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L’organizzazione dell’emergenza-urgenza
N. 210 - 2016
Triage e See & Treat
Evoluzione o involuzione?
Sabrina Tellini1, Giovanni Becattini2, Marco Ruggeri3
Infermiere coordinatore Dipartimento emergenza-urgenza (Macro zona sud Valdichiana senese e Amiata)
Infermiere Dirigente Azienda USL Toscana sud est
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Infermiere DEA Azienda ospedaliero universitaria Careggi
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2
Abstract
Il triage ospedaliero in Italia si rende indispensabile nel momento in cui il numero dei cittadini che si rivolgono ai Pronto
Soccorso supera ampiamente la possibilità delle dotazioni organiche sanitarie di far fronte in tempi adeguati alle richieste di
salute dei cittadini. La Regione Toscana ha regolamentato la formazione degli infermieri di triage attraverso la costituzione
di una rete di formatori che hanno implementato una metodologia a 5 codici di priorità. Dal 2010 a questo sistema ormai
collaudato si è aggiunta la sperimentazione del modello See & Treat, modello assistenziale innovativo, che riconosce all’infermiere, adeguatamente formato, la possibilità di seguire il paziente in tutto l’iter di Pronto Soccorso dalla presa in carico
alla dimissione. Questi anni di esperienza sul triage e See & Treat hanno posto le basi perché l’intera organizzazione del
Pronto Soccorso sia rivista con l’obiettivo di aumentare efficacia ed efficienza di queste strutture valorizzando al massimo i
principi della medicina d’urgenza ed il contributo dei professionisti, medici ed infermieri.
La Toscana è stata tra le prime Regioni italiane a rispondere in modo organizzato alle disposizioni del DPR
27/3/92 sull’introduzione della metodica di triage nei
PS/DEA: si costituì un gruppo di studio composto da medici ed infermieri (DGRT 706/1998) che portarono alla
pubblicazione della DGRT 736/2001 attraverso la quale
la Toscana, unica in Italia, adottava un sistema di codifica
a 5 livelli di priorità. In seguito, attraverso un costante
ed impegnativo lavoro di infermieri e medici dei PS/DEA
toscani (nel 2001 è stato istituito il Gruppo formatori regionali triage toscano), si è strutturata una rete di istruttori
che ha nel tempo garantito formazione base e retraining
a circa mille infermieri di triage, che in questi anni hanno
valutato milioni di cittadini che si sono rivolti alle nostre
strutture, facendo accoglienza e stabilendo le priorità assistenziali.
L’attività di triage si è consolidata nel tempo, in Toscana,
soprattutto dopo il processo di omogeneizzazione del sistema, basato sugli algoritmi decisionali (approvati nel
2010), che concorrono fattivamente a perfezionare e potenziare la metodica di triage, permettendo una raccolta
dati omogenea e ,grazie agli interventi che ogni Azienda
sanitaria e ospedaliera ha fatto sugli applicativi software,
consentendo una comparazione dei dati, valida base per
il calcolo degli indicatori di performance, a livello regionale.
Nonostante i buoni risultati ottenuti dal punto di vista formativo e clinico-assistenziale, il triage è stato da più parti
criticato, essenzialmente perché tacciato di essere “creatore di code”, e secondo l’accezione secondo la quale la
mission del triage è volta a smistare i pazienti secondo la
loro gravità clinica, senza avviare il processo di assistenza propriamente detto, che dipende dalla presa in carico
da parte del medico.
Nel riaffermare l’importanza del triage nell’organizzazione del PS/DEA - gli effetti dell’overcrowding a cui tutti i
nostri PS/DEA sono sottoposti non permettono di rinunciare ad una valutazione professionale e rapida che intercetti le situazioni ad alto rischio evolutivo – ma le critiche
sono state valutate avviando un dibattito sull’opportunità
del superamento del triage tradizionale per arricchirlo di
nuovi contenuti organizzativi e assistenziali.
In Toscana si sono avviate numerose esperienze di diversa interpretazione della funzione di triage che hanno in
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comune la ricerca di un più precoce avvio del processo
assistenziale. Il triage infermieristico viene considerato
quindi anche come il momento di scelta del percorso in
base all’organizzazione dei singoli PS: dal triage l’infermiere, per i percorsi a bassa complessità, può indirizzare
verso il fast-track specialistico, o gestire in prima persona il caso (See and Treat - S&T,); per i percorsi ad alta
complessità, seguendo i protocolli stabiliti con l’ equipe
medica, può iniziare il percorso diagnostico-terapeutico
per particolari quadri sindromici (es. dolore toracico, ipotizzando anche per il futuro il proseguimento del percorso
direttamente in OBI).
