TAR Lazio, sentenza 5 luglio 2011, n. 5880

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TAR Lazio, sentenza 5 luglio 2011, n. 5880
N. 11141/2009 REG.RIC.
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N. 05880/2011 REG.PROV.COLL.
N. 11141/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11141 del 2009, proposto da:
Marco Di Porto, rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele Pendibene, con
domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Roma, via Po, 28;
contro
-la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Commissione per le provvidenze
ai perseguitati politici antifascisti o razziali, in persona del legale
rappresentante p.t.;
-Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t.;
rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
a)del provvedimento emanato dalla Commissione per le provvidenze ai
perseguitati politici antifascisti o razziali – Presidenza del Consiglio dei
Ministri – n. 90897 del 22.9.2009 notificato in data 7 ottobre 2009;
b)di ogni provvedimento consequenziale e/o presupposto, o comunque
connesso;
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Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei
Ministri - Comm.Ne Provvidenze Perseguitati Politici Antifascisti o
Razziali e di Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore designato per l'udienza pubblica del giorno 6 aprile 2011 il dott.
Domenico Lundini e uditi per le parti i difensori come specificato nel
verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Sig. Marco Di Porto, nato a Roma il 24 maggio 1944, ha presentato
istanza, in data 21.7.2008, alla Commissione per le provvidenze ai
perseguitati politici antifascisti o razziali, costituita presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri, volta ad ottenere la qualifica di perseguitato razziale
ai fini del conseguimento dei benefici di cui alle leggi nn. 541/1971,
336/1970 e 17/1978.
Con delibera n. 90897 del 22.9.2009 la Commissione predetta, riscontrando
la domanda di cui sopra, non ha riconosciuto all’istante la qualifica di
perseguitato razziale ai fini dell’applicazione delle leggi n. 541/71 e n.
140/85, sul rilievo che “la città di Roma è stata liberata dall’occupazione
nazi-fascista il 4 giugno 1944” e che “dall’esame degli atti non risulta che
l’istante abbia riportato alcun pregiudizio fisico o economico o morale, così
come prescritto dall’art. 1 della succitata legge n. 1/78 per il
riconoscimento della qualifica richiesta”.
Avverso tale determinazione è insorto tuttavia il Sig. Di Porto dinanzi a
questo Tar, deducendo, con un unico articolato motivo, violazione dell’art.
1 della legge n.1/78, dell’articolo unico della L. n. 541/71, difetto di
motivazione, eccesso di potere per travisamento dei fatti, sviamento ed
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illogicità,
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carenza
di
istruttoria,
in
proposito
prospettando
(e
documentando) di essere nato, in condizioni di difficoltà, il 24.5.1944 (in
pieno regime nazi fascista), non in una casa o in ospedale ma in un istituto
di suore dove i suoi genitori si erano dovuti rifugiare per sfuggire alle
persecuzioni, e che la Commissione intimata ha omesso ogni istruttoria, per
gli effetti di cui alla legge n. 17/78, in ordine alla dicitura “razza ebraica”
verosimilmente riportata sulla certificazione anagrafica di nascita del
ricorrente stesso.
L’Amministrazione si è costituita in giudizio e con apposita memoria del
24.2.2011 ha chiesto il rigetto del ricorso, mentre il ricorrente, anche col
supporto di documentazione anagrafica prodotta, ha insistito per
l’accoglimento del gravame, giusta memoria depositata il 3.3.2011.
Il ricorso è fondato.
Stabilisce il primo comma dell’art. 1 della legge 16 gennaio 1978, n. 17
(contenente “norme di applicazione della L. 8 luglio 1971, n. 541, recante
benefici agli ex deportati ed agli ex partigiani, sia politici che razziali,
assimilati agli ex combattenti”) che “ai fini dell'applicazione della legge 8
luglio 1971, n. 541, la qualifica di ex perseguitato razziale compete anche ai
cittadini italiani di origine ebraica che, per effetto di legge oppure in base a
norme o provvedimenti amministrativi anche della Repubblica sociale
italiana intesi ad attuare discriminazioni razziali, abbiano riportato
pregiudizio fisico o economico o morale”.
Soggiunge peraltro il secondo comma del medesimo articolo che “il
pregiudizio morale è comprovato anche dalla avvenuta annotazione di
«razza ebraica» sui certificati anagrafici”.
Ebbene, il ricorrente ha dimostrato, con memoria e documentazione
illustrativa di quanto già sostenuto nel ricorso introduttivo, che nel proprio
certificato di nascita era stata riportata la dicitura “razza ebraica” (cfr.
dicitura stampigliata a margine del certificato di nascita dell’istante,
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depositato il 22.2.2011; provvedimento della Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Roma in data 10.2.2011 di autorizzazione, per gli usi
consentiti, all’Ufficiale di stato civile a riprodurre al momento del rilascio al
Sig. Di Porto, sull’estratto del relativo atto di nascita, la dicitura “di razza
ebraica”; nota del Comune di Roma, a riscontro di richiesta del ricorrente
in data 15.2.2011, con la quale si chiarisce che successivamente alla caduta
del regime fascista, il riferimento alla razza all’interno del certificato –nella
copia rilasciata è effettivamente presente una copertura non rimovibile
compresa nella frase tra “cittadini italiani” e “residenti in Roma”, “dove
effettivamente veniva dichiarata all’epoca la tipologia della razza”- è stato
necessariamente coperto).
