo del professore "titolo di merito, non motivo di
imbarazzo". "L'ampiezza e la continuità del sostegno allo sforzo
appena avviato, in quanto prova di un condiviso senso di
responsabilità e impegno costruttivo delle forze politiche - ha
continuato - è ciò che più rafforza e può rafforzare la credibilità
dell'Italia".
Quanto alle riforme Napolitano ha sollecitato il Parlamento e i
partiti a recuperare ''il tempo perduto in un sussulto conclusivo
di operosità riformatrice e di fecondità", ribadendo come in
questi anni, lungo il cammino delle riforme, non si sia giunti "alle
decisioni che si attendevano e che oggi appaiono auspicabili,
anche a proposito di legge elettorale". Una ripresa, dunque, del
percorso di riforme che, secondo il capo dello Stato, "non è
impossibile anche grazie al clima più disteso che si intravede
nei rapporti politici''.
Riguardo poi alla richiesta di sacrifici per fronteggiare la crisi, ha
sottolineato, "non ci si piega ad alcun diktat esterno, né ad
alcun precetto di ortodossia monetarista, e non si dimentica
l'imperativo della crescita". Per il capo dello Stato "non si può
più esitare sulla via del risanamento e della stabilizzazione della
finanza pubblica, perseguendo innanzitutto il pareggio di
bilancio".
La strada per uscire dalla crisi "è lunga, e in salita - ha detto
ancora il presidente della Repubblica - Possiamo farcela solo
attraverso un grande sforzo collettivo, una grande mobilitazione
morale, civile, sociale'' e, come anche nel passato il nostro
Paese ha dimostrato di saper fare, "con l'arma vincente della
coesione sociale e nazionale". E le istituzioni non lasceranno
che "il virus della violenza, in qualsiasi sua manifestazione"
turbi la coesione nazionale. Napolitano ha sollecitato
nuovamente le istituzioni e il Paese a combattere ogni forma di
violenza, "da quella dell'ignobile intolleranza razziale a quella
dell'infiltrazione con intenti eversivi e distruttivi nella pacifica
protesta politica e sociale, sino all'estremo di nuovi rigurgiti
terroristici. La vigilanza e la fermezza, non solo dei vertici dello
Stato - ha scandito - dovranno essere risolute e costanti".
Napolitano ha tenuto inoltre a sottolineare che anche grazie alla
partecipazione "straordinariamente diffusa e significativa" alle
celebrazioni per i 150 anni dell'Unita' d'Italia, "si è confermata
l'artificiosità e vanità della predicazione secessionista".
Ora, cerchiamo di capirci. Il governo Belusconi era un governo
democraticamente eletto dal popolo italiano e godeva della
fiducia del Parlamento. Il governo Berlusconi era in grado di
portare avanti la sua azione, efficace o meno che fosse, fino
alla fine della legislatura. Il presidente del consiglio, Silvio
Berlusconi, quindi, avrebbe potuto fare a meno di dare le
dimissioni; se le ha date, è stato perché egli probabilmente
pensava che il presidente della repubblica l'avrebbe mandato,
secondo prassi costituzionale, nuovamente davanti alle Camere
per ottenere la fiducia dal Parlamento.
Non è stato così. Il presidente della repubblica, Giorgio
Napolitano, aveva deciso di sbarazzarsi di Berlusconi e aveva
deciso che il nuovo presidente del consiglio fosse il professore
Mario Monti, che non a caso era papena stato nominato
senatore a vita dal presidente della repubblica. Questa è la
verità e chi la nega mente sapendo di mentire. Ora, a me tutto
ciò non piace; non piace l'idea di democrazia protetta da se
stessa che è propria del nostro presidente della repubblica.
Democrazia è conflitto. Duro, a volte. Altre volte anche violento,
ma è sempre è comune molto meglio del paternalismo di cui il
nostro presidente della repubblica infarcisce i propri discorsi ed
al quale ispira la propria azione politica. In altre parole non mi
va l'idea della democrazia italiana come d'una democrazia
debole e del popolo italiano come d'un popolo bambino che ha
bisogno d'essere protetto da se stesso perché incapace di farlo
da solo.
L'inverno del nostro scontento. Il 2012 sarà un anno da lupi.
Sull'economia europea calerà l'”l'inverno della recessione. In
Italia essa è iniziata prima che altrove e risulterà più marcata": è
quanto rileva il centro studi di Confindustria che prevede un
crollo del Pil di 2 punti percentuali tra la scorsa estate e la
prossima primavera. Le stime per il 2012 sono state tagliate dal
+0,2% al -1,6%, per il 2011 dal +0,7% al +0,5%.
