Isolamento e caratterizzazione biologico
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Isolamento e caratterizzazione biologico
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA DIPARTIMENTO DI SCIENZE BIOMEDICHE XXIV CICLO DEL DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE MORFOLOGICHE Isolamento e caratterizzazione biologicomolecolare di cellule tumorali simil-staminali da una linea cellulare derivata da un carcinoma papillare tiroideo Tesi di dottorato di Paola Caria Relatori: Prof.ssa Valeria Sogos Prof.ssa Roberta Vanni Coordinatore: Prof.ssa Valeria Sogos ESAME FINALE ANNO ACCADEMICO 2010 – 2011 INDICE INTRODUZIONE 1. Cellule staminali tumorali pag.1 1.1 Origine delle cellule staminali tumorali pag.5 1.2 Divisioni delle cellule staminali pag.8 2. Cellule staminali tumorali tiroidee pag.9 SCOPO DELLO STUDIO pag.17 MATERIALI E METODI 1. Colture cellulari pag.18 2. Formazione delle tirosfere pag.19 3. Saggi di autorinnovamento pag.20 4. Efficienza di formazione delle sfere pag.21 5. Analisi al Fluorescence Activated Cell Sorter pag.21 6. Estrazione dell‟RNA totale pag.22 7. Analisi molecolare: Reverse Transcripion-PCR pag.23 8. Analisi statistica pag.26 RISULTATI 1. Formazione delle tirosfere pag.27 2. Autorinnovamento pag.29 3. Efficienza di formazione delle sfere pag.29 4. Caratterizzazione molecolare delle cellule parentali e delle generazioni di tirosfere pag.33 5. Isolamento delle tre frazioni cellulari al FACS pag.36 6. Caratterizzazione molecolare delle popolazioni isolate pag.37 DISCUSSIONE pag.40 BIBLIOGRAFIA pag.50 PUBBLICAZIONI pag.62 Ringraziamenti pag.63 INTRODUZIONE 1. CELLULE STAMINALI TUMORALI Meccanismi cellulari che intervengono nel mantenimento dell‟integrità del genoma, sia a livello di controllo del danno del DNA, sia a livello del controllo della distribuzione dei cromosomi durante la mitosi, contrastano costantemente il processo neoplastico. Il tumore si origina quindi, quando eventi genetici ed epigenetici determinano la perdita dei sistemi di controllo del ciclo cellulare interferendo con il suo corretto svolgimento e determinando il passaggio dallo stato d‟integrità allo stato d‟instabilità del genoma. Questa condizione è basilare per la trasformazione cellulare poiché favorisce l‟acquisizione progressiva di nuove mutazioni. Per gran parte del ventesimo secolo, l‟iniziazione e la progressione dei tumori è stata spiegata attraverso il modello stocastico, secondo il quale una cellula, o un gruppo di cellule, diventano tumorigeniche dopo aver acquisito una prima mutazione somatica e, successivamente, un accumulo di variazioni genomiche causa della proliferazione e della sopravivenza di cloni cellulari selezionati. I cloni predominanti mantengono il tumore e conservano la capacità di iniziare la tumorigenesi se impiantati in topi immunodepressi. Secondo questo modello, il tumore è composto da uno o più cloni con uguale grado di crescita e, quindi, tutte le cellule hanno la stessa probabilità di iniziare e propagare la neoplasia (Fig. 1A). Il modello presenta due rimarchevoli limitazioni: da un lato non considera che i tumori sono morfologicamente e funzionalmente eterogenei, dall‟altro non considera che per riformare un nuovo tumore è necessario un numero abbondante di cellule. Questa 3 osservazione è in contrasto con l‟ipotesi che ogni cellula della massa tumorale può causare il tumore (Sengupta et al., 2010). Negli ultimi anni è stato proposto un altro modello che, al contrario di quello stocastico, stabilisce che il tumore ha origine da una popolazione rara di cellule, ovvero le cellule staminali del cancro (cancer stem cells, CSCs) o le cellule iniziatrici del tumore. Questa popolazione cellulare è reperibile all‟interno della massa tumorale e possiede la capacità di auto-rinnovamento (self-renewal), che garantisce l‟eterogeneità gerarchica di alcuni tumori e gioca un ruolo cruciale nello sviluppo, nella progressione e nel mantenimento della neoplasia (Fig. 1B). Inoltre, le cellule staminali tumorali non sarebbero responsabili solo dello sviluppo tumorale ma anche dell‟aumento dell‟aggressività, della recidività e delle metastasi (Monteiro et al., 2010). Figura 1. Modello stocastico versus modello cellula staminale tumorale. 4 1.1 Origine delle cellule staminali tumorali L‟origine e la relazione delle CSCs con le cellule staminali adulte rimane a tutt‟oggi elusiva (Wu et al., 2008) (Fig. 2). Alcuni autori hanno postulato che le CSCs derivano da cellule staminali adulte mutate (Reya et al., 2001) sostenendo che, tali cellule, possono causare tumorigenesi alterando i pathways che regolano l‟autorinnovamento. Esse infatti impiegano, nel processo ontogenetico, i medesimi pathways coinvolti nel self-renewal delle cellule staminali adulte tissutali, le quali sono normalmente presenti nei tessuti e sono responsabili del loro regolare rinnovamento. Sebbene questo sia il caso più probabile, non tutte le cellule tumorali che derivano da cellule staminali adulte mutate sono inevitabilmente cellule staminali tumorali. Al contrario, è stato speculato che le CSCs possono derivare da trasformazioni oncogeniche di transit amplifying cells (Clarke et al., 2006), da cellule progenitrici (Krivtsov et al., 2006; Jamieson et al., 2004) oppure, da cellule differenziate (Sun et al., 2005). E‟ stato suggerito, infatti, che cellule somatiche differenziate possono riacquisire proprietà stem-like per riattivazione di pathways che promuovono l‟auto-rinnovamento associato alla trasformazione neoplastica (Welte et al., 2010). 5 Figura 2. Origine delle cellule staminali tumorali (modificata da Wu, 2008). Come le cellule staminali adulte, anche le CSCs sono state per la prima volta identificate nel sistema ematopoietico. Le prime evidenze sulla loro esistenza sono state ottenute negli anni „90, grazie a studi sulla leucemia mieloide acuta (AML). Lapidot e i suoi collaboratori dimostrarono che solo una piccola popolazione di cellule tumorali leucemiche, con fenotipo CD34+/CD38-, aveva la capacità di formare il tumore una volta inoculata in un topo NOD/SCID (non-obese diabetic, severe combined immunodeficient) (Lapidot et al., 1994). Il fenotipo di queste cellule era simile a quello delle cellule staminali normali ematopoietiche e suggeriva, quindi, che esse potevano derivare da cellule staminali adulte mutate (Bonnet et al., 1997). L‟identificazione di cellule staminali leucemiche ha alimentato nuove ricerche su altri tipi di tumore portando alla dimostrazione dell‟esistenza di CSCs anche nei tumori solidi. Al-Hajj e collaboratori (2007) furono i primi a identificare e isolare una subpopolazione di cellule dal tumore al seno. Tali cellule avevano la capacità, in vivo, di 6 formare il tumore in topi immunodepressi mentre la restante popolazione cellulare del tumore aveva questa capacità solo quando iniettata in alta dose. La popolazione di cellule tumorigeniche è stata identificata sulla base dell‟espressione di due marcatori di superficie. Iniettando circa 100 cellule CD44+CD24-/low si formava il tumore mentre la popolazione con fenotipo diverso non era in grado di formarlo. Risultati simili sono stati ottenuti nei tumori cerebrali. In questo caso, le cellule staminali tumorali erano positive per il marcatore CD133 (Singh et al., 2003). Molto più recentemente simili risultati sono stati raggiunti con altri tipi di tumori, tra i quali il tumore polmonare (Kim et al., 2005), il tumore del colon (O‟Brien et al., 2007), dell‟ovaio (Zhang et al., 2008), del pancreas (Li et al., 2007), della prostata (Lang et al., 2009) e della tiroide (Malaguarnera et al., 2010). L‟insieme di tutti questi risultati ha quindi portato a favorire il modello delle cellule staminali tumorali rispetto al modello stocastico. Mentre, il modello stocastico prevede che tutte le cellule del tumore siano capaci, teoricamente, di dare origine e promuovere la crescita tumorale, il modello della CSCs propone, invece, che solo una rara popolazione di cellule ne sia capace. Tuttavia, va sottolineato che i due modelli non sono necessariamente mutualmente esclusivi e caratteristiche del modello stocastico possono entrare in gioco all‟interno della subpopolazione delle cellule staminali tumorali (Chang et al., 2008). Il modello mantiene quindi, delle basi sperimentali solide e le differenze sulla frequenza delle CSCs osservate tra i diversi tumori riflette il diverso tipo di neoplasia ed organismo ospite utilizzato nella sperimentazione (Gupta et al., 2009). Data l‟ampia diversità delle caratteristiche attribuite alle cellule staminali tumorali, l‟Associazione Americana per la Ricerca sul Cancro (AACR), nel 2006, ha pensato di uniformare il concetto definendo la cellula staminale tumorale come “una cellula all‟interno 7 del tumore che possiede la capacità di self-renewal e causa l‟eterogeneità delle cellule all‟interno della massa tumorale” (Clarke et al., 2006). E‟ stato inoltre dimostrato che le cellule con fenotipo simil-staminale sono capaci di resistere alla chemioterapia convenzionale, causando la ricomparsa del tumore dopo che questo è stato asportato (Baguley et al., 2006). La conoscenza dei meccanismi che portano allo sviluppo del tumore e la comprensione di quelli implicati nella farmacoresistenza aprono nuovi orizzonti per lo sviluppo di farmaci mirati innovativi. 