Pillole di biogas - RiduCaReflui

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Pillole di biogas - RiduCaReflui
BIOGAS
SCHEDE DI DIVULGAZIONE
PILLOLE DI….BIOGAS
IL BIOGAS IN AGRICOLTURA
Parte I. Processo e impiantistica
IL BIOGAS E LA DIGESTIONE ANAEROBICA
Il biogas è il prodotto della digestione anaerobica (di seguito abbreviata con D.A.), un processo di
fermentazione microbica della sostanza organica che si svolge in condizioni di anaerobiosi (assenza
di ossigeno libero).
La digestione anaerobica è un insieme complesso di reazioni, svolte da tre principali gruppi
microbici, naturalmente presenti nelle deiezioni e che lavorano in sequenza: idrolitici, acidificanti,
metanigeni. Nella prima fase di idrolisi i microorganismi degradano le molecole complesse in
molecole più semplici; i batteri acidificanti utilizzano queste molecole semplici per il loro
metabolismo, generando come prodotto di scarto acidi grassi volatili; questi ultimi sono impiegati
a loro volta dai batteri metanigeni che come prodotto di scarto del loro metabolismo generano
metano e anidride carbonica.
Figura 1. Le fasi della digestione anaerobica (modificato da AIEL, 2007).
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TIPOLOGIE DI PROCESSO
1. Classificazione in base al numero di matrici impiegate
Si parla di digestione mono-prodotto (o semplicemente digestione) quando al fermentatore viene
avviata solo una tipologia di prodotto (ad esempio, solo effluenti zootecnici).
Si parla di co-digestione quando si avvia a processo una miscela costituita da più matrici (ad
esempio, effluenti e biomasse vegetali).
Gli effluenti sono sempre necessari, in quanto forniscono la flora microbica necessaria per il processo
fermentativo.
Le altre biomasse invece vengono aggiunte per aumentare la resa in biogas.
Infatti, gli effluenti hanno un potenziale metanigeno limitato, in quanto sono già il prodotto di una
digestione (quella animale). Ciò è più marcato nel caso dei ruminanti, le cui deiezioni sono
particolarmente “povere” in sostanza organica, in quanto il risultato di due digestioni.
Tabella 1. Il potenziale metanigeno di alcune biomasse impiegate negli impianti di digestione
anaerobica (da AIEL, 2007).
Matrici
Deiezioni animali
Residui colturali (paglia, colletti di barbabietole…)
Scarti organici dell’agro-industria (siero di latte, lieviti,
fanghi di distilleria…)
Scarti organici della macellazione
FORSU (frazione organica della raccolta differenziata)
Colture energetiche (insilati)
Potenziale metanigeno
(m3 biogas/t SV*)
200-500
350-400
400-800
550-1000
400-600
550-750
* SV = Solidi Volatili o sostanza organica, frazione della sostanza secca
2. Classificazione in base alla temperatura di processo
A seconda della temperatura di esercizio si distingue tra:
Digestione
Psicrofila
Mesofila
Termofila
Temperatura
ambiente (10-25 °C)
35-40 °C
50-55 °C
I tre regimi termici sono nettamente distinti tra di loro, in quanto si sviluppano ceppi microbici
adatti a lavorare a una determinata temperatura. In questo senso, non è possibile passare da un
regime termico all’altro, e se la temperatura sfora dal range di lavoro, il processo fermentativo si
blocca.
All’aumento della temperatura di esercizio, ossia passando dalla digestione psicrofila a quella
termofila:
- si riduce il tempo di ritenzione, ovvero il tempo necessario per la digestione anaerobica delle
matrici introdotte;
- aumenta la produzione di biogas a parità di matrici introdotte;
- diminuisce la stabilità di processo: i batteri termofili sono molto sensibili alle variazioni
ambientali, in particolare agli sbalzi termici.
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Focus: gli impianti di digestione anaerobica psicrofila
Sono impianti semplificati, basati essenzialmente sul recupero del gas di fermentazione che si forma
naturalmente durante il periodo di stoccaggio, con risvolti positivi dal punto di vista ambientale, oltre che
economico.
La copertura è generalmente di tipo galleggiante, in materiale plastico flessibile, in grado di gonfiarsi
all’aumentare della pressione del gas che si libera dalla massa in stoccaggio. Questo viene poi convogliato
all’unità di cogenerazione per l’utilizzo.
Figura 2. Impianto di digestione anaerobica psicrofila basato sulla copertura della vasca di stoccaggio dei
liquami (foto ECOMEMBRANE).
Poco diffusa per la bassa produttività in biogas, è invece una soluzione adatta per quelle aziende che
vogliono recuperare l’energia residua dagli effluenti con un piccolo investimento, in grado anche di
rispondere all’esigenza, sempre più sentita, di ridurre le emissioni di gas e odori per ottemperare le
richieste della normativa ambientale e ridurre i conflitti con le aree residenziali confinanti.
3. Classificazione in base al tipo di substrato e alla modalità di alimentazione
In base alla consistenza palabile o non palabile delle matrici in entrata si distinguono due tipologie
di processo: quella a “secco” e quella a “umido”.
