INDIPENDENZA n.6

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INDIPENDENZA n.6
n.33 ANNO VI
QVADERNI DI STORIA
31/05/2008
INDIPENDENZA
n.6
di Toni Liazza e Giancarlo Domeneghetti
[email protected]
C.P. 19 – 71016 SAN SEVERO ( FG )
C. Corr. Postale n. 21882766
intestato a Ezio Sangalli
Prefazione
Ed eccoci a riprendere la cronologia degli avvenimenti che portarono alla Seconda Guerra Mondiale
e dunque, la nostra Patria e quasi tutti i popoli del mondo, alla servitù, consapevole o no ma
sostanziale, del Grande Capitale Apolide, come lo definisce Francesco Fatica, inesauribile
rivoluzionario di ottantadue anni, autentico ribelle ed esempio costante per la lotta di liberazione
della nostra Terra.
E noi continueremo a chiamare così quell’entità internazionale, quella fratellanza malefica ed
invisibile di immensi usurai sempre più avidi di ricchezze e potere, che agiscono di concerto
pianificando la conquista e la riunificazione del mondo intero, avvalendosi di complicità a tutti i
livelli, politiche, giudiziarie, poliziesche, mediatiche e clericali. Complicità spesso consapevoli o
semiconsapevoli, ma sempre ben pagate; ed anche inconsapevoli, basate sull’ignoranza, il
condizionamento psicologico che inizia nei primi giorni di scuola, la pigrizia mentale, il perbenismo
borghese, il buonismo melenso e ipocrita dei tanti sagrestani della nostra incredibile Italia.
Alcuni nomi di questi oligarchi spietati e senza bandiera, li avete letti ed ancora li leggerete nelle
nostre pagine, basta che abbiate orecchie per intendere ed occhi per vedere.
Gli Stati Uniti d’America entrano ufficialmente nella seconda guerra mondiale, anche se già i
consistenti aiuti forniti ai complici plutocratici europei delle democrazie li vedevano già schierati
nella guerra del Sangue contro l’oro. E lo fanno costringendo il Giappone Imperiale ad attaccare per
reagire allo strangolamento economico che gli USA stavano operando nei suoi confronti.
Come sempre, non ci soffermeremo tanto sugli aspetti militari del fatto, ma più su quelli strategici,
politici ed economici che lo determinarono.
Gli USA entrarono in guerra spinti dall’avidità dai nuovi grassi profitti che sarebbero venuti loro
da un mondo pacificato e regolato dalle leggi finanziarie di Wall Street. Un mondo senza razze e
popoli diversi; senza frontiere e dogane, dove i mercanti senza patria possano incatenare gli uomini,
“finalmente tutti uguali”, ad un orrendo destino di schiavi produttori e consumatori.
Ezio Sangalli
COME GLI USA ENTRARONO IN GUERRA PER APRIRE I MERCATI ALLE
LORO MERCI
IN REALTÀ, GLI STATI UNITI ERANO GIÀ IN GUERRA CON IL GIAPPONE
QUATTRO GIORNI PRIMA DELL’ATTACCO A PEARL HARBOR
GIÀ DAL 1940 PRENDEVANO L’AVVIO I PIANI MILIATRI USA CONTRO
LE POTENZE EUROPEE DELL’ASSE E IL GIAPPONE
«I say again and again and again that I will never send American Boys to fight to foreign soil»
(Ripeto e ripeto e ripeto ancora che non invierò mai dei ragazzi americani a combattere su suolo straniero).
Franklin Delano Roosevelt.
Franklin Delano Roosevelt
Fu una delle promesse, ripetuta fino alla nausea, della piattaforma democratica per le elezioni presidenziali
del novembre 1940, che videro la conquista del terzo mandato consecutivo da parte di Roosevelt. Sei mesi
prima, il 7 giugno, il Council on Foreign Relations aveva concluso un suo rapporto affermando «che un
blocco commerciale pan-americano sarebbe stato debole in materie prime e troppo piccolo per
consumare i surplus agricoli del Canada e dell'America latina. Nell'emisfero occidentale troppe
economie erano competitive più che complementari fra loro. Inoltre, un cartello dell'emisfero
occidentale inteso alla vendita di cereali alla Germania era votato al fallimento, dato che
l'autosufficienza del blocco tedesco era tale, da non poterlo forzare a commerciare con le
Americhe»
Fu con questa analisi che il Council cominciò a definire l'interesse nazionale in termini di area geografica
minima necessaria per il funzionamento dell'economia americana. La stessa analisi portò alla conclusione
"che i problemi degli Stati Uniti non potevano essere risolti se il Giappone escludeva dall'Asia
l'economia americana".
Ciò comportava la necessità di "limitare ogni esercizio di sovranità di paesi stranieri che
costituissero una minaccia per l'area del mondo essenziale alla prosperità economica degli Stati
Uniti."
