Eros e chronos in Saffo
Transcript
Eros e chronos in Saffo
Eros e chronos in Saffo FAUSTO MONTANA Sommario 1. L’eros presente 2. L’eros nel tempo “biografico” 3. Un caso riaperto: l’“ode della vecchiaia” I frammenti saffici sono citati secondo la numerazione che hanno nell’edizione di E.M. Voigt (Amsterdam 1971). Le traduzioni, salvo diversa indicazione, sono di Fausto Montana. 1. L’eros presente Saffo, fr. 31: Mi pare simile a un dio l’uomo che di fronte a te siede e mentre accanto dolcemente gli parli ti ascolta e ridi in un modo sensuale: questa scena mi ha sconvolto il cuore in petto. Come ti guardo, di colpo la voce mi viene meno, la lingua mi si spezza, un sottile fuoco subito mi scorre sotto la pelle, mi si appanna la vista, rombano le orecchie, un freddo sudore mi scende addosso e un tremito tutta mi prende, son più verde d’un filo d’erba, che poco mi manchi a morire mi sembra. Ma tutto si può sopportare... 5 10 15 2 Il primo endecasillabo di questo celeberrimo frammento saffico esibisce una straordinaria pregnanza. C’è un soggetto logico e lirico (moi) alla cui percezione (fai/netai) si materializza un’epifania quasi divina (i!soj qe/oisin). Ma subito l’apparizione del divino a!nhr si rivela incongrua: il suo destinatario non è l’io lirico. Quasi un aprosdoketon, compare al secondo verso il vero beneficiato, e0na/ntio/j toi, “di fronte a te”. E qui l’apparizione si fa scena a sé, separata dal soggetto, e quest’ultimo si riduce a occhio esterno, ed estraneo, ferito di esclusione. È l’intima, struggente sofferenza del voyeur involontario ma interessato – o, se si vuole, il tormento dello spettatore, combattuto fra straniamento e identificazione dinanzi all’autosufficienza della simulazione scenica. L’ora del divino è il presente. Il dio è: nella sua bellezza, nella superiorità senza divenire e senza decadere, nel tempo che non scorre. Ma il tempo verbale presente che domina assoluto nel componimento ha un significato diverso: esprime la dimensione temporale non della visione, ma di colei che vi assiste. È lo smarrimento dell’osservatrice sconvolta, cosciente del tremito febbrile che si va impossessando di lei, prossima all’implosione per l’attacco di timor panico – come ha bene puntualizzato Franco Ferrarii – e ancora per poco capace della cognizione di sé. Non interessa il tempo della scena, dell’incontro dei due innamorati: episodio concreto, circostanza definita nel flusso delle esistenze, evento. A interessare è il tempo interiore del soggetto nel momento in cui è scisso e dilaniato dai sintomi fobici, senza più orientamento se non l’estremo sentore della fine imminente (fai/nom' e!m' au!ta|, di nuovo, non a caso, fai/nw al mediopassivo, il verbo della ricognizione diagnosticaii: dove si era iniziato, là si ritorna; ma quanto sta in mezzo!). È evidente che in questa ode Saffo fa leva su una peculiare funzione espressiva dell’azione verbale collocata nel presente. Mi pare che si tratti di una espressività di tipo diverso da quella che ritroviamo così di frequente nella poesia arcaica di soggetto erotico. Nella cornice simposiale il presente si presta bene a tradurre il carattere consueto, ripetuto, atteso, in definitiva convenzionale e condiviso dell’agire e del sentire di gruppo. Questo presente assoluto e assiomatico è l’habitat ottimale dell’io lirico, che nella soggettività della persona loquens, fittizia ma non irreale né asettica, incarna modelli comportamentali validi per la comunità dei pari e ad essa li propone mentre è riunita intorno alle mense. Il presente, come nel dettato di una legge, sancisce con l’efficacia e l’autorità del paradigma: rispecchia la “normalità” e autorizza comportamenti leciti o ammissibili, incoraggia un costume auspicabile, vieta e prescrive, mette in guardia e somministra una profilassi di consolazioni e avvertimenti. - www.loescher.it/mediaclassica - 3 E noi, – ammonisce Mimnermo – come fa germogliare le foglie la stagione fiorita di primavera, quando crescono in fretta ai raggi del sole, simili ad esse, per breve spazio dei fiori di giovinezza godiamo, senza apprendere dagli dèi né il male né il bene. Ma a fianco ci stanno le nere Keres ...iii E ancora: Che vita, che gioia c’è, senza l’aurea Afrodite? Preferirei morire, se non mi stessero più a cuore i segreti d’amore e i suoi dolci doni e il letto ...iv Allo stesso modo nei frammenti di Anacreonte le effusioni dell’eros trovano il loro spazio temporale più adatto nel presente assoluto; né i toni appassionati né la personalizzazione dell’eromenos valgono a neutralizzare la genericità e l’astrattezza delle situazioni d’amore: Cleobulo io desidero, Cleobulo mi fa impazzire, Cleobulo