% s.s. matrici
> 30%
< 12% ca
Tipologia di processo
Digestione “a secco”
Digestione “a umido”
Digestione a secco
Un impianto per la digestione anaerobica a “secco” è costituito da una o più celle di
fermentazione, dotate di sistema di riscaldamento e di portoni a chiusura ermetica per il carico e
lo scarico del materiale. A differenza della versione a “umido” il processo è discontinuo: il
materiale fresco viene caricato all’interno della cella per mezzo di trattrici munite di pala
meccanica frontale, viene sottoposto al processo di fermentazione e al termine viene asportato e
mandato allo stoccaggio in attesa della destinazione finale (distribuzione agronomica nel caso
delle matrici agro-zootecniche). Il percolato che si forma durante il processo fermentativo viene
raccolto, ricircolato e irrorato sul cumulo in fermentazione mediante ugelli installati sul soffitto
della cella. Il ricircolo del percolato è particolarmente importante per lo sviluppo del processo
biologico in quanto consente di distribuire i batteri metanigeni sul prodotto, riscaldarlo e
mantenere un livello di umidità omogeneo su tutta la massa.
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Il biogas che si forma viene convogliato in un gasometro a sacco posto sopra la soletta della cella
di fermentazione; da qui viene poi avviato ai trattamenti di desolforazione/deumidificazione e
all’utilizzo finale, che potrà essere la produzione di energia termica, elettrica o di biometano.
Figura 3. Un impianto di digestione anaerobica a secco operante con letame bovino e insilati. Da sinistra:
panoramica delle celle di fermentazione; una cella di fermentazione caricata con materiale fresco e pronta
per essere chiusa; il gasometro posto al secondo piano dell’edificio.
La produzione di biogas è discontinua ma avendo più celle a disposizione è possibile ottenere una
produzione costante grazie a cicli di fermentazione scaglionati nel tempo (Figura 4).
Figura 4. Con più celle di fermentazione che lavorano in modo scaglionato è possibile avvicinarsi a una
produzione di biogas costante nel tempo.
Digestione a umido
La D.A. “a umido” è quella che ha avuto la maggiore diffusione nel settore agro-zootecnico. Gli
impianti sono costituiti da una o più vasche in c.a. o acciaio, a sezione circolare, parzialmente
interrate o fuori terra, dotate di una copertura a tenuta di gas e di sistemi di coibentazione e
miscelazione.
La D.A. a umido è un processo continuo: si ha un flusso continuo di materiale fresco in entrata e di
materiale digerito in uscita. Con riferimento al numero di digestori che compongono l’impianto si
può parlare di impianto a singolo stadio o multi-stadio. Negli impianti a più stadi l’alimentazione
può essere:
- in serie: l’alimento entra nel primo digestore, poi la massa passa al successivo. Con più reattori è
anche possibile differenziare i parametri ambientali (temperatura, pH) tra i diversi fermentatori
per favorire dapprima le reazioni di idrolisi e acidificazione e poi quella di metanizzazione;
- in parallelo: l’alimento viene suddiviso e introdotto in tutti i fermentatori, che lavorano
contemporaneamente.
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LE SEZIONI DI UN IMPIANTO A BIOGAS
Il riferimento è a un tipico impianto a biogas agricolo, a umido, alimentato con una miscela di
effluenti e insilati.
1. PREPARAZIONE DELLE MATRICI
2. DIGESTIONE ANAEROBICA
3. RACCOLTA DEL BIOGAS
4. TRATTAMENTO E UTILIZZO DEL BIOGAS
5. GESTIONE DEL DIGESTATO
1. PREPARAZIONE DELLE MATRICI
1a. Raccolta e preparazione
Effluenti zootecnici
Gli effluenti (letame e liquame) devono essere avviati all’impianto di digestione anaerobica il più
rapidamente possibile: considerato infatti che le fermentazioni microbiche a carico della sostanza
organica presente nelle deiezioni iniziano già a poche ore dall’escrezione, maggiore è il tempo che
intercorre tra questa e l’inserimento nel digestore minore sarà il potere metanigeno degli
effluenti.
Ne consegue che la realizzazione di un impianto a biogas nell’azienda agricola va a modificare il
sistema di stabulazione/raccolta delle deiezioni e in generale la gestione della stalla. Alcuni
esempi:
- stabulazione su grigliato: all’accumulo dei liquami sotto grigliato vanno preferiti sistemi che
prevedono l’allontanamento rapido delle deiezioni, come la rimozione quotidiana mediante
raschiatore meccanico sotto grigliato;
- nel caso della stabulazione su lettiera la pulizia dei box va effettuata con frequenze di almeno 1520 giorni;
- per la lettiera vanno esclusi materiali lignei come segatura e truciolo: la lignina infatti è un
materiale recalcitrante alla degradazione microbica, quindi non è utile alla produzione di biogas.