Il Council on Foreign Relations è una fondazione culturale privata, voluta e finanziata dalla famiglia
Rockefeller. Dal 1940 fu quell' ente privato a determinare che l'interesse nazionale degli Stati Uniti poteva
essere tutelato solo attraverso la guerra all'Asse Europeo e al Giappone. Gli Stati Uniti entrarono in guerra
per "aprire i mercati" alle loro merci. Durante la guerra, i personaggi di spicco del Council con i loro
collaboratori passarono al Dipartimento di Stato, dirigendo la politica degli Stati Uniti. L'Asse Europeo e il
Giappone minacciavano la costituzione di blocchi economici integrati con la Russia e con la Cina e fu per
questi motivi che gli Stati Uniti entrarono nella Seconda Guerra Mondiale. Queste annotazioni sono state
tratte dal saggio The Power Élite and the State: How Policy is Made in America di G.W. Domhoff
(Hawthorne, New York, 1990).
É comprensibile che la Power Élite, la micro-minoranza elitaria che manovra le strutture del potere negli
Stati Uniti e nel mondo, si preoccupi di informare il pubblico come le conviene. Non ritenendo bastevole il
controllo pressoché totale dei mezzi di comunicazione di massa, dai quotidiani ai periodici, dalle emittenti
radio-televisive alle società di produzione cinematografica, la Fondazione Rockefeller, fin dal 1946, investe
ogni anno ingenti somme di denaro per difendere la storia ufficiale della Seconda Guerra Mondiale e dei
conflitti che la seguirono da indagini e rivisitazioni irriguardose. É un' esemplare barriera contro la revisione
della storia.
L'identificazione dei nemici degli Stati Uniti con il male assoluto è un elemento prioritario dominante. Le
voci discordanti vengono soffocate o relegate in angoli da cui è molto difficile che riescano a farsi sentire.
Grazie ad Internet è possibile oggi, con decenni di ritardo, scoprire i coraggiosi
ricercatori che riuscirono a penetrare oltre la cortina di menzogne e di ingiustificato riserbo calata sulle verità
più scomode: Harry Elmer Barnes, "Pearl Harbor After a Quarter of a Century" (Pearl Harbor dopo un quarto
di un secolo), Arno, New York, 1972; Charles A. Beard , "President Roosevelt and the Coming of the War
1941" (Il Presidente Roosevelt e l'arrivo della guerra del 1941), Yale University Press, New Haven, CT,
1948, ristampato nel 1968; George Morgenstern, "Pearl Harbor: the Story of the Secret War" (Pearl Harbor:
la storia della guerra segreta), Devin-Adair, New York, 1947, Percy L. Greaves, nel capitolo VI di "Perpetual
War for Perpetual Peace" (Guerra perpetua per Pace perpetua), Barnes and Noble, 1955.
Harry Elmer Barnes
L'eccezione confermante la regola è data da Roberta Wohlstetter, autorevole membro del Council on
Foreign Relations con il marito Albert, autrice di "Pearl Harbor, Warning and Decision", perfettamente
allineato alla versione dell'Amministrazione.
Pubblichiamo qui l'inizio del Capitolo VIII del libro di H.E. Barnes:
VIII. COME ENTRAMMO IN GUERRA COL GIAPPONE QUATTRO GIORNI PRIMA DI PEARL HARBOR
«Le nostre perdite a Pearl Harbor, causate dall'attacco a sorpresa, sono divenute ele-menti di grande
rilevanza nella storia americana e mondiale, principalmente perché si è sempre creduto che sia stato
l'attacco giapponese a trasci-nare gli Stati Uniti in guerra. Al momento, gli Stati Uniti erano già in guerra
con il Giappone, per iniziativa delle autorità coloniali olandesi di Batavia (oggi Giacarta), autoriz-zate
dal governo olandese, dal 3 dicembre, secondo il tempo di Washington, quattro giorni prima della
stangata di Pearl Harbor.
Quando, alle 21,30 del 6 dicembre, Roosevelt lesse le prime tredici parti della risposta giapponese
all'ultimatum di Hull del 26 novembre, esclamò:"This means war" -(questo significa guerra). Sapeva dalla
mattina del 6, se non da due giorni prima, che eravamo già coinvolti nella guerra con il Giappone. Come
questo sia potuto accadere richiede una breve analisi dei piani, delle disposizioni e degli accordi, a causa
dei quali gli Stati Uniti furono coinvolti nella guerra senza alcun attacco del Giappone al territorio ameri-cano,
alle forze armate o alla bandiera, in totale discono-scimento delle promesse di Roosevelt al popolo
americano e della piattaforma democratica del 1940. Le pagine lette da Roosevelt erano l'ultimo sviluppo e
la risultanza conclusiva della visita in Europa nell'inverno 1937-38 del capitano Ingersoll. Azioni non
neutrali dell' America anche prima dell'elezione di Roosevelt nel 1940, basata sulla piat-taforma di evitare la
guerra, avevano offerto alla Germania un pretesto legittimo per muovere guerra agli Stati Uniti. Tali furono
l'operazione dei cacciatorpediniere del settem-bre 1940 e l'assegnazione ai britannici di grandi quantità di
armi e di munizioni. Immediatamente dopo l'elezione del 1940, i piani per coinvolgerci nella guerra con il
Giappone procederono con buona lena.
