musica e pittura - Conservatorio di Rovigo

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musica e pittura - Conservatorio di Rovigo
Accademia dei Concordi
Rovigo
AFAM-MIUR
Conservatorio Statale di Musica
“Francesco Venezze” Rovigo
Comune di Rovigo
Assessorato alla Cultura
LA DOMENICA AI CONCORDI
MUSICA E PITTURA
NOVEMBRE - DICEMBRE 2013 XVIII EDIZIONE
ACCADEMIA DEI CONCORDI ROVIGO
SALA DEGLI ARAZZI
PROGRAMMA
DOMENICA 17 NOVEMBRE - ore 11
Le rapsodie: cartoline sonore dalle nazioni
Franz Liszt, Maurice Ravel, George Gershwin
Quanta gente, cercando Dio, si è fermata davanti a una statua di legno!
Quanta gente, cercando l’arte, si arresta davanti a una forma di cui un artista,
si è semplicemente servito per i propri fini!
W. Kandinsky
Duo pianistico Martino Fedini - Matteo Franco
Opere di Mario Cavaglieri
Presentazione di Alessia Vedova
DOMENICA 24 NOVEMBRE - ore 11
«Memoria e citazione» nel linguaggio musicale tra XX e XXI secolo
Ferruccio Busoni, Igor Stravinsky,
Andreina Costantini, Dmitrij Šostakovič
Violoncello Luca Paccagnella - Pianoforte Giuseppe Fagnocchi
Opere di Pio Pullini
Presentazione di Sarah Lanzoni
DOMENICA 1 DICEMBRE - ore 11
Il XX secolo in forma - sonata
Nino Rota, Francis Poulenc, Malcolm Arnold, Leonard Bernstein
Clarinetto Zoe Pia - Pianoforte Roberto De Nittis
Opere di Gisella Breseghello
Presentazione di Valeria Tomasi
DOMENICA 8 DICEMBRE - ore 11
Histoire du Soldat
Igor Stravinsky
Clarinetto Marco Ortolani - Fagotto Stefano Sopranzi
Cornetta (tromba) Donato De Sena - Trombone Antonio Sicoli
Violino Federico Guglielmo - Contrabbasso Ubaldo Fioravanti
Percussioni Nunzio Dicorato
Voce recitante Stefano Patarino
Direttore Stefano Romani
Opere di Franco Romano Lazzari
Presentazione di Roberta Reali
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Il dio Apollo, seduto e assorto ai piedi dell’unica palma presente nell’isola di Delo
(la Brillante), ammiccò un sorriso, e invitò al suo cospetto le muse. Dopo una
breve pausa di silenzio chiese loro: “gli uomini sulla Terra, si giovano ancora
dell’arte? Riescono a provare il piacere del suono interiore che vibra in ogni melodia di un’opera, e in ogni linea colorata di un dipinto? ”
“In verità, nostro signore, sono poche le persone capaci di cogliere la bellezza
che nasce dalla necessità interiore degli artisti. Da oltre un secolo, un grande pittore che sognava la riunificazione tra tutte le arti, scrisse parole bellissime sui
tratti affini tra la musica e la pittura. Già allora si lamentava che soltanto una minoranza di umani è consapevole del fatto che per un pieno godimento di un’opera
d’arte, è indispensabile instaurare un dialogo tra l’estrinsecazione della vita interiore dell’artista sotto forma di una creazione artistica, e la capacità dello spettatore di saper riconoscere in essa, una sensibilità tale da portare una “natura morta”
a un’altezza in cui le cose esteriormente morte diventano interiormente vive. Nostro signore, puoi suggerirci un modo per risvegliare in loro il piacere di assaporare la fragranza dei frutti prelibati dell’arte?”
“Care fanciulle, se non rammento male, lo stesso illustre pittore che avete or ora
citato, ci ha indicato la via da seguire, quando ci ricorda che l’artista riesce a percepire più di chiunque altro il suono interiore di tutte le cose, semplicemente perché riesce a conservare per tutta la vita lo stesso stupore che provava da bambino
nel vedere un uccellino spiccare il volo verso il cielo.”
Facendo nostro questo appello a mantenere viva in tutti noi la gioia infantile per
una giornata di sole, il Conservatorio Francesco Venezze, la Fondazione Banca
del Monte di Rovigo e l’Accademia dei Concordi sono lieti di offrire a chi ci
legge, la rassegna “Musica e Pittura” i cui titoli troverete tra queste pagine.
