La fotografia come metafora nella formazione esperienziale

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La fotografia come metafora nella formazione esperienziale
La fotografia come metafora nella formazione esperienziale:
riflessioni di un fotografo
di Mauro Guerrini
Premessa
Questo articolo nasce dall’incontro con una consulente e formatrice aziendale e dai
nostri frequenti scambi di opinioni sulle nostre rispettive attività. Le nostre
chiacchierate hanno mosso la mia curiosità verso il mondo aziendale e verso il
tentativo di usare questo strumento per scavare dentro se stessi all’interno del proprio
ambiente di lavoro. Per me non è stato facile entrare nelle logiche del mondo
aziendale e declinare la mia attività come strumento utile alla formazione ma ho
cercato di superare la mia naturale tendenza a considerare la fotografia la mia grande
passione solitaria per andare oltre.
Vedere e osservare......concentrandosi
Ognuno di noi è immerso nella realtà quotidiana, fatta di lavoro, impegni vari e
piaceri, rilassatezza e velocità dettata dalla frenesia di arrivare a fine giornata. In
questa realtà l’approccio ragionato alla fotografia è difficile. Diventa facile quando la
mente e lo spirito sono messi nelle giuste condizioni e ti ritrovi tra le mani un mezzo
(fotocamera) che ti permette di mettere in cornice ciò che vedi.
Per vedere bisogna osservare, sembra banale, ma non lo è. Osservare è la prima
regola di ogni “fotografo”. L’osservazione permette di vedere con la mente prima che
con gli occhi e solo successivamente elaborare il soggetto che ci stiamo
rappresentando internamente e su cui proiettiamo le nostre paure, i nostri piaceri e
anche le nostre soluzioni future. Quindi l’osservazione ragionata ed attenta è il vero
piacere/necessità da parte di chi intende fotografare.
Guardare la realtà che ci circonda, ci permette di vivere, camminare, salutare,
interagire con gli altri (quando si guida l’auto si guarda e si sta attenti alle altre auto,
ai pedoni, agli ostacoli presenti nel percorso) mentre osservare è qualcosa in più. Cosa
vuol dire analizzare un singolo soggetto? Vuol dire vedere in modo intenso la sua vera
essenza, da quella estetica (luce con la quale è colpito, colore del soggetto, eventuali
dettagli) a quella intima più nascosta, come nel caso di un ritratto, osservando gli
occhi del soggetto, che ci trasmettono il suo stato d’animo e altre piccole cose, che poi
dipendono dalla nostra personale sensibilità.
La mia amica formatrice da sempre insiste sull’importanza di vedere, osservare,
ascoltare se stessi e gli altri sia nella vita che nel suo lavoro. Una delle capacità più
sottoutilizzate in azienda è proprio questa: l’allenamento all’autosservazione come
strumento di automodulazione del proprio comportamento come la sensibilità
nell’osservare ciò che ci circonda, vicino e lontano, nei rapporti, nel contesto, per
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trarne spunti anche premonitori, per cogliere segnali deboli che ci avvisano della
necessità di un adattamento, di un cambiamento. In questo senso la fotografia può
esserci di aiuto, oltre che come metafora anche come strumento di analisi
approfondita, andando a fotografare ciò che riguarda il nostro lavoro e in un secondo
momento, analizzarlo a tavolino, prima da soli e pi con i colleghi, per trarne fuori un
vantaggio per tutti e quindi per l’azienda stessa.
L’evoluzione della fotografia
Le tecniche fotografiche, si sono evolute dal dagherrotipo (1839) ad oggi, anche se
rimane invariata la finalità dello strumento “fotografia”, dove il soggetto, qualunque
sia, è a 2 dimensioni e comunque fermo in quella frazione di secondo, laddove
l’osservatore tende a pensare e concentrarsi, cosa che non è possibile col film/video.
Con l’arrivo del digitale, abbiamo una fotografia “consumistica” alla portata di tutti,
chiunque può portare a casa uno scatto decente, fin quando la nostra ricerca sarà solo
superficiale. Al momento in cui si approfondisce l’argomento, il supporto tecnico
diviene importante, tanto più con l’uso del computer. Logicamente i lavoratori del
settore e l’umanità in genere è destinata a diversificare il contatto con la fotografia: in
questo momento si può veramente parlare di fenomeno di massa considerata l’alta
percentuale di telefonini con fotocamera presenti nel territorio, ma quella è una
fotografia mordi e fuggi, non applicabile a parametri professionali e di ricerca
veramente evoluti. Rimane il fatto che la diffusione attuale è la più alta registrata
dall’invenzione della fotografia.
