«E`responsabile del reato sessuale in danno del minore il genitore

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«E`responsabile del reato sessuale in danno del minore il genitore
www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823
«E’responsabile del reato sessuale in danno del minore il genitore che, pur
consapevole, non si è attivato ad impedire tale condotta »
(Cassazione penale , sez. III, sentenza 17.02.2015 n° 6844)
Violenza sessuale – minore – responsabilità genitoriale
Per la Corte di Cassazione, risponde del reato sessuale in danno del
figlio minore il genitore che, consapevole del fatto e nella possibilità di
porvi fine, non si attivi per impedirlo ma tenga una condotta passiva,
ricoprendo egli una posizione di garanzia a tutela dell'intangibilità
sessuale del figlio stesso che rende operante la clausola di equivalenza
di cui all'art. 40, comma 2, c.p. (Sez. 3, n. 36824 del 08/07/2009, N. e altro,
Rv. 244931; Sez.3, n. 26369 del 09/06/2011, S., Rv. 250624).
Tale responsabilità a titolo di causalità omissiva ricorre allorquando
sussistano le condizioni rappresentate: a) dalla conoscenza o
conoscibilità dell'evento; b) dalla conoscenza o riconoscibilità
dell'azione doverosa incombente sul "garante"; c) dalla possibilità
oggettiva di impedire l'evento (Sez. 3, n. 4730 del 14/12/2007, B., Rv.
238698).
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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 19 dicembre 2014 – 17 febbraio 2015, n. 6844
(Presidente Teresi – Relatore Andreazza)
Ritenuto in fatto
1. V.F. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di
Milano di conferma della sentenza del Tribunale di Monza di condanna per il
reato di cui agli artt. 40 e art. 609 quater c.p. in relazione ad atti sessuali posti
in essere da M.E. nei confronti della figlia minore di quattordici anni C.A.
2. Con un unico motivo lamenta la mancanza, contraddittorietà ed illogicità
della motivazione in ordine alla sussistenza del reato contestato posto che,
nonostante elementi indicativi unicamente di un atteggiamento negligente e
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superficiale, i giudici di merito hanno invece concluso per la sussistenza del
dolo. Infatti, dopo avere immediatamente appreso dalla figlia che questa
aveva in corso una relazione sentimentale con il sig. M., la allontanò
immediatamente facendola trasferire da parenti ed altrettanto fece con l'uomo;
in contrasto con ciò i giudici hanno invece ritenuto che la madre fosse già a
conoscenza in precedenza di tale circostanza. Né si sarebbe tenuto conto della
ridotta capacità di giudizio dell'imputata, essendo ella affetta, all'epoca dei
fatti, da patologie psichiatriche e da deficit cognitivo.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è infondato.
Va premesso che in più occasioni questa Corte ha affermato che risponde del
reato sessuale in danno del figlio minore il genitore che, consapevole del fatto
e nella possibilità di porvi fine, non si attivi per impedirlo ma tenga una
condotta passiva, ricoprendo egli una posizione di garanzia a tutela
dell'intangibilità sessuale del figlio stesso che rende operante la clausola di
equivalenza di cui all'art. 40, comma 2, c.p. (Sez. 3, n. 36824 del 08/07/2009, N.
e altro, Rv. 244931; Sez.3, n. 26369 del 09/06/2011, S., Rv. 250624); si è poi
aggiunto che tale responsabilità a titolo di causalità omissiva ricorre
allorquando sussistano le condizioni rappresentate: a) dalla conoscenza o
conoscibilità dell'evento; b) dalla conoscenza o riconoscibilità dell'azione
doverosa incombente sul "garante"; c) dalla possibilità oggettiva di impedire
l'evento (Sez. 3, n. 4730 del 14/12/2007, B., Rv. 238698).
Nella specie la motivazione della sentenza impugnata da conto della corretta
applicazione di tali principi in particolare con riguardo alla prima delle
condizioni appena ricordate, contestata in ricorso.
Già la sentenza di primo grado, ripresa nelle argomentazioni da quella
impugnata, aveva posto in risalto, tra l'altro, che l'imputata, per sue stesse
dichiarazioni: 1) sapeva che la figlia era "perdutamente innamorata di E.", che
la stessa si baciava con tale uomo (più grande di lei di venti anni) e che la
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figlia "voleva stare con lui"; 2) ad aprile del XXXX aveva visto A. seduta sulle
gambe dell'uomo mentre questi le accarezzava i capelli ed il viso "in un modo
troppo strano"; 3) in alcune occasioni ebbe a condurre seco la figlia in un
capannone ove ella si incontrava con tale Ad., con cui aveva una relazione
all'insaputa del proprio compagno, e A. si appartava invece con E. nella
camera da letto di questi.
Da tali dati oggettivi la Corte ha dunque correttamente tratto, quanto alla
prima delle condizioni riportate, e contrariamente appunto a quanto invocato
in ricorso, una situazione di ragionevole conoscibilità della circostanza che,
anche a non volere considerare il fatto che già tra la figlia e l'uomo erano
intervenuti atti sessuali (tali essendo i baci che con lo stesso A. si scambiava),
rapporti di carattere sessuale, ben più invasivi, erano evidentemente in essere
(come poi ampiamente raccontato dalla persona offesa soffermatasi sulle
penetrazioni anali subite e sugli atti di masturbazione compiuti); la sentenza
ha anzi logicamente e, dunque, insindacabilmente, tratto dalla necessità, per la
donna, di condurre con sé la figlia nel luogo ove ella si incontrava con Ad. al
fine di avere una "copertura" per i suoi incontri clandestini (si veda in
proposito, oltre a pag. 6 della sentenza impugnata, anche pag. 19 della
sentenza di primo grado), un ulteriore elemento indicativo della deliberata
omessa considerazione di una situazione la cui evidenza avrebbe imposto un
immediato intervento (posto in essere invece solo successivamente mediante
l'allontanamento di A., peraltro tale da meritare all'imputata il riconoscimento
della circostanza attenuante ex art. 62 n. 6 c.p.).
Da tutto ciò deriva dunque l'infondatezza dell'assunto secondo cui la condotta
dell'imputata sarebbe stata caratterizzata non già da dolo, bensì da mera
negligenza e superficialità; e ciò tanto più ricordando che, come già affermato
da questa Corte proprio in relazione ad una condotta di omesso impedimento
di reiterate condotte di abuso sessuale, la responsabilità penale ex art. 40 cpv.
c.p. può qualificarsi anche per il solo dolo eventuale, a condizione che sussista,
e sia percepibile dal soggetto, la presenza di segnali perspicui e peculiari
dell'evento illecito caratterizzati da un elevato grado di anormalità (Sez. 3, n.
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28701 del 12/05/2010, P.G. in proc. A. e altri, Rv. 248067); e che, nella specie,
tali segnali sussistessero, è cosa che la sentenza impugnata ha, come appena
visto sopra, bene messo in evidenza.
4. L'infondatezza del ricorso ne comporta il rigetto con conseguente condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
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