Sussistevano quindi nella specie i presupposti previsti dalla legge per il
riconoscimento al ricorrente del richiesto beneficio, mentre il diniego
opposto dall’Amministrazione è illegittimo, come dedotto dal ricorrente
stesso, per difetto di istruttoria in relazione a quanto sopra.
Sul tema, del resto, del riconoscimento dei benefici di legge ai perseguitati
razziali e sui relativi oneri probatori, pare al Collegio non inutile richiamare
quanto affermato recentemente da questo Tribunale, Sez. I, nella sentenza
n. 36610 del 13.12.2010, nella parte, specificamente, in cui si precisa quanto
segue:
- in considerazione della drammaticità degli eventi storici considerati, tali da
aver più volte postulato l’intervento normativo in favore di coloro che di
quegli eventi sono stati vittime, l’accertamento dei presupposti, cui le
norme fanno conseguire l’attribuzione di determinati benefici, al quale pure
l’amministrazione deve provvedere, non può che essere parametrato alla
drammaticità delle condizioni evocate, alla natura delle circostanze, ed ora
anche al notevole lasso di tempo trascorso”.
“Ciò significa che la prova in ordine alla sussistenza dei presupposti per la
concessione del beneficio di legge, lungi dall’ancorarsi ad un rigido dato
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documentale, deve essere conseguita attraverso ogni possibile valutazione,
anche secondo il criterio, elaborato dalla giurisprudenza della Suprema
Corte di Cassazione, del cd. “più probabile che non” (Cass. n.
22022/2010), ovvero “alla luce di una regola di giudizio che ben può essere
integrata dai dati della comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei
fenomeni sociali” (Cass., sez. III civ., n. 22837/2010)”.
“Ne consegue che la prova della sussistenza dei requisiti di legge non
incombe solo sul richiedente il beneficio, ma anche sulla stessa pubblica
amministrazione, che non può limitarsi a riscontrare un difetto o
insufficienza di prova fornita dall’interessato (non gravando, appunto, su
quest’ultimo l’onere in via esclusiva), ma deve essa stessa accertare, anche
in base alla mera valutazione dei fatti ed in via presuntiva, tale sussistenza”.
“Nelle ipotesi oggetto delle disposizioni evocate, non ricorre una ipotesi
per così dire “ordinaria” di procedimento amministrativo, cui consegue
l’esercizio
di
un
potere
concessorio
da
parte
della
Pubblica
Amministrazione; non si tratta, cioè, di riconoscere (o meno), ricorrendone
i presupposti, un beneficio normativamente previsto all’istante che ne faccia
richiesta, come pure accade in altri innumerevoli casi”.
“Nelle ipotesi qui considerate, il presupposto cui la norma ricollega
l’attribuzione di determinati benefici è costituito da uno dei maggiori
drammi della storia che, nella sua negativa incommensurabilità, rende anche
lo stesso sindacato giurisdizionale (e prima ancora, l’esercizio di potestà
amministrativa) consapevole della propria sostanziale inadeguatezza (di
fronte ad esso e alle conseguenze sui soggetti coinvolti)”.
“Un dramma, dunque, che – in quanto evocato dalla norma come
presupposto per l’esercizio di potere concessorio dell’amministrazione –
costituisce esso stesso “prova” delle conseguenze cui la legge ricollega tale
esercizio, onerandosi semmai l’amministrazione di un accertamento
rigoroso (e documentalmente provato) in ordine all’insussistenza
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(soggettiva o oggettiva) dei presupporti indicati dalla legge”.
Soggiunge il Collegio che anche la stessa motivazione dell’atto impugnato è
illogica e irrazionale.
Invero, seppure per pochi giorni, tenuto conto che l’interessato è nato il
24.5.1944 e Roma è stata liberata dal regime nazi-fascista il 4 giugno 1944,
il ricorrente è stato assoggettato ad un regime e relative leggi persecutorie
di carattere razziale, come dimostra, al di là di qualsiasi possibile o
ragionevole dubbio, il certificato suddetto e, prima ancora di esso,
l’avvenuta nascita del ricorrente, in condizioni certamente di emergenza, in
un convento romano che all’epoca forniva rifugio ed assistenza agli ebrei di
Roma durante l’occupazione nazista della città.
Quanto poi alla mancanza di pregiudizi fisici, economici e morali, cui si
riferisce la P.A. nell’atto impugnato, le circostanze esposte dal ricorrente ne
comprovano invece l’inveramento, quanto meno sotto il profilo morale,
non potendo del resto il pregiudizio subito nel caso negarsi in ragione
dell’età che l’interessato aveva (pochi giorni) all’epoca dei fatti, poiché anzi
le lesioni di valori primari della persona, anche di natura morale, sono più
gravi ed odiose proprio se e quando rivolte contro soggetti minori ed
indifesi.
In base alle esposte considerazioni e con assorbimento di ogni profilo di
censura non esaminato, il proposto ricorso deve essere accolto, con
conseguente annullamento dell’atto impugnato.
Le spese seguono la soccombenza e sono equitativamente liquidate nel
dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
accoglie ed annulla per l’effetto il provvedimento impugnato.
Condanna l’Amministrazione a rifondere euro 1000,00 (mille,00) al
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ricorrente, a titolo di spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Bruno Amoroso, Presidente
Domenico Lundini, Consigliere, Estensore
Giuseppe Sapone, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/07/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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