Vincenzo Soravia
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La rapsodia è la forma musicale nella quale meglio si fondono, nel tono complesso
ed articolato di una composizione appartenente al c.d. stile colto, gli elementi fondamentali del patrimonio musicale di una nazione o di un popolo. Ne consegue una sua
ampia fioritura a partire dalla grande epopea romantica durante la quale molti compositori articolano attraverso continue varianti melodiche e un tessuto armonico piuttosto
complesso temi originariamente ben più semplici, oppure inventano ed elaborano, attingendo esclusivamente dalle suggestioni del colore, degli intervalli melodici e dei
moduli armonici più significativi di un determinato milieu etnico o geografico, partiture in completa autonomia. Altra caratteristica della rapsodia è il livello tecnico sovente piuttosto elevato, derivante anch’esso dalla visione romantica del virtuosismo
strumentale i cui echi corrono paralleli nelle intriganti abilità di certi esecutori di musica popolare. Per conferire inoltre un denso spessore alla partitura non infrequente è
la formazione del duo pianistico, una micro-orchestra nella quale tutti i registri dello
strumento possono essere contemporaneamente utilizzati.
Maestri indiscussi della rapsodia mitteleuropea sono Johannes Brahms e Franz Liszt,
entrambi esploratori del “campo” ungherese, coinvolgente ed affascinante per l’estremizzazione degli andamenti agogici, l’elasticità degli stessi e il continuo e spesso ininterrotto passaggio da uno stato d’animo ad un altro reso possibile dalla cangiante
varietà dei colori e dall’alternarsi di sezioni dal nostalgico e sofferto tono minore ad
altre in cui domina il vitalismo danzante nel contrapposto modo maggiore, tipico della
ciarda. La stilizzazione di elementi popolari ispanici e la libertà con la quale Ravel fa
ampio uso di melodie modali, rapide figure arabescate, mescolanza di ritmi binari e
ternari tra cui quello celebre di Habanera - una sorta di archetipo del tango - caratterizzano la Rapsodie Espagnole articolata in quattro distinti mo(vi)menti e concepita
sia in versione per grande orchestra, sia per duo pianistico. Gesti anche qui estremizzati
trasportano in continuazione l’ascoltatore da percezioni di commovente e struggente
languore a slanci appassionati che si caricano di traboccante, ma anche inquietante,
energia nel finale di Feria. Altra caratteristica del lavoro è la presenza pressoché costante di ostinati che, pur se nascosti, costituiscono le colonne portanti di ogni singolo
movimento. Come già espresso dal titolo la forma simbolo della rapsodia di Gershwin
è il blues. Anche qui pannelli contrastanti conferiscono vivacità e fascino alla composizione ad iniziare dallo strepitoso glissato di exordium, una «cifra» - sopratutto per il
clarinetto che lo esegue nella versione per pianoforte e orchestra - tra le più celebri
negli incipit del repertorio classico. Il vitalismo proprio del nuovo mondo altamente
industrializzato ed organizzato,espresso da ritmi sempre incalzanti ed insistenti, si contrappone a distese zone di ampio lirismo, riflessioni personali sul senso dell’esistenza
e sulla necessità per l’uomo di vivere non solo nella crescente velocità e operosità del
ventesimo secolo, ma anche nella pace della propria ricerca interiore. Quale ultima
immagine della rapsodia possiamo suggerire come spesso essa rappresenti la fotografia di un uomo con il proprio vissuto interiore inserito (o contrapposto) nella cartolina
di un contesto storico-geografico ben determinato.
Giuseppe Fagnocchi
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DOMENICA 17 NOVEMBRE
Le rapsodie: cartoline sonore dalle nazioni
F. LISZT
Ungarische Rhapsodie n. 2
M. RAVEL
Rapsodie espagnole
Prélude à la nuit
Malagueña
Habanera
Feria
G. GERSHWIN
Rhapsody in Blue
Molto Moderato / Scherzando / Tempo Giusto
Andantino moderato, con espressione /
Agitato e misterioso / Grandioso
Duo pianistico
Martino Fedini - Matteo Franco
Mario Cavaglieri, Donna davanti alla finestra fiorita, olio su tela, Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi
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MARIO CAVAGLIERI
Mario Cavaglieri nasce a Rovigo il 10 luglio 1887 in una colta famiglia di religione
ebraica, originaria di Venezia. Si appassiona ben presto all’arte, tanto che nel 1907
abbandona gli studi giuridici all’Università di Padova per frequentare lo studio del
pittore Giovanni Vianello, nel quale ha modo di conoscere il giovane Felice Casorati.