1.2 Divisioni delle cellule staminali Le cellule staminali (CSs) somatiche hanno la capacità di rimanere quiescenti o possono dividersi dando origine a due cellule figlie, una staminale e l‟altra che invece procede verso la differenziazione per mantenere l‟omeostasi del tessuto. Questo tipo di divisione viene detta asimmetrica (Fig. 3A). Tale strategia permette, con un'unica divisione, di gestire sia il comparto staminale che quello delle cellule differenziate; tuttavia, in situazioni particolari, quali un danno tissutale, le cellule staminali vanno incontro a divisone simmetrica (Fig. 3B) per permettere la variazione del numero di cellule nei due comparti (Morrison et al., 2006). In questo caso una cellula staminale darà origine a due cellule figlie uguali che saranno entrambi staminali oppure andranno incontro a differenziazione, perdendo di conseguenza le caratteristiche di staminalità e diventando cellule differenziate (CD). I meccanismi che mantengono l‟equilibrio tra queste due strategie o che permettono la scelta di una rispetto all‟altra sono stati fin ora poco indagati. Uno studio recente (Kahn, 2011) sostiene che l‟andare incontro ad una divisione simmetrica 8 piuttosto che ad una asimmetrica sia un punto critico e fondamentale nella differenza tra una CS e una CSC. Sembra che la decisione sia regolata da coattivatori della catenina, dalla proteina CBP (CREBbinding protein) e dalla p300. Un incremento di trascrizione di CBP/catenina a discapito della trascrizione di p300/catenina incrementa il numero delle divisioni simmetriche e questa strategia sembra favorita dalle CSCs rispetto alle CS adulte. FIGURA 3. Divisioni cellule staminali 9 2. CELLULE STAMINALI TUMORALI TIROIDEE La ghiandola tiroidea è un organo endocrino complesso da cui originano un eterogeneo gruppo di tumori con distinte caratteristiche cliniche e patologiche. I carcinomi tiroidei sono i più comuni tumori maligni del sistema endocrino e, complessivamente, rappresentano l‟1% di tutte le neoplasie maligne nell‟adulto. Essi possono originare dalle cellule follicolari (95% circa) o dalle cellule C (5% circa) (DeLellis, 2006). I tumori tiroidei in generale, rappresentano dal punto di vista della ricerca e della clinica, un argomento sempre più stimolante in quanto l‟incidenza della patologia nodulare va aumentando più del 5% ogni anno. Anche se relativamente rara, la patologia pone il problema della diagnosi differenziale. Il confronto multidisciplinare di ricercatori e clinici ha aumentato in modo esponenziale le conoscenze sull‟intera problematica e, grazie all‟integrazione degli studi epidemiologici, clinici e molecolari, in particolare quelli sui tumori maligni a seguito della contaminazione da incidenti nucleari, sta portando allo sviluppo ed all‟applicazione di nuovi approcci per la diagnosi, la prognosi e la terapia (Bombardieri et al., 2007). I carcinomi derivanti dalle cellule follicolari sono suddivisi in: carcinomi ben differenziati (Well differentiated carcinoma, WDC) che includono i carcinomi tiroidei papillari (Papillary thyroid carcinoma, PTC, 85% dei casi) e i follicolari (Follicular thyroid carcinoma, FTC, 5-10% dei casi); carcinomi scarsamente differenziati (Poorly differentiated carcinoma, PDC, 5% dei casi); carcinomi indifferenziati (anaplastici) (Anaplastic thyroid carcinoma, ATC, 2% dei casi). 10 I carcinomi derivanti dalle cellule C costituiscono una unica classe istologica: carcinomi medullari (Medullary thyroid carcinoma, MTC, 5%), (Fig. 4) Figura 4. Origine dei tumori tiroidei (modificata da (DeLellis 2006) Nelle lesioni tiroidee differenziate, geni critici sono frequentemente mutati attraverso due distinti meccanismi molecolari: mutazioni puntiformi e riarrangiamenti cromosomici. Le alterazioni prevalentemente riscontrate nei PTC sono l‟attivazione del gene BRAF, secondaria a mutazioni geniche (meno frequentemente a fusioni geniche) nel 40-45% dei casi, e l‟attivazione dell‟oncogene RET/PTC, in seguito a riarrangiamenti cromosomici nel 10-20% dei casi. Altre alterazioni geniche, invece, riguardano una minore percentuale di casi (Nikiforov et al., 2011). Generalmente le anomalie di BRAF e di RET sono eventi oncogenici mutuamente esclusivi, come confermato anche in diverse linee cellulari isolate da PTC (Meireles et al., 2007). I FTC, diversamente, sono caratterizzati da mutazioni RAS nel 4050% dei casi e dalla fusione genica PAX8/PPARconseguente a traslocazione cromosomica nel 30-35% dei casi (Nikiforov et al., 2011). Raramente queste due mutazioni si sovrappongono nella stessa lesione suggerendo che esse rappresentano differenti pathways 11 patogenetici nello sviluppo del carcinoma follicolare (Nikiforova et al., 2003). Sia i PTC che i FTC possono essere caratterizzati da cariotipi anormali, sottogruppi-specifici, con i PTC che mostrano una stabilità cromosomica molto maggiore rispetto ai FTC (Caria e Vanni, 2011). Se negli ultimi dieci anni si sono rese disponibili numerose conoscenze sugli eventi molecolari implicati nella tumorigenesi della ghiandola tiroidea, poche informazioni sono invece ad oggi disponibili riguardo la biologia cellulare di questo processo. In quest‟ambito, di recente, l‟interesse della ricerca si è rivolto allo studio delle CSCs per provarne l‟esistenza anche in questo tipo di neoplasie. Sull‟origine delle CSCs tiroidee sono state postulate varie teorie. Alcuni autori ipotizzano che esse possano derivare da de-differenziazione di tirociti maturi (Mitsutake et al., 2007; Gibelli et al., 2009) altri da cellule normali staminali o da precursori, secondo il modello di carcinogenesi fetale (Takano et al., 2007). Nello specifico, questa ipostesi sostiene che in base ai differenti livelli di espressione genica, le cellule staminali tumorali tiroidee potrebbero derivare da tre tipi di cellule tiroidee fetali preesistenti nella ghiandola: dalle cellule staminali fetali tiroidee, che esprimono fibronectina fetale (OF), ma nessuno dei marker di differenziazione dei tireociti maturi, deriverebbero gli ATC; dai tiroblasti che invece esprimono sia OF che tiroglobulina (Tg), deriverebbero i PTC; infine dai protireociti (tipi cellulari più differenziati rispetto alle cellule fetali e ai tiroblasti) che esprimono solo Tg, deriverebbero i FTC (Fig.5). 