Untitled - Le clarisse cappuccine a Genova

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Untitled - Le clarisse cappuccine a Genova
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Arte e Cultura
La vestizione di S. Chiara in
*
un dipinto inedito di Cesare Corte
di Antonietta De Robertiis
Il dipinto con l’Imposizione del velo a S. Chiara da parte
di S. Francesco, conservato nella cappella interna del convento
delle Clarisse Cappuccine di via D. Chiodo, non presenta incertezze
dal punto di vista della paternità esecutiva, poiché l’opera
è firmata dall’autore, Cesare Corte, e datata 16031.
Il rinvenimento del dipinto aggiunge un nuovo tassello alla carriera del pittore che ha assunto, in anni recenti, una
certa consistenza rispetto a un destino di oblio al quale sembrava condannato dal ridotto corpus di opere note e dalla travagliata vicenda personale.
L’autografia della tela permette una precisa collocazione nella produzione di Cesare Corte 2 poiché l’opera è di soli tre
anni successiva al dipinto con il Compianto su Cristo morto del Museo diocesano di Chiavari proveniente dalla chiesa dei Cappuccini di S. Croce 3. L’allogazione, a così breve
distanza l’uno dall’altro, di dipinti destinati a istituzioni della grande famiglia francescana e, in specifico per conventi dell’ordine cappuccino, potrebbe essere attribuibile a un
qualche collegamento fra le due istituzioni monastiche, che
ha dato occasione alla coincidenza di ‘gusto’ e di scelta, o
al fervore della committenza ecclesiastica negli anni successivi al Concilio di Trento dovuto alla necessità di adeguare chiese e immagini alle nuove direttive cultuali 4.
Nella tela di via Chiodo le figure sono disposte di tre quarti, davanti all’altare che chiude la prospettiva alle loro spalle; al di sopra dell’altare è posizionata un’ancona raffigurante la Madonna degli Angeli. Ai lati dell’altare stesso e delle figure principali si ‘affacciano’ gli astanti che assistono,
taluni con espressione mesta, alla cerimonia. In primo piano, una bimba a sinistra e un bambino a destra, sembrano giocare con i gioielli e gli abiti abbandonati da Chiara.
A fronte
Cesare Corte, La vestizione di Santa Chiara da parte di San Francesco,
particolare. Genova, Convento delle Clarisse Cappuccine.
Sulla mensa d’altare, in asse con la figura della Vergine, è
posato l’ostensorio con il Santissimo - accanto ai biondi capelli recisi di Chiara - e al di sotto, anche questa in asse,
la testa di Chiara china a ricevere il velo da Francesco.
La struttura compositiva utilizzata per dare forma e sostanza al soggetto riveste precipuo interesse, poiché, si ritiene,
che sia strettamente funzionale all’iconografia e alla semantica devozionale che sembra scaturirne. Il confronto con altri dipinti che propongono lo stesso tema sembra confermare tale assunto 5. La rappresentazione della Vestizione di S.
Chiara evidenzia il portato sacrale dell’avvenimento rendendolo comprensibile mediante la raffigurazione di più livelli,
o regni, del contingente e del trascendente. Il livello più alto è quello divino che si fa persona nelle figure della Vergine e del Bambino benedicente (come nel caso della tela del
Paggi ora nel Museo dei Beni Culturali cappuccini), o diventa immagine dello Spirito Santo, visualizzato dalla Colomba
(tale il modello di Bernardo Castello per le Chiese dei Cappuccini di Genova - ora ad Alassio -, Voltri e, probabilmente, Imperia). Nella messinscena del Corte la presenza divina si concretizza (è il caso di dirlo) nella rappresentazione
della Madonna degli Angeli che non appare dal cielo ma è
dipinta sulla finta pala d’altare nel fondo. Quindi non un’epifania, con l’irrompere del mondo ultraterreno in quello terreno, bensì una più concreta immagine dipinta che assume
la duplice funzione di mediatore, anche fisico, fra il livello degli uomini e quello della Divinità e di enfatizzazione dell’icona con il raddoppiamento della raffigurazione pittorica: un
dipinto nel dipinto 6. Inoltre la disposizione in verticale della
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Vergine, della particola consacrata e di S. Chiara non è certamente casuale e corrisponde nuovamente a un discorso
che da iconografico si fa teologico: come Maria è stata la mediatrice umana fra Dio e gli uomini, così Chiara è chiamata
ed essere nuovamente mediatrice della presenza di Cristo
sulla terra. L’ostensorio, che nell’iconografia corrente ai primi del ’600 era ormai l’attributo di S. Chiara, è il centro focale della rappresentazione, come, d’ora in avanti, sarà l’elemento centrale della vita di Chiara 7.