Inoltre la segatura tende a formare sedimento sul fondo del digestore, riducendone a lungo
andare il volume utile, e richiedendo periodiche operazioni di pulizia;
- va preferito l’uso di paglia trinciata a quella lunga perché di più rapida degradazione e crea
minori problemi di ostruzione delle pompe di carico e delle tubazioni;
- va prestata attenzione all’uso di antibiotici per gli animali e di disinfettanti ambientali (ad
esempio per la pulizia dei box alla fine del ciclo di ingrasso nell’allevamento del vitello a carne
bianca): i residui antibiotici presenti nelle deiezioni e i disinfettanti presenti nelle acque di lavaggio
e poi avviate alla digestione anaerobica hanno effetti inibitori anche per la flora microbica
responsabile delle fermentazioni anaerobiche nel digestore, quindi possono portare al blocco del
reattore e della produzione di biogas;
- va prestata attenzione alla presenza di corpi estranei inerti come corde, plastica, pietre etc..che
possono causare l’intasamento/otturazione delle tubazioni, delle pompe o dei sistemi di
miscelazione, nonché sedimentarsi sul fondo del digestore riducendone a lungo andare il volume
utile.
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L’introduzione in azienda di un impianto di digestione anaerobica può essere l’occasione per migliorare la
gestione complessiva dell’azienda, con riflessi positivi sia dal punto di vista del benessere animale che
ambientale. Alcuni esempi:
- l’attenzione all’uso dei trattamenti farmacologici comporta una gestione zootecnica più responsabile per
ridurre l’insorgere di patologie negli animali;
- l’allontanamento rapido delle deiezioni dalla stalla riduce le emissioni di gas nocivi prodotti dalle
fermentazioni a carico delle deiezioni, con un miglioramento della qualità dell’aria all’interno del ricovero;
- la paglia trinciata rispetto a quella lunga migliora la qualità delle lettiere perché assorbe meglio le urine,
mantenendo la lettiera asciutta, con riflessi positivi per il benessere e la salute degli animali.
Insilati
Possono essere impiegati insilati di mais, triticale, orzo, medica…I sistemi di insilamento e di
stoccaggio sono analoghi a quelli adottati per la produzione di insilati destinati all’alimentazione
animale. Va prestata attenzione nelle pratiche gestionali per evitare la presenza inerti quali di
corde, sassi, terra, plastica che possono essere caricati accidentalmente assieme all’insilato ed
essere inseriti nel digestore, comportando il rischio di occlusioni, intasamenti dei sistemi di carico,
di miscelazione e la riduzione del volume utile.
1b. Pretrattamento
Il pretrattamento ha lo scopo di:
- omogeneizzare le matrici in ingresso, riducendole in pezzatura piccola e omogenea;
- rendere disponibile il contenuto cellulare di matrici ligneo-cellulosiche;
- miscelare le diverse componenti (liquida e solida).
L’obiettivo è quello di:
 evitare fenomeni di occlusione a carico di pompe e agitatori;
 aumentare la superficie di attacco dei microorganismi e quindi la produzione di biogas;
 ridurre i tempi di permanenza del substrato all’interno del digestore;
 evitare la formazione di “cappelli” o di sedimenti.
E’ particolarmente necessario per prodotti costituiti da materiali fibrosi come paglia/stocchi o a
lenta degradabilità come letami e insilati.
Esistono diverse tipologie di pretrattamento:
I. processi di tipo di tipo fisico-meccanico: trinciatura, sfibratura, sminuzzatura (operazioni
eseguibili con un carro trincia-miscelatore o un carro unifeed); estrusione; ultrasuoni;
II. processi di tipo termico: ad esempio la steam explosion: processo idrotermico che consiste
nell’uso di vapore saturo ad alta pressione;
III. processi di tipo chimico o enzimatico: utilizzo di agenti acidi/basici/ossidanti o di enzimi
cellulosolitici.
Il sistema più diffuso negli impianti a biogas di tipo agricolo è il trattamento fisico-meccanico di
trinciatura/miscelazione. Questo può essere realizzato con un carro trincia-miscelatore o un carro
unifeed oppure in appositi container/cassoni di carico dei prodotti palabili, contestualmente al
carico nel digestore (Figura 5).
Gli altri trattamenti permettono di aumentare la digeribilità dei prodotti, tuttavia richiedono costi
maggiori (energetici o per l’acquisto dei reagenti) e pertanto sono indicati per substrati
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particolarmente recalcitranti (es. vinacce, sfalci di potatura..) e per applicazioni in cui ci sono
margini economici sufficienti a sostenerne i costi.
Figura 5. Un container per il carico dei materiali palabili all’interno del digestore anaerobico. Dettaglio delle
coclee di carico che provvedono anche alla miscelazione del prodotto.
1c. Carico nel digestore
A seconda delle soluzioni progettuali, le matrici solide e liquide possono essere inserite nel
digestore separatamente, oppure preventivamente miscelate tra di loro. In entrambi i casi servono
delle strutture di accumulo in grado di contenere almeno le quantità avviate a digestione in un
giorno.