12 Figura 5. Modello di carcinogenesi fetale (modificata da Lin,2011). Un‟altra ipotesi considera che esse possano originarsi da un‟anormale de-differenziazione delle cellule neoplastiche caratterizzate da epithelial-mesenchymal transitions (EMT) in un stadio tardivo nella malattia (Lin et al, 2011). Al di là della loro origine, numerose evidenze sperimentali, basate su vari tipi di strategie, sia in vivo che in vitro, hanno dimostrato la presenza di CSCs nei tumori tiroidei. Le prime ipotesi sull‟esistenza di cellule staminali somatiche nella ghiandola tiroidea sono state postulate tra gli anni ‟80 e ‟90 in seguito all‟osservazione che un numero minimo di cellule era necessario per ripopolare la tiroide nel topo in seguito il trapianto (Watanabe et al., 1983; Dumont et al., 1992). Nel 1995 CameselleTeijeiro e collaboratori hanno supposto un legame teorico tra l‟oncogenesi del carcinoma papillare e l‟esistenza di una popolazione 13 simil-staminale all‟interno della ghiandola tiroidea. Tale ipotesi è stata successivamente supportata nel 2004 dal gruppo di Burstein, il quale ha dimostrato che cellule di origine embrionale rimanenti nella tiroide matura (solid cell nest, SCN) e cellule di PTC mostravano espressione per la proteina p63, implicata nella regolazione di cellule epiteliali staminali. Negli ultimi anni, l‟esistenza di CS adulte nella tiroide è stata rafforzata dal loro isolamento da campioni chirurgici di tiroide umana. Tali cellule esprimevano marcatori di staminalità come Oct4 (octamer binding transcrption factor 4, tab. 1), di cellule endodermali come GATA-4 (GATA binding preotein 4) e di differenziamento tiroideo PAX8 (paired box gene 8, tab. 2) (Thomas et al., 2006). Sempre nello stesso anno è stata isolata una rara popolazione (side population, SP) con caratteristiche di staminalità e una popolazione non-SP da linee cellulari tumorali tiroidee (Mitsutake et al., 2007). La popolazione SP è risultata più clonogenica della non-SP ed esperimenti di microarray hanno identificato un profilo di espressione genica differente tra le due popolazioni (Tab. 1). Utilizzando il CD133 come marker di staminalità, altri gruppi hanno identificato in linee di ATC una popolazione di cellule positive per CD133 (Tab. 1) in grado di indurre tumori in vivo quando iniettata in topi immunodepressi (Zito et al., 2008; Frideman et al., 2009). Recentemente, sono state isolate come sfere fluttuanti, dette tirosfere, cellule con proprietà stem/progenitor-like da tumori primari tiroidei (Malaguarnera et al., 2010; Todaro et al., 2010). Esse sono state coltivate in un terreno capace di arricchire la percentuale di cellule staminali utilizzando una combinazione di fattori di crescita EGF (epidermal growth factor) e bFGF (basic fibroblast grown factor) in terreno privo di siero (serum-free medium, SFM) (Lan et al, 2007). 14 Le tirosfere ottenute erano positive per alcuni marcatori di cellule staminali (Tab. 1) e mostravano una bassa o nessuna espressione di marcatori di differenziazione tiroidei (Tab. 2). Tabella 1. Marcatori di progenitrici e/o cellule staminali di differenti carcinomi tiroidei o linee cellulari tumorali Marcatorori di PTC FTC ATC UTC Bibliografia progenitori/cellul e staminali MYC, JUN, FZD5, HES1, JAG1 CD133 CD44 NANOG ALDH POS Zito et al, 2008; POS Frideman et al, 2009; Malaguarnera et al 2010 NEG NEG Todaro et al, 2010 POS Zito et al, 2008; POS Friedman et al, 2009; POS POS SOX-2 Mitsutake et al, 2007; POS NEG OCT-4 POS Malaguarnera et al 2010 POS POS POS Todaro et al, 2010 POS Malaguarnera et al 2010 POS Malaguarnera et al 2010 NEG NEG NEG POS Todaro et al, 2010 Malaguarnera et al 2010 POS POS POS Todaro et al, 2010 POS POS POS Todaro et al 2010 POS ABCG2 Mitsutake et al, 2007 POS NESTINA POS POS P63 POS NEG Malaguarnera et al 2010 NEG Todaro et al, 2010 Burstein et al, 2004 JAG1: jagged1; SOX-2: sex determining region Y box protein 2; ALDH: aldeide deidrogenasi; NEG: negativo; POS: positivo; 15 Tabella 2. Marcatori di cellule tiroidee progenitrici differenziate. Marcatori Tg TPO TTF-1 PTC FTC POS POS ATC UTC Todaro et al,2010; NEG NEG Malaguarnera et al, 2010 POS POS TSH-R LIEV.POS PAX-8 LIEV.POS Zito et al, 2008 Zito et al, 2008; LIEV.POS POS Bibliografia NEG Todaro et al,2010; LIEV.POS Malaguarnera et al, 2010; Zito et al, 2008 Malaguarnera et al, 2010 POS Frideman et al, 2009; Malaguarnera et al, 2010; TPO: tireoperossidasi; TSH-R: thyroid stimulating hormone receptor; TTF-1: thyroid transcription factor 1; NEG: negativo; POS: positivo. 16 SCOPO DELLO STUDIO In letteratura sono presenti convincenti evidenze (Setoguchi et al., 2004) che indicano che, nonostante linee cellulari stabilizzate da tumori siano mantenute in coltura per lunghissimo tempo, da esse sia possibile identificare fisicamente e isolare CSCs. In questi ultimi anni la ricerca sulla possibile esistenza di CSCs nei tumori tiroidei si è rivolta soprattutto ai tumori anaplastici e preferenzialmente effettuata su linee cellulari (Mitsutake et al., 2007; Zito et al., 2008; Friedman et al., 2009). Al contrario, esistono poche evidenze dell‟esistenza di cellule simil-staminali per quanto riguarda i tumori ben differenziati, PTC e FTC. Per contribuire con nuove informazioni a questo riguardo e per caratterizzare un modello in vitro utilizzabile per futuri studi sulla carcinogenesi tiroidea, con questo studio, abbiamo identificato e caratterizzato, dal punto di vista morfo-funzionale e molecolare, cellule con proprietà simil-staminali da una linea cellulare derivata da un PTC e stabilizzata spontaneamente. 17 MATERIALI E METODI 1. Colture cellulari Le due linee cellulari utilizzate in questo studio sono la B-CPAP derivata da un carcinoma papillare tiroideo (gentile dono del Prof. Fusco, Università Federico II di Napoli) e la linea N-Thy-ori-3, derivata da cellule follicolari per transfezione con il virus SV-40, disponibile in commercio (Health Protection Agency Culture Collections). La B-CPAP è una linea cellulare molto utilizzata per gli studi sui meccanismi della tumorogenesi tiroidea ed è tra le poche che non presentano cross-contaminazione con altre linee cellulari (Schweppe et al., 2008). Essa è stata ben caratterizzata dal punto di vista sia del profilo citogenetico-molecolare (Corso et al., 2002; Dettori et al., 2004) che molecolare (Pilli et al., 2009). Le cellule B-CPAP mostrano cariotipo aneuploide con un clone principale contenente diverse aneuploidie; nove marcatori clonali, invece, sono caratterizzate da mutazione BRAFV600E in omozigosi, da mutazione TP53 e da assenza di mutazioni RAS, riarrangiamento RET/PTC, e amplificazione c-MYC (Meireles et al, 2007). Sono state descritte come immunoreattive per S-100, enolasi neuron-specifica e tireoglobulina (Fabien et al., 1994). La linea N-Thy-ori-3 deriva da cellule follicolari normali e mantiene caratteristiche morfologiche e fisiologiche dei tirociti senza evidenza di trasformazione maligna (Lemoine et al., 1989). Essa è stata ottenuta per transfezione con il virus SV-40 e, per questo motivo, presenta un cariotipo non stabile senza tuttavia mostrare alcuna anomalia specifica associata con i carcinomi tiroidei. Poiché, come è noto, le cellule normali in vitro vanno incontro a poche divisioni, le linee derivate da cellule normali transfettate rappresentano l‟unica alternativa come controllo. 18 Entrambe le linee sono state coltivate in adesione a 37°C e in atmosfera al 5% di CO2, utilizzando terreno DMEM/F12 (Gibco-BRL, Life Technologies, Milano, Italia) con 5% di siero bovino fetale (FBS), L-glutammina (2mM), streptomicina (100g/ml) e penicillina (100 U/ml) (Gibco-BRL). 2. Formazione delle tirosfere Allo scopo di identificare le condizioni ottimali di formazione, mantenimento e vitalità delle tirosfere sono state allestite colture cellulari in sospensione a diverse concentrazioni di semina. All‟uopo, cellule in monostrato alla sub-confluenza dell‟ 80% di entrambe le linee (da qui in poi chiamate cellule parentali) sono state dissociate enzimaticamente (AccutaseTM solution, Sigma-Aldric, Milano) e meccanicamente ed il tasso di vitalità è stato determinato utilizzando il colorante vitale Trypan blue. Il test di vitalità con Trypan Blue Solution (Sigma-Aldrich) si basa sulla esclusione del colorante da parte delle cellule vitali dotate di membrana cellulare integra. Il colorante penetra nelle cellule morte, con membrana danneggiata, colorandole di blu intenso. La sospensione cellulare è stata diluita (1:1) con il colorante e le cellule sono state esposte al colorante per 2 minuti. La conta è stata effettuata con l‟utilizzo di una camera emocitometrica (Burker) e le cellule sono state contate, secondo le regole corrispondenti, al microscopio invertito. Stabilita la percentuale di cellule vitali, esse sono state seminate alle densità di 1x105, 5x104, 2x104 e 1x104 cellule/ml, in fiasche da 75 cm2 (Corning) in terreno permissivo, ovvero DMEM/F12 contenente 10ng/ml di EGF (Epidermal Growth Factor, Milteny Biotech), 20 ng/ml di bFGF (Basic Fibroblast Growth Factor, Milteny Biotech), 2% di B27 (Invitrogen Life Tecnologies), L19 glutammina (2mM), streptomicina (100g/ml), penicillina (100 U/ml) (Gibco-BRL) e privo di siero (serum-free medium, SFM). Un‟aliquota di SFM pari ad 1/4 del volume totale è stato aggiunta a giorni alterni. Per entrambe le linee cellulari, la comparsa delle prime sfere è stata osservata a partire dal 3° giorno fino al 14° giorno. Per determinare quale delle concentrazioni di semina fosse la più efficiente e determinante per la formazione di tirosfere con maggiore vitalità e numero di cellule, le tirosfere sono state dissociate a partire dal 5° giorno dalla semina e sottoposte al test di vitalità ed alla conta. 