mi rapisce lo sguardo.v Ragazzo dallo sguardo virginale, io ti desidero, ma tu non mi dai ascolto, ignaro che del mio cuore tieni le redini.vi E amo ancora e non amo più e sono folle e non son più folle.vii L’elegia di Teognide predilige l’azione gnomica e quella prescrittiva ed è solita consegnarle a enunciati rispettivamente al tempo presente e al tempo futuro. La cornice “autobiografica” dell’io lirico, l’amore per Cirno, convive con il carattere palesemente paradigmatico e stilizzato, in definitiva anonimo e convenzionale di questa poesia. Sempre il cuore mi si scalda, quando sento la voce seducente degli àuli che suonano. Sto bene quando bevo e ascolto l’auleta, - www.loescher.it/mediaclassica - 4 sto bene quando stringo nelle mani la lira armoniosa.viii Il mio cuore è infelice per via del tuo amore, perché non posso né odiare né amare, ben sapendo ch’è difficile odiare, quando si ama qualcuno, è difficile amare colui che non vuole.ix Io ti ho dato ali per volare sul mare infinito, facilmente librandoti su tutta la terra: sarai ospite a tutte le feste e i banchetti adagiato sulle labbra di molti ...x Sembra di poter dire che la dimensione temporale presente del fr. 31 di Saffo risponda a un’espressività di tipo diverso. Pur inserendosi di necessità in un codice di comunicazione poetica essenzialmente convenzionale e paideutico, il presente di Saffo individua non una realtà data in partenza come assiomatica, generalizzabile e condivisibile da tutti i componenti del gruppo, eterìa o tiaso; qui il presente non incarna ciò che è usuale, la “norma” valida in modo indifferente al prima e al dopo, a me e a te. Al contrario, la “patografia” saffica della paura (per usare un’espressione coniata ancora da Franco Ferrarixi) delinea le sensazioni dell’eros esaltandone al massimo grado il carattere soggettivo, fissandole in un’esperienza episodica significativa, in un evento narrato o evocato come attuale e inserito nel flusso del tempo interiore, così da accentuare l’impressione dell’evento autobiografico. Noi sappiamo naturalmente che Saffo “non parla di sé”, ma che “fa parlare l’io lirico di sé”; ciò che definisce una sensibile differenza di scelta poetica rispetto alle situazioni d’amore che leggiamo nei frammenti di altri lirici è che Saffo fa esprimere l’io lirico su una circostanza unica e personale in corso nel preciso istante in cui viene detta. La comunicazione poetica, nello specifico l’espressione dei sentimenti del soggetto lirico in rapporto all’eros, tende alla rappresentazione in tempo reale. In altri termini, nelle sue liriche Saffo sceglie di assolvere la funzione paideutica e paradigmatica del canto in relazione all’eros assumendo come esemplare la dimensione dell’esperienza di tipo personale ed episodico, in definitiva non ripetibile esattamente come tale ma soltanto in senso analogico. La caratterizzazione personale e “autobiografica” dell’esperienza si realizza attribuendole connotati ben circostanziati e rappresentandola con la massima vividezza mentre è nel suo svolgimento. Tramontata è la luna e le Pleiadi; è notte - www.loescher.it/mediaclassica - 5 fonda, passa il tempo e io dormo sola.xii Questa prospettiva, fortemente caratterizzata in senso individuale e biografico anche ricorrendo a un uso privilegiato del tempo verbale presente, non è esclusiva in senso generale, naturalmente, della poesia saffica, ma è familiare alla giambografia e all’elegia arcaica di area ionica. Basterà ricordare certi frammenti di Archiloco, come quelli incentrati sulla saga erotico-polemica di Neobule e Licambe, o il celeberrimo fr. 5 West: Qualcuno dei Sai si fa bello del mio scudo che accanto a un cespuglio, arma senza difetto, ho dovuto abbandonare. Però ho salvato me stesso: che m’importa di quello scudo? Al diavolo! Me ne procurerò uno non peggiore. O si pensi ai fieri strali di Ipponatte, di grande effetto icastico perché caratterizzati come battute di una sceneggiatura o di un copione teatrale, il cui tempo è “adesso”: Tenetemi il mantello, voglio tirare un pugno in un occhio a Bupalo perché sono ambidestro e non sbaglio un colpo.xiii È arduo stabilire se Saffo mutuasse dalla poesia ionica giambica ed elegiaca questa modalità di rappresentazione circostanziata, e dunque all’apparenza più spiccatamente autobiografica e personale, trasferendola nella tematica dell’eros in contesto melico, o se la recepisse più in generale dall’ambiente poetico-musicale circostante oppure ancora se ne fosse un’interprete originale e indipendente nello spazio artistico di Lesbo. Certo è che una prospettiva analoga si rinviene anche nei carmi stasiotici di Alceo, nei quali si riflette la vis concreta di una lotta politica dai tratti tutt’altro che generici, universali e stilizzati. E l’identificazione per nome di individui oggetto del canto si ritrova, com’è noto, nei parteni di Alcmane. Ma sembra di poter concludere che nell’alveo della melica d’amore arcaica questo aspetto costituisca uno dei tratti distintivi e peculiari della poetica saffica. 