Per quanto riguarda le Potenze dell'Asse, esse non avrebbero abboccato all'esca della legge "affitti e
prestiti" e dei convogli nell'Atlantico. Questi sono stati menzionati prima, ma possiamo rivederli qui. Le
conferenze degli stati maggiori congiunti anglo-americani, tenute a Washington dal gennaio al marzo 1941,
tracciarono i piani generali per la cooperazione nella guerra contro le potenze europee dell'Asse e previdero
una guerra di contenimento con il Giappone. Divennero noti come piani ABC-1 (terra e mare) e ABC-2
(aria). In aprile, fu organizzata un'altra conferenza a Singapore e gli olandesi furono inseriti nei piani più
direttamente attraverso ABD. Considerando ancora la Germania come il nemico principale, furono fatti
preparativi per azioni congiunte contro il Giappone, nel caso avesse oltrepassato il meridiano 100° Est e il
parallelo 10° Nord o 6° Nord e la linea Davao-Waigeo, o avesse minacciato possedimenti britannici od
olandesi nel Pacifico sud-occidentale o nazioni indipendenti di quell'area. Questo accordo tra gli Stati Uniti,
la Gran Bretagna e l'Olanda era conosciuto come ADB. Nell'insieme, gli accordi furono noti come ABCD.
Stimson ministro della guerra e Knox approvarono il piano ABC-1 per gli Stati
Uniti per fare in modo che apparisse buono per la registrazione. Pure approvandoli verbalmente, Roosevelt
non convalidò ufficialmente questi accordi per iscritto e non li sottopose all'approvazione del Congresso.
Marshall e Stark esitarono sullo ADB e la sua inclusione nello ABCD perché introduceva considerazioni di
carattere politico in un programma militare, ma si adeguarono alle vedute di Roosevelt e fecero quello che
dovevano nei primi giorni di dicembre 1941.
G.C.Marshall, capo di Stato Maggiore dell'esercito
Quando le conferenze degli stati maggiori riuniti terminarono, i servizi militari americani approntarono
specifici piani di guerra per definire gli accordi conclusi nello ABCD. Il piano di guerra di base dell'esercito e
della marina fu conosciuto come Rainbow 5, chiamato usualmen-te anche WPL 46, in relazione alle
operazioni navali nel Pacifico. La parte accessoria che si riferiva alle operazioni della flotta del Pacifico al
comando dell'ammiraglio Kimmel fu conosciuta come WPPac 46. Fu sviluppato per realizzare il piano di
guerra di base e per coordinare le operazioni della flotta del Pacifico con regole previste per Rainbow 5
(WPL 46).
Roosevelt evidentemente aveva detto a Marshall e a Stark che aveva intenzione di sottoporre al
Congresso i piani di guerra di base prima che andassero in esecuzione, ma, che ne avesse l'intenzione o
no, non lo aveva ancora fatto, quando fu chiamato a firmarli il 5 e il 6 dicembre. L'essenza della questione è
che Roosevelt aveva ratificato un accordo in virtù del quale gli Stati Uniti sarebbero entrati in guerra per
proteggere gli interessi e il territorio di alleati che si trovavano agli antipodi, a migliaia di miglia dagli Stati
Uniti, anche senza la parvenza di un attacco da parte del Giappone.
Hitler e la sua cagna Blondi
In applicazione degli accordi ABCD e dei piani di guerra che ne erano derivati,
l'ammiraglio Stark, promulgando Rainbow 5 (WPL 46), disse ai suoi ammiragli negli avamposti di comando
che la guerra non era più una questione di "se", ma di "dove" e "quando". Marshall distribuì Rainbow 5 ai
suoi comandanti di campo, e Roosevelt lo approvò ufficiosamente in maggio e in giugno. L'accordo ABCD e
Rainbow 5 penderono come una spada di Damocle sul capo di Roosevelt. Lo esposero al più pericoloso
dilemma della sua carriera politica: entrare in guerra senza un attacco alle forze americane o al territorio
degli Stati Uniti o rifiutare di seguire l'applicazione di ABCD e di Rainbow 5 per britannici e olandesi.
Quest'ultima scelta avrebbe portato a serie controversie con gli alleati e le potenze, scontenti di avere perso
la complicità di Roosevelt nel piano e di dovere subire le conseguenze del suo mendacio. Prese questo
rischio apparentemente alla leggera fino al luglio 1941, confidando che Hitler gli avrebbe offerto un valido
pretesto per la guerra nell'Atlantico. Ma quando Hitler venne meno nel fornirgli un valido gesto provocatorio,
divenne evidente che gli Stati Uniti sarebbero dovuti entrare in guerra dalla porta di servizio del Giappone.