3. Saggi di autorinnovamento Come descritto nei risultati, le tirosfere della prima generazione (F1) hanno mostrato la crescita più efficiente al 7° giorno di coltura a partire dalla semina di 2x104cellule/ml. Per allestire i saggi di autorinnovamento, centrifugazione tali e sfere dissociate F1 sono sia state raccolte enzimaticamente per che meccanicamente fino ad ottenere una sospensione di singole cellule. Esse sono state utilizzate per la formazione della generazione F2, dopo il test di vitalità e la determinazione della concentrazione delle cellule come descritto nel precedente paragrafo. Questo procedimento è stato ripetuto per diverse generazioni, non solo per valutare l‟autorinnovamento, ma anche per stabilire per quante generazioni questa capacità fosse mantenuta. Le cellule ottenute dalla dissociazione delle tirosfere alle diverse generazioni sono state inoltre raccolte per la caratterizzazione molecolare. 20 4. Efficienza di formazione delle sfere L‟efficienza di formazione delle sfere (sphere forming efficiency, FSE) si valuta considerando il numero di cellule in grado di originare sfere (Bortolomai et al., 2010). La FSE per le due linee è stata calcolata sia a partire dalle cellule parentali che nelle diverse generazioni F. Le cellule sono state dissociate e seminate a densità clonale (5x102 cellule/ml) in piastre da 24 pozzetti (Corning) in SFM e mantenute in coltura per 15 giorni. La conta delle tirosfere ottenute è stata determinata con osservazione al microscopio ottico invertito a contrasto di fase (Olympus IMT-2) con obbiettivo 10x. La FSE è stata determinata usando la seguente formula: (numero delle sfere ottenute/numero delle cellule seminate) x100. Questo procedimento è stato ripetuto per tutte le generazioni successive ottenute. 5. Analisi al Fluorescence Activated Cell Sorter Per individuare la popolazione di cellule simil-staminali (rappresentate dalle cellule quiescenti) le cellule isolate dalle tirosfere sono state sottoposte a separazione al Fluorescence Activated Cell Sorter (FACS) (FACSARIA II utilizzato saggio il basato BD, Bioscience). sul All‟uopo mantenimento del è stato colorante fluorescente vitale PKH26 (Sigma-Aldric, St. Louis, MO) nel doppio strato lipidico della membrana plasmatica. Le cellule quiescenti mantengono il colorante fluorescente inserito nella membrana, mentre le cellule progenitrici dividendosi perdono la fluorescenza di membrana di generazione in generazione; ciò consente la separazione mediante FACS. 21 La colorazione con PKH26 è stata eseguita secondo il protocollo della casa produttrice. In breve, le cellule distaccate dal supporto e filtrate attraverso setacci cellulari di 40 m sono state marcate con PKH26 (10-7M) per 3 min. La marcatura è stata bloccata aggiungendo DMEM-F12 con siero al 5% seguita da tre lavaggi con terreno senza siero. Le cellule marcate sono state seminate come descritto al paragrafo 2. Come da protocollo stabilito precedentemente, dopo 7 giorni le tirosfere sono state raccolte e dissociate sia enzimaticamente che meccanicamente e la sospensione di cellule singole è stata analizzata al FACS. In accordo con l‟intensità di fluorescenza del PKH26 sono state selezionate 2 popolazioni cellulari: la PKH26 High (H) con un‟alta intensità di colorante (popolazione quiescente) e la popolazione PKH26 Low (L) con un intensità bassa di colorante (cellule in divisione). Le due popolazioni isolate sono state quindi in parte risospese in terreno permissivo per analizzare la capacità di formare nuove sfere e, in parte, raccolte per studi di biologia molecolare. 6. Estrazione dell’RNA totale L‟estrazione dell‟RNA totale è stata eseguita utilizzando differenti protocolli in base al numero di cellule di partenza. In particolare, l‟RNA isolato dalle cellule coltivate in adesione e dalle tirosfere è stato estratto utilizzando il sistema RNeasy isolation Minikit (Qiagen), mentre per l‟estrazione dell‟RNA dalle popolazioni cellulari isolate al FACS è stato utilizzato il sistema RNeasy isolation Microkit (Qiagen). La tecnologia si basa sulle proprietà di legame dell‟RNA ad una membrana di silice mediante centrifugazione. Il metodo la tecnologia della micro consente di legare alla membrana frammenti di RNA lunghi 200 nucleotidi. In breve, il protocollo 22 d‟estrazione prevede: la lisi e l‟omogeneizzazione del campione in un buffer fortemente denaturante contenente guanidina tiocianato per l‟immediata inattivazione delle RNasi; l‟aggiunta di etanolo 70%, per creare le condizioni ottimali a promuovere il legame selettivo dell‟RNA alla membrana di silice della colonna; il passaggio della soluzione nella colonna per il legame dell‟RNA ed i lavaggi (tre) per l‟eliminazione delle altre macromolecole. L‟RNA è eluito dalla colonna con H2O-RNasi free e conservato a –80°C fino all‟utilizzo. La quantificazione dell‟RNA è stata effettuata misurando l‟assorbanza del campione a 260 nm : 0,5µl del campione, diluito 1:3 in H2ORNasi free, è stato utilizzato per la lettura allo spettrofotometro Nanodrop ND-1000 (Nanodrop Technology). 7. Analisi molecolare: Reverse Transcripion-PCR Per analizzare l‟espressione dei geni di staminalità embrionale Oct4, Nanog e ABCG2, di staminalità tumorali P63, di differenziazione PAX8, TTF-1, Tg, e di controllo GAPDH, è stata utilizzata la tecnica della Reverse Transcripion-PCR (RT-PCR) che prevede la trascrizione dell‟mRNA in cDNA, l‟amplificazione del trascritto e l‟analisi dell‟amplificato. Per la trascrizione dell‟mRNA in cDNA è stata preparata una miscela (volume finale 20ul) contenente: 100 ng di RNA totale, 1 l di primer Oligo-d- T15 (500g/ml), 1U/l di DTT 0.1M, 4 l di RNASI OUT, 1 l di dNTP mix 10 mM (dATP, dCTP, dGTP, dTTP), 2ul di First-Strand Buffer (250mM TRIS-HCl PH 8.3, 375mM KCl, 15mM MgCl2), 1 l di trascrittasi inversa (M-MLV Reverse transcriptase 2.5U/l) (Invitrogen life technologies, Milano). Ciascun campione è stato incubato a 65°C per 5 min., la reazione è stata bloccata in campione è stato centrifugato e ghiaccio, quindi il successivamente trascritto 23 utilizzando un ciclo di 52 min. a 37°C, 15 min. a 72°C e mantenuto poi a 4°C. Per l‟amplificazione di ciascun trascritto, 2 l di cDNA sono stati addizionati a 48 l di una miscela costi 2O- Rnasi-free, 5 l di Buffer Tris-HCl 10X (200 mM - pH 8.4), 500 mM KCl, 1.5 l MgCl2 50 mM, 1 l di dNTP 10mM, 0.25 l di Taq DNA Polimerasi (InVitrogen life technologies) e 1,25 l dei rispettivi primers senso e antisenso 0.2mM per i cicli richiesti (Tab.3). Ciascun campione amplificato è stato sottoposto ad analisi elettroforetica utilizzando un gel d'agarosio al 2% preparato in Trisacetato 40 mM ed EDTA 1 mM (TAE 1x). In ciascun pozzetto del gel sono stati seminati 10 l di ogni campione miscelati con 2 l di Gel loading solution concentrato 6x (SIGMA). Come riferimento si è utilizzato un DNA ladder 100bp (5 l miscelati con 2l del gel loading solution) (Trackit 100bp DNA ladder, Sigma-Aldrich). Per individuare le bande, il gel è stato colorato con 2,5 l di Bromuro di etidio (20.000X, Sigma-Aldrich) sciolto in 50 ml di TAE 1X. Il gel immerso nel tampone veniva mantenuto in agitazione per 45-60 min a temperatura ambiente. La marcatura è stata verificata al transilluminatore a raggi ultravioletti e immagini digitali sono state acquisite tramite fotocamera incorporata e l‟intensità di ciascuna banda misurata utilizzando il Software Quantity-One (Biora). La quantità di RNA messaggero di ciascun gene è stata normalizzata sul livello del messaggero del gene GAPDH. 