2. L’eros nel tempo “biografico” Nel fr. 31, dunque, Saffo affida la vividezza dell’esperienza individuale al succedersi di sensazioni attuali, che simula proiettate di getto nel canto nel momento stesso del loro manifestarsi. Se è vero che i sintomi riferiti pertengono a una sindrome - www.loescher.it/mediaclassica - 6 da attacco di panico, come è stato osservato il loro fattore scatenante sarà da individuare non tanto nell’istinto di gelosia possessiva o nella pulsione erotica per la ragazza o nell’invidia nei confronti del corteggiatore, ma piuttosto nell’aver preso coscienza dell’ormai prossima e inevitabile partenza della giovane dal tiaso per sposare il suo uomoxiv: “questa scena ha sconvolto il cuore in petto” al soggetto lirico, che ormai intravede il momento in cui il viscerale vincolo paideutico sarà drammaticamente spezzato. A essere rappresentato è l’istante in cui si prende atto che finisce il tempo della paideia dell’eros, inizia quello dell’eros maturo e coniugale. Il presente biografico, pertanto, è in relazione dinamica con il passato e con il futuro, acquista il suo senso vero nel rapporto con gli altri piani temporali. In altri frammenti vediamo come Saffo manovri questi diversi piani in funzione della rappresentazione personalizzata di eros. Si rilegga sotto questa luce il brevissimo fr. 48 Sei venuta, e hai fatto bene: io ti volevo, e hai refrigerato il mio cuore ardente di desiderio dove l’azione si sviluppa impressionisticamente scandita e punteggiata dai tre aoristi, sullo sfondo dell’attesa prolungata gravida di desiderio espressa dall’imperfetto durativo e0maio/man, e ha il suo esito naturale nell’appagamento presente, così reale, necessario ed evidente da poter essere omesso, come per ellissi: così in un dipinto il punto focale da cui si genera la prospettiva, pur non essendo segnato, è di necessità presente e percepibile all’occhio e al pensiero nella raffigurazione. Un’intersezione simile di piani temporali si ravvisa nel fr. 105a: Come la dolce mela rosseggia sulla cima del ramo, alta sul ramo più alto: non se ne accorsero i coglitori di mele – no, non gli è sfuggita: non riuscirono a coglierla Anche qui le azioni al passato convergono verso il momento presente, lasciato inespresso, almeno stando ai versi superstiti, ma in essi chiaramente significato per via implicita. In alcuni componimenti meglio conservati ricaviamo che Saffo realizzava la personalizzazione dell’esperienza di eros giocando in modo aperto sul nesso attivo fra passato e presente: in questo apparentemente recuperando una diversa risorsa compositiva che riconosciamo propria di altre categorie liriche, e cioè il collegamento fra occasione attuale e racconto esemplare, caratteristico dei canti corali di circostanza come ad esempio il ditirambo o l’epinicio. Il passato si lega al presente perché ne è la - www.loescher.it/mediaclassica - 7 premessa, il germe, l’immagine ermeneutica: il racconto del passato ha il suo traguardo e il suo centro focale nel presente attuale, tanto nella dimensione collettiva della memoria mitica quanto in quella personale del ricordo umano. Immortale Afrodite dal trono variopinto, figlia di Zeus tessitrice d’inganni, ti supplico: non costringere ad ansie e tormenti, o divina, il mio cuore: ma vieni qui, come già un’altra volta udendo di lontano le mie grida mi hai dato ascolto e, lasciata la casa del padre, sei venuta dopo avere aggiogato il carro d’oro ... 5 e infine: Vieni ancora in mio aiuto, liberami dai dolorosi tormenti e, ciò che il mio cuore desidera si compia, tu cómpimelo: tu in persona sii mia alleata.xv 25 La cornice della rievocazione, la situazione personale presente che avvolge la memoria dell’evento personale passato, nell’ode ad Afrodite si avvale sul piano espressivo di nessi marcatamente attualizzanti nello spazio e nel tempo, dislocati ad anello al verso 5 e al verso 25: a0lla\ tui=d' e!lqe, vieni qui; e!lqe moi kai\ nu=n, vieni ancora da me. Si ripensi poi al fr. 16 (Dicono alcuni che la cosa più bella sulla nera terra sia una schiera di cavalieri, altri di fanti, altri di navi; io invece ciò che uno ama, e!ratai), nel quale la superiorità dell’eros rispetto a ogni cosa (affermazione di un punto di vista dato come verità atemporale) è spiegata recuperando dal passato del mito l’exemplum