Materiali non palabili
Dalla stalla i liquami possono essere convogliati attraverso pompe e tubazioni interrate oppure
trasportati mediante carro-botte a una vasca polmone di accumulo progettata per contenere
l’alimentazione di uno o due giorni (Figura 6). Da qui vengono avviati al digestore tramite pompe
che lavorano in automatico secondo il programma di alimentazione impostato. La vasca di
accumulo può essere dotata di sistema di miscelazione per evitare la formazione di sedimenti o di
“cappelli”. Per ridurre lo sbalzo termico tra la massa in digestione e quella introdotta e mantenere
costante la temperatura all’interno del digestore, la vasca di accumulo viene realizzata, se
possibile, interrata (in questo modo si evita il raffreddamento eccessivo, soprattutto in inverno) ed
eventualmente dotata di sistema di riscaldamento.
Figura 6. Vasca di accumulo dei liquami a servizio di un impianto di digestione anaerobica. I liquami
vengono scaricati dal carro-botte con cui sono stati trasportati.
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Materiali palabili
I materiali palabili devono essere stoccati all’interno di capannoni coperti, per evitarne il
dilavamento con le acque meteoriche.
Per il loro inserimento nel digestore, possono essere miscelati insieme ai liquami direttamente
nella vasca di accumulo di questi ultimi, che dovrà quindi obbligatoriamente essere dotata di
organi di miscelazione ed eventualmente anche di triturazione per evitare fenomeni di occlusione
delle pompe e delle tubazioni di carico. In alternativa vengono previsti degli appositi cassoni o
container di alimentazione dai quali il prodotto viene caricato nel fermentatore. Questi cassoni
sono in genere dotati di sistemi per la pesatura del materiale e per la sua miscelazione.
Figura 7. Cassoni e vasche per il carico dei materiali palabili nel digestore.
2. DIGESTIONE ANAEROBICA
I digestori a umido sono delle vasche in cemento armato o in acciaio, a sezione circolare e a
sviluppo verticale. Possono essere realizzate fuori terra o parzialmente interrate, a seconda della
possibilità di approfondirsi nel terreno con gli scavi. L’interramento agevola l’opera di
coibentazione in quanto attenua gli sbalzi termici stagionali. L’impianto può essere realizzato in
opera o con soluzioni prefabbricate. Le vasche di reazione sono coibentate, riscaldate e miscelate.
Figura 8. Esempi di digestori anaerobici operanti presso aziende zootecniche, entrambi parzialmente
interrati e con copertura a doppia membrana.
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La miscelazione
La miscelazione della massa all’interno del digestore è necessaria per:
- evitare la stratificazione di materia e di temperatura all’interno del digestore;
- favorire il contatto dei microorganismi con il substrato fresco introdotto;
- favorire l’allontanamento delle bolle di biogas che si formano nella massa liquida.
Può essere di tipo meccanico o idraulico.
La miscelazione meccanica prevede l’uso di pale variamente orientate, di varia forma e
dimensione, con motore interno o esterno al digestore (Figura 9).
La miscelazione di tipo idraulico prevede invece il ricircolo della massa in digestione tramite una
pompa esterna che preleva il liquido dal basso e lo ridistribuisce dall’alto, a getto sopra il pelo
libero. La pompa di ricircolo può essere dotata di un sistema di triturazione per rompere gli
eventuali agglomerati che si formano. La miscelazione idraulica viene impiegata in abbinamento a
quella meccanica, in particolare negli impianti alimentati con matrici fibrose come insilati, per
evitare o ridurre la formazione del “cappello” e di agglomerati solidi.
Figura 9. Esempi di miscelatori meccanici impiegati per la movimentazione della massa in digestione
anaerobica (a- SCHMACK BIOGAS; b- CRPA; c- ESCO BIOGAS).
a
b
c
Il riscaldamento
Nel caso di impianti operanti in mesofilìa o termofilìa il riscaldamento è necessario per mantenere
la temperatura all’interno del digestore nel range voluto, 35-40°C o 50-55°C.
Si realizza in tre modi differenti, complementari tra loro:
1. Coibentazione del digestore
2. Riscaldamento del digestore
Viene realizzato con uno scambiatore di calore dove il fluido di riscaldamento è l’acqua calda
proveniente dal cogeneratore.
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Lo scambiatore di calore può essere:
- interno al digestore (Figura 10):. Si tratta di un fascio tubiero posto nel perimetro interno del
digestore. All’interno delle condotte scorre acqua calda che riscalda la massa in digestione. E’ la
soluzione più diffusa negli impianti a biogas agricoli.
- esterno al digestore (Figura 10): il fascio tubiero è costituito da due condotte, una interna
all’altra: in quella più interna scorre il digestato, in quella più esterna l’acqua calda. I due fluidi
viaggiano controcorrente. Questa soluzione prevede il ricircolo della massa in digestione che viene
estratta dal digestore, pompata attraverso lo scambiatore di calore e nuovamente reinserita nel
digestore. A fronte di un maggiore ingombro rispetto allo scambiatore interno, la soluzione
esterna offre il vantaggio di una maggiore elasticità e facilità delle operazioni di manutenzione, in
quanto è possibile operare senza interrompere il normale funzionamento del digestore. Nel caso
dello scambiatore interno per effettuare manutenzioni è invece necessario bloccare l’impianto e
svuotare il digestore.