24 Tabella 3. Primer senso e antisenso utilizzati durante l'amplificazione del trascritto Gene Nanog (163 bp) Oct4 (228 bp) ABCG2 (378 bp) PAX8 (303 bp) TTF-1 (351 bp) Tg (762 bp) p63 (476 bp) GAPDH (347 bp) Sequenze dei Primer senso 5‟ GCTGAGATGCCTCACACGGAG 3‟ antisenso 5‟ TCTGTTTCTTGACTGGGACCTTGTC 3‟ senso 5‟ AGCCTGAGGGCGAAGCAGGGA 3‟ antisenso 5‟ TGAGCCACATCGGCCTGT 3‟ senso 5‟ AGTTCCATGGCACTGGCCATA 3‟ antisenso 5‟ TCAGGTAGGCAATTGTGAGG 3‟ senso 5‟ CGGACCCCGAAAGCACCTTCG 3‟ antisenso 5‟ CTAGAACTGGACACCTCGGGGGTT 3‟ senso 5‟ GCCTCTGGCCCCGGATGGTA 3‟ antisenso 5‟ CCGCCTTGTCCTTGGCCTGG 3‟ senso 5‟ CTTCGAGTACCAGGTGGATGCC 3‟ antisenso 5‟ GGTGGTTTCAGTGAAGGTGGAA 3‟ senso 5‟ GCAGTCGAGCACCGCCAAGT 3‟ antisenso 5‟ TCAAAGCAGCGTCGGCCCAG 3‟ senso 5‟GCCAAAAGGGTCATCATCTCTG3‟ antisenso 5‟CATGCCAGTGAGCTTCCCGT3‟ Cicli 35 cicli 30 sec, 96°C 30 sec, 62°C 30 sec, 72°C 35 cicli 30 sec, 96°C 30 sec, 58°C 60 sec, 72°C 30 cicli 30 sec, 95°C 30 sec, 53°C 60 sec, 72°C 30 cicli 30 sec, 95°C 60 sec, 60°C 60 sec, 72°C 30 cicli 30 sec, 95°C 60 sec, 60°C 60 sec, 72°C 35 cicli 30 sec, 96°C 30 sec, 58°C 30 sec, 72°C 35 cicli 30 sec, 96°C 30 sec, 62°C 30 sec, 72°C 25 cicli 30 sec, 96°C 60 sec, 58°C 30 sec, 72°C 25 Analisi statistica I risultati sono espressi come valori medi ± deviazione standard. Per valutare la significatività dei valori, è stato utilizzato il test-t di Student, a due code, considerando significativi valori di p < 0.05. 26 RISULTATI 1. Formazione delle tirosfere L‟analisi delle condizioni ottimali di formazione, mantenimento e vitalità delle tirosfere a partire da colture in adesione della linee BCPAP e N-Thy-ori-3 ha indicato per entrambe una densità iniziale di semina di 20x104 cellule/ml, con una vitalità del 95%-97%. In queste condizioni ottimali, l‟inizio della formazione delle sfere era osservabile al microscopio invertito come organizzazione di piccoli gruppi di poche cellule (Fig. 6a,b) a partire dal 3° giorno. La classica forma rotondeggiante, indice di un‟attiva proliferazione, era osservata al 5° giorno (Fig. 6c,d) e risultava massima al 7° (Fig. 6e,f). A partire dall‟8° fino al 14° giorno la vitalità delle sfere diminuiva, come dimostrato dalla presenza di più del 50% di cellule morte. Questo comportamento era comune alle cellule delle due linee che, tuttavia differivano per le dimensioni raggiunte al 7° giorno di coltura. Le tirosfere della linea B-CPAP raggiungevano un diametro medio di 250 m, mentre e quelle della linea N-Thy-ori-3 avevano un diametro medio di 200 m. 27 100m Figura 6. Formazione di tirosfere ottenute dalla linea tumorale B-CPAP e dalla linea di controllo N-Thy-ori-3. Tirosfere al 3° giorno di coltura: B-CPAP (a) e NThy-ori-3 (b); tirosfere al 5° giorno di coltura: B-CPAP (c) e N-Thy-ori-3 (d); tirosfere al 7° giorno di coltura B-CPAP (e) e N-Thy-ori-3 (f). Ingrandimento 150x. 28 2. Autorinnovamento Le tirosfere tumorali e di controllo della prima generazione (F1) sono state raccolte e riseminate alla stessa densità per diverse generazioni per valutare la capacità di autorinnovamento. Le tirosfere derivate dalla linea tumorale B-CPAP avevano la capacità di autorinnovarsi per 10 generazioni. A partire dalla generazione F3 è stato osservato un notevole incremento del numero di cellule, che raggiungeva la massima espansione alla generazione F7, si manteneva costante nella F8 e F9, e diminuiva alla F10. Alla F11 le cellule perdevano totalmente la capacità di formare sfere non consentendo generazioni successive (Fig.7a). Dalla F10 si cominciava ad osservare una minore vitalità delle cellule che diveniva massima alle F11 e risultava nell‟accumulo in sospensione di cellule singole o aggregati cellulari irregolari e non sferici morfologicamente differenti dalle tirosfere (Fig.7b). Le tirosfere derivate dalla linea N-Thy-ori-3 si autorinnovavano per 4 generazioni. Al contrario delle tirosfere della linea derivata da tumore, le cellule N-Thy-ori-3 aumentavano di numero alla generazione F1, ma diminuivano progressivamente già a partire dalla F2, arrivando fino alla generazione F4 (Fig.7c). Alla generazione F5 le cellule non avevano più la capacità di formare sfere e, diversamente dalla linea B-CPAP, si osservava la loro adesione al supporto di coltura, con morfologia di cellule in crescita in adesione, nonostante il loro permanere nel terreno permissivo (Fig.7d). 29 a b b b b c d Figura 7. Propagazione delle tirosfere nelle generazioni successive alla F1. a: istogramma che indica la capacità di autorinnovarsi fino alla generazione F11 delle tirosfere ottenute dalla linea tumorale B-CPAP; b: cellule della linea B-CPAP alla F11: scomparsa delle tirosfere e comparsa di singole cellule o aggregati cellulari; c: istogramma che indica la capacità di autorinnovarsi fino alla generazione F4 delle tirosfere ottenute dalla linea N-Thy-ori-3; d: cellule della linea N-Thy-ori-3 alla F5: adesione al supporto, crescita in monostrato e assenza di sfere. In ordinate il numero delle cellule raccolte ad ogni generazione, in ascisse le diverse generazioni. 30 3. Efficienza di formazione delle sfere A densità clonale (500 cellule/ml) le cellule parentali seminate in piastre da 24 pozzetti in SFM formavano al 7° giorno sfere che raggiungevano la massima dimensione al 15° giorno. La percentuale del numero di tirosfere ottenute dalla linea tumorale aumentava in modo significativo dalla generazione F1 (2,8%) delle cellule seminate) alla F6 (10%) raggiungendo il massimo (17%) alla F8. Alla generazione F10 la capacità delle cellule seminate di formare sfere diminuiva con valore statisticamente significativo (8%) rispetto alla F8 (Fig.8). Figura 8. Capacità della linea tumorale B-CPAP di formare sfere secondarie: L‟istogramma mostra l‟andamento del numero delle tirosfere ad ogni generazione con il raggiungimento del numero massimo alla generazione F8 e il minimo alla F10. I risultati sono presentati come media ± Dev St (***: p<0,001). In ordinate la percentuale di sfere osservate in rapporto alle cellule seminate (500cellule/ml), in ascisse le diverse generazioni. 31 La capacità della linea N-Thy-ori-3 di formare sfere era massima già alla generazione F1 (30%) e diminuiva in modo significativo alla F2 (22%) fino a raggiungere il minimo alla F4 (3,4%) (Fig.9). Figura 9. Capacità di formare sfere secondarie della linea Thy-ori-3 : istogramma che mostra l‟andamento della capacità di formare tirosfere ad ogni generazione, con diminuzione dalla F1 alla F4. I risultati sono presentati come media ± Dev St (***: p<0,001). In ordinate la percentuale di sfere osservate in rapporto alle cellule seminate (500cellule/ml), in ascisse le diverse generazioni. 32 4. Caratterizzazione molecolare delle cellule parentali e delle generazioni di tirosfere. L‟espressione di marcatori di staminalità e di differenziamento è stata studiata sia nelle cellule parentali che nelle tirosfere ottenute nelle diverse generazioni allo scopo di verificare se le tirosfere tumorali e di controllo potessero essere arricchite di cellule simil-staminali. Linea cellulare tumorale B-CPAP: i geni di staminalità Oct4 e Nanog erano espressi sia nelle cellule cresciute in adesione che nelle tirosfere F1 e la loro espressione, in particolare il Nanog aumentava nelle generazioni successive F4, F7 e F9 sebbene non in maniera significativa (Fig.10a,b). Il gene ABCG2 era espresso sia nelle cellule in adesione che nelle tirosfere con un aumento statisticamente signficativo alla generazione F9 (Fig.10c). Il marker di staminalità tumorale p63, invece, manteneva costante la sua espressione in tutte le generazioni studiate non mostrando differenze significative tra le cellule in adesione e le diverse generazioni di sfere (Fig.10d). Al contrario, i marker di differenziamento PAX8 e TTF-1 mostravano una marcata espressione nelle cellule cresciute in monostrato e una diminuzione statisticamente significativa nelle tirosfere ottenute alle diverse generazioni (Fig.10e,f). Il Tg è risultato non espresso nelle cellule cresciute in adesione, mentre è era marcatamente espresso nelle tirosfere della generazione F1. Tuttavia l‟espressione diminuiva progressivamente ed in modo significativo nelle generazioni successive (Fig.10g). 