di Elena e infine s’incarna nella circostanza attuale e personale del rimpianto di Anattoria: ... (Cipride?) mi ha fatto ricordare di Anattoria 15 che [non] è qui. Come vorrei vedere il suo passo sensuale (e!raton... ba=ma) e lo splendido scintillio del suo volto, - www.loescher.it/mediaclassica - 8 più che i carri da guerra dei Lidi o i fanti che combattono in armi. 20 E ancora nel fr. 96 s’immagina la ragazza di Sardi, che ha lasciato il tiaso di Lesbo per fare ritorno a casa, triste e nostalgica nel suo attuale altrove al ricordo del felice passato: Ora splende tra le donne di Lidia come quando il sole scompare e la luna dita di rosa vince tutte le stelle. La sua luce sfiora il mare salato e insieme i campi screziati di fiori, 10 gocciola la rugiada fertile germogliano rose e i cerfogli teneri e il meliloto fiorente. Si aggira inquieta, ricorda, e il desiderio della tenera Àttis le consuma l’anima lieve.xvi (trad. di Giulio Guidorizzi) 15 Nel tiaso saffico – in modo non dissimile dai contesti partenici e iniziatici riflessi nei corali di Alcmane – il peso strategico e programmatico della relazione affettiva, sentimentale e pederotica all’interno del gruppo doveva far apparire un’opportunità paideutica primaria la personalizzazione dei temi del canto poetico. La mimesis dell’identità individuale, portata all’estremo, è veicolo di valori paradigmatici perché collaudati dal soggetto e da lei prodotti come testimonianza, anzi esibiti al loro verificarsi perché i destinatari stessi ne siano spettatori e testimoni. Da un lato, l’esperienza personale dell’eros diviene il corrispettivo, in altre categorie liriche, dell’exemplum mitico che mette in scena imprese e traversie di eroi e divinità. D’altro lato, l’espressività prediletta da questa mimesis è l’immediatezza vivida dell’autoanalisi e del soliloquio agiti in presa diretta, attivando le medesime potenzialità comunicative e simpatetiche delle monodie tragiche che molto più tardi risuoneranno nel teatro attico. - www.loescher.it/mediaclassica - 9 Saffo rappresenta dunque l’eros come esperienza, congiuntura – non condizione – esistenziale, divenire – non stato – fisico e interiore. Se al poeta epico e al lirico simposiale è spesso congeniale l’istantanea pittorica o fotografica di eros, che ne renda sincronicamente e simultaneamente un’icona, a Saffo interessa (o “serve” professionalmente nella comunità del tiaso) il linguaggio diacronico della messinscena teatrale o della sceneggiatura cinematografica; è suo interesse introdurre il destinatario, come uno spettatore non visto, ad ascoltare i soliloqui dell’io lirico o a spiare un segmento del suo pseudo-autentico tessuto esperienziale. 3. Un caso riaperto: l’“ode della vecchiaia” Credo che con questo stesso sguardo possiamo ora volgerci a considerare la porzione del fr. 58 di Saffo nota come “ode della vecchiaia”. Prima di affrontare l’analisi contenutistica del carme, può essere utile riassumere le recentissime acquisizioni testuali che lo concernonoxvii. Fino al 2004, conoscevamo questo componimento in modo alquanto frammentario grazie al papiro di Ossirinco 1787, datato al II o III secolo d.C., pubblicato da Grenfell e Hunt nel 1922. Fra il 2004 e il 2005, Michael Gronewald e Robert W. Daniel hanno edito frammenti di papiro provenienti dal cartonnage di una mummia attualmente conservati in Germania a Coloniaxviii . Si tratta di materiale considerevolmente più antico del papiro ossirinchita, essendo datato su base paleografica ai primi decenni del III secolo a.C., che contiene, disposti su due colonne, i resti di tre componimenti: il primo, finora ignoto, è estremamente lacunoso ma concordemente attribuito a Saffo, da cui la denominazione di “nuova Saffo”xix; il secondo consta di dodici versi dell’“ode della vecchiaia”, già nota dal papiro di Ossirinco; il terzo testo, vergato da una mano diversa e sicuramente non saffico, pone seri problemi di ricostruzione, interpretazione e attribuzione ed è perciò detto “carme ignoto”xx. Il papiro di Colonia attesta dunque un recueil lirico, con un assetto editoriale diverso da quello che conosciamo dal più tardo papiro di Ossirinco. Su un punto editori e studiosi sembrano d’accordo: mentre il papiro ossirinchita rispecchia l’edizione alessandrina di Saffo, suddivisa in più rotoli contenenti ciascuno i componimenti accomunati dallo stesso metro e disposti secondo l’ordine alfabetico della lettera iniziale, il papiro più antico testimonia una raccolta antologica forse rispondente a uno scopo pratico e professionale, come repertorio di testi predisposto per la lettura privata o l’esecuzione. - www.loescher.it/mediaclassica - 10 La scoperta, per