Quando quest'ultimo fu destinato allo strangolamento economico nel luglio 1941, quando il piano della
porta di servizio fu definito nei dettagli durante l'incontro di Argentia,(Baia di Placentia, Terranova), e quando
i tentativi di pace di Konoye furono respinti, l'accordo per entrare in guerra col Giappone senza un attacco
alle forze armate o al territorio divenne un serio e pressante problema politico per Roosevelt
Ovviamente, il Presidente desiderava avere con sé una nazione unita per affrontare e sopportare lo sforzo
bellico. La preoccupazione andò aumentando quando i giapponesi iniziarono a spedire consistenti convogli
di truppe e di equipaggiamenti nel sud-ovest del Pacifico in novembre. Quei convogli passavano attraverso
la magica linea specificata nell'accordo ABCD, e olandesi, britannici e australiani lo sollecitarono a
intervenire, invocando la promessa americana di agire congiuntamente».
Concludiamo con la chiusa del capitolo VIII del libro di H.E. Barnes: «Mentre l'attacco di Pearl Harbor può
avere salvato la posizione politica interna di Roosevelt, dal punto di vista degli interessi militari giapponesi
sarebbe stato certamente molto meglio se i giapponesi avessero rinunciato ad attaccare Pearl Harbor.
Avrebbero guadagnato di più dal disperato imbarazzo di Roosevelt e dai formidabili ostacoli connessi a una
guerra iniziata nelle lontane Indie Orientali, senza alcun attacco alle forze o al territorio degli Stati Uniti o una
sanzione del Congresso, che invece provocarono con l'affondamento delle navi da battaglia a Pearl Harbor.
Unirono la nazione dietro lo sforzo bellico di Roosevelt. La guerra iniziò in tali circostanze, come
applicazione dell'accordo Rainbow 5 (A2) in aiuto di paesi agli antipodi. Un argomento formidabile per le
forze contrarie all'intervento in una nazione ispirata e diretta dal principio di America First (prima l'America)».
(a cura di Toni Liazza)
INTERVISTA ALL’AMMIRAGLIO GIAPPONESE FUSHIDA CHE IL 7 DICEMBRE 1941 TRASMISE DAL
SUO AEREO
IL FAMOSO SEGNALE ‘TORA TORA TORA’
DA PEARL HARBOR AL PROCESSO FARSA DI TOKIO
Questa intervista è stata realizzata a Tokio da Giancarlo Domeneghetti il 12 aprile 1984. Dopo 22 anni
essa mantiene intatto il suo valore storico-documentale sulle responsabilità dell’attacco alla base
USA
G.. Domeneghetti – La ringrazio -signor Ammiraglio- per avermi concesso questa intervista avvenuta tramite
l’interessamen-to del Governatore di Tokyo Akiro Takayama. È risaputo che lei partecipò all’attacco del 7
dicembre 1941 contro la base navale americana di Pearl Harbor: può riassumere quell’avveni-mento?
Domeneghetti e l'Ammiraglio Fushida
Fushida – Si parla sempre, da parte americana, di attacco proditorio, cosa che smentisco categoricamente.
Il Giappone non aveva allora, come non ha tutt’oggi, materie prime e risorse naturali di alcun gener
e, ragione per cui dipendeva completamente dalle importazioni
provenienti dagli USA e soprattutto per quanto riguarda il ferro e il petrolio. Il ferro veniva fornito al Giappone
soltanto sotto forma di rottami ma la nostra industria riuscì ugualmente a costruire con essi la flotta navale,
quella aerea, bombe, carri armati e munizioni, che erano necessari per condurre la guerra contro la Cina,
diretta alla costituzione in Manciuria di uno Stato indipendente che si chiamerà “Manchu-kuo”. Come militare
non sono in grado di giudicare se questa decisione fosse giusta o meno, ma devo far notare che il Giappone
consiste in sole quattro isole montagnose e ha oltre 100 milioni di abitanti che, oggi come allora, avrebbero
bisogno di uno spazio vitale per permettere loro di muoversi e di espandersi per garantire il lavoro nelle
industrie e nei cantieri.
G.D. – Quale avvenimento fu alla base della guerra con gli Stati Uniti?