33 a b c d e f g FIGURA 10. Analisi di espressione di marker staminali e di differenziamento nella linea tumorale B-CPAP nelle cellule parentali (M) e nelle tirosfere alla prima (F1), alla quarta (F4), alla settima (F7) e alla nona generazione (F9). I risultati sono presentati come media ± Dev St (*: p<0,05 ; **: p<0,01 ). In ordinate i livelli d‟espressione misurati in rapporto al GAPDH, in ascisse le diverse generazioni. 34 Linea cellulare N-Thy-ori-3: i geni Oct4, Nanog e ABCG2 erano espressi sia nelle cellule parentali cresciute in adesione sia nelle tirosfere delle diverse generazioni. In particolare, confrontando l‟espressione di Oct4 tra le cellule coltivate in adesione e le tirosfere alle diverse generazioni è stato osservato un suo aumento anche se non significativo, con il procedere delle generazioni (Fig.11a). Per i geni Nanog e ABCG2 è stato osservato un aumento d‟espressione a partire dalla generazione F2, aumento che diveniva significativo alla generazione F4 (Fig.11b,c). Sia le cellule parentali che le tirosfere sono risultate negative per i marker di differenziamento Tg, TTF-1 e per il gene p63. Al contrario è stata osservata una marcata positività per PAX8 senza nessuna differenza significativa tra le cellule parentale e le tirosfere alle diverse generazioni (Fig.11d). a b c d FIGURA 11. Analisi di espressione di marker staminali e di differenziamento nella linea normale N-Thy-ori-3 cellule parentali (M) e nelle tirosfere alla prima (F1), alla seconda (F2), alla quarta generazione (F4). I risultati sono presentati come media ± Dev St (* p< 0.05).In ordinata i livelli d‟espressione misurati il rapporto al GAPDH, in ascissa le diverse generazioni. 35 5. Isolamento delle tre frazioni cellulari al FACS I risultati dell‟analisi al FACS delle cellule colorate con PKH26, la cui intensità di fluorescenza è inversamente proporzionale al numero di divisioni cellulari (Lanzkron et al., 1999), ha mostrato una distribuzione d‟intensità di fluorescenza in un ampio spettro (in scala logaritmica da 0 a 105). E‟ stato possibile raccogliere due popolazioni cellulari: la PKH26 high (H) con un‟alta intensità di colorante e la PKH26 Low (L) con intensità con intensità bassa (Fig. 12). Le cellule con intensità di fluorescenza intermedia non sono state considerate, poiché potevano costituire una popolazione eterogenea. FIGURA 12. Esempio di un profilo FACS delle cellule marcate con il colante PKH26. In ordinate l‟intensità di colorante espressa in scala logaritmica e in ascisse la dimensione cellulare (side scatter o SSC). 36 In dettaglio, dalle tirosfere derivate dalla linea B-CPAP sono state isolate le due popolazioni H e L che rappresentavano rispettivamente il 7% e il 20% delle cellule totali. Le tirosfere isolate dalla linea tiroidea di controllo costituivano per il 6,6% la popolazione H e per il 13% la PKH26 low. Le due popolazioni isolate dalla linea B-CPAP mostravano tutte capacità di formare sfere primarie, sebbene con efficienza diversa (2% delle cellule della popolazione H, e 0,3% della popolazione PKH26 L) e minore di quella delle popolazioni PKH26 H e L ottenute dalla linea di controllo (3,3%, 1,2%, rispettivamente). Solo la popolazione H di entrambe le linee aveva capacità di formare sfere secondarie. 6. Caratterizzazione molecolare delle popolazioni isolate Popolazioni isolate dalle tirosfere tumorali derivate dalla linea B-CPAP: gli esperimenti di RT-PCR hanno dimostrato che le due popolazioni cellulari isolate esprimevano mRNA per tutti i geni analizzati. L‟espressione dei geni di staminalità Oct4 e Nanog risultava sovrapponibile nelle popolazioni H e L. ABCG2 era più espresso nella pololazione H rispetto alla L (Fig.13a-c). Il gene di staminalità tumorale p63 era espresso a livelli sovrapponibili in tutte e due le popolazioni PKH26 (Fig.13d). Il marker di differenziazione Pax8 mostrava la stessa espressione nelle popolazioni cellulari H e L (Fig.13e). I geni TTF-1 e Tg erano espressi nelle due popolazioni con livelli d‟espressione più elevati nella popolazione L rispetto alla H (Fig.13f,g). 37 a b c d e f g FIGURA 13. Analisi di espressione di marker staminali e di differenziamento nelle popolazioni PKH26 H e L ottenute dalle tirosfere della linea B-CPAP. In ordinate i livelli d‟espressione misurati il rapporto al GAPDH, in ascisse le popolazioni isolate. 38 Popolazioni isolate dalle tirosfere derivate dalla linea N-Thy-ori-3: Le popolazioni cellulari isolate dalla linea tiroidea N-Thy-ori-3 mostravano positività per i geni Oct4, Nanog, ABCG2 e PAX8 mentre risultavano negative per i geni TTF-1, TG e p63. Oct4 era espresso a livelli molto maggiori nella popolazione H rispettto alla popolazione L, mentre l‟espressione di Nanog e ABCG2 non mostrava differenze consistenti (Fig.14a-c). Il gene PAX8 risultava espresso in egual modo in tutte e due le popolazioni (Fig.14d). a b c d FIGURA 14. Analisi di espressione di marker staminali e di differenziamento nelle popolazioni PKH26 H e L ottenute dalle tirosfere della linea N-thy-ori-3. In ordinata i livelli d‟espressione misurati il rapporto al GAPDH, in ascissa le popolazioni isolate. 39 DISCUSSIONE Le linee cellulari tumorali, anche se mantenute in coltura per lunghi periodi, rappresentano un buon modello per studiare l‟eterogeneità cellulare dei tumori. Numerose evidenze, indicano infatti che, in particolari condizioni sperimentali, da esse possono essere isolate e propagate cellule simil-staminali, presenti in basso numero all‟interno delle linee (Setoguchi et al., 2004; Ponti et al., 2005; Kondo et al., 2004). E‟ noto infatti che le cellule simil-staminali e progenitrici tumorali sono in grado di moltiplicarsi in assenza di siero in terreni addizionati di EGF e bFGF producendo sferoidi con proprietà di auto rinnovamento (Lee et al., 2006). Nel presente studio è stata utilizzata la linea cellulare B-CPAP, derivata da un tumore tiroideo papillare, al fine di isolare e caratterizzare a livello morfo-funzionale e molecolare popolazioni di cellule simil-staminali. Al fine di confrontare i parametri in studio è stata utilizzata la linea N-Thy-ori-3 derivata da cellule follicolari e stabilizzata con l‟uso del virus SV-40. I nostri risultati dimostrano per la prima volta che entrambe le linee hanno la capacità di formare sfere (tirosfere) quando coltivate in terreno selettivo e permissivo, privo di siero e arricchito con specifici fattori di crescita. Le tirosfere ottenute dalla linea tumorale possono essere propagate in coltura per 10 generazioni, con progressivo incremento della popolazione cellulare totale dalla generazione F1 alla F9 e con decremento nelle successive generazioni. I nostri esperimenti mostrano inoltre che, seminando le cellule a densità clonale, l‟efficienza di formazione delle sfere lungo le generazioni segue lo stesso andamento dell‟incremento della popolazione cellulare. Questo è in netto contrasto con quanto osservato nella linea cellulare non tumorale N-Thy-ori-3, dove le cellule non solo possono formare sfere 40 per sole quattro generazioni, ma progressivamente perdono capacità ed efficienza nel formare nuove tirosfere. Questi risultati dimostrano che all‟interno delle sfere ottenute dalla linea B-CPAP vi sia una popolazione simil-staminale tumorale che si autorinnova generando cellule figlie che proliferano attivamente e aumentano la popolazione cellulare totale. Questo è in accordo con la presenza della mutazione TP53 in questa linea. Infatti Cicalese e collaboratori (Cicalese et al., 2009) hanno di recente dimostrato che questa mutazione favorisce la divisione simmetrica di cellule staminali tumorali nei tumori mammari, come già suggerito da diversi gruppi per altri tumori, (Ogawa, 1993; Morrison et al.,2006; Al-Hajj and Clarke 