In seguito prende parte anche ai corsi di pittura di Cesare Laurenti tenuti a Padova,
città nella quale si era trasferito con la famiglia nel 1896.
In questa prima fase il suo interesse artistico si manifesta soprattutto verso soggetti
di carattere familiare, tanto che in numerosi quadri è ritratta la sorella Gilda.
Nel 1911 si reca a Parigi dove rimane colpito dalle tematiche coloristiche del movimento dei fauves: la sua tavolozza si intensifica cromaticamente e il suo stile si accresce in maniera molto personale, tuttavia rimane distante dagli orientamenti delle
avanguardie contemporanee.
Nel 1911 conosce Giulietta Catellini de Grossi, compagna e musa ispiratrice di tutta
la sua esperienza pittorica, che sposerà soltanto nel 1921 a Piacenza.
Grazie alla moglie viene introdotto nei salotti altoborghesi, che divengono poi uno
dei soggetti prediletti dei suoi quadri. A partire dagli anni Venti anche la tecnica pittorica subisce profondi cambiamenti: le tele si fanno più grandi, la stesura pittorica
diventa più materica; sono gli anni del pittore rodigino definiti “brillanti”.
Nel 1925, assieme a Giulietta, lascia l’Italia per ritirarsi a Peyloubère nel sud della
Francia. Qui l’artista scopre i temi agresti dipingendo ogni giorno senza altro bisogno
che dipingere, in un clima di spensieratezza che solo gli anni della guerra infrangeranno. Allora, infatti, nella sua doppia identità di ebreo e di italiano, decide di partire
per l’Italia, ove si crede protetto; si troverà invece costretto a errare di città in città,
mentre gran parte della sua famiglia viene deportata.
Al suo ritorno in Francia, nel 1946, ritorna a vivere a Peyloubère, ma lontano dal
circolo di relazioni mondane attorniato solo da Giulietta e da alcuni amici fedeli.
L’artista, dopo una giornata come tante altre dedicata al disegno e alla pittura, si spegne serenamente nella sua casa di Peyloubère l’11 settembre 1969.
Mario Cavaglieri, Palazzo della Mercanzia a Bologna (1943), olio su tela
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Mario Cavaglieri, Giulietta con la sciarpa rossa, olio su tela, Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi
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Mario Cavaglieri, In attesa (1911), olio su tela, Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi
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Trattenere, recuperare e tramandare la memoria del passato rivela nella storia della
cultura occidentale una trama di percorsi, spesso nascosti, ma sempre presenti dal
mondo greco-romano, alla cultura medioevale e moderna, culminanti nella ricerca e
conseguente tentativo di costituzione di una clavis universalis - per parafrasare il
titolo di un celebre saggio di Paolo Rossi - con cui interpretare il Mistero della Vita.
Innegabilmente la memoria ha sempre ricoperto nei sommi maestri un ruolo rilevante
avvalendosi reiteratamente di citazioni ben presto assurte a prezioso simbolo: numerosi ad esempio i “ritorni” in epoca barocca del tema della “follia”, culminanti in Arcangelo Corelli ove si struttura secondo un ordo retorico di stupefacente, e allo stesso
tempo rigorosamente logica, costruzione, mentre Johann Sebastian Bach riesce addirittura ad inserirsi autoreferenzialmente nei suoi capolavori di ars reservata.
Ma anche quando la citazione è un pre-testo ben più semplice essa mai perde il suo
valore, preziosissimo, di fil rouge e trait-d’union tra passato - presente - futuro. Accade così che, soprattutto nelle età caratterizzate da una maggiore inquietudine spirituale e disorientamento culturale, come nel passaggio tra Ottocento e Novecento, i
compositori sappiano recuperare i frammenti rimasti dalle deflagrazioni delle culture
precedenti e ne ravvivino la memoria, riuscendo a creare un nuovo percorso compositivo specie quando il rischio di perdere il solo gesto intervallare nel silenzio della
incomunicabilità si stava drammaticamente affacciando.