Il fotografo moderno, o chi si avvicina alla fotografia di un certo livello anche per solo
piacere personale oggi più che mai si scontra con tecniche nuove, evolute, che ben
poco ricordano il modo di lavorare di un fotografo di solo qualche decina di anni fa. La
flessibilità mentale è la vera carta vicente per il “fotografo nuovo”. Chi si trova per età
anagrafica in mezzo a queste due tecnologie deve tenere presente che la propria
esperienza non è tutta da buttare, perchè servirà per facilitare l’ingresso nelle nuove
tecnologie (avere una storia, una cultura è sempre un vantaggio rispetto a chi pur
giovane, la storia se la deve costruire).
Ovvio che ci si scontra con difficoltà psicologiche, dipendenti da un senso di
inadeguatezza personale che inevitabilmente ci assalirà con l’avvento di concetti
tecnici nuovi, parole nuove e strumenti nuovi (computer), ma la nostra esperienza ci
permetterà di superare le prime difficoltà, rinnovando la nostra personale passione per
l’immagine, in fin dei conti col digitale si cambia solo supporto di registrazione
dell’immagine (dalla pellicola alla scheda) e il modo successivo di vederla, ma poi la
finalità dell’immagine è sempre la medesima di prima, e quello che continua a contare
è l’idea e l’occhio allenato del fotografo. C’è, semmai, la difficoltà economica, mai
leggera, per adeguare le attrezzature e comprarne di nuove, che porta a spese alte e
purtroppo inevitabili, per stare al passo con l’eventuale concorrenza professionale che
da sempre esiste nel mercato dell’immagine.
La deprofessionalizzazione che porta il digitale è molto evidente, a causa della sua
enorme diffusione ma del resto la sua natura è quella di rendere possibile a tutti, ma
proprio a tutti, portare sempre a casa qualcosa di decente. Ciò non vuol dire che tutti
sono in grado di fare tutto: la figura professionale avrà sempre una valenza
specialistica là dove il fotografo si è aggiornato e velocemente adeguato alle nuove
tecnologie.
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Per il fotografo non professionista ci sono difficoltà di altro tipo, ma pur
economicamente e tecnicamente sempre importanti. Il “fotografo nuovo”
professionista o non, si deve adeguare, prima mentalmente e poi fisicamente ad una
nuova realtà, pena la propria fine nel contesto dove ha sempre vissuto.
Queste considerazioni stimolano molti parallelismi con il mondo aziendale dove,
cambiamenti sociali, di mercato e tecnologici, costringono lavoratori e professionisti a
rivedere, volenti o nolenti, il loro ruolo professionale insieme ai propri atteggiamenti
ed al vissuto psicologico del proprio lavoro.
Gli aspetti organizzativi della fotografia
Quando si entra in contatto con il mondo professionale ci si deve togliere tutte le
fantasie che la fotografia estemporanea comporta. Importantissima è l’organizzazione
e la competenza tecnica fin nei dettagli più minuti, magari conoscendo anche la storia,
cioè come si è arrivati a tanta evoluzione tecnologica (utile o inutile, non sta a noi
giudicarla).
A grandi linee quando si affronta un argomento fotografico, un lavoro estetico
dipendente da noi o su richiesta è necessario:
• rispetto alla richiesta da parte di un committente, capire quali sono le sue esigenze
specifiche e finali;
• sapere se abbiamo la conoscenza tecnica per affrontarlo;
• capire in anticipo il risultato finale da ottenere;
• controllare se la propria attrezzatura è adeguata alle richieste per poter affrontare
quel tipo di fotografia (avere un minimo di parco luci, sia continua che flash per
essere autonomi, la dove ci fosse l’esigenza di illuminare il soggetto oltre la luce
naturale)
• ricercare un luogo per le riprese considerando i tempi di spostamento personali e
dell’attrezzatura necessaria.
Fatte tutte le succitate considerazioni, a questo punto non rimane che passare
all’azione, alla fase creativa vera e propria, dove saranno fatte le giuste riprese, con le
giuste ottiche.