2004; Deleryolle et al., 2011). Le tirosfere ottenute dalla linea N-Thy-ori-3 invece non solo si mantengono per poche generazioni, ma diminuiscono da una generazione all‟altra. Questo potrebbe essere spiegato ipotizzando che le cellule che formano tirosfere in questa linea non tumorale si dividano principalmente per divisione asimmetrica. Questa ipotesi, spiegherebbe la limitata capacità di mantenere l‟efficienza nella formazione delle tirosfere. Ciò in accordo con il permanere inalterato della capacità di compiere una scelta tra divisione asimmetrica e simmetrica, prediligendo la prima, con la formazione di una nuova cellula staminale ed una progenitrice, che con le successive divisioni forma la tirosfera. Le progenitrici non avrebbero quindi la capacità proliferativa delle progenitrici tumorali, proprio per le loro caratteristiche di staminalità non tumorale. In questo senso, sarebbero paragonabili alle cellule progenitrici ematopoietiche che possono dare origine a cellule differenziate limitatamente nel tempo (Morrison and Wiessman,1994). Analizzando i risultati di RT-PCR ottenuti nella linea B-CPAP si osserva che l‟andamento dell‟espressione del marcatore di staminalità 41 ABCG2 aumenta con il progredire delle generazioni, dapprima in maniera molto modesta per raggiungere un‟espressione statisticamente significativa tra le cellule parentali e la generazione F9. Tale andamento non è riscontrato per i fattori di trascrizione di staminalità Oct4, Nanog e per il marker tumorale p63, che sono espressi a livelli costanti in tutte le generazioni. I marker di differenziazione TTF-1 e PAX8, anch‟essi espressi sia nelle cellule parentali che nelle tirosfere, mostrano livelli di espressione che diminuiscono in modo significativo da una generazione all‟altra. Questo quadro è in accordo con i dati presenti in letteratura che sostengono che coltivare cellule tumorali come sfere in sospensione promuova un aumento di cellule simil-staminali (Setoguchi et al, 2004). Il mantenimento dell‟espressione dei fattori di trascrizione, seppure con un andamento decrescente, è in accordo con quanto dimostrato per le mammosfere, che risultano composte per la maggior parte da cellule a vari stadi di differenziamento oltrechè da cellule con caratteristiche di staminalità (Dontu et al,2003). TTF-1 e PAX8 sono indispensabili per l‟espressione genica tessutospecifica e per lo sviluppo della ghiandola tiroidea (Damante et al., 2001). Il TTF-1 è espresso nel tessuto normale tiroideo e la sua espressione è correlata con il grado di differenziazione dei tumori tiroidei (Zhang et al., 2006). Il PAX8 ha un ruolo cruciale nell‟organogenesi tiroidea (Plachov et al., 1990) ed è diversi tumori tiroidei, sebbene la correlazione espresso in tra i livelli d‟espressione e il grado di differenziamento non è chiara. Infatti se alcuni ritengono che la sua espressione sia correlata al grado di differenziamento (Zhang et al., 2006), altri sostengono che esso sia un marker dei tumori tiroidei anaplastici (Nonaka et al., 2008). In accordo con il suo ruolo nella organogenesi della tiroide, l‟espressione di PAX8 è stata dimostrata in cellule staminali tiroidee adulte (Thomas et al., 2006). Tutte queste osservazioni sono in linea con 42 l‟espressione di PAX8 nelle cellule della linea B-CPAP e nelle tirosfere e rafforzano l‟ipotesi della presenza di cellule con caratteristiche staminali in questa linea. L‟interazione dei fattori di trascrizione TTF-1 e PAX8, regola la trascrizione della tireoglobulina (Tg), precursore degli ormoni tiroidei (Di Palma et al., 2003). Nelle nostre condizioni sperimentali essa era presente nelle tirosfere B-CPAP con andamento decrescente proporzionale alla progressione delle generazioni. Essa era invece assente nelle cellule parentali. Quest‟ultimo risultato è in accordo con dati della letteratura (van Staveren et al., 2007) che suggeriscono che l‟assenza d‟espressione del Tg possa essere dovuta ad una diminuita, anche se non assente, espressione dei suoi fattori di regolazione (TTF1 e PAX8). Ciò giustifica la perdita di differenziazione e la non completa perdita della loro determinazione tissutale. Questo dato è rafforzato anche dal fatto che le cellule della linea B-CPAP non esprimono il Tg anche se coltivate in presenza dell‟ormone tireotropo (TSH), dal momento che non esprimono il recettore per questo ormone (TSHR) (van Staveren et al, 2007). In questo studio l‟espressione del Tg era presente nelle tirosfere ed assente nelle cellule parentali. Un‟interpretazione di questo fenomeno potrebbe essere data dalle condizioni permissive di coltura utilizzate per la formazione delle sfere. La combinazione dei fattori di crescita EGF/bFGF e l‟assenza di siero potrebbero aver creato un ambiente favorevole alla trascrizione della Tg. In letteratura non sono riportati studi su linee cellulari derivate da tumori tiroidei analizzati in papillari questo che studio. abbiano Tuttavia, considerato osservazioni i marcatori recenti di Malaguarnera e collaboratori (2010) e Todaro e collaboratori (2010) su tirosfere di prima generazione ottenute da carcinomi tiroidei primari indicano l‟espressione, nelle loro condizioni sperimentali, di bassi livelli dei marker di differenziamento tiroideo e positività per i 43 marker di staminalità Oct4, Nanog e ABCG2. L‟espressione dei geni di staminalità è stata dimostrata anche nelle cellule staminali di altri tumori (Hombach-Klonisch et al., 2008). Possiamo quindi ipotizzare che la loro presenza nelle linee tumorali stabilizzate sia dovuta ad una rara popolazione con caratteristiche staminali all‟interno del tumori e di conseguenza nelle linee cellulari da essi derivate. La limitatezza dei dati presenti in letteratura per i carcinomi tiroidei differenziati non consente qui un vero e proprio paragone tra i risultati ottenuti sulla nostra linea e su tumori primari, sebbene sembra che essi concordino. Come già sottolineato, tra i marker di staminalità espressi in BCPAP, ABCG2 è quello maggiormente espresso sia nelle cellule parentali che nelle diverse generazioni di tirosfere. ABCG2 fa parte della famiglia degli ATP binding transporter, ed è espresso anche nei tessuti normali, probabilmente come protezione all‟ingresso di xenobiotici (Fetsch et al., 2006; Maliepaard et al., 2001). In alcuni tipi di tumori solidi la sua espressione è responsabile della resistenza ai farmaci chemioterapici ed è associata a prognosi infausta (Tsunoda et al., 2006; Yoh et al., 2004). Recentemente, è stato anche dimostrato il suo coinvolgimento nei processi biologici implicati nella capacità di escludere il colorante Hoechst dalle cellule staminali adulte e tumorali (Seigel et al., 2005; Ho et al., 2007; Shi et al., 2008; Wang et al., 2009). Inoltre, numerose evidenze indicano che ABCG2 gioca un ruolo importante nella protezione delle cellule staminali promuovendo l‟aumento della loro capacità di sopravvivenza e di proliferazione (Xi-wei et al.,2010). Il mantenimento dell‟espressione di ABCG2 nelle cellule B-CPAP in diverse condizioni sperimentali concorda dunque con la presenza di cellule simil-staminali. La linea B-CPAP esprime il gene p63 in modo costante sia nelle cellule parentali che nelle tirosfere. Questo in accordo con l‟origine 44 tumorale della linea. Il gene p63 è membro della famiglia di oncorepressori p53, insieme con p73 con cui condivide la struttura di tre domini funzionali (Lohrum e Vousden, 2000). Il gene p63 codifica per sei isoforme che possono funzionalmente mimare, ma anche antagonizzare, l‟attività di p53. In particolare è stato dimostrato che la proteina p63 è implicata nel processo di differenziamento delle cellule epiteliali (Yang et al.,1998; Reis-Filho et al., 2003) e vari tipi di tumori epiteliali mostrano alti livelli d‟espressione di questo gene (Hibi et al., 2000; Marin e Kaelin 2000; Massion et al., 2003; Moll e Slade, 2004). Nei tumori tiroidei il coinvolgimento della p63 nella trasformazione neoplastica potrebbe avere un ruolo oncogenico piuttosto che funzionare come oncosoppressore (Malaguarnara et al., 2005). In questo senso l‟espressione di p63 sarebbe correlata con