Figura 10. Sinistra: scambiatore di calore interno al digestore (foto IES BIOGAS). Destra: scambiatore di
calore esterno (foto PROGECO BIOGAS).
Qual è il consumo di calore di cogenerazione per la termostatazione del digestore?
Un esempio:
 Impianto agricolo alimentato a reflui bovini (letame e liquame) e insilati a servizio di un
allevamento di bovini da carne della Provincia di Padova, con potenza nominale installata del
cogeneratore di 560 kW elettrici e 650 kW termici, comprensivi del recupero fumi (=recupero del
calore dei fumi di combustione al camino).
 La quota di energia termica destinata alla termostatazione ammonta a circa il 50% in inverno (325
kWth) e al 10% in estate (65 kWth) della potenza termica installata.
(da Guercini et al., 2014)
3. Riscaldamento del materiale in ingresso al digestore
Necessario nelle località a clima rigido, dove introdurre elevate quantità di biomasse fredde
causerebbe l’abbassamento della temperatura nel digestore, rischiando il blocco del processo.
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3. RACCOLTA DEL BIOGAS
Il biogas che si libera dalla massa in digestione può essere raccolto sul posto oppure inviato a un
gasometro esterno.
1. Gasometro” incorporato”
La copertura del digestore funge anche da accumulo del biogas prodotto. E’ la soluzione più
diffusa nel settore agricolo. Generalmente si tratta di coperture a doppia membrana, dove quella
esterna ha la funzione di protezione dagli agenti atmosferici mentre la seconda è la membrana
gasometrica vera e propria. Si vengono così a creare due camere d’aria: quella esterna, riempita
d’aria, e quella interna, occupata dal biogas. Dato che la produzione di biogas non è costante nel
tempo, per mantenere costante la sua pressione in uscita (al cogeneratore) si regola la pressione
della camera d’aria esterna, che viene aumentata quando la pressione del gas diminuisce e
viceversa. A regolare la pressione dell’aria nella camera esterna è un compressore comandato da
un sensore.
2. Gasometro esterno
E’una soluzione diffusa nel settore civile, ad esempio negli impianti di biogas a servizio dei
depuratori dei reflui urbani, o industriale.
SI tratta di cupole gasometriche autonome rispetto al digestore, di varia forma.
Figura 11. Esempi di gasometri esterni: a- a “pallone” a tripla membrana; b e c- a “sacco” racchiuso in un
silo in lamiera zincata (da Guercini et al., 2011).
b
a
4. TRATTAMENTO E UTILIZZO DEL BIOGAS
Il biogas, per la sua componente in metano (Tabella 2), può essere:
a. impiegato come combustibile per la produzione di energia termica/elettrica;
b. trasformato in biometano per l’autotrazione.
Tabella 2. Composizione media del biogas (da Ministero dell’Agricoltura).
Componente
Metano (CH4)
Anidride carbonica (CO2)
Idrogeno (H2)
Azoto (N2)
Monossido di carbonio (CO)
Idrogeno solforato (H2S)
Acqua (H2O)
11
% in volume
50-75
25-45
1-10
0.5-3
0.1
0.02-0.2
saturazione
c
In tutti i casi servono dei pretrattamenti per eliminare il vapore acqueo e i composti solforati, che
possono danneggiare i motori di combustione.
PRETRATTAMENTI
Rimozione del vapore acqueo
Si realizza raffreddando il gas in modo da far condensare il vapore. Il primo accorgimento è
l’interramento della condotta che trasporta il biogas dal gasometro al cogeneratore. L’acqua di
condensa viene raccolta in appositi pozzetti grazie a un’opportuna pendenza della tubazione. Se
questo trattamento primario non è sufficiente, la condotta viene fatta passare attraverso uno
scambiatore di calore (gruppo frigorifero) per l’ulteriore raffreddamento del gas.
Desolforazione
Si può realizzare mediante un processo chimico o biologico.
 desolforazione chimica: aggiunta di sali di ferro, come cloruro ferroso (FeCl2), cloruro
ferrico (FeCl3) o solfato di ferro (FeSO4) in soluzione nel digestore. I sali di ferro reagiscono
con l’idrogeno solforato presente nella massa liquida formando solfuro di ferro, molecola
non volatile, che rimane disciolta in soluzione e viene allontanata con il digestato.
 desolforazione biologica: si sfrutta l’attività dei solfobatteri che trasformano l’H2S in zolfo
elementare. Per la loro attività i solfobatteri hanno bisogno di ossigeno, che viene
introdotto in moderate quantità (fino al 4% in volume) insieme al biogas. La rimozione
biologica può essere realizzata direttamente all’interno del digestore o in una torre esterna
(scrubber).