La fase successiva, quella finale, sarà il passaggio su pc di tutti gli scatti con verifica a
schermo dei risultati, con successivo ritocco in post-produzione, la dove ci sono
esigenze di farlo.
Da queste considerazioni emerge come l’attività fotografica offra utili spunti metaforici
rispetto all’esercizio di un ruolo aziendale ed all’importanza di alcuni elementi:
• a consapevolezza delle proprie capacità personali;
• il check up delle risorse necessarie e l’eventuale ricerca di quelle aggiuntive;
• la vision, la chiarezza sugli obiettivi e sul risultato finale da ottenere;
• l’analisi costi/benefici;
• la post-produzione o erogazione di servizio rispetto alla fase realizzativa più
appariscente. Spesso è proprio nel postvendita che per esempio si gioca la
fidelizzazione di un cliente.
Le tipologie di lavoro fotografico
Le varie tipologie di lavoro fotografico hanno varie sfaccettature, diverse componenti,
e diverse modalità di approccio.
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Il reportage, comporta una progettazione di massima, ma che si decide quasi
all’ultimo istante, perchè anche se a grandi linee il fotografo sa cosa dovrà affrontare,
non sa come o quando in termini esatti, mentre il fotografo di still-life si può
organizzare tutto dall’appuntamento col cliente alla realizzazione in studio di ogni
singola ripresa col la luce adeguata ad ogni singola situazione e soggetto, da
aggiustare poi anche in post-produzione (ritocchi al pc).
In passato si usava fare il provino polaroid per avere la situazione luci sotto controllo
prima di fare lo scatto definitivo su pellicola, adesso col digitale addirittura si usa lo
schermo del pc, come mezzo dove comporre l’inquadratura e simulare diverse
situazioni di luce, prima dello scatto finale. E’ chiaro che la scelta sarà su molti scatti
quindi se da una parte il digitale aiuta, dall’altra, permettendo una serie infinita di
scatti, rende poi più difficile fare una scelta.
Queste due tipologie di lavoro fotografico già evidenziano dinamiche e problematiche
diverse nel fotografo. Entrano in gioco il bisogno di sicurezza e pianificazione
preventiva, la gestione dell’incertezza, l’ansia della scelta, i possibili atteggiamenti
nella produzione (tanti scatti minore qualità oppure pochi scatti con una maggiore
attenzione alla qualità).
La fotografia di ricerca ha un approccio ancora diverso e lungo nel tempo, che di
solito parte da un’idea del fotografo, che si sviluppa nel tempo e negli eventi, per
questo infatti ha questo nome: per esempio in passato alcuni grandi fotografi (Pepi
Merisio) hanno pensato di fare una ricerca mirata sull’abitazione degli italiani, i loro
interni, partendo dagli anni 50 fino ad arrivare agli anni 90 del secolo scorso. Questa
ricerca ha permesso di vedere la trasformazione socioeconomica di ogni singola
famiglia, gusti compresi.
La fotografia documentativa, invece può partire da un progetto fatto a tavolino, tra il
fotografo e la committenza pensato per documentare per esempio, le fasi del lavoro
sociale in fabbrica oppure l’intervento-recupero di una tomba etrusca, prima, durante
e dopo la sua apertura. Sono tutte fasi che servono scientificamente a provare
(documento) fissare nel tempo azioni importanti istruttive per chi le dovrà studiare in
futuro o sul momento, anche qui è di grande importanza la precisione e la cronologia
degli scatti con addirittura l’orario dello scatto oltre al giorno, il mese e l’anno.
Le tipologie fotografiche, oltre quelle descritte, sono infinite e ognuna ha delle
specifiche da seguire, come abbiamo potuto vedere nelle descrizioni appena fatte, le
scelte e preferenze che il singolo fotografo fa sono ovviamente collegate al suo modo
d’essere.
La fotografia ed il mondo organizzativo
Il ruolo della fotografia anche nel mondo del lavoro, quello aziendale, ha una sua forte
valenza: tante volte ho pensato di fare una ricerca mirata dell’impiegato, da quando
timbra alle sue mansioni reali (tutto ciò che realmente fa durante la giornata
lavorativa) fino all’uscita, come fosse un progetto per un fotoromanzo o un film, però
fatto di singoli fotogrammi.
Ho realizzato inoltre una ricerca fotografica bianco-nero sulla preparazione, sulla
macchina organizzativa che sta dietro al Palio di Siena, con tutte le persone che come
ingranaggi di un orologio svizzero sanno quello che devono fare per far funzionare
tutto bene.