In alcune realtà, recentemente, si è introdotta in triage anche la figura medica. Questa modalità di triage ha come
finalità quella di una più precoce presa in carico medica,
realizzando così una migliore performance misurabile.
Si può però osservare che queste esperienze sono più
simili alla definizione di un percorso a presa in carico
rapida piuttosto che valutazioni di triage, quindi, oltre a
distogliere un medico dalla sua attività clinica principale
( diagnosi differenziale e trattamento dei casi più critici),
queste potrebbero essere meglio inserite in un PS organizzato per flussi omogenei che originino dal triage. La
performance assistenziale relativa all’attesa, dovrebbe essere misurata come relativa al tempo di “presa in carico
sanitaria”, vale a dire il tempo che trascorre dalla fine del
triage ai primi interventi del processo diagnostico laboratoristico-strumentale, spesso assicurati dall’infermiere .
Ecco quindi che il triage, che nasce come valutazione del
paziente per una corretta gestione delle attese, si integra
con una serie di altre funzioni ed attività che lo trasformano in una “cabina di regia” dei flussi sia nel DEA di II
livello sia nel piccolo ospedale della costa.
Ad oggi, a fronte dell’omogeneità metodologica e di
formazione, persistono variabili logistiche organizzative
e gestionali che differenziano la risposta sotto il profilo
dell’efficienza. Gli interventi di miglioramento da fare dal
punto di vista logistico e organizzativo coinvolgono giocoforza le diverse figure professionali responsabili della
gestione e dell’organizzazione: il direttore della struttura
per quanto riguarda i rapporti con i medici radiologi, l’infermiere coordinatore che promuove, attraverso revisione
permanente della qualità del triage, il reclutamento dei
pazienti di S&T, e fa direttamente la revisione dei verbali di S&T, controllando il rispetto dell’applicazione dei
protocolli e la conformità delle rilevazioni riportate dagli
infermieri. Considerazioni a più ampio spettro nel contributo del coordinatore infermieristico riguardano anche,
di concerto con l’infermiere dirigente, il reclutamento di
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nuovo personale da formare, oltre all’allestimento di turni
di servizio che garantisca presenze in turno di professionisti con differenti abilità e competenze acquisite.
Dopo aver contribuito, con alcune esperienze, alla ricerca di soluzioni all’affollamento delle urgenze minori nei
Pronto Soccorso, la Toscana è stata la prima Regione italiana a farsi promotrice del modello assistenziale “See
and Treat” come risposta ad una selezione di “problemi
minori”, (2007).
Anche in questo caso la Regione ha usufruito del contributo progettuale di un gruppo di medici ed infermieri:
sulla base di una valutazione estesa della letteratura internazionale, si è giunti ad elaborare un modello organizzativo assistenziale innovativo alle nostre latitudini. Si
prevede che i problemi minori siano individuati al triage
e trattati, secondo protocolli clinici predefiniti, da un infermiere appositamente formato e certificato. Si configura
così un’estensione della funzione di triage, nella quale
l’infermiere si fa direttamente carico del problema, negli
stessi locali del triage, o adiacenti a questo, senza inserire il paziente in percorsi più complessi.
La novità organizzativa, accolta favorevolmente da medici e infermieri dei Pronto Soccorso, ha avuto anche critiche e contestazioni prevalentemente sulla base di posizioni conservatrici che, peraltro, hanno riguardato solo una
minoranza del mondo medico e istituzionale. Purtroppo
queste voci contrarie, hanno in qualche modo frenato la
spinta regionale all’innovazione (richiedendo un nuovo
stimolo), e hanno contribuito a lasciar emergere progressivamente le difficoltà incontrate sul campo (insufficienza
di infermieri certificati, eccessivo turnover degli infermieri
di PS, mancata incentivazione economica, scarso numero
di protocolli….). Il risultato è stato, nel tempo, un utilizzo
del percorso S&T a macchia di leopardo. Ciononostante ,
complessivamente, dal 2010 sono circa 60mila i pazienti
trattati nei PS/DEA abilitati (21 generalisti, 2 pediatrici)
con una valutazione di efficacia e soddisfazione dei pazienti del tutto positiva.