Figura 12. Le strutture interne al digestore, come le travi in legno, la rete metallica di protezione per la
copertura e le stesse pareti della vasca diventano il supporto per la crescita dei batteri che operano la
desolforazione. A sinistra, l’interno di un digestore in costruzione (foto: Cattaneo, 2014). A destra, in
evidenza le incrostazioni di zolfo sulle pareti interne del digestore.
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Figura 13. La desolforazione biologica può essere realizzata anche in una torre esterna (scrubber), ovvero
una colonna riempita di un medium sul quale si sviluppa il film batterico che viene attraversata dal biogas.
Per sostenere l’attività dei solfobatteri viene introdotta anche acqua e aria (o ossigeno puro) (schema: da
Vienna University of Technology).
Focus: la desolforazione interna e i problemi di corrosione.
Iniziano a emergere i problemi di corrosione delle parti interne dei digestori causate dalla desolforazione,
quando questa viene realizzata all’interno dei fermentatori, sia per via biologica o chimica. Nel primo caso il
metabolismo dei solfobatteri trasforma l’idrogeno solforato in zolfo elementare e solfato, dal quale si
forma facilmente, in ambiente acquoso, acido solforico, un potente corrosivo. Nel secondo caso il problema
si manifesta con l’impiego dei sali di ferro a base di cloro: questo elemento, in presenza di ossigeno
atmosferico, può indurre corrosione delle parti metalliche come i miscelatori o le pareti stesse del
digestore, anche se realizzate in acciaio pregiato.
I fenomeni corrosivi possono emergere già dopo pochi anni di esercizio degli impianti, e comportano un
impegno notevole per le operazioni di manutenzione straordinaria, per la sostituzione delle travi e di altre
strutture/attrezzature interne.
Tra gli accorgimenti da adottare per ridurre questi fenomeni:
- la scelta di materiali idonei per le strutture e le attrezzature
- l’abbandono della desolforazione interna a favore di soluzioni esterne al digestore.
(da Navarotto, 2015)
A. IMPIEGO DEL BIOGAS PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA TERMICA ED ELETTRICA
Il biogas così pretrattato può essere inviato a una caldaia, per la sola produzione di energia
termica, a un generatore, per la sola produzione di energia elettrica, oppure a un cogeneratore per
la produzione congiunta di energia elettrica e termica. Quest’ultima è la soluzione che si è imposta
in via pressoché esclusiva in quanto:
- l’energia elettrica è il “prodotto” vero e proprio ricercato dai produttori di biogas: è quello
che genera reddito, grazie agli incentivi al kWh elettrico da fonte rinnovabile previsti dalla
normativa vigente (DM 6 luglio 2012);
- l’energia termica serve per la termostatazione del digestore.
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Figura 14. Schematizzazione dell’uso del biogas per la produzione di energia termica ed elettrica tramite
un’unità di cogenerazione (CHP unit= Combined Heat and Power unit).
Il cogeneratore può essere un motore endotermico alternativo (Ciclo Otto o Ciclo Diesel
modificato) oppure una turbina.
Il motore endotermico è la soluzione più diffusa in quanto consente un rendimento elettrico
superiore a quello delle turbine (35-42% contro il 18-20%) e quindi permette di sfruttare meglio
l’attuale sistema incentivante, che premia solo la produzione di energia elettrica.
A seconda delle soluzioni impiantistiche e della disponibilità aziendale, le unità di cogenerazione
sono fornite dalla ditta costruttrice all’interno di appositi container insonorizzati oppure installate
all’interno di edifici in muratura (Figura 15).
Figura 15. Unità di cogenerazione installata in un container insonorizzato (sinistra) e all’interno di un
edificio (destra).
La cogenerazione si realizza abbinando al motore di combustione uno scambiatore di calore per il
recupero del calore del circuito di raffreddamento del motore stesso ed eventualmente anche
quello dei fumi di combustione al camino (comunemente detto “recupero fumi”).
Lo scambiatore di calore è costituito da un fascio tubiero al cui interno scorre acqua. L’acqua così
riscaldata (a circa 80°C) viene impiegata prima di tutto per la termostatazione del digestore stesso;
le eventuali eccedenze sono destinate ad altri usi aziendali, come ad esempio il riscaldamento dei
locali di servizio, degli uffici, dei ricoveri di allevamento, l’essiccazione di foraggi/cippato/del
digestato etc...Per la sola termostatazione del digestore è sufficiente il calore recuperato dal
circuito di raffreddamento del motore. Solitamente quindi, a meno di usi particolari, negli impianti
a biogas agricoli viene previsto solo il recupero del calore dal motore.
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Rese medie di un cogeneratore (generatore costituito da un motore endotermico e potenza termica
comprensiva del recupero del calore dai fumi al camino):
1 m3 biogas  1,8-2 kWh elettrici + 2-3 kWh termici
(da AIEL, 2007)
La torcia di sicurezza
In occasione di interventi di manutenzione (ordinaria o straordinaria) dell’unità di cogenerazione,
il biogas deve essere stoccato nei gasometri. Questi sono dimensionati per poter accumulare il
volume prodotto in alcuni giorni, ma quando i volumi di accumulo sono al limite, non potendo
fermare la produzione, il biogas deve essere bruciato in una torcia ausiliaria (Figura 16).