Fushida – Fu l’embargo deciso dagli Americani nei nostri confronti e che ci privò, senza preavviso, del ferro
e del petrolio. In questa situazione ci trovammo costretti a cercare altrove le nostre risorse nella zona del
Pacifico, ma prima di prendere iniziative il Giappone fece consegnare il 6 Dicembre dal suo ambasciatore
Nomura, assieme ad una nota di protesta, un ultimatum che non lasciava dubbi in proposito al Presidente
F.Roosevelt. Il suo testo era di una chiarezza ineccepibile e faceva presente che a causa dell’embar-go il
Giappone si riteneva in guerra con gli USA qualora essi non avessero annullato immediatamente la loro
decisione. Poiché oltre a imporre l’embar-go gli USA avevano trasferito la loro Flotta navale dalla Base di
San Diego a quella di Pearl Harbor molto vicina al Giappone confermando così le loro intenzioni bellicose, il
Governo nipponico presieduto dall’Ammiraglio Tojo decise di ordinare un attacco preventivo aeronavale
contro quella Base e una Flotta comandata dall’Ammiraglio Nagumo si mise in movimento con
l’autorizzazione a condurre l’o-perazione qualora non avesse ricevuto un contrordine da Tokyo.
G.D. – Perché gli USA non reagirono all’ultimatum giapponese?
Da sinistra, gli Ammiragli Yamamoto e Nagumo con l’allora Capitano di Corvetta Fushida
dell’Aviazione della Marina giapponese.
Fushida – Il giorno 6 Dicembre 1941 il Presidente
Roosevelt si rifiutò di ricevere l’ambascia-tore nipponico Nomura adducendo quale scusante che non era
reperibile alcun interprete, cosa assolutamente senza senso dato che Roosevelt e Nomura si conoscevano
molto bene e avevano frequentato contemporaneamente l’Università di Harvard conseguendo entrambi la
laurea in Scienze politiche!
G.D. – Cosa avvenne in seguito a questo rifiuto di Roosevelt?
Fushida – Alle 8 del mattino del 7 Dicembre l’Ammiraglio Nagumo, non avendo ricevuto contrordini da
Tokyo e ritenendo pertanto che le due Nazioni si trovassero in stato di guerra, diede ordine ai
cacciabombardieri imbarcati sulle portaerei di iniziare l’attacco. Io ero a bordo di un Aichi D3 A2, un aereo da
bombardamento in picchiata che accompagnava i Nakajima B5 N2, i Kate 32 e i Mitsubishi A8 M2 Zero. Alle
17,50 il Colonnello Nakaja, che era a bordo di un Nakajima, comunica all’Am-miraglio Nagumo rompendo il
silenzio radio: di fronte a me Pearl Harbor ancora avvolta nella nebbia mattutina. Alle 7,53 ho trasmesso
personalmente dal mio aereo alla portaerei di Nagumo: Tora!, Tora!, Tora!, ossia ‘la sorpresa è riuscita’
(messaggio convenuto). È ovvio che questo fatto confermasse la nostra convinzione che lo stato di guerra
fosse già iniziato, altrimenti la riuscita della sorpresa sarebbe stata più che ovvia! L’accusa di proditorietà
non ha quindi alcun fondamento.
Il Primo ministro e ministro della Guerra giapponese, generale Hideki Tojo, mentre annuncia alla
radio l’entrata in guerra con gli Stati Uniti.
Verrà condannato a morte e impiccato per crimini di guerra da un ‘Tribunale Internazionale’
totalmente sottomesso agli Americani.
G.D. – Quale fu il risultato dell’azione?
Fushida – Soltanto parzialmente positivo. Furono affondate le corazzate West-Virginia, Arizona, Oklahoma,
California e Raleigh, con la seconda ondata anche la Pennsylvania e incrociatori. L’obiettivo della nostra
azione era però costituito soprattutto dalle tre portaerei Hornet, York e Pennsylvania che la sera
precedente, secondo quanto confermato anche dai nostri informatori, erano presenti nella Baia e che
nella notte avevano abbandonato improvvisamente, e vorrei aggiungere ‘misteriosamen-te’, la base
navale.
G.D. – Perché le tre portaerei costituivano l’obiettivo principale dell’azione?
Fushida – Perché la loro distruzione ci avrebbe dato mano libera per almeno due anni nel Pacifico in quanto
le nostre navi sarebbero state al sicuro da attacchi aerei, molto pericolosi per qualsiasi flotta come i fatti
dimostreranno. Avevamo bisogno di operare liberamente dalle Hawaii all’Australia, dalla Cina a Singapore,
nelle Filippine (7.000 isole) e in Indonesia.
G.D. – Lei pensa, Ammiraglio, che il Giappone avrebbe avuto la possibilità di vincere la guerra contro gli
Stati Uniti?Fushida – No. Il colosso americano era troppo potente per il piccolo Giappone. La nostra
speranza era di avere il tempo di impossessarci delle risorse naturali della Nuova Guinea, del Borneo e della
Malesia e che la potenza che avremmo di conseguenza raggiunto avrebbe dissuaso gli Stati Uniti e la sua
opinione pubblica dal continuare una guerra molto dispendiosa sotto l’aspetto delle perdite umane e lontana
dalla zona di influenza statunitense. Pensavamo alla realizzazione di uno status quo nel Pacifico, che
sarebbe rimasto senza influenze occidentali.