Molti sono i fotografi che hanno fatto della ricerca nel mondo del lavoro anche
aziendale/imprenditoriale, ma molto spesso più per denunciare un certo modo di
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lavorare (faticoso e pericoloso), una situazione umana insostenibile. Mi viene in mente
Tano d’Amico, con le sue ricerce sui minatori del Sulcis (Sardegna) o in Inghilterra.
Oppure il grande fotografo brasiliano Sebastiao Salgado con le sue ricerche sul mondo
del lavoro sottopagato e sfruttato in brasile. Più difficile è trovare, chi, semplicemente
ha documentato il mondo aziendale del lavoro, mettiamo del metalmeccanico della
Fiat, se non su specifica richiesta magari dell’azienda stessa e che comunque avesse
alla fine una valenza non certo di denuncia, ma semmai pubblicitaria per l’azienda
stessa. Quindi il fotografo in certe luoghi lavora per il “padrone”.
Sarebbe interessante dare voce agli stessi lavoratori che proprio in quanto tali
possono riprodurre, magari da diverse prospettive, le loro personalissime visioni
dell’azienda, del loro ruolo, di quelli complementari, del cliente esterno, facendo
emergere rappresentazioni spesso taciute o inconsapevoli o semplicemente
sistematizzando quelle consapevoli in una sorta di fotoromanzo organizzativo.
Dimmi come fotografi e ti dirò chi sei. La tecnica e le relative valenze
psicologiche
La fotografia non è solo la pura rappresentazione della realtà, quando non è una
professione, ma semmai un mezzo introspettivo molto interessante, della serie: fammi
vedere cosa e come fotografi e ti dirò chi sei! Ogni persona lasciata libera nella mente
e nello spirito, fotografa ciò che gli è più congeniale, fino al punto che si potrebbe
parlare di fotografia femminile e maschile, con un approccio completamente diverso.
La donna più profonda e l’uomo più superficiale (non è la regola): in tanti anni di
fotografia mi sono accorto come l’approccio femminile “poetico” al soggetto ha una
valenza psicologica molto profonda, mentre c’è grande trascuratezza nella tecnica
(salvo eccezioni), mentre l’uomo si perde prima nei meandri tecnici per arrivare al
risultato finale fatto di una riproduzione quasi viva del soggetto stesso, cosa di
nessuna importanza da parte della maggioranza del mondo femminile. Detto questo
non starò qui a fare un trattato di come i due sessi si avvicinano alla fotografia, ma è
solo per ribadire che già in queste due categorie universali ci sono delle grosse
differenze, come lo sono tra persona e persona.
Per quelli che sono i soggetti da osservare e poi riprodurre, è ovvio che è una scelta
molto personale e intima, è una cosa che non si insegna: molti avranno difficoltà a
fotografare i propri simili, mentre si avvicineranno con grande naturalezza ad un fiore
ad un animale, e anche qui viene fuori la psicologia del fotografo parliamo sempre di
non professionisti che ha per sua natura un determinato e spiccato trasporto verso
una sola tipologia di soggetti, che lui poi trasforma nella sua natura introspettiva in ciò
che vuole.
Le scelte nell’uso della tecnica dicono molto dell’atteggiamento di chi sta fotografando.
Questo ci permette di ragionare su due livelli diversi. Non solo la necessità di un
briefing tecnico preventivo di base ai partecipanti all’interno di progetti formativi dove
si voglia utilizzare la fotografia come attività esperienziale. Dall’altro lato l’importanza
della tecnica in fotografia offre interessanti parallelismi con il modo d’essere e con
l’importanza delle regole e delle competenze tecniche in azienda, parallelismi che
possono essere utilizzati durante i debriefing post-attività insieme ai partecipanti.