Quando Ferruccio Busoni propone, nel 1890, Kultaselle (termine finnico che significa
“alla persona amata”) l’evocazione spesso malinconica e nostalgica dei canti eroici
e d’amore finlandesi, rappresenta piuttosto semplicemente uno “schermo” dietro al
quale si s-vela il percorso autobiografico del compositore in quei mesi tormentato
dall’appassionato sconvolgimento dell’esistenza che gli aveva creato la conoscenza
della futura moglie Gerda, culminante nella strepitosa ed aggressiva stretta finale
dove i due strumenti si trovano (finalmente!) insieme. La citazione funge pertanto in
questo caso da falso-scopo ad una dichiarazione intima che vuol rimanere nascosta.
Ben diverse sono invece le motivazioni che spingono Stravinsky a rivolgersi, nel
1920, alle musiche di Giovanni Battista Pergolesi. Tra queste la necessità di recuperare la purezza di melodie e bassi dalle linee essenziali per ricostruire un mondo distrutto dalle aberrazioni della guerra nel quale, per curarne le ferite, sono “incollati”
in senso cubista veri e propri cartigli tali da creare deformazioni - elisioni, ripetizioni,
alterazioni - al testo che così non costituisce più un ideale assoluto nella sua interezza,
ma offre però nei suoi elementi minimi recuperati la possibilità di rinnovare il linguaggio e nutrire l’uomo di novella speranza.
La sonata di Sostakovic (risalente al 1934), saldamente costruita sopra una memoria
davvero sintetica del passato - struttura classica, trame polifoniche bachiane e contrasti tematici romantici - si ammanta di confidenze personali introspettive, a loro
volta lineari, elegiache e contemplative memorie dell’anima russa, che sovente si tingono di colori cupi e lugubri, uniche forme di “uscita di sicurezza” all’impotenza del
grido e della protesta all’interno del regime dell’Unione Sovietica.
La scelta di Andreina Costantini, compositrice docente al Conservatorio “F. Venezze”
di Rovigo, di celebrare il bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi con l’elaborazione di un frammento del suo Requiem tratto dall’Hostias, è anch’essa segno di speranza, nella recherche sempre più articolata del mondo contemporaneo rappresentata
dai suoni “nuovi” richiesti sia al violoncello sia al pianoforte, per l’uomo che non
sappia perdere il contatto con i suoi valori fondamentali di cui il sacrificium di Cristo
sulla croce rappresenta la testimonianza o almeno l’interrogativo del mistero supremo
dell’esistere e del morire.
Giuseppe Fagnocchi
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DOMENICA 24 NOVEMBRE
«Memoria e citazione» nel linguaggio musicale tra XX e XXI secolo
F. BUSONI
«Kultaselle» variazioni su un tema finlandese
I. STRAVINSKY
Suite Italienne
Introduzione
Serenata
Aria
Tarantella
Minuetto e Finale
A. COSTANTINI
Sonata “Omaggio a G. Verdi” (2013)
D. ŠOSTAKOVIČ Sonata in re minore op. 40
Allegro non troppo
Allegro
Largo
Allegro
Violoncello Luca Paccagnella
Pianoforte Giuseppe Fagnocchi
Pio Pullini, L’automobile di mio figlio, acquerello su carta, Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi
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PIO PULLINI
Nato ad Ancona nel 1887, da una famiglia che vantava illustri trascorsi patriottici risorgimentali, nei primi anni del Novecento segue con profitto il corso di studi artistici
ad Urbino presso l’Istituto di Belle Arti delle Marche; completa a pieni voti gli studi
artistici presso l’Istituto di Belle Arti di Roma.
Dopo i primi esordi come brillante allievo di Giulio Aristide Sartorio nel 1910, prima
di partecipare all’imminente conflitto mondiale, decora la palazzina della legazione
italiana nella capitale del Montenegro e si fa apprezzare nella Roma giolittiana per la
realizzazione degli affreschi delle sale del nuovo Ministero dell’Agricoltura, Industria
e Commercio nonché per le sue notevoli doti di ritrattista.