G.D. – Perché si ricorse all’impiego di piloti suicidi, i leggendari Kamikaze, se la guerra era ormai decisa e
volgeva alla fine?
Fushida – Le riserve d’acciaio erano da tempo esaurite. Mentre erano ancora disponibili numerosi
cacciabombardieri e relativi piloti, bombe e munizioni erano invece, ormai, inesistenti. In questa situazione si
pensò di munire gli aerei di cariche esplosive e mediante il sacrificio volontario, ripeto ‘volontario’ di quegli
eroici piloti allontanare il pericolo di un’invasione che, per noi, rimaneva semplicemente impensabile. Questa
decisione non diede però i risultati previsti perché il peso specifico degli aerei era molto inferiore a quello
delle bombe vere e proprie, ragione per cui i velivoli esplodevano al primo contatto con le navi senza forarne
la corazzatura come invece avrebbero fatto le bombe ripetendo i successi di Pearl Harbor e altrove. I danni
si rivelarono quindi relativamente bassi e insufficienti per cambiare le sorti del conflitto.
G.D. – Che cosa fece a guerra finita?
Un pilota giapponese (Kamikaze) si prepara per una missione contro la flotta americana. ‘Kamikaze,
significa ‘tempesta divina’ in ricordo del tifone che nel 1281 disperse
la flotta dell’imperatore cinese Kubilai-Khan.
Fushida – Al processo di Tokyo, molto simile a quello di Norimberga perché fu anch’esso un processo dei
vincitori contro i vinti, fui condannato a 15 anni di carcere, mentre altri Ammiragli, Generali, uomini politici
vennero illegalmente giustiziati dagli Americani, e altri consegnati a guerriglieri comunisti filippini e
dell’Indonesia,
come il Maresciallo Jamashita che era riuscito
ad arrivare fino ai confini indiani piegando persino la piazzaforte più potente del mondo: Singapore. Non
aveva commesso alcun crimine di guerra. Per quanto mi riguarda, rilasciato nel 1962 ripresi servizio nella
Marina Imperiale e arrivai così al grado di Ammiraglio (a Pearl Harbor ero soltanto Capitano di Corvetta e
comandavo una squadriglia di aerei della Marina). Adesso sono in pensione.
Giancarlo Domeneghetti
CRIMINI DI GUERRA
Il 3 maggio 1946, a Tokyo inizia il processo del “Tribunale militare internazionale per l’estremo oriente”
che fu istituito per processare le più importanti personalità dell'Impero giapponese accusate di aver
commesso, prima e durante la seconda guerra mondiale, tre tipologie di crimini: crimini contro la pace
(Classe A), crimini di guerra (Classe B) e crimini contro l'umanità (Classe C). Il tribunale si riunisce per
la prima volta il 3 maggio 1946 e si scioglie il 12 novembre 1948. Il processo ha sede nel quartiere
Ichigaya di Tokyo. Le basi legali del processo furono stabilite e approvate il 19 gennaio 1946 dal
comandante supremo delle forze alleate, il generale americano Douglas MacArthur. Dei 25 principali
accusati, 6 furono condannati a morte e 16 al carcere a vita.
Il 6 agosto 1945, tre mesi dopo la capitolazione delle forze germaniche, con il Giappone ormai vinto, gli
Stati Uniti d’America colpiscono la città di Hiroshima con un ordigno nucleare, uccidendo subito 71.000
abitanti e 160.000 nei cinque mesi seguenti, per un totale di 231.000 vite umane.
Tre
giorni dopo, il 9 agosto, rifecero il test nucleare sulla bellissima città di Nagasaki, uccidendo subito 75.000
abitanti e 134.000 nei mesi successivi, per un totale di 209.000 vite umane.
Nessun criminale di guerra fu mai processato per questo crimine contro l’umanità.
La ricorrenza di Hiroshima e Nagasaki :ospitiamo questa testimonianza
Consentitemi una piccola vanità senile: un ricordo di gioventù. Nel 1968 la libreria editrice del movimento
anarchico, presso cui militavo come socialista, mi pubblicò, a sèguito di una specie di concorso interno, le
quasi trecento pagine del testo “No alle ami nucleari!”, che prendeva spunto dal doppio olocausto atomico di
Hiroshima e Nagasaki.
Il Sindaco di Hiroshima dell’epoca mi fece omaggio di un medaglione d’argento che riproduce il
monumento della memoria presso cui si è già recato il nostro Frattini, in vista dei prossimi 6 ed 8 luglio, a
simulare un’indignazione che non può permettersi di sentire senza disobbedire agli ordini “in futuro” di chi
quel doppio olocausto ordinò (mi riferisco a un tale Truman, un antropozoo tutto americano non meglio
definibile), al solo scopo di preventiva deterrenza atomico - terroristica, monito a quanti paesi - Italia
compresa – non volessero, da allora in avanti, tenere conto che gli USA sono la prima e più grande potenza
nucleare, capace di mettere a tacere qualunque avversario.