il ristretto recinto dei filologi classici, ha del sensazionale: sia perché ha prodotto uno dei rari casi in cui siamo in grado di confrontare due testimoni papiracei diversi del medesimo testo lirico; sia perché ci riporta a uno stadio della circolazione letteraria di prima età tolemaica, anteriore alla straordinaria stagione della filologia alessandrina, alle cui edizioni si presume risalgano in genere i testi tramandati nei papiri di età tardoellenistica e romana come appunto il papiro di Ossirinco 1787. Ora, da un lato il papiro di Colonia ha migliorato in misura significativa la nostra conoscenza del testo, colmando per ampio tratto la lacuna che nel papiro ossirinchita sottrae la parte sinistra del componimento: i vv. 15-22, secondo la numerazione di Eva Voigt, possono ormai essere letti praticamente per intero, restando soltanto poche difficoltà di lettura e piccole lacune. D’altro lato, il nuovo papiro ha sollevato un problema tanto inedito quanto spinoso: dopo il v. 22, nel nuovo testimone non leggiamo i versi da 23 a 26, ma resti di altri versi appartenenti sicuramente a un nuovo componimento (il “carme ignoto”), come dimostra indiscutibilmente il cambio di metroxxi. In effetti, la parte destra dei vv. 23-26 si legge soltanto nel papiro di Ossirinco; in particolare, i resti dei vv. 25-26 si trovano su un frustulo di questo papiro separato dal frammento principale e riposizionato da Edgar Lobel, che ne ricostruì il testo sulla base di una citazione di Clearco riportata da Ateneo (Deipnosofisti, XV, 687b): si tratta della celebre professione d’amore per la vita: Io amo la raffinatezza... e a me 25 l’amore per il sole ha fatto avere splendore e bellezza. La discussione degli specialisti si è accesa, in questi ultimi anni, soprattutto intorno alla questione dell’effettiva entità dei versi dell’ode, vale a dire circa la pertinenza o meno all’ode stessa dei quattro versi attestati nel solo papiro di Ossirinco: un problema dalla cui soluzione, è evidente, dipende l’interpretazione complessiva del canto. Il dibattito coinvolge studiosi di levatura assoluta: oltre ai due editori del papiro di Colonia, basterà citare, fra i molti, Colin Austin, Wolfgang Luppe, Martin L. West e, fra gli italiani, Gabriele Burzacchini, Vincenzo Di Benedetto, Franco Ferrari, Enrico Livrea. Per dare un sia pur modesto contributo a un così autorevole dibattito, possiamo tentare una rilettura complessiva, benché succinta, del carme, secondo l’ottica della poetica saffica “dell’eros attuale e personale”, come sopra l’abbiamo rapidamente delineata, nell’intento di valutare che cosa cambia, nella nostra interpretazione dell’ode, se vi manteniamo o se ne escludiamo i vv. 23-26. - www.loescher.it/mediaclassica - 11 Soffermiamoci dunque sul contenuto dell’ode. Non entrerò nel merito delle questioni testuali, dando per acquisite alcune integrazioni più felici o che più incontrano il consenso di editori e commentatori, esclusivamente ai fini della ricostruzione del senso generale. Nostro obiettivo è sondare come reagisca l’io lirico, che attualizza e interpreta in chiave personale le esperienze dell’eros, al sopraggiungere di evenienze esistenziali quali la vecchiaia e il decadimento fisico che sono al centro del componimento. Al principio dell’ode la persona loquens invita il coro di ragazze a muovere alla danza senza di lei, che ne è impedita dall’età avanzata (vv. 11-13): (Voi), o ragazze, (se vi appartengono) i bei doni (delle Muse) dal seno di viola, (danzate al suono del)la lira melodiosa amica del canto. (A me) ormai la vecchiaia (inaridisce) la pelle, ... un invito topico, che ci richiama quello del fr. 90 Calame di Alcmane, con ogni probabilità un proemio citarodico che preludeva all’esecuzione corale di un partenio: Non più, fanciulle dal dolce canto e dalla voce sacra, possono sorreggermi le membra: oh, fossi davvero un cèrilo, che sul fiore dell’onda con le alcioni vola, con intrepido cuore, sacro uccello color del mare. Questi esametri di Alcmane condividono con l’incipit saffico l’opposizione fra la pluralità esterna al soggetto (le ragazze che compongono il corpo corale) e il soggetto stesso, affetto dalla vecchiaia. Se nel fr. 31 Saffo rappresenta l’esclusione del soggetto lirico dal circolo chiuso della relazione sentimentale di due innamorati, nel fr. 58 la poetessa declina il motivo della preclusione a causa della vecchiaia dalle gioie che spettano alle giovani coreute: in esordio la danza, poi subito l’eros, come vedremo. I segni dell’età non lasciano spazio a illusioni: la pelle è raggrinzita, i capelli sono bianchi, le articolazioni non reggono più il peso del corpo fiaccato dagli anni. La