l‟origine del tumore. Infatti un sottogruppo di PTC può originare da cellule embrionali pluripotenti positive per p63, che sono più sensibili rispetto ai tireociti maturi ad acquisire cambiamenti oncogenici portando allo sviluppo dei carcinomi papillari tiroidei (Burstein et al,2004). Poiché nei carcinomi tiroidei possono essere presenti contemporaneamente mutazioni di p53 ed anormale espressione di p63, non è possibile dare con certezza alla p63 in ruolo oncogenico (Malaguarnera et al., 2005). D‟altra parte però nella linea tumorale BCPAP entrambi i geni sono espressi. Analizzando i risultati di RT-PCR ottenuti nella linea non tumorale N-thy-ori-3 si osserva che i livelli d‟espressione di Nanog e ABCG2 hanno un incremento statisticamente significativo nelle tirosfere della generazione F4 rispetto alla linea cellulare parentale. L‟espressione di Oct4 invece, pur mantenendo lo stesso trend, non aumenta in modo significativo. N-Thy-ori-3 deriva da cellule follicolari non tumorali e quindi ci si aspetta che da essa siano isolate cellule staminali adulte non tumorigeniche, con propensione a produrre 45 cellule che differenziano. In effetti, il comportamento riguardo la formazione delle tirosfere delle cellule di questa linea, si discosta notevolmente da quello delle cellule derivate da tumore per tre caratteristiche: l‟autorinnovamento (che si blocca alla F4), l‟efficienza nella formazione delle sfere (che diminuisce progressivamente a partire dalla F1), e la capacità di aderire al supporto di crescita anche in terreno permissivo. Questo comportamento quindi sembrerebbe apparentemente indipendente dall‟espressione dei marcatori di staminalità, il cui andamento è sovrapponibile a quello delle cellule B-CPAP. In questa linea non tumorale quindi il numero di cellule con caratteristiche staminali rimarrebbe costante nonostante la diminuzione della capacità di formare tirosfere, e la tendenza a crescere in adesione. In altre parole, il numero di tirosfere diminuisce in rapporto al numero totale di cellule perché molte aderiscono al supporto. Il marker di differenziamento PAX 8 è risultato espresso, sia a livello della linea parentale che nelle tirosfere delle diverse generazioni, diversamente da TTF-1 e Tg che sono risultati negativi, come anche il marker di tumorigenicità p63. L‟espressione di PAX8 suggerisce la presenza di cellule staminali adulte in questa linea, mentre resta di difficile interpretazione l‟assenza di TTF-1 e di Tg. Inoltre, l‟assenza di espressione del p63 nella linea normale e nelle tirosfere ottenute da essa è in accordo con le caratteristiche non tumorigeniche della linea stessa (Lemoine et al., 1989). L‟insieme dei risultati ottenuti supporta l‟esistenza di cellule con caratteristiche simil-staminali nelle due linee oggetto di questo studio. In particolare mostrano la capacità di rispondere con una crescita di tipo sferoide e la capacità di autorinnovamento in opportune condizioni colturali, l‟espressione di marker di staminalità embrionale nella linea N-thy-ori-3 e di cellule con caratteristiche 46 simil-staminali tumorali nella linea B-CPAP. L‟assetto molecolare delle tirosfere non chiarisce se esse sono costituite da una popolazione eterogenea, ma certamente indica forti caratteristiche di staminalità per la loro capacità di auto rinnovamento. D‟altra parte, sulla base del profilo molecolare, sarebbe attraente pensare che nelle tirosfere della linea tumorale possano essere presenti popolazioni cellulari a vari stadi di differenziamento: una popolazione con proprietà simil-staminali tumorale (OCT4+/NANOG+ /ABCG2+/p63+). un popolazione in via di differenziamento (PAX8+) e una popolazione differenziata (TTF-1+/Tg+). Per poter isolare una popolazione arricchita in cellule staminali, abbiamo dissociato le tirosfere della generazione F1 colorandole con il PKH26. Questo fluorocromo si lega al doppio strato lipidico della membrana cellulare rendendola fortemente fluorescente. Dopo ogni divisione cellulare esso si distribuisce equamente tra le due cellule figlie che risultano avere una diminuzione dell‟intensità di fluorescenza della membrana (Horan et al., 1990; Boutonnat et al., 2000). Questo approccio è quindi molto utile per separare cellule quiescenti da cellule in attiva divisione. E‟ quindi uno dei metodi di elezione per isolare, tramite FACS, cellule staminali poiché sfrutta la loro natura quiescente (Cicalese et al., 2009; Pece et al., 2010; Kusumbe e Bapat 2009). In accordo con l‟intensità di fluorescenza del PKH26 sono raccolte due frazioni cellulari, le popolazioni H, e L, che rappresentano cellule in quiescenza (le putative simil-staminali) e cellule in attiva divisione (le putative cellule del “bulk” tumorale). Le due frazioni cellulari raccolte da B-CPAP e N-thy-ori-3 sono costituite rispettivamente dal 7% e 6,6% di cellule quiescenti, e dal 20% e 13% di cellule in attiva divisione, e indicano che le tirosfere di entrambe le linee sono 47 costituite da una piccola popolazione, di simile dimensione, di cellule quiescenti. La capacità di formare sfere è mantenuta a lungo termine solo dalle due popolazioni H di entrambe le linee. Infatti, la capacità di formare sfere secondarie è persa dalle popolazioni L già alla prima generazione. L‟espressione dei geni di staminalità nella linea B-CPAP è presente nelle due frazioni cellulari isolate. Mentre l‟espressione di ABCG2 è notevolmente inferiore nella frazione L rispetto alla H, l‟espressione di Oct4 e Nanog appare agli stessi livelli, in accordo con i risultati di questi marcatori analizzati nel saggio di autorinnovamento. L‟espressione dei geni PAX8 e p63 è sovrapponibile nelle due frazioni, mentre i geni di differenziamento sono notevolmente più nella frazione espressi L, in accordo con la presenza di cellule del “bulk” tumorale. L‟espressione dei geni di staminalità nella linea N-thy-ori-3 risulta diverso per Oct4, Nanog e ABCG2. Il primo è più espresso nelle H rispetto alle L, mentre gli altri due mantengono simile espressione nelle due frazioni. Questo quadro è nettamente diverso da quello delle cellule della linea tumorale. Infatti mentre si osserva che l‟andamento d‟espressione di Nanog è simile nelle due frazioni senza evidente differenza tra le due linee, l‟andamento dell‟espressione di Oct4 e di ABCG2 sono invertiti nelle due linee: nella B-CPAP Oct4 ha valori simili in H e L e ABCG2 ha una maggiore espressione nella H, mentre in N-thy-ori-3 Oct4 ha una maggiore espressione nella H e ABCG2 non mostra differenze tra H e L. Anche se i dati necessitano di ulteriori approfondimenti allo stato dei risultati sembra che l‟andamento dell‟espressione di ABCG2 e di Oct4 meriti di essere ulteriormente indagato per valutare se possa essere discriminante tra la linea tumorale e quella non tumorale. 48 Nel nostro studio viene per la prima volta evidenziata la presenza di cellule simil-staminali in linee cellulari derivate da tumore papillare tiroideo. In letteratura sono presenti rari studi sui tumori primari ed in uno solo (Todaro et al., 2010) sono state isolate cellule simil-staminali con metodica FACS. Tali cellule, rappresentate da una piccola popolazione (circa 5%) non sono state tuttavia caratterizzate per i marcatori da noi studiati. Nel complesso comunque i nostri dati sostengono l‟ipotesi dell‟esistenza di cellule simil-staminali tumorali nei carcinomi papillari della tiroide e sollecitano nuovi approfondimenti. In conclusione i nostri risultati rafforzano l‟idea che le cellule similstaminali siano la forza trainante della formazione e progressione del tumore. Il loro isolamento e la loro caratterizzazione a livello molecolare ha come obiettivo a lungo termine non solo la comprensione del processo carcinogenetico ma anche la possibilità di fornire informazioni utili allo sviluppo di nuove ed alternative terapie. 49 BIBLIOGRAFIA Al-Hajj M, Wicha MS, Benito-Hernandez A, Morrison SJ, Clarke MF. Prospective identification of tumorigenic breast cancer cells. Proc Natl Acad Sci USA 2003;100:3983-3988. Al-Hajj M, Clarke MF. Self-renewal and solid tumor stem cells. 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