Tra gli anni Venti e gli anni Trenta, parallelamente a lunghi soggiorni di lavoro come
insegnante di disegno presso gli istituti tecnici di Cagliari, Rovigo, Faenza e Roma,
partecipa ai lavori di decorazione del Viminale e fa il suo esordio espositivo alla I
Biennale Romana. In questo periodo comincia a realizzare efficaci caricature ispirate
a situazioni e figure colte dal vero e contemporaneamente si dedica all’arte sacra dipingendo pale d’altare; tra quest’ultime citiamo per importanza quelle realizzate per
la Chiesa dei Santi Francesco e Giustina a Rovigo raffiguranti Santa Teresa di Lisieux
e Santa Rita da Cascia. Negli anni del soggiorno rodigino dà prova della sua abilità
pittorica anche nella decorazione ad affresco della Casa del Fascio, per poi spostarsi
ad Ancona, dove decora il Palazzo del Littorio con un ciclo di sette grandi quadri che
illustrano la storia d’Italia dal Risorgimento al decennale della marcia su Roma.
Contemporaneamente si dedica alla produzione di brillanti acquarelli umoristici che
lo rendono particolarmente noto ed apprezzato, tanto da ottenere nel 1930 l’incarico
di realizzare le illustrazioni per il libro unico della terza elementare, curato da Grazia
Deledda. Trasferitosi definitivamente a Roma, nel 1936 realizza le cartoline per il
saggio nazionale dei Premilitari e inizia a collaborare con la rivista “L’Urbe” diretta
dall’amico Antonio Muñoz.
Pullini rappresenta scene, tipi e situazioni di una città che sta cambiando rapidamente.
Segretamente si dedica a comporre centinaia di scene di vita romana ad acquarello:
questa produzione artistica diventa, così, un’importante testimonianza della Roma
degli anni di guerra, dell’occupazione nazista e della liberazione.
Dopo lunga malattia, si spegne a Roma il 10 luglio del 1955.
Pullini, artista che per troppo tempo è stato dimenticato, fu in realtà pittore e illustratore consapevolmente e costantemente diviso fra le committenze ufficiali, eseguite
con impeccabile tecnica accademica, e l’ inconfondibile e profonda leggerezza di cui
sono pervase le tavole illustrative per libri scolastici e i numerosissimi e folgoranti
acquerelli umoristici. Genere quest’ultimo alla cui realizzazione il pittore si dedicò
con passione e rigore tecnico, anche in anni in cui le opere di ispirazione satirica, le
vignette, i disegni e le incisioni erano considerate una forma artistica assai poco rilevante per la carriera e per la fama di un pittore di valore.
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Pio Pullini, Bambini davanti alla prigione, riproduzione fotografica, Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi
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Pio Pullini, Autoritratto giovanile (1912), olio su tela
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Pio Pullini, Santa Rita da Cascia (1927), Chiesa dei Santi Francesco e Giustina - Rovigo
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Lo schema classico della sonata ha trovato nel corso del secolo ventesimo diverse
forme di rilettura. Quella che caratterizza il programma odierno scaturisce dalla inevitabile deflagrazione di tale forma, conseguenza del processo romantico di continuo
ampliamento formale, melodico ed armonico destinato inevitabilmente ad esplodere
per i suoi aspetti intrinseci, ma anche per la sostanziale crisi di pensiero in primis
della fenomenologia hegeliana e dell’ottimismo positivista.
Spogliato dai suoi contenuti ottocenteschi e dalle sue complicazioni affermatesi in
progress, lo schema ternario viene ripreso da diversi compositori nelle sue strutture
di base: divisione ternaria dell’intera composizione con due movimenti veloci agli
estremi e uno lento al centro e ulteriore suddivisione ternaria di ogni singolo tempo,
nella semplice struttura di esposizione, opposizione, e riesposizione. Non mancano
ovviamente forme di recupero più analitiche dei singoli movimenti, tra cui il riemergere con rigore della forma-sonata o l’inserimento di complesse strutture contrappuntistiche, ma senza dubbio la scelta di conferire la maggiore semplicità possibile
consente al compositore nel modo più agevole e fluido l’inserimento sia di temi dalla
immediata cantabilità sia vivaci sezioni ritmiche in cui gli strumenti possano esprimere un virtuosismo sempre brillante.