Figura 16. Torcia di sicurezza a servizio di un impianto a biogas agricolo.
B. UPGRADING PER LA PRODUZIONE DI BIOMETANO
Il biogas, dopo i pretrattamenti di desolforazione e rimozione del vapore acqueo può essere
ulteriormente raffinato (“upgraded”) per la produzione di biometano. Il processo di upgrading
consiste nella rimozione di tutti i componenti estranei al fine di ottenere un gas metano con un
grado di purezza e un Potere Calorifico Inferiore (PCI) compatibili con il metano di rete.
In una prima fase vengono rimossi il vapore acqueo, l’idrogeno solforato l’ammoniaca etc, in un
processo simile a quello a cui è sottoposto il biogas destinato alla cogenerazione. Segue il processo
di upgrading vero e proprio, che consiste nella rimozione dell’anidride carbonica, dei composti
odorigeni e nell’addizione di propano.
I costi del processo di upgrading si aggirano intorno ai 13 € /kg di biometano prodotto, imputabili
principalmente alle operazioni di rimozione dell’anidride carbonica (Proietti, 2009).
5. GESTIONE DEL DIGESTATO
Il digestato è un sottoprodotto ed è destinato ad utilizzazione agronomica secondo le regole del
Decreto Interministeriale n. 5046 del 25 febbraio 2016 e della buona pratica agricola.
Caratteristiche del digestato
Il digestato presenta un valore agronomico superiore a quello del liquame/letame di partenza in
quanto si tratta di un prodotto:
- stabilizzato dal punto di vista delle fermentazioni;
15
-
-
inodore;
con un rapporto Azoto ammoniacale/Azoto totale superiore a quello del liquame di
partenza, effetto della mineralizzazione della sostanza organica realizzata durante il
processo fermentativo, che conferisce al digestato un carattere marcatamente
fertilizzante;
parzialmente sanitizzato, in particolare se derivante dalla digestione termofila.
Relativamente a questo ultimo aspetto vale la pena di specificare tuttavia che le condizioni
ambientali presenti all’interno dei digestori possono sia limitare ma anche favorire lo sviluppo di
eventuali patogeni presenti nelle deiezioni di partenza. La Salmonella, ad esempio, è un
microorganismo anaerobio facoltativo, che può trovarsi svantaggiato in condizioni di anaerobiosi
stretta come quelle all’interno dei fermentatori, ma favorito dalle condizioni di temperatura, dato
che il range in cui operano gli impianti mesofili (38-42° circa) corrisponde all’optimum di sviluppo
del patogeno normalmente impiegato nelle metodiche di coltivazione di laboratorio.
Lo stoccaggio del digestato previsto per legge (180 giorni per il digestato tal quale o per la frazione
separata liquida, 90 giorni per la frazione separata solida) risulta quindi utile per garantire
l’abbattimento della carica patogena eventualmente ancora presente (GHGE, 2014).
 La digestione anaerobica non modifica il volume né il tenore in azoto del prodotto di
partenza. Da questo punto di vista non è una soluzione al problema delle eccedenze di
azoto rispetto ai limiti imposti dalla Direttiva Nitrati.
Se il digestato è assimilato a un effluente, nel caso di digestati misti da codigestione (ad esempio di liquame
e insilati) tutto l’azoto in esso contenuto viene considerato di origine zootecnica e soggetto ai limiti della
Direttiva Nitrati o solo la quota proveniente da liquami/letami?
Per la Regione Veneto vale la seconda intepretazione:
Nei digestati “misti” da co-digestione solo alla frazione di azoto che deriva dai reflui zootecnici viene
applicato il limite di 170 o 340 kgN/ha anno per le zone vulnerabili od ordinarie, rispettivamente. La
rimanente quantità di azoto presente nel digestato concorre al raggiungimento del MAS (quantitativo
massimo di azoto applicabile) della coltura.
Da considerare che sia la frazione di azoto animale, che sottostà al limite massimo di azoto totale 170/340
kg/ha applicabile, sia la frazione di azoto vegetale, sono conteggiate per il raggiungimento del MAS nella
loro quota efficiente.
Separazione solido-liquido
E’ una buona pratica che permette di migliorare la gestione del digestato sia nella fase di
stoccaggio che in quella di distribuzione agronomica.
Che cos’è
Come dice il nome, la separazione solido-liquido rimuove dal liquame una parte più o meno
rilevante dei solidi e della sostanza organica, che vanno a costituire la frazione solida palabile.
Nella frazione solida si trasferisce una parte consistente dell’azoto organico e del fosforo; in quella
liquida residua resta invece buona parte dell’azoto inorganico (sotto forma di ammonio) e del
potassio.
I vantaggi
16
I vantaggi offerti dalla separazione solido-liquido sono diversi.
