massimo rizzante poesie

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Massimo Rizzante, DUE POESIE
© 2013 Massimo Rizzante
massimo rizzante, due poesie
NORA
Un po’ di carbonato di calcio, qualche pigmento…
Ed ecco il mio guscio di mollusco lontano dal mare
nel deserto dell’Atlante, allo stesso tempo autobiografia e arte,
che rivela quanto tempo ho vissuto, se in profondità o in superficie
Uno sconosciuto, un sonnambulo mi ha raccolto
nel mare di Essaouira. Prima di immergersi, la bruma
gli aveva invaso le orbite. Ma la vista conta poco in certi
ambienti, tra estroflessioni di bocche-proboscidi e prede-satellite
Io allora ero molto snella, dotata di spine, il mantello corrugato.
Poco evoluta. A forma di cono, direi. Sapevo difendermi. Ricordo
che ero in grado di emettere un veleno di cui ancor oggi
non esiste un antidoto. Ero una graziosa puttana assassina
Mietere vite altrui, con gli anni, dà al tuo carapace la forma
di un cuore. Non è affatto paradossale. Le mie vittime, per quanto
si adoperassero a penetrarmi con le loro sporgenze appuntite,
grosse protuberanze o cannucce simbiotiche, non mi davano nutrimento
Riuscivano soltanto a solleticare le mie valve, il mio amore
per il fango, per il ricatto, per il sopruso che viene dai suburbi
degli abissi. Succhiavo il loro plancton erotico. Così diventavano come me,
conchiglie, ma vuote, che si cementavano al mio guscio di collezionista
Come sia finita in questo deserto, così lontano dai miei fondali,
arpionata dalle dita di un erede di Palinuro, è, credo, semplice da capire.
Io appartengo alla famiglia delle portatrici di stranieri, xenophora
«Mai sentirsi a casa propria». Ecco la mia autobiografia e l’opera
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massimo rizzante, due poesie
ZOHRA
Quando ritorno da Abdelatif è già buio pesto.
Quaranta giorni dopo la morte di mia madre
si celebra la festa del lutto, e sulla strada per Ourika
i passanti con i loro sacchetti di plastica sfidano la sorte
E mi rendo conto che non so più cos’è la notte,
la notte in un villaggio senza acqua corrente, un solo pozzo,
le latrine fuori servizio, dopo dieci anni di inchini al Pacha
di Ibiza, o nelle case dei ricchi olandesi sulla costa di Malaga
Ho scoperto la società dei consumi, le vertigini e la nausea.
Questo ha fatto di me una schiava della luce. E della polvere,
che si accumula sui tappeti, i quadri, i mobili,
e a cui le tenebre impongono la sola lezione che conti: restare lucidi
Ricordo un giorno a Plaza de la Merced, mentre andavo al mercato.
Vidi un cartellone di una mostra, «Sopravvivere a Picasso».
Non sapevo chi fosse. Eppure, benché l’emicrania mi facesse elemosinare
una cavità oscura in fondo al mare, ero sana come un pesce
In menopausa, certo, con un aborto alle spalle, sproporzionata,
con alcuni particolari del volto incastrati in zone del corpo
distanti: le labbra della vagina al posto delle palpebre, un occhio
sofferente alla bocca dello stomaco, il naso adunco in mezzo alla fronte
Un’africana sopravvissuta a Picasso, il cui sangue
circola troppo in fretta e occlude i vasi in certi punti nevralgici,
messaggera del dolore per i troppi cambiamenti climatici,
per i troppi pasti saltati, per le troppe notti insonni schiava della luce
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