È questo il caso dei quattro modelli oggi proposti nei quali, pur in questi tratti comuni,
si evidenziano significativamente i linguaggi personali dovuti alle diversità di provenienza e di esperienze culturali dei singoli maestri.
Nella Sonata di Nino Rota le ampie frasi del clarinetto sono sempre all’insegna del
“legato” che consente in tal modo l’estrinsecazione della ricca cantabilità italiana,
dalla espressiva ma sempre fluida e scorrevole sequenza delle frasi del primo movimento, alla più intima e serena riflessione nel secondo, interrotta solamente dall’in-
terrogativo del breve e nervoso recitativo che costituisce la contrastante area centrale
del movimento, per poi riprendere il proprio andamento fluido nel gioioso clima di
festa dell’ultimo tempo.
Nell’inglese Malcom Arnold prevale invece una scrittura diametralmente opposta all’insegna dello “staccato”, articolazione questa che esalta il clarinetto nei movimenti
estremi ove campeggia su tutti i suoi registri con brillantezza vivace, marcata e persino furiosa, mentre il pianoforte al morbido e risonante tessuto armonico presente
in Rota, assume qui la sua veste percussiva con continui ostinati e lunghe sequenze
sincopate, oltre che di concertazione con lo strumento a fiato.
La Sonata di Bernstein è anch’essa una sorta di carta di identità del suo autore: si
fondono infatti patterns ritmici ispirati, sia nelle sezioni lente sia in quelle veloci, soprattutto dal jazz dilagante negli Stati Uniti, luogo di residenza del compositore e direttore d’orchestra, con melodie di struggente e malinconica cantabilità che ne
richiamano le radici ebraiche e la sofferenza di un popolo continuamente costretto
alla diaspora per fuggire dalle terribili persecuzioni che proprio durante la stesura
della sonata avevano luogo in Europa.
Scritte da compositori in giovane età. Queste tre sonate si oppongono alla quarta che
Francis Poulenc compose pochissimi mesi di morire; di conseguenza si colgono qui
elementi di meditazione introspettiva e di malinconica rassegnazione non presenti negli
altri lavori. Anche le figure più incalzanti, se si esclude il refrain dell’Allegro con fuoco
finale, si ammantano sempre di una patina nostalgica nel richiamare retrospettivamente
quelle analoghe di precedenti lavori del maestro francese, una vera e propria sorta di
bilancio di una vita che di lì a poco sarebbe stata bruscamente interrotta.
Giuseppe Fagnocchi
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DOMENICA 1 DICEMBRE
Il XX secolo in forma - sonata
N. ROTA
Sonata in re
Allegretto Scorrevole (cantabile)
Andante quasi
Allegro Scorrevole
F. POULENC
Sonata
Allegro tristamente
(Allegretto - Très calme - Tempo allegretto)
Romanza (Très calme)
Allegro con fuoco (Très animé)
M. ARNOLD
Sonatine
Allegro con brio
Andantino
Furioso
L. BERNSTEIN
Sonata
Grazioso
Andantino - Vivace e Leggiero
Clarinetto Zoe Pia
Pianoforte Roberto De Nittis
Gisella Breseghello, Vaso di rose (1976), olio su tela, Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi
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GISELLA ZANELLA BRESEGHELLO
Gisella Zanella nasce a Rivà di Ariano Polesine nel 1905. Allieva di Ettore Tito, dopo
gli studi magistrali, si diploma all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Donna forte,
volitiva e generosa, si sposa con Gino Breseghello da cui ha tre figli e, dal 1927 al
1945, risiede a Sant’Elena d’Este.
Nel 1946 torna in Polesine, insegna Disegno, Architettura, Figura e Storia dell’arte
presso le scuole della città di Rovigo dove fissa la sua abitazione e il suo studio, prima
in via Verdi poi in via Baroni. La sua casa diviene ben presto un punto di riferimento
per molti giovani artisti e al suo studio di pittura affluiscono sempre più numerosi allievi e studenti.
Nel 1948 esegue la pala raffigurante l’Assunzione della Vergine per la chiesa di Rivà
di Ariano. Nel 1953 le viene affidato l’incarico di produrre il bozzetto per la medaglia
d’oro della Mostra della Ricostruzione del Polesine. Nel 1955 vince il concorso nazionale per il manifesto dedicato alla Giornata del Risparmio.