Il pittore e ancor più la committenza, ossia le monache clarisse che hanno in S. Chiara un riferimento costante, sottolineano il rapporto che lega la loro patrona e protettrice
alla Divinità. I riferimenti teologici, di un’ortodossia perfettamente allineata con i dettami controriformistici, hanno però un elemento di ‘scarto’ in quello che può considerarsi
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come dettaglio iconografico ambiguo. Il fanciullo in primo
piano che raccoglie i gioielli di Chiara ormai abbandonati
per terra è, all’apparenza, in linea con le raffigurazioni analoghe del Castello in cui fanciulli in abiti contemporanei additano analoghi gioielli. Qui però il fanciullo indossa solo un
mantello azzurro bordato d’oro che lo copre parzialmente.
L’insolito abbigliamento suggerisce l’immagine di un S. Giovannino o di Gesù fanciullo (un ragazzo seminudo sarebbe inadatto per la severa atmosfera della scena!) e sembra adombrare più complessi significati e riferimenti. Se si
tratta veramente di un’immagine del Salvatore, il suo gesto indica l’accettazione del sacrificio di Chiara e potrebbe
essere il livello divino che sembrava mancare e che si invera nella figura di Gesù stesso8.
Tale interpretazione potrebbe venire a supporto di quanto già
rilevato da Boggero a proposito della pala di Ognissanti in S. Francesco da Paola, in cui sembrano emergere raffinati
riferimenti iconografici che portano a intravedere la complessa cultura religiosa del pittore 9.
Alla convergenza di significati diversi che
sembrano convivere in un dipinto in apparenza così ‘chiaro’ da non richiedere neppure ragionamenti attributivi e verifiche cronologiche, si deve aggiungere un breve discorso in merito alle interferenze stilistiche dell’opera che
sembra ancora memore della affinità pittorica che lega Cesare Corte a Giovanni Battista Paggi negli ultimi due decenni del XVI secolo. Il gruppo centrale con
Francesco e Chiara appare, nel dipinto in esame e in quello del Paggi per S.
Margherita, assai simile (cfr. nota …).
La cronologia sembra però assegnare
alla tela di Cesare il ruolo di opera seriore, mentre quella di Paggi, attribuita
su base induttiva agli anni fra il 161015 10, sarebbe successiva. La possibilità di un avvicinamento nella scelta formale non è esclusa, ma Paggi dà alla
scena una più marcata dimensione trascendente, forse anche per allontanare ogni sospetto di posizioni religiose non
ortodosse, in considerazione della nota vicenda che portò Cesare Corte alla
conversione al protestantesimo, al processo e all’abiura del 1612.
In questa pagina e a fronte
Cesare Corte, La vestizione di Santa Chiara
da parte di San Francesco, particolari con
la firma dell’artista (immagine a pagina 33
in basso a destra). Genova, Convento
delle Clarisse Cappuccine.
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*Sento il dovere e, soprattutto, il piacere di ringraziare il dott. Franco Boggero per il suo disinteressato e cordiale appoggio, la sig. Daria Vinco per
la collaborazione e l’aiuto, portati ben al di là del suo impegno professionale, le sorelle Clarisse Cappuccine e, in particolare la madre Priora Suor
Paola Chiara, per la sempre affettuosa e gentile disponibilità.
Note
La firma del pittore si trova sul gradino dell’altare ed è accompagnata
dalla data 1603 in cifre romane. Il dipinto misura cm 120x182 ca. Nonostante i cambiamenti di sede che hanno interessato il convento fino allo stabilirsi nel complesso di via Chiodo, e che possono aver portato alla
dispersione del patrimonio artistico, si ritiene che il dipinto rientri nella
dotazione originaria e che non sia pervenuto a seguito di accorpamenti
di beni, proprio per la scelta del tema e, in particolare, per la raffigurazione della Madonna degli Angeli a cui era intitolato l’antico complesso
monastico. (Cataldi Gallo M., Cenni sull’iconografia dei dipinti della SS.
Concezione con riferimento all’iconografia cappuccina nei secoli XVII e
XVIII, in Vita a Cultura cappuccina. La chiesa della SS. Concezione a Genova, Genova, 1984, p. 49-53; Sanguineti D., Pittori genovesi per l’ordine dei Cappuccini: da Bernardo Castello a Giuseppe Palmieri, in Le Chiavi del Paradiso, I Tesori dei Cappuccini nella provincia di Genova, Milano, 2003, pp. 45-60). Un dipinto con S. Chiara di Cesare Corte è citato
in un documento del 1617, ma non coincide con quello qui in esame poiché trattasi di una “Santa Chiara piccola in ramo con ornamento”. Dal
momento che nel 1617 Cesare Corte era già deceduto è probabile che il
piccolo gruppo dei dipinti citati e messi in vendita siano il frutto di un’eredità familiare. (Belloni V., Scritti e cose di arte genovese, Genova 1988.
Avena A., La devozione mariana delle Clarisse Cappuccine di Genova, in
La Casana, n.4, 2010).
2
Per la vicenda biografica e artistica del pittore è fondamentale lo studio
di: Boggero F., Per la pittura genovese tra Cinque e Seicento: il percorso
dell’eretico Cesare Corte, in Arte Cristiana n. 741, 1990, p. 417-434, con
bibliografia precedente.
3
Algeri G., Il Museo Diocesano di Chiavari, Genova, 1986, p. 24-25.