Quella strage terroristica – assolutamente gratuita dal punto di vista militare per ragioni che tutti
conoscono, bruciò sul colpo almeno 200 mila corpi di innocenti creature umane e diverse centinaia di
migliaia sono morte nel tempo fra atroci sofferenze senza contare gli effetti a catena della radioattività
attraverso le madri irradiate, da cui nasceranno anche dei mostri.
Hiroshima e Nagasaki bruciano ancora ma le autorità USA, succedute all’infausto governo del
“Cravattaio”, non hanno mai accennato ad un gesto di rammarico e meno che mai ad una richiesta di
perdono, per non dire ad un finto errore strategico, anzi sono proprio essi che si attribuiscono una veste che proprio loro non compete – di guardiani mondiali contro Stati detentori di testate nucleari, ma solo se si
tratta di poteri-canaglia come quello dell’Iran (Israele detiene circa 150 ordini nucleari). Ciò che sconcerta
fino al vomito è la docilità di un Giappone, incapace di tenere fuori dal proprio territorio le divise militari di
coloro che l’hanno usato alla stregua di una cavia geopolitica!
Come se ciò non bastasse, sono ancora i maledetti USA, a fare uso di sostanze radioattive (vedi, per
esempio, l’uranio impoverito, di cui sono stati vittime anche nostri “inservienti militari” degli USA sotto la falsa
veste di missione umanitaria) nelle loro attività belliche finalizzate – dicono – all’esportazione di una
democrazia, di cui conoscono solo il nome e la carnevalata delle elezioni di pochi magnati. Il loro
comportamento è perfettamente consono ad una criminocrazia nata dalla predazione territoriale e dal
genocidio e che si rafforza commettendo un crimine contro l’umanità dopo l’altro ovvero calpestando il diritto
internazionale. Dal 1968 il mio pensiero di socialista è diventato più coerente ma la sostanza di quel libro
risponde ancora al mio convincimento e, a distanza di 40 anni, lo sottoscrivo ancora. Dicevo: “chi
contribuisce comunque alla contaminazione radioattiva è un criminale o complice di criminali. Nessuna legge
(…) autorizza un capo di Stato ad attentare indiscriminatamente alla salute di tutti (…) e se esistesse,
sarebbe fatta da criminali o da pazzi. (…)
Carmelo R. Viola
DEPORTAZIONI
Il bombardamento giapponese di Pearl Harbor del 7 dicembre
1941 “giustificò” l'intervento degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale. Temendo un atteggiamento
sleale da parte dei cittadini americani di origine giapponese, il governo degli Stati Uniti ne deportò quasi
centomila in campi di concentramento.
------------------------------------------------------------------------Nella striscia di Gaza,
dopo l'occupazione israeliana della Palestina e il conseguente esodo
delle popolazioni cacciate a forza dalla loro terra, oltre un milione di persone sono ammassate in poco
più di 300 chilometri quadrati (di fatto è la zona più densamente popolata della terra).
Quest'area è circondata da un lato dal mare, costantemente
controllato dai satelliti e dalle cannoniere israeliani, e dai restanti lati da reticolati e da un muro alto 8
metri edificato da Israele ed Egitto per impedire alla popolazione, tra cui potrebbe esserci qualche
terrorista (questa è la motivazione ufficiale), di uscire dal quella che è a tutti gli effetti il più grande
campo di concentramento che la storia ricordi.
A queste persone, uomini, donne, vecchi e bambini a cui il governo d’Israele impedisce con le armi
qualunque contatto con il mondo esterno, in nome della libertà dei popoli e dei diritti umani, vogliamo
dedicare questa tragica metafora di Massimo Mazzucco.
******* *******
Immaginate di rinchiudere qualche centinaio di topi in un campo di bocce, che avete provveduto a
recintare con alte pareti di legno, per tre lati su quattro. Il quarto lato – uno di quelli lunghi – non ha
bisogno di pareti, poiché subito accanto alla sabbia c’è l’acqua di uno stagno: in quella direzione i topi non
potranno andare.
Gettate nel campo un po’ di cibo, che sia sufficiente a tenerli in vita, ma non a sfamarli tutti. Quando il
nervosismo per la fame cresce, e la ricerca di cibo diventa più spasmodica, infilate un dito in uno dei
tanti forellini che avete praticato sulle pareti di legno, e aspettate che i topi ve lo morsichino. A quel
punto urlate di dolore, prendete lo schioppo e ne fate fuori una decina.
I topi per un momento si calmano. Tornate a gettare del cibo, poi riducetene la dose, lasciate che la
fame cresca, tornate a infilare il dito in un forellino, e impallinate nuovamente quelli che ve lo morsicano.