La fotografia bianco-nero permette un approccio ancora più profondo e psicologico del
soggetto, non essendoci i colori a distrarre l’osservatore. Cosa vuol dire? Vuol dire che
noi siamo abituati ad osservare la realtà con i colori della quale è composta, alla luce
del sole con le variabili tonali, luce del mattino o luce del tramonto, oppure nuvoloso,
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oppure filtrata dal bosco con le dominanti che ne conseguono: psicologicamente non ci
si fa troppo caso, una volta ci colpisce il colore, un’altra volta l’espressione del
soggetto della foto, un’altra volta la nitidezza, un’altra volta l’idea…ma quando ci si
trova di fronte ad una fotografia in bianco e nero, siamo più attratti dal soggetto,
qualsiasi esso sia, ma non perché ci intendiamo di fotografia, la maggior parte delle
persone non sa leggere bene una foto, ma solo perchè per sentito dire, non si può
parlare male di una foto bianco-nero. Dunque, in realtà la fotografia bianco nero esula
quasi sempre dalla realtà, che è a colori e per questo motivo attrae l’occhio e la psiche
di chi la guarda, non distraendo con i colori della realtà e quindi l’osservatore è
portato a cercare significati più profondi che non hanno a che fare col colore, dove
l’estetica è lo scopo principale. Questo “trucco” i fotografi lo conoscono e quindi molti
usano il bianco-nero, ma non è solo un trucco. E’ anche vero che la fotografia nasce
tecnicamente e chimicamente ai sali d’argento (alogenuri, fotosensibili alla luce) in
bianco-nero e di conseguenza gran parte dei documenti dell’umanità sono tutt’oggi in
bianco-nero, comprese delle rarissime-bellissime pellicole del cinema muto e non.
Rispetto alla stretta correlazione che c’è l’atto del fotografare ed il proprio modo
d’essere, io, per esempio, qualche tempo fa ho realizzato l’auto-documentazione in bn tradizionale, della mia giornata tipo, la mia settimana tipo, i luoghi e le persone che
frequento quotidianamente, il luogo di lavoro, insomma ogni singola situazione della
mia vita reale. Il fine di questa ricerca, per il momento non so focalizzarla, ma di certo
mi ha permesso di vedermi da fuori alo scopo di entrarmi veramente dentro, senza
distrazioni colorate, col bianco e nero.
Partendo da quanto sopra detto, sarebbe possibile per ogni singola persona fare una
ricerca esterna al proprio io, molto semplice, anche partendo e documentando quello
che uno ha in dosso: non so il contenuto del portafogli…l’oggettistica che una persona
quotidianamente si porta dietro: le chiavi, il telefonino, i fazzoletti e 100 altri gadget,
di cui sono ricche le borsette femminili, per poi entrare attraverso l’oggettistica nel
carattere dell’individuo e trarne le giuste conclusioni.
Praticamente come si fa? Il soggetto individuato (il quale non deve sapere prima il
tema della ricerca) deve cominciare per esempio appoggiare su di un piano tutti gli
oggetti che ha indosso (ovviamente la privacy va tutelata e non è obbligatorio tirare
fuori tutto) e poi fotografarli singolarmente, magari dando fondo a quella poca cultura
tecnica che abbiamo…scaricarli su pc e quindi analizzare in un secondo momento le
fotografie dal punto di vista sia estetico che simbolico, ma questa è solo un’idea…
Le competenze sviluppabili attraverso la fotografia
In sintesi le competenze su cui si può far lavorare e riflettere un gruppo in formazione
attraverso l’uso dell’attività fotografica possono essere:
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orientamento all’obiettivo;
precisione ed accuratezza nei dettagli;
pianificazione ed organizzazione delle attività;
curiosità e ricerca delle informazioni;
flessibilità e capacità di adattamento;
orientamento al committente;
tenacia;
capacità di osservazione/ascolto;
problem solving e decision making.
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Per quanto riguarda il teamworking, dipende un po’ da come si veste l’attività
formativa, come la si progetta e struttura. Di per sé l’attività fotografica è un’attività
fondamentalmente solitaria. Certo è che, se la si fa svolgere ad un gruppo in
formazione che deve comunque concordare una pianificazione delle attività, fare
scelte, realizzare programmi, dividersi i compiti, ecc....diviene, come moltissime altre
attività, uno spunto per far lavorare i partecipanti sui meccanismi che rendono
funzionale o meno il lavoro di squadra.
Note sull’autore
Mauro Guerrini, fotografo di Siena con esperienza trentennale, specializzato nel
filone sociale (tradizioni popolari, mondo contadino) e paesaggistico-architettonico. Ha
tenuto corsi di formazione, realizzato mostre personali e collettive, pubblicato su
riviste di settore, quotidiani, mensili, cataloghi, guide e libri, partecipato a concorsi
fotografici. Costantemente impegnato in ricerche fotografiche personali.
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