4
Negli anni di passaggio fra i due secoli l’intervento degli artisti è spesso
richiesto proprio a tale scopo. La preferenza tributata al Corte da parte
degli ordini mendicanti è ricordata da Boggero (op. cit, 1990, p. 423, 426).
5
La Vestizione di S. Chiara per mano di S. Francesco è il soggetto di un
gruppo di tele, piuttosto omogenee per periodo ed ambito culturale. La
più antica sembra essere quella della chiesa di S. Francesco di Alassio,
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firmata e datato da Bernardo Castello nel 1597, in cui gli astanti sono
alle spalle della figura inginocchiata di S. Chiara, posta di 3/4 e di S. Francesco che le è accanto e le pone il velo sul capo. L’altare è di profilo a
sinistra e su di esso sono ben visibili l’ostensorio, il Vangelo e le forbici
usate per recidere i capelli di Chiara. L’elemento divino è rappresentato
dalla Colomba dello Spirito Santo che appare in un alone luminoso circondato dagli angeli, mentre l’aspetto mondano viene evocato dai due
fanciulli a sinistra, in abiti contemporanei, che mostrano le vesti e i gioielli abbandonati dalla fanciulla (Alassio, La chiesa dei frati. A cura di F.
Boggero, C. Masi, Genova, 2003, p. 44-45). Molto simile è la pala d’altare per la chiesa delle Clarisse di S. Chiara di Imperia da attribuire, se
non allo stesso Castello, alla stessa bottega ( Alassio… op. cit, , 2003 p.
44-45; Sanguineti op. cit., 2003, p. 46). Leggermente diversa appare invece la tela dipinta da Giovanni Battista Paggi per la chiesa dei Cappuccini di S. Margherita Ligure, (1610 e il 1615 ca.; Algeri G., Testimonianze d’arte nella Diocesi di Chiavari, Restauri, 1982-1992, Genova 1993,
p. 116-117), e ora presso il Museo dei Beni Culturali Cappuccini. Il numero dei personaggi si riduce ai due protagonisti, Chiara e Francesco,
a un frate in preghiera sulla destra, a due angeli a sinistra e a un piccolo gruppo di figure disposte sullo sfondo. Più evidente è invece la presenza divina nella persona della Vergine e del Bambino benedicente che
irrompono dall’alto fra nubi e angeli musicanti. La scena, non perfettamente leggibile per la perdita di parte della pellicola pittorica, sembrerebbe eludere l’aspetto terreno dell’episodio per privilegiarne la componente trascendente. Bernardo Castello esegue anche la Vestizione di S.
Chiara per la chiesa di S. Maria degli Angeli a Voltri (1614-15; Erbentraut R., Der Genueser Maler Bernardo Castello 1557? – 1629, 1989).
Il pittore semplifica l’impianto della composizione, che risulta simmetrico per la posizione frontale dell’altare, così come quasi frontali sono i
due protagonisti. Gli astanti si affacciano a destra e a sinistra. Si ripetono le figure dei due fanciulli che indicano le vesti e i monili di Chiara abbandonati sulla balaustra e come raccolti da una donna anziana (forse
la madre). Il pittore inserisce la scena in uno spazio reale, l’altare della
tela si identifica con quello della cappella e la balaustra separa lo spazio dell’altare da quello della navata. Il Divino è ancora lo Spirito Santo
e la luminosità che lo circonda.
6
Scelta analoga sembra improntare anche la grande tela di Giovanni Battista Baiardo del 1649 per la chiesa di S. Chiara di Carignano assai prossima all’originaria sede delle Clarisse Cappuccine. Il dipinto, ora in S. Lorenzo di Premanico, mostra in primo piano S. Chiara sulla porta della chiesa che mette in fuga i saraceni. Lo sfondo è la stessa chiesa conventuale con la pala dell’Assunta eseguita da Giovanni Andrea De Ferrari.
7
Nelle immagini che mostrano la Santa di fronte agli assalitori saraceni,
ella è ‘armata’ del solo ostensorio. La rappresentazione di S. Chiara con
l’ostensorio diventa corrente a partire dal ’400 e nel ’600 si cristallizza.
L’ostensorio allude alla venerazione di Chiara per la particola consacrata
e all’episodio della cacciata dei saraceni. (Bibliotheca Sanctorum, III, Roma, 1962, cc. 1202-1217; Frugoni C. Una solitudine abitata, Chiara d’Assisi, Roma-Bari, 2006, p. 170).
8
È da notare che Chiara guarda verso il fanciullo.
9
Boggero, op. cit. 1990, p. 122-123. Una più completa e approfondita
analisi dell’iconografia della Vestizione di S. Chiara è da rinviare ad altra
sede anche in considerazione della rarità del tema, secondo quanto afferma Gieben, contraddetto però proprio dal numero di immagini sopra
ricordate (Gieben S., L’iconografia di Chiara d’Assisi, in Chiara d’Assisi.
Atti XX Convegno Internazionale, Spoleto, 1993, pp. 187-236.
10
Algeri, op. cit., 1993, p. 116-117.
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