topica dei segni esteriori della vecchiaia risponde a un bagaglio descrittivo tradizionale non ignoto all’epos e conosce un ampio sviluppo nella lirica arcaica: accanto al frammento di Alcmane appena ricordato basterà qui citare il fr. 21 della stessa Saffo, del cui testo tormentato rimangono tracce a proposito di membra tremanti e pelle inaridita che fanno fuggire il pothos, e si può richiamare il fr. 36 Gentili di Anacreontexxii: - www.loescher.it/mediaclassica - 12 Bianche ormai ho le tempie, il capo canuto, la bella giovinezza non c’è più: sono decrepiti i denti, non rimane molto tempo della dolce esistenza. Per questo gemo, terrorizzato dal Tartaro ecc. Confrontiamo i vv. 13-18 dell’“ode della vecchiaia”: (A me) ormai la vecchiaia (inaridisce)xxiii la pelle, che era un tempo (delicata), e i capelli, da neri che erano, sono diventati (bianchi) ..., il cuore mi si è fatto pesante e non mi reggono le ginocchia, 15 che erano un giorno leggere nella danza come quelle di cerbiatti. (Per questo) gemo di continuo. Ma che cosa potrei fare? Non è possibile, per chi è uomo, scansare la vecchiaia. Diversamente che in altri autori, qui la “patografia” della senilità si avvale dell’accumulo catalogico di sintomi il cui effetto, mi pare, è di connotare la condizione senile come concretamente attuale e personale (naturalmente anzitutto in senso fittizio e poetico; ma chi può negare un senso reale, autenticamente autobiografico?); una modalità che dobbiamo leggere nella sua relazione intertestuale interna, cioè con il resto della produzione superstite della poetessa, e che riconosciamo come il perfetto contraltare, o il contrappasso, dei violenti sintomi panici condensati nel fr. 31. Come quella sintomatologia, anche questa produce l’evidenza di una condizione attuale e ineluttabile del soggetto lirico, segna un processo fisiologico e patologico irreversibile che la soggettività può solamente osservare mentre è in corso su di sé, dispiega un dominio tale sulla volontà e sui sensi da lasciare un varco soltanto all’autonalisi e all’espressione, simulativamente estemporanea, dell’autocompianto. La domanda pateticamente retorica (Ma che cosa potrei fare?) e la gnome (Non è possibile, per chi è uomo, scansare la vecchiaia) schiudono la strada all’exemplum mitico: l’incredibile storia della Titanide Aurora e del suo bellissimo sposo mortale Titono. Quando se ne innamorò, Aurora pregò Zeus di concedergli una vita immortale, ma scordò di chiedere per lui anche l’eterna giovinezza: per questa imperdonabile - www.loescher.it/mediaclassica - 13 dimenticanza – e per l’interpretazione un po’ troppo fiscalmente letterale della richiesta da parte di Zeus … – Titono vive in eterno accanto alla sua sposa divina diventando sempre più vecchio e decrepito (vv. 19-22): Dicevano infatti che un tempo Aurora dalle braccia di rosa, (spinta da)xxiv amore, andasse ai confini del mondo portando con sé Titono che era bello e giovane: e tuttavia lo colse 20 col tempo la canuta vecchiaia, accanto a una sposa immortale. È possibile che Saffo riprendesse la valenza negativa di questo exemplum mitico dall’Inno omerico V ad Afrodite (vv. 218-240), nel quale la dea argomenta ad Anchise la decisione di non assumerlo fra gli dèi, dopo che ha giaciuto con lui, ricordando lo sfortunato precedente di Aurora e Titono. La naturale connessione del mito con il tema simposiale dei mali della vecchiaia fu colta poi da Mimnermo, che nel fr. 4 West ci amareggia ricordando come a Titono (Zeus) assegnò un male senza termine: la vecchiaia, che è anche più agghiacciante della dolorosa morte. Fin qui, l’apporto del nuovo papiro di Colonia alla nostra conoscenza del componimento è di indubbia decifrazione e pienamente costruttivo. Ma a partire da questo punto del frammento sorge il problema relativo all’appartenenza o meno al testo dell’ode anche dei quattro versi che immediatamente sembrano seguirlo nel papiro ossirinchita e che si chiudono con la celebre affermazione di autoconsapevolezza esistenziale e artistica (vv. 25-26): Io amo la raffinatezza, (lo sapete,)xxv e a me 25 l’amore per il sole ha fatto avere splendore e bellezza. È immediatamente evidente che il senso complessivo del componimento non resta identico se prestiamo fede al papiro di Colonia per questo aspetto e riteniamo l’ode conclusa con il v. 22 o se, al contrario, vi includiamo il tetrastico, come fino a pochi anni fa nessuno dubitava sulla scorta del papiro di Ossirinco. Le posizioni degli studiosi, come accennavo, sono divise in due blocchi. Da un lato vi è chi sposa la prima tesi (fra gli altri Di Benedetto, Luppe, West, Ferrari) e interpreta l’ode come un’affermazione