Confindustria giudica "molto probabile che si attenui il reintegro
delle persone in Cig, aumentino i licenziamenti, il tasso di
disoccupazione salga più velocemente e raggiunga il 9% a fine
2012". Con altre 219 mila persone occupate in meno il biennio
2012-2013 si chiuderà con un calo di 800 mila lavoratori da
avvio crisi a inizio 2008."
"La pressione fiscale raggiungerà livelli record: 45,5% del Pil tra
due anni, inclusi i tagli alle agevolazioni fiscali che dovranno
scattare a partire dall'ultima parte del 2012", prevede il Centro
studi di Confindustria che annota: "La pressione effettiva, che
esclude il sommerso dal denominatore, supera
abbondantemente il 54%". Livelli "insostenibili" già quest'anno
(51,3%), dice Confindustria, "specie se si considera che non
corrispondono servizi pubblici adeguati". In Europa, peggio
dell'Italia si troveranno solo in Francia e Belgio.
La manovra del governo - per il Centro studi di Confindustria e' ''un primo passo nella direzione della crescita''. Ne servono
altri su ''mercato del lavoro, ammortizzatori sociali,
infrastrutture, costi della politica, semplificazioni
amministrative,giustizia civile, istruzione e formazione, ricerca e
innovazione,lotta a evasione accompagnata da abbattimento
delle aliquote''.
Le analisi del centro studi di Confindustria "evidenziano quanto
la crisi abbia falcidiato i posti di lavoro tra i giovani (-24,4% per i
15-24enni, -13% per i 25-34enni da metà 2008 a metà 2011; +
6,6% per gli over 45enni)". Penalizzati "i maschi (-3,4%; zero tra
le donne) e chi ha una minore istruzione (-10,6% per quanti
hanno solo la licenza media, +3,1% per i diplomati, +3,9% i
laureati)".
"Le violenti ricadute della disgregazione della moneta unica
possono essere solo congetturate", dice il Centro studi di
Confindustria che crede nel "lieto fine" ma analizza così "la
posta in palio": per "alcune simulazioni riguardanti le quattro
maggiori economie dell'eurozona, nel primo anno il Pil
crollerebbe tra il 25 ed il 50%, svanirebbero tra i 6 e i 9 milioni
di posti di lavoro in ciascuna di esse, i deficit e i debiti pubblici
raggiungerebbero valori da immediata insolvenza perfino in
Germania".
"L'esito più probabile della crisi", per il Centro studi di
Confindustria, è una ripresa "dalla tarda primavera 2012". il
centro studi di Confindustria crede nel "lieto fine" ma avverte
che ci troveremo ad un bivio: o prenderemo delle serie misure o
ci troveremo di fronte al dissolvimento dell'euro, al fallimento di
imprese e banche, a milioni di posti lavoro persi, alla crisi del
debito anche nei Paesi virtuosi.
Io non credo nel lieto fine. Come ho già avuto modo di dire,
l'Europa è vecchia, il suo personale politico ragiona come ai
tempi di Schuman, Adenauer e De Gasperi, laddove
occorrerebbero idee nuove, metodi nuovi, teorie nuove.
L'economia politica dell'Europa unita non può essere quella
dell'Europa dei tempi di Cecco Beppe!
Non si governa l'economia di uno stato con le bufale dei due
tempi. Non si sospinge un'economia fuori dalla crisi con tagli
della spesa pubblica, aumenti di imposte, tasse contributi,
riduzione della domanda effettiva. Questo non è "buon
governo". E' cattivo governo. E' l'anticamera del crollo. E' infatti
esattamente la politica di Hoover.
Occorre, invece, un autentico New Deal, occorrono investimenti
pubblici, occorre immettere nell'economia denaro fresco.
Occorre innovare. Occorrono prodotti nuovi. Occorre inventare
un'economia nuova. Occorre avere il coraggio dei grandi
rivoluzionari perché siamo giunti ad un passaggio cruciale della
nostra storia.
Il mondo sta cambiando pelle. Il centro dell'economia mondiale
s'è spostato dall'Atlantico al Pacifico. Stanno emergendo nuove
potenze economiche che stanno creando le condizioni per
l'avvio di una nuova onda lunga di Kondrat'ev. Dobbiamo
mettere via il calesse sul quale ha viaggiato l'economia politica
da Jevons a von Hayek e dobbiamo inforcare l'auto a idrogeno.