Se qualcuno protesta per il continuo massacro dei topi, mostrategli il dito ferito, e spiegategli che i topi
devono imparare a rispettare chi li nutre.
Dopo aver ripetuto il ciclo per un po’ di tempo, riducete drasticamente le quantità di cibo, obbligando i
topi ad ammazzarsi fra di loro pur di riuscire a sopravvivere. Vedrete così che i più forti riusciranno
comunque a nutrirsi, ...
... mentre i più deboli si lanceranno con disperazione verso le pareti, cercando a tutti i costi di uscire da
uno dei forellini che avete praticato.
A quel punto vi trovate obbligati a rinforzare le pareti con delle lastre di acciaio, perchè i topi rischiano di
scavarsi nel legno una via di uscita.
Niente più forellini, niente più morsicature, niente più punizioni. Interrompete del tutto la
somministrazione di cibo, e restate semplicemente a guardare.
Quando lo scompiglio e la disperazione avranno raggiunto i massimi livelli, vedrete che i topi
cercheranno di scavare delle gallerie sotto le pareti rinforzate, pur di uscire alla ricerca di cibo.
A quel punto chiedete gentilmente ai vostri amici egiziani di tappare quelle gallerie.
Benvenuti a Gaza.
Massimo Mazzucco
Rubrica: IL MALE ASSOLUTO !! (ciò che non devi sapere)
LAPIDE AFFISSA AD AUSCHWITZ SUBITO DOPO LA
GUERRA, PRIMA DEL 1990:
DEI 6 MILIONI DI STERMINATI (CIFRA TOTALE ACCREDITATA UFFICIALMENTE),
4 ERANO STATI UCCISI IN QUESTO CAMPO; QUESTA LA TESI UFFICIALE DELLE COMUNITA’ EBRAICHE E DI TUTTA LA
STORIOGRAFIA UFFICIALE E MUSEO DI AUSCH W ITZ
LAPIDE AFISSA NEL 1990 E TUTT’ORA PRESENTE, CHE SOSTITUISCE LA PRIMA (Sopra riportata) E CHE DICE CHE AD
AUSCHWITZ FURONO UCCISI NON PIU’ 4 MILIONI, MA, “CIRCA”, 1 MILIONE E MEZZO DI PRIGIONIERI,
“PRINCIPALMENTE EBREI” (Mainly jews)
RIFLESSIONE:
Se nella lapide odierna, che leggono tutti i visitatori del museo di Auschwitz, scolaresche
comprese, sono riportate 1 MILIONE E MEZZO DI VITTIME PRINCIPALMENTE EBREE,
al mitico numero dei 6 MILIONI DI SOLI EBREI, che tutti sin da bambini ci raccontano,
bisogna togliere 2 MILIONI E MEZZO, per un totale di 3 MILIONI E MEZZO di prigionieri
NON ESCLUSIVAMENTE EBREI.
Questa elementare operazione matematica è eseguita su dati forniti da chi gestisce
il museo di Auschwitz
PRIMA DOMANDA:
PERCHE’ SI CONTINUA A TUTTI I LIVELLI (GIORNALI, TV, CINEMA, DISCORSI
POLITICI, COMMEMORAZIONI) AD ACCREDITARE LA CIFRA DI 6 MILIONI ?
SECONDA DOMANDA:
PERCHE’ GLI STORICI REVISIONISTI, CHE TENTANO DI SCAVARE A FONDO
NELLE EVIDENTI CONTRADDIZIONI DELLA PUBBLICISTICA OLOCAUSTICA, SONO
PERSEGUITATI, INCARCERATI, AGGREDITI, PRIVATI DELLE CATTEDRE DOVE
INSEGNANO, ISOLATI DAL CONTESTO SOCIALE ?
Cominciamo a porci qualche domanda; non prendiamo per oro colato ciò che
sentiamo dai Telegiornali. L’informazione è al servizio dei poteri multinazionali, non
è al servizio di operai, muratori e casalinghe.
SVEGLIA PRIMA CHE SIA TARDI.
UN LIBRO INSOLITO, DIVERTENTE, ANTICONFORMISTA.
“ (…) Ma quel che è peggio è che a furia di subire il regolare bombardamento delle culture
nemiche — tanto di quelle che esorcizzano e maledicono il fascismo, quanto di quelle che lo
svalutano, lo ridimensionano, lo snaturano nell’intento di sovrapporvisi e sfruttare il nostro
pathos — anche gli esponenti della destra radicale hanno finito col credere alle panzane. Ragion
per cui questa raccolta di riflessioni, di dati, di esempi, in quanto ripresenta “quel” mondo nella
sua dimensione reale, risulterà sorprendente e talvolta addirittura ostica a chi ha fatto propri i
luoghi comuni. Non conformi allora appariranno questi pensieri anche ai più della destra
radicale. (…)
( dall’introduzione )
Per informazioni:
Www.orionlibri.com