di pessimismo esistenziale priva di implicazioni consolatorie, dunque ammettendo di fatto una tonalità finora inedita nella poesia saffica. Secondo questa linea interpretativa, lo sviluppo logico del componimento sarebbe: - www.loescher.it/mediaclassica - 14 voi, che siete giovani, danzate, perché io che sono vecchia non ne ho più la forza; il genere umano non può evitare la vecchiaia; neppure Titono, divenuto immortale grazie all’amore della divina Aurora, ne è rimasto esentexxvi. Sulla medesima linea, è stata anche avanzata un’ipotesi molto suggestiva. Si è sostenuto che l’“ode della vecchiaia” e il tetrastico siano due componimenti saffici distinti e di contenuto contrastante (uno pessimistico, l’altro pieno di solare vitalità), abitualmente eseguiti in sequenza nel contesto simposiale secondo la prassi delle catenae per cui a un componimento se ne faceva seguire un altro “in risposta” (si pensi al celebre scambio elegiaco di Mimnermo e di Solone sull’età giusta per morire, poi cristallizzato nella tradizione quasi come un’unità compositiva); la stretta associazione delle due odi nella tradizione orale e performativa avrebbe determinato la loro fusione nell’edizione alessandrina dei carmi di Saffo, rispecchiata nel papiro di Ossirincoxxvii. Il papiro di Colonia, di conseguenza, testimonierebbe l’originaria e autentica consistenza dell’“ode della vecchiaia” composta da Saffoxxviii . Altri studiosi, come Gronewald e Daniel, primi editori del papiro di Colonia, seguiti da Burzacchini e Lundon, ritengono improbabile che il componimento si chiudesse in modo improvviso con il mito di Titono, senza un ritorno alla situazione attuale dell’io lirico garantita appunto dal tetrastico. Già da tempo, del resto, è stata messa in evidenza la continuità concettuale fra i versi che richiamano il mito di Titono e il tetrastico, uniti da un rapporto di corrispondenza speculare: Titono, pur avendo ottenuto l’immortalità per amore di Aurora, ha perduto per sempre la giovinezza e il fascino; all’opposto la persona loquens, che è destinata alla morte e nonostante i segni della vecchiaia presente, grazie all’amore per la vita ha avuto in sorte splendore e bellezza. Quanti sposano questa tesi vedono un componimento che si chiude non con l’evocazione malinconica del decrepito Titono, ma con un’autoaffermazione di grande forza concettuale e originale trasporto poetico; e spiegano l’assenza del tetrastico nel papiro di Colonia con il carattere non filologico-erudito, ma antologico e pragmatico di questo rotolo, nel quale non sorprenderebbe che si trovassero redazioni abbreviate dei carmi, a contrasto con la maggiore attendibilità testuale del papiro di Ossirinco, emanazione dell’edizione alessandrina di Saffo. Un caso utile a mostrare come la maggiore antichità del testimone non sia automaticamente garanzia di maggiore affidabilità testuale. - www.loescher.it/mediaclassica - 15 Alcune considerazioni possono essere avanzate, a corollario del dibattito in corso. La prima si innesta sull’argomento strutturale già ricordato, estendendone la portata: se consideriamo il tetrastico come parte e conclusione dell’“ode della vecchiaia”, vi osserviamo una struttura circolare che non comporta semplicemente il ritorno dal mito alla situazione “reale” della persona loquens, ma, più profondamente, completa la caratterizzazione personale e vividamente attuale dell’io lirico che occupa tutta la prima parte del componimento. Come nell’ode ad Afrodite e nel fr. 16, la mimesis dello stato fisico ed emotivo presente del soggetto resta incompiuta se non se ne conclude dialetticamente il rapporto di analogia con l’exemplum proposto. Nel fr. 1 osserviamo questa sequenza: Afrodite, io ti invoco perché ho bisogno di te; già una volta venisti in mio aiuto; come allora adesso soccorrimi; e nel fr. 16: per me, la cosa più bella è ciò che ognuno ama; così Elena non esitò a lasciare tutto per amore; io adesso ho nostalgia di Anattoria. Questa struttura simmetrica, A-B-A, che pone la situazione attuale del soggetto a cornice dell’exemplum ma in un rapporto tematico e logico non subordinato, bensì paritario e dinamico, prevede che dall’io lirico si parta e che ad esso si faccia ritorno, non per una mera e solo esteriore questione di equilibrio compositivo, di armonia delle parti: ma per una ragione di completezza tematica, perché la condizione del soggetto ne risulti ulteriormente arricchita e illuminata, più chiara e definita alla comprensione dell’uditorio. L’eliminazione del tetrastico, in altri termini, priva il componimento non soltanto di una simmetria strutturale, in sé non necessaria né irrimediabile, ma del suo effettivo