Nel 2011 e nel 2013 il MeS ha affiancato alla tradizionale valutazione del PS/DEA anche una sezione di
indagine apposita sul S&T, per verificare il valore aggiunto differenziale con evidenza di un reale gradimento del
modello da parte dei pazienti trattati (77.6% vs 30.3%
del percorso tradizionale), dato confortato anche dal
basso tasso degli insoddisfatti, (S&T 4.2% vs percorso
tradizionale 12.8%). I risultati positivi del S&T sono apprezzabili, secondo i pazienti, anche per la qualità della
comunicazione e dell’assistenza, per il rapporto pazientepersonale e per le informazioni ricevute alla dimissione.
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La maggiore soddisfazione dei pazienti S&T rispetto al
percorso tradizionale di PS emerge anche per la qualità
del servizio ricevuto e la gestione del dolore.
L’insieme dei dati, a vario titolo raccolti, producono l’evidenza che il percorso S&T assicurato dagli infermieri è sicuro, ma non è ancora efficiente sul piano organizzativo.
Per sfruttare appieno le potenzialità per l’organizzazione
e per gli assistiti, dovremmo ripartire dalle difficoltà incontrate, per cercare di superarle : implementazione dell’approccio S&T anche in altri centri ; facilitazione e arricchimento dei percorsi S&T laddove presenti; ottimizzazione
delle modalità di gestione della doppia responsabilità,
(doppia firma infermiere e medico), almeno finché non
sarà chiarito che l’infermiere possa redigere autonomamente un referto di PS. Altro elemento critico da superare
è la difficoltà ad avere sempre disponibile un infermiere
certificato tra quelli in turno stante la situazione del numero complessivo degli infermieri in servizio e di quelli certificati, pertanto si ribadisce lo sforzo gestionale che non
sempre gli infermieri coordinatori sono riusciti a fare; infine il mancato riconoscimento economico collegato alla
funzione di triage e See & Treat che garantirà coerenza
organizzativa ed un contributo rilevante alla motivazione.
Queste azioni porterebbero al completamento organizzativo del modello di risposta del PS, che anche attraverso
triage e See & Treat otterrebbero l’abbattimento dei tempi
di attesa e di permanenza nei nostri PS, nonché al tasso
degli allontanamenti spontanei.
Nel futuro quindi il triage diviene differenziato e innescatore di percorsi, in quelli complessi, la “presa in carico”
scatta all’inizio fattivo del percorso assistenziale (primi
esami laboratoristici strumentali) ovvero all’inizio delle
pratiche assistenziali; in quelli semplici, ci si dispone, medici ed infermieri alla rapida soluzione del caso.
Gli infermieri di triage sviluppano sempre più attenzione
a selezionare la casistica dei diversi percorsi anche quella che può afferire al S&T mentre, il Gruppo dei formatori
S&T produce altri protocolli, in modo da fornire a tutti i PS
(grandi e piccoli) più ampi margini di intervento.
Agli infermieri certificati S&T, alle organizzazioni che li
ospitano, si deve chiedere un’attività sempre più aderente
all’Evidence Based Practice, assumendo anche decisioni
forti quali, ad esempio, la mancata richiesta dell’accerta-
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mento radiologico standard nei casi in cui la letteratura
indica di non farlo, perché non necessario o addirittura
inutile.
In questo modo potremmo assistere davvero ad un importante incremento della casistica a bassa priorità, stimando come possibile inserire il 35-40% nel percorso S&T, liberando tempo del medico in particolare, ma anche della
struttura e del team d’emergenza da una serie di problemi
minori che ostacolano i flussi della vera emergenza .
Le competenze S&T degli infermieri potrebbero essere
sfruttate anche fuori dall’ospedale, infatti nelle Case della
salute: un infermiere con certificazione S&T, di concerto
con il coordinamento AFT, potrebbe intercettare nella popolazione di riferimento per quella struttura quei problemi
suscettibili di trattamento ed intervenire prima che questi
arrivino in Pronto Soccorso.
L’esperienza che la Regione Toscana ha fatto con il S&T
dimostra che i professionisti possono modificarsi per adattare le proprie risposte di salute alle mutevoli esigenze
dei nostri assistiti, le organizzazioni sono chiamate a fare
altrettanto, perché solo assieme si ottengono i migliori risultati sugli assistiti.
Bibliografia
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