Numerose le manifestazioni nazionali di arte contemporanea a cui partecipa: negli
anni Settanta vengono allestite sue mostre personali a Bologna, Ferrara, Padova, Rovigo, Treviso e in altre località del Veneto e dell’Emilia. Ritratti, fiori, nature morte
e paesaggi sono tra i suoi soggetti preferiti. Nelle sue opere predomina una attenta ricerca luministica che diviene veicolo pittorico essenziale per una visione autenticamente naturalistica e allo stesso tempo idealizzata della natura.
Gisella Breseghello si spegne a Rovigo nel 1979.
Gisella Breseghello, Fagiani dopo la caccia (1976), olio su tela
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Gisella Breseghello, Zucche polesane (1974), olio su tela
Gisella Breseghello, Rose con pere e mela (1977), olio su tela
L’Histoire du soldat (1918) è l’esempio di un teatro da camera povero ed itinerante,
conseguente alle devastazioni umane e materiali provocate dalla Prima Guerra Mondiale. Il lavoro nasce dalla conoscenza e successiva amicizia tra Charles Ferdinand
Ramuz e Igor Stravinsky in Svizzera dove il compositore risiedeva negli anni del
conflitto. Pur non entrando direttamente nel tema della guerra il protagonista è significativamente un soldato, così come per il grande capolavoro di teatro musicale Wozzeck (1917-1921) di Alban Berg che si sta contemporaneamente concretizzando,
mentre a dominare - nella figura del protagonista che vende l’anima al diavolo - è il
sommo tema goethiano del rapporto tra Faust e Mefistofele, tra Bene e Male, dissidio
che può essere superato solo da una forma autentica di purificazione e di redenzione.
L’immagine del soldato rivestito di negatività non vuole essere una protesta antimilitarista, ma il segno della minaccia che avvolge l’uomo, specialmente il suo essere
individuo, in un collettivismo (il soldato va quindi inteso come colui che indossa una
uniforme, non come l’eroe) irrispettoso ed indifferente delle sue angosce interiori e
tale quindi da trascinarlo nella più cieca e bieca disperazione.
Il soldato di Stravinsky, osserva Massimo Mila, diviene il protagonista «dell’eterno
motivo faustiano dell’uomo che rinuncia alla sua anima per il possesso di beni materiali o per conoscere l’inconoscibile. Questo motivo trova qui la più pessimistica delle
soluzioni. L’uomo soccombe senza nessuna speranza di riscatto, preso al laccio e stritolato dal diabolico ingranaggio delle oscure forze che lo sovrastano». Il Soldato, tornando al suo villaggio natale per una licenza di quindici giorni, è avvicinato dal
Diavolo travestito. In cambio del violino del Soldato, il Diavolo gli dona un libro magico e lo invita a passare tre giorni con lui. Il Soldato accetta. Raggiungendo il suo
paese natale, il Soldato scopre che non è stato lontano tre giorni ma tre anni. Riappare
il Diavolo, che lo spinge a far fruttare le portentose ricchezze del libro magico. La
ricchezza non ha dato la felicità al Soldato. Il Diavolo, sotto nuovo travestimento, va
a fargli visita e gli mostra le sue merci, fra cui il violino un tempo appartenutogli. Il
Soldato vorrebbe ricomprarlo, ma, scoprendo che non può trarne alcun suono, lo getta
via e distrugge il libro. Ridotto in povertà, il Soldato giunge in una città straniera
dove la figlia del Re è malata: il padre ha promesso la sua mano a chiunque sappia
guarirla. Il Soldato incontra il Diavolo travestito da virtuoso di violino e gioca a carte
con lui: perde tutti i suoi beni residui ma riesce a recuperare il suo violino facendo
bere il Diavolo finché non perde i sensi. Entrato nella camera della Principessa, il
Soldato suona il suo violino: la Principessa si alza e danza un tango, un valzer e un
ragtime, cadendo alla fine nelle braccia del Soldato. Durante l’abbraccio, entra il Diavolo vestito delle sue sembianze reali (con la coda biforcuta e le orecchie a punta).