completamento tematico. Un completamento che, come ho ricordato, alcuni hanno motivo di interpretare come rivendicazione di un destino persino migliore di quello di Titono; e che, possiamo aggiungere, al pari dei lamenti iniziali per i sintomi della vecchiaia si propone poeticamente come presa di coscienza e orgogliosa espressione attuali, cioè in atto nel momento stesso in cui vengono dette, da parte del soggetto lirico. Una «geniale conclusione», per dirla con Burzacchini. Figuriamoci ora lo scenario opposto, secondo cui il componimento terminava con la constatazione dell’invecchiare senza fine di Titono, immagine iperbolica dell’ineluttabilità della vecchiaia. Ora, credo che anche così resterebbe aperta la possibilità di una lettura del componimento in chiave meno pessimistica e malinconica - www.loescher.it/mediaclassica - 16 di quanto ritenuto da critici illustri. L’exemplum, che dunque conterrebbe in sé il significato ultimo e conclusivo dell’ode, propone in definitiva l’immagine di un eros eterno, che acquista senso, in relazione alla senilità dell’io lirico, come affermazione paradossale o promessa che l’eros non finisce, che vi è un amore anche per la vecchiaia e a dispetto di essa, quand’anche durasse per sempre. E, se ci fossimo convinti che si tratti di due componimenti accorpati dagli Alessandrini perché tradizionalmente eseguiti in sequenza nelle catenae simposiali, resterebbe da definire se la liaison fra di essi fosse garantita dal contrasto tematico, come è stato sostenuto, o non piuttosto dalla continuità (come possiamo aspettarci quando a essere messi in sequenza siano canti dello stesso autore, come per le elegie di Teognide): e in tal caso proprio il papiro di Ossirinco ci additerebbe, quale trait d’union delle due odi e come significato dell’“ode della vecchiaia”, un’idea dell’eros che pervade di passione vitale l’intera esistenza, la riscatta dalle leggi del tempo, trasfigura la vita (tutta la vita, sino alla fine) in una gemma di luce e bellezza. 2008 - www.loescher.it/mediaclassica - 17 i F. Ferrari, Una mitra per Kleis. Saffo e il suo pubblico, Pisa 2007. Cfr. ad esempio Galeno, De temperamentis libri III, 1.582.8 Kühn. iii Mimnermo, fr. 2, 1-5 West. iv Mimnermo, fr. 1, 1-3 West. v Anacreonte, fr. 5 Gentili. vi Anacreonte, fr. 15 Gentili. vii Anacreonte, fr. 46 Gentili. viii Teognide, 531-534. ix Teognide, 1091-1094. x Teognide, 237-240. xi F. Ferrari, op. cit. xii Saffo, fr. 168b. xiii Ipponatte, frr. 121-122 Degani. xiv F. Ferrari, op. cit. xv Saffo, fr. 1, 1-9.25-28. xvi Traduzione di G. Guidorizzi. xvii Utile sintesi, cui rimando anche per il dettaglio delle proposte testuali: Nuove acquisizioni di Saffo e della lirica greca. Per il testo di P. Köln inv. 21351 + 21376 e P. Oxy. 1787, a cura di A. Aloni, Alessandria 2008. xviii P.Köln inv. 21351+21376. xix Fra le interpretazioni della “nuova Saffo” si deve ricordare quella (Di Benedetto) che intravede in esso un componimento proemiale anteposto all’”ode della vecchiaia” a rispecchiare una successione tipica della situazione performativa (una connessione poi perduta, o modificata introducendo un diverso proemio, nell’edizione alessandrina testimoniata dal papiro di Ossirinco): cfr. Nuove acquisizioni di Saffo ..., pp. 42-56. xx Si veda Nuove acquisizioni di Saffo ..., pp. 58-77. xxi Il metro dell’“ode della vecchiaia” è interpretato come ipponatteo acefalo ampliato con due coriambi (^hipp2c || : Voigt, Gronewald e Daniel, Lundon) oppure tetrametro ionico a maiore con metatesi dell’ultimo metron in ditrocheo (3ionma tr || : Gentili e Lomiento). xxii Anacreonte, fr. 36 Gentili. Repertorio dei paralleli poetici in Nuove acquisizioni di Saffo ..., pp. 80-88. xxiii Forme del verbo ka/rfein, «inaridire», sono proposte dai primi editori del papiro di Colonia e da Di Benedetto. xxiv e0[l]a/qeisan Francesca Piccioni in Nuove acquisizioni di Saffo ..., pp. 36-37. xxv i!ste de\] Di Benedetto (i!sqi de\] Perrotta, oi!date] Gallavotti). xxvi West è propenso a vedere un trait d’union aggiuntivo fra la situazione attuale dell’io lirico e la figura mitica di Titono nel parallelismo tra il rapporto dell’anziana Saffo con le ragazze del tiaso e quello del decrepito Titono con l’immutabile e sempre giovane Aurora. xxvii Una possibilità figurata in Nuove acquisizioni di Saffo ..., pp. 125-126. xxviii Sul nesso tematico fra il mito di Titono e il tetrastico si veda: F. Preisshofen, Untersuchungen zur Darstellung des Greisenalters in der frühgriechischen Dichtung, Wiesbaden 1977, pp. 56ss.; G. Nagy, Greek Mythology and Poetics, Ithaca 1990, pp. 260ss.; G. Liberman, «ZPE» 108 (1995), pp. 4546. ii - www.loescher.it/mediaclassica -