1) Si riduce il volume del prodotto da stoccare e, successivamente, da distribuire;
2) si riduce il tenore in azoto del digestato, quindi la superficie di terreno necessaria per lo
spandimento (la riduzione di superficie è pari alla riduzione di azoto dal liquame);
3) La frazione solida, e l’azoto in essa contenuto, può essere trasportata a maggiori distanze dal
centro aziendale con costi contenuti rispetto al digestato di partenza e/o ceduta a terzi (es.
aziende orticole, floro-vivaistiche);
4) La riduzione del contenuto in solidi del digestato: a) limita la stratificazione dello stesso nella
vasca di stoccaggio, quindi la formazione di deposito sul fondo o di crosta superficiale; b) ne
migliora la pompabilità nella fase di prelievo per la distribuzione; c) ne favorisce la sua
percolazione nel terreno una volta distribuito, riducendo le emissioni di ammoniaca.
Figura 17. Il digestato tal quale, soprattutto se costituito da materiali fibrosi come insilati, paglie, stocchi
etc. tende a formare una crosta superficiale che può creare problemi alle pompe e ai dispositivi di carico
durante le fasi di prelievo per la distribuzione agronomica (sinistra). La separazione solido liquido consente
invece di alleggerire il digestato rendendolo più fluido e omogeneo (destra).
Le attrezzature per la separazione solido-liquido
Si dividono in tre gruppi sulla base dell’efficienza di separazione, ovvero la capacità di trasferire
quantitativi più o meno consistenti di solidi sospesi, azoto, fosforo e potassio dal liquame di
partenza alla frazione solida:
- dispositivi a bassa efficienza: vagli statici, i vibro-vagli e i tamburi rotanti;
- dispositivi a media efficienza: vagli a compressione elicoidale (anche conosciuti come a vite
continua) o a rulli prementi (Figura 18);
- dispositivi ad alta efficienza: separatori centrifughi -o decanter- (Figura 19).
Le attrezzature più diffuse sono quelle del secondo gruppo, grazie al buon compromesso tra costo
di acquisto, costo di gestione, efficienza di separazione e robustezza costruttiva.
Tabella 3. Efficienza di rimozione dei solidi totali, dell’azoto totale e del fosforo conseguita con un
separatore a vite (compressore elicoidale) e con una centrifuga (senza uso di polielettroliti) su digestato. I
dati si riferiscono a una prova eseguita su un digestato da liquame di bovine da latte.
Parametro
Solidi totali (% tal quale)
Separatore a vite continua
30,7
17
Centrifuga ad asse orizzontale
54,5
Azoto totale (TKN, %ss)
Fosforo totale (P-PO43-, %ss)
9,6
8,6
19,4
59,2
Figura 18. Esempi di separatore a vite continua operanti presso aziende zootecniche.
Figura 19. Centrifuga ad asse orizzontale operante su digestato zootecnico.
Copertura degli stoccaggi
Altra buona pratica è la copertura della vasca di stoccaggio del digestato (sia esso tal quale o
separato liquido).
La copertura infatti:
- evita l’ingresso di acque meteoriche, preservando la capacità di stoccaggio della struttura;
- contiene le emissioni di gas in atmosfera (ammoniaca, metano);
- consente, se la copertura viene realizzata a tenuta come quella dei fermentatori, il
recupero di una quota di biogas che altrimenti andrebbe persa in atmosfera.
Il digestato è un prodotto “scarico” perché già fermentato, quindi il suo potenziale metanigeno è
inferiore a quello del liquame di partenza; tuttavia le emissioni dallo stoccaggi sono superiori nel
caso del digestato che del liquame in quanto le fermentazioni anaerobiche continuano anche in
vasca di stoccaggio (Tabella 4).
Tabella 4. Potenziale metanigeno ed emissioni di metano dalla vasca di stoccaggio di un liquame tal quale e
del digestato a confronto (da Rodhe, 2012)
18
Matrice
Liquame tal quale
Digestato
Potenziale metanigeno
(Nml CH4/ g SV)
270
121
Emissione
(g CH4 /m3 giorno)
2,23
6,94
Figura 20. Esempi di diverse tipologie di coperture. a- copertura di tipo galleggiante a effetto schermante
con argilla espansa; b- copertura di tipo galleggiante a effetto schermante con teli impermeabili; - ,
copertura galleggiante con sistema di recupero delle acque meteoriche nonché del biogas prodotto (foto
ECOMEMBRANE); d- coperture di tipo fisso ancorate ai bordi.
a
b
c
d
19
BIBLIOGRAFIA
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disciplina regionale dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque
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Proceedings of the EMILI - International Symposium on emission of gas and dust from livestock,
10-13/06/2012, Saint-Malo, France, p. 25
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Pubblicazione realizzata da:
Veneto Agricoltura, Settore Bioenergie e Cambiamento Climatico - nell’ambito del Progetto Nitrant 2014
Responsabile del Progetto:
Federico Correale Santacroce
Veneto Agricoltura, Settore Bioenergie e Cambiamento Climatico
Gruppo di Progetto:
Loris Agostinetto, Fabiano Dalla Venezia, Clelia Rumor
Veneto Agricoltura, Settore Bioenergie e Cambiamento Climatico
Testi e foto (dove non diversamente citato):
Clelia Rumor
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