Con l’aiuto del violino, il Soldato lo riduce nuovamente all’impotenza. Dopo il matrimonio con la Principessa, il Soldato ha nostalgia del suo paese natale e decide di
visitarlo. Ma, appena passata la frontiera, ricade in potere del Diavolo, che gli sottrae
il violino. Vinto, il Soldato segue il Diavolo molto lentamente, ma senza più opporre
resistenza.
Giuseppe Fagnocchi
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DOMENICA 8 DICEMBRE
Igor Stravinsky - Histoire du Soldat
I. STRAVINSKY
Histoire du Soldat
Suite da concerto
1. La marcia del Soldato
2. Il Violino del Soldato
3. Marcia reale
4. Piccolo concerto
5. Tre danze: Tango, Valzer, Ragtime
6. Danza del Diavolo
7. Corale
8. Marcia trionfale del Diavolo
Clarinetto Marco Ortolani
Fagotto Stefano Sopranzi
Cornetta (tromba) Donato De Sena
Trombone Antonio Sicoli
Violino Federico Guglielmo
Contrabbasso Ubaldo Fioravanti
Percussioni Nunzio Dicorato
Voce recitante Stefano Patarino
Direttore Stefano Romani
Franco Romani Lazzari, Tre nel giardino (2012), oro e smalti su tela
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FRANCO ROMANO LAZZARI
Franco Romano Lazzari conduce i suoi studi artistici e dà inizio alla sua produzione
artistica presso l’Istituto d’Arte di Padova. Ottiene l’abilitazione all’insegnamento
del Disegno presso l’Accademia “Agostino di Duccio” di Perugia e completa la
sua formazione storico artistica a Padova, nella cui Università ottiene la laurea in Lettere con una tesi sulla pittura fiamminga. Insegna Disegno dal vero presso l’Istituto
d’Arte di Este.
La ricerca, che conduce del tutto autonomamente, si dimostra particolarmente attenta
nei confronti dei vari settori della produzione artistica ed è contrassegnata dal recupero dei valori simbolici della decorazione, con particolare attenzione al movimento
della Secessione Viennese e ai motivi decorativi propri della cultura figurativa islamica e orientale.
La sua produzione più recente è incentrata nella serie di dipinti intitolati ai “Giardini
dell’Ibis”. In queste opere Lazzari, partendo dalla visione della realtà geografica del
suo territorio d’origine, il Polesine, terra d’acque e di fiumi, giunge a rasserenanti
trasfigurazioni paesaggistiche, caratterizzate dall’estrema accuratezza del segno e
della composizione d’insieme, unitamente alla ricerca di una costante armonia cromatica. Si dedica inoltre alla realizzazione i rilievi nei quali spicca la presenza del
libro, inteso come oggetto simbolico, decorato con materiali preziosi e spesso reso
intangibile attraverso la sua collocazione in teche di cristallo.
Infine, risulta particolarissima la sua tecnica artistica basata sull’uso di smalti incorporei ma ricchissimi di pigmento, di colori luminescenti stesi unitamente ad argento
ed oro puri.
Attualmente Franco Romano Lazzari, nominato socio ordinario dell’Accademia dei
Concordi di Rovigo, si divide fra la produzione artistica e la partecipazione a rassegne
collettive e a mostre monografiche.
Franco Romani Lazzari, Giardino delle parole perdute (2012), oro e smalti su tela
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Franco Romano Lazzari, Rosso rame (2012), oro e smalti su tela
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Franco Romano Lazzari, Pomeriggio nel giardino dell’ibis (1991), smalti, vinilici e foglia d’oro su tela, Pinacoteca
dell’Accademia dei Concordi
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Pubblicazione a cura di:
FONDAZIONE BANCA DEL MONTE DI ROVIGO
Progetto grafico a cura di:
BARBARA MIGLIORINI
Impaginazione&Stampa:
TIPOGRAFIA ARTESTAMPA (RO)
Fondazione Banca del Monte di Rovigo
P.zza Vittorio Emanuele II, 48 - Rovigo
Tel. 0425 422905
Conservatorio Statale di Musica «F. Venezze»
Corso del Popolo, 241 - Rovigo
Tel. 0425 22273
Accademia dei Concordi
P.zza Vittorio Emanuele II, 14 - Rovigo
Tel. 0425 27991
Tiratura: 500 copie
Le immagini di copertina:
Amedeo Modigliani, Il Violoncellista
Antonio Randa, Santa Cecilia e l’Angelo, Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi